Per un'alleanza riformista fra il merito e il bisogno - di Claudio Martelli

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    al 31 marzo al 4 aprile 1982 si tenne a Rimini la prima

    conferenza programmatica del PSI. Per discutere dicome governare il cambiamento si alternarono, fra gli

    altri, Massimo Severo Giannini e Salvo And, Stefano Silve-

    stri e Riccardo Lombardi, Federico Mancini e Claudio

    Signorile, Enzo Cheli e Gianni De Michelis, Alberto Sprea-

    fico e Rino Formica, Franco Reviglio e Valdo Spini, Ettore

    Gallo ed Enrico Manca, Gianni Baget Bozzo e Silvano

    Labriola, Luciano Gallino e Fabrizio Cicchitto, Francesco

    Alberoni e Claudio Martelli, Gino Giugni e Carlo Ripa di

    Meana, Giorgio Ruffolo ed Enzo Mattina, Francesco Forte

    e Federico Coen, Giovanni Bechelloni e Giorgio Benvenuto,

    Alberto Martinelli e Nicola Capria, Gianni Statera e Mar-

    gherita Boniver.

    Curiosamente fuLa Repubblica, gi allora poco tenera con

    il PSI, a cogliere meglio la novit. Giuseppe Turani vide nel-

    le proposte socialiste una strategia finalizzata a consentire

    al sistema economico di correre pi in fretta e meglio ver-

    so la terza rivoluzione industriale e verso la Grande Com-

    petizione, nella quale entriamo con un carico di disoccupati

    e di problemi intollerabile, ed apprezz una politica del

    credito via via pi permissiva per tenere alti gli investimen-

    ti, in modo da creare nuove occasioni di lavoro e da mante-

    nere competitivo il sistema produttivo, la richiesta ai lavo-

    ratori di essere pi mobili, pi flessibili, proprio per nonostacolare gli aggiustamenti oggi indispensabili in tutto il

    complesso produttivo, nonch il ridisegno del welfare sta-

    te, che deve diventare welfare society, per non ingigantire la

    spesa pubblica. E Miriam Mafai spieg che la nuova piat-

    taforma del PSI nasceva dal riconoscimento di una com-

    plessit sociale sulla quale non pensabile intervenire con

    un rigido disegno programmatorio, per cui il programma

    si articolava in una serie di proposte, a nessuna delle quali

    viene affidato il valore risolutivo che venne affidato, ad

    esempio, nel primo centro sinistra alla nazionalizzazione

    dellenergia elettrica, ma miranti complessivamente a rilan-

    ciare una politica degli investimenti e a salvaguardare lo

    Stato del benessere ripulito dalle incrostazioni parassitarie,

    dal malgoverno e dalla burocratizzazione. Per questo era

    logico che la forte carica programmatoria che nel primo

    centro sinistra era indirizzata sul sistema economico si tra-

    sferisse ora sul problema delle istituzioni e del funziona-

    mento dello Stato, con proposte miranti a dare maggiore

    stabilit allesecutivo e a garantire il funzionamento di uno

    Stato di cui stata denunciata la disgregazione ed il cor-

    rompimento. Ma soprattutto sottolineava una visione del-

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    la societ che fa tabula rasa non solo delle tradizionali ana-

    lisi della sinistra, ma anche di ogni forma di antagonismo

    sociale, per cui alla contrapposizione destra-sinistra si

    sostituita la contrapposizione vecchio-nuovo, arretrato-

    moderno, fino a derivarne un atteggiamento complessivo

    di ottimismo e di fiducia, che punta su tutti gli elementi

    dinamici della societ.

    LUnit, invece, denunci il proposito di rivedere la Costi-

    tuzione per puntellare i governi e ironizz su Martelli che

    insegna al PSI che le classi non esistono, ispirato da un

    Alberoni fresco di unintervista adAmica corredata dalle

    foto dei modelli del noto stilista Versace.

    Il testo dellintervento pronunciato allora da Claudio Mar-telli commentato ora da Enrico Morando, presidente, fra

    laltro, di unassociazione che gi nel suo nome (Libert

    eguale) ne riecheggia il senso.

    Lesigenza che oggi avvertiamo di individuare i soggetti sociali i sostenitori e gli elettori del riformismo moderno, questotema che oggi discutiamo, segue e non precede liniziativa poli-tica. Una iniziativa politica riformista c gi stata in questi anni

    prima che potessimo porci il problema della parte di societ chepotremmo rappresentare.In un certo senso il riformismo di oggi il fare e il filosofaresociale, istituzionale, culturale e civile della riconquistata auto-nomia socialista, della ritrovata identit autonoma del sociali-

    smo italiano. Nel 1976, nella sua prima intervista da segretariodel partito, ad un Giampaolo Pansa che gli chiedeva intenti,spiegazioni e dettagli della traiettoria possibile di un partitoappena sconfitto nelle elezioni politiche e marginale nel deter-minare in quel momento gli equlibri politici, Craxi rispose:Primum vivere. Oggi il partito vivo, forse pi vivo di ognialtro partito italiano; dunque giusto che senza sottrarsi agliobblighi e alle opportunit della politica, senza sfuggire allanennianapolitique dabord, si ponga il problema di identificare

    meglio i suoi referenti sociali e le sue opzioni culturali. Qualco-sa del genere, vero, facemmo gi con ilProgetto socialista allavigilia di Torino. Ma allora discutevamo di rifondazione, oggi

    possiamo discutere di sviluppo del socialismo italiano e dellasua iniziativa. Insomma, venuto anche per noi il momento,dopo ilprimum vivere, del deinde philosophari.Cercher di procedere per approssimazioni successive rispon-dendo alla domanda: Chi sono i possibili soggetti sociali delriformismo moderno?. La prima risposta che mi viene in men-te di guardare nella nostra storia, di chiedersi chi sono stati iriformisti di ieri. Il PSI nacque e crebbe come partito di lavora-tori manuali, di proletari di ogni tipo, e di ceto medio intellet-tuale e progressista del Nord e del Sud Italia. Insieme questisocialisti intendevano definire, rispetto alle contese interne alla

    borghesia, un nuovo terreno di azione politica, altre speranze,altre volont, altri cambiamenti.Il PSI nacque come partito di popolo e come partito colto edespresse la fusione dei suoi elementi costitutivi ponendo i suoifini di emancipazione economica e sociale sul terreno democra-tico e i fini di una vera giustizia sul terreno libertario. Nacqueassociando, federando, affratellando uomini e donne, singoli egruppi, non intorno a dogmi n a rigide organizzazioni, maintorno alla povera gente, a ideali e programmi illuminati dalla

    ragione critica e dalla fede in un avvenire migliore. Nacque per-ch Turati ed altri con lui lo fecero nascere. Se avessero attesoil filosofo Labriola non sarebbe nato mai.

    Nacque e si form a cavallo di due secoli nel vivo delle tempe-rie sociali e politiche, non per realizzare il piano prestabilito diun nuovo mondo, ma per riparare torti e perch venissero supe-rate le condizioni che potevano perpetuare i torti che erano sot-to gli occhi di chiunque volesse vedere.

    Nacque come sezione italiana dellInternazionale socialista nelconcerto dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti euro-

    pei, concerto assai poco intonato perch attraversato anchessoda esperienze diverse, da insegnamenti diversi.Pi solida e coerente era e rimase a lungo la scuola marxista nel-la quale pure sono riconoscibili concetti filoni financo rivali. Ma

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    il marxismo non stato n lunica dottrina n lesperienza domi-nante del socialismo europeo occidentale. Quando, sul terrenomarxista e secondo proprie esigenze, il leninismo, separatosidalla Seconda Internazionale, lott per definire un modello di

    partito, di Stato e di societ autonomi dal capitalismo comedice Berlinguer e dalle democrazie occidentali, approd allaedificazione della forma pi moderna di dispotismo.Il riformismo storico dunque nasce dallincontro tra le attese ele speranze del mondo del lavoro e le idee, i progetti di uomini

    e di donne che provenivano dalle fila stesse della borghesia. E ilriformismo moderno? Qual la continuit e qual la novit?

    La classe operaia

    Il lavoro di ricerca e di analisi avviato daMondoperaio sul temadella fine della centralit operaia, le elaborazioni successive del

    partito e di singoli studiosi, le stesse tre relazioni di stamane diAlberoni, di Gallino, di Martinelli segnalano alcuni fatti, per laverit non nuovi ma non ancora posti nella giusta luce da un

    punto di vista politico e culturale generale. Quali sono questifatti?1) Il 50% della forza lavoro italiana impegnata nei servizi, nel

    cosiddetto terziario. E siamo ancora sotto la media europea,che del 55-60%. Dunque la quota di lavoratori del terzia-rio destinata a crescere ancora e soprattutto questo mondo,in una Italia ancora poco omogenea, destinato a divenire

    pi organizzato e pi omogeneo.2) Allinterno stesso della classe operaia, o meglio del mondo

    del lavoro, e soprattutto nelle grandi fabbriche e nei com-plessi industriali pi avanzati, in netta crescita, dal puntodi vista dei ruoli di coordinamento, degli spazi di autonomiae di responsabilit, la categoria degli operai specializzati, dei

    quadri e dei tecnici. Con tutta probabilit il processo di auto-mazione e di robotizzazione che ha cominciato ad investirele grandi fabbriche moltiplicher numeri e ruoli dei quadri.

    3) Il sindacato italiano attraversa simultaneamente una seriepreoccupante di crisi. Larea della sua rappresentanza socia-le si contratta anzich estendersi, vuoi a causa del manca-to processo di democratizzazione interna; vuoi a causa delcrescere di oggettive differenze professionali; vuoi a causadel persistere di spinte movimentistiche e settarie; vuoi infi-ne a causa dellappesantimento burocratico e delle costantiinterferenze partitiche.

    4) Gli ideali socialisti, la somma di esperienze maturate in unastoria secolare e spesso in Europa e anche in Italia- in ruo-li di maggioranza e di governo nazionale e locale, la sempre

    pi intensa coabitazione di democrazia e di socialismo, han-no fatto evolvere il socialismo da dottrina di emancipazionedi una classe a un insieme di tentativi graduali e graduati non senza arretramenti, errori e contraddizioni di dar cor-

    po a un programma di governo e di emancipazione dellin-tera societ.

    In democrazia se si vuole governare lintera societ occorre ilconsenso della maggioranza e dunque la maggioranza riformi-sta va conquistata guardando al moderno mondo del lavoro ed

    anche a ci che sta fuori di esso ma che non gli ostile, non gli antagonista. Oltretutto le nostre possibilit, le nostrechanches,non possono decollare a partire dalla rappresentanza della mag-gioranza della classe operaia, e anche se la maggioranza dellaclasse operaia fosse socialista ci non basterebbe a costituireuna maggioranza nel paese, come del resto sanno benissimo icompagni comunisti.Ci detto sarebbe un vero errore politico quello di ignorare le

    possibilit reali di una espansione e di un irrobustimento dellapresenza socialista nel mondo del lavoro. Gli orientamenti poli-tici della classe operaia torinese e milanese rilevati da due diver-si sondaggi del CESPE e del CESEC hanno rivelato la propen-sione riformista della grande maggioranza della classe operaiaitaliana.Questo orientamento liquida come reperti storici (anche se han-no ventanni) i kabulisti, gli assemblearisti, i movimentisti, i set-tari e i faziosi che prolungano sulla crisi del sindacato lombrarisentita delle loro sconfitte.Dunque ricapitoliamo le osservazioni pi importanti: 1) la rivo-luzione tecnologica e dei servizi riduce il peso quantitativo equalitativo della classe operaia; 2) la maggioranza della classeoperaia ha ormai assunto un chiaro orientamento democratico eriformista; 3) la maggioranza della classe operaia non vota per

    il PSI.Dunque il problema politico del riformismo moderno, la sua

    possibilit di divenire maggioranza nel paese, dipende per unverso dallevoluzione diciamo occidentale del PCI, e per unaltro verso la parte che pi ci riguarda e forse anche la piimportante questa possibilit dipende dalla capacit nostra, disocialisti, di definire un programma e una politica che parlinoalla maggioranza riformista che sta tra la classe operaia che noirappresentiamo ed il restante 70% della societ che non rappre-sentiamo adeguatamente o che abbiamo appena cominciato aconoscere.Cosaltro significa partito del programma e del movimento senon che la nostra proposta e la nostra iniziativa tagliano trasver-salmente la sociologia pietrificata delle classi che abbiamo ere-

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    ditato dal marxismo? La nostra proposta va nella direzione dicostituire una nuova rappresentanza socialista a partire dallanuova stratificazione sociale, quella che stamane stata quidescritta.

    Noi non ci rivolgiamo alla classe operaia in quanto opposta allaclasse proprietaria; e non ci rivolgiamo alle varie articolazionidel ceto medio per enuclearne alcune parti o frazioni in opposi-zione ad altre parti o frazioni.

    La rivoluzione che c'

    Noi non ci siamo posti il compito di produrre una rivoluzioneche non c, ma quello di rappresentare politicamente e digovernare con lefficacia della politica democratica la rivolu-zione che in atto, il cambiamento che in atto.Ora per governare politicamente qualcosa occorre prima cono-scerla, padroneggiarla concettualmente. La descrizione del con-testo internazionale, il problema delle istituzioni pubbliche, il

    problema dello sviluppo economico e delle sue conseguenzesociali cos come emergono da queste quattro giornate sociali-ste di studio, di analisi, di dibattito, di proposta innanzituttouna acquisizione di conoscenza: una descrizione delle condizio-ni di possibilit del nostro agire politico. Come abbiamo pivolte detto e come si conferma anche in questa congiuntura poli-tica, noi siamo il partito del movimento e del programma.La nostra proposta si rivolge innanzitutto a chipu agire, ai sog-getti sociali oggi capaci di autonomia e di decisione, di nuovedecisioni, di scelte e di movimento o libero o, in diversa misu-ra, necessitato. Vi sono soggetti sociali cos imprigionati edidentificati con la forza delle organizzazioni cui hanno dato vita,cos paralizzati dalla immobilit dei loro referenti o ispiratoriculturali, ed anche soggetti sociali cos interessati al puro e sem-

    plice perpetuarsi dellordine e del disordine esistenti, da essereimpermeabili alle nostre ragioni e anche a tutte le nostre spe-ranze di un dialogo per il meglio.E vi sono anche soggetti sociali per i quali noi siamo senza chenoi lo si voglia- i nuovi gattopardi: lassicurazione che qualco-sa cambier purch tutto resti uguale. Noi li possiamo assicu-rare che si sbagliano.Ma vi sono milioni di persone persona appunto lunit irri-

    petibile di individuo, di cultura, di socialit e di rappresenta-zione- cui naturalmente si rivolge la nostra proposta. Chisono?Penso che i soggetti sociali del riformismo siano tutti coloroche sono posti nelle condizioni determinate dal bisogno e tut-ti gli individui o le persone possessori di un merito. Quale che

    sia il bisogno e quale che sia il merito, soltanto chi pu agireperch vuole o perch deve destinatario delle azioni di rifor-ma e di cambiamento, perch partecipa alla rivoluzione inatto, partecipa alle diverse rivoluzioni che si vanno compien-do o preparando alle soglie del 2000.Il senso dellalleanza riformista e socialista e non pu nonessere nella sua essenza altro se non questo: lalleanza tra ilmerito e il bisogno. Le donne e gli uomini di merito, di talen-to, di capacit, sono le persone utili a s e utili agli altri, colo-

    ro che progrediscono e fanno progredire un insieme o unin-tera societ con il loro lavoro, con la loro immaginazione, conla loro creativit, con il produrre pi conoscenze: sono colo-ro chepossono agire. Le donne e gli uomini immersi nel biso-gno sono le persone che non sono poste in grado di essere uti-li a s e agli altri, coloro che sono emarginati o dal lavoro odalla conoscenza o dagli affetti o dalla salute: sono coloro chedevono agire. Senza tener ferma questa alleanza, questaduplicit di destinatari, il riformismo moderno rischierebbe didegenerare in opportunismo, o di rifluire nel classico massi-malismo.Ancora, se separiamo il merito dal bisogno, il riformismodiviene o tecnocrazia o assistenzialismo; se invece uniamo oalleiamo il merito ed il bisogno, il riformismo moderno pu

    produrre una svolta allaltezza dei tempi, pu interpretare iltempo, pu governare il cambiamento.Ho usato volutamente delle categorie povere, delle categoriesemplici. Leclissi del marxismo pu aprire la strada ad unarestaurazione borghese e ad una ribellione anarchica o corpo-rativa. Il solo modo di evitare da sinistra entrambi i corni deldilemma della tecnocrazia e dellassistenzialismo mi sembrarisiedere nellumilt di ricominciare con lempiria, con lecategorie povere di storia culturale: lindividuo; lindividuo

    che pu o che deve agire; gli individui e le persone dotate dimerito o sottoposte al bisogno; la natura da cui non dobbiamo

    pi difenderci ma che dobbiamo difendere da noi stessi; letecniche che possono consentirci la cura dellumanit e lacura del mondo naturale; la cura dei bambini e delle madri edegli anziani; la nostra salute.

    Chi pu agire

    Chi sono gli individui o le persone di merito ? Chi pu agirenella societ contemporanea ? Certo, pu agire chi ha, il ric-co, il ricco di sempre, il rentiero il capitalista: non a lui checi rivolgiamo giacch la massima delle sue azioni sar pursempre ispirata allidea di conservare le condizioni del suo

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    privilegio, e anzich aiutare a governare il cambiamento pro-porr di governare il passato e di impedire che il presente par-torisca il nuovo. Ma la societ contemporanea, la nuova stra-tificazione sociale, la rivoluzione prodotta dalla innovazionetecnologica, linnovazione scientifica e le applicazioni indu-striali, il processo di acculturazione che ha investito milioni diindividui, la diffusione del sapere e delle informazioni, luni-verso della comunicazione e della conoscenza, la disponibili-t della societ moderna ad accogliere dallartigianato alle-

    lettronica- labbinamento di produttivit e di creativit, hannocreato una nuova multiforme figura sociale: lindividuo chedetiene un sapere, lindividuo che conosce delle tecniche,delle procedure, lindividuo che ha una professionalit, lin-dividuo che governa i meccanismi della riproduzione socialee della produzione industriale, la trasmissione e linnovazio-ne della cultura, delle conoscenze, delle mode e dei costumi,lindividuo che padroneggia la sua giornata, la sua settimana,il suo tempo libero, la sua istruzione e quella dei suoi figli, lesue vacanze e i suoi consumi: la persona che non si riduce alleopere ma che accetta di essere misurato anche dalle sue ope-re e dai loro effetti.

    Nel 1982 met della forza lavoro degli Stati Uniti impiega-ta nel mondo della comunicazione: nel mondo che rendematerialmente e spiritualmente possibile la comunicazionequotidiana, di servizio o di produttivit, creativa o ripetitivadel sapere circolante. Luniverso delle comunicazioni, lo Sta-to rappresentativo, lo Stato spettacolo e la societ dellinfor-mazione aleggiano ormai anche in Italia. Ci pone problemidiversi e nuovi di definizione di fini e di mezzi, problemi cheil Partito socialista ha il merito di aver sollevato per primo, inquanto problemi del riformismo moderno, problemi attuali diuna politica democratica di sinistra. Problemi di sviluppo e

    problemi di garanzie democratiche rispetto alle conseguenzedello sviluppo.Come si garantisce il cittadino rispetto agli arbitri del poteredellinformazione ? Un potere il quale ha pi di ogni pote-re mitico, religioso o politico del passato- la facolt di dar vitaad una realt immaginaria che essendo il principale e picostante punto di riferimento generale nel villaggio globalecui la comunicazione elettronica ha ridotto il mondo appare ai

    pi pi reale, pi importante, pi significativa del loro vissu-to quotidiano. Ancora, come si garantiscono il mondo dellavoro e i singoli cittadini di fronte alla rivoluzione elettroni-ca ? Lelettronica tra le applicazioni industriali della scienza ci che pi contiene di essenza umana, nel senso che essa

    per cos dire - assorbe il pensiero umano, lo riproduce e lo tra-

    smette come energia mediante una coordinata di impulsi elet-trici.Molti conoscono le conseguenze delle prime rivoluzioniindustriali. Esse sono ben descritte dai classici del marxismo.Marx ed Engels riconobbero ad un tempo lo sprigionamentodi formidabili energie creative, le energie messe in moto dallavoro industriale e dal capitale, ma riconobbero anche le

    parallele alienazioni dal punto di vista della salute, delladignit individuale del contadino messo alla catena di mon-taggio, dello sradicamento umano e culturale. Mi domando senon si debba evitare che la rivoluzione elettronica insiemecon le tante meraviglie dellumano fare produca una analogae forse pi impietosa serie di conseguenze disumanizzanti.

    Lapplicazione su vasta scala, a livello industriale e civile, neiservizi collettivi e per uso privato, dei ritrovati dellelettroni-ca insieme urgente e necessaria, ma non priva di aspetti

    problematici. Basti pensare alle conseguenze gi visibili peresempio sui bambini della inondazione televisiva ed al relati-vo merchandisingdi giocattoli elettronici. Immagini, oggettie giocattoli uguali in tutto il mondo, immagini, oggetti e gio-cattoli con i quali e per mezzo dei quali i nostri bambini ormaieducati dalla televisione o socializzati dalla televisione assai

    pi che dalla scuola, dalla famiglia e dalla strada, imparano apensare. Ma allora ecco sorgere la domanda: chi osserva, chiusa, chi guida questo processo ? Non riguarda forse la politi-ca democratica, la sua responsabilit, il processo che porta aformare e ad informare la sensibilit e lintelligenza dei nostri

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    bambini ? Non del futuro che dobbiamo occuparci sevogliamo governare il cambiamento ? Ebbene, nella scuolafioriscono pochi garofani, ancora troppo pochi, ed respon-sabilit di tutti noi questo ritardo, mentre tutti i partiti sociali-sti e socialdemocratici concentrano tanta parte del loro impe-gno su questo punto.

    Chi deve agire

    Parlando dei bambini ci siamo avvicinati al secondo grande sog-getto del riformismo moderno, il mondo dei bisogni. Questomondo cui si rivolge lipotesi riformista per rappresentarlo, peresprimerlo, per dargli soddisfazione, il mondo degli emargi-nati di sempre e di oggi: il mondo di coloro che devono agire

    per cambiare. Il mondo del bisogno non una deamicisianapappa del cuore. Le monete che tintinnano nelle tasche di Gar-rone che si avvia a far visita allospedale allamico povero han-no un suono diverso dai sussurri e dalle grida che provengonodal mondo del bisogno.Come si definisce il mondo del bisogno ? Certo si possono enu-merare per grandi categorie coloro che ne fanno parte. Lo fac-cio per necessit, ma mi scuso per questo repertorio che non halo scopo di suscitare piet ma di suscitare verit. Penso ai car-cerati, agli alcolizzati, ai tossicodipendenti, alla follia, ai malati,agli handicappati, agli anziani, ai minimi pensionabili senza una

    famiglia che se li prenda in cura, ai bambini appunto, alle don-ne ed agli uomini che sono soli e non vorrebbero essere soli, aigiovani ed alle ragazze che bussano al mercato del lavoro e nonriescono a varcarne la soglia, che cercano una casa per sposarsie devono rinviare il matrimonio, che sono esclusi dalla cultura edal benessere.Il mondo del bisogno somma le vecchie e le nuove povert macomprende anche altro, comprende anche povert non economi-che, povert non di merito o di spirito. Esso ha in realt un altro

    e solo un altro minimo comun denominatore, qualcosa cheabbiamo smesso persino di nominare: il dolore. Non che altroveil dolore non ci sia, ma nel mondo del bisogno il dolore c sem-

    pre. Milton diceva: Il dolore miseria perfetta, forse non cos ma certo il dolore un compagno inseparabile della miseria.

    Nella memoria del movimento operaio lesperienza del dolore la pi frequente e, in un certo senso, la pi alta, soprattutto inquanto da essa scatur anche lesperienza della solidariet.Dolore, solidariet, liberazione: questa sequenza scandisce il rit-mo delle lotte storiche del socialismo. Rispetto al suo passato,rispetto a quel dolore sociale, davvero i socialisti possono direcome il poeta:

    Ora ho trovato un senso e una misura:so che la pena il sole della vitae che la gioia nel guardare il cielo

    per caso, e riconoscere lazzurro.Oggi probabilmente il dolore sociale non grida pi come quan-do il Partito socialista sorse, ma a parte il fatto che talvolta gri-da ancora, i sussurri di oggi non sono meno dolorosi. Che fare ?Il punto pi alto finora raggiunto dal riformismo quello attin-to dallesperienza quarantennale di governo della socialdemo-crazia svedese. Una parafrasi a volte ottimistica, a volte ironica,designava la cura che la socialdemocrazia intendeva prendersi

    di ogni individuo con il motto dalla culla alla tomba. Proba-bilmente non estranea alla ancora recente sconfitta dei com-pagni svedesi leccessiva burocratizzazione imposta alla socie-t per tener fede allimpegno di prendersi cura di tutti e di tuttodalla culla alla tomba. Eppure quello resta il programma piardito che il socialismo democratico abbia sperimentato, ed irisultati non cessano di essere visibili.Ha ancora un senso un programma del genere ? Lidea di pro-teggere le ragazze madri e la loro libera scelta tra laborto eduna gravidanza assistita; lidea di mantenere a carico dello Sta-to i loro figli; lidea che i bambini devono essere posti al ripa-ro dalla violenza pratica due milioni di casi di maltrattamentidenunciati in America e solo trentasettemila in Italia, i genitoriitaliani o sono pi buoni o sono pi bugiardi- e devono essere

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    posti al riparo anche dallo spettacolo della violenza; che devo-no apprendere in modo libero e gratuito, aiutati a scegliere, adessere liberi e forti e solidali; che lintera organizzazione sani-taria di una societ deve possedere nozioni e stimoli, in una

    parola una professionalit, concepita per solidariet e non per

    lucro, non per le carriere, non per le clientele; lidea che ledu-cazione un processo permanente o ricorrente lungo tutta lavita e che va organizzata in tal modo; lidea che lambiente sto-rico e naturale va protetto e valorizzato, fruito e non consuma-to; lidea che i vecchi ci sono cari e sono utili se li lasciamo

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    essere utili, se organizziamo la loro utilit; lidea che il lavoronon un dovere per tutti ed un diritto dal quale qualcuno escluso ma libero, garantito e meritocratico; in fondo anchelidea che si pu essere neutrali alla condizione di essere comesono gli svedesi, armati della propria sicurezza militare: il che,come la cronaca insegna, non tuttavia bastato a metterli alriparo dallimprovvisa visita di un sottomarino.

    Il welfare all'italiana

    Non penso che dobbiamo copiare quel programma o tutte lesue idee ma credo fermamente che non ne possiamo abolire otrascurare lispirazione fondamentale se vogliamo animare il

    progetto di un riformismo moderno che tenga conto del meritoe del bisogno, che si rivolga a chi ha bisogno ed a chi ha meri-to. Ebbene, sotto questo profilo, sotto il profilo sociale, a che

    punto siamo in Italia ? Nei cinque anni che abbiamo alle spal-le la spesa sociale rimasta immobile. In rapporto al prodottointerno lordo lItalia spende circa come lIrlanda e lInghilter-ra, ma meno o molto meno di Francia, Olanda, Germania e Bel-gio. E si tratta della sola spesa che riguarda lassistenza, la sani-t e la previdenza. I soli aumenti si registrano per interventi chemeno propriamente vengono catalogati come spesa sociale esono i trasferimenti di capitali dello Stato allIRI, allENI,allENEL, nonch gli aumenti di capitale della GEPI, delle Fer-rovie dello Stato, dellAmministrazione delle Poste e Teleco-municazioni. In Italia lindustria di Stato ed il disservizio pub-

    blico si mangiano gran parte delle possibilit di effettuare unapolitica sociale. A ci si aggiunga il caos organizzativo, profes-sionale, politico, amministrativo degli Istituti di previdenza odella organizzazione sanitaria, e si comprender meglio cosaalimenta il malessere ed il malcontento. Il dissesto dello Stato

    non solo ostacola linnovazione e lo sviluppo tecnologico maed ci che pi grave da un punto di vista socialista- il dis-sesto dello Stato penalizza la povera gente, le sottrae mezzi,servizi, possibilit.

    Non serve ideologizzare il problema ed attribuire le responsa-bilit al sistema di potere della DC. Questo modo di ragiona-re assomiglia sempre pi alle imprecazioni saragattiane controil destino cinico e baro e sempre meno ad una riflessione e adun progetto politico. La verit nuda e cruda che dopo la sta-gione del centro-sinistra la sinistra italiana, noi compresi, nonha pi avuto una strategia dellintervento sociale che non fosse

    puro assistenzialismo. Non essendosi posta il problema deilimiti della conflittualit sindacale, e non avendo affrontato ildiscorso della modernizzazione e della produttivit dei servizi,

    la sinistra costretta in questo cul di sacco in cui deve sceglie-re: o non rifinanziare lindustria di Stato o tagliare la spesasociale. Davvero un bel capolavoro!Lalleanza tra il merito ed il bisogno la base sociale possibilee giusta ed con ci stesso la base morale e civile del riformi-smo moderno. E ci che deve ispirare la condotta dei nostrisindaci e dei nostri amministratori, dei nostri ministri e deinostri sottosegretari; del partito nel suo assieme se il partito,come sembra volere, torna ad essere anche attore sociale nelle

    malcalcolate strutture del decentramento amministrativo, sani-tario e scolastico, nel sindacato e nella cooperazione, nella pro-mozione e nella organizzazione di nuove forme associative e dinuove espressioni della partecipazione politica che nascanodallo stesso nostro combattere per singole buone cause socialie per singole buone cause civili.Il riformismo si muove nella cornice di libert della democra-zia politica costruita dal pensiero moderno, dalle lotte liberalidella borghesia e alle lotte sociali e politiche del proletariato.La politica democratica oggi sottoposta a molteplici sfide: lasfida energetica, la sfida elettronica e con esse linsorgere dinuovi consistenti poteri: il potere finanziario, il potere dellin-formazione, il potere tecnologico. Da unaltra parte essa sot-toposta alla sfida dei nuovi bisogni. La politica democraticanon pu n ostacolare il progresso tecnologico n eludere i pro-

    blemi posti dai nuovi bisogni. Viceversa proprio la grandiosited insieme la rischiosit dello sviluppo tecnologico e linsorge-re dei nuovi bisogni sembrano suggerire ad opposte sponde

    politiche la sfiducia nella democrazia e il ricorso ad lites, adoligarchie o aristocrazie. E comunque una scelta reazionariache maschera il ricorso ad una nuova chiesa e a nuovi sacerdo-ti (i governi dei tecnici) per timore del cambiamento. Lessen-za della democrazia di accettare le sfide. Ma le sue vittorie

    non consistono nellabolire i contendenti, ma nel dimensionar-li, nel riconoscerli ed apprezzarli in quanto parte che a sua vol-ta riconosce lautorit democratica rinnovabile e rinegoziabi-le- dei rappresentanti dei cittadini.

    La superiorit della democrazia

    Questa , se dovessimo dire, la superiorit della democrazia:che la democrazia rispetta la libert dei singoli e la valorizza seutile ai pi; che pratica un governo democratico e cio rappre-sentativo del pluralismo presente in seno al popolo, che rico-nosce altre autorit, ma non autorit superiori al proprio princi-

    pio. Possiamo aggiungere che la parte sinistra della democrazia quella che, in modo discutibile, lavora tenacemente fiduciosa

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    in questo lato dellessenza umana: che essa sia meravigliosa-mente perfettibile se le condizioni pratiche di partenza miglio-rano per tutti, o almeno per i pi.

    Non sempre regola entusiasmante, n sempre gratificante:non fornisce la soddisfazione dellemotivit politico-partecipa-zionistica, il pieno impiego psicologico dei miti e dei ritirivoluzionari. Per la regola pi utile. E la politica democra-tica la politica che si sottomette allutilit generale, che silascia guidare dalla ricerca dellutile dei pi se non di tutti. E la

    sinistra democratica quella parte della politica democraticache vede lutile dei pi consentire o poter derivare da unmiglioramento per i pi- delle condizioni di partenza: benes-sere, cultura, sensibilit, libert, sicurezza.Ho cercato, come quasi tutti coloro che sono che sono interve-nuti in questa nostra conferenza, di parlare di politica parlandodel programma del partito. A giudicare dal successo di questamanifestazione il tentativo riuscito. Un partito che una voltafaceva parlare di s attraverso le sue diaspore oggi parla al pae-se il linguaggio della responsabilit e della verit, un linguag-gio fatto di buon senso e di giuste speranze.A coloro che ci chiedono di dichiarare con chi pensiamo di

    poter realizzare un programma cos ambizioso noi rispondia-mo: con le forze laiche e socialiste e nel rapporto contrattualecon la DC. A quanti, da sinistra, obiettano: Ma la DC non velo consentir mai, noi rispondiamo: Stia attenta piuttosto laDC a non tirare troppo la corda con noi e a non rompere con isocialisti. Potrebbe trovarsi senza corda e senza socialisti.A coloro che insistono che un programma simile non avr maigambe senza lalternativa di sinistra noi rispondiamo che senzaidee chiare non solo non si pu camminare, ma ci che peg-gio- non si pu n pensare n comunicare. Ai compagni comuni-sti che si arrabbiano perch non partecipiamo alla caccia al teso-

    ro della terza via noi confessiamo il nostro imbarazzo. E da quan-do non andiamo pi al catechismo che non sentiamo pi la prete-sa di dedurre una cosa dal suo nome. Indicateci prima la cosa enoi vi diremo se siamo daccordo sulla cosa e poi anche sul nome.A voi, care compagne e cari compagni che ci avete seguito perquattro giorni con unattenzione al di l di ogni aspettativa eche siete come dire- gli agenti sociali e politici del riformismomoderno; a tutti coloro che guardano con simpatia, con inte-resse e anche con qualche perplessit a questo nuovo corsosocialista; alla maggioranza riformista sommersa che c nel

    paese e che composta da quanti hanno merito e da quanti han-no bisogno; ai giovani sotto i ventanni che ci guardano comestrani animali, la testa piena di pensieri, in parte nuovi ed in

    parte antichi; alle donne che in casa o nel lavoro stanno com-

    piendo la pi lenta, la pi mite e la pi straordinaria delle rivo-luzioni; ai reduci, ai dispersi, agli apocalittici, agli integrati del-le generazioni del 68 e del 77, alla maggioranza riformistasommersa; a voi vogliamo dire: la vostra tensione se era auten-tica, la vostra immaginazione se davvero pensava in grande,quella stessa risata che doveva seppellire il sistema, di tuttoquesto abbiamo bisogno. Non per produrre confusione, non per

    produrre macerie, ma perch non vi siano pi anni di piombo eper produrre i cambiamenti utili e possibili per governare bene

    lItalia. Venite a darci una mano. Noi siamo il Partito socialista,un partito libero e aperto, un partito che ha una voglia matta difar politica, siamo il partito dei moderni ed il partito di unanti-ca plebe che ha spezzato tutte le sue catene.

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    >>>> heri dicebamus

    N

    ella societ c' una maggioranza riformista. Il proble-

    ma della sinistra oggi si direbbe meglio centrosini-stra, dopo il New labourdi Blair, laNeue mitte di Schroe-der e il PD in Italia, quello di definire una politica (lea-dership, programma, cultura politica) che le consenta diinterpretarne le istanze, componendole in una proposta digoverno efficace e credibile.Il discorso di Martelli sull'alleanza riformista tra merito e

    bisogno non contiene l'espressione vocazione maggiorita-ria, ma esattamente di questo tratta: Questa possibilitdipende dalla capacit nostra di socialisti di definire un

    programma ed una politica che parlino alla maggioranzariformista che sta tra la classe operaia che noi rappresen-tiamo e il restante 70% della societ che non rappresentia-mo adeguatamente o che abbiamo appena cominciato aconoscere.Chi non sa distinguere tra vocazione maggioritaria e pre-sunzione di autosufficienza strabuzzer gli occhi: il PSInon arrivava, nei primi anni ottanta del secolo scorso, al15% dei voti. Quale vocazione maggioritaria poteva mainutrire, con quel livello di consenso? Martelli rispondeaffermando la priorit del progetto: Senza idee chiare nonsolo non si pu camminare ma, ci che peggio, non si pun pensare n comunicare. Infatti, a determinare l'insuc-

    cesso di quella strategia sostanzialmente fallita gi nellaseconda parte degli anni 80 non fu n l'esiguit del con-senso di partenza del partito che l'aveva elaborata, n un defi-cit di leadership. Fu la (troppo) grande distanza tra l'ambizio-ne del progetto e i caratteri, intimamente contraddittori con lostesso, del partito che se ne faceva interprete.

    Negli anni immediatamente successivi alla Conferenza diRimini, a conferma dell'intuizione di Martelli sul ruolo stra-tegico, dentro l'alleanza riformista, dei nuovi ceti del meri-to, una quota significativa di lavoratori del terziario avanza-to, delle tecnologie ITC, delle professioni liberali guarda coninteresse al PSI di Craxi, considerandolo un potenziale inter-

    prete delle sue istanze di modernizzazione socialmente equi-librata. Ma ci che vede una Grande Riforma delle istitu-

    zioni pi predicata che praticata (sar l'onda di rifiuto della

    politica vecchia a travolgere l'invito ad andare al mare cheproprio Craxi rivolse agli elettori in occasione del primo refe-rendum elettorale, nel 91). Vede un partito tranquillamentededito a profittare della sua rendita di posizione per accresce-re la sua quota di Pubblica Amministrazione infeudata,invece che a combattere quel dissesto dello Stato che nonsolo ostacola l'innovazione e lo sviluppo tecnologico ma

    penalizza la povera gente, le sottrae mezzi, servizi, possibili-t.La maggioranza riformista sommersa, che nei primissimianni '80 esiste davvero nel Paese e si riconosce nel pigliodecisionista di Craxi presidente del Consiglio e nella piatta-forma di Rimini, resta progressivamente priva di riferimenti,sicch quando il PSI vedr esaurirsi la spinta propulsiva delsuo duro rapporto contrattuale con la DC non avr in manonulla con cui sostituirlo: non uno sfondamento elettorale nelcampo democristiano, non la conquista di una egemonia asinistra, da far valere nella fase del crollo del comunismo,almeno nel senso del Graecia capta ferum victorem coepit.

    L'ultimo treno

    La piattaforma politico-culturale-programmatica di Rimini

    avrebbe potuto essere posta a base cambiato quel (poco) chec'era da cambiare della svolta socialdemocratica che por-t dal PCI al PDS, dopo l89. Ma ad impedire questo esitocongiurarono due fattori: da un lato, una concezione dellaunit socialista di Craxi che sottovalutava e addirittura dis-metteva i suoi fattori di forza (la definitiva vittoria del revi-sionismo socialdemocratico alla Bernstein sul comunismo,

    per originali che fossero le versioni di questultimo), per con-centrarsi sull'obiettivo del fagocitamento organizzativo delPCI da parte del PSI (operazione semplicemente impossibile

    per impedimento naturale). Dallaltro lato, il progressivoprevalere nella maggioranza del PCI che d luogo alla svol-ta dell'idea della fuoriuscita da sinistra dal comunismo.Se la sinistra italiana perse anche nell89 l'ultimo treno

    La maggioranza riformista>>>> Enrico Morando

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    diretto verso la stazione della costruzione di un grande par-tito socialista a vocazione maggioritaria, capace di svolge-re in Italia la stessa funzione svolta in ogni Paese europeo

    dai partiti laburisti e socialdemocratici, molto fu dunquedovuto al fatto che il PSI che aveva elaborato la piatta-forma utile allo scopo non aveva il carattere, la leadershipcollettiva, il radicamento sociale necessari per interpretarlaed affermarla; e il PCI-PDS, che aveva la forza elettorale,il radicamento sociale e una leadership diffusa il grandecorpo degli amministratori locali, socialdemocratici senzasaperlo non aveva un profilo politico-culturale coerentecon l'obiettivo che pure dopo l89 dichiarava di perse-guire, attraverso l'adesione all'Internazionale Socialista e la

    partecipazione alla fondazione del PSE.Persa l'occasione dell89 (a met anni 90, gi non esistevano

    pi le condizioni necessarie) la grande prospettiva del parti-to di centrosinistra a vocazione maggioritaria non pu pi

    credibilmente essere riferita ad un partito socialista. Iniziain quella fase la convulsa e confusa discussione che porternel 2007 con i soliti dieci anni di ritardo rispetto alle esi-

    genze alla nascita del Partito Democratico. Non ho mai con-siderato casuale che il primo partito italiano ad avanzare la

    proposta di dar vita ad un unico, grande partito di centrosini-stra sia stato il piccolo SDI di Boselli (casuale cio deter-minato da specifici accidenti tattici semmai che i pi diret-ti eredi del PSI di Craxi non si siano ritrovati tra i soci fonda-tori al momento della sua nascita effettiva): la piattaforma

    politico-culturale di Rimini il momento pi alto di elabora-zione di una visione riformista sul futuro del Paese e leambizioni maggioritarie ad essa connaturate spingevano inquella direzione, sia (soprattutto) nella dimensione nazionale,sia nella dimensione internazionale (anche in questo caso: inItalia sar Craxi a prospettare il progetto di una grande Inter-nazionale Democratica).

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    Il fatto che a Rimini come accadr venticinque anni pitardi col discorso di Veltroni al Lingotto vengono presenta-ti i capisaldi di cultura politica di una strategia che non sub-ordina il cambiamento da realizzare nel paese ai rapporti trale forze politiche che compongono lo schieramento progres-sista, ma tenta loperazione opposta: si costruisce il partito sudi un progetto, si individuano i soggetti sociali che possono (evogliono) esserne interpreti, si subordinano a quel progetto lealleanze politiche. E questo richiamo al progetto, al program-

    ma di cambiamento del paese, non viene messo strumental-mente al servizio della pi spregiudicata e trasformista tatticadelle alleanze (PCI, PSI e DC venivano da pi di un decenniodi reciproco gioco allo scavalco, praticato in nome di un'im-

    probabile priorit dei programmi), ma della identit e dellafunzione stessa del partito.

    Il blocco sociale

    Il superamento dello schema rigido del blocco sociale diriferimento non potrebbe essere pi esplicito: il progettoriformista quello di chi ha il potere di produrre cambia-mento, perch possiede le capacit, le conoscenze, le abili-t necessarie per farlo e vuole farlo (la componente delmerito), e quello di chi deve cambiare, spinto com' dal biso-gno che esclude dalla cultura e dal benessere e produce queldolore che miseria perfetta. Dunque, non tutti quanti fan-no parte dei ceti pi dinamici, ma quelli tra di loro che nonhanno una visione corta ed egoistica del loro merito. E tutti i

    bisognosi, ma solo se rifiutano di farsi difensori acritici di unceto burocratico che giustifica la sua arcigna difesa dello sta-tus quo con la loro condizione di povert ed esclusione.Si tratta di una visione che prende molto dal riformismo

    socialista eticamente fondato di Bernstein (a sua volta espli-citamente tributario verso la Fabian Society) e moltissimodall'elaborazione della sinistra liberal americana (non uncaso che, a Rimini e nelle iniziative che avevano preparatoquella conferenza, Rawls compaia tra gli autori pi citati).Questa svolta di cultura politica viene determinata ad operadel gruppo dirigente del PSI mentre in corso un tumul-tuoso cambiamento della societ italiana. Martelli d contodell'accresciuto ruolo del terziario (avanzato e non) e del ridi-mensionarsi del peso dell'industria manifatturiera; cos comedel ruolo determinante della conoscenza e dalla sua diffusio-ne come fattore di sviluppo quali-quantitativo. probabileche in proposito il PSI di Craxi e Martelli avesse di fron-te un compito pi semplice di quello cui si trova oggi con-

    frontato il PD. Allora, il dinamismo era il carattere prevalen-te della societ italiana: un esercito impressionante di babyboomers pi istruiti dei loro genitori e protagonisti di movi-menti politici collettivi che ne avevano rivoluzionato culturee stili di vita, specie dal lato della libert delle scelte indivi-duali premeva per il cambiamento di gerarchie e rapportisociali, dall'economia alla politica. La terziarizzazione dell'e-conomia esaltava una risorsa la conoscenza pi facilmen-te acquisibile della ricchezza patrimoniale. Una straordinaria

    ventata di mobilit verso l'alto percorreva la societ italiana,perch i figli pretendevano si avverasse ci che i padri ave-vano loro raccontato con fermissima fiducia: voi staretemeglio di noi. Insomma: la maggioranza riformista di cui par-lava Martelli non aveva ancora trovato consapevolezza di se un interprete adeguato. Ma esisteva e lo cercava, quell'in-terprete.

    Guerre fra poveri

    Oggi non c' pi, una maggioranza riformista? Non dicoquesto. Dico che essa meno immediatamente avvertibile,meno evidente. La mobilit sociale si progressivamen-te fermata. tornato di tragica attualit il dimmi dovenasci e ti dico cosa farai e sarai tra trent'anni. La mondia-lizzazione rende meno padroneggiabili le contraddizionisociali: c' sempre qualcuno che arriva dai luoghi dellamiseria perfetta pi dolorante e bisognoso di te, ed for-te il rischio che l'alleanza col merito sia vista come un'uto-

    pia tecnocratica, mentre la realt propone la guerra tra ipoveri come conseguenza della paura che uccide la speran-za e la fiducia in un futuro migliore. La gigantesca macchi-na burocratico-amministrativa nata per sostenere i pi

    deboli spende pi per alimentare se stessa che per rispon-dere ai bisognosi; e l'universalismo del welfare, quanto c'(es. scuola pubblica per tutti) fa parti uguali tra disuguali,col risultato di ribadire ciascuno nella sua condizione di

    partenza. I baby boomers il potere lo hanno davvero con-quistato, e lo usano pi per impedire il cambiamento che

    per promuoverlo. Nella societ della conoscenza, ugua-glianza prima di tutto pari accesso a formazione e cono-scenza. Ma lo Stato spende di pi per le pensioni che per gliasili nido, le assistenti di maternit e per scuole che alme-no ambiscano a colmare la differenza tra il bambino digenitori entrambi laureati e quello di una donna sola condiploma di media inferiore.In questo mutato contesto, c' pi bisogno di prima di

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    alleanza riformista tra merito e bisogno, ma sono molto piagguerrite le fortezze presidiate dagli insiders, dai difenso-ri dello status quo. Al punto che sembra avere pi di qual-che buona ragione dalla sua Luca Ricolfi, quando vede neidue grandi partiti che competono nel bipolarismo italianodue conservatorismi. Diversi tra di loro, ma entrambi con-servatorismi. Di qui l'esigenza, pi che di un aggiornamen-to, di un approfondimento qualitativo della piattaforma

    politico-culturale di Rimini per darle maggiore profondittemporale e maggiore efficacia innovatrice. Chi ha bisogno,oggi, di un sistema complessivamente riorientato al merito?Chi deve voler la meritocrazia? Il giovane figlio di genitori

    entrambi laureati, che certamente si laureer a sua volta magari per accedere alla stessa loro professione malgradolo scarso impegno e l'insufficiente talento, anche approfit-tando del fatto che frequentare un liceo non costa niente eandare all'Universit costa poco; oppure il giovane figlio digenitori operai di bassa qualificazione professionale, che

    passa i primi mesi e anni di vita accudito dai nonni perchnon c' posto all'asilo nido e poi non ottiene risultati bril-lanti nel percorso formativo malgrado impegno e talentonon gli facciano difetto, solo perch troppo grande il gapinizialmente accumulato? O perch non basta che l'univer-sit costi poco in iscrizione per poterla frequentare (esoprattutto per frequentare quella giusta, che non quasimai quella sotto casa)?

    Domande retoriche, che ci conducono a concludere chesenza un cambiamento ispirato al riconoscimento del meri-to non potranno trovare risposte le esigenze dei nuovi tito-lari del bisogno (gli esclusi dalla conoscenza di oggi e,soprattutto, di domani). Per dar luogo a questo complessivoriorientamento delle proprie politiche, il partito riformistache voglia affermare la propria vocazione maggioritariadeve impegnarsi in una battaglia politico-culturale moltoaspra nel suo campo (per continuare con l'esempio: chideve guadagnare di pi tra il maestro elementare che ottie-ne buoni risultati formativi a Scampia e chi risultati analo-ghi li ottiene in una classe nel centro di Milano?). E deve

    assumere, per il successo della sua politica, un orizzontetemporale di medio-lungo periodo. Se si ha fretta, se ci si fa

    prendere dall'ansia della prestazione quotidiana, allora nonc' bisogno della rinnovata alleanza riformista tra merito e

    bisogno: basta enunciare decine di obiettivi di per s gra-devoli, senza alcun ordine di priorit sociale; compiere atti

    politici e di governo che costituiscano altrettante allusio-ni al cambiamento senza portarne a fondo alcuno; costrui-re dietro questo paravento populistico solidi legami congli interessi sociali, economici e culturali degli insiders; e,infine, fare di tutto ci buona propaganda, attorno ad unaleadership carismatica. Ma c' qualcuno, nel centro-sini-stra, che possa competere nel fare tutto ci con il PDLdi Berlusconi?

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