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Nuova Secondaria - n. 9 2014 - Anno XXXI 79 PERCORSI DIDATTICI comico letterario trae la propria ori- gine dalla forzatura (caricatura) dei rapporti umani quali si determinano nei vari contesti sociali. Questo è il mo- tivo di fondo per cui il comico lettera- rio è difficilmente traducibile da un contesto culturale all’altro [3]. Sembra indubbio che l’homo ridens abbia a che fare con l’homo ludens; posto che il gioco – qualsiasi gioco – è basato sul- l’infrazione di un codice riconosciuto e sull’accettazione di un codice alterna- tivo. Stefano Bartezzaghi, in un suo re- cente saggio sulla creatività, indica chia- ramente in questa facoltà l’essenza del gioco linguistico [4]. Questo principio non vale solamente per la comicità del testo scritto o ver- bale. Già ai suoi albori l’industria cine- matografica ha cominciato ad utiliz- zare, per suscitare il riso, strumenti espressivi che non erano utilizzabili – o non lo erano se non in maniera evoca- tiva – nella letteratura o nel teatro. Ci ri- feriamo alla comicità suscitata dalla si- mulazione di situazioni fisiche non reali – o percepite come tali dagli spettatori – che ha dato origine ad una vera e pro- pria sintassi del comico cinematogra- fico. Questa ebbe un suo impetuoso sviluppo nel trentennio del cinema muto, ma viene continuamente utiliz- zata anche nel sonoro. I cartoni ani- mati hanno attinto dalle tecniche del comico muto e le hanno sviluppate ca- ricando ulteriormente motivi già pre- C omicità ed umorismo sono parte integrante della cultura dei popoli e dei gruppi sociali; in- fatti la letteratura ed il teatro si sono sempre serviti di queste due forme espressive per interpretare e descrivere la realtà umana. Che il senso del co- mico sia – e per vie non completamente evidenziate – legato al patrimonio cul- turale del gruppo sociale che lo esprime è dimostrato dal fatto che ciò che è ri- tenuto tale presso un popolo, difficil- mente lo è per un altro, oppure ciò che suscita il riso in un gruppo sociale – per esempio le barzellette – risulta spesso incomprensibile o semplice- mente è considerato di cattivo gusto presso un altro. Le radici e le condizioni del comico nella letteratura e nel teatro sono state ampiamente individuate e studiate e a questo proposito sono fon- damentali il saggio Il riso di Henri Ber- gson pubblicato nel 1900 [1] e L’umo- rismo di Luigi Pirandello del 1908 [2]. Il comico nella letteratura e nel cinema La comicità nella letteratura e nella commedia si esercita su una varietà tal- mente ampia di personaggi e situazioni – si pensi al Miles Gloriosus, Calan- drino, Tre uomini in barca, Marcovaldo, Sancio, Tarantin, Bouvard e Pécuchet, ecc. – che è difficilmente riconducibile ad unità interpretativa. Tuttavia, è le- gittimo affermare che buona parte del Mondi Possibili e Senso del Comico Ledo Stefanini LA FISICA INGENUA DEDOTTA DAI FILM COMICI E DAI CARTONI ANIMATI MEDIANTE LE LORO GAG SURREALISTICHE PUÒ COSTITUIRE IL PUNTO DI PARTENZA, ATTRAVERSO LA SUAVALORIZZAZIONE E DIVERSA INTERPRETAZIONE, PER RENDERE EFFICACE L INSEGNAMENTO DELLA FISICA SCOLASTICA. senti nel cinema comico recitato, in- ventando anzi un codice fisico proprio riconosciuto come tale dagli spettatori. Comicità cinematografica Il comico scaturisce sempre dall’infra- zione di un codice condiviso. Nella let- teratura e nel teatro si tratta quasi sem- pre del codice linguistico o di quello che regola i rapporti sociali, ma la dif- fusione del cinematografo, a diversi li- velli di sviluppo tecnologico, ha aperto nuove ampie possibilità ai modi di esplicazione del comico [5] (fig. 1). Nuovi e grandi spazi all’espressione co- mica si sono aperti già agli albori del ci- nema. Basti ricordare le comiche di Ha- rold Lloyd e di Larry Semon, conosciuto in Italia con il nome di Ridolini. La co- micità di questi brevi film muti era ba- sata sulle capacità acrobatiche del pro- tagonista e sugli effetti speciali che il nuovo mezzo consentiva. Quindi ca- dute da grande altezza, salti, corse velo- cissime, esplosioni, scontro di treni, ecc. che venivano simulate con mezzi po- veri che, tuttavia, raggiungevano lo scopo. In queste comiche si trova il nuovo peculiare del mezzo cinemato- grafico: la rappresentazione surreale della realtà fisica. Potremmo addirittura affermare che il surrealismo comico ci- nematografico e il cinema nascono nello stesso momento, come sta a testimo- niare Voyage dans la Lune, un film rea- lizzato nel 1902 da Georges Méliès [6].

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PERCORSI DIDATTICI

comico letterario trae la propria ori-gine dalla forzatura (caricatura) deirapporti umani quali si determinanonei vari contesti sociali. Questo è il mo-tivo di fondo per cui il comico lettera-rio è difficilmente traducibile da uncontesto culturale all’altro [3]. Sembraindubbio che l’homo ridens abbia a chefare con l’homo ludens; posto che ilgioco – qualsiasi gioco – è basato sul-l’infrazione di un codice riconosciuto esull’accettazione di un codice alterna-tivo. Stefano Bartezzaghi, in un suo re-cente saggio sulla creatività, indica chia-ramente in questa facoltà l’essenza delgioco linguistico [4].Questo principio non vale solamenteper la comicità del testo scritto o ver-bale. Già ai suoi albori l’industria cine-matografica ha cominciato ad utiliz-zare, per suscitare il riso, strumentiespressivi che non erano utilizzabili – onon lo erano se non in maniera evoca-tiva – nella letteratura o nel teatro. Ci ri-feriamo alla comicità suscitata dalla si-mulazione di situazioni fisiche non reali– o percepite come tali dagli spettatori– che ha dato origine ad una vera e pro-pria sintassi del comico cinematogra-fico. Questa ebbe un suo impetuososviluppo nel trentennio del cinemamuto, ma viene continuamente utiliz-zata anche nel sonoro. I cartoni ani-mati hanno attinto dalle tecniche delcomico muto e le hanno sviluppate ca-ricando ulteriormente motivi già pre-

Comicità ed umorismo sonoparte integrante della cultura deipopoli e dei gruppi sociali; in-

fatti la letteratura ed il teatro si sonosempre serviti di queste due formeespressive per interpretare e descriverela realtà umana. Che il senso del co-mico sia – e per vie non completamenteevidenziate – legato al patrimonio cul-turale del gruppo sociale che lo esprimeè dimostrato dal fatto che ciò che è ri-tenuto tale presso un popolo, difficil-mente lo è per un altro, oppure ciò chesuscita il riso in un gruppo sociale –per esempio le barzellette – risultaspesso incomprensibile o semplice-mente è considerato di cattivo gustopresso un altro. Le radici e le condizionidel comico nella letteratura e nel teatrosono state ampiamente individuate estudiate e a questo proposito sono fon-damentali il saggio Il riso di Henri Ber-gson pubblicato nel 1900 [1] e L’umo-rismo di Luigi Pirandello del 1908 [2].

Il comico nella letteratura e nel cinemaLa comicità nella letteratura e nellacommedia si esercita su una varietà tal-mente ampia di personaggi e situazioni– si pensi al Miles Gloriosus, Calan-drino, Tre uomini in barca, Marcovaldo,Sancio, Tarantin, Bouvard e Pécuchet,ecc. – che è difficilmente riconducibilead unità interpretativa. Tuttavia, è le-gittimo affermare che buona parte del

Mondi Possibili e Senso del ComicoLedo Stefanini

LA FISICA INGENUA DEDOTTA DAI FILM COMICI E DAI CARTONI ANIMATI MEDIANTE LE LORO GAG SURREALISTICHE PUÒ

COSTITUIRE IL PUNTO DI PARTENZA, ATTRAVERSO LA SUA VALORIZZAZIONE E DIVERSA INTERPRETAZIONE, PER RENDERE

EFFICACE L’INSEGNAMENTO DELLA FISICA SCOLASTICA.

senti nel cinema comico recitato, in-ventando anzi un codice fisico proprioriconosciuto come tale dagli spettatori.

Comicità cinematograficaIl comico scaturisce sempre dall’infra-zione di un codice condiviso. Nella let-teratura e nel teatro si tratta quasi sem-pre del codice linguistico o di quelloche regola i rapporti sociali, ma la dif-fusione del cinematografo, a diversi li-velli di sviluppo tecnologico, ha apertonuove ampie possibilità ai modi diesplicazione del comico [5] (fig. 1).Nuovi e grandi spazi all’espressione co-mica si sono aperti già agli albori del ci-nema. Basti ricordare le comiche di Ha-rold Lloyd e di Larry Semon, conosciutoin Italia con il nome di Ridolini. La co-micità di questi brevi film muti era ba-sata sulle capacità acrobatiche del pro-tagonista e sugli effetti speciali che ilnuovo mezzo consentiva. Quindi ca-dute da grande altezza, salti, corse velo-cissime, esplosioni, scontro di treni, ecc.che venivano simulate con mezzi po-veri che, tuttavia, raggiungevano loscopo. In queste comiche si trova ilnuovo peculiare del mezzo cinemato-grafico: la rappresentazione surrealedella realtà fisica. Potremmo addiritturaaffermare che il surrealismo comico ci-nematografico e il cinema nascono nellostesso momento, come sta a testimo-niare Voyage dans la Lune, un film rea-lizzato nel 1902 da Georges Méliès [6].

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La comicità del cinema muto è sostan-zialmente diversa da quella del sonoro,in quanto caratterizzata da una totaleesportabilità da un contesto culturaleall’altro: il primo esempio di comicitàglobale. Al punto tale che grandi artistihanno ritenuto di utilizzare gli stru-menti del cinema muto anche moltianni dopo la diffusione del sonoro. Traquesti, basti ricordare Jacques Tati, cheadottò questa sintassi ancora negli anni’60 del secolo scorso [7].Vi sono gag che sono state trasferite dalcinema muto al sonoro in modo inte-grale, conservando pienamente la loroefficacia comica. Un esempio è fornitoda I love Lucy [8], un film del 1955 cheriprende immutata una scena dellospecchio di Seven Year Bad Luck [9] del1921.I moduli espressivi (le gag, per usare ilgergo cinematografico) sono poi lestesse dei cartoni animati che comin-

ciarono a diffondersi a partire daglianni ’30, cui non furono di ostacolo lediverse realtà culturali. Felix The Cat,Mickey Mouse, Popeye, Bugs Bunnyecc., personaggi dei comics generatidalla cultura americana anteguerra,non trovarono barriere geografiche eculturali alla loro diffusione in tutto ilmondo, a differenza di altre forme diespressione comica. Braccio di Ferro è su una barca immo-bile in mezzo al mare per mancanza divento. Come se la cava? Ingoiata la so-lita scatola di spinaci, si mette a poppae comincia a soffiare vigorosamentesulla vela: la barca si allontana rapida-mente sotto l’azione impetuosa delvento artificiale.Gatto Silvestro, lanciato a grande velo-cità all’inseguimento di un imprendi-bile uccellino, supera senza accorger-sene il bordo di un burrone e continuaa correre nel vuoto. Solo quando si

rende conto della situazione precipitanel baratro. Situazioni che hanno suscitato univer-salmente il riso, a testimonianza del-l’esistenza di un codice culturale con-diviso che non è né verbale né etnico,ma ha caratteristiche universali. Si trattadel codice della fisica ingenua o nativa.

La fisica ingenua (ma tenace)Il ragazzo che affronta un corso di fisicadi livello iniziale non è privo di cono-scenze di fisica; anzi, possiede una per-sonale precisa formazione teorica suifenomeni, in assenza della quale nonsarebbe in grado di condurre una vitanormale. Per esempio, è in grado di sti-mare la massa di un bicchier d’acqua, lavelocità di un’auto in avvicinamento,la temperatura di una tazza di tè, o diprevedere la traiettoria di un palloneda calcio, l’effetto di taglio provocato dauna racchetta da tennis sulla pallina,

Fig. 1. GeorgesMéliès, Le voyagedans la lune, enplein dans l’oeil!!(1902).

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stimare la distanza di una sorgente diluce, riconoscere la sorgente di unsuono, ecc. Tutte cose utilissime, anziessenziali, per imparare le quali ha im-piegato i primi anni della sua vita e checontinua ad arricchire di conoscenzeche derivano da nuove esperienze: l’an-dare in bicicletta, sciare, usare un bino-colo, accendere il gas, prendere la scossaquando si sfila un indumento sintetico,ecc. Una mole sterminata di conoscenzesemiquantitative organizzate in strut-ture teoriche non formulate in lin-guaggio matematico, solitamente indi-cata come fisica naïf o qualitativa che èstata oggetto di importanti studi scien-tifici [10][11].Suscita meraviglia il fatto che, all’in-terno dei pedagogismi che hanno colo-nizzato la scuola italiana negli ultimidecenni, non vi sia traccia di questi con-tenuti psicologici che, pure, sarebbero diprimaria importanza per il professore discuola media. Inutile dire che non fannoparte neppure dei corsi universitari perla formazione degli insegnanti di fisicaanche se sarebbero di gran lunga piùimportanti di altri contenuti discipli-

nari. Questo background di conoscenze– inteso sia come collezione di espe-rienze che come raccolta di struttureteoriche – è infatti il terreno dal quale ilprofessore dovrebbe prendere le mosseper la costruzione di teorie che si ispi-rano (o aspirano) alla razionalità. Di-versi studiosi hanno riconosciuto, nel-l’evoluzione culturale del ragazzo,qualcosa di analogo allo sviluppo storicodella scienza: l’ontogenesi come simu-lazione della filogenesi anche in fatto diformazione culturale [12] (fig. 2).Ogni ampliamento teorico – comequello della relatività speciale rispettoalla meccanica classica – non si compiecontro la struttura teorica pregressa, macome sviluppo di questa, sul significatodella quale la nuova più ampia teoriaproietta nuovi parametri di interpreta-zione. Dal punto di vista didattico talericco bagaglio di conoscenze, organizzatein teorie qualitative, dovrebbe rappre-sentare un ausilio al processo di amplia-mento cognitivo ma, nella gran partedei casi, viene considerato una sorta dizavorra psicologica di cui liberarsi. Alcontrario, è raro che un corso di fisica

abbia il potere di mutare l’ottica con cuilo studente guarda ai fenomeni fisici.Generalmente, la mente del ragazzo ar-chivia la fisica scolastica come uno stru-mento che non serve ad altro che a sestesso e continua ad attingere al perso-nale compendio di fisica nativa per in-terpretare la realtà fisica. Questa consta-tazione è suffragata da un’amplissimaletteratura scientifica che dimostra chegran parte degli studenti usciti dallascuola media superiore e perfino deglistudenti universitari di discipline scien-tifiche continuano a essere degli aristo-telici convinti in fatto di fisica [13][14].Non è solo un grave errore pedagogico,non tener conto di questa mole di co-noscenze fisiche di cui è depositario ilragazzo che si affaccia alla fisica for-male, ma è anche impossibile; perché ilvocabolario associato alla fisica nativa èlo strumento comunicativo; l’unico checonsenta all’insegnante di interagirecon l’allievo. La cultura fisica di cui ognuno è, più omeno consapevolmente, depositario, simanifesta in molti modi, e uno di que-sti è la capacità di riconoscere l’assurdofisico, facoltà a cui è associato il sensodel comico. Ogni volta che un uomo sitrova di fronte a una manifestazione fi-sica assurda, secondo il proprio codiceinterpretativo, allora scatta la risata. Nulla di diverso rispetto alla comicitàverbale: in questo caso, il riso scaturisceda un’infrazione al codice linguistico oa quello delle convenzioni sociali; nel-l’altro, quando l’infrazione riguarda ilcodice fisico ortodosso.Le giostre da Luna Park rappresentanoun’altra prova della connessione trasenso del comico e codice fisico cor-rente. Sono infatti strutture progettateallo scopo di creare situazioni fisichenon interpretabili sulla base del codicefisico ordinario: piattaforme rotanti checostituiscono sistemi di riferimento nonFig. 2. © Warner Bros.

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inerziali, in cui si manifestano forze cen-trifughe o, più raramente, di Coriolis, ocabine in caduta libera che consentonoall’utente di provare l’emozione di un si-stema di riferimento perfettamenteinerziale. Non è superfluo ricordare chela fisica seria è in debito verso la fisicagiocosa, come stanno a testimoniare lavarietà di strumenti, relativi all’idrau-lica, alla pneumatica, all’elettrologia, chenel Settecento venivano impiegati neisalotti per suscitare meraviglia. Si po-trebbe affermare che in tale secolo nonè sempre facile distinguere un apparatogiocoso da uno didattico. Il codice della fisica ingenua, che ri-guarda principalmente la meccanica,ma comprende anche l’ottica, l’acustica,l’idraulica, ecc., viene costruito soprat-tutto nei primi anni di vita, anche sesubisce nel seguito una serie di perfe-zionamenti che dipendono dalle espe-rienze vissute. È infatti evidente che im-parare ad andare in bicicletta, giocare atennis, usare un cannocchiale, ecc. rap-presentano arricchimenti culturali checontribuiscono ad ampliare il codice fi-sico associato all’intuizione. Abbiamogià osservato che la sua natura è diversada quello costituito dai modelli fisiciscolastici (la gravità, la pressione atmo-sferica, il calore come energia, la lucecome onda elettromagnetica, ecc.) chevengono collocati ad un livello diversonell’archivio cognitivo. Tutte le ricerchefatte in proposito dimostrano infatti chei modelli ingenui sembrano passare in-denni attraverso l’esperienza scolastica(anche di una laurea in fisica) e quandovi sia conflitto tra il modello ingenuo emodello scolastico, quello che soccombeè quasi sempre il secondo [15][16].

Insegnamento e fisica ingenuaOgni fisica ha bisogno di un propriovocabolario [17] e la fisica intuitiva neha uno proprio che è legittimo identi-

ficare con quello della fisica di Aristo-tele.Il primo fine dell’insegnamento do-vrebbe essere il traghettamento del ra-gazzo dal territorio della fisica intuitivaa quello della newtoniana. Impresa dif-ficile – che infatti non si realizza quasimai, come gli studi in proposito stannoa dimostrare – il cui esito dipende ingran parte da variabili nascoste, sia aldocente che al discente. Anche perché sisvolge nella terra di nessuno che separai due territori: della fisica nativa e dellanewtoniana. Dal punto di vista formalei due vocabolari sono molto simili; leparole forza, potenza, lavoro, velocità,accelerazione, ecc. appartengono adambedue i vocabolari ma con significaticoncettuali diversi [18].Naturalmente, questo è un vantaggioper l’insegnamento: se all’inizio, l’inse-gnante e l’allievo non condividessero ilvocabolario della fisica ingenua, nes-suna trasmissione sarebbe possibile.Pertanto, l’insegnante deve utilizzare illessico della fisica ingenua – e le meta-fore fisiche da questo veicolate – pertentare il passaggio ad un vocabolariodiverso: quello newtoniano, nel nostrocaso. La tradizione pedagogica – nonsolo italiana – vuole che la rottura siconsumi già dall’inizio, attraverso l’im-posizione dogmatica: «L’insegnamentodella fisica che mi è stato impartito eraprobabilmente tanto mediocre e dog-matico quanto quello di cui si sono do-vuti accontentare i più anziani tra i mieicolleghi e critici» [19].Questa, nella didattica concreta, pren-deva il nome di rigore scientifico e siesplicava prevalentemente in una seriedi definizioni che dovevano necessaria-mente precedere l’enunciazione delleleggi. Si trattava di definire rigorosamenteforza, massa, punto materiale, inesten-sibilità, rigidità, gravità, ecc., senza al-cuna consapevolezza del fatto che si trat-

tasse quasi sempre di tautologie e, tal-volta – come nel caso della velocità edell’accelerazione istantanee – di ossi-mori. Il che non significa che fosserodidatticamente inutili o da rifiutare: ser-vivano ad evocare immagini e metaforedella fisica ingenua. Cose indispensabili,poiché, come abbiamo visto, l’universoculturale del ragazzo non è deserto, maarredato con le strutture concettualidella fisica ingenua, che il vocabolarioordinario richiama. Né vi è altro mate-riale possibile per la costruzione delponte che dal territorio della fisica inge-nua traghetti a quello della newtoniana. Anche nella didattica tradizionale vi èsempre stato, di necessità, un intensoutilizzo delle strutture concettuali dellafisica ingenua, ma non consapevol-mente, anzi, i manuali scolastici colti-vano la finzione di essere ambientati,per propria natura, nel territorio dellafisica newtoniana, mentre sappiamoche non è – non può essere – così. Un approccio diverso alla fisica e fe-condo, può poggiare, invece, consape-volmente, sulla stessa fisica ingenua cheè patrimonio culturale che i ragazziportano con sé. Gli scopi sono due: ilprimo è quello di renderla esplicita, diformalizzarla in proposizioni chiare ecoerenti, quando sia possibile; il se-condo di andarne a cercare i limiti e iconflitti concettuali, laddove ci siano,per organizzarne il superamento. Por-tare insomma alla luce le conoscenze ele strutture concettuali che costitui-scono la base del rapporto tra il ragazzoe la realtà fisica, che non sono, almenoinizialmente, un ostacolo alla transi-zione verso un livello più alto di cono-scenza, ma, al contrario, lo strumentodidattico necessario e, comunque,l’unico di cui disponiamo. Un insegna-mento che valorizzi il patrimonio diconoscenze che consideriamo innatenel ragazzo e che, al contrario, si è co-

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struito da sé attraverso un periodolungo e intenso di esperienze e rielabo-razioni mentali o che ha assorbito dal-l’ambiente culturale in cui vive. Chequesto patrimonio, non perfettamenteformalizzato in un codice fisico, sia con-diviso e, per così dire, universale, è te-stimoniato, tra l’altro, dal fatto che ognisua infrazione evoca il senso del co-mico. Le gag del cinema muto e quelledei cartoni animati rappresentano unostrumento didattico di straordinaria ef-ficacia per portare all’evidenza i mo-delli e le teorie della fisica ingenua, chepossono (e dovrebbero) rappresentareil terreno sul quale edificare la fisicascolastica.

Contiguità tra fisica ingenuae fisica formaleI motivi per cui la fisica scolastica nonsostituisce quasi mai la fisica ingenuanel patrimonio culturale del ragazzosono diversi e non tutti facilmente indi-viduabili, ma certamente uno è evidentee va posto a carico della didattica tradi-zionale. Il fatto è che la realtà fisica di cuisi occupa la fisica scolastica è ben diversada quella che è necessaria per vivere nelmondo reale. I piani inclinati senza at-trito, le forze, i punti materiali, le leggi diNewton hanno, apparentemente, benpoco da spartire con la realtà percepita.Chi abbia una buona votazione in fi-sica non ha, generalmente, una più pro-fonda comprensione operativa del per-ché si stia in equilibrio sulla bicicletta.Per questo la fisica scolastica viene col-locata in un magazzino diverso daquello in cui si conserva la fisica vera,quella che serve a muoversi e a inter-pretare la realtà: la fisica che sarà pureingenua ma è anche quella veramenteutile. Tuttavia, la fisica scolastica non ècosì distante da quella ingenua. In fondoambedue tendono a costruire teoriedella realtà che cade sotto i sensi; la

prima in modo quantitativo (ma nondel tutto), la seconda in modo qualita-tivo (ma non del tutto). Vi sono infatti,anche nella fisica ingenua, stime moltoprecise di varie grandezze. Per esempiodelle velocità tipiche dei veicoli, dei pesidei corpi, della frequenza con cui gli uo-mini e gli animali muovono gli arti.Tutte stime semi-quantitative alle qualiè estranea la fisica scolastica ma chesono essenziali per una vita normale. Aben guardare, la fisica scolastica, quandoarriva a conclusioni che riguardano larealtà sensibile, non fa che ricondurre aprincipi razionali fenomeni che sonouniversalmente accettati, tanto da ap-parire banali [20] (fig. 3).Quando in un film si vede un topolinoparlare e cantare con un tono moltoacuto, si conferisce realtà cinematogra-fica ad un fenomeno che trova spiega-zione nell’ambito della fisica colta. Ciriferiamo al fatto che la frequenza fon-damentale di vibrazione di una corda

tesa è inversamente proporzionale allasua lunghezza. Ora, un ragazzo, proba-bilmente, non è in grado di fornire que-sta giustificazione; tuttavia sa per espe-rienza che gli oggetti piccoli emettonosuoni più acuti degli oggetti grandi,quando percossi. O che il suono del rug-gito di un leone è ben diversamentegrave dello squittio di una scimmia o diuno scoiattolo. Questo è il motivo percui nessuno si sorprende che un omac-cione come Bud Spencer parli con vocedi basso, mentre suscita il riso la scenadello stesso attore inserito in un coro divoci bianche [21]. Si tratta di due cono-scenze diverse, separate da una fratturache quasi mai il percorso scolastico ècapace di sanare. E tuttavia rimane unobiettivo perseguibile nell’ambito del-l’insegnamento della fisica elementare:ricondurre la realtà sensibile ai modellidella fisica classica, ovvero realizzare undizionario che consenta di passare dallafisica ingenua alla fisica formale. Il fatto

Fig. 3. S.Corbucci, Chi

trova un amicotrova un tesoro,

Take ProductionInc., 1980. Un

esempio diassurdo fisico

finalizzato asuscitare il riso.

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che non vi sia distanza incolmabile tra ledue fisiche è testimoniato dal fatto cheanche le persone che non hanno maiseguito un corso scolastico ridonoquando siano esposti alle gag tipiche deifilm muti e dei cartoni. Significa che ifondamenti della fisica classica fanno

anche parte delle nozioni diffuse della fi-sica ingenua: la meccanica in presenza diattrito, le proprietà dei corpi, il secondoprincipio della termodinamica, la na-tura ondulatoria del suono, ecc.Nell’ambito di una didattica che perse-gua lo scopo ambizioso dell’interioriz-

zazione della fisica scolastica da partedell’allievo, che voglia fargli scoprireche egli conosce già i fenomeni che la fi-sica scolastica cerca di ricondurre a sin-tesi, il cinema comico ed cartoni ani-mati costituisco uno strumento digrande efficacia.

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La fisica carnevalesca del comico

I realizzatori di cartoni animati, allo scopo di suscitare il riso, hanno finito per creare una vera e propria sintassi narrativa condivisa conil pubblico, basata su leggi fisiche non scritte, ma che da anni gli studiosi hanno provveduto ad esplicitare talvolta in modo quasischerzoso [22], altre con tutti crismi della serietà scientifica [23][24].Riportiamo per intero la raccolta delle leggi della meccanica dei cartoni, note come Leggi di O’Donnel:

I. Ogni corpo sospeso nello spazio rimane tale fino a che non si rende conto della situazione.(Daffy Duck, superato il bordo di un ponte crollato, rimane per aria fino a quando non se ne rende conto. Solo a questo puntocomincia a cadere con accelerazione g)II. Ogni corpo in moto conserva la sua velocità fino a che non sbatte contro un corpo solido.(Un personaggio sparato da un cannone continua a viaggiare di moto rettilineo uniforme fino a che non viene fermato da unedificio o da un palo del telefono)III. Ogni corpo che attraversa un muro lascia un foro perfettamente uguale al suo profilo.IV. Il tempo impiegato da un corpo a cadere da un’altezza di venti piani è maggiore o uguale al tempo impiegato da un per-sonaggio a scendere per le scale.V. La forza di gravità viene cancellata dalla paura.(Le forze psichiche sono sufficienti a sparare un personaggio dal pavimento a un’altezza a piacere. I piedi di un personaggioin corsa e le gomme di un’auto veloce non toccano terra)VI. Se la sua velocità è alta, un personaggio può trovarsi in due posti diversi nello stesso momento.VII. Se su un muro vi è una porta dipinta, certi personaggi la possono attraversare; altri no. VIII. Un personaggio può subire qualsiasi deformazione e riprendere subito la forma originale.(Corollario: Un gatto prende la forma di qualsiasi contenitore)IX. Tutti i corpi cadono più velocemente di un’incudine.X. La gravità si trasmette per onde di grande lunghezza d’onda e bassa velocità.(Quando un personaggio si rende conto di trovarsi sospeso nel vuoto, non cade come un tutt’uno: dapprima cominciano acadere i piedi, provocando di conseguenza un allungamento delle zampe. La caduta si trasmette poi al torso, ed ha come con-seguenza un allungamento del collo. Solo quando anche il capo ha iniziato a cadere, il personaggio riprende la forma origi-nale, fino a quando giunge al suolo)

Il punto che vogliamo prendere in considerazione è: perché le esemplificazioni visive di queste leggi siano causa di comicità, ovverosuscitino la risata. Il discorso appare più convincente alla luce di alcune altre leggi che riguardano la fisica del cinema comico muto e che ci pare op-portuno ricordare:

I. Un attore cammina o corre con una frequenza superiore al normale.(Esempi ovvi sono rappresentati da Charlot e Ridolini)II. Un attore può compiere movimenti rapidissimi. (Si pensi alla scena alla scena di Terence Hill che prende a schiaffi il pistolero) [25]III. Un attore può dare pugni che lanciano chi li prende a vari metri di distanza, senza produrre danni se non momentanei.IV. Un attore può cadere da vari metri di altezza senza riportarne danni.V. Una bomba che esplode in mano ad un attore provoca solamente un annerimento della faccia e del vestito.VI. Esiste un apparecchio che consente di invertire la freccia del tempo.VII. Partendo da una mela sbucciata e affettata, un attore, compiendo tutte le operazioni al contrario, è in grado di ottenerela mela di partenza.

Le leggi che abbiamo elencato sono l’enunciazione rovesciata delle leggi della fisica ingenua, cioè si applica al codice fisico ingenuol’operazione di inversione che è propria delle proposizioni carnevalesche. Il fatto che questa inversione sia tanto efficace nel provo-care il riso è la prova migliore che le leggi negate sono profondamente interiorizzate. Si tratta di un processo ben noto in letteratura(con cui hanno giocato Umberto Eco e Giuliano Vassalli) e a cui vanno legittimamente ascritti anche il Somnium di Keplero [26] el’Histoire comique des États et Empires de la Lune di Cyrano de Begerac [27].

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ConclusioniIl successo delle comiche cinematogra-fiche e dei cartoni animati, nei quali ilsonoro è solo di supporto alle azioni,che rimangono, sostanzialmente, quelledel cinema muto e che questo successonon conosca confini culturali, dimostrache alla base di questa comicità vi è uncodice fisico condiviso che, come la mu-sica, ha carattere sovra-culturale. I filmcomici rivolti al pubblico adulto, hannoun mercato molto più ristretto inquanto sono basati sull’infrazione di co-dici diversi: o linguistici, o relativi ai rap-porti sociali. I film comici, che conten-gono gag basate sul surrealismo fisico, ei cartoon, che utilizzano necessariamentele stesse tecniche espressive, possono co-stituire efficaci strumenti didattici nel-l’insegnamento della fisica classica. Con-sentono infatti di portare all’evidenza iprincipi della fisica ingenua che fannonecessariamente parte del bagaglio cul-turale di tutte le persone. Il fine dell’in-

segnamento elementare della fisica nonè finalizzato al superamento della cul-tura fisica ingenua, ma, se mai a valo-rizzarla e portarla a consapevolezza, ar-ricchendola e precisandola attraversonuove esperienze. È la fisica scolasticache deve ambire a trovare posto all’in-terno della fisica ingenua di cui l’inse-gnamento, per essere efficace, deve te-nere sempre conto. Le esperienzescolastiche di fisica raramente sono effi-caci dal punto di vista didattico, pro-prio a causa del fatto che la loro idea-zione e interpretazione trovano spaziogià all’interno della fisica scolastica, e

raramente si prende in considerazione ilfatto che potrebbero avere un’interpre-tazione diversa nell’ambito della fisicaingenua. Ma i film comici (del tipo dicomicità che abbiamo tratteggiato) e icartoni animati sono, per così dire, rac-colte di Gedankenexperimente di cui nonsi fornisce, contemporaneamente, l’in-terpretazione canonica. Questa spettaad allievi ed insegnanti alla luce di dueparadigmi: la fisica ingenua da una partee la fisica colta dall’altro.

Ledo StefaniniUniversità di Mantova-Pavia

FILMO-BIBLIOGRAFIA

[1] H. Bergson, Il riso (1900), tr it. di A. Cervesato e C. Gallo, Laterza, Roma-Bari 1994.[2] L. Pirandello, L’umorismo, Zanichelli, Bologna 2008.[3] V. Propp, Comicità e riso, Einaudi, Torino 1988. [4] S. Bartezzaghi, L’elmo di don Chisciotte, Laterza, Roma-Bari 2009.[5] J.L. Baudry, L’effect cinéma, Albatros, Paris 1978.[6] G. Méliès, Voyage dans la Lune, Méliès, 1902.[7] G. Cremonini, Playtime. Viaggio non organizzato nel cinema comico, Lindau, Torino 2000.[8] W. Asher, I love Lucy, Desilu Production,1955.[9] M. Linder, Seven Years Bad Luck, Linder, 1921.[10] J.P. Hayes, The second naive physics Manifesto, in Id., Readings in qualitative reasoningabout physical systems, Morgan Kaufmann Publisher Inc, S. Francisco CA 1989.[11] P. Bozzi, Fisica ingenua, Garzanti, Milano 1990.[12] A. Di Sessa, Unlearning Aristotelian Physics. A Study of Knowledge-Based Learning, «Co-gnitive Science», 6/1 (1982), pp. 37-75.[13] R. Driver, Students’ Conceptions in Science, «International Journal of Science Education»,5 (1989), XI, pp. 190-481.[14] R. Driver - J. Easley, Pupils and Paradigms: a review of the literature related to concepts de-velopment in adolescent science students, «Studies in Science Education», 5 (1978), pp. 61-84.[15] M. G. Iannello et. al., Le conoscenze di fisica all’inizio dei corsi universitari in Italia, «Ense-nanza de las ciencias», 10 (1992), III, pp. 268-274.[16] F. Dupr� et al., Modelli fisici pre-newtoniani nelle conoscenze degli adulti, «Scuola e Città»,2 (1981).[17] T.S. Kuhn, Mondi possibili nella storia della scienza, in Id., Dogma contro critica, RaffaelloCortina Editore, Milano 2000.[18] T.S. Kuhn, Commensurabilità, comparabilità, comunicabilità, in Id., Dogma contro critica,Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.[19] E. Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Bollati Boringhieri, Torino 1968, p. 285.[20] B. Shanon, Aristotelianism, newtonianism and the physics of the layman, «Perceptions»,5 (1976), pp. 241-243.[21] M. Fondato, … altrimenti ci arrabbiamo!, M. Cecchi Gori, 1974.[22] O’Donnell’s Laws of Cartoon Motion, «IEEE Institute», 7 (1994), V, p.12. [23] M. Mc Closkey, Fisica intuitiva, «Le Scienze», 178 (1983), pp. 108-118.[24] M. Mc Closkey, Cartoons Physics, «Psychology Today», (1984), p. 52.[25] E.B. Clucker, Lo chiamavano Trinità, Italo Zingarelli, 1970.[26] J. Kepleri, Somnium, seu opus posthumum de Astronomia Lunari, Francoforte 1634.[27] S.C. De Bergerac, L’autre monde ou Les états et empires de la lune, Paris 1657.

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aree tematiche, di interesse specifico. Perinciso, le prime quattro conferenze ple-narie furono tenute da Poincaré, Klein,Hurwitz e Peano.Se Zurigo fu un primo assaggio, l’edi-zione successiva di Parigi, nel 1900, di-venne la più celebre della storia graziealla lungimirante conferenza di DavidHilbert, Mathematische Probleme, nellaquale il grande matematico tedescoelencò i ben noti 23 problemi per ilnuovo secolo che avrebbero indirizzatola ricerca delle nuove generazioni. Eccole parole, divenute oggi un manifesto,con le quali Hilbert aprì il suo memo-rabile intervento:

Chi non solleverebbe volentieri il velo checi nasconde l’avvenire, per gettare uncolpo d’occhio sui progressi della nostrascienza e per rendersi conto dei suoi svi-luppi futuri? In questo campo così fe-condo e così vasto come la matematica,quali saranno le mete particolari che siprefiggeranno i maestri del pensiero ma-tematico delle generazioni future? Qualisaranno, in questo campo, i nuovi metodie le nuove verità che saranno scoperte, inquesto secolo che sta cominciando?1

La risoluzione dei problemi di Hilbertha segnato la matematica del Nove-cento e i risolutori appartengono oggialla cosiddetta Honors Class, come in-dica il titolo di un recente libro a lorointeramente dedicato.Le edizioni seguenti dei congressi, adHeidelberg 1904, Roma 19082 e Cam-

Il 2014, come tutti sanno, è l’anno deiCampionati mondiali di calcio, che siterranno in Brasile nel mese di giu-

gno; forse non tutti sanno che il 2014 èanche l’anno del Congresso internazio-nale dei matematici (ICM, InternationalMathematical Congress), che si terrà inCorea del Sud, a Seul, nel mese di ago-sto. Questa concomitanza si protrae or-mai da più di sessant’anni, per la preci-sione dal 1950, visto che entrambi glieventi hanno cadenza quadriennale, mase la prima edizione dei campionatimondiali di calcio risale al 1930, il primocongresso internazionale dei matematiciha avuto luogo addirittura nel 1897. Se-guire la storia degli ICM, dagli alborifino ad oggi, consente di farsi un’ideadell’evoluzione della matematica e dellanascente comunità dei matematici at-traverso il XX secolo, tra progresso econflitti, problemi e nuove teorie.

I congressi internazionaliTutto cominciò a Zurigo, nell’agosto del1897, come detto, per volere di GeorgCantor, il padre della moderna teoriadegli insiemi, e di Felix Klein, fondatoredella geometria delle trasformazioni. Giàla prima edizione del congresso si svolsesecondo il copione che si segue ancoraoggi: alcune conferenze plenarie (alloraquattro, oggi circa una ventina) di inte-resse generale e tenute dai massimi ma-tematici del periodo, seguite da una se-rie di comunicazioni brevi, suddivise per

Matematici, Congressi e PremiEugenio Biasin

L’AUTORE PRESENTA LA STORIA DEI CONGRESSI INTERNAZIONALI DI MATEMATICA, I PRINCIPALI RICONOSCIMENTI

ASSEGNATI NEL CORSO DEGLI STESSI, ALCUNE NOTIZIE RIGUARDANTI I VINCITORI E LE ASPETTATIVE SUL CONGRESSO DI

SEUL CHE SI TERRÀ IN AGOSTO.

bridge 1912, ebbero luogo nei paesi cherappresentavano i principali centri dellamatematica mondiale, nell’ordine diimportanza: Germania, Francia, Italia(sì, è proprio vero, siamo stati al terzoposto in una ipotetica classifica per na-zioni) e Inghilterra.La serie si interruppe bruscamente acausa della Prima Guerra Mondiale e ri-prese, seppur zoppicando, con i con-gressi di Strasburgo 1920 e Toronto1924, i quali, per volere degli organizza-tori, non videro la presenza dei mate-matici delle potenze centrali. Questa di-scriminazione creò non pochecontestazioni nella comunità dei mate-matici, tanto che molti esponenti dispicco boicottarono tali eventi e propo-sero di escluderli dalla canonica serie deicongressi internazionali; da allora, acausa di questa diatriba, la numerazionedei congressi è stata abbandonata. Her-mann Weyl, nel discorso di apertura delcongresso di Zurigo del 1932, così de-scrisse la situazione: «Ci troviamo qui inun improbabile e straordinario evento.Per il numero n, corrispondente ai con-gressi internazionali dei matematici fi-nora aperti, abbiamo la disuguaglianza 7≤ n ≤ 9; sfortunatamente i nostri fonda-

1. G. Curbera, Il club dei matematici. I congressi interna-zionali, RBA Italia, Milano 2013, p. 27.2. Sul convegno di Roma del 1908 si può leggere unosplendido resoconto pubblicato per il centenario nel 2008:A. Guerraggio - P. Nastasi, Roma 1908: Il Congresso interna-zionale dei matematici, Bollati Boringhieri, Torino 2008.

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menti assiomatici non sono sufficientiper dare un’affermazione più precisa». Nel Congresso di Bologna 1928 la par-tecipazione tornò aperta a tutti i paesi ecosì fu a Zurigo 1932 e Oslo 1936, ma laguerra interruppe di nuovo la serie, laquale riprese, senza restrizioni ai paesisconfitti, solo nel 1950 ad Harvard. Daallora i congressi si sono tenuti regolar-mente, con cadenza quadriennale, al-ternando come sedi città dell’Europa(significativo nel 1998 il ritorno in Ger-mania, a Berlino, dopo 94 anni) e degliStati Uniti, fino alle recenti edizionisvoltesi, non a caso, nei paesi orientaliemergenti: Kyoto 1990, Pechino 2002,Hyderabad 2010, Seul 2014.

La medaglia FieldsÈ annosa la questione dell’assenza dellamatematica tra le discipline onorate dalPremio Nobel, la più importante ono-rificenza in ambito scientifico e lettera-rio; la questione trova risposta nella fi-gura stessa di A. Nobel, chimico eindustriale svedese dell’Ottocento, coltoe amante delle scienze e della lettera-tura, il quale lasciò parte del suo patri-monio a una fondazione con il compitodi distribuire annualmente cinquepremi di pari valore a chi si fosse di-stinto nel campo scientifico, letterario odella pace fra i popoli (il Premio per

l’economia fu istituito successivamente,nel 1968, dalla Banca centrale di Svezia).Purtroppo per i matematici, gli inte-ressi scientifici di Nobel riguardavano lachimica, la fisica e la medicina, non lamatematica, anche se in ambiente ac-cademico circola ancora una storiellaapocrifa secondo la quale un’amante diNobel avesse una tresca con il matema-tico svedese Gosta Mittag-Leffer, dallaquale l’inevitabile idiosincrasia del no-stro per la regina delle scienze. Come reagì la comunità dei matematicia questo affronto? Nel modo più preve-dibile: creandosi un premio ad hoc! Inoccasione del Congresso di Toronto del1924, l’organizzatore J.C. Fields, abilenel procurarsi molti sponsor, proposedi istituire un premio, consistente inuna medaglia accompagnata da unasomma di denaro, da consegnare, adogni futuro congresso, ai matematiciche si fossero maggiormente distintinella ricerca. La proposta fu accolta du-rante il congresso di Zurigo del 1932 emessa in atto dal congresso successivodi Oslo del 1936; L.V. Ahlfors e J. Dou-glas furono i primi matematici insignitidella cosiddetta “medaglia Fields” (cosìdenominata in onore del suo promo-tore scomparso nel 1932), onorificenzaparagonabile, in quanto a prestigio, alsuddetto Premio Nobel. Fino al Con-

gresso di Stoccolma del 1962 furonoassegnate due medaglie in ogni edi-zione, ma a partire da quello di Moscadel 1966 si passò ad un numero mas-simo di quattro, vista la grande espan-sione, in termini di quantità e qualità,della ricerca matematica (fig. 1). La medaglia, opera di uno scultore ca-nadese, è d’oro e mostra su un lato l’ef-figie di Archimede, il più grande mate-matico dell’antichità, insieme ad unaiscrizione latina del giurista romanoManilio: «Transire suum pectus mun-doque potiri» («Trascendere le limita-zioni umane e padroneggiare l’uni-verso»); l’altro lato porta, invece,l’iscrizione «Congregati ex toto orbemathematici ob scripta insignia tri-buere» («I matematici di tutto il mondoriuniti concedono per i notevoli scritti»).La particolarità del premio consiste nelfatto che esso viene conferito solo a ma-tematici al di sotto dei quarant’anni, alfine di incoraggiare i vincitori a fornireulteriori brillanti contributi alla ricerca.Tale limitazione non è mai parsa parti-colarmente significativa in considera-zione del fatto che la stragrande mag-gioranza dei risultati di spicco vengonoottenuti dai ricercatori ben prima delfatidico limite: la matematica è unaprofessione per giovani, come disseG.H. Hardy.Forse l’unico caso eclatante a riguardoè la recente sensazionale dimostrazionedell’Ultimo Teorema di Fermat, attesada più di 350 anni, da parte del mate-matico inglese A. Wiles, nel 1995 (unaprima versione del 1993 conteneva unerrore che costò a Wiles altri due anni dilavoro), il quale, avendo già compiuto iquarant’anni nel 1998 (è nato nel 1953),anno del congresso tenutosi a Berlino,dovette accontentarsi di un premio spe-ciale, una targa commemorativa in ar-gento, appositamente istituito per l’oc-casione (fig. 2). Fig. 1. La medaglia Fields.

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A tutt’oggi sono state assegnate 52 me-daglie, così distribuite: 12 agli USA, 10alla Francia, 9 alla Russia, 6 alla GranBretagna, 3 al Giappone, 2 al Belgio e 1a Germania, Finlandia, Norvegia, Sve-zia, Italia, Nuova Zelanda, Australia,Cina, Israele e Vietnam.Non possiamo esimerci dal presentarel’unico vincitore italiano del prestigiosopremio: Enrico Bombieri, insignitodella medaglia Fields nel 1974 al con-gresso di Vancouver, per aver ottenutoprofondi risultati nel campo della teo-ria dei numeri e della geometria alge-brica (fig. 3).Bombieri, nato a Milano nel 1940 e lau-reatosi nella stessa città nel 1963, ha in-segnato all’università di Pisa prima ditrasferirsi all’Institute for AdvancedStudy di Princeton, il cuore della ricercamatematica contemporanea, dove è tut-tora membro permanente e titolare dellacattedra IBM Von Neumann, una dellepiù prestigiose al mondo. Nel 1984 èstato eletto membro straniero dell’Acca-demia delle Scienze di Francia e nel 1996di quella degli Stati Uniti; nelle motiva-zioni per quest’ultima elezione si legge:«Bombieri è uno dei più versatili mate-matici del mondo. Egli ha significativa-mente influenzato la teoria dei numeri,la geometria algebrica, la teoria delleequazioni alle derivate parziali, quelladelle funzioni di più variabili complessee la teoria dei gruppi finiti. La sua stra-

ordinaria abilità tecnica è associata ad uninfallibile intuito per i problemi crucialiin aree chiave della matematica». Bom-bieri è oggi considerato un guru dellateoria dei numeri e uno dei massimiesperti dell’ipotesi di Riemann, il pro-blema aperto più importante della ma-tematica contemporanea (fig. 4).Tra i premiati più recenti menzioniamoTerence Tao, medaglia Fields, ad ap-pena 31 anni, al Congresso di Madrid2006, il prodigio matematico austra-liano, di origine cinese, detto il “Mo-zart” della matematica per la facilitàcon la quale spazia tra varie branchedella disciplina ottenendo risultati stra-bilianti, tra i quali spicca il Teorema diGreen-Tao sulle progressioni di numeriprimi. Ecco come Tao considera il la-voro di ricerca: «Non è tanto una que-stione di essere abili o veloci. È piutto-sto come scalare una parete.Certamente è utile essere molto forti eagili, e avere tanta corda. Ma l’impor-tante è individuare un percorso checonsenta di arrivare fin lassù. Fare i cal-coli in fretta e sapere tante cose è comescalare una roccia essendo forti, agili emuniti di buoni attrezzi. Però quelloche ancora manca è un piano – è que-sta la parte difficile – e per averlo oc-corre una visione d’insieme» (fig. 5). Un altro fields medalist non comune èGrigori Perel’man, l’orso di San Pietro-burgo, il risolutore della centenaria

Congettura di Poincaré, il quale, comenoto, è stato il primo e unico matema-tico a rifiutare l’ambito premio, confe-ritogli allo stesso Congresso di Madriddel 2006, e non solo, capace di rifiutareanche il milione di dollari messo in pa-lio dal miliardario americano LandonClay per la risoluzione di uno dei setteMillennium Problems (ipotesi di Rie-mann, congettura di Poincaré, conget-tura di Birch e Swinnerton-Dyer, pro-blema P versus NP, equazioni di Navier-Stokes, congettura di Hodge, teoria diYang-Mills e ipotesi del gap di massa).«Non voglio essere uno scienziato davetrina» ha sentenziato Perel’man inuna delle poche dichiarazioni rilasciateprima di sparire dal panorama della ri-cerca matematica attiva (fig. 6).Infine, citiamo Cédric Villani, meda-glia Fields all’ultimo congresso di Hy-derabad del 2010, istrionico matema-tico francese dal look originale, amantedei manga giapponesi, autore di un belracconto della sua scalata al teoremache lo ha condotto al premio: Il teo-rema vivente3, una splendida lettura pertutti i giovani (purtroppo pochi) affa-scinati dal mestiere di matematico.Così nel libro Villani presenta l’ago-gnato premio:

E poi c’è la Medaglia. La medaglia Fields,quella che i pretendenti osano appenanominare, la MF. La suprema ricom-

Fig. 2. Andrew John Wiles (1953). Fig. 3. Enrico Bombieri (1940). Fig. 4. Terence Tao (1975).

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pensa per i matematici nel pieno dellaloro attività, attribuita ogni quattro annidurante il Congresso internazionale deimatematici, a due, tre o quattro mate-matici con meno di 40 anni. Certo cisono vari premi chic in matematica! Ilpremio Abel, il premio Wolf, il premioKyoto sono sicuramente più difficili daottenere che la medaglia Fields. Ma nonhanno la stessa risonanza, la stessa espo-sizione. E arrivano alla fine della car-riera, non hanno lo stesso ruolo ditrampolino e incoraggiamento. La MFha un’influenza ben superiore. Non ci sipensa e non si lavora per lei. Porterebbesfortuna. […] Il limite di età a 40 anni,che stress! Non ho che 35 anni… Ma laregola è stata rinforzata all’ultimo Con-gresso internazionale, nel 2006, a Ma-drid. Ormai bisogna avere meno di 40anni il primo gennaio dell’anno delCongresso. Nel momento preciso in cuiquesta nuova regola è stata annunciatapubblicamente, ho capito che cosa si-gnificava per me: nel 2014 per soli 3mesi sarò troppo vecchio; la MF saràquindi nel 2010 o mai più. Da quel mo-mento non è passato giorno senza che laMedaglia si sia invitata nel mio cervello.E ogni volta la respingo. Nessuna mano-vra politica, non si concorre esplicita-mente per la medaglia Fields ecomunque la giuria è segreta4.

E, per sua fortuna, 2010 è stato.

I nuovi premiTornando al premio, la medaglia Fields,in termini monetari, ha un valore pres-

soché nullo (circa 15.000 dollari cana-desi), mentre, com’è noto, la rilevanzaeconomica del Premio Nobel è tutt’altroche trascurabile (circa un milione di dol-lari). Al fine di ristabilire il dovuto equi-librio anche sotto questo aspetto, l’Ac-cademia norvegese delle scienze e dellelettere ha deciso di istituire, a partire dal2003, il Premio Abel, in onore del grandematematico, appunto norvegese, NielsAbel (1802-1829); il premio consiste inun assegno di circa 700.000 euro ed èmolto simile al premio Nobel anchenelle modalità di assegnazione: anch’essoè infatti assimilabile ad un premio “allacarriera”. I primi due vincitori del nuovopremio sono stati: nel 2003 il franceseJean Pierre Serre e nel 2004 l’inglese Mi-chael Atiyah, peraltro entrambi già insi-gniti della medaglia Fields.Per concludere, segnaliamo che dalCongresso internazionale di Madrid2006, accanto alle medaglie Fields vieneassegnato Premio Gauss, in onore delprincipe dei matematici Karl FriedrickGauss (1777-1855), con il qualel’Unione Matematica Internazionalevuole premiare i maggiori risultati nelcampo delle applicazioni della mate-matica alle altre discipline; il primo ma-tematico ad esserne insignito è stato ilnovantenne giapponese Kiyoshi Ito. La vendetta del mondo matematico neiconfronti dello sgarbo di Nobel par-rebbe essere ormai compiuta.

Il congresso che verràCosa accadrà a Seul? Chi saranno i for-tunati vincitori delle ambite medaglieFields? Già impazzano sul web i prono-stici degli addetti ai lavori, ma la veradomanda che aleggia è la seguente: saràl’anno della prima medaglia Fields alfemminile? Se lo augura l’ex-vice presi-dente vicario dell’Istituto nazionale diAlta Matematica Elisabetta Stricklandnel suo articolo, Il sari dorato, disponi-bile sul web, nel quale racconta la suaesperienza al congresso di Hyderabad,sottolineando, tra l’altro, l’elezione dellaprima donna alla presidenza del-l’Unione Matematica Internazionale(IMU, International MathematicalUnion): la matematica belga IngridDaubechies. Che sia un segno premo-nitore? E l’Italia? Purtroppo, si sa, la situazionedella ricerca scientifica nel nostro paesenon è certo delle più rosee, ma di bravimatematici ne abbiamo eccome, moltidei quali attivi in università e centri diricerca di primo piano nel mondo. Unofra tutti Alessio Figalli, nato nel 1984,laureato alla Scuola Normale Superioredi Pisa, professore ordinario già all’etàdi 27 anni all’università di Austin, inTexas, e vincitore nel 2012 del premiodell’European Mathematical Society(EMS), più o meno l’equivalente dellamedaglia Fields a livello europeo. Arriverà finalmente la seconda meda-glia italiana? Certo, sarebbe una bellainiezione di fiducia per le dubbiose gio-vani generazioni.

Eugenio BiasinLiceo Paola di Rosa, Lonato del Garda

3. C. Villani, Il teorema vivente, Rizzoli, Milano 2013.4. Ibi, p. 70.

Fig. 5. Grigori Perel’man (1966). Fig. 6. Cédric Villani (1970).

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tasto: il primo basato su dichiarazioniformali dei proprietari, il secondo suuna misurazione strumentale dei ter-reni. Il primo sistema aveva il vantaggiodi essere rapido, economico, e di limi-tare il contenzioso. Il secondo era moltopiù costoso e lento, fomentava polemi-che e opposizioni, ma era dal punto divista scientifico enormemente più si-gnificativo. Alcuni paesi, come la Spa-gna, optarono per il primo, altri, comel’Austria, per il secondo, come dimostrail Catasto Teresiano. Questa imponenteiniziativa, che richiese quasi mezzo se-colo di lavoro, tra il 1718 e il 1769, nonsolo censiva tutte le proprietà fondiariedella Lombardia austriaca (molto piùpiccola, per altro, della Lombardia at-tuale), ma per ogni fondo indicava iltipo di cultura, l’estensione in pertichemilanesi e la stima. Scopo del catastoera ripartire i tributi in modo più pre-ciso. Nel caso del Catasto Teresiano ildato saliente era la stima, che dipen-deva dall’estensione del fondo, ma an-che dal tipo di cultura: la superficie eraimportante, ma non determinante. Con la Rivoluzione Francese e con ilnuovo assetto europeo successivo alCongresso di Vienna, l’idea che le im-poste dovessero essere proporzionali al-l’estensione della proprietà trovò unasempre maggiore applicazione. In Fran-

Per molti secoli il problema dellamisura di aree fu più astratto chereale. Nell’epoca dell’impreci-

sione e del pressappoco, per usare il ter-mine di Koiré, era ben raro che si dovesseconoscere con esattezza la superficie diun terreno. Le proprietà erano assai va-ste, e valutarne l’estensione in modo ap-prossimativo era più che sufficiente. Lestesse unità di misura erano variabili eimprecise (braccio, piede, pollice, ecc.).L’unità di misura più usata nell’ambitodei terreni era la giornata, che corri-spondeva alla superficie arabile in ungiorno di lavoro con una coppia di buoi:definizione che fa inorridire dal punto divista scientifico, ma che nella praticadava immediatamente l’idea dell’esten-sione di un terreno, assai più delle nostreare o centiare.

Il problema del catastoLe cose cambiarono con il Settecento, esoprattutto con l’Ottocento. Mentre al-cuni paesi, come l’Inghilterra, preferi-rono privilegiare le imposte indirette enon elaborarono un sistema di tassa-zione legato alla proprietà fondiaria, lamaggioranza degli stati europei decisedi organizzare un sistema, il Catasto1,che censisse questa proprietà e ripar-tisse il peso fiscale in relazione ad essa.C’erano due modi per dar vita a un ca-

Calcolare un triangolo se non si sa calcolareAlessandra D’Amico Finardi - Giorgio Mirandola

UNO DEI PROBLEMI RICORRENTI NELL’ANTICHITÀ ERA LA MISURAZIONE DI SUPERFICI E SOPRATTUTTO QUELLE DEI

TRIANGOLI: GLI AUTORI PRESENTANO UN EXCURSUS STORICO SUI VARI METODI UTILIZZATI PER CALCOLARE L’AREA DI UN

TRIANGOLO CON TAVOLE E TABELLE, METODI GRAFICI E MECCANICI.

cia il primo catasto fu istituito nel 1763(il Cadastre Bertin), ma fu un falli-mento. Il secondo fu decretato dall’As-semblea Costituente nel 1791: dovevacomportare una rilevazione dell’interoterritorio, ma la scarsità delle risorse di-sponibili obbligò ad accontentarsi delledichiarazioni dei proprietari. Fu tuttaviafondato il Bureau du Cadastre, direttoda Prony2 e qualche anno dopo, nel1807, Napoleone decise di riprendere ilprogetto e di procedere alla mappaturadell’intera proprietà fondiaria francese. Parallelamente, la proprietà fondiariaera andata parcellizzandosi e di conse-guenza, con superfici minori, anchepiccoli errori diventavano importanti.Inoltre, i terreni subivano continui pro-cessi di accorpamento e di suddivisione,che era relativamente facile registraregraficamente sulle mappe, ma che po-nevano parecchi problemi quando sitrattava di determinarne l’estensione.In realtà il problema non era tanto la

* Le lettere dei disegni rispettano i caratteri dei testi ori-ginali.1. Sull’argomento si veda soprattutto: R. J. P. Kain - E. Bai-gent, The Cadastral Map in the Service of the State. A Hi-story of Property Mapping, The University of ChicagoPress, Chicago 1992.2. Su Prony, sull’enorme quantità di calcoli che egli do-vette compiere, e sulle sue tavole, si veda A. d’Amico Fi-nardi - G. Mirandola, Per una storia delle tavolematematiche. Note bibliografiche, Università di Bergamo,Bergamo 2001, pp. 88-89.

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misura di una singola area, quanto losterminato numero di misure da effet-tuare per mantenere aggiornati i daticatastali e per stabilire l’importo delleimposte dovute da ogni cittadino. Oc-correva non tanto rendere più precisequeste misure, quanto renderle più ra-pide e sicure, da parte di personale pre-feribilmente non addestrato.

I primi strumenti di misurazioneIl problema di misurare triangoli si pre-sentava con particolare frequenza. Lostrumento topografico più diffuso nelSettecento e nei primi anni dell’Otto-cento era la tavoletta pretoriana, il cui ri-sultato era un disegno in scala del ter-reno. Nella maggior parte dei casi isingoli campi hanno in Europa la formadi un quadrilatero irregolare, la cui areasi ottiene facilmente tracciando una dia-gonale e dividendo il quadrilatero in duetriangoli. L’area di un triangolo si ricavapoi moltiplicando la base per l’altezza edividendo il risultato per due. Nulla dicomplicato, almeno ai nostri occhi. Maper chi doveva calcolare interamente amano, la moltiplicazione costituiva unadifficoltà. Si tenga presente che per ese-guire un’addizione non è necessario sa-per calcolare. Basta avere a disposizioneun compasso e una riga graduata: con ilcompasso si misurano i due segmenti daaddizionare e si riportano queste mi-sure lungo il bordo della riga, partendodallo zero3. Il risultato della somma saràdirettamente leggibile sul bordo dellariga stessa. Questo permetteva di utiliz-zare negli uffici personale meno prepa-rato, quindi meno costoso: bastava chesapesse leggere i numeri, anche se nonsapeva eseguire calcoli. Negli uffici catastali il lavoro si svol-geva in modo assai elementare. Ogniparticella era suddivisa in triangoli, cheerano contrassegnati con delle lettere.

Di questi triangoli si misurava base e al-tezza per mezzo di un semplice deci-metro graduato, o con un compasso.Le autorità amministrative esigevanoche queste divisioni e queste misure fos-sero segnate in modo permanente sulletavole, per permettere controlli succes-sivi, e ostacolarono sempre l’impiegodi strumenti o meccanismi che calco-lassero le superfici senza lasciare traccia.Le misure erano trascritte in appositivoluminosi registri; del personale spe-cializzato eseguiva poi i calcoli e com-pletava i dati sui registri. Occorreva in-fine controllare i dati e correggere glierrori, che in genere erano scoperti soloper caso. Se si pensa che solo in Francia,nella prima metà dell’Ottocento, le par-ticelle catastali erano circa 300 milioni,si ha un’idea dell’enorme lavoro che ilprocedimento comportava.

L’utilizzo di tavole e tabellePer molti secoli i volumi di tavole ma-tematiche svolsero tranquillamente illavoro oggi affidato alle calcolatrici perquanto riguarda quadrati, radici e fun-

zioni trigonometriche. Era impossibileinvece costruire una tavola delle molti-plicazioni di tutti i numeri per tutti inumeri: le dimensioni di una simile ta-vola sarebbero state mostruose. La piùampia pubblicazione di questo tipo è ilponderoso volume di Herwart ab Ho-henburg4, stampato nel 1610, che davai risultati delle moltiplicazioni sino a1000 × 1000. L’equivalente moderno diquest’opera sono le tavole di Crelle5

(due volumi, 1820) (fig. 1).

Fig. 1. Parte di una pagina dalle tavole del Crelle.

3. Ancora nel Novecento Peano scrive: «Ruban de Hou-zeau - Nelle banche si usa una riga fissa, lunga un deci-metro, su cui sono segnati i centimetri, ed un nastrolungo circa un metro, su cui sono pure segnati i centi-metri; e si misurano successivamente sul nastro tanticentimetri quante sono le unità delle cifre di una co-lonna, e si legge la somma sul nastro» (G. Peano, Giochidi aritmetica e problemi, interessanti, Paravia, Torino 1924).4. H. ab Hohenburg, Tabulae arithmeticae prostafaire-seoj universales, quarum subsidio numerus quilibet, exmultiplicatione producendus, per solam additionem etquotiens quilibet, e divisione eliciendus, per solam sub-tractionem, sine […] multiplicationis atque divisionis ope-ratione, etiam ab eo, qui arithmetices non admodum sitgnarus, exacte, celeriter, et nullo negotio invenitur, Mona-chii Bavariarum, ex officina N. Henrici, 1610.5. A.L. Crelle, Rechentafeln welche alles multipliziren unddividiren mit Zahlen unter tausend ganz ersparen, bei grös-seren Zahlen aber die Rechnung erleichtern und sicherermachen, Berlin 1820, 2 volumi, con molte riedizioni.

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L’uso di queste tavole non era comun-que semplicissimo: per contenerel’opera in dimensioni accettabili, ancheeconomicamente, i tipografi dovetteroinfatti renderle il più possibile sinteti-che. Il Crelle comporta 2000 tabelle,due per ogni numero da 1 a 1000, stam-pate su due pagine affiancate. Suppo-niamo di dovere moltiplicare 57 × 7. Sicerca la tabella del 57 e nella prima co-lonna il numero 7 (la pagina di sinistracontiene i numeri da 1 a 49, quella didestra da 51 a 99). Nell’ultima colonnain corrispondenza del 7 si legge 99, a cuiva anteposta la cifra della seconda co-lonna (sotto lo 0), 3: il risultato è 399. Sesi cerca 57 × 107, si anteporranno in-vece le cifre della terza colonna, quellasotto il 100: 60 + 99 � 6099; se si cerca 57× 607 avremo 345 + 99 � 34599, e così diseguito. Se non si aveva a disposizione una rac-colta di tavole si potevano usare le co-siddette formule di prostaferesi. Il me-todo, studiato da Bürgi, da Clavius, daViète, poi ampiamente adottato neipropri calcoli astronomici da TychoBrahe, utilizza in realtà non le formuledi prostaferesi, ma le formule di Werner.Le formule di prostaferesi sono seiequazioni che permettono di trasfor-mare somme e differenze di funzionitrigonometriche di due angoli in pro-dotti di funzioni trigonometriche rife-rite agli stessi angoli. Ad esempio laprima formula è

Le formule di Werner, dal nome di unfamoso matematico e astronomo tede-sco del Rinascimento, sono quattro for-mule ricavabili dalle precedenti, chepermettono di trasformare prodotti insomme. Nella trigonometria esse sonodi scarsa utilità, perché la formulazioneche si ottiene è più complessa della for-mulazione di partenza. La loro caratte-

ristica permette in compenso di utiliz-zarle nei calcoli, proprio per sostituireuna moltiplicazione con operazioni piùsemplici. Si prenda ad esempio la se-conda formula:

e si supponga di dover moltiplicare1229 × 0,08341 (sappiamo che il risul-tato dovrebbe essere 102,51089). I passida compiere sono i seguenti. 1) si scala la virgola in modo tale che ifattori siano entrambi compresi tra – 1e 1. Il primo fattore diventerà 0,1229,scalando la virgola di quattro postiverso sinistra, il secondo 0,8341 sca-lando la virgola di un posto verso de-stra.2) con l’aiuto delle tavole trigonome-triche si trova l’arcocoseno di questidue angoli. Supponiamo innanzi tuttodi avere a disposizione una tavola moltosemplice, che riporta solo i gradi e lefunzioni a quattro cifre. Queste tavole cidiranno che 0,1218 è il coseno di 83° eche 0,8386 è il coseno di 33°.3) si eseguono le addizioni e sottra-zioni: 83 + 33 = 116 e 83 – 33 = 50.4) si cerca il coseno di 116° e di 50°: lenostre tavole a quattro decimali ci da-ranno rispettivamente i valori – 0,4383e 0,6427 4) si esegue la semisomma di questi duevalori e si ottiene 0,10225) si riscala la virgola in modo contra-rio a quanto fatto nel primo passo, cioèquattro posti verso destra e in postoverso sinistra. Il risultato sarà 102,2: ci-fra abbastanza prossima al valore cer-cato, ma certo non esatta. L’errore dipende dalle tavole che ab-biamo usato, piuttosto incomplete: 83°è l’arcocoseno di 0,1218, non di 0,1229,ma avendo tavole a un grado siamo staticostretti a questa approssimazione.Supponiamo ora di avere a disposizionetavole migliori, ad esempio quelle del

Toaldo (1759), che danno le funzioniper ogni minuto, con sette cifre. Trove-remo così che arcocoseno di 82° 56’ è0,1227355 e che l’arcocoseno di 33° 28’è 0,8342069: due valori assai più pros-simi ai nostri due fattori. Ripetendo glistessi calcoli si otterrà alla fine il valore102,62845, non ancora esatto, ma piùaccettabile.In conclusione, i risultati che si pos-sono ottenere con questo metodo di-pendono soprattutto dalla precisionedelle tavole disponibili. Con tavole chedavano le funzione trigonometriche perogni secondo, con 10 o anche più deci-mali, i margini di errori diventavanodavvero minimi6.

La scoperta dei logaritmiAgli inizi del Seicento la scoperta dei lo-garitmi da parte di Nepero e la pubbli-cazione di tavole di logaritmi semprepiù ampie e precise, permisero infine atutti coloro che dovevano eseguire cal-coli lunghi o complicati di trasformarele moltiplicazioni in semplici addizioni. Tutti ricordano la definizione di loga-ritmo: sa ax = y, allora x è il logaritmo inbase a di y. I logaritmi più usati sonoquelli di Briggs, in base 10. Tra le molteproprietà dei logaritmi si rivelò preziosaquella per cui log (a × b) = log a + log b.Dovendo moltiplicare a × b, sarà suffi-ciente cercare sulle tavole il logaritmo dia e il logaritmo di b, sommare i due va-lori, e cercare infine nel seguito dellestesse tavole di quale numero è loga-ritmo la somma ottenuta. Ma l’uso deilogaritmi presenta un inconveniente.Mentre è relativamente facile trovaresulle tavole il logaritmo dei singoli fat-tori, non è altrettanto facile trovare su diesse la somma dei due logaritmi. Proviamo a eseguire la moltiplicazione

6. Per ottenere risultati più precisi con tavole incom-plete si poteva anche ricorrere all’interpolazione lineare.

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precedente, 1229 × 0,08341, con questometodo, e usando questa volta le tavoledel Vega, più ampie. Per prima cosa cer-chiamo nelle tavole il numero 1229, eaccanto ad esso leggiamo, nella colonnadei logaritmi, le cifre 0895519. Questonumero rappresenta solo la parte deci-male del logaritmo: noi sappiamo però,per la definizione stessa del logaritmo,che il logaritmo di 1229 è il numero acui occorre elevare 10 per ottenere ap-punto 1229: poiché 103 = 1000 e 104 =10000, essendo 1229 compreso tra 1000e 10000, la parte intera del suo loga-ritmo sarà evidentemente 3, cifra se-guita dai decimali, cioè dalla mantissa.Quindi: 3,0895519. Adesso cerchiamo illogaritmo di 0,08341. Qui la cosa è unpo’ più complicata. Dobbiamo innanzitutto ricordare che 0,08341 = 8,341 ¸102. Poiché per le proprietà dei loga-ritmi log (a ÷ b) = log a – log b, avremolog (8,341 ÷ 102) = log 8,341 – log 102

= log 8,341 – 2. Si cercherà quindi nelletavole il logaritmo di 8,341, che è0,9212181. Poiché 0,9212181 – 2 = –1,0787819, abbiamo trovato anche il lo-garitmo di 0,0834. A questo punto nonci resta che fare la somma: 3,0895519 –1,0787819 = 2,01077. Adesso dobbiamotrovare il numero di cui questa cifra è illogaritmo. Con le tavole andremo a cer-care il numero 01077 nella colonna deilogaritmi e troviamo che i due numeriad esso più vicini sono 0107662 (loga-ritmo di 10251) e 0108086 (logaritmodi 10252): per l’esattezza 01077 è com-preso tra 0107662 e 0108086.A questo punto occorre usare le tabelledelle Parti Proporzionali (P.P.) stampatein margine alle tavole. Si calcola 0108086– 0107662 = 424, poi 0107700 – 0107662= 38 e si vede che nella tabella delle P.P.38 corrisponde a un po’ meno di 1 (=42). Si aggiungerà allora a 10251 una ci-fra che rispecchi questa proporzione, adesempio 0,8. Il risultato finale sarà allora

1025108, e sistemando la virgola102,5108, vicinissimo a quello cercato.Come ben si vede il meccanismo eratutt’altro che semplice, e portava nellamaggior parte dei casi a risultati ap-prossimativi, la cui precisione dipen-deva, ancora una volta, dalla qualitàdelle tabelle e dal numero di cifre concui i logaritmi erano in essi calcolati.

Il sistema dei quarti di quadratoUn sistema che non presentava questiinconvenienti era quello dei quarti diquadrato. Esso si fonda sulla formula

e permette, come si vede, di trasfor-mare la moltiplicazione a× b in sommee sottrazioni. Nel caso particolare deitriangoli, se a è la base e b l’altezza,l’area S sarà:

Il fatto che nella formula fossero pre-senti due quadrati non disturbava: eranoinfatti ampiamente disponibili tavole chedavano il quadrato di ogni numero, enon era necessario svolgere calcoli. Forse questo metodo era già conosciutonell’antica Mesopotamia: ci sono per-venuti parecchi documenti con tavoledi quadrati di numeri, ed è possibileche fossero usate per calcoli di questotipo. Ludolf, nel 1690, nella prefazioneal proprio volume di tavole, spiega chia-ramente che le tavole dei quadrati pos-sono essere utilizzate per eseguire mol-tiplicazioni:

Differentia inter quadrata dimidiæ mol-tiplicandi & multiplicantis summæ &differntiæ inter multiplicantem mino-rem numerum et dimidiam summamdictam, est productum multiplicationis7.

Quelle di Ludolf sono però tavole di usouniversale, non costruite specificamente

per facilitare le moltiplicazioni. La for-mula che egli indica può essere espressain termini moderni con l’equazione

che con pochi passaggi può essere tra-sformata nell’equazione dei quarti diquadrati:

Ludolf dice che a deve essere minore dib. In realtà questo non è necessario per-ché il contenuto della seconda parentesiviene elevato al quadrato e diventa co-munque positivo.

I volumi di tavoleSembra che il primo volume di tavolecalcolate espressamente per facilitare lamoltiplicazioni sia quello di Voisin. Nel1817 Voisin8 pubblica una tavola deinumeri sino a 20.000, con il prodotto diciascuno di questi numeri per il quartodi se stesso. Egli definisce racines i nu-meri, e logarithmes i prodotti. Ciò postoegli afferma:

On peut dire en général que la différencequi règne entre deux de nos logarithmesest égale au produit de deux racines dontla somme et la différence correspondentaux racines des logarithmes poposés, etréciproquement que le produit de deuxracines est égal à la différence des loga-rithmes de leur somme et de leur diffé-rence9.

In pratica per fare una moltiplicazionecon queste tabelle, si addizionano e sot-

7. J.H. Ludolf, Tetragonometria tabularia…, Lipsiæ, apudL. S. Cörnerum, 1690, p. 49.8. A.Voisin, Tables de Multiplication ou Logarithmes desnombres entiers depuis 1 jusqu’à 20.000, Chez l’auteur,Paris 1817. Quelle di Voisin sono comunque la prime ta-vole espressamente calcolate per facilitare le moltipli-cazioni.9. Ibi, p. 4.

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traggono i due numeri, si cercano i lo-garitmi di questi risultati e la differenzatra questi numeri sarà il prodotto cer-cato. Si supponga ad esempio di dovermoltiplicare 11 × 3. La somma di que-sti numeri è 14, la differenza è 8. Il lo-garitmo di 14 è 49, quello di 8 è 16. Ora49 – 16 = 33, che è esattamente il pro-dotto ricercato (fig. 2).Se la somma dei due numeri era supe-riore a 20.000, e non era quindi com-presa nelle tabelle, si poteva procederein un alto modo: si sottraevano i duenumeri, si cercavano i logaritmi dei duenumeri e della differenza, si addiziona-vano quelli dei numeri, si sottraeva alrisultato il logaritmo della differenza, esi moltiplicava per due questo numero.Riprendendo l’esempio precedente, illogaritmo di 11 è 30, quello di 3 è 2,quello di 11 – 3 = 8 è 16. Ora 30 + 2 –16 = 16, che moltiplicato per 2 dà 32.Un risultato diverso dal precedente!Perché questo accade? Abbiamo dettoche la seconda colonna della tabellapubblica il prodotto del numero nellaprima colonna per un quarto di sestesso. Ora, se osserviamo la tabella èvero che 2 × 2 = 1 e che 4 .

Ma , non 2. E così per tutti

i numeri dispari, che nella tabella sonoarrotondati a 0,25 in meno. Per questaregione, quando si applica il secondometodo a due numeri dispari, occorreaumentare il risultato di una unità.Tutto questo è piuttosto complicato e didubbia utilità. Tavole analoghe furonocomunque pubblicate anche negli annisuccessivi, secondo molte variazioni delmetodo. I volumi più completi dedi-cati specificamente a questo scopo sonoquelli di Laundy10 del 1856, e di Blater11

del 1888, che già nel titolo spieganochiaramente i propri scopi (fig. 3). Anche l’uso di queste tavole è alquantocomplicato. Si prendano ad esempioquelle di Laundy, e supponiamo di cer-care il quarto di quadrato del numero256. Si cercano nella colonna (N.) leprime due cifre, e poi nella colonna del6 la cifra che troviamo all’incrocio conla riga del 25, cioè 6384. A questo puntodobbiamo anteporre a queste quattrocifre la cifra che nella colonna 0 precedegli altri valori, cioè 1. Il risultato sarà16384 che è appunto un quarto del qua-drato (65536) di 256. Se invece cer-chiamo il quarto del quadrato di 286 ci

imbattiamo nella colonna del 6 nel nu-mero 0449 preceduto da un puntino.Questo significa che bisogna premetterealle quattro cifre il valore contenutonella riga successiva della colonna 0,cioè due. Il risultato sarà infatti 20449.

I procedimenti graficiCome si vede, anche l’impiego delle ta-vole non era semplicissimo. Era, inoltre,facile, consultandole, sbagliarsi nelloscorrere una riga, oppure nel trascri-vere le cifre. Il problema poteva esseresuperato facendo ricorso a procedi-menti grafici. Un procedimento cheebbe una notevole diffusione, soprat-tutto in Francia, fu ideato J.A. Laur, cheprogettò anche uno strumento per ap-plicarlo, l’olarithme. Questo strumentoconsiste in una lastra di cristallo o dicorno trasparente, lunga 20 e larga 50centimetri circa. Su questa lastra è trac-ciato un certo numero di iperboli, conle ascisse e le ordinate corrispondenti.Laur12 parte dalla definizione per cuiin una iperbole equilatera il prodotto diascissa e ordinata è costante, ed è le-gato a quella specifica iperbole: xy = k.Egli utilizza inoltre la formula,

dove x e y sono ascissa e ordinata, a è ilmedio proporzionale tra x e y, m è il se-miasse. Una singola iperbole è definitaproprio da m, cioè dalla distanza tra ilcentro degli assi cartesiani e l’iperbolestessa, calcolata lungo la bisettrice. Mam è anche la diagonale del quadrato a2

e per il teorema di Pitagora m2 = a2 + a2.

Fig. 2. Dal volume di Voisin.

10. S.L. Laundy, Table of Quarter-squares of all integernumbers up to 100,000, by which the product of two fac-tors may be found by the aid of addition and subtractionalone, Layton, London 1856. 11. J. Blater, Table of Quarter-Squares of all whole num-bers from 1 to 200,000, for simplifying multiplication…,Trübner, London 1888.12. J.A. Laur, Notice sur les planimètres ou observationsthéoriques et pratiques sur l’origine, l’utilité et l’emploi desplanimètres en général…, Typographie Andrieux-Letel-lier, Noyon 1859.

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iperboli un rettangolo, in modo tale cheun lato coincida con l’ascissa, e l’altrocon l’ordinata, il vertice opposto di que-sto rettangolo cadrà su un’iperbole, op-pure tra due iperboli. Nel primo caso ilprodotto xy sarà uguale ad a2, oppuread a’2 e sarà determinabile con esat-tezza; nel secondo caso sarà un valoreintermedio tra i due valori di a2 e di a’2

caratteristici delle due iperboli, e andràvalutato ad occhio. Per calcolare untriangolo occorre trasformarlo in untriangolo rettangolo, e collocarlo sulloschema come nella figura il triangoloABO, in modo tale che la base (un ca-teto) sia l’ascissa e l’altezza (l’altro ca-teto) sia l’ordinata. In questo caso a’2

sarà il doppio dell’area del triangolo.L’olarithme di Laur fu presentato allagrande Exhibition di Londra, e ottennel’Honourable Mention da parte dellagiuria. Tra i procedimenti grafici andrà poi ci-tato quello di Nernst, pubblicato nel1831. Il suo sistema è molto semplice:

per trovare subito il valore di e

di egli costruisce una tavola

con delle parabole del tipo .

Gli basta allora con un compasso pren-dere la somma e la differenza di base ealtezza del triangolo, e riportare questemisure sull’ascissa per ottenere sull’or-dinata, senza calcoli, i valori cercati13.

Tavole di iperboli e parabole incise sulastre di vetro furono prodotte e usateper molto tempo. Alcune di esse eranostrumenti di grande precisione, dise-gnate appositamente per una specificascala, come l’Hyperbeltafel di Kloth(1948). Ma tutte avevano un difetto: ladistanza tra due successive parabole o

Perciò = a2. In ogni iperbole, se x

aumenta, y diminuisce, e viceversa. Così nel disegno di Laur l’iperbole piùvicina agli assi ha il valore xy = 36 (a =6). Se x = 2, y = 18; se x = 3, y = 12, ecosì via. Nella seconda iperbole, quellapiù lontana dagli assi, xy = 64, e se x =

2, y = 32, ecc. Si tratta dunque di co-

struire tra due asintoti una serie di iper-

boli equilatere con diversi valori di a2,

a’2… secondo un incremento costante,

tali che esse permettano la valutazione

delle due coordinate x, y (fig. 4).

Infatti, se collochiamo su questa serie di

Fig. 3. Dal volume di Laundy.

Fig. 4. Da Laur, Notice sur les planimètres, ou Observations théoriques et pratiquessur l'origine, l'utilité et l'emploi des planimètres, en général, dans toutes les

opérations géodésiques, notamment dans l'exécution des opérations cadastrales,suivies d'une réponse à quelques critiques concernant le planimètre-olarithme-Laur.

A sinistra, e disegno nostro, a destra.

13. Nernst, Über die Einrichtung, den Gebrauch und dieVorzüge eines neuen Planimeters, «Verhandlungen desVereins zur Beförderung des Gewerbfleisses in Preu-ßen», X (1831), pp. 88-89.

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iperboli era minima, e leggere i valoricercati richiedeva una vista assai acuta,e grande pazienza (fig. 5).Più efficace, anche se più complesso, èil procedimento proposto da Zimmer-mann14 nel 1906 (fig. 6). Zimmermann costruisce una lastra divetro con una serie di incisioni in scalaquadratica, con una riga orizzontale alcentro. La lastra è tagliata a 45° nellaparte inferiore destra, in modo da poterscivolare diagonalmente lungo un riga.Sovrapponendo la lastra al triangolo damisurare, ed effettuando tutta una seriedi complicati spostamenti,15 si possonoleggere sulla scala prima il valore di

, poi quello di .

I metodi meccaniciTra gli strumenti che permettevano ditrovare meccanicamente l’area di untriangolo va citata innanzi tutto la squa-dra di proporzione del Lorgna16.Essa è formata da due parti principali,una fissa, l’altra mobile. La parte fissa èuna lastra piana a forma di T rovesciato.Sull’asse verticale di questa piastra èpresente una scanalatura rettilinea aa.La parte mobile è formata da due righe

Fig. 5. Hyperbeltafel diKloth,1948.

Fig. 6. Tavola di Zimmermann.

Fig. 7. DaEnciclopediadelle Arti edelleIndustrie.

14. L. Zimmermann, Konstruktion eines Flächenmessersvon Semmler, «Zeitschrift für Vermessungswesen»,(1906), XXXV, pp. 286-290. 15. L’utilizzo del planimetro di Zimmermann è accura-tamente descritto, con l’aiuto di chiari disegni, in B. Hae-berlin – S. Drechsler, Die Viertelquadratemethode und dasPediometer des Joseph Friedrich Schiereck, in 15. Interna-tionales Treffen der Rechenschiebersammler und 4. Sym-posium zur Entwicklung der Rechentechnik, a cura di W.H. Schmidt - W. Girbardt, parte I, Greifswald, Ernst-Mo-ritz-Arndt-Universität, Institut für Mathematik und In-formatik; si veda anche S. Drechsler - B. Haeberlin,Prinzipien und Konstrukteure nicht integrierender Plani-meter, ein historischer Überblickin 15. Internationales Tref-fen der Rechenschiebersammler und 4. Symposium zurEntwicklung der Rechentechnik, a cura di W. H. Schmidt -W. Girbardt, parte I, Greifswald, Ernst-Moritz-Arndt-Uni-versität, Institut für Mathematik und Informatik (en-trambi gli articoli reperibili anche in internet).16. A.-M. Lorgna, Fabbrica ed usi principali della squadradi proporzione, Stamperia Moroni, Verona 1768. Cfr. G.Pastore, Macchine da calcolare, in Enciclopedia delle Artie Industrie, a cura di R. Pareto e G. Sacheri, UTET, Torino1885, pp. 537-538.

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metalliche VR, VS, fissate tra loro adangolo retto, a formare una squadra. Ilvertice V di questa squadra scorre lungola scanalatura aa, e può essere bloccatoin qualunque suo punto, rimanendotuttavia libera la squadra di ruotare in-torno ad un asse che coincide con V.Sulla parte orizzontale della lastra mag-giore sono incise parecchie scale, pa-rallele tra loro, normali all’asse dellascanalatura. Tutte queste scale hannoorigine dal prolungamento di questoasse e si estendono simmetricamentedai due lati. Queste scale sono sette: li-nee fondamentali, o delle parti eguali; li-nee delle tangenti; linee delle corde; lineedelle misure; linee dei seni; linee dei so-lidi; linee dei pesi. Anche la scanalaturae i due rami della squadra sono divise inparti eguali, come la scala delle lineefondamentali (fig. 7).Il principio su cui questo apparecchio sifonda è il seguente:

Se due Triangoli rettangoli, che a un me-desimo punto hanno costituiti gli angoliretti, abbiano ancora comune la perpen-dicolare, che dagli angoli retti cade soprale loro basi; li segamenti fatti da essanella base di un Triangolo sono recipro-camente proporzionali ai segamenti fattinella base dell’altro17.

Se consideriamo nella figura i duetriangoli rettangoli MVN, PVQ aventiin comune il vertice V e l’altezza sul-l’ipotenusa VT, per il secondo teoremadi Euclide (in un triangolo rettangolo, ilquadrato costruito sull’altezza relativaall’ipotenusa è equivalente al rettangoloche ha per lati le proiezioni dei due ca-teti sull’ipotenusa, ovvero in un trian-golo rettangolo, l’altezza relativa al-l’ipotenusa è medio proporzionale tra leproiezioni dei due cateti sull’ipotenusa)nel triangolo MVN l’altezza VT saràmedio proporzionale tra MT e TN, e ilrettangolo MT, TN sarà uguale al qua-drato costruito su VT. Per la stessa ra-

gione nel triangolo PVQ, il rettangoloTQ, PT sarà uguale al quadrato co-struito su VT. I due rettangoli MT, TNe TQ, PT sono dunque uguali. Ma sedue rettangoli sono uguali, i loro latisono reciprocamente proporzionali.Avremo allora: TQ : TN = MT : PT.La squadra del Lorgna è in grado di ri-solvere una gran quantità di problemi,aritmetici, algebrici, topografici, chevanno dalla divisione dei meridianinelle carte nautiche al calcolo del pesodi una palla da cannone. Qui ci inte-ressa solo un problema, enunciato dalLorgna18 come «Costruire l’equazione x= ab». È chiaro che se consideriamo a,b base e altezza di un triangolo, la squa-dra permette di ricavarne l’area. Si pro-cede in questo modo. Si prendono sullelinee fondamentali, dall’una e dall’altraparte, due misure a, b e si portano sutali misure i due bracci della squadra,fissandone poi il vertice. Si porta poi unbraccio della squadra sull’unità: l’altrobraccio darà l’incognita x. Infatti se sup-poniamo TQ = 1; TN = a; MT = b,avremo per la formula di cui sopra: TQ : TN = MT : PT. Ma se x = ab allora:1 : a = b : x1 : a = b : PTLa misura PT sarà dunque il prodottoab, quindi il doppio dell’area del trian-golo. Questo strumento fu riproposto qual-che anno dopo da Karl von Drais, il ce-lebre inventore della draisina, antenatadella bicicletta, in un articolo del Me-chanics’ Magazine19, un periodico po-polare pubblicato a Londra.L’articolo non è molto chiaro. Se ne de-duce tuttavia che lo strumento funzionasoprattutto sul principio espresso nellaprima parte del secondo teorema di Eu-clide: base e altezza del triangolo sonoriportate sulla riga RS, la squadra è col-locata in modo che i suoi lati coinci-dano con questi punti e il quadrato del-

l’altezza sull’ipotenusa è uguale al pro-dotto tra questi due numeri (fig. 8). Utilizzando le tavole dei quadrati e di-videndo per 2 il numero ricavato si hal’altezza del triangolo. È lo stesso pro-cedimento, meccanizzato, che avevaproposto qualche anno prima JuliusColberg20: si riportavano lungo unaretta, uno dopo l’altra, base b e altezzah del triangolo e si costruiva un semi-cerchio che avesse per diametro questaretta. Si tracciava poi una perpendico-lare alla retta nel punto di unione trabase e altezza: la distanza k tra questopunto e l’intersezione della retta con ilsemicerchio era l’altezza all’ipotenusadel triangolo rettangolo inscritto nelse-micerchio, e valeva la formula k2 = bh.Delle tabelle o una speciale riga raffi-gurate nelle tavole in fondo al libro

davano poi per k i valori di (che era

l’area del triangolo), direttamente in

17. Ibi, p. 1618. Ibi, p. 24.19. Ed. M. M., Baron de Drais’s Triangle Meter, «The Me-chanics’ Magazine, Museum, Register, Journal and Ga-zette», 463 (1832), pp. 187-188.20. J. Colberg, Anweisung den Inhalt ebener Flächen ohneRechnung genau zu finden und die Theilung der Figurenzu erleichtern vermittelst eines neu erfundenen Instru-ments des Planimeters…, Ludwig Ömigke, Berlin 1825.

Fig. 8. Da Mechanics’ Magazine.

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Ruten o in altre unità di misura.Negli stessi anni un interessante plani-metro per triangoli fu proposto da Wa-gner. Wagner era Obergeometer a Trier,ed egli pure si pone il problema di de-terminare la superficie di un triangolosenza moltiplicazioni e divisioni (fig. 9).Il planimetro di Wagner è un calcola-tore proporzionale, che funziona sulprincipio dei triangoli simili. Il suo in-ventore lo descrive in un opuscolo di 12pagine, pubblicato nel 1821, da cui ètratta l’immagine sopra riprodotta21.

Leggermente diversa è l’illustrazionepubblicata da Hunäus. Tra la descri-zione dello strumento data da Wagnere quella presente nel libro di Hunäusesiste poi una differenza, di cui parle-remo più avanti. Nelle righe che se-guono ci riferiremo all’immagine diHunäus, più semplice e chiara.Il planimetro è costituito da due righedi legno o di ottone, unite fra loro adangolo retto, in modo da formare unasquadra. Due regoli aventi la forma diun triangolo rettangolo, FGC e DEB

possono scorrere lungo le due righe(fig. 10). Supponiamo si debba misurare l’areadel triangolo AMD. Si colloca il plani-metro e si spostano i due regoli comesi vede nell’immagine, in modo taleche il triangolo sia esattamente circo-scritto nel rettangolo formato dallasquadra e dai due cateti dei regoli. Èchiaro che l’area di questo rettangolo èil doppio dell’area del triangolo. In A èimperniata un’asticella libera di ruo-tare. La si collochi in una posizionequalunque: essa intersecherà il catetoFG in H e il cateto DE in J. I due trian-goli AFH e ADJ sono simili, perché iloro angoli sono uguali. Avremoquindi

Ma è il doppio dell’area deltriangolo. Quindi se facciamo in modoche FH sia il doppio dell’unità di misuranella particolare scala del disegno, JD cidarà direttamente l’area del triangolo. Lo strumento poteva essere costruitoin due modi, con l’asticella imperniatain A, come nel disegno di Hunäus, oimperniata in un punto del cateto FG, escorrevole lungo A. Nel primo caso ilpunto H poteva essere scelto a piacerelungo il cateto FG, e la distanza FH eradi conseguenza variabile. Questo per-metteva di usare lo strumento con di-segni in scale diverse. Nel secondo casoil punto era scelto in modo tale che ladistanza (fissa) FH corrispondesse adue Ruthen in una certa scala. Poiché ilcateto DH era suddiviso secondo lastessa scala, il punto J indicava su diesso direttamente la misura in Ruthendel triangolo. Naturalmente in questo

Fig. 9. Da Wagner, Über denGebrauch und die Einrichtungdes vor kurzem erfundenenPlanimetres, 1821.

Fig. 10. Da Hunäus, Diegeometrischen Instrumenteder Gesammten PraktischenGeometrie: Deren Theorie,Beschreibung und Gebrauch,1864.

21. G. Wagner, Ueber den Gebrauch und die Einrichtungdes vor kurzem erfundenen Planimeters, In der Jäger-schen Buch- Papier- und Landkartenhandlung, Fran-kfurt am Main 1821.

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modo lo strumento era utilizzabile condisegni in una sola scala, ma era, percosì dire a prova di stupido: anche unapersona di limitate capacità potevausarlo senza sbagliare. Molto simile al planimetro di Wagner èquello di Fennel, brevettato nel 1889. Lostrumento è formato da un telaio aforma di rettangolo, entro il quale pos-sono scorrere due righe, una SE paral-lela al lato orizzontale, l’altra ac paral-lela al lato verticale (fig. 11).Dei fili elastici congiungono tra loro ipunti cb, ad, in modo tale che anchequando la riga ac si muove essi indi-chino sempre le diagonali del rettan-golo abdc. Si muovano le due righe inmodo tale che esse comprendano esat-tamente il triangolo abn. Si considerinoora i due triangoli bcd, bEf. Essi sono si-mili, perché tutti i loro angoli sonouguali. I loro lati saranno reciproca-mente proporzionali: cd : db = Ef : Eb.Ma cd è uguale alla base B del triangolo,e Eb è uguale alla sua altezza H. Perciòpossiamo scrivere B : db = Ef : H.Avremo quindi

Però db è una costante, che dipendedalla costruzione dello strumento.Quindi calcolando opportunamente la

scala incisa sulla riga SE, il valore Ef ci darà direttamente l’area del triangolo, an-che in diverse scale.Un altro strumento assai interessante è il Pediometer di Schierek22. Esso è compostoda una squadra a L e da una riga graduata in quarti di quadrato, a cui questa squa-dra si appoggia lungo il lato verticale. Sulla squadra sono collocate quattro rotellelibere di girare, lungo le quali si avvolge un filo.

Fig. 12.Al filo sono fissati un regolo Q, e due indici P, S. In A abbiamo un indice fissato alla squadra.Quando il regolo Q tocca A, gli indici P e S coincidono e corrispondono al punto 0 dellascala sulla riga verticale. Quando si sposta il regolo Q verso destra, anche P, S si spostano, ri-spettivamente verso il basso e verso l’alto. Ogni indice si sposta di una misura corrispon-dente allo spostamento del regolo Q (nel disegno tre tacche).

Fig. 11. Dal brevetto di Fennel, a sinistra; disegno nostro a destra.

22. Beschreibung des Pediometers, eines Instruments, um den Flächeninhalt in Karten ohne Rechnung zu erhalten, von J. F.Schiereck in Gießen, «Polytechnisces Journal», 82 (1841), LXII, pp. 251-265. I quattro disegni sono tratti dal Rechnerlexicon,reperibile in internet, con alcune modifiche nostre.

db

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ConclusioniPer concludere, possiamo dire che lasemplificazione dei calcoli, soprattuttodella moltiplicazione, fu un problemafortemente sentito per almeno un paiodi secoli. Ai giovani di oggi, cresciuticon il computer e abituati al costo irri-sorio delle calcolatrici, la cosa appariràsenza dubbio strana. Ma chi è natoqualche anno fa ricorda che ancora in-torno al 1970 le calcolatrici, meccanicheo elettro-meccaniche, erano oggetti in-gombranti, complicati e costosissimi.Le usavano banche e uffici, ma i privatidifficilmente potevano permettersele.In loro vece era onnipresente il regolocalcolatore, che spuntava dal taschino diogni ingegnere, quasi un distintivo: og-getto straordinario, ma esso pure ap-partenente al regno dell’approssima-zione. Ci si chiede come sia statopossibile con mezzi così poveri co-struire ferrovie, piroscafi, aeroplani. Sipuò solo supporre che i nostri padri,tutto sommato, sapessero usare inmodo davvero eccellente, forse megliodi noi, l’unico computer che avevano adisposizione: il loro cervello.

Alessandra D’Amico Finardi Giorgio Mirandola

Università degli Studi Bergamo

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Fig. 13.Supponiamo di dover misurare iltriangolo del disegno, di base 5 e dialtezza 4. Si colloca la base di questotriangolo tra A e Q. Gli indici P e S sisposteranno rispettivamente di 5 tac-che sopra lo 0 e di 5 tacche sotto lo 0.La distanza AQ sarà 5 e la distanza PSsarà 10.

Fig. 14.Si colloca la riga graduata in quarti diquadrato lungo il lato verticale dellostrumento, facendo coincidere i punti0 delle due scale. Gli indici P e S corri-spondono entrambi alla misura 6,25 diquesta scala, che è un quarto

del quadrato di 5, ovvero .

Fig. 15.Si sposta allora lo strumento versol’alto lungo la scala, sino a che il latosuperiore della riga orizzontalecoincide con il vertice del triangolo. Lostrumento è stato allora spostato versol’alto di una misura corrispondenteall’altezza h del triangolo. L’indice S

segna cioè 16, e l’indice P se-

cioè 1. La differenza tra S e P,

15 dà secondo la formula dei quarti diquadrato il valore di b × h. Se si divideper 2 questo valore, abbiamo l’area deltriangolo. Se si costruisce la scala inmodo tale che essa non dia i quarti, magli ottavi dei quadrati, il valoreottenuto corrisponderà direttamentea quest’area.

Catasto Teresiano (1723), Pianta di Parabiago,Archivio di Stato di Milano.