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1 GASTROPATIA INFIAMMATORIA: c’è qualcosa di nuovo? Dott. Emanuele Mussi, DVM, Firenze [email protected] - www.endovet.it INTRODUZIONE E CLASSIFICAZIONE GASTRITI Per gastropatia si intende un’affezione strutturale o funzionale dello stomaco. Le gastriti, che rappresentano l’infiammazione della mucosa gastrica, sono indubbiamente le forme più frequenti; tuttavia sono spesso riscontrate anche alterazioni funzionali (disturbi della motilità, patologie ostruttive) e patologie neoplastiche. Le flogosi gastriche sono classificate in base all’andamento (acute o croniche), alla causa eziologia suddividendole in due grandi gruppi, infettive o non infettive, e, qualora venga eseguita una biopsia gastrica, in base al tipo di infiltrato infiammatorio (linfocitica o linfoplasmocitica, neutrofilica, macrofagi ed eosinofilica). Il vomito è il sintomo principale, spesso associato a scialorrea, disoressia/anoressia, algia addominale. Come evidente queste manifestazioni sono aspecifiche ed è necessario affrontare un iter diagnostico ben preciso per confermare la presenza di una patologia gastrica e definirne, se possibile, la causa eziologica. Tuttavia è importante sottolineare che possiamo avere gastrite anche in assenza di sintomi clinici. Il vomito, da tutti considerato un meccanismo difensivo dell’organismo, è un riflesso complesso che richiede la coordinazione dell’apparato gastroenterico, muscolo scheletrico e sistema nervoso con percorsi efferenti ed afferenti al centro del vomito. Affinché possa svilupparsi è necessaria l’interazione tra recettori periferici (localizzati a livello di faringe, stomaco, duodeno, digiuno, fegato, cistifellea, e in altri organi addominali), zona chemo-recettoriale scatenante (CRTZ) localizzata

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GASTROPATIA INFIAMMATORIA: c’è qualcosa di nuovo?

Dott. Emanuele Mussi, DVM, Firenze

[email protected] - www.endovet.it

INTRODUZIONE E CLASSIFICAZIONE GASTRITI

Per gastropatia si intende un’affezione strutturale o funzionale dello stomaco.

Le gastriti, che rappresentano l’infiammazione della mucosa gastrica, sono indubbiamente le forme

più frequenti; tuttavia sono spesso riscontrate anche alterazioni funzionali (disturbi della motilità,

patologie ostruttive) e patologie neoplastiche.

Le flogosi gastriche sono classificate in base all’andamento (acute o croniche), alla causa eziologia

suddividendole in due grandi gruppi, infettive o non infettive, e, qualora venga eseguita una biopsia

gastrica, in base al tipo di infiltrato infiammatorio (linfocitica o linfoplasmocitica, neutrofilica,

macrofagi ed eosinofilica).

Il vomito è il sintomo principale, spesso associato a scialorrea, disoressia/anoressia, algia

addominale. Come evidente queste manifestazioni sono aspecifiche ed è necessario affrontare un iter

diagnostico ben preciso per confermare la presenza di una patologia gastrica e definirne, se possibile,

la causa eziologica. Tuttavia è importante sottolineare che possiamo avere gastrite anche in assenza

di sintomi clinici.

Il vomito, da tutti considerato un meccanismo difensivo dell’organismo, è un riflesso complesso che

richiede la coordinazione dell’apparato gastroenterico, muscolo scheletrico e sistema nervoso con

percorsi efferenti ed afferenti al centro del vomito. Affinché possa svilupparsi è necessaria

l’interazione tra recettori periferici (localizzati a livello di faringe, stomaco, duodeno, digiuno, fegato,

cistifellea, e in altri organi addominali), zona chemo-recettoriale scatenante (CRTZ) localizzata

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nell'area postrema del pavimento del 4° ventricolo e il centro del vomito, situato all'interno della

formazione reticolare del midollo allungato.

Tab. 1 RECETTORI COINVOLTI NEL RIFLESSO DEL VOMITO

corteccia cerebrale: di tipo ω2 (benzodiazepinici); di tipo ENKµ (oppioidi encefalinergici)

apparato vestibolare: di tipo H1 (istaminergici); M1 (muscarinici; acetilcolina); NMDA

(dell’acido glutammico)

CRTZ: di tipo H1; M1; D2 (dopaminergici); α2 (alfa-adrenergici); 5-HT3 (serotoninergici);

NK1 (neurokinina); ENKµ,δ

centro del vomito: α2; 5-HT1A

intestino (vie afferenti): 5-HT3

intestino (vie efferenti): 5-HT4, M2; D2; MOT (motilina)

Il riflesso del vomito può essere stimolato da due vie: quella umorale (per stimolazione diretta della

CTRZ) e quella nervosa (stimolazione del centro del vomito attraverso il sistema vagosimpatico,

corteccia cerebrale, apparato vestibolare e CRTZ). Raggiunta una sufficiente stimolazione del centro

del vomito ha inizio il riflesso: inizialmente compaiono dei sintomi prodromici come salivazione e

ripetute deglutizioni, a cui seguono dei ripetuti movimenti intestinali antiperistaltici (vago), delle

contrazioni peristaltiche antrali, il rilassamento del corpo dello stomaco, un’inspirazione profonda, il

rilassamento simultaneo di esofago, sfintere esofageo inferiore e superiore, la chiusura della glottide,

una fortissima e simultanea contrazione del diaframma e della muscolatura della parete intestinale,

l’eversione della mucosa gastrica nell’esofago distale, e infine l’espulsione forzata del contenuto del

tratto gastroenterico superiore.

Per gastrite acuta si intende un’affezione gastrica insorta da meno di sette giorni, spesso

autolimitante, e caratterizzata dalla comparsa di vomito che risponde ottimamente alla terapia

sintomatica, spesso senza la necessità di particolari accertamenti. Le principali cause sono indicate

nella tabella 1. È importante sottolineare che il vomito acuto può sottintendere anche la

riacutizzazione o la recidiva di una forma cronica, per cui è sempre imprescindibile la raccolta di

un’anamnesi dettagliata.

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Una forma relativamente frequente di infiammazione acuta è la gastroenterite emorragica acuta

(HGE), patologia caratteristica dei cani di piccola taglia, caratterizzata da vomito e diarrea

emorragici. L’eziologia non è ad oggi nota, anche se è supposta una reazione da ipersensibilità verso

i componenti della dieta o tossine batteriche, in particolar modo, secondo alcuni autori, di Clostridium

Perfringens. La malattia si caratterizza per sintomi gravi, a rapida evoluzione con la comparsa di

grave disidratazione negli animali affetti e la necessità di cure intensive.

Tab. 2 CAUSE DI GASTRITE ACUTA

dieta (intossicazione, allergie o intolleranza)

corpi estranei

farmaci e sostanze tossiche

malattie infettive (parvovirosi, cimurro, epatite infettiva, Physaloptera, Ollulanus,

GHLO)

secondaria a stress e traumi, pancreatite acuta, lesioni del sistema nervoso centrale,

insufficienza renale, insufficienza epatica, Addison, patologie che riducono il flusso

ematico mucosale (shock, DIC)

Riacutizzazione o recidiva forma cronica

La gastrite cronica è invece caratterizzata da vomito che persiste da almeno due settimane oppure

da sintomi cronici recidivanti. Molte delle cause descritte per la forma acuta possono indurre anche

forme croniche, ma spesso la forma più frequentemente descritta è quella idiopatica, che rientra nel

grande gruppo delle malattie infiammatorie croniche gastrointestinale (IBD).

Tab. 3 CAUSE DI GASTRITE CRONICA

Dieta (allergia/intolleranza)

Corpo estraneo

Farmaci e tossici

Problemi metabolici (uremia, epatopatie)

Infettiva (Physaloptera, Ollulanus, GHLO)

Idiopatica (IBD)

Occasionalmente (con un’incidenza nettamente inferiore rispetto alla medicina umana), è possibile

osservare ulcere gastriche, lesioni di continuo della parete gastrica che interessano gli strati parietali

più profondi (fino a livello della muscolare) con la comparsa, talvolta, di perforazione e peritonite.

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La sua formazione è legata al danno mucosale dato dall’azione dell’acido cloridrico e della pepsina

(in questo caso si parla di ulcera peptica) che risulta dalla carenza dei normali meccanismi protettivi

e del turnover cellulare oppure da un trauma meccanico diretto sulla mucosa stessa.

Tab. 4 CAUSE DI ULCERA GASTRICA

Flogosi gastrointestinali e pancreatiche

Farmaci (FANS, cortisonici)

Corpi estranei

Patologie metaboliche (patologie epatiche, renali, ipoadrenocorticismo)

Riduzione del microcircolo a livello gastrico (come ipovolemia e shock)

Neoplasie

Idiopatica

Il sintomo principale in corso di ulcera è il vomito associato o meno ad ematemesi, melena e nei casi

più gravi anemia. È possibile avere anoressia e algia addominale associate anche a perdita di peso

soprattutto in corso di ulcera neoplastica.

Indipendentemente dall’andamento della gastrite e dalla causa eziologica, la sua patogenesi è sempre

legata alla perdita di uno o più meccanismi difensivi gastrici (microcircolo mucosale, turnover

epiteliale, secrezione del muco gastrico, azione locale delle prostaglandine) con uno squilibrio tra

fattori aggressivi e difensivi e lo sviluppo di ipersecrezione acida gastrica, danno mucosale e

conseguente inizio della cascata infiammatoria. La patogenesi della forma cronica idiopatica non è

del tutto nota e si ipotizza, come per le IBD, che la perdita di tolleranza orale verso gli antigeni

luminali possa essere un fattore scatenante di fondamentale importanza. La rottura dell’interazione

tra barriera mucosale, GALT e flora microbica induce la liberazione di citochine (IL8, TNF, ..),

l’attivazione della cascata infiammatoria e il passaggio del sistema immunitario da un sistema di

tolleranza a un sistema immunitario attivo. Questo esita in alterazioni della motilità, della secrezione

gastrica e conseguentemente flogosi con la comparsa della sintomatologia clinica.

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DIAGNOSI GASTRITI

Non è sempre possibile giungere ad una diagnosi eziologica definitiva, tuttavia è importante seguire

un iter ben preciso che prevede: raccolta dell’anamnesi (informazioni circa la dieta, l’assunzione di

farmaci, sulla presenza di altri conviventi o conoscenti con i medesimi sintomi, la presenza di

precedenti sintomi gastroenterici), esame fisico, esami ematologici e indagini strumentali (radiologia,

ecografia, endoscopia). In animali giovani o in caso di gruppi affollati è importante escludere la

presenza di parassitosi o di alcune malattie infettive (per esempio Parvovirosi).

Le forme acute molto lievi spesso sono autolimitanti e si risolvono nel giro delle prime 24 ore spesso

senza che l’animale venga neppure portato in visita. Se ci troviamo a valutare un paziente con gastrite

acuta, è importante definire la gravità della malattia in corso. In un paziente con patologia lieve, non

abbattuto e con sintomi clinici minimi, una volta esclusa con l’anamnesi l’assunzione di farmaci o

tossici, sarà sufficiente valutare lo stato di disidratazione dell’animale (ematocrito e proteine totali),

la glicemia e l’eventuale presenza di squilibri elettrolitici e alterazioni dell’equilibrio acido base

(misurazione elettroliti o emogasanalisi). È sempre opportuno escludere la presenza di corpi estranei

gastrici con un radiogramma o un esame ecografico. In animali molto giovani è corretto eseguire

anche un esame coproparassitologico.

Se invece la patologia appare clinicamente più grave è bene fin da subito eseguire un iter diagnostico

completo con esami ematobiochimici estesi, eventualmente integrati con profili ormonali nel caso si

sospetti un ipoadrenocorticismo, associati ad un esame ecografico. L’endoscopia, se escludiamo la

presenza di un corpo estraneo, non risulta essere un esame diagnostico utile e necessario nelle forme

acute. Anzi è da considerarsi un errore diagnostico sottoporre ad endoscopia gastrica un animale con

gastrite acuta se escluso un corpo estraneo o senza aver eseguito l’iter suddetto.

Le gastriti croniche (spesso anch’esse rappresentazione di un IBD) necessitano invece fin da subito

di un profilo diagnostico esteso con esami completi, profili del malassorbimento, diagnostica per

immagini oltre di un profilo fecale completo. Se, una volta escluse le altre potenziali cause,

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sospettiamo una forma di IBD, l’endoscopia in questi casi risulta essere, dopo un accurato trial

dietetico e antibiotico, un esame indispensabile per giungere alla diagnosi definitiva, grazie

all’esecuzione di biopsie gastrointestinali da sottoporre ad esame istopatologico. Poiché come detto

la gastrite cronica idiopatica rientra nel gruppo delle IBD, è necessario eseguire anche biopsie

intestinali durante la solita sessione endoscopica. La presenza di folati e cobalamina bassi indica la

necessità di valutare e campionare anche l’ileo. È importante eseguire l’esame in pazienti

correttamente preparati e con una strumentazione adeguata. Dal punto di vista istopatologico, come

già anticipato, le gastriti croniche vengono classificate in base alla localizzazione, allo spessore della

mucosa, tipo di infiltrato, entità delle lesioni e della fibrosi. La forma linfoplasmocitica è quella

maggiormente diagnosticata, mentre solo più raramente sono descritte forme neutrofiliche,

macrofagiche o eosinofiliche. La gastrite eosinofilica è una patologia raramente riscontrata nel cane

e nel gatto, caratterizzata da infiltrazione di eosinofili a livello della lamina propria gastrica. Ha

un’eziologia sconosciuta e nel Rottweiler, razza predisposta, è descritta una forma idiopatica

probabilmente legata a fenomeni di ipersensibilità di tipo I e IV. Spesso si associata a sintomi

dermatologici, asma e localizzazione intestinale. Nel gatto rientra nel complesso della sindrome

ipereosinofilica. Macroscopicamente presenta lesioni simili a forme neoplastiche, spesso di tipo

granulomatoso e con marcato ispessimento della parete, per cui è basilare eseguire delle biopsie

intestinali per diagnosticarla e distinguerla da un tumore. Seppur abbia abitualmente un andamento

cronico, talvolta può presentarsi anche in forma acuta.

Le forme descritte possono esulare in forme atrofiche e ipertrofiche. La prima è caratterizzata da

riduzione dello spessore della mucosa con appiattimento dell’epitelio ed estesi fenomeni degenerativi

a carico del comparto epiteliale e ghiandolare, in associazione ad una fibrosi più o meno grave. Mentre

nell’uomo questa forma è sempre l’esito finale di una grave gastrite cronica, negli animali sono

possibili regressioni trattando la flogosi ed eliminando la causa scatenante. La forma ipertrofica è

invece caratterizzata da proliferazioni mucosali focali e diffuse associata a pliche ispessite e spesso

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con erosioni e ulcere superficiali. La mucosa appare come l’apparato ghiandolare iperplastica con

fenomeni di metaplasia e infiltrato infiammatorio e fibrosi.

Anche in corso di ulcera gastrica, escluse tutte le altre cause con anamnesi, esami ematologici e

diagnostica per immmagini, è utile l’esecuzione di biopsie endoscopiche per escludere la presenza di

forme tumorali.

Poiché l’esito dell’esame istologico è basilare per giungere ad una diagnosi definitiva e per la terapia

futura, sarebbe importante servirsi di laboratori che offrano la presenza gastroenteropatologi

veterinari esperti e che refertino secondo linee guida standardizzate. È utile sottolineare però che

l’esame istologico ha senso solo se correlato all’anamnesi, alla clinica e a tutti le altre indagini

diagnostiche eseguite sul soggetto.

TERAPIA GASTRITI

È evidente che quando possibile dovrebbe essere trattata la causa primaria della malattia.

La gastrite acuta è spesso autolimitante e si assiste, nelle forme lievi, ad un miglioramento nell’arco

di 24-48 ore, spesso senza impiegare alcun farmaco. È comunque utile somministrare una dieta

iperdigeribile, in piccoli pasti suddivisi durante la giornata; l’acqua deve essere razionata almeno

nelle prime 24 ore. La vecchia concezione di mantenere a digiuno per tempi prolungati questi pazienti

(da 24 fino addirittura a 48 ore ad esempio in caso di pancreatite) è ormai superata oltre dimostrata

essere dannosa, e ripristinare quanto prima possibile la funzione enterica, garantendo l’apporto in

kcal necessarie per il fabbisogno giornaliero dell’animale, influenza fortemente la prognosi della

malattia. In casi di grave disidratazione e persistenza dell’emesi è importante intraprendere una

fluidoterapia bilanciata e l’impiego di antemetici, che dovrebbero essere usati solo a casi vomito

persistente, incoercibile e meglio se con eziologia nota. La nausea può essere controllata con farmaci

antiacidi. In presenza di ulcere gastriche è utile l’impiego di farmaci citoprotettivi come ad esempio

il sucralfato e di una fluidoterapia endovenosa per migliorare il microcircolo mucosale.

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Per una trattazione precisa e completa di questi farmaci si rimanda a testi e bibliografia specifica,

tuttavia di seguito verranno fornite alcune informazioni circa i principali farmaci antiemetici, antiacidi

e citoprotettivi.

I farmaci antiemetici possono agire sia perifericamente bloccando la neurotrasmissione a livello

recettoriale sia centralmente bloccando la stimolazione della CTZ e/o il centro del vomito.

Tra i farmaci antiemetici maggiormente impiegati riconosciamo gli antagonisti dei recettori della

dopamina (metoclopramide, domperidone), della serotonina (ondasetron, metoclopramide) e delle

neurochinine (maropitant). La metoclopramide è un antagonista dei recettori dopaminergici D2 e 5-

HT3 serotoninergici. Soprattutto l’azione su questi ultimi recettori è responsabile dell’azione

antiemetica, e giustifica la blanda azione antiemetica presente nel gatto privi invece dei recettori

dopaminergici. La metoclopramide ha anche azione colinergica, tramite cui è in grado di aumentare

il tono dello sfintere esofageo inferiore e l’ampiezza delle onde peristaltiche e quindi lo svuotamento

gastrico (azione procinetica). Tuttavia questa azione è stata messa in dubbio da alcuni studi recenti.

Ad alte dosi o dopo somministrazione endovenosa rapida, la metoclopramide può provocare

eccitazione del SNC (effetti extra piramidali); non dovrebbe utilizzata nei pazienti epilettici, in caso

di insufficienza renale e se si sospetta una ostruzione o perforazione gastrointestinale, anche se tale

evenienza non è forse così pericolosa visto che l’azione procinetica intestinale è dubbia o minima. Il

dosaggio della metoclopramide varia da 0,2-0,5 mg/kg SC, IM o PO ogni 6-8 ore. In infusione ev

continua si utilizza normalmente il dosaggio di: 0,01-0,02 mg/ kg /ora. Il domperidone, che

antagonizza i recettori dopaminergici D2 a livello del tratto gastroenterico e della CTRTZ e i recettori

alfa2 e beta2 adrenergici, viene prevalentemente impiegato per il suo effetto procinetico (con aumento

del tono dello sfintere esofageo e dell’attività peristaltica lungo il tratto digerente), ma esplica anche

azione antiemetica. Non in grado di attraversare la barriera ematoencefalica ed è quindi privo di effetti

extra-piramidali; viene usato alla dose di 0.1-0.5 mg/kg BID IM o IV o 0.5-1 mg/kg BID o TID PO.

L’ondasetron è il principale farmaco appartenente alla categoria degli inibitori dei recettori

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serotoninergici; è un inibitore del recettore 5-HT3 della serotonina sia a livello periferico che della

CRTZ che del centro del vomito, anche se la maggior parte dell’azione avviene a livello enterico.

Non presenta particolari effetti collaterali tranne sedazione, lambimento e scuotimento della testa, ma

è importante ricordare che, essendo un potente substrato per la proteina P (codificata dal gene MDR1),

nel Collie e affini, non dovrebbe essere impiegato. Viene impiegato alle dosi di 0,5-1 mg/kg PO SID

o BID nel cane. Il maropitant è un antagonista potente e selettivo dei recettori NK-1 (neurochininici)

a livello centrale e inibisce il legame della sostanza P (principale neurotrasmettitore coinvolto nel

vomito) a questi recettori a livello del SNC; per questo motivo è in grado di inibire sia il vomito

centrale che periferico, sia acuto che da cinetosi. Essendo metabolizzato dal fegato in corso di

patologia epatica va somministrato con cautela. Il maropitant presenta pochi effetti collaterali,

raramente si può evidenziare vomito entro due ore dalla somministrazione e dolore nel sito di

inoculazione, soprattutto nel gatto, effetto che aneddoticamente può essere ridotto refrigerando il

farmaco. Molto raramente possono presentarsi reazioni di tipo anafilattico come edema, eritema,

collasso, dispnea. Viene impiegato alla dose di 1 mg/kg SC SID fino a 5 giorno oppure di 2 mg/kg

PO SID.

I farmaci antiacidi più efficaci sono gli antagonisti dei recettori H2 e gli inibitori della pompa

protonica (IPP). Questi farmaci inibiscono in maniera competitiva i recettori H2 a livello delle cellule

parietali gastriche riducendo la secrezione acida e della pepsina del 70-90% circa. I farmaci anti-

istaminici H2 antagonizzano gli effetti dell’istamina a livello gastrico inibendo sia la secrezione di

HCl che di pepsina. I principali farmaci anti-H2 utilizzati nel cane e nel gatto sono cimetidina,

ranitidina e famotidina, che differiscono tra loro per potenza e durata d’azione. Gli anti H2 sono

ritenuti oggi farmaci abbastanza sicuri, sebbene siano stati descritti rari effetti collaterali a carico del

SNC e reazioni cutanee. Infine è bene ricordare che gli anti-H2 non dovrebbero essere somministrati

contemporaneamente (almeno a diverse ore di distanza) a ketoconazolo, itraconazolo e altre molecole

analoghe in quanto il loro effetto sul pH gastrico può diminuire significativamente la quantità di

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antimicotico assorbita. La rantidina è sicuramente il farmaco maggiormente usato. Inibisce per

antagonismo competitivo e reversibile i recettori H2 dell’istamina sulle cellule parietali gastriche,

riducendo la secrezione acida, soprattutto nelle condizioni basali ed anche dopo stimolazione (sia per

il cibo che per gastrina, istamina ed insulina). La ranitidina inoltre attraverso l’inibizione

dell’acetilcolinesterasi si ipotizza possa accelerare lo svuotamento gastrico ed aumentare il tono dello

sfintere esofageo inferiore. Non presenta effetti collaterali di particolare rilievo. Nel cane viene usata

alle dosi di 2 mg/kg PO, SC, EV BID, nel gatto 3,5 mg /kg PO BID o 2,5 mg/kg EV in infusione

lenta.

Gli inibitori di pompa protonica (omeoprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo) hanno un’efficacia

superiore a quella degli H2-antagonisti nel sopprimere la secrezione acida gastrica, bloccando in

maniera specifica e selettiva la pompa protonica (sistema enzimatico H+/K+-ATPasi) a livello delle

cellule parietali dello stomaco inibendo così la secrezione di HCl. Più recentemente, è stata attribuita

agli IPP anche un’azione protettiva sulla mucosa gastrica attraverso un aumento dell’espressione della

ciclossigenasi-2 (COX-2) e quindi anche delle prostaglandine (PGEs). Trattamenti per periodi molto

lunghi possono indurre effetti collaterali secondari all’effetto sulle cellule gastriche esocrine

(l’inibizione della secrezione acida risulta in un aumento compensatorio della produzione di gastrina

inducendo un aumento di volume e di numero delle cellule parietali), all’effetto sulle cellule

endocrine (cellule enterocromaffini ECL / D cell che producono somatostatina / A-like cell che

producono grelina), con potenziali effetti oncogeni dimostrati nel ratto; nell’uomo sono descritti

anche la formazioni di polipi gastrici, la predisposizione allo sviluppo di gastrite atrofica, oltre

alterazioni dell’assorbimento e del microbiota, con predisposizione alla disbiosi in caso di trattamenti

molto lunghi. L’omeoprazolo è il farmaco maggiormente impiegato come antiacido e nella

prevenzione delle ulcere gastriche provocate da terapie protratte con FANS. Viene assorbito a livello

intestinale e il suo effetto raggiunge il livello massimo dopo 4-5 giorni di terapia. Il farmaco ha scarsi

effetti collaterali; la somministrazione per tempi lunghi tuttavia (oltre 3 settimane di trattamento

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continuativo), potrebbe provocare ipertrofia della mucosa gastrica, diarrea e/o aumento dell’attività

degli enzimi epatici. L’omeprazolo infatti, riduce l’attività del complesso enzimatico citocromo P-

450 e, di conseguenza, allenta l’escrezione di alcuni farmaci quali diazepam, fenitoina, warfarin,

digossina e carbamezapina. Inoltre, inibendo la secrezione acida, al pari dei farmaci anti-H2 ostacola

l’assorbimento del ketoconazolo, itraconazolo e dei composti del ferro. Viene impiegato alla dose di

0.7-1 mg/kg PO SID o BID. Recenti lavorii scientifici hanno dimostrato una maggior efficacia degli

IPP rispetto agli anti H2 nell’aumentare il pH gastrico, soprattutto se somministrati due volte al

giorno.

I farmaci citoprotettivi agiscono controllando e potenziando i fattori di difesa della mucosa

gastroduodenale; ad oggi vengono utilizzate essenzialmente due categorie di farmaci in grado di

produrre quest’effetto, le prostaglandine di sintesi (misoprostolo) e gli agenti di barriera.

L’impiego delle prostaglandine di sintesi, nella prevenzione e nella terapia delle lesioni della mucosa

gastroduodenale da FANS deriva dal dimostrato ruolo citoprotettivo delle prostaglandine (PGE1,

PGE2) e delle prostacicline endogene. Esse, infatti, stimolano la produzione di muco gastrico, la

secrezione di bicarbonato e normalizzano il flusso ematico. Gli agenti di barriera invece agiscono sia

indirettamente, mediante stimolazione delle prostaglandine endogene, sia direttamente proteggendo

le lesioni della mucosa gastrica dall’azione dei fattori aggressivi endogeni.

Il misoprostolo, principale esponente di questa classe è un analogo molto efficace della PGE1. Il suo

meccanismo d’azione, del tutto simile a quello delle prostaglandine naturali, è legato alla stimolazione

della secrezione di muco e di bicarbonato oltre che ad aumento del flusso sanguigno a livello della

mucosa gastrica che comporta un miglioramento delle condizioni trofiche locali. Tuttavia vari lavori

scientifici recenti mettono in dubbio la sua reale efficacia nel prevenire le ulcere da farmaci. A dosi

elevate, il misoprostolo può anche agire riducendo la secrezione gastrica di HCl e di gastrina. Risulta,

però, meno efficace rispetto ai farmaci anti-H2 nel controllo dell’iperacidità gastrica; molti Autori

considerano il misoprostolo come il farmaco di prima scelta nella prevenzione delle ulcere da FANS.

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L’uso del farmaco è controindicato negli animali gravidi in quanto può causare aborto. Inoltre tra gli

effetti collaterali segnalati del misoprostolo ci sono la diarrea e le coliche addominali. Non

andrebbero inoltre somministrati a pazienti che sono sottoposti a terapia potenzialmente

nefrotossiche. Viene impiegato alla dose di 2-5 mcg/kg BID o TID sia nel cane che nel gatto.

Il sucralfato è un sale complesso, insolubile in acqua, formato da saccarosio ortosolfato e idrossido

di alluminio. La sua attività antiulcera si esplica attraverso differenti meccanismi. Il farmaco si lega

alle proteine del cratere dell’ulcera che viene così coperta da uno strato protettivo colloso che la

protegge dall’azione aggressiva dell’HCl, della pepsina e dei sali biliari; esso, inoltre, svolge un

effetto citoprotettivo stimolando la produzione di PGEs endogene aumentando quindi la produzione

di muco e la secrezione di bicarbonato da parte della mucosa gastro-duodenale normalizzando, allo

stesso tempo, il flusso ematico a livello di mucosa. Esso è utilizzato principalmente nel trattamento

delle ulcere e delle erosioni gastroduodenali. Il sucralfato non esercita effetti sistemici in quanto la

sua insolubilità in sospensione acquosa ne impedisce l’assorbimento. Poiché il farmaco riduce la

biodisponibilità di cimetidina, tetracicline, azitromicina, fenitoina e teofillina, è buona norma

distanziare di almeno 2 ore le somministrazioni; il sucralfato riduce, inoltre, l’assorbimento dei

chinoloni. Agisce meglio a pH acido per cui il suo impiego dovrebbe avvenire a distanza o in assenza

di terapia con anti H2.

L’uso degli antibiotici in corso di gastroenteropatia è controverso e dovrebbe essere riservato solo ai

casi certa necessità, visti i potenziali effetti negativi sul microbiota. In corso di HGE è comune

l’impiego di antibiotici (metronidazolo e amoxacillina e acido clavulanico). Tuttavia in uno studio

recente non si evidenziava una differenza prognostica tra gruppi di pazienti trattati e non trattati con

antibiotici.

La terapia delle gastriti cronica idiopatica si basa, come le IBD, sull’impiego di farmaci

immunosoppressori associati a antiacidi e citoprotettivi. Gli immunosoppressori devono essere

somministrati solo dopo l’esito di un esame istologico, l’esclusione di altre cause di gastrite cronica

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e un adeguato trial dieteteico. Il prednisolone è il farmaco maggiormente utilizzato sia nel cane che

nel gatto. Vengono abitualmente impiegati dosaggi di 2 mg/kg/die a scalare per almeno 6-8 settimane.

Tuttavia in bibliografia vengono descritti vari protocolli e la durata del trattamento può essere

variabile da soggetto a soggetto, in base alla risposta clinica. L’impiego di cortisonici ad alto dosaggio

è spesso associato alla comparsa di effetti collaterali gravi (PU/PD, iperadrenocorticismo iatrogeno,

diabete, pancreatite, epatopatie, incremento ponderale, debolezza, sintomi gastroenterici tra cui ulcera

peptica) per cui, in questo caso e in cani sopra i 30 kg, è abitudine associare altri immunomodulatori

come l’azatioprina o la ciclosporina, abbassando in questa maniera la dose di partenza del

prednisolone a 1 mg/Kg/die. Può essere impiegato anche il desametasone a 0.2-0.4 mg/kg SID. Ha

effettuo più rapido e più potente rispetto al prednisolone, ma anche maggiori effetti collaterali e azione

dannosa sull’orletto a spazzola intestinale. La budesonide è un ottimo farmaco cortisonico che agisce

prevalentemente a livello intestinale con scarsi effetti sistemici, per cui vari lavori scientifici recenti

hanno evidenziato l’efficacia dell’impiego nel cane e nel gatto, in particolar modo in animale che non

possono assumere cortisonici. La dose è 3 mg/mq PO SID, che empiricamente corrisponde a 1 mg

per cani di taglia piccola e gatti, 3 mg per cani di taglia media e 4 mg per cani di taglia grande. In

gatti non trattabili è possibile impiegare il metilprednisolone acetato alla dose di 20 mg SC da

ripetere dopo 2 settimane e poi scalare ulteriormente a seconda della risposta clinica. Tuttavia questo

farmaco non deve essere preso assolutamente come prima scelta terapeutica. L’azatioprina, farmaco

inibitore del ciclo cellulare, esplica la propria azione immunomodulatrice interferendo con la sintesi

degli acidi nucleici e inibendo la proliferazione dei linfociti B e le reazioni di ipersensibilità. Viene

impiegata abitualmente in associazione al prednisolone solo nel cane alla dose di 1 mg/kg per 15

giorni, poi a dose dimezzata per altri 15-30 giorni, poi a giorni alterni scalandolo ulteriormente a

seconda dell’andamento clinico del paziente. Anche per questo farmaco sono comunque descritti vati

protocolli. È importante ricordare che l’effetto dell’azatioprina è evidente dopo 2-3 settimane di

terapia. Sono descritti epatotossicità e soppressione midollare (legati alla carenza dell’enzima

tiopurina metiltransferasi), per cui è necessario monitorare i parametri epatici e l’emogramma durante

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la terapia. Nel gatto, questo è maggiormente evidente per cui l’azatioprina non deve essere utilizzata.

La ciclosporina è un farmaco immunomodulatore selettivo che esplica la propria azione

immunosoppressiva agendo sui linfociti T e sulla risposta T-dipendente dei linfociti B, inibendo la

produzione di IL2 e altre citochine prodotte dai linfociti T e la funzione di presentazione dell’antigene

alle APC. Viene impiegato alla dose di 5 mg/kg SID sia nel cane che nel gatto. Come l’azatioprina

agisce dopo almeno due settimane di somministrazione. È un farmaco relativamente sicuro, anche se

sono descritti effetti collaterali di natura gastroenterica e iperplasia/papillomatosi gengivale

(generalmente responsive alla somministrazione di azitromicina). Poiché anch’essa impiega la via

metabolica del citocromo P450, vari farmaci possono agire competitivamente con la CsA. In particola

modo il ketoconazolo può aumentare fino a 5 volte il suo livello ematico, per cui in caso di

somministrazione combinata è necessario adeguare il dosaggio della stessa. Il suo grosso limite è il

costo, che diventa esorbitante in caso di cani di taglia medio-grande. È possibile anche l’impiego di

clorambucile e ciclofosfamide, derivati delle mostarde azotate. Il primo farmaco non specifico nei

confronti del ciclo cellulare che viene impiegato soprattutto nel gatto sia con IBD che linfoma, da

solo o in associazione con prednisolone. Esistono vari protocolli di impiego anche se la

somministrazione di 2 mg/gatto PO per 3 giorni consecutivi alla settimana con 4 di sospensione è

quello maggiormente in uso. Recentemente sono usciti anche lavori in merito al suo impiego nel can

in associazione al prednisolone in casi di PLE refrattarie. Nel cane viene impiegato alla dose di 0.1-

0.2 mg/kg PO SID. La ciclofosfamide inibisce la linfoagiogenesi in particolar modo dei Th2, viene

impiegata nel cane con IBD a 50 mg/mq fino a 4 giorni alla settimana. Un recente lavoro ha valutato

l’impiego della mesalazina (12.5 mg/kg BID), farmaco abitualmente impiegato nella terapia

dell’IBD del grosso intestino, identificando una riduzione dell’infiltrato infiammatorio e dei sintomi

clinici in corso di gastrite cronica linfoplasmacellulare. Vari lavori dimostrano che anche l’acido

ursodesossicolico (10-15 mg-kg SID), tipicamente impiegato per le sue proprietà epatoprotettrici e

coleretiche, svolge una blanda attività immumodulatrice riducendo la produzione anticorpale dei

linfociti B e di interleuchine da parte dei linfociti T.

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HELICOBACTER NEL CANE E NEL GATTO: C’E’ QUALCOSA DI NUOVO?

Introduzione

L’associazione tra la presenza di sintomi suggestivi di una gastropatia cronica, l’isolamento di germi

del genere Helicobacter e il ruolo di questi nella genesi della patologia gastrica, è argomento da tempo

dibattuto anche in medicina veterinaria. Se nell’uomo, dopo anni di studio e numerosi lavori

scientifici, è stata dimostrato un ruolo patogenetico dei germi spirillari e in particolar modo H.Pylori,

nello sviluppo di gastrite cronica, ulcera peptica e neoplasia gastrica (carcinomi e linfomi MALT) e

ciò ha radicalmente cambiato l’interpretazione e la gestione di buona parte delle patologie gastriche

croniche da parte dei gastroenterologi umani, nel cane e nel gatto, ciò, anche se supportato da vari

studi, allo stato attuale non è stato mai confermato con certezza in animali non infettati

sperimentalmente.

Classificazione scientifica

Dominio Prokaryota

Regno Bacteria

Phylum Proteobacteria

Classe Proteobacteria Epsilon

Ordine Campylobacterales

Famiglia Helicobacteraceae

Genere Helicobacter

I germi del genere Helicobacter spp. (GHLO) sono germi Gram negativi, microaerofili, da curvi a

spirale, mobili per la presenza di flagelli, di medio-grandi dimensioni nel cane e nel gatto (0,5x1,5

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micron). Ne sono riconosciute circa 30 specie, non distinguibili al microscopio ottico, ma solo a

quello elettronico o con tecniche di biologia molecolare. Si localizzano soprattutto a livello gastrico

nel muco superficiale, nel lume delle ghiandolare e nelle cellule parietali oltre che nel colon, sempre

a livello di muco superficiale e cripte, molto più raramente a livello del piccolo intestino ed

occasionalmente a livello epatico. Nello stomaco canino sono stati isolati H.rappini, H.felis,

H.bizzozzeronii, H.heilmannii, H.salomonis e H.bilis, H.cynogastricus mentre in quello felino,

H.felis, H.heilmannii like, H.pametentis e H.baculiformis, H.pylori con maggior prevalenza per

H.felis ed heilmannii. Per entrambe le specie sono descritte infezioni miste. Mentre nell’uomo

H.pylori ha prevalentemente localizzazione antrale, nel cane e nel gatto i GHLO si localizzano

soprattutto a livello di fondo e corpo. In un lavoro, eseguito su cani da laboratorio, è stata evidenziata

la presenza a livello del fondo gastrico soprattutto di H.bizzozzeronii e felis, e segnatamente di

H.bizzozzeronii a livello intracellulare, sia nelle cellule parietali (intracanalicolare o

intracitoplasmatico) che nei macrofagi a livello della lamina propria del fondo gastrico, portando a

sostenere un suo ruolo nell’attivazione di una risposta immunitaria (sia umorale che cellulo-mediata)

oltre che nella genesi e nel mantenimento della gastropatia cronica. Tuttavia questi pazienti erano

asintomatici e presentavano solo una lieve flogosi gastrica all’esame istopatologico e questo

supporterebbe, secondo il parere degli autori, una tolleranza immunitaria dell’ospite.

Come già espresso esistono anche GHLO che si localizzano in sede non gastrica, definiti enteropatici,

e segnatamente a livello colico ed epatico. In un recente lavoro varie specie di GHLO (H.canis,

H.bizzozeronii, H. bilis, H.salomonis prevalentemente, più sporadicamente H.felis) sono stati isolati

nel muco superficiale e nelle cripte del colon di cani sani e con sintomi gastroenterici. Poiché nello

studio, una maggior presenza di GHLO si associava spesso a una flogosi più grave e fibrosi/atrofia

mucosale all’esame istopatologico di cani con sintomatologia gastroenterica moderata/grave, gli

autori hanno supportato l’ipotesi di un ruolo dei germi GHLO nella genesi di IBD. Sporadicamente i

GLHO sono segnalati anche a livello epatico, ed è presente in bibliografia un case report di un

cucciolo deceduto per epatite e pancreatite necrotizzante, in cui H.canis è stato isolato nel parenchima

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epatico e nelle vie biliari, senza però che via stata la dimostrazione di un suo ruolo nella genesi della

patologia. Nel gatto i GHLO (in particolare H.pylori, felis, bilis, fenelliae, nemistrineae) sono stati

isolati tramite PCR dalle biopsie eseguite su biopsie epatiche di pazienti con colangiti/colagioepatiti

e altre patologie epatiche non colestatiche (PSS), mentre in un altro lavoro H.pylori veniva isolato

dalla bile nel 26% dei casi di colangite linfocitica. Quindi questo supporterebbe l’ipotesi di un

potenziale ruolo di alcuni ceppi di GHLO in queste patologie, come avviene nell’uomo per la cirrosi

biliare e la colangite sclerosante. Tuttavia non esiste alcuno studio che dimostri se questi germi siano

causa della patologia in atto oppure semplici opportunisti non patogeni.

Grazie a numerosi studi sull'H.pylori sono stati individuati vari meccanismi patogenetici tramite cui

questi germi riescono a compiere la loro azione patogena e soprattutto a sopravvivere in ambiente

gastrico, ostile ad molti altri microrganismi: innanzitutto sono batteri microaerofili, quindi in grado

di crescere senza problemi anche in un'atmosfera poco ossigenata; presentano, come già detto, una

forma a spirale ed sono dotati di flagelli all'estremità polare e grazie a queste caratteristiche riescono

a produrre un movimento a "cavatappi" che, unitamente alla produzione di mucinasi, gli consente di

penetrare la barriera di muco che protegge la mucosa gastrica; sono dotati di adesine e glicocalice,

che gli permettono di aderire all'epitelio gastrico rimanendo immuni ai movimenti peristaltici ed al

continuo ricambio dello strato mucoso che protegge le pareti gastriche; infine mostrano una spiccata

capacità di produrre ureasi, un enzima che scinde l'urea in anidride carbonica ed ammoniaca, che per

la sua basicità, neutralizza l'acido prodotto nello stomaco, assicurando un pH idoneo alla crescita e

alla proliferazione dei GHLO. Una volta colonizzato l’epitelio gastrico, i germi attraverso la

produzione di citotossine (VacA), molecole effettrici (CagA), enzimi (mucinasi, proteasi, lipasi)

inducono il danno epiteliale, apopotosi delle cellule epiteliali e la liberazione di citochine pro-

infiammatorie (in particolare IL1 beta, IL8, IL10, IFN gamma e TGF beta) e mantenendo elevate le

concentrazioni di acido cloridrico. La distruzione della barriera mucosale deriva anche dalla riduzione

della secrezione di somatostatina, con conseguente ipergastrinemia. Producendo catalasi e

superossidodismutasi, sono in grado di sfuggire al killing intracellulare dopo la loro fagocitosi.

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Si ritiene che anche in sistema immunitario dell’ospite giochi un ruolo fondamentale nella genesi

della malattia, con una rottura della tolleranza immunitaria nei confronti del germe.

I GHLO hanno un’elevata prevalenza negli adulti e anziani rispetto ai soggetti giovani (in percentuale

sovrapponile tra animali sani e con sintomi gastroenterici, con picchi anche del 100% in animali da

laboratorio) e sono principalmente evidenziabili in soggetti che vivono in gruppi numerosi.

Nell’uomo la prevalenza aumenta con l’età, raggiungendo il picco intorno ai sessant’anni (dopo si

assiste ad una netta riduzione per la maggior presenza di forme atrofiche di gastrite che creano

condizioni inadatte per l’infezione), ed è soprattutto evidente in paesi in via di sviluppo, con

condizioni di sovraffolamento e igienico sanitarie scarse. La trasmissione nell’uomo può avvenire per

via oro-orale, gastro-orale ed oro-fecale e anche nel cane e nel gatto son ipotizzati meccanismi simili.

Argomento molto dibattuto è la possibilità di trasmissione zoonosica all’uomo di specie di

Helicobacter isolate negli animali. Nella specie umana infatti sono isolati (seppur con incidenza

inferiore al 6%) anche batteri di specie Helicobacter non pylori (NHPH), tipici negli animali come ad

esempio H.heilmannii, H.felis, H.suis, H.bizzozzeronii, H.salomonis. In uno studio H.suis era

presente nel 36% dei casi di isolamento gastrico di NHPH, e a seguire H.salomonis (21%), H.felis

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(15%) e H.bizzozzeroni (8%). Anche questi (e curiosamente esistono diversi report su H.heilmanii e

felis) sono associati a gastrite, ulcere e neoplasie gastriche. H.pylori inoltre, seppur raramente, è

isolato anche nel gatto a livello gastrico ed epatico, per cui la specie felina potrebbe svolgere un ruolo

di importante reservoir. Tuttavia, vista la netta prevalenza di H.pylori nell’uomo, è nettamente più

probabile una trasmissione inter-umana, piuttosto che zoonosica.

Sintomatologia clinica

I sintomi clinici correlati alla presenza di GHLO sono aspecifici e sovrapponibili a quelli di qualsiasi

altra gastropatia cronica, quindi non è possibile distinguere con questi, un’ipotetica gastrite cronica

secondaria alla presenza di GHLO da una forma idiopatica o di altra natura. Inoltre anche in presenza

di GHLO gastrici i pazienti possono essere totalmente asintomatici e possono essere assenti

alterazioni istologiche.

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Diagnosi

La presenza di germi del genere Helicobacter spp. nell’uomo può essere diagnosticata sia con metodi

invasivi (endoscopia e biopsia con esame cito-istologico, coltura, biologia molecolare, test dell’ureasi

su biopsia, o microscopia elettronica) che non invasivi (sierologia, PCR su feci, test dell’urea espirata-

UBT, test rapidi per la ricerca degli anticorpi su saliva e urina). In medicina veterinaria la maggior

parte dei test non invasivi non è purtroppo applicabile o non è stata attualmente validata.

Test diagnostici utilizzabili per la diagnosi di Helicobacter spp.

Test non invasivi

Test sierologico

UBT

PCR su feci

Ricerca AC su saliva, urine, feci (test rapido)

Test invasivi

Citologia

Istologia

Immunoistochimica

Test rapido ureasi su biopsia

Esame colturale

PCR su biopsia

FISH

Il test sierologico usato per l’uomo in particolare, non è applicabile nel cane poiché specifico per la

ricerca degli anticorpi di H.pylori e non per le altre specie NHPH. In medicina veterinaria tale esame

risulta avere limiti importanti legati all’estrema variabilità dei GHLO presenti. Nel cane esistono

alcuni lavori in cui è stata eseguita la misurazione di immunoglobuline specifiche per H.felis e

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bizzozzeronii. Nel primo, in cui l’ELISA e stata associata alla tecnica dell’Immunoblotting (test

altamente specifici e moderatamente sensibile di infezione), i risultati ottenuti hanno indicato una

sostanziale omologia antigenica fra H. felis, H. pylori, e H. bizzozeronii. Tuttavia la positività

(maggiore nei soggetti infetti rispetto ai non infetti) non poteva essere collegata alla densità batterica,

al grado di infiammazione gastrica o alla presenza di follicoli linfoidi. In un altro lavoro più recente,

in cui è stata eseguita la ricerca di IgG per H.felis, i risultati sono stati poco significativi, con titoli

maggiori nei non infetti. Questo test rimane, allo stato attuale, impiegato in medicina veterinaria solo

a scopo sperimentale e non trova applicazioni pratiche. Anche nell’uomo, presenta il limite di non

poter essere comunque impiegato per il monitoraggio terapeutico, poiché gli anticorpi prodotti

rimangono in circolo anche mesi o anni dopo l’eradicazione dei germi.

Un lavoro del 2012 ha valutato nel cane il test dell’urea espirata (UBT). Questo test si basa sul fatto

che i GHLO, come già descritto in precedenza, producono elevate quantità di enzima ureasi per

sopravvivere nell’ambiente gastrico e questo, idrolizzando l’urea, produce ammoniaca e anidride

carbonica, che assorbita dalle pareti gastriche, viene eliminata per via respiratoria. Somministrando

al paziente una bevanda con urea marcata con isotopi del carbonio (C13), in presenza di Helicobacter

spp, viene prodotta CO2 radiomarcata che sarà identificabile tramite la spettrometria di massa.

Nell’uomo questo test viene impiegato routinariamente e gode di elevata sensibilità e specificità, sia

come screening diagnostico che come monitoraggio terapeutico. I risultati ottenuti sono stati

incoraggiati anche nel cane, con una sensibilità e una specificità intorno al 90%. Seppur non vi siano

studi che correlino i valori ottenuti all’UBT test e la gravità dell’infezione, falsi negativi possono

essere imputabili ad una carica molto bassa di GHLO o a trattamenti antibiotici effettuati prima del

test, mentre falsi positivi possono derivare dalla presenza di altri germi ureasi produttori come

Enterobacter, Klebsiella e Pseudomonas. Tuttavia questo esame necessità di ulteriori validazioni nel

cane e non è privo di difficoltà tecniche (collaborazione del paziente, morfologia nasale, mole, …).

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UBT eseguito su un cane, tratto da Value of the 13C-Urea Breath Test for Detection of Gastric Helicobacter spp.

Infection in Dogs Undergoing Endoscopic Examination Sanae KUBOTA, Koichi OHNO, Atsushi TSUKAMOTO,

Shingo MAEDA, Yosuke MURATA, Ko NAKASHIMA, Kenjiro FUKUSHIMA, Kazuyuki UCHIDA, Yasuhito FUJINO

and Hajime TSUJIMOTO

Nel cane e nel gatto, allo stato attuale, il gold standard per la diagnosi dell’infezione da GHLO è

rappresentato dall’identificazione microscopica di germi GHLO all’esame citologico o istologico

delle biopsie gastriche (da eseguirsi in punti diversi dell’organo e in numero elevato vista la

distribuzione focale dei batteri) ottenute tramite prelievo endoscopico o laparoscopico/laparotomico,

con tipizzazione mediante tecniche di biologia molecolare come la PCR o, meglio ancora, la FISH

(Fluorescence in situ Hybridization).

L’esame endoscopico, ottimo mezzo mininvasivo per il campionamento, evidenzia solamente reperti

aspecifici di gastrite, in assenza, generalmente, di lesioni ulcerative gastro-duodenali caratteristiche

invece dell’infezione dell’uomo.

La citologia eseguita per apposizione o schiacciamento delle biopsie (quest’ultima tecnica è da

preferirsi vista la tenacità del tessuto gastrico), seppur rapida ed economica, se da un lato permette di

evidenziare con facilità i germi GHLO, dall’altro presenta il limite di non mostrare con precisione le

alterazioni morfologiche e strutturali presenti a carico della parete gastrica.

L’esame istologico, ovvia questi ultimi problemi, ma presenta anch’esso dei limiti: sono infatti

descritti falsi negativi, anche eseguendo colorazioni immunoistochimiche dedicate come la Warthin

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Starring o la Steiner modificata. Per queste colorazioni immunoistochimiche sono anche descritti falsi

positivi poiché le granulazioni intracitoplasmatiche di alcune cellule neuroendocrine della parete

gastroenterica ed altri ceppi batterici presentano la stessa affinità tintoriale dei GHLO. Nel cane

istologicamente è comune l’associazione della presenza di germi spirillari e una gastrite cronica

superficiale linfo-plasmacellulare con iperplasia linfoide follicolare e fibrosi. Tuttavia nessun lavoro

scientifico ha dimostrato definitivamente che tali alterazioni siano causate da Helicobacter. Nella

specie felina è stata associata la presenza di elevate cariche di GHLO e di flogosi mononucleare,

iperplasia linfoide follicolare, fibrosi e degenerazione ghiandolare. Nel gatto, come nell’uomo, si è

ipotizzata anche una correlazione tra sviluppo di linfoma gastrico e presenza di GHLO. Nella specie

umana è dimostrato che la presenza di H.pylori e di altri ceppi (NHPH) aumentino l’incidenza

dell’adenocarcinoma gastrico e del linfoma MALT. Sono inoltre descritti casi di linfoma MALT

regrediti dopo il trattamento dell’infezione (antibiotic responsive MALT lymphoma). Nel gatto in

un recente lavoro è stata identificata una correlazione tra infezione prevalentemente di H.heilmannii

e sviluppo di linfoma gastrico, in particolar modo linfoblastico. Si ipotizza che l’infezione batterica

sia in grado di indurre uno stimolo antigenico tale da indurre la proliferazione neoplastica del MALT.

Nessun lavoro ad oggi ha indagato la possibilità dell’esistenza anche nella specie felina dell’antibiotic

responsive MALT lymphoma.

In medicina umana viene inoltre eseguito un test enzimatico sull’ureasi rapido su biopsia. Tale test si

basa sul solito concetto dell’UBT, ma in questo caso l’attività ureasica dell’Helicobacter

eventualmente presente nelle biopsie, viene identificato mediante un aumento del pH della soluzione,

identificato da un marcatore (rosso fenolo). In veterinaria tale test è stato solo eseguito

sperimentalmente.

L’esame colturale è caratterizzato spesso da falsi negativi dovuti alle difficoltà tecniche di crescita

dei GHLO. Se positivo è altamente indicativo di infezione.

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La PCR e la FISH risultano ad oggi le tecniche maggiormente sensibili per la diagnosi e la

tipizzazione dei GHLO. La PCR permette l’identificazione dei germi mediante l’amplificazione del

loro materiale genetico partendo da sequenze nucleotidiche note e disponibili in banche dati.

Nell’uomo questo esame può essere eseguito partendo da diversi substrati, in primis su biopsie

gastrointestinali, ma anche su saliva e feci. In medicina veterinaria la sensibilità di tale tecnica è ben

studiata su biopsie gastriche e coliche. In un lavoro è stata valutata inoltre l’esecuzione della PCR su

campioni fecali canini, con risultati incoraggianti, ma è ancora da validare con studi successivi vista

la mancanza dell’impiego in questo caso di sonde specifiche delle varie specie di GHLO (e quindi

con l’impossibilità di sapere se il quadro repertato a livello fecale rappresenti fedelmente la situazione

gastrica) e visto il difficile substrato impiegato, ricco di altri batteri e di sostanze che possono inibire

la reazione polimerasica, con possibili falsi negativi.

Esempio di PCR eseguita per Helicobacter Spp, tratto da Fecal Polymerase Chain Reaction with 16S Ribosomal RNA

Primers can Detect the Presence of Gastrointestinal Helicobacter in Dogs, Joanne K. Shinozaki, Rance K. Sellon,

Glenn H. Cantor, Tom E. Besser, Katrina L. Mealey, and Shelly L. Vaden, J Vet Intern Med 2002;16:426–432

La FISH risulta essere il miglior test per identificare i GHLO intramucosali, anche con basse cariche

sfruttando sonde di DNA specifiche dei germi GHLO, marcate con una molecola fluorescente

(fluorocromi). Questa tecnica rispetto alla PCR non solo conferma la presenza dei germi identificando

il loro materiale genetico, ma determina anche la loro localizzazione a livello della parete gastrica. A

differenza della PCR attualmente viene eseguito solo in alcuni laboratori e non è disponibile in Italia.

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FISH eseguita su biopsia gastrica felina, germi GHLO in rosso - tratto da Fluorescence In Situ Hybridization

Confirms Clearance of Visible Helicobacter spp. Associated with Gastritis in Dogs and Cats A.E. Jergens, M. Pressel,

J. Crandell, J.A. Morrison, S.D. Sorden, J. Haynes, M. Craven, M. Baumgart, and K.W. Simpson, J Vet Intern Med

2009;23:16–23

Indipendentemente dal test impiegato è importante ancora una volta sottolineare come l’identificare

germi GHLO a livello gastrico non significa che vi sia in corso un’infezione da Helicobacter spp e

pertanto la diagnostica per questa malattia passa prima dall’esclusione di altre cause di gastrite

cronica.

Terapia

La terapia medica deriva dai protocolli impiegati in medicina umana e si basa sull’associazione di

antibiotici e antiacidi/gastroprotettori con lo scopo di eradicare il germe e creare un ambiente gastrico

inadatto alla sua proliferazione. Andrebbero trattati quei soggetti in cui, escluse altre cause, siano

presenti segni clinici di gastrite cronica, lesioni istopatologiche compatibili e presenza di germi

GHLO nelle biopsie gastriche, confermati e tipizzati mediante tecniche di biologia molecolare come

PCR e FISH. Nell’uomo vengono impiegate due tipi di terapia, la triplice terapia (associazione di

antisecretivo e/o antiacido con antibiotico per 14 giorni), e la terapia sequenziale (antisecretivo +

amoxicillina per 5 giorni, poi triplice terapia per altri 5 giorni).

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Nel cane e nel gatto sono impiegati vari protocolli. Di seguito si riportano i principali protocolli

presenti in bibliografia.

CANE

Amoxicillina (20mg/kg BID per 14 gg) + Metronidazolo (20mg/kg BID per 14 gg) +

Famotidina (0,5 mg/kg BID per 4 gg)

Claritromicina (30 mg cane BID per 4 gg) + Metronidazolo (20mg/kg BID per 4 gg) +

Ranitidina (10 mg cane BID per 4 gg) + Bismuto (20 mg cane BID per 4 gg)

GATTO

Amoxicillina (20mg/kg BID per 14 gg) + Claritromicina (7,5 mg gatto BID per 14 gg) +

Metronidazolo (10mg/kg BID per 14 gg)

Amoxicillina (20mg/kg BID per 21 gg) + Metronidazolo (15mg/kg BID per 21 gg) +

Omeoprazolo (0,7 mg/kg SID per 21 gg)

Azitromicina (30 mg gatto SID per 4 gg) + Tinidazolo (100 mg gatto SID per 4 gg) +

Ranitidina (20 mg gatto SID per 4 gg) + Bismuto (40 mg gatto SID per 4 gg)

Metronidazolo (30 mg/kg SID per 21 gg) + Spiramicina (15.000 UI/5 kg SID per 21 gg) +

Omeoprazolo (1 mg/kg SID per 14 gg)

La dieta non pare influenzare la risposta alla terapia. In alcuni studi il cambio dietetico è stato eseguito

nelle fasi precoci del trattamento per GHLO, senza che però vi fosse nessune evenienza scientifica di

una sua efficacia nel coadiuvare il trattamento per Helicobacter. Tuttavia alcuni autori ipotizzano che

una sua esecuzione porti comunque vantaggi nella gestione della gastrite cronica presente.

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Prognosi

Nell’uomo molti lavori evidenziano la possibilità di raggiungere la guarigione in percentuali superiori

al 90% soprattutto con la terapia sequenziale, tuttavia sono descritte ricadute. Parimenti nel cane e

gatto in molti casi non è possibile un’eradicazione definitiva del germe ottenendo solo una guarigione

clinica, e ad una negativizzazione iniziale, spesso anche del 100%, a cui seguono reinfezioni o

recidive. Si ipotizza la possibilità che germi GHLO possano albergare anche in sedi extra-

gastroenteriche, difficilmente raggiungibili dagli antibiotici, e da qui ricolonizzare lo stomaco (fase

di latenza) oppure di una nuova reinfezione con sempre trasmissione oro-fecale. Questo è

maggiormente probabile in casi di sovraffolamento come canili e gattili, gruppi di animali randagi e

in condizioni igienico sanitarie precarie. In mancanza di risposta alla terapia va inoltre valutata la

possibilità che i GHLO non siano causa della patologia in atto e di attuare una terapia mirata per una

IBD. In medicina veterinaria il monitoraggio della terapia risulta decisamente più difficile rispetto

all’uomo dove esistono test non invasivi da poter impiegare come quello dell’UBT. Solo la ripetizione

di una biopsia gastrica associata alla ripetizione della FISH con la conferma della scomparsa dei

germi GHLO in associazione alla guarigione istologica e clinica potrebbe essere d’ausilio. Tuttavia

difficilmente questa evenienza si verifica se non a livello sperimentale, per cui spesso è possibile

basarsi solo su una scomparsa dei sintomi clinici dopo l’esecuzione del trattamento farmacologico

specifico, in assenza di ulteriori terapie (dieta, farmaci immunosoppressivi).

Commenti finali

Lo scopo di questa relazione era quello di analizzare le nuove conoscenze emerse negli ultimi anni

circa l’infezione da Helicobacter nel cane e nel gatto. Tuttavia seppur siano stati eseguiti vari studi

sul suo ruolo nella genesi e nel mantenimento della gastropatia cronica, rimane ancora in dubbio se

l’eliminazione dei GHLO dallo stomaco dei cani e dei gatti con gastrite cronica rappresenti o meno

un passaggio necessario nella risoluzione della patologia. Risulta evidente che pazienti sottoposti a

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triplice terapia abbiano si un miglioramento clinico e la scomparsa dei GHLO gastrici, ma anche che

permangano spesso lesioni istopatologiche più o meno gravi che perdurano nel tempo con la necessità

di eseguire ulteriori terapie o cambi dietetici. Nonostante siano stati eseguiti numerosi studi

sull’Helicobacteriosi nel cane e nel gatto, non esiste uno studio in cui vengano sottoposti ad esempio

alla triplice terapia cani con IBD e senza Helicobacter gastrici, questo in virtù del fatto che antibiotici

e antisecretivi sono in grado comunque di modulare il microbiota e ciò ha un ruolo importante nella

riduzione della flogosi gastroenterica cronica, come anche l’effetto immunomodulatore, seppur

blando, del metronidazolo, spesso inserito nella terapia dei GHLO. Quindi che i germi GHLO

collaborino alla genesi e al mantenimento della gastrite cronica risulta evidente, ma l’effettivo peso

della loro presenza a livello gastrico non è ancora stato definito. È inoltre emerso che i GHLO si

localizzino anche in altre sedi oltre che a livello gastrico, segnatamente in colon e fegato, ma anche

in questo caso, seppur siano stati associati alla presenza di lesioni istologiche coliche ed epatite o

colangite/colangioepatite, nessuno studio ha dimostrato uno loro ruolo nella genesi dell’IBD del

grosso intestino e della patologia epatica. Anche dal punto di vista diagnostico è stata sperimentata

l’applicazione di tecniche comuni in medicina umana come l’UBT o lo PCR fecale, con risultati

incoraggianti, ma con necessità di ulteriori validazioni.

Quindi il mondo dell’Helicobacter, rimane in parte avvolto dal mistero e privo di certezze. Le

moderne linee guida gastroenterologiche veterinarie indicano comunque di eseguire il trattamento in

quei pazienti in cui via sia l’associazione di sintomi, lesioni istologiche, conferma di GHLO a livello

gastrico e esclusione di altre cause di gastrite cronica.

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