UZBEKISTAN · per fortuna la cena era ottima e la yurta calda e confortevole. La mattina seguente...

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Avventure nel mondo 2 | 2018 - 99 S amarcanda, le note di una vecchissima canzone mi avevano già fatto sognare, decenni fa. Poi la storia di Marco Polo, sommersa nel mistero, la “via della seta”, leggendaria, le foto viste qua e là. Ed ora pure la curiosità di mettere il naso là dove fino a poco tempo fa il mondo era molto diverso. E ancora Bukara famosa per i suoi tappeti. Ed eccomi catapultata in questo nuovo paese dalla millenaria storia, dalla millenaria civiltà, che ha visto distruggersi buona parte del suo territorio per lo scriteriato sfruttamento del terreno, che è stato saccheggiato e dominato da popoli bellicosi e violenti, che è stato sede di commerci e scambi di ogni genere di beni non sempre di prima necessità. Cosa rimane oggigiorno? Tentiamo di scoprirlo in 10 giorni, 10 pienissimi giorni in cui attraverso le costruzioni, spesso più rifatte che restaurate, attraverso i bazar che vendono oggetti artigianali, attraverso i musei, proviamo a ricostruire una storia di migliaia di anni. Ma anche quello che vediamo scorrere dai finestrini del nostro pulmino ci racconta qualcosa, la struttura delle città, la coltivazione dei campi, le merci vendute nei mercati contribuiscono alla nostra “raccolta di materiale” senza dimenticare l’utile contributo delle guide che ci hanno fornito il filo conduttore per assemblare i vari frammenti. La gente poi è stata il canovaccio sul quale stendere il racconto: persone abituate storicamente ad accettare tutto quello che capita loro addosso con coraggio e grande dignità, senza troppi falsi miti ma con una fiducia nella vita che forse nel nostro benessere occidentale sta andando persa. Tradizioni semplici, contadine, convivono con una modernità che concede a questo popolo di stare al passo col resto del mondo senza cadere nel consumismo che ancora non possono permettersi. Il tenore di vita è molto basso, tutti lavorano e si accontentano, o perlomeno questo è quello che ho colto io in questo volo radente da Taskent a Nukus. Il nostro gruppo si forma in piena notte nell’aeroporto di Mosca ed al mattino successivo le “otto sfumature di grigio” sono pronte per conquistare l’Uzbekistan. ( Cinque uomini e tre donne dai 55 ai 70 anni prevalentemente pensionati, capelli rigorosamente grigi). Il tempo non ci è favorevole e, forse anche per la stanchezza della notte in viaggio, lasciamo scorrere le immagini di Taskent in un’atmosfera di lieve indifferenza. Sarà guardando poi le foto che noterò gli alberi fioriti, le prime cupole azzurre, le prime donne Testo e foto di Laura Furlan UZBEKISTAN www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/1015 RACCONTI DI VIAGGIO | Uzbekistan DIECI GIORNI SULLA VIA DELLA SETA Da un Uzbekistan gruppo D. Tesei

Transcript of UZBEKISTAN · per fortuna la cena era ottima e la yurta calda e confortevole. La mattina seguente...

  • Avventure nel mondo 2 | 2018 - 99

    Samarcanda, le note di una vecchissima canzone mi avevano già fatto sognare, decenni fa. Poi la storia di Marco Polo, sommersa nel mistero, la “via della seta”, leggendaria, le foto viste qua e là. Ed ora pure la curiosità di mettere il naso là dove fino a poco tempo fa il mondo era molto diverso. E ancora Bukara famosa per i suoi tappeti. Ed eccomi catapultata in questo nuovo paese dalla millenaria storia, dalla millenaria civiltà, che ha visto distruggersi buona parte del suo territorio per lo scriteriato sfruttamento del terreno, che è stato saccheggiato e dominato da popoli bellicosi e violenti, che è stato sede di commerci e scambi di ogni genere di beni non sempre di prima necessità.Cosa rimane oggigiorno? Tentiamo di scoprirlo in 10 giorni, 10 pienissimi giorni in cui attraverso le costruzioni, spesso più rifatte che restaurate, attraverso i bazar che vendono oggetti artigianali, attraverso i musei, proviamo a ricostruire una storia di migliaia di anni. Ma anche quello che vediamo scorrere dai finestrini del nostro pulmino ci racconta qualcosa, la struttura delle città, la coltivazione dei campi, le merci vendute nei mercati contribuiscono alla nostra “raccolta di materiale” senza dimenticare l’utile contributo delle guide che ci hanno fornito il filo conduttore per assemblare i vari frammenti.

    La gente poi è stata il canovaccio sul quale stendere il racconto: persone abituate storicamente ad accettare tutto quello che capita loro addosso con coraggio e grande dignità, senza troppi falsi miti ma con una fiducia nella vita che forse nel nostro benessere occidentale

    sta andando persa.Tradizioni semplici, contadine, convivono con una modernità che concede a questo popolo di stare al passo col resto del mondo senza cadere nel consumismo che ancora non possono permettersi. Il tenore di vita è molto basso, tutti lavorano e si accontentano, o perlomeno questo è quello

    che ho colto io in questo volo radente da Taskent a Nukus. Il nostro gruppo si forma in piena notte nell’aeroporto di Mosca ed al mattino successivo le “otto sfumature di grigio” sono pronte per conquistare l’Uzbekistan. ( Cinque uomini e tre donne dai 55 ai 70 anni prevalentemente pensionati, capelli rigorosamente grigi).Il tempo non ci è favorevole e, forse anche per la stanchezza della notte in viaggio, lasciamo scorrere le immagini di Taskent in un’atmosfera di lieve indifferenza.Sarà guardando poi le foto che noterò gli alberi fioriti, le prime cupole azzurre, le prime donne

    Testo e foto di Laura Furlan

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    www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/1015 RACCONTI DI VIAGGIO | Uzbekistan

    DIECI GIORNI SULLA VIA DELLA

    SETADa un Uzbekistan gruppo D. Tesei

  • 100 - Avventure nel mondo 2 | 2018

    vestite alla loro maniera, diverse da noi, ma mi dicono che in città solo alcune seguono questo costume, quelle della periferia non quelle del centro. E nelle foto scattate al mercato troverò anche le

    varie verdure che ogni sera apriranno il nostro pasto. La cena in un locale di Samarcanda dove è in pieno svolgimento una festa di dodicesimo compleanno con animazione, musica e danze ci sveglia bruscamente ma l’entusiasmo ancora non entra nelle mie vene; la pioggia mi scoraggia e rinuncio al giretto serale a favore di un buon sonno ristoratore. L’albergo è di buon livello, i servizi puliti, anche troppo riscaldato per i miei gusti.E finalmente, la mattina di giovedì ha inizio l’immersione: aleggiamo nell’azzurro delle cupole, delle maioliche dei minareti, dei portali illuminati da un piacevolissimo sole primaverile. Siamo parte di una folla vociante, allegra curiosa.Tanti ci avvicinano chiedendoci di farci una foto o di farla assieme a noi, qualcuno ci chiede da dove venivamo, pochi si rivolgono a noi in inglese, forse vedendoci stranieri ci parlano in russo ma sinceramente noi abbiamo qualche difficoltà a distinguere il russo dall’uzbeco o dal tagiko.Ma alla fine abbiamo poi capito chi era quella gente? Abitanti di Samarcanda a passeggio o piuttosto turisti? Il loro interesse per gli stessi siti che attiravano la nostra attenzione, il loro spostarsi in gruppo ci ha fatto optare per questa seconda ipotesi: turisti, turisti locali o provenienti dai paesi limitrofi. Bisogna ricordare infatti che abbiamo iniziato il viaggio il 21 marzo, giorno del “Nawruz”, e che quella settimana è periodo di festa in cui le scuole ed anche alcuni uffici sono chiusi. Gruppi di famiglie, di amici, di compaesani, col volto spesso illuminato da sorrisi d’oro, quel poco oro che forse solo in bocca poteva sperare di non essere rubato, sono in visita di questo affascinante paese! Persone di tutte le età, tanti non sono giovani, o forse lo sono ma a noi sembrano più vecchi: dobbiamo imparare che la loro aspettativa di vita è ben più bassa della nostra, che la loro vita è più dura della nostra. Dobbiamo pensare a come eravamo noi 50 anni fa, ma non avevamo i telefonini che loro, anche se comperati di seconda mano, usano con la nostra stessa disinvoltura.Gli uomini sono prevalentemente vestiti di scuro e portano dei piccoli copricapi, anche questi prevalentemente scuri o bordati di bianco in bilico

    sulla sommità del capo; anche le calzature sono esclusivamente nere e quasi tutte senza lacci. Guardando le decine di scarpe parcheggiate davanti alle moschee e soprattutto osservando la facilità con la quale le indossavano all’uscita abbiamo anche immaginato il perché! Le donne sono abbastanza varie. A parte un solo gruppo di studentesse in tailleur nero con gonna al ginocchio diciamo che si possono distinguere tre tipi di look: gonna a mezza gamba o gonna lunga, o pantaloni lunghi e larghi, il tutto comunque sempre parzialmente coperto da una giacca lunga, di fattura locale, spesso elegante e ricamata, non sempre però ben abbinata nella fantasia e nei colori; le scarpe sono piuttosto basse e semplici, talvolta sostituite da pantofole, la testa sempre coperta da foulard legati a mo’ di bandana o annodati sotto al mento, di colori vari o bianchi. Ci hanno detto che sono le vedove ad usarli bianchi ma dopo aver visto comitive di donne col fazzoletto bianco visitare i siti assieme a noi ho iniziato ad avere qualche dubbio.Una simpatica giovane, insegnante di italiano che ha studiato a Perugia, ci introduce con grazia e competenza in questo mondo per noi nuovo ma col quale prenderemo ben presto confidenza. E le ore scorrono veloci, dopo cena un giretto per qualche foto notturna e poi a letto pronti per affrontare domani un’interessante deviazione dalla via della seta verso il lago di Aydarcul dove in un paesaggio solitario e selvaggio pernotteremo in una yurta turisticamente attrezzata. Il paesaggio là è veramente piacevole, non fosse stato per una fastidiosissima pioggia ce lo saremmo potuto godere di più, per fortuna la cena era ottima e la yurta calda e confortevole.La mattina seguente partiamo ancora sotto la pioggia, qualche sonnellino tra una sosta e l’altra e uno spuntino presso un atelier di caramica lungo la strada. A Bukara arriviamo in tempo per un primo giro al mercato, qualche contrattazione per qualche tappeto, una tazza di tè in un bar nuovo e moderno anche se un po’ sguarnito. La cena la facciamo in una casa privata, mangiamo bene ma forse sarebbe stato più simpatico condividere il pasto con la famiglia ospitante: contatti di questo tipo, nonostante le inevitabili difficoltà di comunicazione potrebbero essere molto interessanti per entrambe le parti. Puntuali alle 9 del mattino successivo una bella ragazza di origine russa, anche questa insegnante, anche questa ha studiato italiano a Perugia, ci accompagna per la visita riccamente guidata di tutto quello che a Bukara c’è da vedere. Anche qua la maggior parte degli edifici è ricostruita ma l’armonia delle forme e la sfumatura degli azzurri sul dorato dei muri di terra rendono l’insieme molto armonico e gradevole alla vista. E anche qua tanta gente variopinta e curiosa, tante foto con gruppi di sconosciuti. E nonostante la giornata più autunnale che primaverile, gli azzurri dominano e assieme al colore rosa degli alberi fioriti rallegrano un po’ il grigiore della pioggia. E il giorno seguente ancora lei ci

    accompagna a visitare delle perle fuori dal centro: un mausoleo che non ha niente di azzurro ma che con i suoi mattoni di terra è un gioiello inimmaginabile, poi una casa museo non molto antica ed una residenza dell’epoca degli zar. Ci eravamo illusi di poter anche entrare in uno storico hammam e rilassarci con un vero trattamento tradizionale ma per un disguido che ci ha molto infastidito dobbiamo rinunciare; ci consoliamo con acquisti al mercato ed una bella birra gelata prima della cena in un’altra casa privata. Domani ci aspetta un lungo trasferimento per Kiva.Vista la deviazione per visitare due delle cinquanta fortezze che testimoniano le invasioni cui è stata sottoposta quella regione nel corso dei secoli, complice anche il fondo stradale alquanto sconnesso, arriviamo a Kiva tardi, appena in tempo per la cena in albergo. Ma il vecchio hotel Kiva è proprio fuori dalle mura della cittadella ed è impossibile rinunciare ad un primo assaggio di quella specie di set cinematografico che visiteremo approfonditamente l’indomani.La guida che ci accompagna alla scoperta di Kiva è un uomo cui mancano certamente il brio e la simpatia delle ragazze che lo hanno preceduto in questa funzione nelle precedenti città. Il centro storico di Kiva è un museo battuto da turisti, anche qua pochi quelli occidentali, pieno di negozietti pieni di souvenir con molta merce esposta lungo le stradine. Si deve contrattare tutto ma sono simpatici e non troppo insistenti. In una piazzetta delle donne stanno friggendo dei triangolini di pasta frolla e ce ne offrono: buonissimi. Non so l’origine ma dicono

    sia una loro usanza offrirli ai passanti, e noi l’apprezziamo molto. L’unico altro contatto con i locali lo abbiamo durante una fugace visita al mercato locale dove riusciamo a farci un’idea più concreta di quello che è la vita in Uzbekistan. Gli utensili in vendita, i beni di consumo, gli alimentari come pasta, farina, biscotti, contenuti in grandi sacchi bianchi e venduti poi sfusi mi ricordano la mia infanzia e mi rendo conto che

    gli anni sessanta in quell’area geografica devono ancora venire. Una buona cena concluderà la nostra serata. A Kiva la cucina è leggermente diversa da quella di Samarcanda e Bukara, comunque buona anche se molto poco varia. La specialità, il “plov”, che viene servito prevalentemente a pranzo e pertanto è stato poco sfruttato dal gruppo, è una specie di variante povera della paella spagnola; molte verdure ben preparate come primo piatto, carne di agnello o manzo e poi un pane particolare, rotondo di grande pezzatura che io ho apprezzato moltissimo anche come pranzo.Ma siamo arrivati all’ultimo giorno. Dobbiamo rinunciare all’escursione a Moinaq per motivi di tempo: il nostro aereo parte alle 22,30 e non possiamo permetterci di perderlo per un eventuale ritardo nel rientro. Così il gruppo si divide e mentre Giuliana, Emanuele, Piergiorgio e Luigi rimangono a gironzolare per i vicoletti di Kiva, io, Giuseppe, Dino

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  • Avventure nel mondo 2 | 2018 - 101

    e Annarita partiamo alle 7,30 con una macchina alla volta di Nukus. Come previsto impieghiamo 3 ore per coprire i 200 km che separano le due città in quanto la strada per buona parte è completamente piena di buche, anche grandi e comunque molto profonde. L’autista deve guidare con molta cautela per scansarle ed evitare così di distruggere parte dell’automobile. In realtà stanno costruendo una strada nuova, parallela, ma è transitabile solo in prossimità delle due città mentre in mezzo alla steppa sembra di essere veramente fuori dal mondo. Della città di Nukus vediamo poco in quanto ci dirigiamo subito al museo Savitsky famoso per la sua ricca collezione di opere di artisti contrari al regime sovietico che proprio il signor Savitsky ha nascosto, e quindi salvato, in quella città tanto anonima che nessuno avrebbe pensato di cercarle proprio lì. E dopo un’accurata ed interessantissima visita ripartiamo subito. Ma basta qualche occhiata dai finestrini per capire che, se la periferia può assomigliare alle altre città visitate, al centro mancano le cupole ed i minareti, gli edifici di fango e le maioliche azzurre. Questa città non ha una storia legata alla via della seta, questa città risale all’epoca sovietica e lo mostra in tutto, dagli ampi viali che l’attraversano, ai grandi palazzi dall’architettura tipica degli imperi,

    dalle enormi piazze, all’ordine freddo e tanto poco umano che la caratterizzano.Lungo la strada di ritorno ci concediamo una sosta ai piedi di una piccola altura in mezzo alle steppa, non lontano dal fiume Amu Darya che in quella zona segna il confine con

    il Turkmenistan. Saliamo per un sentierino di sabbia ed arriviamo in cima: ci sono i resti di una specie di piccola fortezza ma la caratteristica è una lastra di roccia che per secoli è stata usata dai seguaci di Zoroastro per lasciare i resti degli animali sacrificati affinché venissero divorati dagli uccelli. Lassù doveva ardere anche il fuoco sacro, ora rimane una specie di impalcatura coperta da nastrini colorati. L’equivalente di una croce o di un altarino. Scendiamo completando il giro della collina lasciandoci alle spalle un’atmosfera veramente molto suggestiva per non dire magica. Via via che ci si avvicina a Kiva la steppa lascia posto a campi coltivati, spesso risaie irrigate da possenti impianti riconoscibili per i grossi tubi azzurri, probabili residuati del passato regime; sembra che l’attuale governo abbia rinunciato allo sfruttamento intensivo dei campi con le monocolture di cotone, riconvertendoli a normale uso agricolo alimentare. Ovunque, paralleli alla strada, tubi gialli, più sottili per la distribuzione del gas. Il gas là viene usato per tutto, anche per alimentare grossi forni di cemento situati davanti ad ogni abitazione ed usati per cucinare.Nei 200 km percorsi abbiamo attraversato parecchi villaggi o cittadine. I cartelli stradali ce lo dicevano,

    ma noi li avremmo riconosciuti come tali? Ai lati della strada un filare ininterrotto di edifici bassi, tutti uguali in cui si distinguono due parti: un ampio cancello che dà adito ad un cortile, un muro in cui si aprono una porta e due finestre sormontate da un tetto di lamiera metallica. Davanti ad ogni unità abitativa il forno e spesso una pianta di vite. Talvolta anche un piccolo orto. In alcuni casi c’è un unico filare ininterrotto di abitazioni, in altri casi il filare è interrotto da stradine non asfaltate ma quello che si affaccia sulla strada è solo un lato di un quadrilatero di abitazioni tutte uguali attaccate a formare un isolato; tanti isolati regolarmente disposti in un preciso disegno geometrico ai due lati della strada costituiscono una città. Mi sono posta molte domande in quelle tre ore del nostro ritorno: usano anche in pieno inverno i forni all’aperto per cucinare? Le abitazioni sono tutte basse per prevenire i danni dei frequenti terremoti o semplicemente i terremoti non fanno danni perché le costruzioni sono tutte basse? Infatti perché costruire in altezza con tutto quello spazio a disposizione? E poi ancora, con un clima rigido d’inverno e infernalmente caldo d’estate come sopravvivono sotto ai tetti di lamiera? E’ sufficiente quell’intercapedine, talvolta anche molto alta, per climatizzare gli ambienti sottostanti?Ma intanto siamo arrivati. Giusto il tempo per chiudere le valige, una cena in un bel ristorante e l’ultima corsa in pulmino verso l’aeroporto di Urgench!Un appunto all’agenzia che volenti o nolenti ci ha organizzato il viaggio: belli i ristoranti in cui abbiamo cenato, ma solo per turisti! Una lode alle due giovani guide di Samarcanda e Bukara che almeno per la sosta pranzo ci hanno fatto conoscere ristoranti locali, frequentati da locali, con cibo locale!! Un grazie alle altre “sette sfumature di grigio” per la loro simpatica compagnia e la condivisione di un viaggio così interessante e piacevole!

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