percorso A L’ordinamento giuridico nazionale ed europeo · 1 Diritto e giustizia Secondo gli...

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1 PERCORSO A L’ordinamento giuridico nazionale ed europeo N S O E Percorso A L’ordinamento giuridico nazionale ed europeo 1 Diritto e giustizia Secondo gli studiosi diritto e giustizia sarebbero concetti perfettamente coincidenti, con l’immediata con- seguenza che solo le «norme giuste» costituirebbero le norme giuridiche. Un tale assunto potrebbe avere qualche fondamento giustificativo nelle società omogenee per credenze e costumi laddove l’omogeneità di fondo nella valutazione astratta di ciò che è giusto ed ingiusto facilita l’opera di traduzione dei principi di giustizia in «diritto» da parte degli organi legislativi o dei giudici. Di fatto, nelle società contemporanee manca una tale omogeneità di consensi; poche sono le norme uni- versalmente riconosciute «giuste» (non uccidere, non giurare il falso, non ledere gli altri etc.), anche perché ciò che appare giusto o ingiusto varia con il variare dei costumi sociali, delle condizioni di vita politica, culturale, economica etc. Appare perciò corretto disgiungere i due concetti di giustizia e di diritto, ed in- trodurre la distinzione fra diritto naturale e diritto positivo. Diritto naturale: è un insieme di principi derivanti dalla ragione e insiti nella natura umana, talvolta rite- nuti idonei a produrre effetti giuridici, a prescindere dalla trasfusione di essi in norme positive. Diritto positivo: è l’insieme delle norme giuridiche vigenti in un certo momento storico dello Stato, a pre- scindere da qualsiasi valutazione metagiuridica (es.: giusto o ingiusto). KELSEN, nella sua Teoria generale del diritto dello Stato, distingue i due concetti: il diritto è una tecnica specifica di organizzazione sociale che vige (in una data epoca e in una data so- cietà) prescindendo da giudizi di valore (se giusto o ingiusto) di cui ciascun diritto positivo è suscettibile; la giustizia è un modello soggettivo di valori al quale ciascun ordinamento impronta le proprie tecniche legislative, proponendosi – secondo una scala soggettiva di valori – determinati obiettivi da raggiungere. Le interminabili discussioni filosofiche sulla natura del diritto derivano dal presupposto che il diritto tragga la sua validità da un’idea «a priori» sul concetto di «giusto». La scienza del diritto si occupa, invece, dello studio dei «diritti validi» vigenti nei singoli Stati. È «diritto valido», secondo ROSS, l’insieme astratto di idee normative, stabilite non per insegnare verità teoretiche, ma per guidare le persone (giudici e privati) a comportarsi in un certo modo, secondo norme effettivamen- te seguite, in un certo luogo e tempo, perché sentite dalla coscienza sociale come utili e vincolanti. Le norme giuridiche, quindi, altro non sono che delle «direttive» di comportamento che funzionano come uno schema di interpretazione: così come solo chi conosce le regole del gioco degli scacchi, può capire le mosse compiute. Dalla conoscenza delle norme astratte, cioè del «diritto valido» in un dato tempo e luogo (diritto oggettivo), si può comprendere il «diritto in azione»: cioè si possono interpretare gli atti ed i comportamenti sociali che in ossequio a quel diritto si compiono e che sono consentiti ai singoli (diritto soggettivo). 2 Rapporti tra le fonti del diritto La pluralità di fonti esistente negli ordinamenti giuridici più progrediti presuppone delle regole che disci- plinino le relazioni fra esse, per evitare che si intralcino a vicenda.

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1percorso A • L’ordinamento giuridico nazionale ed europeo

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percorso AL’ordinamento giuridico nazionale ed europeo

1 DirittoegiustiziaSecondo gli studiosi diritto e giustizia sarebbero concetti perfettamente coincidenti, con l’immediata con-seguenza che solo le «norme giuste» costituirebbero le norme giuridiche. Un tale assunto potrebbe avere qualche fondamento giustificativo nelle società omogenee per credenze e costumi laddove l’omogeneità di fondo nella valutazione astratta di ciò che è giusto ed ingiusto facilita l’opera di traduzione dei principi di giustizia in «diritto» da parte degli organi legislativi o dei giudici. Di fatto, nelle società contemporanee manca una tale omogeneità di consensi; poche sono le norme uni-versalmente riconosciute «giuste» (non uccidere, non giurare il falso, non ledere gli altri etc.), anche perché ciò che appare giusto o ingiusto varia con il variare dei costumi sociali, delle condizioni di vita politica, culturale, economica etc. Appare perciò corretto disgiungere i due concetti di giustizia e di diritto, ed in-trodurre la distinzione fra diritto naturale e diritto positivo. Diritto naturale: è un insieme di principi derivanti dalla ragione e insiti nella natura umana, talvolta rite-nuti idonei a produrre effetti giuridici, a prescindere dalla trasfusione di essi in norme positive. Diritto positivo: è l’insieme delle norme giuridiche vigenti in un certo momento storico dello Stato, a pre-scindere da qualsiasi valutazione metagiuridica (es.: giusto o ingiusto).

KELSEN, nella sua Teoria generale del diritto dello Stato, distingue i due concetti:

— il diritto è una tecnica specifica di organizzazione sociale che vige (in una data epoca e in una data so-cietà) prescindendo da giudizi di valore (se giusto o ingiusto) di cui ciascun diritto positivo è suscettibile;

— la giustizia è un modello soggettivo di valori al quale ciascun ordinamento impronta le proprie tecniche legislative, proponendosi – secondo una scala soggettiva di valori – determinati obiettivi da raggiungere.

Le interminabili discussioni filosofiche sulla natura del diritto derivano dal presupposto che il diritto tragga la sua validità da un’idea «a priori» sul concetto di «giusto». La scienza del diritto si occupa, invece, dello studio dei «diritti validi» vigenti nei singoli Stati. È «diritto valido», secondo ROSS, l’insieme astratto di idee normative, stabilite non per insegnare verità teoretiche, ma per guidare le persone (giudici e privati) a comportarsi in un certo modo, secondo norme effettivamen-te seguite, in un certo luogo e tempo, perché sentite dalla coscienza sociale come utili e vincolanti. Le norme giuridiche, quindi, altro non sono che delle «direttive» di comportamento che funzionano come uno schema di interpretazione: così come solo chi conosce le regole del gioco degli scacchi, può capire le mosse compiute.Dalla conoscenza delle norme astratte, cioè del «diritto valido» in un dato tempo e luogo (diritto oggettivo), si può comprendere il «diritto in azione»: cioè si possono interpretare gli atti ed i comportamenti sociali che in ossequio a quel diritto si compiono e che sono consentiti ai singoli (diritto soggettivo).

2 RapportitralefontideldirittoLa pluralità di fonti esistente negli ordinamenti giuridici più progrediti presuppone delle regole che disci-plinino le relazioni fra esse, per evitare che si intralcino a vicenda.

2 percorso A • L’ordinamento giuridico nazionale ed europeo

I rapporti tra le fonti possono regolarsi secondo tre criteri:

a) cronologico, che si applica quando due norme confliggenti sono poste da fonti dello stesso tipo. In tal caso, alla norma precedente viene preferita quella successiva secondo il principio lex posterior derogat legi priori (la legge posteriore deroga alla precedente);

b) gerarchico, quando le norme configgenti provengono da fonti diverse. Nel nostro ordinamento, infatti, le fonti si collocano a livelli diversi, per cui le norme successive poste da fonti di rango inferiore, che siano in contrasto con norme provenienti da fonti di rango superiore, sono invalide e soggette ad annul-lamento (come è previsto per le leggi e gli atti ad esse equiparati dall’art. 136 Cost.) o a disapplicazione (come è tenuto a fare il giudice ordinario con i regolamenti governativi in contrasto con la legge);

c) di competenza, che può presentarsi in due forme diverse:

— può esserci una separazione di competenza, fondata sulla diversità di oggetti regolabili o di ambito territoriale, oppure su entrambi gli elementi (un esempio è dato dai regolamenti parlamentari, cui la Costituzione riserva in via esclusiva la disciplina dell’organizzazione interna delle Camere);

— in altri casi la Costituzione mostra di preferire, per la disciplina di una particolare materia, una fon-te piuttosto che un’altra, senza impedire a quest’ultima di regolarla fino a quando la fonte preferita non abbia provveduto ad introdurre la propria disciplina.

Nell’ordinamento italiano la regolamentazione delle fonti è oggetto sia della Costituzione, sia di varie norme contenute in leggi ordinarie, tra cui, in primo luogo, le disposizioni sulla legge in generale (dette anche «disposizioni preliminari al codice civile»). Le fonti dell’ordinamento italiano possono così classifi-carsi:

1. fonti di rango costituzionale

— principi supremi dell’ordinamento costituzionale (non modificabili da leggi di revisione costituzio-nale);

— Costituzione e convenzioni costituzionali; — leggi costituzionali e di revisione;

2. fonti di rango primario e subprimario

— leggi ordinarie dello Stato; — referendum abrogativo; — decreti-legge; — decreti legislativi — statuti delle Regioni ordinarie; — leggi regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano (che sono, tuttavia, soggette a norme

e principi ricavabili da fonti statali di rango primario: si pensi ai principi contenuti nelle leggi statali di settore o alle norme fondamentali di riforma economico sociale);

— decreti legislativi;

3. fonti di rango secondario

— regolamenti governativi; — regolamenti ministeriali e di altre autorità (soggetti ai primi); — statuti degli enti locali (che operano nell’ambito dei principi fissati dalla legge); — regolamenti degli enti locali (operanti nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello Statuto); — statuti degli enti minori; — ordinanze;

4. gli usi normativi.

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3 Laprocedura legislativaordinaria e specialedellefontieuropee

La procedura ordinaria si articola nelle seguenti fasi:

— fase dell’iniziativa: la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta. L’ema-nazione della proposta può essere richiesta dal Parlamento europeo (che gode, così, della cd. «iniziati-va dell’iniziativa»); dal popolo (quando un milione di cittadini europei che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa di invitare la Commissione euro-pea a presentare una proposta appropriata);

— prima lettura: il Parlamento europeo adotta una posizione sulla proposta presentata dalla Commissione e la trasmette al Consiglio, il quale può approvarla o meno. Nel primo caso l’atto è adottato così come è stato formulato dal Parlamento europeo. Nella seconda ipotesi, invece, il Consiglio adotta una posi-zione, in prima lettura, la trasmette al Parlamento europeo e lo informa esaurientemente dei motivi che lo hanno indotto a non approvare la proposta del Consiglio. In questa fase anche la Commissione in-forma il Parlamento europeo della sua posizione;

— seconda lettura: il Parlamento europeo, entro tre mesi dalla comunicazione, può approvare la posizio-ne del Consiglio, in tal caso l’atto è adottato; può respingere la posizione del Consiglio a maggioranza dei membri che lo compongono, in tal caso l’atto si considera non adottato; oppure può proporre degli emendamenti. In tal caso il testo è inviato al Consiglio e alla Commissione che esprimono un parere. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, dispone di tre mesi per approvare o meno gli emen-damenti. Nel primo caso l’atto si considera adottato. Nel secondo caso il Consiglio, d’intesa con il presidente del Parlamento europeo, convoca entro sei settimane il comitato di conciliazione che apre la fase immediatamente successiva;

— fase di conciliazione: il comitato di conciliazione, entro sei settimane dalla convocazione, deve rag-giungere un accordo su un progetto comune a partire dalle posizioni comuni adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio in seconda lettura. In caso contrario l’atto si considera non adottato;

— terza lettura: se entro le sei settimane il comitato di conciliazione riesce ad approvare un progetto comune, il Parlamento europeo e il Consiglio dispongono di sei mesi per adottare, ciascuno per conto proprio, l’atto sulla base del progetto comune. In caso contrario, l’atto si considera non adottato. La seconda procedura per l’adozione degli atti dell’Unione è detta procedura legislativa speciale. La di-sposizione di cui all’articolo 289, par. 2 TFUE, infatti, stabilisce che nei casi previsti dai trattati gli atti legislativi possono essere emanati dal Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio, o vice-versa. In sostanza, tale procedura investe della funzione legislativa due soli soggetti, distinguendo net-tamente il loro ruolo: uno di essi assume la veste di organo deliberante, l’altro di organo partecipante (il quale può essere semplicemente consultato o chiamato ad approvare l’atto).

Il Consiglio ha competenza in tutte le materie in cui è maggiore l’interesse degli Stati membri a che siano adottati atti giuridicamente vincolanti. Di seguito ne elenchiamo diverse:

— adotta provvedimenti per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione, le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (art. 19 TFUE);

— combatte i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione attraverso l’istituzione di una Procura europea (art. 86 TFUE);

— stabilisce le disposizioni necessarie per consentire che l’elezione del Parlamento europeo avvenga in maniera uniforme in tutti gli Stati membri (art. 223 TFUE);

— stabilisce misure relative ai documenti personali (art. 77 TFUE); — stabilisce misure in relazione alla sicurezza, alla libera circolazione e soggiorno (art. 21 TFUE).

Il Parlamento europeo, invece, adotta per lo più atti nelle materie legate al suo funzionamento interno.