PERFEZIONE E COMPLETEZZA: EDIPO TRA CASTRAZIONE E SACRIFICIO

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PERFEZIONE E COMPLETEZZA: EDIPO TRA CASTRAZIONE E SACRIFICIO di Salvatore Pace Quando non esisto più, allora sono un uomo? Edipo a Colono, v.393 Prologo Paul Ricoeur, nel suo monumentale saggio su Freud, nel paragrafo dedicato alla “Ripresa dialettica del problema della sublimazione e dell’oggetto culturale” 1 , oppone, all’interpretazione freudiana del mitologema edipico, una seconda interpretazione che, contenuta già nella precedente, la completa e la determina. Scrive Ricoeur 2 : Questa nuova interpretazione non riguarda più il dramma dell’incesto e del parricidio, dramma che è avvenuto quando la tragedia inizia, ma la tragedia della verità. […] Sulla base di un primo dramma, il dramma dell’incesto e del parricidio, Sofocle ha creato un secondo dramma, la tragedia dell’autocoscienza, del riconoscimento di sé stessi. Secondo Ricoeur, la colpa di Edipo consiste nella sua tracotanza, nell’orgoglio che rende il re ignaro e cieco di fronte alla verità. Perché la verità possa sgorgare, l’orgoglio dev’essere piegato, spezzato dalla sofferenza. Solo attraverso il patire, la mutilazione, il sacrificio, Edipo raggiungerà quella figura, la figura del veggente cieco, da cui è scaturita la verità: Il veggente è cieco, quanto agli occhi del corpo, ma vede il vero nella luce dello spirito. E per questo che Edipo, che vede la luce del sole ma è cieco nei riguardi di sé stesso, accederà all’autocoscienza solo diventando egli stesso il veggente cieco 3 . Il dramma edipico e la tragedia della verità, secondo Ricoeur, non sono che le due estremità di una scala simbolica che si determina attraverso i due momenti antitetici del travestimento e dello svelamento. Se prevale il primo momento, il sacrificio e la sofferenza non sono che punizione nella tragedia del sesso 4 . Ma nella tragedia della verità, l’accecamento diventa rivelazione, svelamento di un senso spirituale diverso, motore e veicolo di “valori capaci di far progredire la coscienza verso una nuova comprensione di sé stessa” 5 , verso l’autocoscienza. La stessa “materia del desiderio” circola tra un estremo e l’altro: “è la resistenza nata dalla situazione edipica e dalla dissoluzione del complesso infantile che conferisce la propria energia alla collera del re nei riguardi del veggente” 6 . Questa stessa materia alimenta la collera del re nei confronti di sé stesso, e lo precipita nella catastrofe, preparandola al sacrificio e alla trasformazione. 1

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L'Archetipo del Sacrificio nella prospettiva Junghiana

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PERFEZIONE E COMPLETEZZA: EDIPO TRA CASTRAZIONE E SACRIFICIO

di Salvatore Pace

Quando non esisto più, allora sono un uomo?

Edipo a Colono, v.393

Prologo

Paul Ricoeur, nel suo monumentale saggio su Freud, nel paragrafo dedicato alla “Ripresa dialettica del problema della sublimazione e dell’oggetto culturale”1, oppone, all’interpretazione freudiana del mitologema edipico, una seconda interpretazione che, contenuta già nella precedente, la completa e la determina. Scrive Ricoeur2:

Questa nuova interpretazione non riguarda più il dramma dell’incesto e del parricidio, dramma che è avvenuto quando la tragedia inizia, ma la tragedia della verità. […] Sulla base di un primo dramma, il dramma dell’incesto e del parricidio, Sofocle ha creato un secondo dramma, la tragedia dell’autocoscienza, del riconoscimento di sé stessi.

Secondo Ricoeur, la colpa di Edipo consiste nella sua tracotanza, nell’orgoglio che rende il re ignaro e cieco di fronte alla verità. Perché la verità possa sgorgare, l’orgoglio dev’essere piegato, spezzato dalla sofferenza. Solo attraverso il patire, la mutilazione, il sacrificio, Edipo raggiungerà quella figura, la figura del veggente cieco, da cui è scaturita la verità:

Il veggente è cieco, quanto agli occhi del corpo, ma vede il vero nella luce dello spirito. E per questo che Edipo, che vede la luce del sole ma è cieco nei riguardi di sé stesso, accederà all’autocoscienza solo diventando egli stesso il veggente cieco3.

Il dramma edipico e la tragedia della verità, secondo Ricoeur, non sono che le due estremità di una scala simbolica che si determina attraverso i due momenti antitetici del travestimento e dello svelamento. Se prevale il primo momento, il sacrificio e la sofferenza non sono che punizione nella tragedia del sesso 4. Ma nella tragedia della verità, l’accecamento diventa rivelazione, svelamento di un senso spirituale diverso, motore e veicolo di “valori capaci di far progredire la coscienza verso una nuova comprensione di sé stessa”5, verso l’autocoscienza. La stessa “materia del desiderio” circola tra un estremo e l’altro: “è la resistenza nata dalla situazione edipica e dalla dissoluzione del complesso infantile che conferisce la propria energia alla collera del re nei riguardi del veggente”6. Questa stessa materia alimenta la collera del re nei confronti di sé stesso, e lo precipita nella catastrofe, preparandola al sacrificio e alla trasformazione.

Edipo: un eroe “intellettuale”

Edipo, come scrive Kerèny, è un heros, un eroe, e come tale, è un semidio votato al tragico, alla morte 7. La sua colpa è una colpa “eroica”, è hybris, alterigia e tracotanza, è titainein, un tendere oltre il limite e la misura, ed è, nello stesso tempo, tisis, punizione, e tragodema, materia per la rappresentazione tragica. La ridondanza divina è parente alla dismisura edipica; in lui è coscienza inflazionata, prometeica, luciferina. Ed è questa a consentirgli di fronteggiare il mostro, di sconfiggerlo, di ucciderlo. Ora, uccidere il mostro “vuol dire incorporarlo, sostituirlo”8, assumerlo e guarnirsi delle sue spoglie. Edipo, invece, rifiuta il contatto con 1Note

? P.Ricoeur, Dell’interpretazione: Saggio su Freud, Libro III, cap.IV, p.5562 Ibidem, p.557-83 Ibidem, p.558-94 Ibidem, p.5605 Ibidem, p.5626 Ibidem, p.560

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la Sfinge, i loro corpi non sono avvinti nella lotta, non c’è mescolanza, commistione. Edipo penetra e scioglie l’enigma con l’intelletto, annienta e uccide con la parola.

Fra tutte le sue colpe - scrive Roberto Calasso9- la più grave è quella che nessuno gli rimprovera: non aver toccato il mostro. […]La parola permette una vittoria troppo pulita, che non lascia spoglie. Ma proprio nelle spoglie si cela la potenza. La parola può vincere là dove finisce ogni altra arma. Ma rimane nuda, e solitaria, dopo la sua vittoria.

L’Io si inebria e si esalta in questo falso trionfo, e intanto riempie l’ordito del suo destino con un’enigmatica e incestuosa leonessa alata, sprofondata nell’abisso dell’inconscio, relegata nell’ombra.

Edipo – scrive M.-L. von Franz10 - vince lo scontro perché dà una risposta arguta e intellettuale. Alcuni uomini si sottraggono alla madre divorante in questo modo. Non uccidono il drago, ma la fanno in barba al drago. Si costruiscono una specie di regno maschile, mentale, tutto loro, dove le madri non possono seguirli […] In altre parole, nel mito edipico, il problema del femminile e del distacco dalla madre viene superato solo in apparenza. La lotta con la Grande Madre, esige un’ulteriore battaglia. Ecco che cosa ci insegna il mito edipico. Edipo, avendo sciolto l’enigma della Sfinge, se ne va, credendo di averla battuta. Ma si tratta di un’illusione. La sfinge, invece, con un comportamento tipico da strega cattiva lo inganna fingendo il suicidio. Egli pensa perciò: “Ho sconfitto la madre con i poteri della mente”. Ma dovrà ricredersi. Finisce invece per sposare la sua stessa madre e di conseguenza subisce la punizione divina riservata a coloro che commettono incesto. Il mito dimostra perciò come non sia sufficiente un atteggiamento intellettuale, tipicamente maschile, per sconfiggere il potere divorante dell’inconscio. La lotta deve essere condotta attraverso la vita, non attraverso il pensiero.

Se consideriamo la Sfinge nella sua complessione immaginale, come bizzarra figura composita formata da animali differenti, essa rappresenta la personalità inconscia, come dimostra M.-L. von Franz11, un contenuto psicologico non diversamente definibile e, per altro, difficilmente assimilabile.

Se l’inconscio è costretto a ricorrere a un mixtum compositum di differenti istinti animali per rappresentare un certo contenuto psicologico, ciò significa che la coscienza non ha ancora la capacità di definirlo con esattezza, poiché quest’ultimo, ne è ancora troppo lontano. Ma nei termini più specifici del cammino d’individuazione vuol dire che la coscienza non è ancora pronta a incontrarlo e a integrarlo. Quindi quel contenuto viene di solito sperimentato nei sogni come una realtà dai caratteri demoniaci e distruttivi. […] L’immagine vagamente psicotica dell’animale ibrido, rappresenta un contenuto psichico troppo profondo per essere integrato, e quindi molto pericoloso.

Per questo motivo, aggiunge la von Franz, Jung sostiene che per sfuggire all’opposizione dilaniante dei contrari psichici, ci si maschera dietro comportamenti difensivi (razionalizzazioni, rimozioni, ecc.) per sottrarci così al potere malefico e distruttivo dell’inconscio. Questi atteggiamenti sono giustificabili e comprensibili, ma così facendo, a lungo andare, ci si esime dall’assumere l’onere e la responsabilità morale di un confronto con le potenze dell’inconscio: attraverso di esso [atteggiamento] il conflitto non viene elaborato e sofferto nella sua pienezza, per cui non può esservi presa di coscienza e integrazione del contenuto psichico ad esso inerente”12.

Per Jung13,

L’enigma della sfinge era la sfinge stessa, cioè l’immagine terribile della madre di cui Edipo non intese l’avvertimento. [Edipo] è stato vittima del suo tragico destino: poiché credette di aver risposto alla domanda.

L’ombra del re e l’ainigma delfico

Ci tramanda la tradizione che Edipo, prima di liberare Tebe dalla tirannia della Sfinge, abbia incontrato il padre in un valico di montagna, e l’abbia ucciso dopo una lite.

L’uccisione di Laio rientra, secondo Robert Graves14 nel paradigma della morte rituale del re per opera del suo successore. Questo tema è stato il motivo guida della più suggestiva opera di James Frazer, Il ramo d’oro. In essa Frazer illustra, facendo rivivere mediante miti e leggende, racconti e superstizioni messi

9 Ibidem, p.38510 M.-L. von Franz, Il mondo dei sogni, p.107-811 M.-L. von Franz, L’individuazione nella fiaba, p.10312 Ibidem, p.10513 C.G. Jung, Simboli della Trasformazione, in Opere, vol.V, pp.183-47 K.Kerèny, Gli dei e gli eroi della Grecia, pp.240 sg.; “L’individuazione è, nello steso tempo, un compito eroico è tragico” C.G.Jung, Saggio d’interpretazione del dogma della trinità, in Opere, vol.XI, p.1568 R.Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, p.382

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continuamente a confronto, la contrapposizione, nei riti di fertilità, tra vecchio re e nuovo re, il primo destinato a morire, il secondo destinato a sostituirlo.

Neumann15, riprendendo l’argomento in una prospettiva che potremmo definire storico-archetipica, attribuisce all’opposizione tra vecchio e giovane un’importanza fondamentale nella definizione del tratto eroico della personalità. Esaminando il mito dell’eroe in rapporto alla figura paterna negativa – il maschile Terribile – Neumann analizza le forme di “castrazione patriarcale” con cui il padre-rivale soffoca la coscienza del figlio agendo “come un principio che la fissa in una direzione sbagliata” 16. Una delle forme di castrazione patriarcale, spiega Neumann, è “l’identificazione con il padre divino”17. L’eroe “perde la coscienza della sua duplice natura, in quanto perde il contatto con la sua parte terrena” 18, subisce l’inflazione dello spirito, “agisce mosso dalla superbia e dall’esaltazione del proprio Io, che i greci chiamano hybris, e non rispetta ne teme il numinoso. […] Se l’Io orgoglioso disprezza le potenze traspersonali superiori o inferiori ne diventa vittima”19.

L’inflazione causata dall’identificazione dell’Io con lo spirito conduce inevitabilmente “alla megalomania e all’ipertrofia del sistema conscio”20.

È vero che l’identificazione con il principio spirituale maschile, con il Grande Padre spirituale, o il risveglio alla vita dello spirito è lo scopo perseguito dalle prove imposte agli iniziati e il presupposto che consente all’eroe di andare incontro al mostro. Ma l’identificazione comporta, altresì, un indebolimento del lato femminile della psiche, “culmina in una spiritualità che ha perduto il contatto con la realtà e con gli istinti”21 e degenera nella sclerosi della coscienza.

È interessante ciò che Jung22 scrive sull’argomento:

Per identificazione s’intende un processo psicologico nel quale la personalità viene dissimilata, parzialmente o totalmente, da sé stessa. L’identificazione è uno straniarsi del soggetto da sé stesso a favore di un oggetto nel quale, per così dire, esso si traveste. […] L’identificazione può essere utile fintanto che manca ancora la possibilità di percorrere una via individuale. Ma non appena si profila una migliore possibilità in tal senso, l’identificazione manifesta il suo carattere patologico divenendo un impedimento così come prima era stata inconsciamente di sostegno e di utilità. Essa esplica allora un’azione dissociatrice, dividendo la personalità del soggetto in due parti estranee l’una dall’altra.

Per questo motivo, in molte popolazioni dell’Australia e dell’Africa, al rituale della circoncisione segue, dopo un periodo più o meno lungo, la subincisione23. Il significato sotteso dal simbolismo della subincisione rimanda, secondo M.Eliade, all’idea della totalità divina. L’organo maschile subinciso diventa bisessuato; simbolicamente è come attribuire al neofita un organo femminile. Da qui l’idea della totalità figurata dall’individuo androgino:

Il significato di tutti questi costumi ci sembra il seguente: si hanno più probabilità di ottenere effettivamente una modalità specifica d’essere – per esempio diventare uomo, donna – se prima si diventa simbolicamente una totalità.

Per il pensiero mitico, il modo di essere particolare è necessariamente preceduto da un modo di essere totale. L’androgino è considerato superiore ai due sessi appunto perché incontra la totalità e quindi la perfezione24.

In altri casi, la subincisione viene sostituita da un’incisione praticata lungo il braccio, o provocata da una ferita genitale, ad intervalli regolari, quasi ad imitazione del ciclo femminile, per consentire un ricambio o una rigenerazione del sangue e delle forze dell’individuo25.

La metamorfosi di Tiresia, narrata da Ovidio e immortalata dai versi di Dante Alighieri nel XX canto dell’Inferno (vv.40-45)

16 Ibidem, p.17017 Ibidem, p.17118 Ibidem19 Ibidem, p.17215 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, pp.169 sg.20 Ibidem. p.33421 Ibidem, p.33522 C.G. Jung, Tipi psicologici, pp.487-823 Cfr. M.Eliade, La nascita mistica, pp.46 sg.24 Ibidem, p.4825 Ibidem, pp.48 sg.14 R.Graves, I miti greci, p.342, nota 2

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Vedi Tiresia, che mutò sembiantequando di maschio femmina divennecangiandosi le membra tutte quante;e prima, poi, ribatter li convenneli duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne.

è una prefigurazione, un’anticipazione della trasformazione a cui potrà accedere Edipo compiendo il sacrificio della funzione maggiormente differenziata. Il saggio Tiresia, racconta Kerèny26, da giovane, al passo del Citerone, là dove Edipo e Laio si sarebbero confrontati, o sul monte Cillene, “nella località dove abitava Ermes con la coppia di serpenti sulla verga” aveva visto congiungersi due serpenti in amore. Pare che Tiresia, colpendo con un bastone uno dei serpenti, abbia ucciso la femmina: all’istante fu trasformato in femmina. Dopo aver vissuto per sette anni come una donna, vide nuovamente due serpenti accoppiati; questa volta ne uccise il maschio e si ritrasformò in un uomo.

La trasfigurazione di Tiresia esprime, come l’idea dell’androginia, la necessità di reintegrare gli opposti nella coincidentia oppositorum, aprendo la via alla completezza. L’individuo, scrive Jung27, può anche affannarsi nell’aspirare alla perfezione, “ma se vuole la completezza, deve ‘subire’ il contrario, per così dire, delle proprie intenzioni”. Ciò comporta, naturalmente, un acuirsi del conflitto, “un’acutizzazione degli opposti”28, come dice Jung, ineludibile e necessaria alla realizzazione del Sé. Ma comporta, soprattutto, che l’individuo diventi cosciente di tale conflitto interiore. Se ciò non avviene, se “un fatto interiore non viene reso cosciente, si produce fuori, come un destino”29.

Il responso di Edipo all’indovinello della Sfinge richiede un coinvolgimento totale del suo essere “un uomo”: Ars requiret totum hominen recitava un antico trattatello alchemico30. Il confronto e l’integrazione del mostro passa ineluttabilmente attraverso l’incontro e il riconoscimento di sé stessi. A questo accennava la Sfinge con il suo detto equivoco, a questo alludeva l’ainigma delfico intagliato sul frontone del tempio di Apollo: “Conosci te stesso”31.

In La Storia Infinita di Michel Ende, al giovane eroe Atreiu viene affidato il difficile compito di salvare l’Infanta Imperatrice, e con lei il regno di Fantàsia. Tra le prove e i pericoli che Atreiu deve affrontare e superare per portare a termine il suo compito – La Grande Ricerca – c’è l’attraversamento delle Tre Porte Magiche. Di queste tre porte, la prima è la Porta del Grande Enigma, custodita da due Sfingi gigantesche, dalle zampe di leone, dai corpi di toro, dalle enormi ali d’aquila e dai volti umani 32. Superato il primo ostacolo, Atreiu deve attraversare la seconda porta, la Porta dello Specchio magico:

quando ci si sta davanti, ci si vede rispecchiati, naturalmente, non come in uno specchio comune […]. Non si vede il proprio aspetto esteriore, ma il proprio io interiore, com’è in realtà. Chi vuol passare, deve, tanto per intenderci, entrare in sé stesso33.

In molte popolazioni, scrive M.-L. von Franz34, c’è la credenza che la vista della propria immagine riflessa nello specchio, preluda alla morte. “L’altra metà, per così dire, si avvicina e nel momento della morte si riunirà al morente. Così, in vita, non siamo che delle ‘metà’ del nostro vero Sé e la morte è l’istante gioioso in cui ci ricongiungiamo alla metà perduta”. Edipo è il risolutore dell’enigma, ma come giustamente sottolinea A.Vitolo, è un “risolutore parziale dell’enigma”35. Per poter risolvere l’ambiguità fatale dell’enigma occorre integrare la personalità dissimilata, l’ “ombra”, come dice Jung, la stessa che “appare all’inizio della via che conduce all’individuazione, e pone il facile ma ambiguo enigma della sfinge”36.

26 K.Kerèny, op.cit., p.32427 C.G. Jung, “Cristo, un simbolo del Sé”, in Aion: ricerche sul simbolismo del Sé, in Opere, vol. IX t.2, p.6628 Ibidem, p.6729 Ibidem. p.6730 Theobald de Hoghelande, De Alchimiae Difficultatibus, Teathrum Chemicum, vol.I, p.139 citato in Jung, La psicologia del transfert, p.5531 K.Kerèny, op.cit. p.33232 Rileviamo un’analogia interessante nel confrontare quest’immagine della Sfinge con il Tetramorphos divino, soprattutto per quanto concerne la possibilità di considerarla un simbolo di totalità inconscia.33 M.Ende, La Storia Infinita, p.10335 A.Vitolo, Un esilio impossibile, p.9836 C.G.Jung, Psicologia della figura del Briccone, in Opere, vol. IX t.1, p.26334 M.-L. von Franz, Esperienze archetipiche in prossimità della morte, in Incontri con la morte, pp.101-2

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La problematica del rinnovamento

Abbiamo detto, con Roberto Calasso, che nelle spoglie del mostro si cela la potenza. Lo dimostra Ercole che, dopo avere sostenuto una lotta cruenta e aspra con il Leone nemeo, lo strangola e lo scuoia per indossarne la pelle invulnerabile come armatura e la testa come elmo. Da quel momento “ciò che prima minacciava di morte gli uomini, si trasformò in una promessa di salvezza”37.

Analogamente il Berseker, spirito errante venerato e temuto dagli antichi Germani, che si rivela nella visione di Niklaus von Flue38 come un pellegrino che indossa una pelle d’orso, si mostra a Fratel Klaus con il Volto della Veronica, chiara allusione a Cristo e, in quanto tale, figura salvifica: “Chi porta insieme ciò che c’è di più elevato e di più infimo, è salvo, santo, integro” scriveva Jung39.

La vittoria di Edipo, invece, è “una vittoria troppo pulita, che non lascia spoglie” 40, annienta la Sfinge, infatti, con l’intelligenza, con la parola. Ma, scrive Calasso41, “c’è un rovescio nefasto della lucidità che aderisce alla coscienza, da allora. È quella la vendetta del mostro. Il mostro può perdonare chi l’ha ucciso. Ma non può perdonare mai chi non ha voluto toccarlo”.

La Sfinge, precipitata nell’abisso, diventa parànoia, un pensiero a lato, un’attività autonoma, “una realtà noetica […]” scrive Hillman42, “che conferisce significato a tutti gli altri eventi”. Ed è proprio la parànoia, secondo Eschilo43, a far accoppiare Giocasta ed Edipo:

delirio (parànoia) che annienta il sentire li saldava nel letto d’amore44.

Illustrando, nel commento alla Visio Arislei del Rosarium Philosophorum, uno dei più celebri trattati alchimistici, appartenente alla più vasta raccolta Artis Auriferae45 , l’immagine che raffigura lo stadio della Coniunctio, Jung scriveva: “La physis ha imprigionato l’uomo della luce in un amplesso appassionato”. In questo tratto dell’opus alchemico, la coppia regale si congiunge nell’incesto e sprofonda nel mare, “in mari tenebrositatis, cioè nell’inconscio”46. Alla Coniunctio fa seguito lo stadio della morte, della Putrefactio: “dopo la congiunzione incestuosa succede una quiete simile alla morte”47.

In un’altra versione della Visio Arislei, dove si narra delle avventure di Arisleo nel regno del Re del Mare, l’autore racconta che nei domini del re “nulla prospera e nulla si riproduce, il simile si mescola col simile e di conseguenza non c’è procreazione”48. L’assenza di vita sembra essere la punizione per l’incesto commesso49: “La coniunctio è stata, in quanto incesto, peccaminosa, e lascia come strascico una contaminazione”50.

Similmente si abbatte su Tebe un morbo oscuro: “una divinità ignifera, una terribile pestilenza” 51 fa languire “i germi fruttiferi della terra”, dei greggi e delle donne, consumando ogni forma di vita. Un secondo flagello, dopo la Sfinge, funesta la città di Tebe. L’oracolo di Delfi sentenzia che bisogna allontanare “il contagio che è nutrito in questa terra”. Ed Edipo, ignaro, cerca il responsabile:

L’uomo regale, - scrive Kerèny52 -, il quale crede che, in lui, tutto sia ordine, è malato del disordine che inconsapevolmente porta con sé. Si fa attenzione alla peste che infuria di fuori, ma spesso è bisognoso di guarigione anche chi è apparentemente sano.

37 K.Kerèny, op.cit., p.35838 M.-L. von Franz, Le visioni di Niklaus von Flue, pp.65 sg.39 C.G.Jung, Briefe, vol.I, pp.449 sg. Citato da M.-L. von Franz, op.cit., p.6741 Ibidem, p.38540 R.Calasso, op.cit., p.38542 J. Hillman, Sulla paranoia, in La vana fuga dagli dei, p.1943 Ibidem, p.1544 Eschilo, I sette contro Tebe, vv. 756-7, in E.Savino, Tragedie, p.20245 C.G.Jung, La psicologia del transfert, pp.121 sg.46 Ibidem, p.12347 Ibidem, p.13448 C.G.Jung, Psicologia e Alchimia, p.33549 C.G.Jung, La psicologia del transfert, pp.135 sg.50 Ibidem, p.13651 Sofocle, Edipo Re, in R.Cantarella, Tragici greci, pp.157 sg.52 K.Kerèny, Variazioni su Edipo, p.22

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Nel ciclo arturiano delle leggende sul Santo Graal53 - la magica coppa o il crogiuolo sacro degli antichi Celti, trasformato dalla fantasia cristiana medievale nel calice usato da Cristo durante l’Ultima Cena – Il Graal è associato alla figura di un guardiano, il Re Pescatore. Il re Pescatore è perennemente e mortalmente malato, e, di riflesso, anche le sue terre sono inaridite e desolate. Secondo la tradizione, colui a cui riuscirà di svelare il mistero del santo Graal, avrà restituito alla vita il Re e, con ciò, ridato la fertilità alle sue terre. La prova che si richiede all’eroe-ricercatore consiste nel formulare correttamente una domanda: cosa significano quelle cose che vengono poste al suo cospetto e a chi giova il sacro calice. Se si fallisce nell’impostare la domanda, tutto andrà perduto: il Graal, il Re e il castello, e le terre rimarranno aride e infeconde. “È la comprensione” commenta Esther Harding54 “che libera dalla paralisi dell’inconscio”. Se non comprendiamo, aggiunge la Harding, rimaniamo incastrati nella rete di Iside.

In molti racconti e fiabe55, il re rappresenta un principio divino o incarna lo spirito della tribù; in breve una dominante collettiva da cui dipende il benessere e la prosperità del regno. Se per le più svariate ragioni il re è sterile o diventa impotente, o è malato e le sue forze sono allo stremo, “deve essere ucciso o sostituito da un altro re, la cui salute e potenza garantiscano la fertilità delle donne e del bestiame e la prosperità dell’intera tribù”56.

“Secondo la tradizione più antica e primitiva,” scrive Jung, “il re è […] una vittima offerta in sacrificio per la prosperità del suo paese e del suo popolo”57. Lo stato di malattia del re, l’esaurirsi dell’energia vitale, costella la problematica “che sorge quando nell’atteggiamento collettivo dominante si è perduto il principio dell’Eros, cioè del rapporto con l’inconscio, con l’irrazionale e il femminile”58.

Lo stato di oscura incoscienza in cui versa Edipo, assieme alla pestilenza e alla moria che si abbatte su Tebe, possono essere assimilati allo stato di inanimità del re o alla sterilità del suo regno, così come si è potuto riscontrare nell’accenno al racconto di Arisleo. Questo fatto significa, come afferma Jung, che lo stato celato, occulto, è uno stato di latenza e di potenzialità, “lo stato inconscio di un contenuto proiettato in modo non visibile” che “appartiene alla totalità della personalità, e solo apparentemente, per proiezione è staccato dal suo contesto”59.

L’allegoria alchimistica esprime, in molte opere, l’idea della trasformazione del re, del suo passaggio mediato dal sacrificio, da uno stato di imperfezione e corruzione, ad uno stadio in cui la sua natura subisce una rigenerazione e un ampliamento. In un altro trattato della già citata raccolta Artis Auriferae, la Allegoria Merlini60, si narra la vicenda di un re che, poco prima di partire per la guerra, colpito improvvisamente da una sete inappagabile è costretto a bere fino ad appesantirsi ed ammalarsi gravemente. Il primo tentativo di cura, improvvisato da alcuni medici egiziani, consiste nello smembramento del re, nella polverizzazione del suo corpo e nella successiva ricomposizione. Ma la cura si rivela inefficace a tal punto da rendersi indispensabile l’intervento dei medici alessandrini. Questi ultimi riducono nuovamente il re in polvere, lo impastano con alcune sostanze speciali e depongono la salma così trattata su un crogiuolo crivellato per darle fuoco e farla fondere. Dal liquido che si raccoglie dalle gocce che filtrano dai fori del crogiuolo, si ricompone la figura del re, che passa così dalla morte alla vita.

Rimandiamo l’analisi dettagliata di questa parabola alle pagine di Mysterium Coniunctionis in cui Jung studia la problematica della rinascita con particolare riguardo alle ricerche alchimistiche. Per noi è sufficiente sottolineare il motivo del sacrificio del re e del suo rinnovamento cercando di stabilire un nesso di significato con la vicenda edipica sin qui considerata.

Il re, come scrive Jung61, rappresenta l’ipertrofia dell’Io, una dominante psichica che si ammala o invecchia e che quindi abbisogna di una compensazione, ossia di una integrazione di altre regioni della psiche, a scopo di equilibrare l’atteggiamento unilaterale della coscienza.

Questo cambiamento corrisponde, sul piano psicologico62, alla condizione di attaccamento all’Io, a cui consegue un indebolimento della coscienza, un inaridirsi della forza vitale, che fa scattare il meccanismo compensatore: l’ascesa dell’inconscio ( o la discesa della coscienza). Nella Allegoria Merlini questo stato è espresso dalla violenza del re che si prepara alla battaglia e dalla sete improvvisa che lo porta a bere in modo eccessivo, fino all’inanimità. La sete di verità di Edipo, che cresce a dismisura e di pari passo alla sua ira, offre, al di là della facile analogia, in interessante parallelo. Lo stato di conflittualità necessita di una

57 C.G. Jung, Mysterium Coniunctionis, in Opere, vol. XIV t.2, p.37858 M.-L. von Franz, op.cit., p.5059 C.G.Jung, Psicologia e Alchimia, p.33560 C.G. Jung, Mysterium Coniunctionis, op.cit., p.28061 Ibidem, p.286

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soluzione, che arriva spesso sotto la forma drastica di una disintegrazione e dissoluzione della dominante, seguita dalla formazione di una nuova dominante, anticipata, nel simbolismo alchimistico, dalla figura dell’ermafrodito e dai simboli di rotondità. La polverizzazione della dominante, come ricorda la Allegoria Merlini, non è sufficiente. Occorre non la fredda e apollinea luce della ragione, ma il fuoco dell’Eros, della passione: “Senza il fuoco del sentimento non avviene nessuno sviluppo, né è possibile raggiungere un grado più elevato di coscienza”63.

In diverse opere64, Jung avanza l’ipotesi che il problema del rinnovamento del re trovi una spiegazione nello stato di imperfezione originaria del re, nel nostro caso, nello stato di incoscienza di Edipo. Neumann 65

scrive che “Riusciamo a capire perché Edipo sia stato solo un mezzo eroe […]. Edipo vince si la Sfinge, ma l’incesto con la madre e l’assassinio del padre li commette inconsciamente”. Ammonisce Jung 66 che “il non sapere ciò che si fa agisce come una colpa, e, in quanto tale, va pagato a caro prezzo”. In questo caso, aggiunge Jung, lo scatenarsi di un conflitto può tornare vantaggioso, “perché senza quest’ultimo non esiste unificazione né può nascere un terzo elemento sovraordinato. Il re non potrebbe in tal caso né rinnovarsi né rigenerarsi”.

Il sacrificio trasformativo

Ci sono cambiamenti, nell’arco di una vita, che interessano il carattere o la personalità di un individuo, senza tuttavia comportare un mutamento drastico dell’assetto psicologico. Si tratta in genere di meccanismi che, messi in atto nel tentativo di porre fine ad una sofferenza dell’anima, rinforzano in realtà la centralità dell’Io all’interno del sistema psicologico.

Non bisogna di certo minimizzare tale meccanismo. Spesso intervengono come veri e propri automatismi protettivi, di difesa contro l’insorgere di contenuti inconsci minacciosi e difficilmente controllabili. Ma altrettanto spesso si tratta di resistenze ad un mutamento radicale, trasformativo. Si dice allora che l’individuo “è preso in un gioco senza fine”67, perché, pur avendo sperimentato tutti i cambiamenti che sono all’interno di un sistema, questo rimane invariato. Il cambiamento ‘trasformativo’, invece, “è sempre caratterizzato da una ‘rottura’ o da un salto logico”, ed è vissuto come una catastrofe.

Nella figura dell’ermafrodito, scrive Jung68, l’adepto all’opus alchemico intravedeva una possibilità di speranza. Edipo, incalzato e spinto dalla saggia figura del vecchio Tiresia, viene posto nella condizione che predispone l’eroe al riconoscimento di sé, fino a rendersi conto “della discrepanza tra quello che vorrebbe essere e quello che è”69. A questo punto, attraverso la frattura che si viene a creare, “la realtà finisce per irrompere brutalmente”70, determinando, all’interno di una situazione irreversibile, un cambiamento, una trasformazione.

Il fermaglio con cui Edipo si priva della vista, come “il chiodo conficcato in un personaggio […] o nella testa di un personaggio […] sta ad indicare l’ineludibile imperativo della necessità. Nessuna via d’uscita” è il monito di Hillman71, “così deve essere”.

Per Neumann72 l’accecamento di Edipo è una forma di castrazione, di automutilazione della parte ‘superiore’ della sua virilità, rappresentata dall’occhio, simbolo della conoscenza e della percezione intellettuale73. Nelle più antiche tradizioni celtiche74 l’occhio è l’equivalente simbolico della coscienza sovrana. E in molti riti d’iniziazione, l’introduzione del neofita al mondo della luce e della conoscenza è significata dall’apertura degli occhi75. Ragion per cui, scrive Neumann76 “è corretto interpretare la decapitazione e l’accecamento come una castrazione”, ma come una castrazione che “avviene sopra, e non sotto”, una perdita che colpisce la funzione più differenziata: il pensiero. Il sacrificium intellectus, rileva Jung77, porta “al riconoscimento incondizionato dell’interiore realtà irrazionale”. L’Io, ridimensionato, si apre all’altro da sé, ma ciò può essere ottenuto “solo mediante la resezione (sacrificio) dell’atteggiamento unilaterale seguito sino a quel momento”78, per il confronto con l’inconscio, con il “non conosciuto”, come ricorda L. Falcolini79, “non può avvenire a livello di coscienza”.

67 P.Watzlawich, e altri, Change, p.37 citato da L.Falcolini, “Alcune considerazioni sul tema della guarigione”, Rivista di Psicologia Analitica N° 44, p.60. Cfr. inoltre A. Carotenuto, La scala che scende nell’acqua, cap.6, pp.46 sg.69 L.Falcolini, op.cit., p.6070 Ibidem, p.6068 C.G. Jung, La psicologia del transfert, p.13671 J.Hillman, Ananke e Atena. La necessità della psicologia anormale, in La vana fuga dagli dei, p.108

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Che l’accecamento di Edipo assuma un significato espiatorio appare evidente dalla colpa che lo accomuna a quei personaggi mitologici che, come lui, patirono lo stesso destino: aver visto ciò che non era permesso di vedere. Infatti Tiresia l’indovino, in gioventù, perse la vista per aver assistito involontariamente al bagno di Atena presso una fonte; Atteone per avere scoperto casualmente la nudità di Artemide, ed Edipo per avere visto la nudità della madre.

Il motivo dell’accecamento come punizione potrebbe essere amplificato fino a comprendere simbolismi analoghi, come ad esempio, la ‘cacciata’ di Adamo ed Eva dal paradiso per aver disubbidito al comando divino di non mangiare dell’albero del bene e del male: mangiandone il frutto, diceva il serpente, i loro occhi si sarebbero ‘aperti’ fino a diventare simili a Dio. La punizione di Prometeo, il preveggente, per il furto del fuoco, è mirata a castigare nel titano la sua aspirazione a volere vedere di più, ad eguagliare la conoscenza divina; e nella caduta di Lucifero, la volontà di punire la simia Dei:

Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora ?Eppure tu pensavi: […]Mi farò uguale all’Altissimo.E invece sei stato precipitato negli inferi,nelle profondità dell’abisso !

(Isaia, 14,12-15)

Presso alcune tribù del Nord America, il sacrificio o la morte dell’eroe rientra nel paradigma della punizione per aver abusato della sua potenza fino a superare ogni limite80. Ciò ha una corrispondenza, nella mitologia europea, nel sacrificio come punizione per la hybris81.

L’atteggiamento eroico, scrive Joseph Henderson, ha un ruolo preminente nella fase costruttiva dell’Io: l’eroe deve dar prova di forza, lottando contro mostri e draghi o compiendo imprese impossibili, per liberarsi dall’oppressione della libido parentale. Ma la funzione del ciclo dell’eroe si esaurisce una volta raggiunto l’oggetto del suo sforzo. Tendere oltre è tracotanza, hybris, peccato d’orgoglio, e può richiedere un sacrificio propiziatorio o riparatore: la morte dell’eroe. Ma così come accade nei rituali iniziatici, lo scopo a cui tende la metafora della morte dell’eroe è “quello di creare simbolicamente lo stato d’animo dal quale possa scaturire lo stato d’animo opposto, cioè della rinascita”82.

Un sogno, commentato da Henderson83 nel capitolo di L’uomo e i suoi simboli dedicato allo studio dell’archetipo dell’iniziazione, illustra perfettamente il nostro punto di vista. Racconta Henderson che

Un giovane di venticinque anni sognò di scalare una montagna sulla cui cima c’era una specie di altare. Vicino all’altare egli scorge un sarcofago e su di esso, distesa, la propria statua. Quindi si avvicina un sacerdote velato, recante un bastone in cima al quale brilla, dardeggiante, il disco del sole. Con sua grande sorpresa egli si ritrova morto e invece di un senso di appagamento egli prova vuoto e paura. Appena viene investito dai caldi raggi del disco solare, egli avverte un senso di forza e di ringiovanimento.

83 Ibidem, p.13254 Ibidem, p.20853 E.Harding, I misteri della donna, pp.142 sg. E pp.204 sg.55 Cfr. M.-L. von Franz, Le fiabe interpretate, pp.46 sg.56 Ibidem, p.4762 ibidem, p.37863 M.-L. von Franz, Le fiabe interpretate, p.9564 Cfr. C.G. Jung, Opere, voll. IX t.2, XI, XIV t.265 E.Neumann, Storia delle origini della coscienza, p.15166 C.G.Jung, op.cit., p.33272 E.Neumann, op.cit., p.15273 Cfr. J.Chevalier – A.Gheerbrant (a cura di), Dizionario dei simboli, voce “occhio”, p.14874 Ibidem, p.15175 Ibidem, p.14976 E.Neumann, op.cit., p.14877 C.G. Jung, Tipi psicologici, p.1878 Ibidem, p.2379 L. Falcolini, op.cit., p.6580 J.L. Henderson, Miti antichi e uomo moderno, in C.G.Jung, L’uomo e i suoi simboli, p.11481 Ibidem, p.11482 Ibidem, p.132

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Scalare la montagna, sottolinea Henderson, nel tentativo di conquistare la cima, sembra indicare “la volontà di raggiungere la coscienza dell’ego nella fase eroica dello sviluppo dell’adolescenza” 84. Inevitabilmente, il paziente pensava di raggiungere, mediante una prova di forza, il pieno dominio di sé. Ma l’altare, il sarcofago e la figura del vecchio saggio, sembrano significare la necessità di abbandonare l’atteggiamento tipicamente eroico e virile per il suo opposto, la passività.

Egli deve considerarsi – prosegue Henderson85 - come morto e sepolto in una forma simbolica (il sarcofago) che richiama alla mente la madre archetipica contenitrice di tutta la vita. Solo attraverso quest’atto di sottomissione egli potrà vivere l’esperienza della rinascita […] sperimentando un rito di morte e di rinascita che segna il passaggio dalla sua giovinezza alla maturità.

Edipo, ormai cieco e povero, è destinato ad errare, a girare senza meta come il nazireo Sansone, che dopo essere stato privato della vista, venne incatenato e legato ad una macina di mulino, “come un vecchio asino cieco”86. È questo un motivo presente in molti miti e religioni. Nell’Asino d’oro di Apuleio87, Lucio l’asino ad un certo punto del racconto, viene legato ad una macina. Marie-Louise von Franz, nel commentare questo passo, ricorda che sia le bestie sia gli schiavi che venivano costretti a girare la macina, portavano una benda agli occhi per evitare le vertigini: come dire che “bisogna affaticarsi con gli occhi bendati nel circolo vizioso, girare attorno al centro psichico, senza riuscire a ‘vedere’ alcunché ne comprendere il senso del proprio patimento”88. Questo tipo di lavoro è espressione dell’asservimento al principio femminile. Neumann 89

intuisce che la condanna di Sansone si svolge nel regno di Astarte, la grande dea cananaica. E la von Franz 90

sottolinea che il tormento di Lucio l’asino, il complesso nevrotico che lo porta a girare in tondo intorno alla macina, è una forma di assoggettamento al Sé, ovvero, nel caso di Lucio, al femminile. Lucio troverà infatti sé stesso, la sua forma umana, quando rinuncerà alla volontà dell’Io e si rivolgerà alla grande dea (Iside) come a una potenza superiore e trascendente91.

Nell’Edipo a Colono, ultima fatica letteraria di Sofocle, Edipo è guidato nel suo vagabondare, dalla figlia Antigone. “L’Anima prende la guida nella persona di Antigone che segna il cammino” scrive Hillman 92. “Non era più iracondo come un tempo” afferma Kerèny93, “chiedeva poco e si accontentava del pochissimo che gli veniva dato. Era diventato l’Eroe sofferente”. Sono cambiamenti come questi che hanno condotto Edipo “nel paese dell’Anima” dice Hillman94.

A Colono, nei pressi di Atene, nel sacrario delle Eumenidi, si conclude il viaggio e il destino di Edipo. In quel recinto sacro, le Erinni, dee dell’ira e della vendetta, erano diventate ‘le benevolenti’. In un’altra occasione le Erinni subirono un’analoga trasformazione95: durante la persecuzione di Oreste, quando questi, in un accesso d’ira manifestò la sua rabbia mozzandosi un dito con un morso. In quel preciso istante, le Erinni, da dee nere e terribili, diventarono bianche e benevolenti.

Queste figure opposte ma correlate nello stesso tempo, scandiscono la metamorfosi di Edipo, che si svolge interamente nell’ambito dell’archetipo del Femminile. Difatti, seguendo lo schema proposto da Neumann in La Grande Madre96, la trasformazione dell’eroe inizia quando incontra il femminile negativo, sotto le sembianze della Sfinge, la Strangolatrice, le cui caratteristiche ruotano intorno alla simbologia della morte, dello smembramento e del sacrificio, per avviarsi a soluzione sotto il dominio della “Madre buona”, del femminile positivo, i cui simboli sono quelli della rinascita e dell’immortalità. Come la dea Iside è per Lucio l’asino

Una forza negativa quando deve creare consapevolezza, è una forza positiva quando deve portare a compimento il processo d’individuazione. Come la grande madre distruttiva e nel tempo stesso redentrice è ovunque. È’ il principio femminile che promuove la trasformazione interiore97.

92 J. Hillman, Variazioni su Edipo, p.13193 K.Kerèny, op.cit., p.35694 J. Hillman, op.cit., p.13195 K.Kerèny, op.cit., p.5384 Ibidem, p.13285 Ibidem, p.13286 C. Sgorlon, Racconti della terra di Canaan, p.10587 Metamorfosi o Asino d’oro di Apuleio di Madaura, commentato da M.-L. von Franz in L’Asino d’oro88 M.-L. von Franz, op.cit., p.11589 E. Neumann, op.cit., p.14990 M.-L. von Franz, op.cit., pp.114 sg.91 Ibidem, pp.114 sg.96 E. Neumann, La Grande Madre, pp.71-88, cfr. schema 3

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L’enigma della Sfinge, per il quale Edipo aveva trovato una soluzione apollinea, razionale ed illuminante, la stessa soluzione che scioglieva l’enigma delfico, il “Conosci te stesso”, con il “Sappi che sei un uomo”98, si chiude, nella sottomissione al proprio destino, nell’ironia tragica di un verso:

Quando non esisto più, allora sono un uomo?(Edipo a Colono, v.393)

Epilogo

97 M.-L. von Franz, op.cit., p.16598 K.Kerèny, Variazioni su Edipo, pp.18-9

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In un’intervista concessa a L.Aversa99, Paul Ricoeur, citando Lacan, diceva che “lo psicotico […] è colui che non entra nel complesso di Edipo, mentre il nevrotico è colui che non ne esce. Ma giustamente, occorrono le condizioni per entrare nel complesso di Edipo: bisogna avere un io”.

L’atto fondante, cioè il sacrificio che struttura l’Io, è la conditio sine qua non per entrare nell’Edipo. Nella psicologia junghiana, la vittima sacrificale è sempre un’eroe, il “Re” o “il figlio del Re”, cioè una dominante psichica ben differenziata. Per uscire dall’Edipo, però, occorre un sacrificio ancora maggiore, quello che de-struttura e delegittima l’Io, forzandolo al riconoscimento di una realtà superiore, che lo trascende: quella che scorre lungo l’asse che congiunge l’Io al Sé, alla totalità, alla completezza.

99 L.Aversa, “Racconto, metafora, simbolo. Dialogo con Paul Ricoeur”, in Metaxù N°2/86 pp.82-92. La citazione è a p.84

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