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I VIAGGI Verso il Sinai 1. 1. ... (i luoghi) erano (a noi) mostrati conformemente alle Scritture 1 . Proseguendo nel cammino, arrivammo ad un luogo ove i monti, attraverso cui appunto stavamo andando, si aprivano e formavano una valle immensa che si estendeva a perdita d'occhio, tutta pianeggiante e molto bella: oltre la quale appariva la santa montagna di Dio, il Sinai 2 . Il luogo dove i monti si aprivano è vicino a quello in cui si trovano le «tombe dell'ingordigia» 3 . 1 * Le citazioni dell'Antico e del Nuovo Testamento in lingua italiana, fatte nel corso del commento, seguono la versione dell'edizione della Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1974. Non ci si stupisca se la grafia dei nomi propri talvolta differisce da quella che si legge nel testo egeriano. Per i nomi moderni di luogo ci si è attenuti in linea di massima all'Atlante Internazionale del Touring Club Italiano, Milano 1936-44. ? Il viaggio è in pieno svolgimento. Come si diceva (cf. Introduzione), il lettore è introdotto a seguirlo da un certo punto in poi, essendo andata perduta la descrizione iniziale. Tuttavia le parole con cui comincia la parte rimastaci indicano perfettamente l'animo con cui Egeria compie il suo pellegrinaggio e lo scopo che si prefigge: visitare tutti i luoghi che aveva visti segnalati nell'Antico e nel Nuovo Testamento, ove erano avvenuti eventi meravigliosi; donde si spiega l'inesausta curiosità di verificare «sul campo» ogni particolare riferito dalla Scrittura, a cui si accompagna una grande disponibilità di tempo che le consente di attardarsi durante anni interi lungo la sua marcia. In questa prospettiva deve porsi in primo luogo il lettore per comprendere l'opera che sta per iniziare; una prospettiva che giustifica le citazioni bibliche che saranno fatte nel corso del commento. 2 Si è nel cuore del Sinai, là dove si trova la montagna chiamata dalla Bibbia Oreb, situata a sud della penisola contornata dal Golfo di Suez, dal Mar Rosso e dal Golfo di Elat (è noto che nell'uso attuale il termine geografico Sinai designa sia questo monte che l'intera penisola). La valle pianeggiante e bella, di cui si dice, costituisce l'altopiano che si estende a circa 1500 metri di altezza e che è denominato er-Râha (il Riposo). Di là Egeria scorge la sommità nord-ovest del massiccio del Sinai, ossia il Râs es-Safsâf, alta 2054 m. 3 Nel Libro dei Numeri si racconta la storia d'Israele dagli ultimi giorni passati al Sinai fino alla vigilia dell'entrata nella Palestina. Nella seconda sezione del Libro si narra della prima tappa del cammino verso Kadesh; ivi appunto, in 11,31ss., si parla delle quaglie cadute, per ordine del Signore, presso l'accampamento e del popolo che le raccoglie per due giorni e una notte. «Avevano ancora la carne tra i denti e non l'avevano ancora masticata, quando lo sdegno del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima plaga. Quel luogo fu chiamato Kibrot-Taava, perché qui fu sepolta la gente che si era lasciata dominare dall'ingordigia» (Nm 11,34). Kibrot-Taava è reso dal nostro testo con l'espressione memoriae concupiscentiae, che forse si trovava nell'antica traduzione latina della Bibbia, la Vetus Latina, letta da Egeria, e che in ogni modo riflette la traduzione greca dei LXX: mnemates epithumias.

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I VIAGGI

Verso il Sinai 1. 1. ... (i luoghi) erano (a noi) mostrati conformemente alle Scritture1. Proseguendo nel cammino, arrivammo ad un luogo ove i monti, attraverso cui appunto stavamo andando, si aprivano e formavano una valle immensa che si estendeva a perdita d'occhio, tutta pianeggiante e molto bella: oltre la quale appariva la santa montagna di Dio, il Sinai2. Il luogo dove i monti si aprivano è vicino a quello in cui si trovano le «tombe dell'ingordigia»3. 2. Come giungemmo dunque in tale luogo, i santi uomini4, che erano con noi per guidarci, ci avvisarono dicendo: «È consuetudine che si faccia qui, da parte di chi arriva, una preghiera, non appena si scorge, di qua, per la prima volta, la montagna di Dio», e anche noi facemmo così. Da quel luogo per arrivare alla montagna di Dio vi erano da percorrere circa quattro miglia in tutto5, attraverso quella valle che ho detto essere immensa. 2. 1. La valle è veramente grandissima e si distende sotto il fianco della montagna di Dio: essa ha una lunghezza, per quanto potemmo valutare a occhio e per quanto dicevano le stesse guide, di circa sedicimila passi; per la larghezza parlavano di quattromila passi. Da parte nostra dovevamo dunque attraversare questa valle per poter cominciare a salire la montagna. 2. Questa è la valle immensa e tutta pianeggiante dove i figli di Israele dimorarono6, nei giorni nei quali il santo Mosè ascese sulla montagna di Dio e vi rimase quaranta giorni e quaranta notti7. Questa è la valle in 1* Le citazioni dell'Antico e del Nuovo Testamento in lingua italiana, fatte nel corso del commento, seguono la versione dell'edizione della Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1974. Non ci si stupisca se la grafia dei nomi propri talvolta differisce da quella che si legge nel testo egeriano. Per i nomi moderni di luogo ci si è attenuti in linea di massima all'Atlante Internazionale del Touring Club Italiano, Milano 1936-44.

? Il viaggio è in pieno svolgimento. Come si diceva (cf. Introduzione), il lettore è introdotto a seguirlo da un certo punto in poi, essendo andata perduta la descrizione iniziale. Tuttavia le parole con cui comincia la parte rimastaci indicano perfettamente l'animo con cui Egeria compie il suo pellegrinaggio e lo scopo che si prefigge: visitare tutti i luoghi che aveva visti segnalati nell'Antico e nel Nuovo Testamento, ove erano avvenuti eventi meravigliosi; donde si spiega l'inesausta curiosità di verificare «sul campo» ogni particolare riferito dalla Scrittura, a cui si accompagna una grande disponibilità di tempo che le consente di attardarsi durante anni interi lungo la sua marcia. In questa prospettiva deve porsi in primo luogo il lettore per comprendere l'opera che sta per iniziare; una prospettiva che giustifica le citazioni bibliche che saranno fatte nel corso del commento.2 Si è nel cuore del Sinai, là dove si trova la montagna chiamata dalla Bibbia Oreb, situata a sud della penisola contornata dal Golfo di Suez, dal Mar Rosso e dal Golfo di Elat (è noto che nell'uso attuale il termine geografico Sinai designa sia questo monte che l'intera penisola). La valle pianeggiante e bella, di cui si dice, costituisce l'altopiano che si estende a circa 1500 metri di altezza e che è denominato er-Râha (il Riposo). Di là Egeria scorge la sommità nord-ovest del massiccio del Sinai, ossia il Râs es-Safsâf, alta 2054 m.3 Nel Libro dei Numeri si racconta la storia d'Israele dagli ultimi giorni passati al Sinai fino alla vigilia dell'entrata nella Palestina. Nella seconda sezione del Libro si narra della prima tappa del cammino verso Kadesh; ivi appunto, in 11,31ss., si parla delle quaglie cadute, per ordine del Signore, presso l'accampamento e del popolo che le raccoglie per due giorni e una notte. «Avevano ancora la carne tra i denti e non l'avevano ancora masticata, quando lo sdegno del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima plaga. Quel luogo fu chiamato Kibrot-Taava, perché qui fu sepolta la gente che si era lasciata dominare dall'ingordigia» (Nm 11,34). Kibrot-Taava è reso dal nostro testo con l'espressione memoriae concupiscentiae, che forse si trovava nell'antica traduzione latina della Bibbia, la Vetus Latina, letta da Egeria, e che in ogni modo riflette la traduzione greca dei LXX: mnemates epithumias.4 I «santi uomini» sono monaci che accompagnano Egeria nei suoi spostamenti per farle da guida. Sanctus è un altro dei termini che caratterizzano la tonalità dello scritto e in certo modo mettono in rilievo l'unità di sentimento che lo percorre. L'aggettivo è applicato sia a personaggi (dell'Antico e del Nuovo Testamento, monaci, preti, vescovi) sia a luoghi o cose (sancta ecclesia, loca sancta, scriptura sancta, ecc.). Si avverte che il termine è usato per tutto ciò che è entrato in contatto con il mistero di Dio e lo rappresenta dinanzi agli uomini.5 Sono poco meno di 6 km, equivalendo il miglio romano a circa 1500 m.6 Es 19,1-2: «A1 terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese d'Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. Levato l'accampamento da Refidim, arrivarono al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte».7 Es 24,12 ss.: «Il Signore disse a Mosè: "Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli"... Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La Gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della

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cui fu fabbricato il vitello8, in un luogo che ancora oggi viene indicato: infatti c'è una grande pietra ivi eretta9. Questa infine è la valle alla cui estremità vi è il luogo dove, mentre il santo Mosè pascolava le greggi di suo suocero, Dio gli parlò a più riprese dal roveto ardente10. 3. Poiché il nostro itinerario prevedeva che dapprima salissimo sulla montagna di Dio - perché dalla parte donde venivamo l'ascesa era più facile - e che poi di là scendessimo all'altro capo della valle ove si trovava il roveto - perché da quella parte più facile era la discesa dalla montagna di Dio -, ecco ciò che decidemmo: dopo aver visto tutto quello che desideravamo, discendendo dalla montagna di Dio saremmo giunti là ove vi è il roveto11; e poi, percorrendo la valle che si stendeva davanti a noi in tutta la sua lunghezza, saremmo tornati sulla nostra strada insieme agli uomini di Dio che ci mostravano, lungo la valle stessa, ogni singolo luogo di cui parlano le Scritture. E così facemmo. 4. Partendo dunque dal luogo dove, provenienti da Faran12, avevamo pregato, facemmo il cammino in modo da percorrere trasversalmente l'estremità della valle e avvicinarci così alla montagna di Dio. 5. La montagna vista d'intorno sembra essere una sola; ma quando ci si addentra, ce ne sono molte; l'insieme però è chiamato montagna di Dio. Tuttavia il monte principale, sulla cui sommità vi è il luogo su cui discese la Maestà di Dio, come è scritto, si trova al centro di tutti gli altri. 6. E sebbene i monti che stanno tutt'intorno siano tanto elevati che non penso di averne mai visti altri, tuttavia quello centrale, sul quale discese la Maestà di Dio, è molto più alto di tutti gli altri: sicché quando fummo sulla sua cima tutti gli altri monti, che ci erano apparsi molto elevati, stavano talmente al di sotto di noi, da sembrare colline di poco rilievo13.

montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti».8 Es 32,1ss.: «Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: "Facci un Dio che cammini alla nostra testa, poiché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto". Aronne rispose loro: "Togliete i pendenti d'oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me". Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuna aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: "Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto". Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: "Domani sarà festa in onore del Signore". Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento».9 Secondo la tradizione, questo luogo è quello che ancor oggi è chiamato Monte di Aronne (Gebel Harûn), ad una estremità dell'altopiano.10 Sembra di capire che il luogo a cui si fa cenno si trova al punto opposto rispetto a quello da cui Egeria è entrata nella «valle». Es 3,1ss.: «Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo meraviglioso spettacolo: perché il roveto non brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto... Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso... Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!"». Come si nota facilmente, l'episodio del roveto ardente, qui richiamato, precede gli altri eventi (arrivo degli Israeliti al Sinai, salita di Mosè sulla montagna, costruzione del vitello d'oro) per i quali sono stati citati sopra passi successivi dell'Esodo. Per dir così, il «filo» che Egeria segue è geografico e non cronologico.11 Il progetto è dunque quello di salire dapprima sul Monte di Mosè, il Gebel Mûsa, che si eleva a 2244 m, di raggiungere poi l'Oreb, il luogo dove Elia si rifugiò, fuggendo dal cospetto del re Achab, e infine di toccare il punto in cui si trovava il roveto, dal quale il Signore parlò a Mosè nel fuoco. L'ascesa comincia il sabato sera; dopo la sosta per la notte, presso un eremo, essa riprende la domenica di buon'ora. Alle 10 antimeridiane Egeria è sulla sommità della vetta, dove si trova una chiesa. Poi avviene la discesa e la risalita sull'Oreb. Alle 4 di pomeriggio la comitiva è nel luogo del roveto, quando ormai è vicina la sera.12 Era questo un centro (l'attuale Feirân) che sorgeva a non molta distanza dal Sinai in direzione nord-ovest. Esso è uno dei primi centri nella penisola del Sinai ove il cristianesimo giunge nella seconda metà del IV secolo tramite la presenza di monaci, che convertono una tribù nomade; e di là si diffonde nella regione con rapidità, soprattutto verso la montagna santa, dove - secondo la circostanziata testimonianza di Egeria - vivono molti eremiti.13 Invero il Gebel Mûsa non è la punta più alta del massiccio del Sinai; il Gebel Katherîn lo supera in altezza di circa 500 m. Tuttavia l'isolamento relativo del primo monte può dar luogo all'impressione qui riportata dal nostro testo.

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7. Vi è ancora un fatto del tutto sorprendente che credo non possa verificarsi senza la grazia di Dio: pur essendo la montagna centrale, denominata propriamente Sinai (quella cioè su cui discese la Maestà di Dio), la più alta di tutte, essa tuttavia non può essere scorta se non si è giunti fino ai suoi piedi, subito prima di iniziare la salita; infatti solo dopo esserne discesi, avendo appagato il proprio desiderio, la si vede in lontananza; cosa che è impossibile, prima di salire. Fatto che, d'altra parte, prima di giungere alla montagna di Dio, già sapevo perché me lo avevano riferito i nostri fratelli; e che, giunta sul luogo, constatai essere del tutto vero.

L'ascensione al Sinai 3. 1. Il sabato sera dunque ci inoltrammo tra le montagne e pervenimmo ad alcuni eremi; ivi i monaci che abitavano ci accolsero molto amabilmente offrendoci grande ospitalità; in quel luogo si trova anche una chiesa14 con un sacerdote. Ivi rimanemmo durante la notte e di là, la domenica mattina, di buon'ora, con il sacerdote e i monaci che ivi risiedevano, cominciammo a salire, uno dopo l'altro, i monti. L'ascenderli richiede estrema fatica, perché il sentiero non sale dolcemente aggirandoli attorno attorno, come si dice, a chiocciola, ma prende la via più diritta, come se ci si arrampicasse su un muro; e diritta è pure la discesa da ciascuno di quei monti, finché non si arrivi giusto ai piedi della montagna centrale, che è il Sinai propriamente detto. 2. Così dunque, secondo la volontà di Cristo nostro Dio, aiutata dalle preghiere degli uomini santi che ci accompagnavano, procedevo con grande fatica, poiché era necessario che salissi a piedi (infatti non si poteva assolutamente salire in sella di una cavalcatura); purtuttavia non avvertivo la stanchezza, non l'avvertivo perché vedevo compiersi il desiderio che avevo, secondo la volontà di Dio. Pertanto all'ora quarta giungemmo alla sommità della montagna santa di Dio, il Sinai, là dove è stata data la Legge, ossia là dove discese la Maestà del Signore, nel giorno in cui il monte fumava tutto15. 3. In quel luogo ora vi è una chiesa non grande, poiché il luogo stesso che costituisce la sommità della montagna non è molto grande. Nondimeno tale chiesa ha, per se stessa, una grande bellezza. 4. Allorché dunque, secondo la volontà di Dio, arrivammo fin sulla sommità e giungemmo alla porta della chiesa, ecco che si fece incontro, venendo dal suo eremo, il sacerdote che aveva l'incarico di prestar servizio in quella chiesa: era un vecchio venerando, monaco fin dalla sua prima età e, come qui si dice, asceta - che cosa potrei dire di più? -, una persona degna di stare in quel luogo. Ci vennero incontro anche altri sacerdoti e così pure tutti i monaci che dimoravano là presso il monte, o almeno quelli tra di loro che non erano impediti dall'età o dalla salute malferma. 5. Invero sulla sommità di quel monte centrale non risiede alcuna persona; infatti non vi è altro che la sola chiesa e la spelonca dove si ritirò il santo Mosè. 6. Pertanto, dopo aver letto l'intero passo del libro di Mosè 16, aver compiuto l'offerta secondo il rito ed esserci comunicati, nell'uscire dalla chiesa i preti del luogo ci diedero doni17 consistenti in frutti che si

14 È la prima delle quattro chiese incontrate sul massiccio. La seconda si trova sulla vetta del Sinai, la terza sull'Oreb, la quarta sul luogo del roveto.15 Queste parole richiamano gli eventi narrati nell'Esodo, capp. 19ss.: tre mesi dopo l'uscita dall'Egitto, gli Israeliti si accampano davanti al Sinai. Il Signore chiama Mosè dal monte e gli dice che, se ascolteranno la sua voce e custodiranno la sua alleanza, saranno per lui la proprietà tra tutti i popoli. Dio sta per parlare al suo popolo, consegnandogli i comandamenti. « Ed ecco al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell'accampamento fu scosso da tremore. Allora Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto» (Es 19,16-18).16 L'episodio richiama la rivelazione sinaitica contenuta nell'ultima parte dell'Esodo e in special modo i fatti che seguono la costruzione del vitello d'oro (cf. sopra, nota 8): Mosè che spezza le tavole, lo zelo dei Leviti, la preghiera di Mosè al Signore, il dolore del popolo e finalmente la grande visione: «Rispose: "Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia... Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo... Ecco un luogo vicino a te. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mia mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere"» (Es 33,19-23).17 Si tratta di doni che non possono però essere considerati come semplici regali o come ausili per il viaggio: i soggetti che li offrono e soprattutto il luogo da cui provengono sembrano conferire ad essi un valore molto particolare e un carattere in qualche modo sacro e sublime. Non si può del resto dimenticare che il termine greco eulogia (da cui deriva il vocabolo latino eulogiae che si legge nel nostro testo), a fianco dell'idea di dono, presenta quella di benedizione,

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trovano sul monte stesso. Infatti, benché la montagna santa del Sinai sia del tutto pietrosa, tanto da non avere alcun arbusto, nondimeno in basso, non lontano dai luoghi a piè dei monti, vale a dire sia intorno a quello centrale sia intorno a quelli che lo circondano, vi è un poco di terreno coltivabile. I santi monaci, con molta perseveranza, si prodigano nel trapiantare alberelli e curare piccoli frutteti ed orti, anche vicino ai loro eremi: si potrebbe credere che traggano qualche frutto dalla terra del monte, in realtà i frutti sono piuttosto prodotti dalla fatica delle loro mani. 7. Così dunque, dopo esserci comunicati e aver ricevuto i doni da quegli uomini santi, ed essere usciti fuori dalla porta della chiesa, cominciai a domandare loro che ci mostrassero ogni luogo. Subito allora quei santi uomini si degnarono di mostrarceli uno per uno. Ci mostrarono infatti la grotta dove stette il santo Mosè, quando per la seconda volta salì sulla montagna di Dio per ricevere di nuovo le tavole18, dopo che aveva spezzato le prime per il peccato del popolo19; e si degnarono di mostrarci tutti gli altri luoghi che desideravamo vedere o quelli che essi conoscevano meglio. 8. Voglio che sappiate, mie venerabili signore, mie sorelle20, che da quel luogo dove ci trovavamo, cioè intorno ai muri della chiesa, alla sommità del monte centrale, le montagne che per prime avevamo salito con fatica, si vedevano talmente sotto di noi rispetto al luogo sul quale stavamo, da sembrare modeste colline, pur essendo imponenti, tanto che non credo di averne mai viste di più alte, fuorché il monte centrale che le superava di molto. Di là scorgevamo sotto di noi l'Egitto, la Palestina, il Mar Rosso, il Mare Partenico 21 che consente di giungere ad Alessandria, e ancora le terre sconfinate dei Saraceni22: a stento si può credere che ciò sia possibile, eppure quel santi uomini ci mostravano ciascuno di questi luoghi.

La grotta di Elia, il roveto ardente 4. 1. Soddisfatto dunque ogni desiderio per cui eravamo stati spinti a salire, cominciammo allora a discendere dalla sommità del monte di Dio - dove eravamo saliti - per andare su un altro monte vicino a quello, chiamato Oreb; anche là vi era una chiesa23.

consacrazione. Non a caso le parole eulogia e eucharestia spesso coincidono, designando il corpo e il sangue di Cristo (cf. G.F.M. Vermeer, Observations sur le vocabulaire du pèlerinage chez Égérie et chez Antonin de Plaisance, Nijmegen 1965, pp. 72 ss.).18 Dopo i peccati del popolo d'Israele ai piedi del monte Sinai e dopo le ripetute preghiere di Mosè e le parole straordinarie rivoltegli dal Signore (cf. sopra, note 8 e 16), il Signore stesso dice ancora a Mosè: «"Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzate. Tieniti pronto per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte": Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore... Il Signore disse: "Ecco, io stabilisco un'alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie"... Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiar pane e senza bere acqua. Il Signore scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole (Es 34,1ss. 10.28).19 Dopo aver ricevuto per la prima volta le due tavole della Testimonianza, opera di Dio, Mosè scende dalla montagna e si avvicina all'accampamento degli Israeliti: là vede il vitello d'oro e le danze. Allora, immediata è la sua decisione: «...l'ira di Mosè si accese: egli scagliò via le tavole spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell'acqua e la fece trangugiare agli Israeliti» (Es 32,19-20).20 Egeria usa, rivolgendosi alle consorelle rimaste in patria, alle quali indirizza il suo diario, alcune espressioni di riguardo, qui (dominae venerabiles sorores) e altrove (dominae animae meae, 19,19; dominae, lumen meum, 23,10; dominae sorores, 46,1). Domina è un titolo d'onore. Soror è parola che apre un problema non risolto relativo ad Egeria e al suo stato laicale o religioso: esso infatti è termine usato per indicare a) legami di parentela, b) legami di fede, c) legami all'interno, diremmo oggi, di un ordine religioso. In quale significato, tra quelli di cui si è detto, usa il termine Egeria? È difficile rispondere con certezza (cf. Introduzione, pp. 17ss.).21 Secondo alcune fonti antiche, il mare Parthenicum (= mare della Vergine), denominato anche mare Isiacum, è la parte orientale del Mediterraneo che si estende tra l'Egitto e Cipro.22 Con questo nome sembra si vogliano qui designare i popoli nomadi dell'Arabia (Petrea e Felice). Solo più tardi con tale nome si designano tutti i popoli di lingua araba. Evidente l'esagerazione di ciò che è affermato per quanto riguarda i luoghi che effettivamente possono essere visti dalla sommità del Gebel Mûsa (troppo lontani sono infatti il Mar Mediterraneo o la Palestina); esagerazione forse dettata dall'entusiasmo suscitato dalla bellezza eccezionale della veduta: in quell'inde videbamus una parte è riservata all'immaginazione o a un'indicazione di direzione; un'altra parte invece corrisponde effettivamente alla realtà.23 La «montagna dell'Oreb» si trova a un livello inferiore rispetto alla cima del Gebel Mûsa; non costituisce una vera e propria massa di rocce, ma si presenta come una leggera eminenza. Ancor oggi è possibile vedere, al di sopra di una grotta, una piccola chiesa, detta di Elia.

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2. È il luogo ove si fermò il santo profeta Elia, quando fuggi dalla presenza del re Achab e ove Dio gli si rivolse dicendo: Che cosa fai qui, Elia?, come è scritto nel Libro dei Re24. La grotta ove si nascose il santo Elia viene indicata ancora oggi, davanti alla porta della chiesa che là sorge; qui si mostra pure l'altare di pietra che collocò lo stesso santo Elia per offrire un sacrificio a Dio 25, come quei santi uomini si degnavano di mostrarci partitamente. 3. Facemmo dunque anche là l'offerta e dicemmo una preghiera con grandissima devozione, e venne letto il passo del Libro dei Re26. Una cosa infatti desideravo sempre in sommo grado per noi: che dovunque giungessimo fosse letto il passo corrispondente della Bibbia. 4. Compiuta dunque anche là l'offerta, procedemmo nuovamente verso un altro luogo non lontano, indicatoci dai sacerdoti e dai monaci: è il luogo dove era stato il santo Aronne con i settanta anziani, allorché il santo Mosè riceveva dal Signore la Legge destinata ai figli di Israele. In quel luogo, benché non vi sia alcun edificio, si trova tuttavia una grandissima pietra circolare, piana nella parte superiore, dove si dice che quel vegliardi si siano fermati; e nel mezzo, vi è una sorta di altare fatto di pietre. Anche in quel luogo fu

24 Il I libro dei Re, dopo aver detto del regno di Salomone, narra lo scisma religioso che avviene sotto Roboamo e Geroboamo e poi le vicende parallele del regno di Giuda e di Israele fino alla metà circa del IX secolo a.C., quando nell'orizzonte della storia del regno di Israele compare improvvisamente la figura di Elia, originario di Tishbe, nel territorio di Galaad situato tra la Giordania e il deserti arabico. Il I Libro dei Re continua narrando la sfida che al tempo del re d'Israele Achab (874-853), Elia lancia ai sacerdoti di Baal e la vittoria che consegue, riuscendo in tal modo a riportare il re e il popolo al culto del loro Dio e a far rinnegare l'idolatria. La reazione minacciosa di Gezabele, moglie di Achab, costringe il profeta a fuggire: egli giunge dapprima a Bersabea e poi si inoltra nel deserto. Sfinito, va a sedere sotto un ginepro e desidera morire. Dio interviene mandandogli un angelo per rifocillarlo; così Elia può riprendere il cammino e dopo 40 giorni e 40 notti arriva all'Oreb, ove entra in una caverna per passarvi la notte. A quel punto - prosegue il racconto biblico - «il Signore gli disse: "Che fai qui, Elia?". Egli rispose: "Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita". Gli fu detto: "Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore". Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco sentì una voce che gli diceva: "Che fai qui, Elia?"» (1Re 19,8-13).25 Nel XIX cap. del I Libro dei Re non si fa menzione di un altare su cui Elia avrebbe offerto un sacrificio a Dio sull'Oreb. D'altra parte l'indicazione dei monaci, secondo il nostro testo, è assai precisa e difficilmente sembra potersi riferire, per esempio, al sacrificio dei profeti pagani e di Elia, offerti rispettivamente a Baal e a Jahvè sul monte Carmelo durante la sfida di cui in 1Re, 18,22 ss.26 Non è possibile passare sotto silenzio alcuni elementi che evidentemente dovevano essere presenti allo spirito di Egeria allorché in quei luoghi partecipava all'offerta, recitava con grandissima devozione una preghiera e leggeva il passo del Libro dei Re citato sopra (cf. nota 24): la meta perseguita da Elia coincide con quella di Mosè; il primo e il secondo (cf. Es 3,1ss.) hanno una chiara manifestazione di Dio. Colui che ha liberato Israele dall'Egitto e l'ha condotto al Sinai, si trova ad assistere alla vergognosa prevaricazione del popolo dinanzi al vitello d'oro. Di fronte alla minaccia di respingere il popolo eletto da parte di Dio, Mosè, richiamandosi all'alleanza con Abramo, preparazione e pegno del patto sinaitico, placa l'ira divina. Come segno del perdono ricevuto, la Gloria del Signore passa su Mosè, posto nella cavità della rupe e coperto dalla mano divina (cf. Es 33,22; cf. sopra, nota 16). Allo stesso modo, Elia si trova dinanzi al tradimento del regno di Israele e del suo re Achab a favore dell'idolatria pagana e del culto di Baal, obbedisce ai comandi di Dio e prevale nella sfida del Carmelo dopo una preghiera rivolta a Jahvè. E al suo lamento per il fallimento dell'alleanza mosaica e dell'elezione di Israele, il Signore lo invita a uscire sul monte, ed a tenersi pronto alla rivelazione imminente (cf. 1Re, 19,9-11). Come Mosè e nel medesimo luogo, il monte Oreb (cf. Es 3,1ss.), anche Elia ha una chiara manifestazione di Dio, ha una teofania. Questa volta non si tratta di una dimostrazione sfolgorante di gloria, ma di un modo dolce e consolante, il mormorio di un vento leggero.

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letto il passo corrispondente del Libro di Mosè27 e recitato un salmo appropriato. Così, dopo la preghiera, discendemmo di là. 5. Ed ecco che già era circa l'ora ottava e a noi restavano ancora tre miglia da percorrere per uscire dalla cerchia dei monti in cui ci eravamo addentrati la sera del giorno precedente28. Ma non dovevamo uscire dalla parte donde eravamo entrati, come ho detto prima, perché bisognava che percorressimo tutti i luoghi santi e visitassimo tutti gli eremi che vi si trovavano e così giungessimo all'estremità della valle di cui ho parlato sopra, vale a dire della valle che sta ai piedi della montagna di Dio. 6. Era necessario uscire all'estremità di quella valle, per il fatto che qui c'erano parecchi eremi di uomini santi, e vi era anche una chiesa nel luogo in cui vi è il roveto, roveto che a tutt'oggi ancora vegeta e continua a germogliare. 7. Così pertanto, avendo terminato la discesa dalla montagna di Dio, verso l'ora decima giungemmo al roveto. È questo il roveto, che ho ricordato prima, dal quale il Signore parlò a Mosè nel fuoco; esso si trova nel luogo dove vi sono numerosi eremi e una chiesa, a capo della valle29. Dinanzi alla chiesa vi è un giardino molto bello, che ha un'acqua eccellente e abbondante; e nel giardino si trova il roveto.8. È pure indicato il luogo, li vicino, dove stava il santo Mosè, allorché Dio gli disse: Sciogli i lacci dei tuoi calzari, e ciò che segue. Quando dunque pervenimmo in quel luogo era già l'ora decima; per questo, essendo già sera, non potemmo fare l'offerta. Ma si fece una preghiera nella chiesa e anche nel giardino, presso il roveto, e come d'abitudine fu letto il passo relativo del Libro di Mosè30. Così, poiché era sera, mangiammo

27 Si tratta qui della conclusione dell'alleanza e della consegna da parte di Dio a Mosè delle prime tavole della Legge. «A Mosè aveva detto: "Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani di Israele; voi vi prosternerete da lontano, Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si avvicineranno e il popolo non salirà con lui...". Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione per il Signore... Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele. Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo stesso. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero. Il Signore disse a Mosè: "Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti, che io ho scritto per istruirli". Mosè si alzò con Giosuè, suo aiutante, e salì sul monte di Dio. Agli anziani aveva detto: "Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro"» (Es 24,1-2.4-5.9-14).28 Si può osservare la cura con cui Egeria annota i particolari anche minimi del suo viaggio: l'ora di partenza o di arrivo, il cammino percorso, il mezzo usato (per lo più una cavalcatura, con qualche eccezione là dove la pendenza del sentiero esigeva di procedere a piedi), le tappe, oltre che, naturalmente, tutto ciò che vede e che fa: si è insomma di fronte a un vero e proprio diario di pellegrinaggio che ha probabilmente richiesto da parte di chi l'ha scritto brevi notazioni prese giorno per giorno e che, d'altra parte, è possibile verificare sulla base di altre fonti o sulla base dell'esperienza del pellegrino o del viandante di oggi.29 La discesa dura circa due ore, dall'ottava alla decima ora, ossia dalle 2 alle 4 pomeridiane. Secondo la supposizione di alcuni studiosi (cf. A. Bludau, Die Pilgerreise der Aetheria, Paderborn 1927, p. 14), Egeria avrebbe percorso il sentiero chiamato Sikket Saïd Sidna Mûsa. Sul luogo del roveto ardente, dove vi era la chiesa di cui parla il nostro Itinerarium, al tempo dell'imperatore Giustiniano (527-565), sarà costruito il monastero denominato successivamente di Santa Caterina; un monastero, saldamente cinto di mura a difesa dalle incursioni dei Saraceni, che tuttora esiste. Esso fu dedicato alla Madre di Dio, della quale è figura il roveto ardente visto da Mosè, e alla Trasfigurazione. Il nome di Santa Caterina gli deriva dalla tradizione posteriore secondo la quale gli angeli avrebbero trasportato sulla cima più alta del complesso montuoso del Sinai, il Gebel Katherîn appunto (cf. sopra, n. 13), il corpo di Caterina, martire egiziana nell'ultima grande persecuzione dell'inizio del IV secolo. L'attuale basilica di Santa Caterina, compresa con altri edifici entro la cinta delle mura, contiene una cappella dietro l'abside che ricorda il roveto ardente; all'esterno, sul lato sud, si mostra al visitatore un arbusto spinoso come quello scorto in quel luogo dall'antica pellegrina. Come allora, anche oggi - ma entro l'area del monastero - si ammira un bel giardino e si gode di una fonte a cui forse Mosè aveva condotto il suo gregge arrivando al monte di Dio, l'Oreb (cf. Es 3,1), fonte che pure lo Ps. Antonino di Piacenza, nel suo Itinerarium (37) scritto verso il 570, vede entro il monastero.30 Il Libro dell'Esodo comincia con il parlare dell'oppressione a cui sono sottoposti in Egitto gli Israeliti sotto il dominio crudele del faraone, narra la nascita di Mosè in Egitto e poi la fuga di lui, ormai adulto, nel paese di Madian, ossia il territorio, al vertice del Golfo di Aqaba, tra le penisole del Sinai e dell'Arabia, abitato allora da popolazioni nomadi o seminomadi che percorrevano tutto il paese del Sinai fino a Moab; ivi Mosè abitava con il sacerdote di Madian, Reuel (= Ietro), che gli diede in moglie la propria figlia, Zippora. In quel tempo il re d'Egitto morì; gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù e Dio ascoltò il loro lamento. A questo punto è raccontato l'episodio del roveto ardente. «Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo

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senza attendere oltre nel giardino dinanzi al roveto, con i santi uomini, ed ivi facemmo tappa. Il giorno successivo, desti di buon'ora, chiedemmo ai sacerdoti di fare anche là l'offerta; e così fu fatto.

Altri luoghi biblici 5. 1. Siccome il nostro itinerario doveva attraversare la valle nel centro, nel senso della sua lunghezza, quella valle di cui ho parlato prima, dove erano rimasti gli anziani di Israele mentre Mosè saliva sulla montagna di Dio e ne discendeva, a mano a mano che avanzavamo lungo tutta la valle quei santi uomini non si stancavano di mostrarci i singoli luoghi. 2. A capo di essa, dove avevamo fatto tappa e dove avevamo visto il roveto dal quale Dio parlò al santo Mosè nel fuoco, avevamo visto anche il sito in cui il santo Mosè era stato davanti al roveto, quando Dio gli disse: Sciogli i lacci dei tuoi calzari, perché il luogo nel quale stai è terra santa31. 3. Così, dopo che ci allontanammo dal roveto, essi mai tralasciarono di mostrarci tutti gli altri luoghi. Così fecero per il luogo dove si trovava l'accampamento dei figli di Israele nei giorni in cui Mosè rimase sulla montagna32; o per quello dove fu costruito il vitello, su cui ancora oggi si erge una grande pietra33. 4. Da parte nostra, a mano a mano che procedevamo, potevamo scorgere di lontano la sommità della montagna che sovrasta l'intera valle, di dove il santo Mosè vide i figli di Israele danzare, nei giorni in cui avevano costruito il vitello34. Ci fu mostrata anche una pietra, enorme, in quel luogo dove era passato il santo Mosè insieme a Giosuè, figlio di Nave35, discendendo dalla montagna: pietra contro cui, accesosi d'ira, spezzò le tavole che portava con sé36. 5. Ci fu mostrato anche come ciascuno di loro aveva avuto, in quella valle, un'abitazione, le cui fondamenta ancora oggi sono visibili, e come esse furono circondate con cinte di pietra. Ci fu pure mostrato il luogo dove il santo Mosè, tornato dal monte, ordinò che i figli di Israele corressero di porta in porta37. 6. E il luogo dove fu distrutto con il fuoco per ordine di Mosè, il vitello che Aronne aveva fatto per loro 38; e parimenti il torrente, le cui acque il santo Mosè fece bere ai figli di Israele, come è scritto nell'Esodo39. 7. Ci fu anche mostrato il luogo dove i settanta anziani ricevettero parte dello spirito di Mosè; e quello dove i figli di Israele furono presi da ingordigia per i cibi; e il luogo che fu chiamato poi «incendio», per il fatto che un incendio divampò in una parte degli accampamenti, fuoco che poi ebbe fine per la preghiera del santo Mosè.

meraviglioso spettacolo: perché il roveto non brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio» (Es 3,1-6). Cf. pure sopra, nota 10. 31 Es 3,5; cf. sopra, nota 30.32 Cf. Es 19,1ss. Cf. sopra, nota 15.33 Cf. Es 32,1ss. Cf. sopra, nota 8.34 Cf. Es 32,19.35 Si tratta di Giosuè, figlio di Nun (cf. Gs 1,1), collaboratore fedele di Mosè. In Es 32,16-19, ove si narra della discesa di Mosè dalla montagna con in mano le due tavole della Testimonianza, si legge: «Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: "C'è rumore di battaglia nell'accampamento". Ma rispose Mosè: "Non è il grido di chi canta: Vittoria! Non è il grido di chi canta: Disfatta! Il grido di chi canta a due cori io sento". Quando si fu avvicinato all'accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l'ira di Mosè si accese: egli scagliò via le tavole spezzandole ai piedi della montagna». Sarà Giosuè che, dopo la morte di Mosè, guiderà il popolo eletto nella terra che Dio gli aveva promesso e ne organizzerà la distribuzione tra le tribù d'Israele.36 Il testo biblico dell'Esodo non menziona però specificamente una pietra contro cui il condottiero degli Israeliti avrebbe spezzato le tavole.37 Dopo essersi adirato, aver spezzato le tavole e severamente rimproverato Aronne per ciò che aveva fatto, «Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne il ludibrio dei suoi avversari. Mosè si pose alla porta dell'accampamento e disse: "Chi sta con il Signore, venga da me?". Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Gridò loro: "Dice il Signore, il Dio d'Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco: Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente". I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno morirono circa tremila uomini del popolo».38 Cf. Es 32,20 e 32,4. Cf. sopra, note 8 e 16.39 Il riferimento pare ancora essere a Es 32,20, dove è detto che Mosè, frantumato il vitello, ne abbia sparso la polvere nell'acqua e l'abbia fatta trangugiare agli Israeliti.

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8. Ci fu mostrato il posto ove piovvero per loro manna e quaglie 40. In tale modo, dunque, ci fu mostrato tutto ciò che, secondo i Libri santi di Mosè, avvenne in quel luogo, ossia nella valle che, come ho detto, si estende ai piedi della montagna di Dio, il santo Sinai; tutte queste cose sarebbero troppo lunghe da esporre dettagliatamente per scritto, dal momento che non era neppure possibile ricordarle, tante erano: d'altra parte quando la Carità Vostra legge i Libri santi di Mosè, può vedere più esattamente ciò che in quel luoghi avvenne. 9. Questa è la valle dove fu celebrata la Pasqua41 dopo che era trascorso un anno dalla partenza dei figli di Israele dalla terra d'Egitto; essi infatti dimorarono in questa valle per un certo tempo, fin tanto che Mosè salì sulla montagna di Dio e ne discese una prima e una seconda volta; e ancora si fermarono qui per tutto il tempo in cui fu costruito il tabernacolo e in cui si compì quello che fu mostrato sulla montagna di Dio. Ci fu mostrato infatti anche il luogo dove Mosè eresse per la prima volta il tabernacolo e dove fu compiuto tutto ciò che Dio, sulla montagna, gli aveva ordinato di fare42. 10. All'altra estremità della valle vedemmo pure i «sepolcri dell'ingordigia»43, nel luogo in cui tornammo a riprendere il nostro cammino là dove, uscendo da quella grande valle, rientrammo sulla strada donde eravamo venuti, tra i monti di cui avevo parlato in precedenza. In quel medesimo giorno giungemmo anche presso altri monaci molto santi che, a causa della loro età o della loro salute malferma, non potevano recarsi

40 Accanto ai Libri veterotestamentari dell'Esodo e dei Re (1) che abbiamo visto dominare in queste prime pagine dell'Itinerarium, si fa presente anche il quarto Libro del Pentateuco, i Numeri. Dopo il Levitico, esso riprende il racconto della marcia di Israele nel deserto, dal Sinai a Qadesh e poi alle steppe di Moab fino alle rive del Giordano. Gli episodi a cui si fa riferimento in questa pagina sono da situare, secondo la narrazione dei Numeri, dopo la partenza degli Israeliti dal Sinai. Ecco dunque le parole del cap. 11 utili per comprendere i cenni qui fatti dall'Itinerarium: 11,1-3 (sul fuoco nell'accampamento): «Ora il popolo cominciò a lamentarsi malamente agli orecchi del Signore. Li udì il Signore e il suo sdegno si accese e il fuoco del Signore divampò in mezzo a loro e divorò l'estremità dell'accampamento. Il popolo gridò a Mosè; Mosè pregò il Signore e il fuoco si spense. Quel luogo fu chiamato Tabera, perché il fuoco del Signore era divampato in mezzo a loro»; 11,4-6 (sull'ingordigia per i cibi): «La gente raccogliticcia [il riferimento probabile è a quegli stranieri che seguirono gli Israeliti nell'esodo dall'Egitto], che era tra il popolo, fu presa da bramosia, ma di cibo; anche gli Israeliti ripresero a lamentarsi e a dire: "Chi mi potrà dare carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio. Ora la nostra vita inaridisce; non c'è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna»; 11,7-9 (sulla manna): «La manna era simile al seme del coriandolo e aveva l'aspetto della resina odorosa. Il popolo andava attorno a raccoglierla; poi la riduceva in farina con la macina o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere nelle pentole o ne faceva focacce; aveva il sapore di pasta all'olio. Quando di notte cadeva la rugiada sul campo, cadeva anche la manna»; 11,31-35 (sulle quaglie), cf. sopra, nota 3; cf. pure Es 16,11-14; 11,16-17.24-25 (sulla discesa dello spirito di Mosè sui settanta anziani): «Il Signore disse a Mosè: "Radunami settanta uomini tra gli anziani d'Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come loro scribi; conducili alla tenda del convegno; vi si presentino con te. Io scenderò e parlerò in quel luogo con te; prenderò lo spirito che è su di te per metterlo su di loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo"... Mosè dunque... radunò settanta uomini tra gli anziani del popolo e li pose intorno alla tenda del convegno. Allora il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito».41 I primi 10 capitoli dei Numeri (fino a 10,10) narrano del popolo eletto al Sinai; in Nm 9,1-5 si ricorda in particolare la Pasqua ivi celebrata: «Il Signore parlò ancora a Mosè nel deserto del Sinai, il primo mese del secondo anno, da quando uscirono dal paese d'Egitto, dicendo: "Gli Israeliti celebreranno la Pasqua nel tempo stabilito. La celebrerete nel tempo stabilito, il quattordici di questo mese tra le due sere; la celebrerete secondo tutte le leggi e secondo tutte le prescrizioni e le usanze". Mosè parlò agli Israeliti perché celebrassero la Pasqua. Essi celebrarono la Pasqua il quattordici del primo mese al tramonto, nel deserto del Sinai; gli Israeliti agirono secondo tutti gli ordini che il Signore aveva dato a Mosè».42 Dal Libro dei Numeri si torna a quello dell'Esodo e più particolarmente all'ultima sua parte, dove, sancita l'alleanza tra Dio e il popolo liberato, sono date le leggi per l'organizzazione civile, sociale e religiosa e le disposizioni riguardanti l'ordinamento cultuale, puntualmente eseguite da Mosè. Il riferimento preciso è all'ultimo capitolo - il XL - del Libro.«Il Signore parlò a Mosè e gli disse: "Il primo giorno del primo mese erigerai la Dimora, la tenda del convegno. Dentro vi collocherai l'arca della Testimonianza, davanti all'arca tenderai il velo. Vi introdurrai la tavola e disporrai su di essa ciò che vi deve essere disposto; introdurrai anche il candelabro e vi preparerai sopra le sue lampade. Metterai l'altare d'oro per i profumi davanti all'arca della Testimonianza e metterai infine la cortina all'ingresso della tenda"... Mosè fece in tutto secondo quanto il Signore gli aveva ordinato. Fece così: nel secondo anno, nel primo giorno del primo mese fu eretta la Dimora. Mosè eresse la Dimora... Prese la Testimonianza, la pose dentro l'arca; mise le stanghe dell'arca e pose il coperchio sull'arca; poi introdusse l'arca nella Dimora, collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all'arca della Testimonianza, come il Signore aveva ordinato a Mosè» (Es 40,1-5.16-18.20-21).43 Cf. Nm 11,31-34. Cf. sopra, nota 3. Egeria si ritrova nel luogo da cui già era passata prima di cominciare il pellegrinaggio sul Sinai; cf. Itinerarium 1,1.

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fino alla montagna di Dio per farvi l'offerta; essi si degnarono, al nostro arrivo, di accoglierci molto ospitalmente. 11. Così, dopo aver visto tutti i luoghi santi che desideravamo vedere, come pure tutti i luoghi toccati dai figli di Israele, sia nell'andata sia nel ritorno sulla via che porta alla montagna di Dio; dopo aver visto anche i santi uomini che qui dimoravano, nel nome di Dio facemmo ritorno a Faran44. 12. Davvero devo sempre e per ogni cosa rendere grazie a Dio: particolarmente per tali e tante grazie che si è degnato di concedere a me, persona indegna e non meritevole, sì che potessi percorrere tutti i luoghi che non meritavo di vedere; inoltre non potrò mai ringraziare abbastanza tutti quegli uomini santi che si degnavano di accogliere benevolmente la mia umile persona nei loro eremi, anzi di farmi da guide sicure in tutti i posti che chiedevo di vedere, secondo le indicazioni delle sante Scritture. Molti degli uomini santi che dimoravano sulla montagna di Dio o nei suoi pressi, quelli almeno che ne avevano le forze, si degnarono di accompagnarci sino a Faran. Il ritorno a Clysma 6. 1. Quando dunque giungemmo a Faran, luogo che si trova a 35 miglia dalla montagna di Dio, dovemmo farvi una sosta di due giorni per riposarci45. Il terzo giorno, partiti di là con sollecitudine, arrivammo di nuovo nel deserto di Faran, a quel luogo di sosta ove nell'andata avevamo passato la notte, come sopra ho detto. Di là poi, il giorno seguente, dopo aver rifatto le nostre provviste d'acqua, camminando ancora un po' di tempo tra i monti, arrivammo a un luogo di sosta che era lungo il mare, in un punto in cui si esce di tra i monti e si riprende nuovamente a camminare molto vicini al mare; si segue la costa in modo che ora i flutti si infrangono contro i piedi degli animali, ora si cammina a cento o duecento, talvolta ad anche più di cinquecento passi dal mare, nel deserto, giacché qui non esistono affatto strade, ma solamente deserti di sabbia. 2. Gli abitanti di Faran, che sono soliti percorrere quei luoghi con i loro cammelli, pongono di tanto in tanto dei segnali a cui fare riferimento e così camminano durante il giorno. Nella notte poi i cammelli stessi seguono i segnali. Che dire di più? Per l'abitudine che hanno, gli abitanti di Faran circolano in quei luoghi con più precisione e sicurezza durante la notte, di quanto non facciano altri là dove esiste una via ben tracciata. 3. Sulla via del ritorno, dunque, uscimmo fuori dalla zona montuosa nello stesso luogo in cui nell'andata ci eravamo inoltrati e così ci avvicinammo di nuovo al mare. Anche i figli di Israele, tornando dalla montagna di Dio, il Sinai, fino a quel luogo percorsero la stessa strada che avevano fatto andando, intendo dire fino al punto in cui noi uscimmo fuori dai monti per raggiungere di nuovo il Mar Rosso46. Di là

44 Con il nome di Faran si designa, oltre che la città (cf. sopra, nota 12), anche la regione desertica della parte centrale della penisola sinaitica. Come Faran antica, anche l'attuale oasi di Feirân dista 50 km circa (35 miglia romane) dal massiccio del Sinai. Essa fu fortificata a seguito degli attacchi subiti dai Saraceni. Forse già verso il 400 divenne sede vescovile; alla fine del VII secolo il suo vescovo, Teodoro, fu condannato come monotelita dal Concilio di Costantinopoli del 681. Così la sede restò vacante e fu trasferita poi nel IX secolo nel monastero di Santa Caterina, in un periodo in cui la popolazione locale si era ormai convertita all'islam.45 Dopo due giorni di sosta a Faran, il pellegrinaggio di Egeria riprende scandito dalle tappe notturne (mansiones), alcune delle quali sono indicate, altre taciute: la prima nel deserto di Faran, la seconda, più a nord, sulle rive del Mar Rosso, e poi forse ad Arandara, tra Arandara e Maran, a Maran e finalmente a Clysma. Si sa che a piedi o a dorso di cavalcatura, come probabilmente è nel caso nostro, si percorrevano durante l'arco della giornata 30 km o poco più; la distanza da Faran a Clysma era di oltre 200 km: occorrevano dunque 7 giorni di cammino con 6 mansiones intermedie. Questa parte del viaggio è accennata in rapidi tratti. Si può supporre che essa sia stata narrata con maggiori particolari nei capitoli precedenti dell'Itinerarium, andati perduti. Cf. Introduzione, p. 35.46 L'osservazione di Egeria merita di essere sottolineata, perché mette in chiaro il suo desiderio di ripercorrere il cammino compiuto dagli Israeliti dopo la liberazione dagli Egiziani, cammino che rappresenta un momento significativo di quella «storia della salvezza» che culmina in Cristo (cf. pure Itinerarium 7,1). Tuttavia bisogna aggiungere che l'indicazione non è esatta: lasciando il Sinai, il popolo di Israele non dovette percorrere le piste del deserto verso nord-ovest. L'inesatta interpretazione nacque con probabilità da un passo del Libro dei Numeri, in cui si narra la partenza degli Israeliti dal Sinai: «Il secondo anno, il secondo mese, il venti del mese, la nube si alzò sopra la Dimora della Testimonianza. Gli Israeliti partirono dal deserto del Sinai secondo il loro ordine di marcia; la nube si fermò nel deserto di Paran. Così si misero in cammino la prima volta, secondo l'ordine del Signore, dato per mezzo di Mosè» (10,11-13). Anche in Nm 12,16 si legge: «Poi il popolo partì da Caserot e si accampò nel deserto di Paran». L'espressione «deserto di Paran» è generica; si può individuare nel tavoliere calcareo nella zona nord-est della penisola sinaitica, a sud di Kades-Barnea (oggi Ain Qedeis), dunque non nella zona percorsa da Egeria verso Clysma.

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rifacemmo la via donde eravamo venuti, mentre i figli di Israele da quel luogo, come è scritto nei Libri del santo Mosè, proseguirono per il loro cammino. 4. Noi ritornammo a Clysma47 attraverso la stessa via e con le stesse soste già fatte all'andata. Ritornati di nuovo a Clysma, dovemmo riposarci un'altra volta, perché avevamo fatto molta strada tra le sabbie del deserto.

Da Clysma alla terra di Gessen 7. 1. Sebbene già conoscessi la terra di Gessen (passando di là ero stata la prima volta in Egitto), nondimeno, per meglio vedere tutti i luoghi che i figli di Israele uscendo da Ramesse 48 avevano toccato nel loro cammino, fino all'arrivo al Mar Rosso nel luogo che attualmente, dal nome della fortezza che vi si trova, si chiama Clysma, ebbi desiderio di poter andare da Clysma alla terra di Gessen, fino alla città chiamata Arabia, che si trova nella terra di Gessen. Infatti per ciò questo territorio si chiama così, voglio dire terra di Arabia, terra di Gessen, benché sia una parte dell'Egitto, migliore però rispetto a tutto il resto dell'Egitto49. 2. Da Clysma, ossia dal Mar Rosso, fino alla città d'Arabia, vi sono quattro tappe da fare attraverso il deserto; un deserto dove tuttavia di tappa in tappa si trovavano distaccamenti di soldati e ufficiali che ci scortarono sempre da un forte all'altro. Lungo il cammino, i santi uomini che ci accompagnavano, membri del clero o monaci che fossero, ci mostravano tutti i luoghi, sui quali io non mi stancavo di chiedere informazioni, riferendomi alle Scritture. Un luogo si trovava a sinistra, un altro alla destra della nostra strada, un altro ancora era più lontano dal cammino, un altro più vicino. 3. Per quanto potei rendermi conto, voglia la Carità Vostra credermi, i figli di Israele fecero il cammino in modo tale che ora andavano a destra, ora ritornavano a sinistra, ora andavano avanti, ora ritornavano indietro; così essi fecero il cammino fino a che pervennero sul Mar Rosso50. 4. Ci venne indicato Epauleo, ma di lontano, mentre passammo a Magdalo. Oggi in quel luogo vi è un forte in cui vi è un ufficiale con la sua guarnigione, che ha il comando in nome dell'autorità romana. Secondo l'abitudine, i soldati ci scortarono di là sino al forte successivo; ci fu indicato Beelsephon, anzi passammo proprio in quel luogo51. Si tratta di una piana che si affaccia sul Mar Rosso lungo il fianco del

47 Clysma - che in greco (klysma) significa lido, riva, luogo bagnato dai flutti - era situata all'estremità settentrionale del golfo, dove oggi sorge Suez, o poco più a nord nella località di Qom Qolzoum: porto a cui approdavano le navi provenienti dall'Oceano Indiano; era in pari tempo una città fortificata. Secondo gran parte della tradizione cristiana, il passaggio del Mar Rosso compiuto dagli Ebrei che fuggivano dall'Egitto avvenne appunto a Clysma.48 Per capire l'allusione ci si può riferire a Es 1,11: «Vennero imposti loro (agli Ebrei) dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses» (cf. pure sotto, nota 55).49 La terra di Gessen (in ebraico Gosen) è più volte ricordata in special modo negli ultimi capitoli della Genesi. Come si vede, il testo identifica la terra di Gessen con la terra d'Arabia. Né la cosa stupisce: la traduzione greca dei LXX aggiunge al nome ebraico il nome geografico corrente nell'Egitto ellenistico degli ultimi secoli prima di Cristo; e l'Arabia appunto era uno dei distretti amministrativi, a quanto sembra però più ristretto estensivamente della terra di Gessen, che copriva l'area del Nord-Egitto tra il Nilo (ramo di Pelusio) e il deserto ad est; era considerata la parte migliore del paese. Quando Giacobbe e i suoi figli si ricongiungono in Egitto a Giuseppe, ministro del faraone, e chiedono a quest'ultimo di poter soggiornare nel paese, il faraone dice a Giuseppe: «Tuo padre e i tuoi fratelli sono dunque venuti da te. Ebbene, il paese d'Egitto è a tua disposizione: fa' risiedere tuo padre e i tuoi fratelli nella parte migliore del paese. Risiedano pure nel paese di Gosen» (Gn 47,5-6).50 Egeria, in modo certo maldestro, vuol qui dire che gli Ebrei non seguirono nella loro marcia verso il Mar Rosso un percorso diritto, ma fecero un cammino sinuoso. Non si dimentichi inoltre che, secondo parecchi studiosi, il territorio di cui si parla era al tempo dell'«esodo» morfologicamente diverso da quello che si presentava alla vista nel III-IV secolo dopo Cristo. Il Mar Rosso doveva infatti estendersi di più verso nord e l'attuale bacino dei Laghi Amari doveva essere unito al Golfo di Suez da canali naturali di poca profondità.51 Ardua è talvolta la localizzazione dei luoghi menzionati, dei quali il nostro testo parla sempre in riferimento a passi biblici; e proprio sulle località bibliche delle quali quel passi parlano le ipotesi degli storici e degli eruditi non concordano. Epauleo corrisponderebbe a Pi-Achirot della Bibbia, Magdalum a Migdol, Belsefon a Baal-Zefon. In un punto culminante dell'Esodo, al cap. 14,1-4, si legge: «Il Signore disse a Mosè: "Comanda agli Israeliti che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achirot, tra Migdol e il mare, davanti a Baal-Zefon; di fronte ad esso vi accamperete presso il mare. Il faraone penserà degli Israeliti: Vanno errando per il paese; il deserto li ha bloccati! Io renderò ostinato il cuore del faraone ed egli li inseguirà; io dimostrerò la mia gloria contro il faraone e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore! ". Essi fecero in tal modo». E ugualmente «gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare: tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito si trovarono presso Pi-Achirot, davanti a Baal-Zefon» (Gn 14,9).

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monte di cui ho parlato prima, dove i figli di Israele, allorché videro che gli Egiziani li inseguivano, alzarono grida52. 5. Ci fu pure mostrato Oton, che si trova al limite del deserto, come è scritto53, e così Soccoth. Soccoth è un monticello nel mezzo di una valle, nei cui pressi i figli di Israele stabilirono i loro accampamenti: proprio quello è il luogo dove ricevettero la legge della Pasqua54. 6. Lungo il cammino, lasciate le terre dei Saraceni e già entro il territorio dell'Egitto, ci venne indicata la città di Pithom, costruita dai figli di Israele55; ora è un forte. 7. Heroonpolis, che fu una città al tempo in cui Giuseppe venne incontro a suo padre Giacobbe che sopraggiungeva, come è scritto nel Libro della Genesi56 ora è un villaggio, ma di notevole grandezza, quello che noi chiamiamo un vicus. Infatti possiede una chiesa, alcuni martyria57 e un gran numero di eremi di santi monaci. Per poter vedere ogni cosa, dovemmo fermarci in questo luogo secondo l'abitudine che avevamo. Questo villaggio oggi si chiama Hero, è a 16 miglia dalla terra di Gessen, sul territorio dell'Egitto. Il luogo è assai piacevole giacché è percorso da un braccio del fiume Nilo. Uscendo poi da Hero giungemmo alla città che si chiama Arabia, nella terra di Gessen: per cui è scritto che il faraone disse a Giuseppe: Fa' risiedere tuo padre e i tuoi fratelli nella parte migliore dell'Egitto, nella terra di Gessen, nella terra di Arabia58.

L'antica Ramesse 8. 1. Dalla città di Arabia, Ramesse dista 4 mila passi e noi, per arrivare alla tappa di Arabia, attraversammo Ramesse59; attualmente questa città è una piana disabitata: infatti non vi è più alcuna 52Es 14,10: «Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani muovevano il campo dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore». È questa la continuazione del passo citato nella nota precedente, a cui fa seguito dapprima l'invocazione degli Ebrei a Mosè e la preghiera di questi al Signore e poi la risposta del Signore che porta alla liberazione di Israele dai suoi inseguitori. 53 Proseguendo il cammino verso nord, la pellegrina incontra Oton (Etam), un centro situato dai geografi antichi sulla riva settentrionale dei Laghi Amari, da identificare forse con una fortezza egiziana situata vicino a Serapeum, ove passava una delle due vie principali che collegavano l'Egitto al Vicino Oriente. A Oton-Etam gli Ebrei, sulla via della libertà, stabilirono un campo prima di riprendere la marcia. «Partirono da Succot e si accamparono a Etam, sul limite del deserto. Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte» (Es 13,20-21).54 È questo il luogo del primo campo degli Ebrei partiti da Ramses (cf. Nm 33,5; cf. sotto, nota 59). Succoth, al tempo dell'«esodo» era una regione; il suo nome in età successive passò alla città che ne divenne capoluogo, Thukut o Thé-kou o Pi-tum, ossia la città del Dio Tum. «Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini capaci di camminare, senza contare i bambini. Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e insieme greggi e armenti in gran numero... Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d'Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in generazione. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: "Questo è il rito della Pasqua: nessuno straniero ne deve mangiare..."». (Es 12,37-38.42-43).55 Ancora un passo dell'Esodo (1,11, riportato sopra; cf. nota 48) ci dà modo di intendere il cenno fatto qui di Pithom, città costruita dagli Ebrei.56 Si trova scritto in Genesi 46, 28-30: «Giacobbe aveva mandato Giuda avanti a sé da Giuseppe, perché questi desse istruzioni in Gosen prima del suo arrivo. Arrivarono quindi al paese di Gosen. Allora Giuseppe fece attaccare il suo carro e salì in Gosen incontro a Israele, suo padre. Appena se lo vide davanti, gli si gettò al collo e pianse a lungo stretto al suo collo. Israele disse a Giuseppe: "Posso anche morire, questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei ancora vivo"». Heroonpolis è il nome di Gosen (Gessen) che si trova nei LXX e similmente in antiche versioni latine della Bibbia (Heroum civitas). Poco dopo la medesima città è chiamato Hero, secondo un probabile uso locale. Il sito ove sorgeva è stato identificato a nord di Tell el-Maskhuta nel Wadi Tumilat.57 I martyria sono per lo più piccoli santuari eretti in onore dei martiri sul luogo dove sono stati sepolti. È questa la prima volta che Egeria li menziona e, come si vedrà anche in seguito, ella non manca di visitarli: anche i martyria sono luoghi santi non della storia biblica, ma della storia della Chiesa. 58 Cf. Gn 47,6. Cf. sopra, nota 49, ove si è citato il contesto.59 Compiendo il viaggio a ritroso, l'antica pellegrina è giunta al punto iniziale da cui gli Ebrei sono partiti per il viaggio verso la terra promessa, sotto la guida di Mosè: Ramesse o Ramses. Basti leggere Numeri 33,5 ss.: «Gli Israeliti partirono dunque da Ramses e si accamparono a Succot. Partirono da Succot e si accamparono a Etam, che è all'estremità del deserto. Partirono da Etam e piegarono verso Pi-Achirot, che è di fronte a Baal-Zefon, e si accamparono davanti a Migdol. Partirono da Pi-Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara». E dopo altre cinque tappe, secondo il medesimo racconto dei Numeri, «si accamparono a Refidim [sito che si identifica con Faran] dove non c'era acqua da bere per il popolo. Partirono da Refidim e si accamparono nel deserto del Sinai» (Nm 33,5-8.14-15). Quanto a Ramses, da cui è partito il discorso, è città che con Pi-tum (Pithom) fu costruita dagli Ebrei quand'erano in Egitto (cf. Es 1,11).

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abitazione. Appare con chiarezza che ebbe una grande estensione e molti edifici, giacché i suoi resti, che sono tutti in rovina, ancora oggi si scorgono a perdita d'occhio60. 2. Ora in quel luogo non vi è null'altro che una enorme pietra di Tebe61, in cui sono scolpite due statue grandissime che si dice rappresentino uomini santi, cioè Mosè e Aronne. Si narra infatti che le hanno poste là in loro onore i figli di Israele. 3. Inoltre vi è un albero di sicomoro, che si dice sia stato piantato dai patriarchi: è molto vecchio e per conseguenza malridotto, e tuttavia porta ancora frutto. Se qualcuno soffre di qualche infermità si reca là, prende qualche ramoscello e ne trae beneficio. 4. Cosa, questa, che abbiamo appresa dal racconto del santo vescovo di Arabia; egli infatti ci disse quale fosse il nome dell'albero: in greco lo si chiama ‘dendros alethiae’, il che da noi si traduce «albero della verità». Questo santo vescovo si degnò di venirci incontro a Ramesse: è persona di età avanzata, molto pia, che un tempo fu monaco, è affabile e accoglie molto bene i pellegrini; inoltre è un profondo conoscitore delle Scritture divine. 5. Egli dunque, dopo essersi degnato di incomodarsi e di venirci incontro, ci mostrò ogni cosa che era in quel luogo e ci raccontò di quelle statue di cui ho parlato, e anche del sicomoro. Quel santo vescovo ci narrò anche come il faraone, quando vide che i figli di Israele avevano lasciato il paese, fosse entrato con tutto il suo esercito in Ramesse e avesse incendiato tutta la città che era enormemente grande 62, e poi fosse partito all'inseguimento dei figli di Israele.

Dalla città d'Arabia a Gerusalemme 9. 1. Per un caso fortunato e molto felice, ci accadde che il giorno in cui giungemmo alla sosta nella città di Arabia fosse la vigilia del beatissimo giorno dell'Epifania63: quel giorno infatti si doveva celebrare la veglia nella chiesa. Così dunque il santo vescovo ci trattenne sul luogo due giorni: era un santo, veramente un uomo di Dio, che conoscevo bene dal giorno in cui ero stata in Tebaide. 2. Questo santo vescovo per lungo tempo era stato monaco: infatti fu allevato fin dalla sua infanzia in un monastero: perciò ha una conoscenza così profonda delle Scritture ed è così irreprensibile nella condotta della sua vita, come ho già detto prima. 3. Da quel luogo congedammo i soldati che ci avevano fatto la scorta in nome dell'autorità romana, fin tanto che avevamo camminato per luoghi insicuri; ma ora non era più necessario incomodare i soldati, poiché la via che attraversa la città di Arabia conducendo dalla Tebaide a Pelusio, è una via pubblica dell'Egitto64. 4. Partiti di là facemmo l'intero cammino traversando la terra di Gessen, sempre tra viti che producono vino e viti che producono balsamo, tra frutteti, campi ben coltivati e giardini bellissimi; un cammino compiuto interamente lungo le rive del Nilo, tra poderi molto fertili, che un tempo erano stati luoghi di residenza dei figli di Israele. Che dire di più? Credo di non avere mai visto un paese più bello della terra di Gessen.

60 Le opinioni dei critici non si accordano nel localizzare dove sorgesse Ramses e quindi Arabia che - seguendo il nostro testo - distava dalla prima 4000 passi, ossia poco meno di 6 km. Ipotesi plausibile è quella che identifica Arabia con l'attuale Faqus e le rovine di Ramses con quelle che si trovano a pochi km da Faqus; ipotesi che si basa sul fatto che Arabia in epoca romana e bizantina era denominata pure Phacusa (cf. A. H. M. Jones, Cities of Eastern Roman Provinces, Oxford 1971, p. 337).61 La pietra di Tebe (lapis Thebeus) è il granito rosso.62 Di questo particolare non si trova alcun fondamento nella Scrittura; esso sembra nascere forse in terreno cristiano per spiegare la desolazione derivante dalla vista delle rovine.63 Con l'Epifania, una delle più antiche feste della cristianità, in Oriente si celebrava la nascita di Cristo. A suo proposito, il cenno qui fatto sarà ripreso estesamente nella descrizione della liturgia della festa quale si celebrava a Gerusalemme (cf. sotto, note 172-181). Opportunamente è stato notato che il 25 dicembre Egeria non fa alcun cenno al Natale, cosa che avrebbe certo fatto se la festa fosse stata celebrata nel mondo cristiano; anche se occorre notare che Egeria in quel giorno si trovava in viaggio tra il deserto di Faran e Arandara.64 Notevole questa osservazione sulla sicurezza delle vie antiche. Si può dire che mentre le vie romane erano sicure nel primo periodo dell'Impero, fino al II secolo, a cominciare dal III, per una serie di fattori, divengono più difficilmente percorribili; entro certi limiti i viaggi si fanno ancor più difficili nel IV secolo e in tempi successivi. Nel caso specifico, percorrendo Egeria la via principale che da Arabia conduce a Pelusio, ritiene d'essere sicura e procede senza una scorta militare. La presenza della quale, per altro verso, dimostra il rango sociale che Egeria doveva rivestire e le cure di cui era oggetto da parte delle autorità imperiali.

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5. Così dunque dalla città di Arabia, camminando due giorni sempre attraverso la terra di Gessen, giungemmo nella città di Tatnis, dove nacque il santo Mosè. Questa è la città che un tempo fu la metropoli del faraone. 6. Benché avessi già conosciuto quel luoghi, come dissi prima, quando ero stata ad Alessandria e nella Tebaide, nondimeno, dal momento che volevo conoscere più a fondo i luoghi ove erano passati i figli di Israele nella loro marcia da Ramesse fino alla montagna di Dio, il santo Sinai, fu necessario ritornare di nuovo nella terra di Gessen e poi a Tatnis65. Partiti quindi da quest'ultima località, percorrendo un cammino già noto, pervenni a Pelusio66. 7. Partita nuovamente di qui, passando per tutte le località di sosta dell'Egitto per le quali eravamo venuti, giunsi al confine della Palestina. Quindi, nel nome di Cristo nostro Dio, facendo ancora qualche tappa in Palestina, ritornai a Helia, vale a dire a Gerusalemme.

Di nuovo in viaggio verso il monte Nebo 10. 1. Trascorso quindi un certo tempo, secondo la volontà di Dio, sentii un'altra volta un desiderio: andare fino in Arabia, al monte Nebo67, al luogo dove Dio ordinò a Mosè di salire, dicendogli: Sali sulla montagna di Arabot, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab di fronte a Gerico e mira la terra di Canaan che io do in possesso ai figli di Israele; tu morirai sul monte su cui sarai salito68. 2. Così dunque Gesù nostro Dio, che non abbandona coloro che sperano in lui, anche questa volta si è degnato di esaudire il mio desiderio. 3. Partii dunque da Gerusalemme viaggiando in compagnia di sante persone: un sacerdote, diaconi di Gerusalemme e alcuni fratelli monaci; giungemmo al Giordano in quel punto in cui erano passati i figli di Israele quando il santo Giosuè figlio di Nave aveva fatto loro attraversare il Giordano, come è scritto nel

65 Molti critici hanno visto in Tatnis (o Tathnis o Taphnis, a seconda delle grafie riportate nei manoscritti) Tanis, città situata nel Basso Egitto lungo il ramo mediano del Nilo e capitale del faraone in epoche antiche. Forse di qui nasce la notizia che Mosè fosse nato in Tanis, essendo stato salvato dalla figlia del faraone lungo le rive del Nilo. Contro quest'ipotesi si deve però notare che Egeria più volte dice di percorrere la terra di Gessen e che questa non comprendeva le terre bagnate dal ramo mediano (tanitico) del Nilo. Più probabilmente l'antica pellegrina ha percorso il cammino più diretto tra Arabia e Pelusio, lungo il ramo orientale (pelusiaco) del grande fiume e avendo attraversato la città di Tatnis (che si trova lungo quel percorso) è stata forse ingannata dalla somiglianza del nome e l'ha scambiata per la Tanis biblica, situata a circa 40 km in direzione nord-ovest.66 Pelusio è una città di cui si hanno notizie fin dal VII secolo a.C.; fu porto commerciale e centro militare; raggiunse grande importanza economica sotto l'Impero. Al tempo di Egeria era sede arcivescovile e punto di notevole rilievo per il movimento monastico. Di là, percorrendo per parecchie centinala di km la cosiddetta «Via del mare» che da Alessandria giungeva a Calcedonia sul Bosforo - unendo l'Egitto alla Palestina, alla Siria e all'Asia Minore -, Egeria arriva in Palestina e più specificamente ad Aelia Capitolina, il nome dato da Adriano a Gerusalemme dopo la seconda rivolta giudaica del 132-135.67 Continuando idealmente quel pellegrinaggio, di cui siamo stati finora testimoni, che ha portato Egeria fino al monte Sinai sulle tracce di Mosè e del popolo da lui guidato nella marcia verso la terra promessa, si apre ora un nuovo capitolo. Dopo aver trascorso a Gerusalemme un mese o poco più, Egeria vuol realizzare un altro suo desiderio: quello di recarsi ad est del Giordano, nella provincia d'Arabia (che aveva per capoluogo Bostra) e là salire sul monte Nebo. La ragione è evidente: ripercorrere l'ultima tappa del cammino di Mosè, che, contemplata dal monte Nebo appunto la terra che sarà sede del suo popolo, ivi muore. Lasciato il Sinai, gli Ebrei si erano diretti verso nord ed erano rimasti per un'intera generazione nelle oasi intorno a Qadesh Barnea; di là poi riprendono il cammino, passando per la via più lunga, per l'altopiano di Moab, ad oriente del Mar Morto, e giungono in uno dei punti più settentrionali di quella regione montuosa.68 Dt 32,49-50. Il Deuteronomio è il quinto Libro del Pentateuco; in esso sono presentati tre grandi discorsi di Mosè che spiegano il senso religioso della storia passata, indicano i modi della vita religiosa e sociale del popolo e ne fanno dipendere l'avvenire dalla fedeltà alle leggi divine. L'ultima parte del Libro narra gli eventi estremi dell'esistenza di Mosè (capp. 31-34). Sono questi gli avvenimenti sulla cui traccia si pone Egeria, muovendo verso il monte Nebo. Nella citazione si legge: «Ascende in montem Arabot». Non si tratta dell'Arabot, ma dell'Abarim, catena di montagne del paese di Moab. L'errore - come è stato notato (cf. Maraval, ed. cit., p. 165, nota 4) - deriva da Dt 34,8 citato nell'Itinerarium poco dopo (cf. 10,4): «Et ploraverunt filii Israhel Moysen in Arabot Moab et Iordane...», i figli di Israele piansero Mosè a Arabot di Moab e del Giordano, dove Arabot significa piana, steppe.

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Libro di Giosuè di Nave69. Ci fu anche mostrato il luogo, un poco più in alto, dove i figli di Ruben e di Gad e la metà della tribù di Manasse avevano costruito un altare sulla riva del fiume su cui si trova Gerico70. 4. Attraversando poi il fiume, arrivammo a una città di nome Livias71, posta in quella piana dove i figli di Israele avevano a loro tempo situato gli accampamenti72. Infatti in questo luogo ancora oggi sono visibili le fondazioni degli accampamenti dei figli di Israele e delle abitazioni dove essi avevano dimorato. La piana si estende a perdita d'occhio ai piedi dei monti di Arabia, lungo le rive del Giordano73. È questo infatti il luogo di cui è scritto: I figli di Israele piansero Mosè a Arabot di Moab e del Giordano, di fronte a Gerico, per quaranta giorni74.5. Questo è anche il luogo in cui, dopo la dipartita di Mosè, subito Giosuè figlio di Nave fu riempito di spirito di saggezza: in fatti Mosè aveva imposto le mani su di lui, come è scritto75.6. Questo è il luogo in cui Mosè scrisse il Libro del Deuteronomio76; il luogo dove Mosè pronunciò fino al loro termine innanzi a tutta l'assemblea degli Israeliti le parole del cantico scritto nel Libro del Deuteronomio77; questo, ancora, è il luogo dove il santo Mosè, l'uomo di Dio, benedisse i figli di Israele, singolarmente, uno dopo l'altro, prima della sua morte78. 7. Noi dunque, arrivati nella pianura, avanzammo fino a giungere in quel preciso luogo e qui dicemmo una preghiera, qui leggemmo passi del Deuteronomio, non solo il cantico di Mosè79, ma anche le benedizioni che aveva pronunciato sui figli di Israele80. Dopo la lettura, fatta di nuovo un'altra preghiera e rendendo 69 69 Nel Libro di Giosuè (capp. 3 e 4) si racconta l'attraversamento del Giordano da parte degli Israeliti sotto la guida di Giosuè, che aveva preso il posto di Mosè dopo la sua morte. «Disse allora il Signore a Giosuè: "Tu ordinerai ai sacerdoti che portano l'arca dell'alleanza: Quando sarete giunti alla riva delle acque del Giordano, voi vi fermerete". Giosuè allora disse agli Israeliti...: "Ecco, l'arca dell'alleanza del Signore di tutta la terra passa dinanzi a noi nel Giordano... Quando le piante dei piedi dei sacerdoti che portano l'arca di Dio, Signore di tutta la terra, si poseranno sulle acque del Giordano, le acque del Giordano si divideranno...". Quando il popolo si mosse dalle sue tende per attraversare il Giordano, i sacerdoti che portavano l'arca dell'alleanza camminavano davanti al popolo. Appena i portatori dell'arca furono arrivati al Giordano e i piedi dei sacerdoti che portavano l'arca si immersero al limite delle acque - il Giordano infatti durante tutti i giorni della mietitura è gonfio fin sopra tutte le sponde - si fermarono le acque che fluivano dall'alto e stettero come un solo argine a grande distanza... e il popolo passò di fronte a Gerico» (Gs 3,7 ss.).70 Tra le disposizioni prese da Giosuè vi fu quella di distribuire la terra promessa alle tribù di Israele. I Rubeniti, i Gaditi e una metà della tribù di Manasse ricevettero la porzione che Mosè aveva loro assegnato al di là del Giordano, a oriente. Giosuè li benedisse e li congedò ed essi partirono per i paesi della Transgiordania. «Quando furono giunti alle curve del Giordano, che sono nel paese di Canaan, i figli di Ruben, i figli di Gad e metà della tribù di Manasse vi costruirono un altare presso il Giordano: un altare in forma grandiosa» (Gs 22,10). Un altare che, ritenuto segno di infedeltà al Signore dagli Israeliti rimasti in terra di Canaan, li indignò e li mise sul piede di guerra. La giustificazione data dai Rubeniti (l'altare non era stato costruito per offrirvi olocausti e sacrifici, ma perché fosse «testimone fra di noi che il Signore è Dio» (Gs 22,34), dissipa poi i malintesi e provoca la riappacificazione tra le parti. Di questo altare si fa cenno nel nostro passo.71 Livias corrisponde alla città denominata Er-Rameh; è un centro situato ad est del Giordano che deve il suo nome ad Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande, il quale dopo la morte del padre (4 a.C.) dominò come tetrarca la Galilea e la Perea per oltre 40 anni. Per ingraziarsi Augusto diede a quella città il nome della moglie dell'imperatore e la rese centro militare, agricolo e commerciale di notevole rilievo, corrispondente dall'altra parte del Giordano a Gerico. Quest'area è identificata da Egeria con le steppe di Moab (Arabot Moab) ove gli Ebrei avevano posto i loro accampamenti prima di attraversare il Giordano (cf. sopra, nota 68).72 Cf. Nm. 33,48s.: «Partirono [gli Israeliti] dai monti Abarim e si accamparono nelle steppe di Moab, presso il Giordano di Gerico. Si accamparono presso il Giordano, da Bet-Iesimot fino ad Abel-Sittim nelle steppe di Moab». Cf. pure Nm 31,12 e 36,13.73 Come già in precedenza (10,1), anche qui con il nome di Arabia ci si riferisce alla provincia Arabia stabilita da Traiano nel 106 d.C. a seguito della vittoria conseguita sui sovrani Nabatei.74 Dt 34,8. Gli episodi a cui si accenna in questa parte hanno tutti la loro fonte nei capp. 31-34 del Deuteronomio, ossia in quella sezione che dà notizia sulla fine di Mosè.75 Cf. Dt 34,9.76 Cf. Dt 31,24.77 Dt 31,30 e 32,1-43.78 Cf. Dt 33,1 ss.79 Dt 32,1-43.80 Cf. Dt 33,1 ss. Data l'estensione notevole del «cantico» (Dt 32,1-43) e delle «benedizioni» di Mosè, è impossibile riportare i passi nella loro interezza. Basti dire che il «cantico» per la forma originale, per l'intensa ispirazione poetica e per i pensieri che esprime non ha parallelo nell'Antico Testamento: è il canto della rettitudine e della fedeltà del Signore nei rapporti con il suo popolo, che talvolta è immemore e dimentico, talvolta perverso e corrotto; un canto che ai toni

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grazie a Dio, partimmo da quel luogo. Tale infatti era il nostro uso costante: ogni volta che riuscivamo 81 a raggiungere il luogo desiderato, fare prima di tutto una preghiera, poi leggere il brano relativo preso dalla Bibbia, poi dire un salmo appropriato e ripetere infine una preghiera82. Abbiamo sempre mantenuto questa abitudine, secondo la volontà di Dio, ogni volta che potemmo arrivare ai luoghi desiderati. 8. Così dunque, per realizzare compiutamente ciò che avevamo intrapreso, cominciammo ad affrettarci per poter arrivare al monte Nebo83. Durante il cammino ci fece da guida un sacerdote del luogo, cioè di Livias, a cui, quando eravamo ripartiti dalla tappa, avevamo domandato di venire con noi, perché egli conosceva meglio quei luoghi. Dunque questo sacerdote ci disse: «Se volete vedere l'acqua che sgorga dalla roccia, quell'acqua che Mosè procurò ai figli di Israele quando ebbero sete84, la potete vedere; purché vogliate affrontare la fatica di lasciare la strada alla sesta pietra miliare circa». 9. A queste parole noi, pieni di entusiasmo, desiderammo di andare e subito, abbandonata la via, seguimmo il sacerdote che ci guidava. In quel luogo c'è una piccola chiesa ai piedi di un monte, non il Nebo, ma un altro monte più in qua, non troppo lontano però dal Nebo. In questo luogo vivono molti monaci in grande santità, chiamati qui asceti.

L'ascensione al monte Nebo 11. 1. Questi santi monaci dunque si degnarono di accoglierci molto affabilmente e ci permisero persino di entrare per salutarli. Dopo che fummo entrati, pregammo insieme a loro ed essi vollero darci dei doni85, come sono soliti dare a coloro cui offrono ospitalità. 2. In quel luogo, proprio nel mezzo tra la chiesa e gli eremi, scaturisce da una roccia un'acqua abbondante, purissima, limpida, d'ottimo gusto. Noi allora chiedemmo pure a quei santi monaci che abitavano là cosa fosse quell'acqua così abbondante e buona. Ed essi dissero: «È l'acqua che il santo Mosè diede ai figli di Israele in questo deserto». 3. Come al solito facemmo quindi la preghiera, leggemmo un passo appropriato tratto dal Libro di Mosè, recitammo un salmo. Così con il clero e i monaci santi che erano venuti con noi, continuammo il nostro cammino verso il monte. Anche molti di quei santi monaci che vivevano nei pressi di quell'acqua, coloro almeno che erano in grado di sopportare tale fatica, si degnarono di fare con noi l'ascensione al monte Nebo. 4. Così, partendo da quel luogo giungemmo ai suoi piedi. Esso è molto alto, tuttavia si può fare la maggior parte della salita a dorso d'asino. Solo un piccolo tratto era troppo scosceso e lo si doveva affrontare a piedi, faticosamente; e così anche noi facemmo.

La «memoria» di Mosè. Il panorama dal monte Nebo

molto severi prevalenti unisce accenti di misericordia. Le «benedizioni» (Dt 33,1-29) sono rivolte da Mosè ai figli di Israele, prima di morire, e pur nella loro individualità si accostano alle benedizioni di Giacobbe riportate nel Libro della Genesi (49,1-27).81 Leggo ualebamus e non uolebamus (come fa il Maraval, ed. cit., p. 168).82 Appaiono qui per la prima volta nella loro completezza le forme devozionali mediante cui l'antica pellegrina corona la visita a ciascuno dei luoghi santi visitati. Esse si compongono di quattro elementi: una preghiera iniziale, una lettura desunta dalla Scrittura e la recita di un salmo, appropriati l'una e l'altro ai luoghi in cui si trovava, ed ancora una preghiera.83 Il monte Nebo - Nabau del nostro testo - è localizzato nel Ras el Siyagha e corrisponde al Pisga biblico, che fa parte della catena dei monti Abarim.84 Altre due volte Mosè aveva fatto scaturire l'acqua per dissetare la sua gente: a Refidim, non lontano da Faran (cf. Es 17,6) e a Qadesh Barnea (cf. Nm 20,8). Qui ci si riferisce a Nm 21,16-20: «Questo è il pozzo di cui il Signore disse a Mosè: "Raduna il popolo e io gli darò l'acqua". Allora Israele cantò questo canto: "Sgorga, o pozzo: cantatelo! Pozzo che i principi hanno scavato, che i nobili del popolo hanno perforato con lo scettro, con i loro bastoni". Dal deserto andarono a Mattana, da Mattana a Nacaliel, da Nacaliel a Bamot e da Bamot alla valle che si trova nelle steppe di Moab presso la cima del Pisga, che è di fronte al deserto». Si identifica il luogo con il Wadi Ayun Mûsa.85 Sui doni offerti dai monaci alla pellegrina (eulogiae), cf. sopra, nota 17.

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12. 1. Arrivammo dunque alla sommità di quel monte dove oggi sorge una chiesa non grande, sulla cima appunto del monte Nebo86. In questa chiesa, dove si trova il pulpito, vidi come un luogo un poco più alto che aveva le dimensioni che di solito hanno le tombe. 2. Allora chiesi ai santi uomini che cosa fosse; ed essi risposero: «Qui fu deposto il santo Mosè dagli angeli, perché - come sta scritto - nessuno sa dov'è la sua sepoltura87. Poiché è certo che sia stato sepolto dagli angeli. In realtà fino a tutt'oggi non si mostra la tomba dov'è stato sepolto. Come ci è stato mostrato dai nostri padri, che abitarono qui, il luogo dove era deposto, così noi lo mostriamo a voi: ugualmente i nostri stessi padri dicevano che era stato loro tramandato così dagli antenati»88. 3. Subito recitammo una preghiera e facemmo pure là tutto ciò che eravamo soliti fare in ognuno dei luoghi santi, secondo la successione abituale. Quindi ci avviammo all'uscita della chiesa. Quelli che conoscevano bene la zona, cioè il clero e i santi monaci, ci dissero allora: «Se volete vedere i luoghi che sono nominati nei Libri di Mosè89, uscite fuori, davanti alla porta della chiesa, e da questa altezza, dalla parte almeno di dove li si può vedere, guardate con attenzione: noi vi diremo l'uno dopo l'altro quali sono i luoghi che sono visibili». 4. Allora con grande gioia subito uscimmo all'esterno90. Dalla porta della chiesa vedemmo il luogo dove il Giordano entra nel Mar Morto; quel luogo compariva proprio sotto di noi, dal punto in cui eravamo. Di fronte vedemmo pure, non soltanto Livias, al di qua del Giordano, ma anche Gerico, oltre il Giordano, tanto era in posizione elevata l'alto luogo dove ci trovavamo davanti alla porta della chiesa. 5. Una grandissima parte della Palestina, la terra promessa, era visibile da lassù e anche la regione del Giordano, almeno fin dove lo sguardo poteva giungere. Verso sinistra vedemmo tutte le terre dei Sodomiti e Segor, che è l'unica oggi, delle cinque città, ad esserci ancora. 6. Infatti là vi è anche un monumento, mentre delle altre città ridotte in cenere come sono state, non rimane nient'altro se non rovine sconvolte91. Ci fu indicato anche il luogo dove si alzava la stele della moglie di Lot, luogo di cui si parla anche nella Scrittura92. 7. Ma credetemi, mie venerabili signore, la colonna non si vede più; ci fu soltanto mostrato il luogo su cui sorgeva; si dice che la colonna sia stata sommersa dal Mar Morto. Certo è che abbiamo visto il luogo, non la colonna, e perciò non posso ingannarvi su questo argomento. Il vescovo di questo luogo, cioè di Segor, ci

86 Già si diceva che la montagna su cui sale prima a dorso d'asino e poi a piedi non senza qualche fatica, è il Ras el Siyagha: ivi, scavi archeologici condotti a cominciare dal 1931 e fino ad anni recentissimi, hanno messo in luce rovine di una chiesa (più tardiva però di quella che vide Egeria) e di altri edifici. Cf. in ultimo M. Piccirillo, in «Studii Biblici Franciscani Liber Annuus», 26 (1976), pp. 281-318. La precisazione relativa al Nebo-Siyagha ha un certo rilievo perché nella medesima catena montuosa, a qualche km di distanza, vi è il Gebel en-Neba (a cui il Nebo biblico ha lasciato il suo nome), che potrebbe trarre in inganno.87 Dt 34,5-6: «Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba».88 Il testo latino non è chiaro a questo punto e parecchi editori sono intervenuti per renderlo più perspicuo. Egeria sembra voler comporre due dati in contrasto: il primo riguarda le parole bibliche di Dt 34,5-6 sopra citate, il secondo la tradizione (come tale chiaramente presentata) di cui i monaci del luogo si fanno portatori.89 Dt 34,1-4: «Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese: Galaad fino a Dan, tutto Neftali, il paese di Efraim e di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: "Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai! ».90 Uscendo dalla chiesa, orientata ad est, Egeria guarda dapprima verso ovest, poi verso sud (cf. 12,5 e 10) e infine verso nord (cf. 12,8): essa scorge Livias e Gerico, rispettivamente al di qua e al di là del Giordano, gran parte della Palestina e tutto il paese del Giordano.91 Verso mezzogiorno essa vede le terre dei Sodomiti e Segor (Zoar), unica delle città della Pentapoli rimasta; le altre erano state Sodoma, Gomorra, Adma e Zeboim (cf. Gn 14,2), distrutte per la perversione a cui erano giunti i loro abitanti (cf. Gn 19,1 ss.). Molto si è discusso per trovare una esatta localizzazione di queste città. La precisione con cui il testo descrive certi particolari fa apparire plausibile l'ipotesi secondo cui Segor fosse situata a poca distanza dal monte Nebo in direzione sud.92 Nella Genesi (19,15 ss.) si legge che degli angeli fecero premura a Lot perché uscisse da Sodoma e in tal modo non fosse travolto nel castigo della città; fuggisse senza guardare indietro e senza fermarsi dentro la valle. Lot chiede di rifugiarsi in una città piccola, Zoar (= Segor) e il Signore acconsente. «Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand'ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale» (Gn 19,23-26).

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disse che erano ormai diversi anni che quella colonna non era più visibile. Il luogo dove si innalzava la colonna, che ora l'acqua ha completamente sommerso, dista da Segor circa sei miglia. 8. Avanzammo poi lungo il lato destro della chiesa, dalla parte esterna, e di là ci furono mostrate, in lontananza, due città: Esebon93, che fu la città del re Seon, re degli Amorrei, chiamata oggi Exebon, e la città di Og, re di Basan, chiamata oggi Safdra94. Dallo stesso posto ci fu indicata, lontano, Fogor, che fu una città del regno di Edom95. 9. Tutte queste città, che vedevamo, erano situate su montagne e al di sotto, un po' più in basso, ci pareva che vi fosse una pianura. Allora ci dissero che nei giorni nei quali il santo Mosè e i figli di Israele avevano combattuto contro queste città, essi avevano stabilito lì i loro accampamenti: infatti si vedevano ancora le tracce di accampamenti96. 10. Dalla parte della montagna che, come ho detto, si trovava alla sinistra e che sovrastava il Mar Morto, ci fu indicata una montagna molto erta che un tempo era chiamata Agrispecula. È la montagna su cui Balac, figlio di Beor, pose il divino Balaam perché maledicesse i figli di Israele e Dio non volle permetterglielo, come sta scritto97.

93 Lo sguardo si volge ora verso nord e scorge Esebon, l'attuale Hisban, che dista dal monte circa 10 km: inizialmente città moabita, fu poi presa da Seon che la rese capitale degli Amorrei finché, sconfitto Seon, essa tornò nelle mani degli Ebrei (cf. Nm 21,25-26).94 La città di Safdra (o Sasdra) è difficile da localizzare, rendendo ragione del testo. Di tale città non vi è menzione nella Bibbia; in Dt 1,4 si ricordano come residenza del re Og i centri di Astarot e di Edrei («Dopo aver sconfitto Sicon, re degli Amorrei, che abitava in Chesbon, e Og, re di Basan, che abitava in Astarot e in Edrei, oltre il Giordano, nel paese di Moab, Mosè cominciò a spiegare questa legge...») (cf. pure Dt 3,1-6; Nm 21,33; Gs 12,4-5). Ora, Edrei è per lo più identificata con la città attuale di Dar'a situata a circa 100 km a nord di Hisban (= Esebon); per cui non sarebbe stato possibile scorgerla direttamente dal Nebo, ma solo indicare la direzione del suo sito: cosa che non sembra concordare con le parole del testo (ma non si dimentichi ciò che in precedenza aveva scritto Egeria descrivendo la veduta dal Gebel Mûsa! Cf. Itinerarium 3,8, nota 22). Qualche critico quindi ha voluto vedere in Safdra il centro di Elealeh, posto a un miglio a nord-est di Hisban e quindi, come Hisban, ben visibile dalla sommità del Nebo. L'erronea segnalazione contenuta nel testo, relativa a Safdra (= Edrei) quale residenza di Og, potrebbe esser nata dal fatto che spesso nella Bibbia Esebon e Edrei sono menzionate insieme. Nell'Onomasticon di Eusebio, Edrei è ricordata tra Esebon e Elealeh. Cf. P. Maraval, op. cit., pp. 179 s.95 Parlando di Phogor o Fogor, Egeria o le sue guide la definiscono città del regno di Edom (cf. Gn 36,39; 1Cr 1,50 nella versione greca dei LXX), che si trovava molto più a sud rispetto al Nebo. Si tratta di una confusione con una montagna dal medesimo nome, situata nel paese di Moab e non lontano dal monte Nebo, ai cui piedi c'era la città di Bet-Peor (cf. Nm 23,28; Dt 3,29; 4,46; 34,6: Gs 13,20).96 «Gli Israeliti salirono lungo la strada verso Basan. Og, re di Basan, uscì contro di loro con tutta la sua gente per dar loro battaglia a Edrei. Ma il Signore disse a Mosè: "Non lo temere, perché io te lo do in potere, lui, tutta la sua gente e il suo paese, trattalo come hai trattato Sicon, re degli Amorrei che abitava a Chesbon". Gli Israeliti batterono lui, con i suoi figli e con tutto il suo popolo, così che non gli rimase più superstite alcuno, e si impadronirono del suo paese. Poi gli Israeliti partirono e si accamparono nelle steppe di Moab, oltre il Giordano verso Gerico...» (Nm 21,33-35; 22,1). Gli accampamenti nelle steppe di Moab sono ricordati pure altre volte nel Libro dei Numeri (cf. 31,12; 33,48-49; 36,13).97Agrispecula è traduzione di una espressione di Nm 23,14 nella traduzione greca dei LXX e significa «posto di vedetta del campo». È stato identificato con l'estremità sud-ovest del doppio sperone che costituisce il Ras el Siyagha. Continuando la loro marcia verso la terra promessa, i figli di Israele sono giunti nelle steppe di Moab. I personaggi e gli episodi qui accennati riguardano il seguito immediato del passo dei Numeri citato nella nota precedente. La lunga peregrinazione nel deserto è ormai al termine; re e popoli che erano lungo il percorso compiuto dagli Ebrei sono stati vinti; ora si oppone il re di Moab, Balac. Ma il Signore difende il suo popolo e annulla ogni opposizione che impedisca il disegno salvifico da lui concepito. In Nm 22,5 Balac è detto figlio di Zippor, Balaam figlio di Beor. Diversamente si legge nel nostro passo, forse per un errore di Egeria o per il ricordo di altri passi biblici (cf. Gn 36,32) in cui Balac è detto figlio di Beor. «Balak, figlio di Zippor, vide quanto Israele aveva fatto agli Amorrei e Moab ebbe grande paura di questo popolo che era così numeroso... Balak... era in quel tempo re di Moab. Egli mandò messaggeri a Balaam, figlio di Beor, a Petor che sta sul fiume, nel paese dei figli di Amau, per chiamarlo e dirgli: "Ecco, un popolo è uscito dall'Egitto; ricopre la terra e si è stabilito di fronte a me; vieni e maledicimi questo popolo, perché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò scacciarlo dal paese; so infatti che chi tu benedici è benedetto e chi tu maledici è maledetto". Gli anziani di Moab e gli anziani di Madian partirono portando in mano il salario dell'indovino; arrivati da Balaam, gli riferirono le parole di Balak. Balaam disse loro: "Alloggiate qui stanotte e vi darò la risposta secondo quanto mi dirà il Signore"... Dio disse a Balaam: "Tu non andrai con loro, non maledirai quel popolo, perché esso è benedetto"». Poi Balaam si reca presso Balak, ma quest'ultimo non riesce ad ottenere dal primo la maledizione che desidera. Allora Balak condusse Balaam «al campo di Zofim, sulla cima del Pisga; costruì sette altari e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare». Tuttavia Balaam non lancia alcuna maledizione; al contrario, dice: «Ecco, di

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11. Così dunque avendo visto tutto quanto desideravamo vedere, nel nome del Signore, ritornando per Gerico e seguendo l'intero cammino che avevamo percorso nell'andata, rientrammo a Gerusalemme.

Verso la terra di Giobbe 13. 1. Dopo qualche tempo, poi, volli ancora recarmi nella regione di Ausitis, per visitare la tomba del santo Giobbe e ivi pregare98. Vedevo infatti molti santi monaci venire di là a Gerusalemme, per visitare i luoghi santi e per pregare: essi, parlandomi dettagliatamente del loro paese, aumentavano in me il desiderio di sobbarcarmi alla fatica di andare fino a quel luoghi, se di fatica si può parlare quando si riesce a realizzare un proprio desiderio. 2. Sono dunque partita da Gerusalemme con dei santi uomini, che si sono degnati di accompagnarmi nel viaggio, anche loro con l'intento di andare a pregare là. Percorrendo dunque la via da Gerusalemme a Carneas si passa per otto tappe. Carneas è oggi il nome della città di Giobbe, che un tempo si chiamava Dennaba, nella terra di Ausitis, al confine dell'Idumea e dell'Arabia99. Seguendo questa strada vidi, lungo la riva del fiume Giordano, una valle molto bella e amena, ricca di vigneti e di alberi poiché vi erano molte sorgenti di buonissima acqua. 3. In questa valle dunque vi era un grande borgo che attualmente si chiama Sedima. In questo borgo situato in mezzo alla pianura si trova, al centro, un monticello, non troppo grande, fatto come di solito sono le tombe, però quelle grandi: là in cima c'è una chiesa e, in basso, tutt'intorno a questa piccola collina, si vedono fondamenta grandi e antiche; ancora ai nostri giorni, in questo borgo abita un certo numero di persone. 4. Vedendo un posto tanto bello, domandai che cosa fosse quel luogo così ameno. Mi risposero allora: «È la città del re Melchisedech, chiamata un tempo Salem; donde ora questo villaggio, per una deformazione della parola, si chiama Sedima100. Su questa piccola altura che si trova al centro del borgo, la costruzione che vedi alla cima è una chiesa: oggi in greco si chiama opu Melchisedech101. Infatti questo è il luogo dove Melchisedech offrì a Dio sacrifici puri, cioè pani e vino, come è scritto che egli fece».

benedire ho ricevuto il comando e la benedizione io non potrò revocare» (Nm 22,2-8.12; 23,14.20). 98 Qui riappaiono con chiarezza i motivi che spingono l'antica pellegrina al viaggio: conoscere i luoghi che serbano ricordi di personaggi biblici e pregare. Recarsi nel paese di Giobbe permette a Egeria di visitare altri siti che conservano tradizioni riguardanti altre figure rilevanti dell'Antico e del Nuovo Testamento, come Melchisedech, Giovanni Battista, Elia. La terra di Uz menzionata all'inizio del Libro di Giobbe (1,1) è nei LXX il paese di Ausitis.99 Sul paese di Giobbe l'Itinerarium testimonia con evidenza che esistevano due tradizioni, compendiate senza troppa coerenza in un'unica frase: l'una si fonda su un versetto dell'appendice al Libro di Giobbe quale si legge nei LXX; secondo tale versetto Giobbe (Iob), dapprima chiamato Iobab, sarebbe vissuto al confine dell'Idumea e dell'Arabia. In tal caso la terra di Giobbe sarebbe da localizzare nel sud della Palestina, non lontano appunto dall'Idumea e dall'Arabia.L'altra tradizione invece fissa l'area in cui Giobbe sarebbe vissuto, più a nord e vede in Carneas (identificata con Dennaba) la sua città, forse l'attuale Sheikh Sa'ad.100 Il viaggio da Gerusalemme a Carneas si svolge attraverso otto tappe. Il primo luogo descritto è la vallata di Sedima. Ancora una volta il testo propone questioni toponomastiche e geografiche non facilmente risolvibili: non si hanno infatti nelle fonti antiche altri riferimenti a Sedima; inoltre è assai discussa la localizzazione della città detta del re Melchisedech. Essa sembra trovarsi nel nord della Palestina nei dintorni di Scythopolis (oggi Bet-Shean) e più precisamente a 8 miglia da quest'ultimo centro, ed è ritenuta l'antica Salem (da non confondere però con Gerusalemme). È qui introdotto quel personaggio biblico misterioso che è Melchisedech, re e sacerdote vissuto al tempo di Abramo. Quando questi tornò vittorioso dalla Mesopotamia, Melchisedech offrì a lui e ai combattenti pane e vino e, secondo la tradizione giudaica e cristiana, con la medesima materia offrì un sacrificio di grazie. Donde fin dai tempi apostolici e patristici egli è stato considerato figura del Messia e il suo sacrificio figura del sacrificio della messa. Ci si rammenti di Genesi (14,17-20): «Quando Abramo fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sodoma gli uscì incontro nella valle di Save cioè la valle del re. Intanto Melchisedech, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo con queste parole: "Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo che ti ha messo in mano i tuoi nemici". Abramo gli diede la decima di tutto». E ci si rammenti pure della Lettera agli Ebrei (7,1 ss.): «Questo Melchisedech, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, è colui che andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa... Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno...» e ciò che segue. Sul tema di Melchisedech nella Sacra Scrittura, nella Liturgia, nella Tradizione e nella leggenda, cf R. Panikkar, Maya e Apocalisse, Roma 1966, pp. 185-203 (ivi bibliografia sull'argomento alle pp. 186s.).101 Alcuni editori hanno ritenuto esservi qui una lacuna nel testo. Così come si presenta opu Melchisedech pare essere il nome greco con cui la chiesa è distinta, nome che Egeria spiega con le parole che seguono: locus ubi optulit Melchisedech... «il luogo dove Melchisedech offrì...».

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La collina di Melchisedech 14. 1. Non appena sentii tali parole, smontammo dagli animali, ed ecco che il santo sacerdote del luogo si degnò di venirci incontro con il clero; costoro, dandoci il benvenuto, ci accompagnarono immediatamente su fino alla chiesa. Come arrivammo, secondo la nostra abitudine, si disse subito una preghiera, poi si fece la lettura di un passo del Libro del santo Mosè, quindi si recitò un salmo intonato all'occasione e, dopo una seconda preghiera, discendemmo. 2. Quando fummo discesi, quel santo sacerdote, già anziano e profondo conoscitore delle Scritture, parlò con noi: egli sovrintendeva a quel luogo, dopo essere stato monaco; persino molti vescovi, come venimmo a sapere in seguito, rendevano testimonianza grandemente positiva della sua vita e affermavano che egli era ben degno di avere la responsabilità del santo servizio nel luogo dove il santo Melchisedech, all'arrivo del santo Abramo, offrì per primo a Dio sacrifici puri; dunque, quando fummo discesi dalla chiesa, come già ho detto, quel santo sacerdote ci disse: «Le fondamenta che vedete tutt'intorno alla piccola collina sono quelle del palazzo del re Melchisedech. Infatti ancora oggi, se qualcuno vuole costruire una casa lì vicino e vi tocca le fondamenta, gli può succedere talvolta di ritrovare piccoli pezzi d'argento e di bronzo. 3. La strada, inoltre, che vedete passare tra il fiume Giordano e il villaggio, è quella che percorse il santo Abramo ritornando a Sodoma, dopo aver ucciso Quodollagomor, re delle nazioni, e dove gli venne incontro il santo Melchisedech, re di Salem»102.

La fonte di Giovanni Battista 15. 1. Allora, poiché mi ricordavo che era scritto che san Giovanni aveva battezzato a Enon, vicino a Salim103, gli chiesi quanto quella località fosse distante. Il santo sacerdote rispose: «Ecco, da qui dista duecento passi; se volete, vi accompagno subito a piedi fin là. L'acqua così abbondante e pura che vedete in questo borgo viene proprio da quella fonte». 2. Ed io allora lo ringraziai e lo pregai di condurci là e così egli fece. Subito ci avviammo con lui a piedi, seguendo costantemente una valle amenissima, finché arrivammo ad un frutteto molto bello, dove ci mostrò al centro una sorgente di acqua ottima e purissima, che subito formava un vero e proprio ruscello. Davanti alla sorgente c'era come una specie di bacino, dove evidentemente Giovanni aveva somministrato il battesimo. 3. Allora il santo sacerdote ci disse: «Anche ai nostri giorni questo giardino in lingua greca non si chiama altrimenti che: cepos tu agiu Johanni, cioè, come voi dite in latino: hortus sancti Johanni (giardino di san Giovanni)». Infatti molti fratelli, santi monaci, venendo da diverse località si recano in questo luogo per bagnarvisi. 4. Anche là, presso la sorgente come in tutti gli altri luoghi, si recitò una preghiera, si lesse un tratto della Scrittura, si disse un salmo appropriato e si fece tutto quanto si era soliti fare quando si arrivava in un luogo santo. 5. Quel sacerdote ci disse inoltre che sempre, fino ad oggi, nel tempo pasquale, tutti coloro che dovevano essere battezzati in quel villaggio, cioè nella chiesa chiamata opu Melchisedech, venivano tutti battezzati a quella sorgente; essi poi facevano ritorno al mattino presto, al lume di candela, con il clero e i monaci, intonando salmi e antifone: così, dalla sorgente fino alla chiesa del santo Melchisedech erano ricondotti di buon'ora tutti quelli che avevano ricevuto il battesimo. 6. Noi, quindi, accettando dal sacerdote doni provenienti dal frutteto di san Giovanni Battista e accettandone ugualmente dai santi monaci che abitavano in eremi nello stesso frutteto, e rendendo sempre grazie a Dio, riprendemmo il nostro viaggio proseguendo nel cammino che avevamo intrapreso.

Tesbe, la città di Elia. La tomba di Giobbe

102 Cf. sopra, nota 100. Quodollagomor corrisponde a Chedorlaomer di Gn 14,1 ss., uno dei quattro re venuti dalla Mesopotamia per muovere guerra ai cinque re che dominavano sulle città, di Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim e Bela (o Zoar), ossia sulla Pentacoli (cf. sopra, nota 91).103 Per la prima volta è qui ricordato un luogo legato al Nuovo Testamento, in particolare a Giovanni Battista: si tratta di Ennon, dove si svolse parte dell'attività di Giovanni Battista. Si legge nel Vangelo di Giovanni (3,23): «.., Giovanni battezzava a Ennon, vicino a Salim, perché c'era là molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare». Egeria sembra identificare Salem di Gn 14,18 con Salim di Gv 3,23. Si può notare che effettivamente a circa 8 miglia (= 12 km) da Bet-Shean (Scythopolis) vi sono parecchie sorgenti di cui le più ricche si provano a Ain ed-Deir, nei pressi del Giordano.

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16. 1. Così, avanzando per qualche giorno lungo la valle del Giordano, seguendo la riva del fiume 104 - questo infatti era l'itinerario che dovevamo percorrere per un certo tempo - ad un tratto vedemmo la città del santo profeta Elia, Tesbe, da cui egli ebbe il nome di Elia il Tesbita105. In quel luogo, ancora oggi, c'è la grotta nella quale si fermò il santo, e là c'è la tomba del santo Iefte, di cui leggiamo il nome nel Libro dei Giudici106. 2. Così dunque anche là, dopo aver reso grazie a Dio, secondo la nostra abitudine, proseguimmo il nostro viaggio. Poi, continuando ad andare, vedemmo aprirsi sulla sinistra una valle amenissima: la valle, molto ampia, convogliava nel Giordano un grandissimo torrente107, e proprio là in quella valle vedemmo l'eremo di un tale, ora fratello, voglio dire monaco. 3. Allora io, curiosa come sono, volli sapere che valle fosse quella, in cui un santo monaco si era fatto al presente un eremo, poiché pensavo che ciò non fosse senza un motivo. Allora i santi che facevano la strada con noi e che conoscevano bene quei luoghi, ci dissero: «Questa è la valle del Corra, dove si stabilì il santo Elia il Tesbita al tempo del re Achab, quando ci fu una carestia, e un corvo, per volere di Dio, gli portava da mangiare ed egli beveva l'acqua di questo torrente108. Infatti il torrente che vedi scendere da questa valle verso il Giordano è il Corra». 4. Così pertanto, rendendo ancora grazie a Dio che, nonostante non lo meritassimo, si degnava di farci vedere tutto quanto desideravamo, ci rimettemmo in viaggio come ogni giorno. Così dunque, procedendo nel nostro viaggio per qualche giorno, all'improvviso sulla sinistra, dove in lontananza vedevamo la terra dei Fenici, ci apparve una montagna grandissima e alta a perdita d'occhio, che si estendeva in lunghezza109…

(nel manoscritto manca un foglio)110

Nel luogo in cui Giobbe111 era seduto tra il letame, vi è ora un'area sgombra e pulita circondata da un cancello di ferro e una grande lampada di vetro vi brilla da una sera all'altra. Per quanto poi riguarda la

104 Le parole dell'Itinerarium possono trarre in inganno. Infatti Egeria non ha continuato a seguire la valle del Giordano verso nord, ma, avendolo traversato dopo la partenza da Sedima, con probabilità ha raggiunto la strada romana che conduceva da Pella a Eglon (attualmente Ajilun) e lungo questo percorso ha visto i luoghi sotto indicati. Cf. A. Augustinovic - B. Bagatti, in «Studii Biblici Franciscani Liber Annuus», 2 (1951/52), pp. 249 ss.105 1Re 17,1: «Elia, il Tesbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Achab...». Tishbe (oggi Listib) è situata su un'altura che domina a mezzogiorno il Wadi Yabis. Su Elia, uno dei più grandi profeti del periodo antico, cf. sopra, nota 24.106 Getha è un errore del testo antico e sta per Iepte (o Iephte). Gdt 12,7: «Iefte fu giudice d'Israele per sei anni. Poi Iefte, il Galaadita, morì e fu sepolto nella sua città in Galaad». È uno dei Giudici, della tribù di Galaad; cacciato dalla casa paterna, si diede a una vita avventurosa. In circostanze difficili, gli anziani di Galaad lo vollero con loro perché li difendesse dagli Ammoniti. Egli accettò, non prima d'aver preteso che sarebbe stato il loro capo se avesse vinto i nemici; patto, questo, che fu stretto a Mitzpa di Galaad, luogo dove pure fu probabilmente sepolto.107 Come sarà detto subito dopo, il torrente è il Corra (Corrath: LXX; Carith: Vulgata) che dovrebbe equivalere all'attuale Wadi Yabis.108 L'episodio è noto: introdotto bruscamente nel racconto, il profeta di cui si tace ogni genealogia, incontra il re d'Israele Achab (vissuto intorno alla metà del IX secolo) e gli predice una terribile siccità. Su indicazione del Signore, Elia, per sfuggire alla persecuzione del re, ritorna a Tishbe, in Transgiordania, e si nasconde in una delle tante grotte nelle vicinanze del torrente Corra; ivi il Signore stesso penserà a mantenerlo in vita, prima di affidargli altre missioni. 1Re 17,1-6: «Elia, il Tesbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Achab: "Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io". A lui fu rivolta questa parola del Signore: "Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi presso il torrente Cherit [= Corra], che è a oriente del Giordano. Ivi berrai al torrente e i corvi per mio comando ti porteranno il tuo cibo". Egli eseguì l'ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. I corvi gli portavano pane al mattino é carne alla sera; egli beveva al torrente...».109 Di lontano appare a Egeria, ben oltre la Decapoli, la mole maestosa dell'Hermon (Gebel esh-Sheikh), monte che costituisce la punta più meridionale dell'Antilibano e che supera nella sua cima più alta i 2700 metri d'altitudine.110 A questo punto mancano due pagine corrispondenti a un foglio del manoscritto strappato; all'interno di questa lacuna si può situare uno dei frammenti ritrovati in un codice di Madrid e pubblicati da dom de Bruyne, in «Revue Bénédictine», 26 (1909), pp. 481-484, di cui si è data qui la traduzione italiana.111 Molte sono le testimonianze che dimostrano la persistenza a Carneas (= Sheikh Sa'ad; cf. sopra, nota 99) di una tradizione relativa a Giobbe. A Sheikh Sa'ad appunto, ancora alla fine del XIX secolo era possibile vedere in un santuario mussulmano, oggi esistente anche se rovinato, una stele denominata pietra di Giobbe; ai piedi del santuario si è in grado di scorgere resti di un convento di Giobbe (Deir Eyoub), bagni di Giobbe (Hamman Eyoub) e una tomba di Giobbe (Makam Eyoub). Cf. Maraval, p. 194.

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fonte, là dove egli grattava con un coccio le proprie piaghe purulente, essa muta di colore quattro volte l'anno, assumendo dapprima il colore del pus, poi quello del sangue, del fiele, e poi diventando limpida.

(qui riprende il testo del codex Aretinus)

5. ...questo santo monaco, un asceta, dopo tanti anni che dimorava nel deserto, sentì il dovere di partire e di scendere alla città di Carneas per indurre il vescovo e il clero che a quel tempo vivevano là, secondo quanto gli era stato rivelato, a scavare nel luogo che gli era stato indicato; e così fu fatto. 6. Scavando in quel luogo, trovarono una grotta che seguirono per un centinaio di passi; improvvisamente, a quelli che avevano scavato apparve una lapide; quando l'ebbero tutta liberata, trovarono scolpito sul coperchio: Iob. In quel luogo, allora, in onore di Giobbe venne eretta questa chiesa che vedete, costruita però in modo di non spostare in altro luogo la pietra con il corpo, ma di lasciarlo sepolto dove era stato trovato e di farlo riposare sotto l'altare112. Questa chiesa, che non so quale tribuno cominciò a far costruire, è rimasta incompiuta fino a oggi. 7. Così dunque, l'indomani mattina, pregammo il vescovo di fare l'offerta, cosa che egli si degnò di fare e, con la sua benedizione, partimmo. Essendoci anche comunicati, rendendo sempre grazie a Dio, facemmo ritorno a Gerusalemme, ripassando per ciascuna delle tappe attraverso le quali eravamo venuti.

Sulla via del ritorno 17. 1. Poi, nel nome di Dio, trascorso un po' di tempo, essendo già passati tre anni interi dal giorno in cui ero giunta a Gerusalemme, avendo visto tutti i luoghi santi dove mi ero recata per pregare e avendo quindi l'intenzione di tornare ormai in patria, decisi, a Dio piacendo, di andare ancora in Mesopotamia di Siria, per visitare i santi monaci che si diceva fossero in quel luogo molto numerosi e conducessero una vita tanto ammirevole da poter a stento essere descritta. Volli pure recarmi là per pregare sulla tomba di san Tommaso apostolo, dove il suo corpo integro è stato deposto, ossia ad Emessa113; Tommaso, che Gesù nostro Dio aveva promesso di inviare là dopo essere asceso in cielo, secondo la lettera inviata al re Abgar servendosi del messo Anania: lettera che è conservata con grande venerazione nella città di Edessa, ove si trova appunto la tomba114. 2. La Carità Vostra deve credermi: non vi è alcun cristiano che venga ai luoghi santi, vale a dire a Gerusalemme, il quale non si rechi per pregare fino là; quella località si trova alla venticinquesima tappa da Gerusalemme. 3. E poiché da Antiochia si è più vicini alla Mesopotamia, mi riuscì assai comodo, per volontà di Dio, sulla via del ritorno verso Costantinopoli dovendo passare per Antiochia, recarmi di là in Mesopotamia: il che si compì per volontà di Dio.

A Gerapoli e all'Eufrate 18. 1. E così dunque, in nome di Cristo nostro Dio, partii da Antiochia alla volta della Mesopotamia, passando per parecchie tappe e per città della provincia di Celesiria, quella dove si trova Antiochia, e di là, entrata nel territorio della provincia Augustofratense, giunsi a Gerapoli, che è la città principale della provincia, appunto, Augustofratense. Siccome questa città è molto bella, ricca e di tutto abbonda, vi dovetti fare una sosta, dato che ormai il territorio della Mesopotamia non era più molto distante115.

112 Il ritrovamento di tombe di personaggi dell'Antico e del Nuovo Testamento è avvenimento di cui spesso parlano fonti patristiche e si pone in parallelo con la scoperta di reliquie di martiri delle persecuzioni pagane. Sono fatti da mettere in rapporto anche a tradizioni religiose locali, frequentemente in concorrenza con altre tradizioni locali, e con manifestazioni di culto sviluppate in determinate aree.113 Sono trascorsi ormai tre anni da quando Egeria è giunta per la prima volta a Gerusalemme. Di là, stando a quella parte dell'Itinerarium giunta fino a noi, si è mossa una prima volta per il lungo viaggio nel Sinai; una seconda per la visita al monte Nebo e una terza volta per vedere nel paese d'Ausitis la tomba di Giobbe. Ora progetta di rientrare in patria; ma sulla via del ritorno ha intenzione, giunta ad Antiochia, di lasciare la strada maestra per toccare la Mesopotamia e per pregare sul martyrium dell'apostolo Tommaso. È l'ultimo grande pellegrinaggio, prima di rendersi a Costantinopoli dove ha termine il vero e proprio diario di viaggio.114 Sulla corrispondenza di Abgar e di Gesù, cf. sotto, note 121ss.115 In precedenza (Itinerarium 17,1), Egeria aveva parlato della Mesopotamia di Siria (Mesopotamia Syriae), denominazione che si trova anche nella Vulgata (cf. Gn 28,2 e 5) probabilmente per distinguere la provincia che si trova vicino alla Siria dalla Mesopotamia propriamente detta, situata più ad est. Qui si parla di Celesiria (Syria Coelen o Syria Coele), la cui capitale è Antiochia, e di provincia Augustofratense (provincia Augustophratensis), detta più comunemente Augusta Euphratensis, che aveva quale città principale Gerapoli (= Hierapolis) e infine della

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2. Lasciata poi Gerapoli, al quindicesimo miglio giunsi nel nome di Dio al fiume Eufrate, del quale molto appropriatamente la Scrittura dice che è il gran fiume Eufrate: effettivamente è enorme e quasi pauroso; esso infatti scorre impetuosamente allo stesso modo del fiume Rodano, con la differenza che l'Eufrate è ancora più grande116. 3. Pertanto, giacché era necessario attraversarlo in battello, e solamente con grandi battelli, mi fermai là poco più di una mezza giornata: poi, nel nome di Dio, passato il fiume, entrai nel territorio della Mesopotamia di Siria.

Visita di Edessa. La storia di Abgar 19. 1. Proseguii così nuovamente il viaggio facendo sosta alcune volte e arrivai a una città il cui nome leggiamo nelle Scritture, Batanis117, città che esiste ancor oggi. Vi è una chiesa retta da un vescovo molto santo, monaco e testimone della fede, e vi sono non poche tombe di martiri. In quella città inoltre c'è una gran quantità di gente, perché vi risiede una guarnigione militare con il tribuno. 2. Partendo nuovamente di là, arrivammo, nel nome di Cristo nostro Dio, a Edessa118. Quando vi giungemmo, ci dirigemmo subito alla chiesa e alla tomba di san Tommaso. Così dopo aver pregato secondo la consuetudine e aver compiuto le altre cose che eravamo soliti fare nei luoghi santi, leggemmo pure qualche testo concernente san Tommaso stesso119. 3. La chiesa che là sorge è grande e molto bella e di nuova costruzione, in modo che è veramente degna di essere la casa di Dio. Poiché erano molte le cose che desideravo vedere in quel luogo, fu necessario farvi una sosta di tre giorni. 4. Così vidi in quella città parecchie tombe di martiri e incontrai pure molti santi monaci, alcuni dei quali hanno i loro eremi accanto alle tombe dei martiri, altri li hanno assai lontani dalla città, in luoghi appartati.

Mesopotamia, ormai al confine con l'Armenia Maior, con capitale Amida. Bisogna però aggiungere che la divisione di questa regione in province è stata parecchie volte variata dal II secolo d.C. in poi. La Mesopotamia di Siria sembra corrispondere alla regione dell'Impero Romano denominate Osrhoene, con capitale Edessa.116 Gerapoli si trovava lungo la strada principale che da Antiochia conduceva all'Eufrate e poi ad Edessa e Nisibi; era un importante centro commerciale e religioso pagano, come mostra la presenza del più celebre tempio dedicato alla dea Atargatis. A poca distanza scorreva l'Eufrate, fiume che desta grande impressione nell'animo di Egeria. Il paragone con il Rodano, fiume della Gallia meridionale, ha indotto parte della critica ad affermare l'origine gallica della pellegrina antica. Ma l'argomento è lungi dall'essere persuasivo. Il passo scritturale a cui si fa allusione è quello di Gn 15,18, dove si dice che il Signore concluse con Abramo un'alleanza: «In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abramo: "Alla tua discendenza io do questo paese, dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate; il paese dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, gli Hittiti, i Perizziti, i Refaim, gIi Amorrei, i Cananei, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei"».117 Batanis o Bathnae era un centro abitato (oggi si chiama Suruç) situato tra Gerapoli ed Edessa. Il nostro testo testimonia tre elementi che caratterizzano la cittadina: la presenza in quel tempo di una comunità cristiana governata da un vescovo, noto per la sua santità, e di martyria (cf. sopra, nota 57), dei quali nulla si sa; la presenza di una guarigione romana con il proprio tribunus; la presenza infine di un buon numero di abitanti. Egeria ritiene che questa città sia menzionata dalla Bibbia (cf. Gdt 1,9 o Gs 19,25), ma a torto.118 Edessa, oggi Urfa in Turchia, nella seconda metà del IV secolo è centro molto importante del cristianesimo orientale. Nel 363 0 poco dopo, quando i Romani cedono la città ai Persiani, vi si rifugia sant'Efrem, il più importante dei Padri siriaci e uno dei maggiori poeti dell'età patristica. Ivi muore nel 373. Della chiesa di cui qui si parla fornisce parecchie notizie il Chronicon di Edessa, compilazione del VI secolo basata su documenti più antichi: l'edificio, già esistente prima del 200, fu rifatto intorno al 313 e poi ampliato a più riprese nel corso del IV secolo. Si ha ragione di supporre che il martyrium di san Tommaso fosse un edificio distinto, posto fuori della città. Il Chronicon di Edessa (38) informa che nell'agosto del 394 le reliquie dell'apostolo furono solennemente traslate in una grande chiesa a lui dedicata, in un anno dunque che segue di poco quello del passaggio di Egeria sul luogo, stando almeno alla proposta cronologica del Devos (cf. sopra, pp. 28-30). Molte sono state le discussioni dei critici su questo passo messo in rapporto appunto alla cronologia dell'opera.119 Probabilmente i testi letti in questa occasione facevano parte degli Atti di Tommaso, un testo composto in siriaco nella prima metà del III secolo e poi tradotto in greco, in latino e in altre lingue, che narra la missione e l'apostolato di Tommaso in India fino al suo martirio; esso si annovera tra gli Atti apocrifi.

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5. Il santo vescovo di quella città120, uomo veramente dedito alla vita religiosa, monaco e testimone della fede, accogliendomi con bontà mi disse: «Giacché, figlia mia, vedo che mossa da pietà religiosa ti sei imposta una fatica tanto grande da venire dall'estremo limite delle terre fino a questi luoghi, così, se lo gradisci, ti faremo vedere tutti i luoghi che i cristiani hanno molto piacere di visitare qui». Allora, rendendo grazie in primo luogo a Dio e poi a lui, lo pregai con molta insistenza di degnarsi di fare ciò che diceva. 6. Egli mi condusse quindi dapprima al palazzo del re Abgar ed ivi mi mostrò una grande statua del re, a suo dire perfettamente rassomigliante, in marmo, splendente come fosse fatta di perle: il suo volto, visto di fronte, appariva essere stato quello di un uomo assai sapiente e illustre. Allora il santo vescovo mi disse: «Ecco il re Abgar, il quale, prima di vedere il Signore, ha creduto che egli era veramente il Figlio di Dio». Vicino vi era pure un'altra statua simile, fatta dello stesso marmo, che egli disse di essere di suo figlio Magno; anch'essa aveva un qualcosa di amabile nell'espressione del volto121. 7. Poi entrammo nella parte interna del palazzo: vi si trovavano fontane piene di pesci, quali non ne ho ancora mai viste tanto erano grandi e tanto le loro acque erano cristalline e di buonissimo sapore. Infatti quella città attualmente non ha alcuna altra acqua, se non quella che esce dal palazzo, come un grande fiume argenteo122. 8. Allora il santo vescovo mi narrò la storia di quell'acqua dicendomi: «Qualche tempo dopo che il re Abgar aveva scritto al Signore e il Signore gli aveva risposto mediante il messo Anania, come è scritto nella lettera, dunque, qualche tempo dopo, arrivano i Persiani e circondano la città. 9. Ma subito Abgar, portando la lettera del Signore alla porta della città con tutto il suo esercito, fece pubblicamente una preghiera. E disse: "Signore Gesù, tu ci avevi promesso che nessun nemico sarebbe entrato in questa città; ed ecco che ora i Persiani ci assalgono". Dopo che il re ebbe detto ciò, tenendo quella lettera aperta nelle mani alzate, subitamente calò una grande oscurità, fuori però della città, dinanzi agli occhi dei Persiani che tanto vi si erano approssimati da essere alla distanza di tre miglia; i Persiani furono così turbati dalle tenebre calate improvvise che a stento poterono disporre l'accampamento e accerchiare l'intera città al terzo miglio. 10. Lo scoramento da cui essi vennero presi fu così grande che mai riuscirono a vedere in seguito da quale parte si entrasse nella città; tuttavia la tennero assediata con le loro truppe circondandola a tre miglia di distanza per un periodo lungo alcuni mesi. 11. Successivamente poi, vedendo che in nessun modo erano in grado di entrare nella città, vollero far morire di sete chi vi si trovava. Infatti quel monticello che vedi, o figlia, dominante la città, in quel tempo la riforniva d'acqua. Vedendo questo, i Persiani fecero allora deviare l'acqua dalla città e la fecero scorrere verso il luogo dove avevano posto i loro accampamenti. 12. Orbene, nel giorno e nell'ora precisi in cui i Persiani avevano deviato l'acqua, all'improvviso dalle fontane che vedi qui, per comando di Dio, tutt'a un tratto scaturì dell'acqua: da allora fino ad oggi queste fontane sono durate per grazia di Dio. Quanto poi all'acqua fatta deviare dai Persiani, in quel medesimo momento essa si prosciugò di modo che gli assedianti non ebbero da bere nemmeno per un sol giorno, come

120 Se il viaggio di Egeria si svolge tra il 381 e il 384, il personaggio di cui si parla è Eulogio, vescovo di Edessa dal 379 al 387, esiliato in Egitto per ordine dell'imperatore d'Oriente dal 364 al 378, negli anni in cui era prete della chiesa di Edessa, insieme a Protogene, futuro vescovo di Charra (cf. Itinerarium 20,2, ove però, come in questo punto, non sono fatti nomi). In tal senso è loro riservato il titolo di «testimoni della fede», confessores (come al vescovo di Bathnae; cf. sopra, 19,1), in quanto hanno sofferto per la fede senza tuttavia aver subito la morte.121 Si tratta di Abgar V detto Ukama o il Nero che fu re dell'Osroene, ossia della Siria orientale, dove si trova Edessa, al tempo di Gesù. Effettivamente, un figlio suo si chiamava Manu, che corrisponderebbe al Magnus del testo. Nella Historia ecclesiastica (I,13,1ss.; II,1,6-7) Eusebio traduce dal siriaco una testimonianza scritta pervenutagli dagli archivi di Edessa, secondo la quale re Abgar, avendo sentito parlare di Gesù e delle guarigioni da lui operate, gli scrive una lettera chiedendogli di andare da lui per guarirlo da una malattia. Nella risposta pure riportata da Eusebio, Gesù precisa che la sua azione si limita alla Palestina, ma gli promette di inviargli dopo la sua ascensione uno dei suoi apostoli per risanarlo e per evangelizzare il suo regno. Cosa a cui Tommaso dà seguito inviando Taddeo. Si tratta di documenti apocrifi. La forma della leggenda quale si presenta nel racconto fatto da Egeria è intermedia tra quella di Eusebio e quella più estesa contenuta nella Dottrina di Addai, altro apocrifo composto verso il 400, pure in siriaco. Il testo di tale corrispondenza fu noto sia in Oriente che in Occidente.122 Si ha difficoltà ad accordare questa affermazione con il fatto che un fiume, di nome Daiçan in siriaco, l'attuale Kara Koyun, attraversava la città. Tra le spiegazioni, una possibile (se le parole di Egeria hanno da essere prese alla lettera) appare quella che suppone esser stato costruito già prima della fine del IV secolo un canale di derivazione per impedire inondazioni e danni alla città; ciò nonostante, il fiume avrebbe continuato a seguire il vecchio corso per vie sotterranee; di qui si sarebbero originate le fontane. È interessante notare che il racconto del vescovo, che dà spazio all'elemento meraviglioso, vuol ricercare e indicare le cause di un fatto che è sotto gli occhi di tutti.

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si può vedere ancor oggi: giacché in seguito fino ai nostri giorni in quel luogo mai più apparve alcuna traccia d'acqua. 13. In tal modo, secondo la volontà di Dio che aveva promesso che così sarebbe stato, essi dovettero tornare in fretta nel loro paese, ossia in Persia. Anche in seguito ogni volta che nemici vollero venire a conquistare questa città, si è portata fuori la lettera e la si è letta alla porta della città e immediatamente, a un cenno di Dio, tutti i nemici sono stati cacciati». 14. Quel santo vescovo ci raccontò pure che nel luogo da cui le fontane erano zampillate, in precedenza vi era una zona pianeggiante, dentro la città, ai piedi del palazzo di Abgar. «Quel palazzo - continuò -, come ancor oggi appare, era situato in posizione sopraelevata; e lo puoi vedere. Allora infatti si aveva la consuetudine, quando si costruivano palazzi, di situarli sempre in posizioni sopraelevate. 15. Ma, dopo che da quel punto zampillarono le fontane, Abgar fece fare qui per suo figlio Magno, ossia per il personaggio la cui statua vedi posta vicino a quella del padre, un'altra costruzione, in modo che le fontane fossero comprese entro le sue mura». 16. Quindi, dopo aver raccontato tutte queste cose, il santo vescovo mi disse: «Andiamo ora alla porta attraverso la quale entrò il messo Anania con la lettera di cui ti ho parlato»123. Giunti alla porta, il vescovo, in piedi, fece una preghiera e ivi ci lesse le lettere e benedicendoci di nuovo rinnovò la preghiera124. 17. Quel sant'uomo ci riferì pure che, dal giorno in cui il messo Anania entrò con la lettera del Signore attraverso quella porta, fino al presente, si fa la guardia per evitare che vi passi alcun uomo impuro o in lutto e che vi esca il corpo di persona morta. 18. Il santo vescovo ci mostrò pure la tomba di Abgar e di tutta la sua famiglia, una tomba molto bella ma costruita come quelle antiche125. Ci condusse ancora al palazzo situato più in alto, quello che il re Abgar aveva avuto in un primo tempo, e ci fece vedere altri luoghi interessanti da visitare. 19. Una cosa inoltre fu da me molto gradita: il ricevere da quel sant'uomo le lettere stesse, sia quella di Abgar al Signore, sia quella del Signore ad Abgar, che egli ci aveva letto in quella circostanza. E benché in patria ne abbia copia, tuttavia mi fu cosa assai gradita riceverle da lui stesso: mi domando infatti se forse a noi in patria fosse giunto un testo meno completo, giacché quello che ho ricevuto là, è un testo certamente più ampio126. Per cui, se Gesù nostro Dio lo vorrà, e se farò ritorno in patria, lo leggerete voi stesse, mie amate signore.

Charris e altri luoghi che ricordano Abramo 20. 1. Dopo aver trascorso in quel luogo tre giorni, dovetti proseguire fino a Charris 127: così infatti ora si chiama. Nelle Scritture sante si chiama Charra il posto dove si fermò il santo Abramo, come è scritto nella Genesi, quando il Signore dice ad Abramo: Esci dalla tua terra e dalla casa di tuo padre e va' a Charra, e ciò che segue128.

123 Secondo quanto dice Eusebio (Historia ecclesiastica I,13,9) la risposta di Gesù ad Abgar sarebbe stata portata da un corriere di nome Anania. Si suppone che la porta attraverso cui Anania sarebbe entrato fosse quella occidentale.124Ecco alcuni passi della lettera di Abgar a Gesù, quale si legge in Eusebio (ibid., I,13,6ss.): «Ho inteso parlare di te e delle guarigioni che operi senza medicamenti ed erbe... Udendo di te tutto questo, io son venuto intimamente a convincermi che una o l'altra delle due conclusioni è vera: cioè che tu sei Dio e che, disceso dal cielo, operi queste meraviglie, o sei Figlio di Dio autore di tutto questo. Perciò ti ho scritto pregandoti di venire da me e di risanarmi dal morbo che mi affligge». E Gesù avrebbe risposto: «Beato sei perché hai creduto in me, sebbene tu non mi abbia veduto [cf. Gv 20,29]... Quanto all'invito che mi facesti di venire da te, rispondo che bisogna che io adempia qui tutta intera la mia missione e che, dopo il suo compimento, io torni a colui che mi ha mandato. Quando sarò asceso presso di lui, ti manderò uno dei miei discepoli a guarirti dal male e a offrire la vita a te e ai tuoi» (trad. it. di G. Del Ton, Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Roma-Parigi-Tournai-New York 1964, p. 68). 125 Il Chronicon di Edessa (5) ricorda la costruzione di un sepolcro compiuta da Abgar VIII il Grande, che regnò dal 197 al 212 d.C. e che avrebbe fatto erigere anche i due palazzi di cui si parla. A sud della cittadella ancor oggi si scorgono i resti di una tomba, ma non si hanno elementi certi per identificarla con quella a cui fa cenno Egeria.126 Da queste espressioni si deduce che il testo conosciuto in patria da Egeria è una traduzione latina che precede quella di Rufino, risalente al 403, e sembra corrispondere al testo eusebiano.127 Charris (o Charra o Carrae o ancora Carrhae, Carran o Narran) era un centro fortificato assai importante nel IV secolo, situato a sud di Edessa.128 In Gn 11,31 s. si legge: «... Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram... e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. L'età della vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì in Carran». In Gn 12,1 - passo qui citato - il testo e le traduzioni antiche non riportano il nome di Charra, che probabilmente Egeria ha letto al posto di terra. Abramo era già a Charra e Dio si rivolge a lui perché vada a Canaan.

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2. Giunta là, vale a dire in Charra, subito mi recai alla chiesa che si trova entro la città; vidi pure subito il vescovo del luogo, veramente santo e uomo di Dio, anche lui monaco e testimone della fede 129, il quale si degnò di farci immediatamente vedere tutti i luoghi che desideravamo conoscere. 3. Subito ci condusse ad una chiesa fuori della città, nel luogo dove era situata la casa del santo Abramo: chiesa che è costruita sulle stesse fondamenta della casa e con le sue stesse pietre, secondo quanto diceva il santo vescovo130. Giunti dunque alla chiesa, si fece una preghiera, fu letto il passo relativo della Genesi, fu recitato anche un salmo e rinnovata la preghiera; in questo modo, con la benedizione del vescovo, uscimmo all'aperto. 4. Si degnò anche di condurci a quel pozzo dove la santa Rebecca andava ad attingere l'acqua. E il santo vescovo ci disse: «Ecco il pozzo dal quale la santa Rebecca diede da bere ai cammelli del servo del santo Abramo, voglio dire ai cammelli di Eleazar»131. E così egli si degnava di mostrarci ogni cosa. 5. Nella chiesa che ho detto sorgere fuori della città, venerabili dame e sorelle, nel luogo in cui originariamente vi fu la casa di Abramo, ora è stata edificata la tomba di un martire, un santo monaco chiamato Elpidio. Avemmo dunque l'occasione particolarmente fortunata di giungere qui il giorno precedente la celebrazione della festa del santo, il 9 delle calende di maggio; in questo giorno da ogni parte, da tutto il territorio della Mesopotamia, tutti i monaci, anche gli anziani che vivevano in solitudine e che si chiamano asceti, dovevano discendere a Charra per la festa che vi si celebra in forma molto solenne e anche in ricordo del santo Abramo, per il fatto che la sua casa era situata nel luogo ove ora sorge la chiesa in cui è posto il corpo del santo martire.132

6. Pertanto potemmo cogliere questa felice e insperata occasione di vedere i monaci della Mesopotamia, santi e veramente uomini di Dio, persino quelli la cui fama e la cui vita erano note in terre lontane. Certo non immaginavo affatto di poter incontrare tali persone, non perché fosse impossibile a Dio l'assicurarmi anche questo dono, lui che si degnava di concedermi tutto, ma perché avevo sentito dire che, eccetto il giorno di Pasqua ed eccetto questo giorno, essi non discendevano dai luoghi dove stavano - infatti sono uomini capaci di fare cose mirabili -; inoltre non sapevo in che mese fosse il giorno in cui si celebrava la festa del martire di cui ho parlato. Così per volontà di Dio mi successe di giungere in quel luogo il giorno che proprio non avrei sperato. 7. Ivi dunque facemmo una sosta di due giorni per celebrare la festa del martire e per vedere quei santi che si degnarono, per darmi il benvenuto, di accogliermi con grande cordialità e di parlarmi, cosa che io non meritavo. Subito dopo il giorno della festa del martire, non a caso, essi non si videro più, ma fin dalla notte si diressero verso il deserto, per raggiungere ciascuno il proprio eremo. 8. Nella città, all'infuori di pochi preti e santi monaci che ivi soggiornavano, non trovai alcun cristiano, ma solo pagani133. E come noi consideriamo con grande venerazione il luogo ove originariamente vi fu la casa del santo Abramo, in ricordo di lui, così anche i pagani, a mille passi circa dalla città, tengono in grande venerazione il luogo dove si trovano le tombe di Nacor e di Bathuel134.

129 Cf. sopra, nota 120, sull'identità del vescovo.130Una tradizione testimoniata ancora da fonti del XII secolo menziona la «casa di Abramo» ad Harran. Cf. P. Maraval, p. 215, nota 4. 131 II riferimento è all'episodio narrato al cap. 24 della Genesi: Abramo, ormai vecchio, ordina al suo servitore (identificato con Eliezer; cf. Gn 15,2) di andare a prendere una moglie per Isacco suo figlio nel paese e presso la parentela di origine. La città verso cui il servitore si dirige è la città di Nacor, ossia Harran, secondo un riconoscimento comune fatto proprio anche dal nostro testo; ivi appunto incontra Rebecca, ha da bere per sé e per i suoi cammelli, si presenta anche al padre (Bathuel) e al fratello (Labano) della giovinetta e riparte per tornare da Abramo, conducendo con sé Rebecca consenziente.132 Elpidio sembra essere un santo martire morto durante la persecuzione del re sasanide Sapore II, che a lungo guerreggiò con i Romani negli anni centrali del IV secolo (339-379) fino a riuscire vittorioso e a dominare quella regione. La sua festa si celebrava il 23 (o il 24) aprile in forma solenne anche perché si associava al ricordo e al culto riservato ad Abramo per il luogo in cui avveniva. Cf. J.-M. Sauget, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1964, col. 1148.133 Molte fonti anteriori, contemporanee e successive ad Egeria parlano di Charra o Harran come città rimasta per lungo tempo fedele ai culti pagani fino al tempo di Giustiniano e più ancora fino alla conquista araba. Cf., tra l'altro, A. H. M. Jones, The Later Roman Empire 284-602. A Social, Economic and Admittistrative Survey, II, Oxford 1964, p. 943; H. J. W. Drijvers, Cults and Beliefs at Edessa, Leiden 1980, pp. 143 ss.134 Nacor è il fratello di Abramo, padre di Bathuel, che generò Labano e Rebecca. Cf. Gn 22,20 ss. L'osservazione della pellegrina antica apre una questione non facilmente risolvibile: perché i pagani di Harran venerino le tombe di Nacor e di Bathuel, che sono figure dell'Antico Testamento: forse tramite loro si risaliva all'ambiente originario pagano di Ur in Caldea di dove, con Abramo, anche Nacor suo fratello proveniva.

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9. Poiché il vescovo di quella città è un ottimo conoscitore delle Scritture, rivolsi a lui le mie domande dicendogli: «Ti prego, signore, di dirmi ciò che desidero sapere». Ed egli: «Di' ciò che vuoi, figliola, e ti risponderò se ne sarò in grado». Allora gli dissi: «So dalle Scritture che il santo Abramo insieme a suo padre Terach, a sua moglie Sara e a Lot, figlio di suo fratello, vennero qui135 ma per Nacor e Bathuel non ho letto quando siano passati qui; so una cosa sola, che dopo un po' di tempo un servo di Abramo venne in Charra per chiedere Rebecca, figlia di Bathuel, figlio di Nacor, in sposa per il figlio del suo padrone Abramo, ossia per Isacco»136. 10. Allora il santo vescovo mi disse: « Veramente è scritto come dici, figliola, nella Genesi: il santo Abramo passò qui, con i suoi137; per Nacor con i suoi e per Bathuel, al contrario, le Scritture canoniche non dicono quando siano passati. Ma è chiaro che anch'essi passarono qui in seguito; anzi, anche le loro tombe sono qui, a mille passi circa dalla città. Con certezza la Scrittura lo attesta, poiché il servo del santo Abramo venne in questo luogo per prendere con sé la santa Rebecca e ancora in questo luogo venne il santo Giacobbe, allorché prese con sé le figlie di Labano il Siro»138. 11. Allora io gli domandai dove fosse il pozzo ove il santo Giacobbe aveva dato da bere alle mandrie che faceva pascolare Rachele, figlia di Labano il Siro. E il vescovo mi disse: «Quel luogo è a sei miglia di qui, vicino a un villaggio che fu un tempo un podere di Labano il Siro139, ma poiché tu vuoi andare là, noi vi andremo con te e te lo mostreremo; in quel luogo vi sono anche parecchi monaci molto santi, degli asceti e un santuario». 12. Domandai ancora al santo vescovo dove fosse quel luogo, nella terra dei Caldei, dove avevano abitato in un primo tempo Terach e la sua gente. Allora mi disse quel santo vescovo: «Il luogo di cui vuoi sapere, figliola, si trova alla decima tappa di qui, nella parte interna della Persia. Infatti, di qui fino a Nisibe vi sono cinque tappe e di là fino a Ur, che fu una città dei Caldei, altre cinque; ma attualmente i Romani non vi possono più accedere, giacché i Persiani dominano tutta quella regione140; regione che in special modo è denominata orientale, essendo ai confini dei territori dei Romani e dei Persiani e dei Caldei». 13. Si degnò ancora di raccontare parecchie altre cose, così come si degnavano di fare anche gli altri santi vescovi e santi monaci, cose tutte relative a fatti delle divine Scritture o dei santi uomini, voglio dire dei monaci: sia ciò che avevano compiuto di meraviglioso quelli di loro che già erano morti, sia ciò che compiono quotidianamente quelli di loro - almeno tra gli asceti - che sono ancora vivi. Perché non voglio che la Carità Vostra pensi che le conversazioni dei monaci si riferissero mai ad altro se non alle divine Scritture o alle azioni dei monaci più venerabili.

I luoghi di Giacobbe 21. 1. Dopo due giorni, durante i quali mi fermai là, il vescovo ci condusse al pozzo dove il santo Giacobbe aveva portato a bere le mandrie della santa Rachele; tale pozzo si trova a sei miglia da Charra. In segno di onore, accanto, è stato costruito un santuario molto ampio e bello. Giunti al pozzo, il vescovo fece una preghiera, poi fu letto il passo della Genesi che vi si riferisce 141, fu recitato un salmo conveniente al luogo e, dopo un'altra preghiera, il vescovo ci benedisse.

135 Dopo la narrazione concernente la torre di Babele, la Genesi parla della discendenza di Sem e della famiglia di Terach. In Gn11,27 ss. si legge: «Terach aveva settant'anni quando generò Abram, Nacor e Aran... Aran generò Lot. Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. Abram e Nacor si presero delle mogli: la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor, Milca... Sarai era sterile e non aveva figli. Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran... e Sarai sua nuora... e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. L'età della vita di Terach fu di duecentocinque anni. Terach morìin Carran».136 Cf. sopra, nota 131.137 Cf. sopra, nota 135.138 I capitoli 28 e 29 della Genesi narrano che Giacobbe, inviato da Isacco in Mesopotamia, giunge a Carran, dove dapprima incontra Rachele, figlia di Labano, poi Labano, e ivi si forma una famiglia.139 Giacobbe dunque si mette in cammino per andare nel paese degli orientali; incontra dei pastori e chiede loro di dove siano; essi rispondono d'essere di Carran. «Egli stava ancora parlando con loro, quando arrivò Rachele con il bestiame del padre, perché era una pastorella. Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, fratello di sua madre [Rebecca]... fattosi avanti, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Labano... Poi Giacobbe baciò Rachele e pianse ad alta voce» (Gn 29,9-11). 140 Dopo la campagna di Giuliano in Oriente e la sua morte nel 363, l'imperatore che gli succede, Gioviano, abbandona Nisibi ai Persiani, trattando con Sapore II loro re.141 Cf. sopra, nota 139.

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2. Vicino al pozzo vedemmo pure, per terra, la pietra grandissima che il santo Giacobbe aveva fatto rotolare dalla bocca del pozzo: ancor oggi viene mostrata142. 3. Nelle vicinanze del pozzo non abita nessun altro se non il clero della chiesa che là sorge, e i monaci che hanno gli eremi vicino, della cui vita davvero straordinaria ci parlò il santo vescovo. Così dunque, dopo aver fatto una preghiera in chiesa, insieme al vescovo andai presso quei santi monaci, nei loro eremi, rendendo grazie e a Dio e ai monaci stessi che si degnavano, negli eremi in cui entravo, di accogliermi di buon grado e di rivolgersi a me tenendo discorsi davvero degni di uscire dalla loro bocca. Essi vollero anche dare a me e a tutti coloro che erano con me dei doni, come solitamente fanno i monaci con le persone che di buon grado accolgono nei loro eremi. 4. Dato che quel luogo si trova in una piana estesa, il vescovo mi mostrò di fronte un villaggio assai grande, situato a circa cinquecento passi dal pozzo; e noi passammo attraverso di esso. Questo villaggio, un tempo, secondo le parole del vescovo, fu dominio di Labano il Siro: si chiama Fadana. Qui infatti mi fu mostrata la tomba di Labano il Siro, suocero di Giacobbe; mi fu mostrato anche il luogo da cui Rachele portò via gli idoli di suo padre143. 5. Così dunque, nel nome di Dio, dopo aver visto tutto, prendendo commiato dal santo vescovo e dai santi monaci che si erano degnati di condurci fino a quel luogo, facemmo ritorno per il medesimo cammino e attraverso i medesimi luoghi di sosta per i quali eravamo venuti da Antiochia144.

La tappa di Tarso 22. 1. Tornata ad Antiochia, vi trascorsi ancora una settimana, fino a che non fossero pronte le cose necessarie al viaggio. Partendo dunque da Antiochia e facendo un itinerario che passava per un certo numero di tappe, giunsi alla provincia detta di Cilicia, la cui città principale è Tarso 145, dove già ero stata nel recarmi a Gerusalemme. 2. Ma poiché a tre tappe di distanza da Tarso, cioè in Isauria, vi è la tomba di santa Tecla, fu per me cosa molto gradita l'andarvi, tanto più che ero a così poca distanza.

L'arrivo a Seleucia. Santa Tecla. Calcedonia e Costantinopoli 23. 1. Partendo da Tarso arrivai a una città sul mare, ancora in Cilicia, che si chiama Pompeiopoli. Di là, entrata poi nel territorio di Isauria, feci tappa nella città di Corico e il terzo giorno arrivai alla città chiamata Seleucia di Isauria146. Quando vi giunsi andai a trovare il vescovo, un uomo veramente santo, che un tempo era stato monaco; anche in quella città vidi una chiesa molto bella.

142Alla medesima distanza indicata dal nostro testo, in direzione nord, ancora oggi si trova un luogo denominato Tilfidan (Tell Fadan) ove vi sono pozzi e cisterne e ove si scorgono rovine. 143 Fadana si deve identificare con Paddan Aram, di cui si trova menzione in Gn 25,20 (ove si parla di Isacco e della sua sposa Rebecca «figlia di Bathuel l'Arameo da Paddan Aram») e in Gn 28,2 ss. (ove si parla di Isacco che manda il proprio figlio a prender moglie in Paddan Aram presso Labano, figlio di Bathuel e fratello di Rebecca; ivi appunto Isacco ebbe per moglie Rachele, figlia di Labano). L'episodio riguardante Rachele che porta via gli idoli del padre è narrato in Gn 31,19: Giacobbe fugge dalla casa di Labano in Mesopotamia per tornare, secondo l'indicazione di Dio, nella terra natale di Canaan dal padre Isacco; egli conduce con sé i figli, le mogli e tutti gli averi e il bestiame che si era acquistato in Paddan Aram. Intanto «Labano era andato a tosare il gregge e Rachele rubò gli idoli che appartenevano al padre». Gli «idoli» di cui qui si parla dovevano essere raffigurazioni di divinità di rango inferiore, tutelari della casa e della famiglia. Labano poi insegue Giacobbe e, raggiuntolo, gli chiede perché ha rubato «i suoi dèi» (cf. Gn 31,30). Giacobbe ignorava che era stata Rachele a rubarli e permette che tutte le cose del suo clan siano perquisite, promettendo anzi di condannare a morte chi si fosse reso reo di sacrilegio nei confronti degli «dèi» di Labano. Ma, nonostante le ricerche, questi non sono rintracciati.144 Da Carran attraverso Edessa e Bathnae, Egeria fa ritorno ad Antiochia, dove rimane una settimana; di là poi riprende il viaggio per Costantinopoli, non senza qualche ulteriore tappa a lato del percorso diretto.145 Tarso, nella piana di Cilicia, era in antico un'attiva e fiorente piazza marittima. In special modo nella seconda metà del IV secolo era stata prediletta da Giuliano imperatore (361-363) che voleva costituirla capitale della Siria, al posto di Antiochia, e che volle esservi sepolto.146 Da Tarso la pellegrina, anziché addentrarsi nell'interno del paese per superare le Porte Cilicie, continua lungo la costa e tocca i centri di Pompeiopoli (l'antica Soli, distrutta da Tigrane re dell'Armenia nei primi anni del I secolo a.C. e ricostruita da Pompeo), Corico (stazione navale dei Romani), l'attuale Kizkalesi e finalmente Seleucia, in Isauria, altra meta a cui Egeria si dirige per vedere la tomba di santa Tecla. Seleucia, oggi Silifke, fondata da Seleuco I Nicatore (312-281 a.C.), godette di notevole benessere al tempo dell'Impero Romano, come mostrano i resti di un teatro, di templi, di portici, ecc. Fu poi sede vescovile in epoca cristiana e i suoi vescovi furono presenti ai maggiori concili tenuti in Oriente ed ebbe importanza per la chiesa legata appunto al nome di santa Tecla.

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2. E poiché per giungere di lì a Santa Tecla - che si trova oltre la città su un pianoro in posizione sopraelevata - vi erano circa 1500 passi, preferii proseguire fino là per farvi la tappa che avevo intenzione di fare. Ivi, nei pressi del santuario non vi erano altro che innumerevoli monasteri di uomini e di donne147. 3. In quel luogo trovai una mia carissima amica, a cui tutti in Oriente rendevano testimonianza per la sua vita: la santa diaconessa Martana che avevo conosciuto a Gerusalemme, dove si era recata in pellegrinaggio di preghiera; essa aveva la responsabilità di monasteri di apotattite o vergini. Quale gioia per lei e per me quando ci si vide! Non lo potrei descrivere148. 4. Ma per tornare a ciò che dicevo, vi sono dunque là, su quell'altura, numerosissimi monasteri e nel mezzo vi è un grande muro che include la chiesa dove si trova la tomba della martire, tomba che è molto bella. Il muro, poi, è stato destinato a proteggere la chiesa perché gli Isauri, gente malvagia e che si dà spesso al brigantaggio, non tentino magari di fare qualcosa contro il monastero che ivi è posto149. 5. Giunta dunque sul luogo nel nome di Dio, dopo aver fatto una preghiera presso la tomba e aver letto tutti gli Atti di Santa Tecla150, resi infinite grazie a Cristo nostro Dio che si è degnato di esaudire me, indegna e immeritevole quale sono, in tutti i miei desideri. 6. Trascorsi così due giorni in quel luogo, e avendo visitato anche i santi monaci e gli apotattiti, sia uomini che donne, che vi abitavano, dopo aver fatto una preghiera e la comunione, per riprendere il viaggio feci ritorno a Tarso; ivi feci una sosta di tre giorni e, nel nome di Dio, ripartii per il mio cammino. Così il medesimo giorno arrivai alla tappa che si chiama Mansocrenas, situata ai piedi del monte Tauro, e vi sostai151. 7. Di là, il giorno successivo, salendo sul monte Tauro e percorrendo la via già nota attraverso ciascuna delle province che avevo toccato nell'andata, ossia la Cappadocia, la Galazia e la Bitinia, arrivai a Calcedonia, dove mi fermai per poter visitare il famosissimo martyrium di santa Eufemia, a me già noto da tempo, che qui si trova152.

147 Il santuario doveva sorgere a sud della città in un luogo attualmente denominato Meriamlik. Gli scavi archeologici compiuti sul luogo dal 1907 e in anni a noi vicini non hanno identificato con precisione la chiesa del IV secolo menzionata da Egeria; le rovine degli edifici cultuali ritrovati risalgono infatti a non prima della seconda metà del V secolo. Qualche indicazione si può trarre da un testo scritto da un anonimo del V secolo ove si narrano la vita e i miracoli operati dalla santa. Cf. Vie et miracles de sainte Thècle, ed. a cura di G. Dagron, Subsidia Hagiographica 62, Bruxelles 1978, pp. 69 ss., 388 s. e passim. La figura di Tecla è delineata negli Acta Pauli et Theclae, scritto apocrifo che narra la storia di una fanciulla greca convertita dall'apostolo Paolo durante la sua missione ad Iconio (cf. At 13,51 s. e 14,1 ss.); rotto il fidanzamento, essa parte con Paolo per assisterlo nella sua opera di apostolato, sfugge miracolosamente a persecuzioni ed al martirio, si ritira infine a Seleucia dove conduce vita ascetica insieme ad altre donne. È difficile dire se gli Acta, che contengono certamente molti elementi fantastici, rispecchino oppure no un nucleo storico. Come prova la narrazione della nostra pellegrina, essi senza dubbio erano conosciuti e considerati nel IV secolo, come vivo e popolare era in quel tempo il culto di santa Tecla in special modo a Seleucia.148 Anche lo scritto relativo ai Miracoli di Tecla (44,43, ed. Dagron, cit., p. 406) menziona Marthana, figura che con il suo zelo e le sue virtù è paragonata a quella stessa di Tecla. Si noti che essa è l'unico personaggio contemporaneo di cui Egeria fa il nome. Pure notevole è il fatto che per la prima volta si segnali la presenza di monasteri femminili. Marthana è diaconessa; ora, il diaconato femminile corrispondeva in quel tempo a una funzione nella Chiesa che variava secondo i luoghi e richiedeva l'imposizione delle mani. Infine, in questo passo assai interessante si legge un termine in precedenza non usato, quello di aputactitae: è la traslitterazione dell'analogo termine greco apotaktitai che equivale al latino continentes; si tratta di persone che hanno rinunciato ai beni del mondo, che conducono vita austera e compiono digiuni ed astinenze. Con tale termine, che da questo punto in poi si incontra parecchie volte, l'autore antico sembra indicare semplicemente i monachi o monazontes, sia uomini che donne.149 Fonti antiche pagane e cristiane parlano degli Isauri (una popolazione che viveva nell'Asia Minore tra la Pisidia e la Licaonia) come di predatori e banditi pericolosi, le cui incursioni in territori vicini si erano ripetute particolarmente nella seconda metà del IV secolo e all'inizio del V.150 Il testo degli Acta Pauli et Theclae si può leggere nell'edizione di R.A. Lipsius - M. Bonnet, Acta Apostolorum Apocrypha, vol. I, rist. anast., Darmstadt 1959, pp. 235-272. Per una traduzione italiana, cf. M. Erbetta, Gli Apocri fi del Nuovo Testamento, vol. II, Casale Monferrato 1966, pp. 258 ss.151 Continuando il viaggio di ritorno, Egeria percorre la medesima strada già fatta durante la sua venuta attraverso la Cappadocia, la Galazia e la Bitinia fino a Calcedonia e poi a Costantinopoli. L’Itinerarium Burdigalense, un'altra relazione di viaggio di un anonimo pellegrino che da Bordeaux si reca a Gerusalemme, segnala 33 tappe da Tarso a Costantinopoli. La prima tappa tocca appunto Mansocrenas (o Mansucrinae o Mopsucrene) ai piedi del Tauro, la lunga catena montuosa che incornicia a sud l'altopiano anatolico.152Calcedonia, oggi Kadiköy, in Bitinia, si affacciava sul Bosforo di fronte a Costantinopoli. Tra i monumenti cristiani l'Itinerarium attesta per la prima volta il martyrium di sant'Eufemia. Lo storico Evagrio Scolastico nella sua Historia ecclesiastica (II,3) descrive l'edificio con sufficiente precisione: ma la sua opera risale all'ultima decade del VI secolo.

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8. Così il giorno seguente, per via di mare, arrivai a Costantinopoli rendendo grazie a Cristo nostro Dio poiché a me indegna e immeritevole si è degnato di accordare una grazia tanto grande, concedendomi non solo il desiderio di viaggiare, ma anche la possibilità di visitare tutti i luoghi che volevo e di ritornare nuovamente a Costantinopoli. 9. Come giunsi là, nelle chiese, nei santuari, nei martyria che in quella città sono numerosi non mi stancavo di innalzare i miei ringraziamenti a Gesù nostro Dio che aveva voluto manifestarmi in tal modo la sua benevolenza153. 10. Mie signore, luce della mia anima, mentre scrivo tutte queste cose alla Carità Vostra, ho già in animo di partire nel nome di Cristo nostro Dio da questo luogo e di andare in Asia, ad Efeso, per pregare sul martyrium del santo e beato apostolo Giovanni. Se dopo di ciò sarò ancora in questo corpo, se potrò conoscere altri luoghi, io stessa di presenza ne parlerò alla Carità Vostra - se Dio vorrà concedermelo - oppure, se avrò in animo qualche altro progetto, lo racconterò per iscritto. E voi, mie signore, mia luce, degnatevi di ricordarvi di me, che sia nel corpo o già fuori del corpo154.

Nella basilica, eretta in onore della santa, si celebrò nel 451 il Concilio di Calcedonia. Eufemia fu martire della persecuzione dioclezianea; la sua morte sembra risalire al 16 settembre del 303. Circa un secolo più tardi, pochi anni dopo il viaggio di Egeria, Asterio, vescovo di Amasea nel Ponto, ne esalta la figura in un'omelia (XI, PG 40,333-337) nota anche per la descrizione di affreschi che ornavano uno dei portici del santuario e che rappresentavano il martirio della santa. 153 Egeria non indugia a descrivere i luoghi santi di Costantinopoli, molti e importanti verso la fine del IV secolo: dalla chiesa dei Santi Apostoli a Santa Sofia alla chiesa di Sant'Irene, ciascuna delle quali conservava reliquie di martiri.154 Si chiude qui la prima parte dell'Itinerarium, la parte per così dire geografica. Come facilmente si nota, Egeria non ha ancora l'intenzione di prendere la via del ritorno, ma progetta almeno un altro viaggio ad Efeso, per visitare il martyrium dell'apostolo Giovanni. Se da Tarso per giungere a Calcedonia aveva percorso un cammino interno, ora, esprimendo il desiderio di andare ad Efeso, essa pensa con ogni verosimiglianza di fare la strada costiera dell'Asia Minore. Ancora una volta si tocca con mano la libertà, la disponibilità e le possibilità di cui godeva Egeria nei suoi movimenti; come ancora una volta si coglie il carattere affettuoso e del tutto indipendente del suo rapporto con le consorelle alle quali scrive. Le ultime parole (« ...che io sia nel corpo o già fuori del mio corpo») sono ispirate dalle espressioni rivolte da Paolo apostolo nella seconda Lettera ai Corinti (12,3), là dove parla delle sue esperienze mistiche.