Peer To Peer

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2° edizione 2012 - 8 luglio - 30 agosto

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il catalogo del Marche Centro D'Arte, seconda edizione

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2° edizione 2012 - 8 luglio - 30 agosto

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con il patrocinio della Regione Marche

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con il patrocinio della Provincia diASCOLI PICENO

CON IL PATROCINIO DEI COMUNISan Benedetto Tr. Grottammare

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INIZIATIVA VOLUTA DA

Galleria MarconiLa Galleria Marconi di Cupra Marittima, aperta nel 1995, (http://galleriamarconicupra.blogspot.it) ha da subito mostrato il suo carattere. Oltre ad essere un luogo dove trovare oggetti di design è uno spazio espositivo dove si svolgono mostre e reading di poesia. Le mostre propongono giova-ni emergenti nel panorama nazionale ed internazionale, e artisti ormai affermati (Karin Andersen, Nicola Bolla, Paolo Consorti, Rocco Dubbini, Francesca Gentili, Maicol e Mirco, Carla Mattii, Sabrina Muzi, Pastorello, Giuseppe Restano, Rita Vitali Rosati). La Galleria Marconi è diventato un punto di riferimento per quanto riguarda la ricerca e la promozione artistica nelle Marche, ma anche un ponte per far conoscere i nostri artisti oltre i confini nazionali, grazie alla collaborazione con altre gallerie all’estero. Infatti da tempo la ricerca della Galleria Marconi passa attraverso lo scambio di realtà cul-turali con altri operatori sia pubblici che privati, nella convinzione che per poter crescere non ci si può fermare al proprio spazio ma bisogna aprire il proprio territorio creando delle sinergie.

PalaRivieraIl Multiplex, Teatro, Centro Congressi Pala Riviera (www.palariviera.com) nasce nel 2009, dalla ne-cessità di rispondere alla domanda del territorio di dotarsi di un centro polivalente capace di essere una struttura volano per il turismo congressuale interregionale e contemporaneamente un luogo di cultura e intrattenimento. La realizzazione del PalaRiviera Multiplex Teatro Congressi è stata pos-sibile grazie alla sinergia tra un gruppo di privati e l’Amministrazione Comunale di San Benedetto del Tronto, che ha permesso l’organizzazione di una struttura adeguata per convegni, congressi, concerti, manifestazioni teatrali, musica lirica, cinema, intrattenimenti, attività ricreative, ludiche e di svago, attività ristorative.Il Multiplex, Teatro, Centro Congressi Pala Riviera di San Benedetto del Tronto, anche dal punto di vista architettonico, è una delle strutture più moderne ed all’avanguardia del centro Italia.

Cocalo’s ClubIl Cocalo’s club (www.cocalosclub.it) è una community che nasce e si sviluppa in seno ai negozi Co-calo’s e, attraverso i suoi partner (operatori nei più svariati ambiti: cultura, sport, salute e bellezza, motori, ristorazione e intrattenimento), sviluppa la propria azione nelle Marche, in Abruzzo e a Mal-ta. Fra i partner operano con il compito di informare e stimolare la community gli ”expert fan” (artisti, intellettuali, operatori economici) che, coltivando la loro passione, rappresentano il legame fra mo-tivazione e azione. Il Cocalo’s Club offre ai propri associati e al territorio di appartenenza, oltre agli sconti e i vantaggi proposti dalla rete dei partner sotto l’egida del Cocalo’s Club, l’organizzazione di eventi ed iniziative di scambio e socializzazione che coniugano, in una dimensione di reciproca valo-rizzazione, gli ambiti della cultura, del sociale, dell’enogastronomia, dell’ambiente, dell’economia.

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DESCRIZIONE DEL PROGETTO MCD’A

Marche Centro d’Arte è un progetto che è nato dall’incontro di tre realtà culturali

del territorio piceno, la Galleria Marconi il Cocalo’s Club e il Palariviera. Lavoran-

do in sinergia con gli altri ciascuno ha coperto una fase organizzativa dell’even-

to. Marche Centro d’Arte rappresenta la prima tappa di un progetto triennale

che indaga la situazione dell’Arte Contemporanea partendo dal territorio locale

per spostarsi verso una sfera nazionale ed internazionale. Il titolo va inteso in

una duplice accezione, le Marche infatti non sono solo il punto di partenza, ma

anche il punto di arrivo. Nelle intenzioni del progetto non c’è solo l’idea di mo-

strare la situazione artistica marchigiana ma anche quella di stimolare altri artisti

a guardare questa Regione come centrale: un movimento in entrata e in uscita

che irradia e assorbe idee. Il progetto per il primo anno prevede la selezione di

artisti marchigiani a cura della Galleria Marconi che già da tre anni sta portando

avanti nel territorio questo tipo di lavoro. Gli artisti scelti operano già a livello

nazionale alcuni sono tra i nomi più importanti del panorama italiano, altri, pur

essendo artisticamente giovani, si stanno affermando per la qualità delle loro

opere e proposte. Nei due anni successivi altri artisti provenienti da altre Regioni

si affiancheranno ai marchigiani e i critici/curatori saranno di livello nazionale. La

Galleria Marconi sin dalla sua apertura ha guardato alla territorialità come un va-

lore aggiunto, organizzando ricognizioni che mostrano situazioni specifiche di

varie Regioni italiane ed europee, negli ultimi anni ha iniziato un lavoro intenso

sul territorio, e sul rapporto tra natura e cultura.

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ADOZIONE ARTISTICA - MCD’A

Il bisogno di socialità e la cultura partecipativa.

La risposta di un territorio che cambia e si modifica. Come sopravvivere alla crisi attraverso la cre-

atività e l’esperimento della socialità fra le convenienze. MCd’A non solo come “fine e premio a se

stesso”, ma come ricerca sperimentale nell’ambito della socialità.

Che la crisi economica del 2008 abbia introdotto innumerevoli difficoltà nel nostro territorio e nel

sistema economico “tutto”, ormai è un dato di fatto. Come è un dato di fatto che le risorse messe in

campo per sopperire alle diverse esigenze territoriali si sono da tempo esaurite. Immaginare poi for-

ze economiche extra per la causa persa che per molti rappresenta l’Arte e tutto il modo di persone e

personaggi che intorno ad “ella” gravitano, risulta oggi, per il nostro complesso contesto, utopistico.

La visione della società che premia i comportamenti fortemente individualizzati non ha dato i frutti

sperati e quel che resta del giorno è una lunga ed inesorabile crisi economica che ha avuto il triste

compito di celebrare alcuni funerali. Eticamente rilevante è che il bisogno di socialità, è emerso dal-

la inaspettata costruzione delle relazioni amicali che si sono via via costituite lungo il percorso criti-

co, non solo fra gli individui, ma fatto ancor più notevole, anche fra realtà economico – commerciali

che impegnano i protagonisti, in un continuo lavoro di scambio e di incontro con l’Altro. Il MCd’A

rappresenta innanzitutto, attraverso la socialità dei terzi, l’incipit di un rinascimento artistico e cultu-

rale. Il bisogno di socialità è l’inizio di un progetto sperimentale che intercetta sociologia, economia

e politica del territorio, che parla il linguaggio della contemporaneità. La partecipazione all’ “idea”

è democratica nel senso che è si, diffusa e condivisa, ma innanzitutto non gerarchizzata. Recupera

l’approccio relazionale, per riscrivere e ridefinire, attraverso l’occasione del MCd’A, le nuove propor-

zioni umane. La possibilità di tutto questo sta, ancora una volta, nella nostra capacità di cambiare

gli schemi e creare valore nella catena del prodotto che non sembra risiedere più solo nel contenuto

ma nella interconnessione dei contenuti. La nuova realtà sociale che lega cultura partecipativa e

intelligenza collettiva, ci permette di entrare direttamente in contatto con la ricerca sperimentale

nell’ambito della socialità, di cui il MCd’A è solo e non solo un esempio concreto. L’idea Adottante

– Adottato presupposto della rassegna, nella sua dimensione “privata” corrisponde ad una volontà

di costruire, il “peer to peer”, a cui va attribuito il merito di un completo rinnovamento della visione

artistica contemporanea che grazie al suo contributo si fa “pubblica”.

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È un tentativo, una testimonianza, il prodotto di un’opera-zione che coinvolge soggetti diversi, a volte lontani, in una condivisione di idee, suggestioni, forme.Non ci troviamo di fronte a un ponte tra mondi diversi, ma nel mezzo di una rete dove ogni nodo è un punto di arrivo e di partenza. Peer to peer è la prova della possibilità che energie diverse si incontrino e operino in maniera sinergica per dare forma e voce alla ricchezza che un territorio può esprimere.Nel linguaggio di internet il peer to peer è la possibilità che ognuno di noi può avere di scambiare informazioni e dati, essendo nello stesso tempo fruitore attivo e passivo. In Mar-che Centro d’Arte ogni soggetto coinvolto è un punto che permette al progetto di crescere e realizzarsi. Artisti, adot-tanti, critici, pubblico e ideatori sono nodi equivalenti di una rete che, come nel peer to peer, permette a chiunque entri in contatto di poter condividere la propria ricchezza interio-re e apportare un mattone alla realizzazione di un progetto che vuole far crescere il territorio e farlo aprire alla contem-poraneità.

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GROW UP

Il taglio critico della mia sezione parte dalla volontà di rappresentare differenti linee di ricerca attraverso due generazioni. Quella di artisti che sono giunti a una maturità espressiva che segna un punto di equilibrio nella ricerca, conseguenza di una rielaborazione lunga e approfondita delle intuizioni e delle spinte iniziali, e quella invece rappresentata da artisti più giovani che mostrano un approccio al mezzo espressivo sicu-ramente meno legato alla natura e allo status degli specifici linguaggi, operando per frammenti piuttosto che per sistemi. Suggerire questa lettura è un modo per riflettere sul passaggio dalle modalità espressive della fine del ‘900, secolo affascinante e ricchissimo disviluppi, al nuovo millennio in cui l’arte sembra esprimersi filtrando tutto ciò che è imme-diatamente precedente in un linguaggio più leggero. L’idea di crescita allude, pur nella diversità dei percorsi individuali, ad una germinazione di soluzioni artistiche nuove che sebbene sfrontatamente giovani, han-no un legame viscerale con delle presunte madri che hanno indicato atteggiamenti nuovi e aperto percorsi divergenti. Gli artisti in mostra sono tutti italiani, alcuni di loro sono ormai delle pietre miliari nel pa-norama degli artisti mid-career, altri con straordinaria forza espressiva stanno aprendosi nuove strade. Alcuni di loro hanno scelto di trasferirsi negli Stati Uniti ed aprire ad un confronto integrale il proprio vissu-to artistico. Infine c’è un piccolo contingente di artisti marchigiani che si sta muovendo in un libero confronto con linguaggi internazionali. Senza la pretesa di poter delineare discorsi esaustivi sull’arte italiana di oggi, ho voluto dare delle campionature mettendo comunque sempre al centro l’artista, con la sua opera e la sua capacità generativa.

Gloria Gradassi, critica e storica dell’arte, si è laureata presso l’Università degli studi di Perugia e ha studiato presso la Scuola di Specializzazione in Archeolo-gia e Storia dell’arte dell’Università di Siena. Ha al suo attivo la cura di nume-rose mostre personali e collettive in istituzioni pubbliche e gallerie private. Ha collaborato con l’Università degli studi di Perugia, la Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. Scrive per Flash Art.

> GLORIA GRADASSI curatore

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MATTIA BIAGI

ROBERTO CICCHINÈ

DAVIDE COLTRO

VANNI CUOGHI

ALBERTO DI FABIO

G. MANUNTA PASTORELLO

MATTEO NEGRI

NIBA

RITA SOCCIO

DAVIDE ZUCCO

> artisti

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> MATTIA BIAGI

La sottrazione dei particolari, l’occultamento e la rivelazione, è il gioco visivo che Mattia Biagi mette in scena nel suo lavoro. L’artista attiva un meccanismo percettivo in cui alterna una negazione alla riproposizione della forma essen-ziale, che si traduce nella traccia visiva di un’icona. In alcune interviste l’artista racconta che “tutto nasce a Los Angeles, dopo aver visitato Park La Brea, un’area geologica caratterizzata da giacimenti di catrame, pieni di fossili perfettamente conservati….” . Dopo questa esperienza prende avvio la creazione di sculture ricoperte di catrame filante. Quella di Biagi sembra una proiezione dei miti e degli og-getti del nostro quotidiano in un ipotetico futuro, simulando la fossilizzazione dell’esistente, degli oggetti a noi cari, e di quanto ha la forza di raccontare il presente in un museo immaginario. Il catrame nero estetizza la forme delle cose, anche le più banali, rivestendole di una nuova pelle che le stacca dal contingente per renderle solitarie ed assolute. Una solitudine per la verità inquietante e minacciosa, che allude inevitabilmente ad un post, dunque ad un distacco. Gli oggetti infatti, potenzialmente prelevati da una qualunque casa, da un’intimità sommessa, ricoperti di materia ca-tramosa perdono ogni relazione affettiva e psicologica con chi li ha posseduti trasmigrando verso la museificazione. Il lavoro con le sculture in catrame, al quale si associa un’ironia ludica e al tempo stesso tragica, si evolve poi in nuovi esiti che si sganciano dalla dimensione dell’oggetto per divenire vere e proprie installazioni, anche in luoghi aperti. Nella serie Storm of Life, realizzata modellando sequenze di ombrelli neri aperti, collocati a grappoli e incastrati l’uno sull’altro, o cadenzati in sequenze geometriche, quasi militari, l’artista evoca sensazioni epidermiche e visioni incon-sce che rimandano a superstizioni, angosce, e credenze popolari. A queste ultime l’artista fa ulteriori riferimenti in sculture che contengono sale rovesciato, scale sospese, specchi rotti, mescolando ricordi antichi ad un linguaggio visivo che svincolato da ogni tradizionalismo, si presenta vibrante e molto glamour.

Mattia Biagi nasce a Ravenna nel 1974. Da 10 anni vive e lavora a Los Angeles dove intra-prende il suo cammino artistico con il mezzo espressivo del catrame. Numerose le mostre in Europa e negli Stati Uniti, tra cui l’ultima al Mint Museum di Charlotte (NC).

Mac Stabbed , 2006, legno, metallo, giocattolo di stoffa e catrame, 24 x 30 x 84 cmcourtesy galleria Officine dell’Immagine, Milano

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Roberto Cicchinè è un esteta. Ha fatto dell’eleganza e dell’equilibrio il tema del suo esordio fotografico, coltivando un particolare interesse per il corpo, scandagliato come forma pura e per le emozioni che può suscitare. Una fotografia perfetta, a cui nulla può essere tolto o aggiunto, silenziosa, senza tempo. Sono infatti immagini sospese, quelle di giovani ragazzi che chiudono gli occhi bagnati da una pioggia fantasmatica, o di corpi tesi in sforzi muscolari che si bloccano in energia trattenuta. Alternando toni delicati e sottili ad un’energia dalle sfumature erotizzanti Cicchinè ha esplorato le potenzialità emotive ed evocative di un’immagine. In queste opere il tema del movimento e del cam-biamento sono trattati in sequenze che vanno osservate nella loro dinamica processuale, resa visibile in scandite sequenze temporali o supposta come sviluppo ipotetico di ciò che è visibile. Allusioni e dichiarazioni incomplete, chiamano ad una partecipazione attiva l’osservatore, necessaria a dare integrità al progetto iniziale. Questa dinami-ca inclusiva è stata sviluppata dall’artista particolarmente nel suo recentissimo lavoro velocità=spazio/tempo, una complessa opera installativa che intreccia, scultura, video, fotografia e azione. In essa Cicchinè, sospendendo tempo e movimento, e suggerendo deformazioni percettive innescate dall’osservazione di una tavola optometrica rivisita-ta, ci introduce totalmente straniati un ambiente quasi asettico, dove ogni nostro passo si carica di tutta la materia corporea che su di esso si muove. In quest’opera si scopre maggiormente il lato metafisico e filosofico del lavoro di Cicchinè, la sua riflessione sul destino umano, condotta oltre la retorica, attraverso immagini spiazzanti e un silenzio immobile che suonano come un memento mori. La sua visione dell’eternità rimanda alla materia, al corpo, alle azioni umane, non per nulla uno specchio a forma di croce riflette i movimenti interni allo spazio e gli sguardi di chi osserva, rispondendo a chi gli ponga questioni di non cercare risposte oltre la soglia del visibile, sebbene esso possa generare illusioni. Illusioni che pure ci consolano, eternate nel marmo e nella fissità di un’immagine, come risposta umana al destino travolgente di insensatezza e distruzione a cui uomini e cose tentano di trovare una loro personale e tempo-ranea forma di resistenza.

Cicchinè vive e lavora a Massignano (AP). Socio fondatore dello Studio Associato Design?, ha esposto il proprio lavoro in mostre perso-nali e collettive in spazi pubblici e privati italiani.

> ROBERTO CICCHINÈ

Senza titolo, 2012, carta fotografica su dibond laminato lucido, cm 120 x 180

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In un’epoca in cui la tecnologia con i suoi sviluppi entra nella sfera emotiva delle persone, cambiando percezioni, proiezioni e desideri, lo statuto di opera d’arte, può subire slittamenti in avanti che ne ridefiniscono status e natura. È in quest’ottica che si svolge il coraggioso lavoro di Davide Coltro, più che mai artista del suo tempo, che con de-terminato rigore ha ricreato una nuova forma per l’icona più solida dell’arte, il quadro. La sua invenzione, il quadro elettronico, reinterpreta il concetto di visione/fruizione dell’immagine, trasponendolo in una dimensione fluida e orizzontale. I systems, è questo il nome scelto dall’artista per i suoi “quadri”, scelta semantica che allude a una com-plessità controllata e prevedibile, sono in realtà recettori ed emittenti d’immagini, dispositivi che l’artista progetta e costruisce collegandoli ad un archivio presso il suo studio in continua evoluzione. I systems dunque possono essere settati dall’artista secondo sequenze e interferenze visive molteplici, e controllati a distanza. Il loro DNA visivo può essere modificato o rimanere stabile, contaminarsi con nuove immagini, alterarsi o mantenere la linea inizialmente progettata. Acquisita questa nuova possibilità, il passo successivo è stato quello di costruire un’iconografia appropriata allo stru-mento, che non solo divenisse il contenuto del medium, ma che ne reinterpretasse l’essenza. Nascono i medium color landscapes, rilettura dell’iconografia del paesaggio in chiave pittorialista, per riprendere questioni legate al tormenta-to rapporto tra fotografia e pittura. Perché è anche attraverso questo filtro che Coltro conduce la sua ricerca, risolven-do in una formula concettuale la narrazione di un topos. Il paesaggio, frutto di un’indagine fotografica condotta di-rettamente sui territori visitati, è tradotto in una topografia essenziale e visionaria, operando una riduzione dei valori cromatici alla media matematica di tutti i cromatismi presenti nell’immagine. I systems trasmettono allora sequenze monocromatiche dalle quali traspaiono anatomie terrestri, riconoscibili nella loro essenzialità. Con Res Publica I, mo-numentale installazione di 96 moduli elettronici esposta alla 54 Biennale di Venezia nel Padiglione Italia, Davide Col-tro racconta il paesaggio italiano nella sua diversità, alternando i suoi cromatismi alle sequenze verde bianca e rossa della bandiera italiana. Un ulteriore gioco segnaletico che introduce nuove applicazioni creative.

(1967) È l’inventore del quadro elettronico, nuovo media per la cui realizzazione si avvale di tecnologia e formule matematiche. Forma il gruppo ON, composto da artisti che utilizzano l’energia nella concezione, progettazione e realizzazione dell’opera. Partecipa nel 2011 alla 54 Biennale di Venezia. Ha esposto al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, al MART di Rovereto, a Palazzo Forti di Verona, all’ ETAGI di San Pietroburgo. Vive e lavora a Milano.

> DAVIDE COLTRO

Res_publica I, Installazione di 96 quadri elettronici serie MD-SYSTEM19 con aggiornamento wireless da remoto, h 4 m - l 7 m Cortesy Gagliardi Arts System –Torino

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Vanni Cuoghi costruisce un mondo all’apparenza leggiadro e fiabesco, che, come nella migliore tradizione della fiaba, sottende percorsi allegorici e psicologici. Le opere, spesso delicatissimi acquarelli su carta intagliata, sono costruite con straordinaria abilità e perfezione. Il colore, dosato e puntuale, stacca le figure dai fondi immacolati, che da qual-che tempo l’artista intaglia e compone con sovrapposizioni di differenti carte, che poste su piani successivi, alludono a uno spazio scenico e a una profondità, tipicamente teatrali. Questa costruzione sposta significativamente le imma-gini di Cuoghi su una sorta di palcoscenico surreale, frapponendo tra esse e l’osservatore, distanze che consentono una reificazione dei personaggi e dei contesti dipinti. L’immaginario dell’artista è proiettato così in accadimenti che acquisiscono maggiore profondità, consentendo tempi diversi alla lettura, e un rallentamento percettivo che rende scoperte le differenti densità psicologiche dei personaggi, i quali possono apparire in una relazione diretta tra loro, oppure essere adibiti al ruolo di osservatori. Queste presenze, estranee all’azione principale, rimandano alla funzione del coro nella tragedia greca, naturalmente riveduta in un’ottica assolutamente interiore e psicologica, in altre parole moderna. Le diverse presenze sembrano allora esseri che si agitano in contrapposizione reciproca, anime divergenti in uno stesso corpo, gettate in un’incessante e surreale dialettica che contrappone vincitori e vinti, anima e corpo, autobiografia e immaginazione. Cuoghi sa toccare questi tasti con leggerezza favolistica, senza mai appesantire il discorso in paludate disquisizioni. La sua freschezza narrativa, nell’alternanza di toni popolari e citazioni colte, tratte da certa iconografia settecentesca e ottocentesca, in particolare quest’ultima frutto di una per nulla scontata ricerca nell’universo dell’immagine di epo-ca vittoriana, intreccia inquietudini e tabù, temi aspri presentati in sequenze quasi fumettistiche. In La disinfestazione dai buoni propositi un piccolo cameo è l’inserto fotografico di un uomo che spia la scena da dietro la finestra. Un par-ticolare che fa scivolare l’immagine in una dimensione onirica e che amplifica pulsioni segrete.

Nato a Genova nel 1966 vive e lavora a Milano. Ha esposto il suo lavoro in gallerie private e spazi pubblici italiani e internazionali. Ha partecipato alla Prague Biennale 4, alla Biennale di San Pietroburgo e alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia presso il Padiglione Italia alle Corderie dell’Arsenale.

> VANNI CUOGHI

La disinfestazione dai buoni propositi, 2011, acquerello e collage su carta, cm 52x95Courtesy Roberta Lietti, Como

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La ricerca di Alberto di Fabio ha raggiunto esiti di grande equilibrio e coerenza, sviluppando presupposti individuati sin dagli esordi come elementi fondamentali intorno ai quali costruire un mondo pittorico astratto che trascende ogni riferimento concreto in una sintesi spirituale. Nelle carte leggerissime, la dialettica tra bidimensione e profondità apre spazi e prospettive inusuali, visioni cosmi-che in cui l’artista proietta lo studio e la riproduzione meticolosa di immagini neuronali che evidenziano, in modo estremamente poetico, l’energia fisica contenuta nella struttura ultima della materia. La superficie pittorica è elabo-rata e preziosa per la sapienza degli accostamenti cromatici e la capacità di usare le luci per accendere, con stesure vibranti di colori fluo e psichedelici, fondi a volte cupi. Nel mondo di Di Fabio, ogni azione e pensiero è ricondotto ad un equilibrio cosmico che si alimenta di dinamismi, dove la bellezza esiste ed è condizione biologica ed universale. È sempre a questa misteriosa bellezza, in cui si fondono l’idea del cosmo, infinito, e l’altrettanto infinito mondo scritto nel linguaggio della natura, nella vita di una foglia o nella trasmissione di un pensiero, che Di Fabio guarda e aspira, cercando di trovare il punto di equilibrio, che bilancia, in armonia perfetta, dinamiche celesti e terrene. Armonie non solo spirituali, ma al tempo stesso visive che sintetizzano riferimenti dissimulati ad alcune esperienze del Futurismo italiano, penso a Balla, e ai sui studi sul dinamismo e la luce, o all’Action painting americana, la cui energia l’artista risolve in soluzioni formali più controllate, all’Arte cinetica e per certi versi al vitalismo della materia proprio dell’Arte povera. L’opera in mostra, Realtà parallele, un dittico di grande forza e compostezza, ci pone di fronte ad una vertigine cosmica, una trasmissione fotonica che sembra scomporre e rendere visibile la velocità della luce, elemento primario della vita universale e principio creativo che in Di Fabio vitalizza la materia pittorica. Un blu tendente al nero allude a distanze siderali, il pulviscolo luminoso che punteggia lo spazio, sottolineandone la profondità, è attraversato da fasci variamente illuminati e convergenti verso un punto estremo. L’universo, vuole forse dirci l’artista, è organizzato da una geometria non immobile, che proprio per la sua facoltà di accostare gli estremi, di essere replicabile e vitale, è la forza generatrice delle cose.

Nato ad Avezzano (1966).Dopo la formazione in Italia si trasferisce a New York. Il suo lavoro è stato esposto in ambito internazionale in spazi museali e gallerie private tra cui le sedi Gagosian ad Atene, New York, Londra, Beverly Hills. Vive e lavora tra Roma e New York.

> ALBERTO DI FABIO

Realtà parallele, 2011, acrilico e lacche su tela, dittico, ognuno cm 120 x 120

photo: Alessandra Morelli

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La pittura di Pastorello è costruita intorno allo sviluppo coerente di alcuni presupposti che l’artista ha approfondito negli anni giungendo a soluzioni perfettamente equilibrate, un classico contemporaneo. Protagonista assoluta dei suoi dipinti è la superficie pittorica indagata in maniera ossessiva e nella quale l’artista riesce a trovare angolature e profondità inedite, mostrando una via percorribile oggi attorno a questo medium antico. In Pastorello nulla è improv- visato, e la freschezza delle sue superfici smaglianti nasconde saperi visivi di lungo corso. Non possono sfuggire i rife- rimenti criptati, perché non citazioni esibite, ma parte di un DNA pittorico indelebile, a momenti altissimi della storia della pittura occidentale e non solo. Di queste tracce Pastorello coglie ovviamente l’essenza, facendola totalmente propria e costruendo attraverso nuove opzioni combinatorie visioni sempre stranianti e a volte surreali. Una surrealtà che non è nel gioco semplice dello spiazzamento, ma che sposta lo sguardo di chi osserva fuori da tutti i percorsi mimetici in un mondo di alta teoria pittorica. Dei primitivi italiani si scorge quella capacità che fu una rivoluzione, di costruire la forma attraverso la luce dunque il volume. Nel fare questo l’artista applica una sua particolare tecnica che consiste nell’utilizzo di due differenti tonalità di colore nello stesso pennello, automatismo efficace che libera la pittura dal peso della materia e la spinge verso soluzioni fluide e più gestuali. Pastorello infatti, ama confrontarsi con tradizioni anche non europee e guardando ad oriente ha trovato stimolo nella calligrafica pittura cinese, leggera e priva di profondità prospettiche. Il contrasto tra volume e bidimensionalità che si incarna sulla tela spesso in forme astratte, proprio per sganciare l’atto pittorico da una lettura allusiva o simbolica, alimenta mondi sospesi, teoremi seducenti in cui si identificano in perfetta sovrapposizione bellezza fisica e perfezione mentale. Pastorello incarna, anche attraverso altre divergenze che lo accostano di volta in volta a spunti surreali, astratti, riduzionisti, l’essenza del- la pittura. Tutto il mondo è in un quadro. Paradosso contemporaneo, che si dipana in immagini sottilmente inquiete, fresche ed attuali senza contenere riferimenti al presente.

Nasce a Sassari nel 1967 e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1991.Vive e lavora a Sassari e a Roma. Sta attualmente partecipando alla collettiva daBonelliLAB, Canneto sull’Oglio (MN), “Come Una Bestia Feroce”.

> G. MANUNTA PASTORELLO

senza titolo, 2012, cm 100x150, acrilico su tela

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La scultura di Matteo Negri, ha preso avvio da un dialogo con il reale, caratterizzato agli esordi da una sperimenta-zione di tecniche e materiali in grado di riprodurre in maniera quasi oggettiva l’elemento concreto, spesso parti di motori e ingranaggi di elettrodomestici, rappresentati fuori scala, secondo una logica cara alla tradizione Pop, con tutta la sua carica ludica e a volte spiazzante. Questa pratica, che l’artista ha sviluppato testando materiali e forme diverse, andando a toccare di volta in volta significati nuovi, penso alle mine in ceramica, intere, lacerate, o esplose e sfaldate, si è arricchita di un nuovo uso del colore, non più materico e naturale come agli esordi, ma declinato in gamme brillanti. Procedendo per gradi, l’ulteriore tensione di questa ricerca è approdata ad un fare estremamente controllato nella serie L’Ego ©, che superando la tentazione del virtuosismo e della mimesi, e quella simbolica e allusi-va, disloca l’atto della scultura in un’area operativa dove il fare è trasceso dal creare. Il Lego non è scelto dall’artista in quanto simbolo di gioco e creatività, ma in quanto elemento minimo di un fare moltiplicabile e accrescibile su scala potenzialmente infinita. L’Ego © è forma minima ed è pura possibilità. Attraverso la riproduzione in scala gigante e la ricombinazione dei celebri mattoncini Lego, l’elemento prelevato dalla realtà è trasformato in modulo linguistico che si costituisce come parte di un’articolazione creativa basata su nuovi equilibri. Una dislocazione di forme semplici e colori che posti sul piano della scultura si traducono in infinite soluzioni combinatorie. Il Lego ricreato diventa parte di un quadro o di una composizione scultorea che Matteo Negri, sposta di volta in volta dagli incastri giocosi ed astratti che alludono alla semplificazione vitale delle opere di Mondrian, o al minimalismo e alla purezza delle espe-rienze monocrome, fino a deformazioni virtuosistiche che flettono e allungano i moduli in nodi barocchi ed eleganti torsioni. Nella dialettica tra la semplicità e la razionalità delle composizioni astratte e il libero fluire dei nodi sta il quid che concerne l’esaltazione dell’atto creativo, puro, ludico, illimitato.

Diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, dal 2003 lavora con gallerie italiane ed internazionali. Ha realizzato installazioni in spazi pubblici, gallerie e fiere d’arte (Basilea, Pari-gi, Londra, Bruxelles etc.). La sua ricerca artistica si concentra sull’utilizzo di materiali plastici che lavora in modo eclettico. Vive e lavora a Milano.

nodo savoia, 2011, resina e ferro laccato, cm 240 x 60 x 60Courtesy: galleria Officine Dell’Immagine - Milano

> MATTEO NEGRI

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Uno degli elementi di grande fascino nell’arte di Niba risiede nella sua straordinaria capacità di flettere una tecnica artigianale e antica come quella della terracotta in forme che rimandano ad un immaginario legato alla contempo-raneità. La sua scultura intreccia forme e colori pop a rimandi fetish, andando a toccare corde subliminali che creano nel fruitore un senso di repulsione/attrazione. C’è una forma di bellezza che si cela nell’esasperazione di alcuni aspetti, in ciò che è percepito come devianza dal senso comune e che se contenuto entro certi limiti può essere fonte di seduzione. Questo segreto, che è il principio coltivato da tutti i grandi manieristi, antichi e contemporanei, che hanno subito per secoli il giudizio negativo di una critica incapace di scoprire il fascino delle loro invenzioni, è condiviso da Niba, che nel suo percorso artistico ha sempre avuto una sua personale andatura. Tra le sue serie più incisive ci sono quelle con i gatti e i conigli privati del pelo, tatuati e rivestiti con accessori in latex, gli stessi usati dagli amanti dell’erotismo fetish, che ci introducono oltre una soglia dove perversione e ironia si saldano in immagini che hanno un loro non comune senso tragico. Negli animali, l’esibizionismo e l’esaltazione dei corpi, esasperate nelle figure femminili, si traducono in un tacito mondo in cui ogni sguardo, ogni piega della pelle, raccontano l’indicibile che si cela in forme esasperate di erotismo. Gli animali sembrano a volte vittime, altre volte carnefici, in un gioco in cui il dominio sul corpo appare essere la regola. C’è una serie dove gli animali sono cuccioli. Qui il contrasto tra gli sguardi attoniti e le tutine fascianti che adornano i corpi creano uno stupore stridente e malinconico. Il lavoro in mostra, Trick or treat, sviluppa proprio questo aspetto not-turno dell’opera di Niba, e in un’atmosfera quasi dickensiana, scopre il dolore legato all’infanzia, alludendo a traumi e promesse non mantenute. Scompare in questo lavoro il gusto per un erotismo d’epidermide, non a caso non ve-diamo tutine in latex e accessori da sexy shop. Un topo/bambino guarda un lecca-lecca colorato posto su un’enorme trappola. Oggetti e personaggi sono posizionati sopra un tappeto in pelo bianco che ricorda quelli su cui una volta si fotografavano i neonati. Sembra una scena in una soffitta polverosa. Niba qui va ben oltre l’ironia e la leggerezza del titolo, volendoci forse dire che l’infanzia, come del resto molti pensano, non è un luna park.

Niba /Michela Nibaldi (1973) vive e lavora a Recanati (MC). Dopo la formazione artistica espone il suo lavoro in gallerie privati e spazi pubblici in Italia ed Europa. Lavora nel settore cinematografico nella realizzazione di effetti speciali, protesi e oggetti scenografici in film e videoclip.

> NIBA

Trick or Treat, 2011, mixed media, 130 cm x 200 cm x h 102 cm

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> RITA SOCCIO

Nel lavoro di Rita Soccio si alternano due polarità, una formale e linguistica, l’altra di tipo comunicativo. È dalla con-fluenza di questi elementi che l’artista genera immagini immediatamente riconoscibili, riferite al marketing pubbli-citario o a vedute e soggetti ampiamente conosciuti ed esperiti, eppure disorientanti, poiché su di esse interviene uno spostamento di senso che genera nuovi significati, invertendo la natura di profili condivisi. Quella di Rita Soccio è una guerriglia visiva ai condizionamenti culturali e antropologici del consumismo globale e dell’apoteosi del pro-fitto. Sebbene la leggerezza delle immagini dissimuli e inganni sulla natura del discorso l’intenzione dell’artista è di denunciare attraverso una sottile provocazione. Rita Soccio, con atteggiamento riflessivo e consapevole ama ripetere “l’arte senza etica è pura estetica”. Questo pensiero è l’anima del suo lavoro ed è strutturato intorno ad alcuni nuclei tematici che si saldano l’uno all’altro. Già a partire dai suoi primi lavori che rivisitavano le figure di Stella e Lindo, ri-spettivamente i protagonisti della pubblicità di Mastro Lindo e del brodo Star, trasformandoli in persone dall’esisten-za ordinaria, Rita Soccio dichiara apertamente gli intenti della sua arte. L’artista vuole attraverso il linguaggio visivo proporre un tipo di comunicazione che spesso, giocando sulla sorpresa e l’ironia, rovescia ciò che è ormai acquisito come modello di pensiero e stile di vita. Un analogo procedimento di rigenerazione dell’immagine è usato in Assenze, una serie dedicata al paesaggio e alla sua progressiva cancellazione dovuta al rivestimento di porzioni di terreno con pannelli fotovoltaici. L’intervento dell’artista è minimo, ma in grado di attuare quegli slittamenti che producono nuo-vo senso. Il paesaggio visto dal satellite è forato da porzioni bianche che ricalcano le tipiche geometrie che intagliano le colline marchigiane. L’incastro delle parti diviene una composizione astratta costruita su solidi equilibri formali. Nel recentissimo Warning anziché sottrarre o sostituire, interviene potenziando al massimo l’illusorietà dell’immagine che spinta verso un’irrealtà provocatoria, è seducente quanto disturbante ed avariata. In mostra è presente un’instal-lazione appartenente a questo nuovo progetto, composta da tre ritratti digitali di bambine/bambole assurdamente agghindate e truccate come piccole donne. Di fronte alle tre bimbe, inconsapevoli della perdita e della violenza a cui sono sottoposte, sono depositate tre torte stile Maria Antonietta, trofei pastificati all’altrettanto innaturale aspetto delle bambine, così belli e minacciosi che sembrano bombe pronte ad esplodere.

Vive e lavora a Recanati. Si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. La sua ricerca artistica si avvale di diversi linguaggi espressivi tra cui fotografia, installazione e disegno. Il suo credo “L’arte senza etica è solo estetica”. Nel 2011 ha partecipato alla 54ª Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Regione Marche, e a L’arte non è cosa nostra, Palazzo delle Esposizioni, sala Nervi, Torino (2012).

Baby Warning, 2012, fotografia, pasta di zucchero, perle di zucchero, polistirolo, tavolo in legno, tovaglia, cartoncino stampato, cm 120 x 240 x 70

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Davide Zucco in pochi anni è riuscito ad elaborare un linguaggio molto articolato ed efficace intorno all’immagine, mantenendo sempre chiaro nel suo percorso il punto di partenza, che poi in parte coincide con le sue origini, come l’artista stesso dichiara. “Sono nato e sono stato educato a Belluno, una piccola città nella catena italiana delle Dolo-miti. Crescendo in quel luogo ho avuto l’esperienza di una forte presenza della Natura, della sua bellezza e del suo ruolo per la comunità, come risorsa materiale da un lato, e dall’altro come potenza dominante e incontrollabile.”1 Quest’origine, che può essere tradotta in una tensione verso un principio universale e immanente, è l’incipit e in-sieme il leit-motiv filosofico e spirituale di un percorso che attraversa diversi ambiti culturali. Tutto un mondo che si riflette ben oltre lo specifico dell’arte appartenendo a quella cultura metropolitana e internazionale che trova voce in molteplici scene culturali underground. Ma ben oltre rimandi e semplici assonanze il lavoro di Davide Zucco ha la forza di staccarsi dal magma visivo di questi filoni per orientarsi verso un’immagine più ascetica, espandendo la pittura verso soluzioni ambientali che costruiscono un universo raffinato che avvicina mondi opposti. Nelle sue ope-re recenti infatti, l’elemento naturale, che rievoca esperienze di Land art e Arte Ambientale si fonde all’energia fluo del colore e all’incisività del disegno, restituendo all’osservatore una vertigine minimal, insieme pop e spirituale. La natura, forza originaria e insopprimibile, rinasce continuamente nelle opere di Davide, presentandosi come anima del mondo e delle cose. L’opera in mostra, EvilDevil, è parte di un’installazione molto poetica in cui si scorge un’allu-sione al “fuoco alchemico” dell’arte quale elemento in grado di rigenerare la potenza universale della natura, quasi un rituale di trasformazione dell’ombra in luce, della morte in vita. Dice l’artista: “Io sento che l’arte è ciò che ho di più vicino alla religione, ma al tempo stesso mi sento come uno scienziato che intraprende un dialogo con l’esistente”.2

1In Artist’s statement 2Ibidem

Nato a Belluno nel 1981 attualmente vive e lavora a New York. Ha esposto internazionalmen-te in numerose mostre personali e collettive. Tra le recenti mostre personali “Burning colours trying to turn my blood black” alla galleria Luis Adelantado Valencia in Spagna (2011).

> DAVIDE ZUCCO

EvilDevil, 2007, cm 256x195, tecnica mista su tela

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IMPRENDITORE Titolare della SAXA costruzioni edili.via mare, v148 - San Benedetto Del Tronto (AP)

VITTORIO MASSI

FRATELLI ROSATIIMPRENDITORE Titolari della Pitture Chic decorazioni .

via Giuseppe Parini, 20 - Grottammare (AP)

IMPRENDITORE Titolare della SAXA costruzioni edili.via mare, v148 - San Benedetto Del Tronto (AP)

FAUSTO MASSI

IMPRENDITORE

RENO PIRRIASSICURATORE Broker assicurativo titolare Pirri Assicurazioni.

ADOTTANTI

MARTE

Casa editrice

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GIORNALISTA

MIMMO MINUTO

GIUSEPPE COMPARE

GIORNALISTA

ASTERIO TUBALDI

Titolare RadioerreContrada S. Agostino, 2 - Recanati (MC)

IMPRENDITORE

FAUSTO CALABRESI

Titolare dell’Hotel Calabresi.Via Milanesi, 1 - San Benedetto del Tronto (AP)

ANTONIO MARRASOP. CULTURALE

NICLA CINGOLANI

IMPRENDITORE

ADOTTANTI

NIKLA CINGOLANI

GRAFICHE MARTINTYPE

Industria GraficaStrada Bonifica Tronto km 1,800 - Colonnella (TE)

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SENZA TITOLO

Non mi capita abitualmente di curare una mostra priva di un argomen-to che faccia da collante alle opere presentate dagli artisti. Per defor-mazione professionale sono portato a confezionare collettive per dare forma a una mia idea sul presente. Trovandomi nella circostanza di do-vere selezionare dieci artisti con cui ho lavorato in passato, oppure ho desiderato farlo senza mai averne l’occasione, ho pensato di approfit-tarne per mettere insieme personalità artistiche differenti, rimanendo però legato alla mia area di ricerca, all’immagine quindi, in prevalenza fotografica, con qualche incursione nella pittura, nel disegno e nell’in-stallazione. La privazione dei miei abituali strumenti di lavoro è stata però proficua, nella misura in cui l’assenza di un argomento guida mi ha consentito una maggiore concentrazione sulle opere degli artisti e sulla poetica che le sostiene, senza incorrere in forzature curatoriali nel ricondurle a un tema designato.

Nato nel 1975 a Firenze, è critico d’arte, curatore e docente all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Ha recentemente pubblicato i libri “Tre strade per la fotografia” (Apm 2011) e “L’occultamento dell’autore” (Apm 2007), oltre ai saggi “Community. La ritualità collettiva prima e dopo il web” (Electa 2010) e “Realtà e finzione nell’arte contemporanea” (XXI Secolo, vol. 4, Enciclopedia Treccani 2010). Ha curato varie mostre personali, fra quelle collettive ricordia-mo “City Limits” (Expo Shanghai 2010) e “Rereading the Image” (Biennale di Praga 2009).

> LUCA PANARO curatore

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KARIN ANDERSEN

SILVIA CAMPORESI

MATTEO GIROLA

MAICOL&MIRCO

SABRINA MUZI

M. LUCREZIA SCHIAVARELLI

MATILDE SOLIGNO

CARLOALBERTO TRECCANI

RITA VITALI ROSATI

PATRIZIA ZELANO

> artisti

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Il lavoro di Karin Andersen si caratterizza ormai da qualche decennio per la presenza di futuribili ibridi zoomorfi che si aggirano spaesati, forse in cerca di casa, nei luoghi che noi uomini frequentiamo quotidianamente. Nelle opere di qualche anno fa, questi strani esseri viventi, in bilico fra umano, animale e alieno, li abbiamo osservati mentre volteggiavano davanti a noti edifici urbani, quasi ad esplorare dall’alto i passanti assolutamente indifferenti a questa presenza enigmatica. In altre opere successive le ambientazioni sono spesso zone periferiche postindustriali, dove gli alieni zoomorfi sembrano addestrarsi in gran segreto, mescolandosi però con gli esseri umani. Altre volte le immagini rendono più esplicita la presenza aliena, alcune navicelle spaziali, in seguito ad una comunicazione interplanetaria, si materializzano all’interno di luoghi reali e riconoscibili.Karin Andersen manifesta così la volontà di uscire dalla logica antropocentrica, cercando d’immaginare forme di vita teriomorfe, di natura o aspetto animale, ma anche vicina all’alieno, al diverso, a quegli esseri viventi respinti dalla so-cietà. L’impegno intellettuale che si cela dietro le immagini di Andersen, è quindi rivolto al riconoscimento da parte dell’uomo del debito culturale che ha maturato verso il mondo animale. L’uomo, infatti, nel corso della sua evolu-zione, è stato culturalmente condizionato dagli animali, arricchendo così la propria conoscenza scientifica, imitando il volo degli uccelli o il nuoto dei pesci, stimolando così non poco l’immaginario artistico, dai demoni con le ali da chirotteri dipinti da Giotto ad Assisi, ai satiri che appaiono nei video e nelle foto dello statunitense Matthew Barney. In questo ultimo lavoro l’artista realizza una raccolta di ritratti teriomorfi, come in quasi tutti i suoi dipinti, anche questi personaggi non vogliono rappresentare nulla di mostruoso e demoniaco, ma non vogliono nemmeno offrire una visione idealizzante, sono piuttosto da intendersi come un tentativo per superare le tradizionali connotazioni moralizzanti sull’ibrido teriomorfo.

Nata nel 1966 a Burghausen, Germania. Si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna con una tesi sulle relazioni fra arte ed ecologia. La sua ricerca artistica si interessa del rappor-to tra umano e alterità animale o aliena.

> KARIN ANDERSEN

Studi di fisiognomica amorale (Narhinel), 2010, acrilico su tela, cm 20x20

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Per Silvia Camporesi l’arte è un cammino verso una crescita spirituale, il suo approccio alla ricerca non è mai freddo e distaccato, anzi, la partecipazione è una componente fondamentale del suo lavoro. Per questo motivo a volte è lei stessa il soggetto delle fotografie, in modo da vivere sul proprio corpo le gioie e le paure che si celano dietro alla costruzione di ogni immagine.Nelle opere qui presentate questo però non accade, perché il lavoro affronta una problematica diversa, forse più in-tima di altre, sembra quasi precedere la fase puramente creativa ed estetizzante di formazione dell’immagine, dove si percepisce il gusto che l’artista prova nel rifugiarsi in una dimensione onirica. Oggi forse questa “passione” per lo smarrimento è un atteggiamento molto più diffuso, che rispecchia bene i nostri tempi. Bisogna però imparare a con-viverci e a volte cercarlo intenzionalmente, assaporarlo e assumerlo come se fosse una medicina. In questo modo le immagini appaiono allo spettatore come visioni, non ci sono certezze ma soltanto rappresentazioni congelate che presuppongono un’imminente scossa, che però non avviene.Quando Camporesi sofferma l’attenzione sul paesaggio non lo fa solamente per apprezzare le forme della natura, ma è per lei il punto di partenza per una lettura malinconica della realtà, con forti componenti surreali e ricca di riferimen-ti narrativi, come si può apprezzare nell’installazione fotografica intitolata La luna piena è una cosa perfetta che già il giorno dopo non si rivedrà più (2010). Il tentativo è quello di raccontare la realtà arricchendola di suggestioni, frutto di una grande sensibilità percettiva. Nell’immagine di questa serie intitolata Breve storia dell’infinito, un fuoco perpe-tuo con il suo moto circolare viene interpretato dall’artista appunto come la materializzazione di ciò che non si può arrestare. Già in altri lavori era presente questa attenzione alla circolarità e all’infinito, assieme alla citazione letteraria e alla presenza di un’estetica sospesa e marcatamente al femminile. Inoltre l’attesa e la rinascita, il finito e l’infinito, il limite e il superamento, sono componenti fondamentali nella lettura dell’opera di Camporesi.

Nata a Forlì nel 1973, laureata in filosofia, vive e lavora a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video e facendo spesso ricorso all’autorappresentazione, costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni.

> SILVIA CAMPORESI

Breve storia dell’infinito (il vulcano più piccolo d’Italia), 2010, Lambda print cm 20x30courtesy Betta Frigieri

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> MATTEO GIROLA

La ricerca artistica di Matteo Girola corrisponde al tentativo di rendere visibile l’incertezza dell’immagine, noi, così come la persona di spalle che si vede nelle fotografie di questa serie, siamo spettatori di uno spettacolo effimero dove il concetto di realtà vacilla e si sgretola sotto i nostri occhi. Anche Luigi Ghirri, nella celebre serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale (1970-1979), fotografava persone di spalle, come statue, mentre osservavano immagini: cartine geografiche, fotografie, dipinti. Ghirri provocando questo cortocircuito visivo suggeriva la sua visione di una realtà ormai compromessa con la finzione, questo senza rifugiarsi nell’emozione del colore, nell’uso ripetuto e stucchevole dello stile, cercando soltanto di instaurare nuovi rapporti dialettici con il mondo.Fotografare la realtà è prima di tutto uno strumento di comprensione, Girola utilizza la fotografia in questi termini, riflettendo sulle modificazioni dell’immagine e della realtà che riproduce, condizione quanto mai frequente nella società contemporanea. L’artista provoca degli “incidenti”, delle distorsioni, scaturite dall’esigenza di rendere visibile l’incertezza della realtà. Per fare questo ha scelto di realizzare fotografie di persone che si affacciano, dandoci le spalle, a un mondo scomposto in pixel. Lo fa accostando parti della stessa immagine, acquisita dallo scanner in risoluzioni differenti, e utilizzando l’interpolazione “vicina più prossima”. Da qui nasce il titolo della serie. Questo semplice truc-co sembra rompere l’incantesimo illusorio che la fotografia solitamente provoca, la sovrapposizione delle due parti svela la trama dell’immagine digitale, ne rivela la composizione, ma anche il suo possibile decadimento, abbattendo così quel sottile confine fra realtà e finzione che sempre più caratterizza il nostro tempo.

Nato a Milano nel 1983, diplomato in pittura e fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Esplora le logiche percettive attraverso l’immagine fotografica, il video, la scrittura, spesso servendosi delle incertezze e delle magie custodite nei linguaggi stessi.

Vicini più prossimi (London), 2009, stampa fotografica, cm 40x60

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«In fondo che cos’è la vita?», si chiedeva Andy Warhol, «ti ammali e muori, tutto lì. Perciò devi sempre tenerti occupa-to». E’ l’unico modo per non pensarci. Anche se in realtà è innaturale non pensare alla morte una volta ogni tanto. Non c’è niente di più innaturale, perché la morte è l’unica cosa certa della vita. Mi viene da dire che è così naturale che lo capisce pure un bambino. E sì, è qui che volevo arrivare, all’infanzia, alla bellissima e spensierata infanzia. Quando si è ancora troppo piccoli per dover capire, ma abbastanza grandi per poter riflettere incondizionatamente su ciò che ti succede intorno. Solo un bambino di una manciata d’anni può affrontare certi argomenti senza pensare di dire cose a sproposito. Noi “grandi”, quando pensiamo alla morte pensiamo a quella degli altri, mai alla nostra. Ognuno di noi al sol pensiero di una propria imminente dipartita, seppure per scherzo, correrebbe immediatamente ai ripari abban-donandosi a scaramantici quanto primordiali scongiuri. I bambini no, non conoscono ancora queste bizzarre usanze imposte dalla società. Possono affrontare forti emozioni metabolizzandole nel gioco.E’ su questo argomento che si è focalizzata l’attenzione di maicol&mirco, scaltri testimoni di un mondo ancora tutto da scoprire: quello dell’infanzia. La loro, una fanciullezza come quella di tutti noi, fatta di fumetti e cartoni animati, inseparabili compagni di sogni autoreferenziali, indagano, senza denuncia, sui problemi più scomodi e sottilmente impercettibili della nostra società. Recentemente, nell’universo in continua espansione di maicol&mirco, il segno è andato progressivamente semplificandosi rispetto al passato, soprattutto nei personaggi, per complicarsi invece nelle atmosfere e nei paesaggi. L’intento ultimo pare quello di spostare l’attenzione dai protagonisti al mondo che abitano.

Nati su questo pianeta e subito emigrati nel loro cervello. Autodidatti come dei puma, crea-no un universo molto più plausibile del nostro raccontando la vita attraverso la morte (e non la morte attraverso la vita). “Fumetti profondi e vuoti. Un burrone”.

> MAICOL&MIRCO

Universo Y, 2012, pennarello e retini su carta usomano, cm 180x45

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L’installazione proposta da Sabrina Muzi è composta da un grande monile realizzato con elementi provenienti dal mondo marino, come scarti alimentari e materiali trovati sul bagnasciuga: ossi di seppia, lische di pesce, legnetti con-sumati dal mare, gusci di alcuni molluschi. Questa opera prosegue la sua più attuale ricerca caratterizzata dall’utilizzo di elementi organici, in questo caso rafforzata da un intervento site specific direttamente ispirato a San Benedetto del Tronto, città natale dell’artista e della manifestazione che la ospita. La ritualità che spesso contraddistingue il lavoro di Muzi qui assume una valenza quasi magica, accentuata dalla forma circolare della collana. In certe culture arcaiche erano gli stregoni a indossare monili di ossa e pietre dure in occasione dei rituali più importanti. Se ci pensiamo an-cora oggi si attribuiscono speciali virtù ad alcuni oggetti. Si indossano i gioielli come portafortuna, per affermare un certo grado di potere, oppure per mostrare la propria posizione sociale.Muzi sembra interessata a collegare il mondo arcaico con la cultura contemporanea, quest’ultima è infatti il risultato di un’evoluzione di conoscenze antiche, spesso legate a superstizioni e a forze incontrollabili dal raziocinio. Nono-stante gli enormi progressi scientifici degli ultimi secoli, queste energie persistono, riaffiorano per ricordarci qualcosa, suggeriscono l’impossibilità di una profonda conoscenza delle forze nascoste che regolano la natura. All’artista piace pensare a questo grande monile, installato al centro dello spazio espositivo, come una sorta di reperto archeologi-co da interrogare per ricavarne interessanti informazioni sul presente. Anche i materiali utilizzati hanno un valore simbolico, per esempio il pesce è sempre stato simbolo di abbondanza, non è un caso che ancora oggi si trovino in commercio ciondoli con questa forma. Il nuovo lavoro di Muzi intende indagare anche i misteri e le paure inconsce legate al mondo marino, attraverso i rifiuti naturali che il mare produce, piuttosto che mediante gli scarti provocati dal consumo alimentare.

Nata a San Benedetto del Tronto nel 1964, vive e lavora a Bologna. Realizza installazioni, video, fotografie, performance. Il suo lavoro è stato esposto in personali, collettive e festival in Italia e all’estero.

> SABRINA MUZI

Monile, 2012, installazione, materiali vari

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Prodotto appositamente per l’occasione, questo disegno di Maria Lucrezia Schiavarelli è realizzato su materiale plastico, dall’aspetto leggermente lattiginoso e semi-trasparente, studiato dall’artista per rimandare alla nitidezza dell’occhio. L’opera aderisce al muro come una sorta di pelle lasciando intravedere la parete retrostante. E’ come se Schiavarelli avesse immaginato di fare la radiografia di un lavoro precedente, riportandolo alla sua forma più sempli-ce ed essenziale. L’opera di partenza, sempre intitolata Medesimi rapporti, è stata realizzata l’anno precedente come partecipazione al Premio San Fedele. In quell’occasione l’artista aveva disegnato a matita direttamente sulla parete dello spazio espositivo. L’opera attuale ne è la diretta conseguenza come testimonia l’inversione dei colori rispetto all’originale.Nel suo complesso il progetto nasce da una riflessione dell’artista su alcune forme e simboli che da sempre accom-pagnano l’evoluzione del pensiero religioso, filosofico e scientifico. L’artista ha sovrapposto e rielaborato il disegno di due mappe che ricordano nella loro composizione antichi disegni Maya e Aztechi come la suddivisione dei calendari circolari piuttosto che la struttura di uno dei tanti rosoni presenti nelle chiese cristiane. La prima mappa corrisponde alla carta delle costellazioni visibili dall’emisfero boreale alle medie latitudini, la seconda alla topografia iridea elabo-rata nella prima metà del Novecento da Siegfried Rizzi. La sua mappa, dividendo l’occhio in zone corrispondenti ai diversi organi del corpo umano, permette di individuare attraverso una lettura cromatica e morfologica dell’iride una malattia in atto oppure la tendenza a contrarre particolari disturbi. Entrambe le mappe hanno forma circolare, simbo-lo dell’armonia, dell’infinito, dello spirito, come del divino, ma in questo caso la rappresentazione grafica dell’occhio rimanda più che all’essenza spirituale dell’uomo, al suo essere terreno e biologico. La sintesi grafica di tutti questi elementi apre una continua eco tra elementi opposti creando un nuovo ambivalente sistema di coordinate: occhio-stelle, terra-cielo, corpo-anima, salute-malattia, micro-macro.

Nata a Santeramo in Colle nel 1979, si diploma nel 2004 all’Accademia di Belle Arti di Bolo-gna, dopo studi scientifici. Vince diversi premi ed espone in mostre personali e collettive in Italia e all’estero, nel 2011 partecipa alla Biennale di Praga.

> MARIA LUCREZIA SCHIAVARELLI

Medesimi Rapporti, 2012, Installazione matite su PVC e nastro adesivo in carta, cm 200x200

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Il ritratto femminile viene affrontato in questo lavoro di Matilde Soligno mediante una stretta vicinanza con il sog-getto fotografato. L’artista rompe le regole dell’estetica classica scegliendo di mostrare tutti i segni del tempo delle donne ritratte. Le peculiarità dei singoli volti, ripresi da vicino, perdono una precisa connotazione spazio-temporale, caratteristica alimentata ulteriormente dalle scelte tecniche di cui Soligno si serve per la realizzazione delle immagi-ni. Ombre sgranate contrastano con zone di estrema definizione, che suggeriscono una paradossale dimensione di realtà e presenza nonostante la post-produzione digitale compiuta sulle fotografie. Si scorge anche una certa vici-nanza stilistica alla ritrattistica pittorica di epoche passate, con intenzioni di analisi introspettive più che strettamente formali.L’artista sembra che voglia condurci anche ad una riflessione sul potere della fotografia, sulla capacità del mezzo di restituire una impronta della realtà e la sua conservazione nel tempo, funzione che il mezzo utilizzato svolge ancora egregiamente pur minacciato dall’utilizzo a volte improprio delle immagini. L’obiettivo di Soligno è quello di avvici-narsi quanto basta alla persona per carpire le informazioni necessarie, per farlo è necessario “raggiungere la distanza”, quella giusta, solo così dall’atto performativo della ripresa possono scaturire sentimenti intensi, a volte contraddit-tori: all’attrazione si contrappone l’imbarazzo, alla complicità l’indiscrezione. La situazione di grande intimità provo-cata dall’avvicinamento della camera al volto delle donne, sembra riscattare l’aspetto relazionale del gesto creativo, apprezzando i risultati ottenuti dai tempi di posa più lunghi imposti da un atteggiamento riflessivo. In questo modo Soligno prende le distanze da certe fotografie anaffettive e frettolose favorite dall’odierna industria dell’immagine.

Nata a Bologna nel 1980, è un’artista che si occupa prevalentemente di fotografia e di cultura dell’immagine. Dal 2011 è co-fondatrice del progetto collettivo Vênus et Milö, attraverso cui realizza opere installative multimediali.

> MATILDE SOLIGNO

Reaching the Distance No. 02 (Antoinette), 2010, Stampa inkjet ai pigmenti, cm 50x60

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L’aspetto che più incuriosisce dei cosiddetti new media consiste paradossalmente nella valorizzazione di aspetti tutt’altro che nuovi, che la migliore arte del Novecento ha cercato disperatamente di dimostrare con i mezzi a propria disposizione. Uno dei più evidenti riguarda l’atto performativo della scelta, che l’artista può compiere indiscrimina-tamente nei confronti di oggetti o immagini preesistenti nella realtà. Si pensi ai collage di Picasso, ai ready made di Duchamp, i prelievi stilistici di De Chirico, fino all’ingrandimento e alla moltiplicazione applicati da Warhol alle foto-grafie reperite sui grandi magazine.Il web non fa altro che potenziare questa possibilità d’azione già intrapresa da molti artisti del passato, mettendo a disposizione una serie di strumenti capaci di prelevare con grande facilità quanto i media hanno registrato nel corso del tempo. Questo atteggiamento è ormai condiviso da tutti coloro che hanno anche solo una minima confidenza con siti internet e motori di ricerca, soltanto l’artista è però in grado di elevare la banalità di un’azione quotidiana in prodotto intellettuale, offrendoci una conoscenza approfondita del nuovo mezzo.Carloalberto Treccani dimostra come l’iniziale allarmismo sulla violazione della privacy provocato dalla diffusione dell’applicazione “Google Street View”, sia stato arginato dalla partecipazione performativa degli utenti di tutto il mondo. Le persone ritratte nelle opere dell’artista non sono in soggezione davanti all’obiettivo di Google, anzi, par-tecipano con piacere allo spettacolo collettivo, con la certezza di ritrovare la propria immagine “postata” su internet. Pur partendo da immagini reperite online, e dunque “navigabili”, le opere di Treccani si presentano in sede espositiva con la staticità delle tradizionali fotografie. L’interazione esperita sul web è temporaneamente “congelata” per offrire una possibilità di uscita dal mondo virtuale, restituendo alle immagini una fruizione più reale.

Nato a Iseo nel 1984, la sua attenzione è rivolta in modo particolare al rapporto tra società e nuove tecnologie, schermi di computer e telefoni con i quali oggi la società si confronta quotidianamente, ai quali affida tutte le informazioni e ne chiede altrettante.

> CARLOALBERTO TRECCANI

Google street view#2USA, 2009, Stampa fotografica, cm 30x50

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> RITA VITALI ROSATI

Le opere presentate in questa occasione da Rita Vitali Rosati corrispondono alla continuazione dei precedenti lavori Metastasi e Passionflower, risultato di una riflessione personale dell’artista sulla routine delle immagini legate alla sofferenza e al distacco. Dai fiori, resi fatalmente putrescenti dall’incedere del tempo, alla contaminazione; dalla do-lorosa necessità della vita, all’accumulo di elementi vegetali e altri simboli. Vitali Rosati sembra rapire con lo sguardo brevi minuti di speranza che, come per incanto, guardando i fiori in still life, lasciano intravedere al tempo stesso leggerezza e profondità. Il titolo di questa nuova serie è lungo e articolato, Varney il vampiro è un romanzo horror ap-parentemente d’appendice: è declinata ogni comune idea di malattia.Il riferimento va allo scritto di James Malcolm Rymer uscito per la prima volta in forma di opuscolo nel 1845 e pub-blicato in un volume di 868 pagine nel 1847. Varney ha il merito di aver cristallizzato alcuni dei capisaldi dell’imma-ginario vampiresco, destinato ad approdare quasi intatto fino ai nostri giorni: uomo magro, alto, pallido con i denti appuntiti. I vampiri dello schermo hanno quasi sempre offerto un’immagine analoga. Quelli di Vitali Rosati sono invece differenti, non mostrano il volto, ma esibiscono un fiore senza vita, prosciugato dalla linfa che normalmente lo nutre. Qualcosa fa presagire una malattia, ma non una comune. Le immagini che compongono la serie, private del nero colore in seguito a manipolazioni digitali, mostrano cinque giovani chiusi in un contaminato pallore che riman-gono in vita come fiori consunti e decadenti, ma belli. L’usura dei corpi e l’alterazione cromatica rende le immagini evanescenti, ma al tempo stesso concrete nel loro riflettere sulla serialità delle emozioni, del dolore, del sacrificio, dell’infinita umana tristezza. L’artista ha voluto accentuare il senso di bellezza legato alla natura del genere umano, diviso fra tragedia e felicità.

Nata a Milano nel 1949, dal 1981 vive e lavora a Fabriano. Dopo diverse esperienze come grafica pubblicitaria ed assistente al montaggio tra Milano, Roma, Como e Pescara, parteci-pa a importanti esposizioni. Con sguardo visionario e irriverenza l’artista mescola linguaggi provenienti dagli ambiti più disparati.

Varney il vampiro è un romanzo horror apparentemente d’appendice: è declinata ogni comune idea di malattia, stampa fotografica su dibond, cm 180x120

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La fotografia non è «mai uguale a quello che si vede» dice Felix Winter protagonista del film Alice nelle città di Wim Wenders . Il confronto tra foto e realtà può essere deludente, nella misura in cui l’immagine non coincide con la visio-ne diretta del mondo. Ma questo mancato riscontro riserva anche interessanti sorprese, specie quando la fotografia è in grado di trasfigurare il reale portandolo in una dimensione introspettiva. Patrizia Zelano, nella serie In carne e ossa, sfrutta le caratteristiche illusorie del mezzo fotografico restituendo classicità a un soggetto la cui visione diret-ta risulterebbe sgradevole. Uno stabilimento atto alla raccolta di animali morti e post-macellazione, un paesaggio inquietante che provoca repulsione in una relazione frontale. Grazie alla mediazione dell’apparecchio fotografico questo soggetto viene nobilitato, aprendo ad altre suggestioni: si riconoscono per esempio atmosfere seicentesche alle quali ci ha abituato certa pittura. Lo sguardo ravvicinato di Zelano è in grado inoltre di rintracciare texture na-turali nell’accumulo di organi in via di decomposizione, la realtà non è modificata, si presenta soltanto carica di un rinnovato fascino.Se da un lato è apprezzabile il gusto classico per la forma e l’abile gioco chiaroscurale, dall’altro persiste la difficoltà nell’accettare visivamente la morte, fra i pochi tabù ancora esistenti nella società contemporanea. Sono molti tuttavia gli elementi che riallacciano direttamente il tema della morte alla fotografia. E’ stato forse Roland Barthes il primo a sottolineare questo legame, parlando di quella «cosa vagamente spaventosa che c’è in ogni fotografia: il ritorno del morto». Nelle opere di Zelano però questo tema prende una direzione differente, diviene piuttosto metafora della fragilità della vita, una riflessione che parte dalla documentazione della realtà per mostrare un dolore interiore. Un messaggio che fa riflettere sull’uomo, predisposto a celare i misfatti per accrescere il proprio benessere, ormai in pre-da a un agire senza una guida, privo di etica.

Nata nel 1964 a Brescia, si distingue per la sua ricerca artistica di forte impatto introspettivo, dopo aver vinto premi nazionali ed internazionali, espone in prestigiose mostre personali e collettive in Italia e all’estero.

> PATRIZIA ZELANO

In Carne ed Ossa #3, 2008, Stampa Giclée, cm 60x90

ph. © Maria Pia Pianori

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ADOTTANTI

MASSIMILIANO BARTOLOMEI

MASSIMO REBECCHI

GAETANO LOFRANO

NOTAIO

OP. CULTURALE

IMPRENDITORE

STILISTA

IMPRENDITORE

Titolare dell’omonimo studio notarile.Via Dante Alighieri, 1- Grottammare (AP)

SERGIO LENHARDY

Amministratore della Modatrading International.Via Montecristallo, 26 - San Benedetto del Tronto (AP)

via Dante, 34 Latronico (PZ)

LINO ROSETTI

Stilista e titolare della casa di moda Massimo Rebecchi.Vl. Ceccarini - Riccione (RN)

Presidente dell'Associazione Arte Pollino

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ANTONIO MARRAS

GIUSEPPE COMPARE

COMMERCIALISTA

PSICOLOGO

GIORNALISTA

GALLERISTA

SILVIO PULCINITitolare dell’omonimo studio di consulenza aziendale.Via Monte Cristallo, 26 San Benedetto del Tronto (AP)

FRANCESCO LIBERATI

FEDERICA MARIANI

Giornalista, storica dell’arte.www.federicamariani.it

GIUSEPPE COMPARETitolare della galleria Il ritrovo di Rob ShazarVia Generale Armando Diaz, 26 - Sant'Agata De' Goti (BN)

ADOTTANTI

OP. CULTURALE

STEVEN MUSIC – PREMIO CELESTE

Network online per artisti e professionisti dell'arte contemporaneawww.premioceleste.it

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LUOGO/IDENTITÀ

Il titolo di questa sezione prende le mosse dallo spazio che ci ospita, ovvero il corridoio di ingresso alle sale di un cinema/palacongressi, o, come lo descriverebbe il sociologo polacco Baumann, un non-luogo: ”uno spazio privo delle espressioni simboliche di identità, relazioni e sto-ria: esempi tali di ‘non luoghi’ sono gli aeroporti, le autostrade, le anonime stanze d’albergo, i mezzi pubblici di trasporto […]. Mai prima d’oggi nella storia del mondo i non luoghi hanno occupato tanto spazio”. (Z. Bauman, Modernità liquida, 2002). Un spazio frequentato da varia umanità affret-tata, caratterizzato unicamente da qualche cartello direzionale, dalla segnaletica di soccorso certamente d’obbligo e da un distributore auto-matico di bevande monodose; pareti bianche, linee curve su cui l’occhio scivola e nessuno si sofferma. Qui l’architettura, priva di qualsiasi iden-tità, definisce soltanto una funzione di transito e l’opera d’arte, innesto forzato in un (non-) luogo cui non appartiene, genera appunto quelle “espressioni simboliche di identità, relazioni e storia” che ne mutano valo-re e significato. Le opere selezionate hanno lo scopo non soltanto di tra-sformare questo ambiente in un luogo, ma vogliono a loro volta porre degli interrogativi, essere capite nel loro funzionamento ed espandere il loro messaggio.

Critico d’arte e curatore indipendente. Nato a Bulach, Svizzera, nel 1977 svol-ge la sua attività ponendo particolare attenzione alla promozione delle nuove generazioni di artisti ed alle nuove forme espressive. Accanto a questo svolge un’attività di diffusione dell’estetica contemporanea quale importante valore sociale e di sviluppo attraverso partecipazioni, conferenze ed esposizioni (rea-lizzate spesso in spazi non canonici), che hanno l’obiettivo di avvicinare il gran-de pubblico ad un settore della cultura troppo spesso considerato di nicchia. E’ stato citato nella classifica Top 100 dei critici Italiani pubblicata da Flash Art nel 2007. I suoi contributi sono apparsi in alcune note riviste di settore quali Exibart, Segno, ArteContemporanea.

> STEFANO VERRI curatore

photo: Patrizia Lo Conte

Milena Becci ricerca bio-bibliografica, logistica ed allestimento.

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CRISTIANO BERTI

LUIGI CARBONI

GIGI CIFALI

PAOLO CONSORTI

ROCCO DUBBINI

M. MERCURI - M. BERNACCHIA

FILIPPO MINELLI

GIUSEPPE RESTANO

GIOVANNI TERMINI

LIDIA TROPEA

> artisti

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I suoi lavori sono frutto di uno studio approfondito dell’essere umano, delle sue abitudini, dei suoi comportamenti. Berti si interessa dell’umanità ed usa l’arte per descriverla, senza alcuno sconto, mettendone in mostra bellezze, brutture e contraddizioni. Le opere sono macchine perfette, che rapiscono lo spettatore rendendolo protagonista di un processo di apprendimento e conoscenza. Così oggetti di uso comune, situazioni familiari, elementi deconte-stualizzati dalla quotidianità, lentamente svelano significati nuovi raccontando storie spesso sconosciute o troppo presto dimenticate. La bellezza estetica di un oggetto, di una fotografia o di un’installazione sono elementi secondari; ciò che conta veramente è la capacità evocativa che questi hanno su di noi nel momento in cui ne comprendiamo il funzionamento.In questo contesto si inserisce Universal Embassy (2006), il lavoro che in un certo senso incarna i temi portanti di que-sta mostra. Tre fotografie, tre ambasciate somale, con storie diverse ma destini comuni, accompagnate da tre testi che raccontano nei dettagli le vicende legate a ciascuna struttura, diventano un momento di riflessione sul concetto di appartenenza ed identità nazionale. Londra e Roma, due palazzine fine ottocento, borghesi, anonime, furono sede della rappresentanza consolare dello Stato somalo, uno stato che a partire dal 1991 fu coinvolto in una sanguinosa guerra civile che pregiudicò l’esistenza stessa del governo. Le Ambasciate si trovarono quindi senza uno stato da rappresentare e senza legazioni che le presidiassero e, cadute in rovina, diventarono spesso rifugio per clandestini e persone senza fissa dimora. L’Ambasciata di Roma divenne tristemente nota nel 2011 per uno stupro di gruppo che si consumò al suo interno, finché non fu sgomberata e le porte murate. Se le prime due rappresentano Ambasciate aperte in paesi che in passato colonizzarono la Somalia, la terza fotografia ritrae invece la sede dell’Ambasciata soma-la a Bruxelles, che nel 2001 fu occupata da un gruppo di stranieri non in regola con i permessi di soggiorno che fon-darono L’Ambassade Universelle, l’Ambasciata Universale che dà il titolo all’intero progetto. L’edificio diventò quindi residenza per i sans-papiers che in questo modo poterono attivare le pratiche per la loro regolarizzazione.

(Torino, 1967)Dal 1987 inizia a lavorare come pittore e scultore. Poco dopo la sua prima mostra alla Galleria Carbone di Torino abbandona la pittura per riscoprire altri mezzi espressivi come la fotogra-fia e l’installazione e condurci nella triste crudezza del reale.

> CRISTIANO BERTI

Universal Embassy. Bruxelles ,2006, Lambda print, 90 x 120 cm

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Una grande raffinatezza pervade tutto il lavoro di Luigi Carboni. Un segno elegante e calibrato, i colori morbidi, rendono ogni pittura un ambiente confortevole su cui far indugiare lo sguardo. Ogni quadro è frutto di un lavoro paziente, un ricamo di elementi animali e vegetali che solo la maestria di chi è avvezzo e conosce profondamente la pratica della pittura può eseguire. Una pittura certamente decorativa, ma allo stesso tempo sottilmente pesata, in cui ogni elemento dialoga con l’altro in un’atmosfera sognante e concettualmente stringente, in cui nulla scade mai nel troppo ma al contrario tende quasi, chiudendo un ossimoro, ad un minimalismo disarmante. Grandi tele in cui ogni segno spinge verso la terza dimensione, dove gli elementi applicati tradiscono l’urgenza del pittore di invaderla fin quando, essi stessi, siano oggetti appoggiati alle mensole del quadro o corde tirate come linee di meridiano su una mappa, assecondando le vocazioni insite nei primi lavori dell’artista, escono, sfondano la bidimensionalità di una tela e diventando sculture, si appropriano definitivamente dello spazio circostante. L’opera presente in mostra appartiene alla serie delle Mappe, in cui complicati reticoli a rilievo su fondi pressoché monocromi disegnano i contorni di un planisfero in continua evoluzione. Qui Carboni, come un antico geografo, disegna i contorni politici di un pianeta malato di potere, cercando di fissare un qualcosa che in realtà è in continuo ed inarrestabile mutamento. Qui il senso decorativo dell’artista diventa una moderna alchimia che restituisce alla natura l’opera dell’uomo; ecco che compare la forza incontrollata dei vortici e l’inaspettato elemento biologico, le api quasi schiacciate dal vetrino di un entomologo. Ecco che la pratica della pittura, apparentemente distaccata, invece si interessa profondamente del mondo che ci circonda.

(Pesaro 1957) Tra gli artisti più interessanti della sua generazione, partecipa a numerose esposizioni, nazio-nali ed internazionali, come quella alla Jack Shainman Gallery di New York. Dagli anni ’80 le sue tele si presentano con sembianze proprie della scultura.

> LUIGI CARBONI

La finzione della forma, 2005-2006, acrilico su tela, ferro dipinto, corde, cm 250x200

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La fotografia, per sua intrinseca natura è testimone della realtà, è il racconto istantaneo di un dato oggettivo, di un momento e di un luogo precisamente definiti nel tempo e nello spazio, estratti meccanicamente da essi per essere eternalizzati. Nel tempo breve di uno scatto un luogo fisico si trasforma in luogo della memoria.In questo contesto si inseriscono il lavoro e la ricerca di Gigi Cifali, artista italiano che ormai da lungo tempo risiede in Gran Bretagna, una ricerca che si esprime attraverso lunghe serie fotografiche, racconti in divenire di cambiamenti, di mutazioni, di trasformazioni in cui l’attitudine fortemente poetica dell’artista fa rivivere un certo gusto pittoricistico che, se da una parte ha un sapore d’altri tempi, dall’altra genera emozioni e coinvolge lo spettatore in un gioco di rimandi e di prese di coscienza fortemente attuale.Inquadrature perfette, colori calibrati rimandano la mente alla pittura di paesaggio che, tra il Seicento e l’Ottocento, da rappresentazione dell’idillio arcadico e pastorale, diventa manifestazione della potenza della Natura. Così guar-dando New Vesuvian landscapes (Nuovi paesaggi del Vesuvio, 2011), una serie di paesaggi alle pendici del Vesuvio, è impossibile non pensare alla delicatezza del paesaggismo classico francese e contemporaneamente alla grandiosità ed alla potenza dei romantici tedeschi ed alla raffinatezza dell’italiana Scuola di Posillipo. Qui il paesaggio vesuviano, noto al mondo da secoli per la sua bellezza, viene rappresentato come in un tondo pittorico devastato dalle brutture dell’abusivismo edilizio.In Absence of Water (l’Assenza dell’Acqua), Cifali si concentra invece sulle piscine storiche inglesi. I colori freddi ed i ta-gli perfetti danno risalto alle architetture tardo vittoriane finemente elaborate, in cui il gusto primi Novecento segna l’estetica di un luogo di cura, ma anche di divertimento e a volte d’affari. Grandi piscine pubbliche che, all’apice del successo negli anni Trenta, diventano vittima di un graduale abbandono e conseguente degrado per essere poi spes-so svuotate, chiuse o demolite a causa degli insostenibili costi di gestione. L’artista documenta nell’assenza dell’ac-qua dalle piscine vuote la morte di una struttura che perde la sua funzione. Monumentali fantasmi, privi di identità, spesso bellissimi, sono oggi abbandonati, vestigia dei fasti del passato.

(Torre del Greco, 1975)L’artista, di origine napoletana, vive e lavora a Londra. Tra il 2004/2006 frequenta l’Università di Westminster e consegue il Master di photogiornalismo. Le sue opere sono state esposte nel Regno Unito e all’estero e pubblicate in numerose riviste quali il Watch Magazine.

> GIGI CIFALI

Uxbridge Lido, 2008 c-type on Epson semigloss paper 60x60 cm special editionCortesy, Il ritrovo di Rob Shazar, Sant’Agata De’ Goti (BN)

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Le opere di Paolo Consorti sono la fusione di linguaggi artistici differenti che si muovono dalla pittura alla performan-ce alla fotografia, che, combinati, danno luogo ad effetti di straordinaria intensità. Nel suo lavoro riecheggia la grande tradizione della pittura italiana, quella capacità tutta nostra di creare orchestrazioni di enorme complessità, dove i grandi non scadono mai nella ricerca pura dell’effetto e dello stupore fine a se stesso, ma conservano sempre un rigo-re compositivo che accende l’opera di significati. I temi stessi affrontati negli anni da Consorti tendono alla rilettura contemporanea dei miti, siano essi cristiani o pagani, sacri o secolari, cercando di attualizzarne i significati, spesso con grande ironia. Un recupero della tradizione che crea un’intelligente contraddizione con le tecniche di cui si serve, un modo, anche questo, di parlare ai più secondo un linguaggio figurativo, che, apparentemente semplice, rapisce lo spettatore in un vortice di colori e forme, per poi scatenare un meccanismo di riflessione ed approfondimento. In questo contesto si inserisce la serie Rebellio Patroni (2011), di cui il San Benedetto qui presente è parte. La serie, pro-posta per la prima volta in occasione delle celebrazioni per i Centocinquant’ anni dell’Unità d’Italia, diventa un lavoro di memoria collettiva di straordinario impatto. Una semplificazione popolare di un’ iscrizione del periodo fascista sul Palazzo della Civiltà del Lavoro a Roma, vuole l’Italia “popolo di santi, poeti e navigatori”; così, fuori dal luogo comu-ne, Paolo Consorti rende i Santi, testimoni di una devozione popolare che perdura nei secoli, simbolo di una radice condivisa e dell’unità di un popolo. L’impianto è quello tipico dell’iconografia popolare dove il miracolo, gli strumenti del martirio o l’estasi, diventano l’elemento cardine della rappresentazione, ma l’artista rilegge questi elementi attua-lizzandoli alla più stretta contemporaneità.Il San Benedetto rappresenta un omaggio alla sua Città ed al luogo della mostra. Un’edicola, un’effige per la devo-zione veloce e fugace come quelle che spuntano numerose agli angoli delle strade anticamente frequentante dai pellegrini, viene contornata di conchiglie come a ricordare la vocazione marittima della Città, mentre il Santo, come l’iconografia richiede, in abito da soldato romano, sta compiendo un miracolo.

(San Benedetto del Tronto, 1964)Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Macerata ed alcune importanti collaborazioni cinematografiche, nel ’91 esordisce con la sua prima mostra personale al Palazzo Ducale di Urbino; da allora le sue opere sono esposte in Italia e nel mondo.

> PAOLO CONSORTI

“San Benedetto e il piccolo naufrago”, 2011, pittura – inkjet- collage su tavola, cm 55 x 65

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Quello che colpisce nel lavoro di Rocco Dubbini è la grande prolificità e la straordinaria capacità di rinnovarsi ad ogni progetto, conservando, da una parte una straordinaria freschezza espressiva, dall’altra un rigore concettuale che disegna una linea che attraversa più di dieci anni di lavoro. Nessuna sua opera sembra mai invecchiare o essere su-perata; ogni progetto una volta licenziato è perfetto e così rimane. Dubbini esprime lo spirito della contemporaneità con le sue profonde contraddizioni e lo fa in maniera leggera ed ironica, affrontando temi universalmente validi che si declinano sulla particolarità delle differenti identità su cui lavorano. L’artista mette in tensione un concetto base e lo incastra in uno straordinario gioco di equilibri in cui ogni elemento funziona come il meccanismo di un orologio di precisione. Simulacri di burro plasmati dalle necessità della storia che si ripete, dopo il carosello tutti a nanna ecc.. (2010), allestita per la prima volta al CIAC di Genazzano, poi alla Galleria Nazionale di Cosenza ed infine nel Complesso del Vittoriano a Roma, viene qui riproposta in un ambiente quasi ideale, un cinema multisala, simbolo in questo caso di consumismo intellettuale. Il lavoro gioca sul concetto di memoria collettiva e, commissionato dall’ex - Ente Comunale di Consumo, che dal primo dopoguerra aveva il compito di calmierare i prezzi dei prodotti di prima necessità, riporta la mente agli anni ‘50 e ‘60, il momento del boom economico in cui gli elettrodomestici cominciano ad entrare nelle case ed in cui il cinema stesso inizia ad essere bene di consumo. Così nel burro, genere di prima necessità per eccellenza, Dubbini scolpisce i volti dei personaggi che hanno segnato un’epoca di profonda trasformazione sociale: Pierpaolo Pasolini, Giuseppe Saragat e Anna Magnani. Un uomo po-litico, un intellettuale ed una diva del cinema che ancora oggi incarnano perfettamente quel periodo storico sono contenuti in altrettanti frigoriferi di quegli anni, simbolo di un benessere che allora si comprava a rate. Tre personaggi che oggi diventano cibo per menti troppo spesso offuscate dall’aver dimenticato le proprie radici.

(Ancona, 1969)Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Urbino, sviluppa sin da subito un interesse per la materia e le sue potenzialità espressive. Oggi vive e lavora a Roma. Si avvale di differenti medium espressivi tra cui il disegno, il video e l’installazione.

> ROCCO DUBBINI

Simulacri di burro plasmati dalle necessità della storia che si ripete, dopo il carosello tutti a nanna ecc.., 2010, Frigoriferi anni 50/60 prodotti in Italia su tecnologia americana, plastilina al burro, dimensioni variabili

Courtesy: CIAC - fotografie di Giovanni De Angelis

Photo: Giovanni De Angelis

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Ciò che accomuna questi due artisti è la forte dimensione concettuale che pervade i loro lavori. Entrambi si espri-mono con una grande varietà di media passando dal disegno all’installazione, dalla pittura alla fotografia, dal suono alla performance, utilizzandoli spesso anche in maniera combinata. Un oggetto recuperato lungo la via, una frase letta in un libro, un’immagine rubata durante un viaggio, possono diventare un lavoro carico di una dimensione lirica di straordinaria intensità. I loro lavori partono spesso da una dimensione autobiografica, dal vissuto di ognuno per espandersi ed assurgere ad una dimensione universale. Nulla è casuale ed ogni elemento si combina con l’altro per le sue particolari proprietà intrinseche, una particolarità semantica o iconografica fa scattare un meccanismo che porta all’opera d’arte. De varietate fortunae (2011), presentato qui per la seconda volta dopo il debutto alla Galleria Quattrocentometriqua-dri di Ancona, rappresenta il primo e riuscitissimo esperimento di collaborazione tra i due artisti. Un’installazione che si compone di vari elementi: un video, degli oggetti trovati sulla spiaggia ed una mappa. Il titolo stesso ci fa capire che il tema del lavoro è il viaggio. De Varietate Fortunae è infatti il titolo delle confessioni, raccolte da Gian Francesco Poggio Bracciolini e rilasciate da Niccolò De Conti, mercante viaggiatore che fece da battistrada verso oriente ai più noti Marco Polo e Matteo Ricci. Il viaggio quindi, il viaggio d’artista che non è fuga ma percorso di conoscenza di sé e del mondo, cibo per l’anima, per la mente e per la creatività. Un viaggio che parla di migrazione, di fuga di cervelli, di ricerca di spazi più consoni per l’arte, in cui i due artisti in modo ironico trovano l’America sul Monte Conero, che è in fondo dietro casa. Così la mappa delle nostre coste si duplica e crea spaesamento, mentre dai tronchi trovati sulla spiaggia si sente una babele di voci, simbolo multietnico della nostra società.

(Senigallia, 1979)Nel 2011 partecipa alla 54 Biennale di Venezia-Padiglione Italia Regione Marche. La base del suo lavoro è la natura dell’oggetto che sonda attraverso le sue installazioni ambientali, sempre site-specific.

> MARCO BERNACCHIA

Nord Est Sud Ovest,Courtesy , QUATTROCENTOMETRIQUADRI gallery, via Magenta, 15 - Ancona

(Fabriano, 1965)Vive a San Donato, nell’entroterra fabrianese; nel suo studio raccoglie vari materiali che di-ventano, disorientati, ispirazione per i suoi lavori. Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero.

> MAURIZIO MERCURI

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Le opere di Filippo Minelli sono eco della quotidianità, elementi del vissuto che spogliati della banalità diventano simboli della più stretta contemporaneità. L’artista accende il proprio riflettore su un elemento, lo isola e lo inserisce in un meccanismo che non gli è proprio in modo da offrirne una visuale nuova e completa. A volte per vedere le stelle bisogna spegnere i lampioni, così, a volte, per capirla fino in fondo, è necessario violentare la vera natura delle cose e, mettendole in tensione, valutarle nella loro più intima essenza. Così Minelli crea dei sistemi in cui immagine, parola, suono o silenzio interagiscono coinvolgendo lo spettatore e infrangendo il vetro scuro dell’abitudine e dell’assuefa-zione, permettendo un punto di vista nuovo, diverso, più vero.Lucido ed intelligente, l’artista bresciano si concentra da sempre sulle contraddizioni che affliggono la società con-temporanea ponendo l’accento in modo ironico e garbato sulle brutture del nostro paese, sui conflitti internazionali che ci logorano e sugli orrori di una globalizzazione selvaggia che non tiene conto dell’identità. Le azioni si propagano nello spazio e da un muro anonimo di periferia si estendono alle grandi capitali europee, da un villaggio sperduto in Cambogia o in Cina al muro, questo tristemente noto, che separa Palestina e Israele. Il viaggio stesso diventa azione, motivo di crescita e di conoscenza di sé e del mondo; soggiorni lunghissimi in cui raccoglie materiale, appunti, foto-grafie, che a loro volta ritornano sotto forma di lavoro artistico, questa volta dal sapore fortemente autobiografico.Il rapporto tra immagine e parola è la chiave interpretativa fondamentale di un lavoro prodotto da un artista che nasce come writer e come street-artist; questo accostamento ricorre infatti nella quasi totalità dei suoi progetti. Ed in questo contesto si inserisce Twitter (2010), il lavoro qui esposto, dove il nome del famoso social network campeggia in modo assolutamente geniale sul muro di cinta di un allevamento di tacchini (forse non è superfluo ricordare che to tweet in inglese significa cinguettare). Il lavoro si inserisce nella serie Contraddictions in cui Minelli associa a scritte che ricordano famosi social network, prodotti di tecnologia 2.0 che si basano, per il loro funzionamento, sulla parte-cipazione attiva degli utenti invitati continuamente a generare contenuti, a luoghi del mondo in cui il vero problema sembra essere la sopravvivenza.

(Brescia, 1983)Negli anni ’90 inizia il suo percorso nel graffitismo tradizionale. Dal 2000 l’esigenza di evolve-re la sua arte lo porta a realizzare numerosi interventi urbani sull’onda del movimento Street Art. Oggi la sua opera è internazionalmente riconosciuta.

> FILIPPO MINELLI

Twitter, Contradictions, 2010 stampa lambda 100x150cm Courtesy: Galleria White Project, Piazza Garibaldi, 7 - Pescara

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Una tecnica di straordinaria intensità che affonda a piene mani nella tradizione della grande pittura italiana, è ciò che contraddistingue il lavoro di Giuseppe Restano. Piccole bande di colore, sottili variazioni tonali che conferiscono al dipinto un movimento intrinseco, accostamenti perfetti artefici di una vibrazione che toglie l’opera dalla fissità pro-pria dell’ambiente bidimensionale.I temi sono quelli della memoria, ricordi, spesso d’infanzia, a cui Restano attinge ma che diventano, nella loro sem-plificazione estetica, elementi di una memoria collettiva. Momenti di vita spogliati dei loro caratteri distintivi che mai degradano nella scena di genere, conservano una straordinaria potenza nella loro disarmante semplicità. L’occhio dell’artista si concentra sul particolare, inquadra un elemento e ne estrapola le geometrie. Così oggetti di uso co-mune come un pattìno o la ringhiera di una discesa al mare diventano soggetti di pittura. Un pittura pulita, priva di ogni eccesso, in cui le sottili lamine cromatiche portano il quadro ad un effetto iperreale che non estranea e non crea distanza, ma al contrario accentua una vena emotiva e a tratti malinconica, in cui si percepisce perfettamente il filtro operato dal ricordo.Le ocre calde riempiono le campiture della sabbia, mentre i bianchi ed i turchesi stesi nelle varie intensità modulano le forme. L’oggetto investito da una luce vibrante si estranea dalla sua quotidianità diventando altro da sé.In questo contesto, l’oggetto spoglio della sua funzione perde la propria identità, e privo di relazioni spazio tempo-rali si ritrova in un luogo che concettualmente non gli appartiene diventando un omaggio al mare, protagonista dei ricordi collettivi di una “vita da spiaggia” artefice del benessere economico di una San Benedetto del Tronto nel pieno del suo splendore.

(Grottaglie, 1970)Pugliese, ma ormai di adozione fiorentina, ha partecipato ad alcune tra le più importanti mo-stre dedicate alla pittura italiana. Appartenendo alla generazione che ha visto perfezionarsi la tecnologia, scompone il dato naturale in un’astrazione netta.

> GIUSEPPE RESTANO

Ingresso alla spiaggia, 2003, olio su tela, 160x200 cm Courtesy: Claudio Poleschi Arte Contemporanea Lucca

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Ogni opera d’arte non racconta soltanto la propria storia ma diventa testimone di un’epoca, del contesto sociale e culturale di cui è prodotto. Ogni scelta quindi, dal materiale che la costituisce al tema che affronta, non dovrebbe mai essere casuale. In Termini non lo è; ogni elemento declina un aspetto della contemporaneità. Così l’idea di cantiere, di una tensione in sospeso, pervade ogni suo lavoro che si muove in un raffinato limbo di incertezza. Il metallo, i mate-riali industriali spesso prestati dall’edilizia, oggetti meccanici, vengono decontestualizzati e riassemblati nel tentativo di definire un nuovo modello di scultura contemporanea. Termini, con il suo lavoro, materializza quella sensazione di precarietà che sociologi e filosofi contemporanei descrivono come caratteristica predominante del tempo che vivia-mo, la rende visibile, percepibile al tatto, e lo fa prendendo a prestito dal mondo reale ciò che ogni giorno vediamo in modo distratto, trasponendolo nella dimensione dell’opera d’arte, quella dimensione dove è possibile e oggigiorno necessario, cambiare le regole del gioco.La prima opera in mostra è Pull (2012), video che documenta l’azione creata da Termini nel corso della sua mostra personale presso la Galleria ARTcore di Bari. Una macchina lancia-piattelli sistemata nello spazio lungo e stretto della galleria, nella fase dell’allestimento della mostra, spara i dischi di ceramica lungo le pareti, scalfendole, modificando-le strutturalmente. Così il piattello, oggetto solitamente destinato a soccombere sotto un proiettile, in questo caso muta la sua funzione e diventa soggetto volto alla distruzione. L’artista utilizza la macchina e la parete per tracciare e definire uno spazio secondo una logica che soltanto apparentemente risulta casuale.Momentaneamente aperta (2011) è il titolo ironico che definisce una scultura composta da una struttura in multi-strato ed un vetro leggermente slittato, momentaneamente aperto, appunto, tenuta insieme da una cinghia che le permette di reggersi in equilibrio; all’interno, piccole palline di polistirolo. L’artista lavora, secondo una logica squi-sitamente frattale, sul rapporto contenitore/contenuto, espandendo il campo d’azione dell’opera a tutto lo spazio circostante che diventa contenitore egli stesso della scultura. Le palline hanno una leggerissima carica elettrostatica e di conseguenza continuano ad uscire mentre il pubblico si avvicina e lo seguono appropriandosi dello spazio.

(Assoro, 1972)Vive e lavora a Pesaro. 2006 - “Primo Premio Internazionale Giovani Scultori”, Fondazione Ar-naldo Pomodoro, Milano. 2008 - XV Quadriennale di Roma, Palazzo delle Esposizioni.

> GIOVANNI TERMINI

Momentaneamente aperta, 2010, fasce in nylon, ferro zincato, legno multistrato, vetro e polistirolo, cm 100x200x20Courtesy: Giovanni Termini

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Fotografia, video, installazione e performance, nelle loro combinazioni, diventano per Lidia Tropea i mezzi per rac-contare la propria terra d’origine: la Sicilia. Un racconto che non si perde nella facilità del luogo comune ma che ana-lizza in modo profondo ed intelligente il clima socioculturale di un popolo che storicamente è ed è stato un crocevia di culture differenti. Ogni opera trasuda le emozioni, i colori, i suoni ed i sapori della sua terra.In mostra sono presenti due still dal video Iucannu (2010). Un lavoro evocativo, in cui l’artista dimostra una straordi-naria capacità di astrazione. Il video parla della Sicilia, della bellezza del suo paesaggio e della sua natura, ma tutto è incentrato sul gioco. Il gioco infatti, istinto primordiale volto alla conoscenza, consente ai protagonisti di ritornare ad un atteggiamento semplice, scevro da consuetudini o costrizioni sociali. Questi, liberi di esprimesi anche nella loro fisicità, ritrovano un rapporto vero ed integro con se stessi e con la Natura.Giovani che giocano nudi nel bosco, che corrono sulla spiaggia senza alcun tipo di malizia, ci riportano con leggerez-za ad un tempo quasi arcadico. Costruiscono fionde, tirano con l’arco, fanno ruotare cerchi di legno sulla spiaggia alla ricerca di un divertimento antico che oggi si è perso. Nell’epoca del multimediale sono spogli di tecnologie e nell’epo-ca dell’apparire hanno corpi che sono lontani dall’essere ciò che oggi viene proposto come perfezione: gli uomini non sono modelli dai muscoli ipertrofici e scolpiti e le donne non pretendono di apparire sulla copertina di una rivista patinata. La bellezza è nella semplicità, nell’idea di purezza che questi ragazzi riescono a trasmettere con l’innocenza delle loro azioni. Iucannu è un invito e propone di riscoprirsi oltre ai falsi modelli che oggi la società ci propone.

(Catania, 1974)Vive e lavora a Catania. Segnalata per il “Celeste Prize 2010 (International)”, ha partecipato alla Biennale di Venezia. La sua ricerca si muove dal video, all’espressione corporea, alla foto-grafia, dando voce a emozioni e racconti della sua terra.

> LIDIA TROPEA

Iucannu, 2011, stampa lambda, cm 80x110Courtesy: Galleria White Project, Piazza Garibaldi, 7 - Pescara

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ROBERTO VIDALI

MARIO FELICETTI

FRANCESCO SCARTOZZI

IMPRENDITORE

GIORNALISTA

IMPRENDITORE

IMPRENDITORE

GIORNALISTA

Presidente associazione culturale Seghetti Panichi.Via San Pancrazio, 1 - Castel di Lama (Ascoli Piceno)

STEFANIA SEGHETTI PANICHI

Responsabile Marketing del giornale online RIVIERA OGGIVia Val Gardena, 5 - San Benedetto del Tronto (AP)

Titolare della socetà di impianti di sicurezza NewAlarm System.Via Mare , 60 - S. Benedetto del Tronto (AP)

Direttore della rivista d’arte contemporanea JULIET . Via Belpoggio 13, Trieste

CRISTINA PEROTTI

Titolare del ristorante la Luna e i falò.Via garfagnana, 10 - San benedetto del tronto (AP)

ADOTTANTI

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ADOTTANTI

GIUSEPPE COMPARE

GIORNALISTA

ARCHITETTO

STORICO D’ARTE

CHEF

LUCIA SPADANO

Direttore della rivista d’arte contemporanea SEGNO.Corso Manthonè, 57 - Pescara

RAFFAELA COPPARI

Direttore artistico della galleria QUATTROCENTOMETRIQUADRI.Via Magenta, 15 - Ancona

ELISA MORI

Presidente dell’associazione culturale d’arte VERTICALE D’ARTE.Via Borgo San giuliano, 200 - Macerata

LAMBERTO LANGIOTTITitolare del ristorante Borgo Antico Via S. Lucia, 1 - Grottammare Alta (AP)

OP. CULTURALE

LUCA ALIPRANDI

fondatore del Premio Orahttp://www.premio-ora.it/

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Nato a Cosenza nel 1974. Lavora tra Cosenza e Milano.Dopo il diploma presso l’Accademia di Belle Arti, nel 2004 ha conseguito a Firenze il Master in Organizzazione Eventi Culturali e nel 2005 il Master in Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive - Art Management/Curator presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. In seguito completa il suo percorso formativo presso la GAM Galleria d’Arte Moderna di Bologna, diretta da Gianfranco Maraniello, dove ha collaborato all’organizzazione di diverse mostre, tra le quali “Bologna Contem-poranea”. Negli ultimi anni ha curato diverse mostre e progetti per spazi pubblici e privati, tra le quali: “In Corso D’opera - l’Arte come territorio d’incontro”, Fabbrica del Vapore - Milano; “Identità Multiple - corpi come mappe interiori”, spazio CAMS dell’Università della Calabria; Su Nero Nero, Castello di Rivara,Torino; Su Nero Nero - Over Black black , Galleria Franz Paludetto, Roma; Invasion One (personale di Bianco-Valente e di altri 11 artisti dell’archivio Art Hub), Altomonte CS; Mapping rassegna di Videoarte, Centro Cecilia, Tito PZ. Dal 2008 è corrispondente di FLASH ART - Politi Editore e della rivista JULIET- Art Magazine. Inoltre scrive per SEGNO – rivista internazionale d’arte contemporanea e ha collaborato per la rivista Arte Mondadori. Attualmente si occupa del progetto 2video www.undo.net e dell’archivio di videoarte ArtHub.it (MI) www.arthub.it.

> GIOVANNI VICECONTE curatore

Parlare di videoarte come forma d’espressione nella scena artistica contemporanea, oggi è sempre più attuale e vicino al nostro modo di comunicare. In effetti, negli ultimi anni l’uso di questo linguaggio si è evoluto e diffuso soprattutto tra i giovani artisti, che ormai considerano tale mezzo parte integrante della loro formazione/produzione, poiché assolutamente affine alle modalità comunicative e sociali del nostro vi-vere moderno e in grado di offrire opere in piena tangenza di poetica ed estetica con quelli che sono le proposte degli altri linguaggi visivi. Grazie alle nuove modalità di lavoro, oggi si disegnano sempre nuove possibilità di montaggio digitale, ma soprattutto attraverso il computer sono nate anche nuove problematiche legate alla multimedialità e alla circolarità della comunicazione e del pensiero artistico sul web.

Rispetto al passato la conformazione del messaggio è spesso legata alla manifestazione di una realtà quotidiana che è elaborata dall’artista attraverso uno studio che guarda al linguaggio televisivo del TG o del web-news. Pertanto, il mezzo video non è solo operazione epidermica ma riflessione sul ruolo dell’autore nella società contemporanea, rapporto e confronto fra l’estetica e la tecnica, tra tecnologia e la comunicazione. Il video ha così come obiettivo la documentazione in diretta della realtà, la conservazione della memoria di ciò che è avvenuto e di ciò che è passato, ma anche espressione di riti di massa, della geografia dello spazio, del paesaggio metropolitano, autobiografismi e questioni d’identità e di tempo. Video come “Ritratto”, che mostra una specifica veridicità non solo ricca di nessi, emozioni e fascinazione estetica, ma anche un modo per documentare e contestare un sistema dove l’instabilità, lo scontro, il malessere e la crisi sono sentimenti sempre più vicini e presenti nel clima d’incertezza sociale ed esistenziale del mondo contemporaneo. Questi concetti sono svolti in una continua e persistente ibridazione-contaminazione tra performance, espressione narrativa, linguaggio cinematografico e multimedialità.La rassegna dal titolo PIXEL - La nuova generazione della videoarte italiana, pensata per la II edizione di Marche Cen-tro D’Arte, coinvolge videoartisti tra i più interessanti e rappresentativi del panorama contemporaneo -Filippo Berta, Silvia Camporesi, Cosimo Terlizzi, Daniela De Paulis, Armando Fanelli, Tiziana Contino, Rebecca Agnes, Laurina Pape-rina, Antonio Guiotto, Alessandro Fonte, Devis Venturelli, Matteo Mezzadri, Christian Rainer, Maria Pecchioli, Diego Cibelli, Sabrina Muzi, Diego Zuelli e Luca Matti. La selezione non vuole fissare una strada né si basa su un determinato argomento, costituisce piuttosto una panoramica di quella che è la tendenza di questi nuovi linguaggi e mette in mo-stra diciotto realtà artistiche diverse, che con differenti modi di agire ci mostrano una determinata oggettività narrata tramite uno specifico linguaggio e in base al proprio modo d’esprimersi.

Alcuni dei video in rassegna sono stati selezionati dal curatore dall’archivio arthub.it - Il video di Silvia Camporesi e quello di Sabrina Muzi , fanno parte di VisualContainer - Italian Videoart Distributor, Milano - visualcontener.org

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SILVIA CAMPORESI

COSIMO TERLIZZI

ANTONIO GUIOTTO

FILIPPO BERTA

ARMANDO FANELLI

DIEGO CIBELLI

TIZIANA CONTINO

MARIA PECCHIOLI

DEVIS VENTURELLI

ALESSANDRO FONTE

MATTEO MEZZADRI

DANIELA DE PAULIS

SABRINA MUZI

CHRISTIAN RAINER

DIEGO ZUELLI

REBECCA AGNES

LUCA MATTI

LAURINA PAPERINA

> artisti

La nuova generazione della videoarte italiana

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Secondo vento, 2010 video, 3’45”Il video fa parte di VisualContainer - Italian Videoart Distributor, Milano

Nata nel 1973 a Forlì. Vive e lavora tra Forlì e Bologna. Si è laureata in filosofia presso l’Università di Bologna e oggi è una delle più apprezzate e ori-ginali artiste italiane che privilegiano l’utilizzo del mezzo fotografico e del video. Attraverso l’autorappresentazione, costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Dal 2000 ha esposto in numerose e importanti mostre in Italia e all’estero.

silviacamporesi.it

> SILVIA CAMPORESI

Regina, 2008, 0’1’’, mini dv pal, 4:3

Nato a Bitonto nel 1973. Vive e lavora tra Bologna e la Chaux-de-Fonds (Svizzera). Fotografo, videoartista e performer, ha seguito un percorso di studi artistici parallelamente all’approfondimento dei diversi media usati nell’arte audiovisiva. La sua ricerca privilegia il corpo e ricodifica i linguaggi visivi attinti dall’iconografia simbolica antica e contemporanea. Un’operazione artistica che si caratterizza per l’innovativa speri-mentazione del linguaggio all’interno del quale l’estetica appare come elemento primario del registro compositivo.

cosimoterlizzi.com

> COSIMO TERLIZZI

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SINOSSI:Il secondo vento nelle teorie di Gurdjeff è l’energia più potente che abbiamo a disposizione quando l’energia “nor-male” è esaurita. Il video parla della possibilità di elevarsi spiritualmente partendo dalla bellezza e dall’eleganza delle arti marziali. La performer Shaira Taha, campionessa europea di karate, esegue parti del kata Unsu all’interno di una cella. Attraverso l’azione di gesti precisi la protagonista del video esegue un salto finale che le permette di cogliere l’energia del “secondo vento”, spostando così i propri limiti spazi-temporali. L’audio è una melodia cantata dalla voce dell’artista in una lingua inesistente.

SINOSSI:Regina Irena Radmanovic nasce come opera performativa ed affronta il tema sociale del consumismo nella società contemporanea attraverso la simbologia dell’abito – inteso, non solo come manufatto industriale, ma anche come oggetto socio-culturale. I gesti ammiccanti e sensuali permettono alla performer di costruirsi la propria “regalità” solo con l’uso di involucri derivanti dai prodotti del nostro tempo.Il video ha vinto la menzione della giuria a Videominuto 08, concorso del Museo Pecci di Prato ed è stato selezionato per Video.it 09 di Artegiovane Torino ed esposto alla Fondazione Merz.

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Information, 2010, dvd video, durata: 4’33”, formato: 4:3, audio: monoselezionato dall’archivio arthub.it

Nato a Padova ne1978. Vive e lavora a Padova.Si diploma nel 2006, all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Oltre a fare l’Artista singolarmente, dal 2010 al 2012 ha collaborato al Progetto SUPERFLUO e dal 2012 collabora con Carrozzeria Margot.

antonioguiotto.it

> ANTONIO GUIOTTO

M’ama / Non M’ama, 2011, performance, Careof/Docva Milano, video 2’ 05’’

Nato a Treviglio (Bg) nel 1977. Vive e lavora a Bergamo. Berta analizza le tensioni insite nell’individuo e nella società, esprimendosi con video e per-formance collettive. Vincitore di diversi premi e residenze tra le quali: il Premio Internazio-nale della Performance - Galleria Civica di Trento; residenze d’artista - Fondazione Ratti di Como e Fondazione Spinola Banna per l’Arte TO.

> FILIPPO BERTA

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SINOSSI:C’è come un rumore costante, un sottofondo insistente che non permette la comprensione delle cose, si fatica a scegliere tra giusto e sbagliato, tra ciò che potrebbe essere vero e ciò che potrebbe non esserlo. Il lavoro sottolinea l’incapacità di orientarsi in un contesto dove la comunicazione e gli eventi sono così tanti da soffocare.Ogni volta che acquisiamo un’informazione facciamo chiarezza, ma se le informazioni sono troppe? Se la chiarezza è troppo chiara da accecare?

SINOSSI:Delle persone dispongono in linea dei libri depositati in scaffali, associando a ogni gesto le affermazioni “m’ama” e “non m’ama”, alternandole. La frase M’ama o non m’ama?, che esprime un dubbio e quindi un’insicurezza, contrasta con l’ossessivo tentativo di giungere a un ordine rigoroso e rassicurante. Ne scaturisce una cantilena collettiva, indice di una condizione di instabilità condivisa da tutti e che sembra non avere mai fine.

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REfuSE, 2011, 3:55 - HD Video

Nato Riccia (CB) nel 1978. Vive e lavora a Cupra Marittima (AP ).Ha frequentato il DAMS di Bologna ed ha concluso gli studi presso l’Accademia del Cinema di Roma. Collabora da 15 anni con la Galleria Marconi di Cupra Marittima, dove nasce e forma la sua identità artistica.

> ARMANDO FANELLI

Riconoscere in su, 2010/2011, video, 3.25

Nato a Napoli nel 1987. Vive e lavora tra Napoli e Berlino.Cibelli è un artista eclettico che passa con disinvoltura dalla fotografia al video, dall’instal-lazione alla performance e dal linguaggio alla scrittura. Media diversi mezzi e messaggi che confluiscono in un progetto estetico complesso. La sua ricerca mette in campo azioni diverse, tese alla ritualizzazione dell’ordinario, dove nessun aspetto del reale è immeritevole di attenzione.

diegocibelli.com

> DIEGO CIBELLI

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SINOSSI: Il lavoro presenta un uomo isolato nella frantumazione di un universo nevrotizzato dal progresso, dalla superficialità e da un inquinamento ormai esistenziale. Il lavoro evidenzia come l’inquinamento del pianeta è specchio del mene-freghismo ridondante invece l’inquinamento ideologico è pregno di corruzioni e ingiustizie.Una società sommersa non solo dalla crisi economica, ma anche da una crisi collettiva che tormenta lo spirito di tutti gli individui, spesso nascosti dietro a un sorriso apparente che non ha nulla della vera felicità.

SINOSSI: Questo video (parte del progetto ‘Riconoscere in su’ - un ciclo di 5 performance), trae spunto da un testo di Leonora Carrington che descrive un momento di somiglianza tra esterno e interno. Il video presenta l’artista inginocchiato frontalmente dentro un autolavaggio. La posa, nella sua immobilità rigida e composta, fa da contrappunto all’inesorabile e violento ritmo della spazzole e dell’acqua, che si infrange sul corpo del protagonista, in un gioco di equilibrio e bilanciamento. L’intensità di quel accade all’esterno è quindi pari al flusso del pensiero interno.

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Nesso di causalita’, 2009, 4’23’’, MINI-DV, Courtesy dell’artistaselezionato dall’archivio arthub.it

Nata a Catania nel 1979. Vive e lavora tra Catania e Milano.Utilizza foto, video, installazioni multimediali e performance interattive, dove lo spettatore è chiamato ad un’interazione sinestetica ed emotiva. Partecipa a diverse esposizioni in spazi pubblici e privati: Anteprima/Quadriennale di Roma; XII BJCEM, Castel Sant’Elmo di Napoli; Videominuto al Pecci di Prato, Video.it alla Fondazione Merz (Torino) / Care of (Milano) e all’ultima Biennale di Venezia Padiglione Italia/Accademia.

tizianacontino.com

> TIZIANA CONTINO

Sonata Patafisica, 2008, formato mini DV, durata 3’44’’ - performer Cristina Abatiselezionato dall’archivio arthub.it

Nata a Firenze nel 1977. Vive e lavora a Milano.Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 2002 si dedica allo studio della pittura, delle tecniche fotografiche e del video. Nel febbraio 2009 consegue la laurea di secondo livello in Visual Art and Curatorial Studies del Naba, dove oggi insegna, Video e Installazione. Dal 2008 guida la direzione artistica dell’associazione Fosca per la promozione delle arti e dal 2009 ed è cofondatrice del progetto Radical Intention per la cooperazione artistica sui temi sociopolitici.

mariapecchioli.com

> MARIA PECCHIOLI

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SINOSSI:Nesso di causalità è la cristallizzazione in telecamera del legame inquietante tra gli accadimenti e il rapporto che connette un atto o un fatto all’evento che vi deriva; la performance permette di mostrare l’invisibile. L’artista sembra sottrarre l’identità per lasciare al gesto una carica di incontrollabilità per le conseguenze dell’inafferrabilità che porta con sé.

SINOSSI:Sonata patafisica è una ricerca performativa sull’interazione, attraverso il gesto, fra corpo ed elementi che lo conno-tano.Il video realizzato sulla scena della performance, è legato all’improvvisazione musicale. Gli elementi in campo sono: un corpo umano- non ben identificabile, degli attributi del mondo del combattimento e il suono che fa da base-legante all’azione. Sonata Patafisica nasce dal ribaltamento dei valori e delle funzioni associati a un oggetto, ed è un’indagine sul modo di scardinare la logica della realtà e di creare delle soluzioni immaginarie che reinventano il rapporto fra oggetto e funzione.

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Continuum, 2008, 06’00’’selezionato dall’archivio arthub.it

Nato a Faenza (RA) nel 1974. Vive e lavora a Milano.Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e l’Ecole d’Architecture e du Paysa-ge di Bordeaux. In seguito si laurea in Architettura a Ferrara. Dal 2002 conduce una ricerca artistica e professionale nel campo del video e dell’architettura. Ha esposto presso diverse istituzioni: Galleria civica di Trento, Kunsthalle di Vienna, Kulturhuset di Stoccolma, Angel Orensaz Foundation di New York, Stadtgalerie di Kiel, Fondazione Sandretto Rerebaudengo di Torino. Nel 2011 ha preso parte a“Round the clock” – 54 Biennale di Venzia.

> DEVIS VENTURELLI

La nostra alba (performance senza spettatori), 2012, video digitale, 03’49’’ loop

Nato a Polistena (RC) nel 1984. Vive e lavora tra Italia e Germania.Ha studiato alla ETSAV di Barcellona e alla UNICAL di Arcavacata - CS. Nei suoi lavori usa di-versi media, principalmente l’installazione, la performance e il video.

alessandrofonte.com.

> ALESSANDRO FONTE

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SINOSSI:Una danza o forse la rappresentazione della passeggiata in looping, in cui l’artista-soggetto-passeggero è totalmen-te immerso nell’azione, è protagonista-vittima di un virtuosismo che sprigiona energie e riflessi abbaglianti di forze latenti. Il materiale isolante dell’involucro cangiante rappresenta l’oro sfavillante dello status-symbol antropologico, che l’artista manifesta nel suo ritualismo liberatorio. Le architetture mobili di Continuum, quasi sculture evocative del dinamismo futurista, illustrano trasformazioni temporanee, effimere e preziose.

SINOSSI:All’interno di una serra in stato di abbandono, l’artista in abiti eleganti con le mani legate dietro la schiena sta fati-cosamente in equilibrio, poggiando il ventre al manico di un attrezzo da lavoro conficcato nella terra. L’utensile che potenzialmente potrebbe essere utilizzato per rendere quel luogo produttivo ha qui la mera funzione di tenere in piedi l’uomo. Tuttavia questa posizione non può essere né comoda né voluta. Il video tenta di tracciare un ritratto di una generazione che ha difficoltà ad autosostenersi e a trovare il proprio posto nella società.

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Alterity, 2009, video monocanale, DVD Pal 16/9, 5,38”.selezionato dall’archivio arthub.it

Nasce a Parma nel 1973. Vive e lavora tra Parma e Milano.Nel 1999 si laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Bologna, in seguito si specializza in Design della comunicazione al Politecnico di Milano. Il suo lavoro indaga la percezione dei luoghi, l’attraversamento fisico e mentale dello spazio, la poetica del viaggio come ricer-ca di contatto e contaminazione con l’altro da sé. Inoltre, mette in relazione attraverso mezzi diversi la complessità e l’ambiguità del mondo contemporaneo. Espone in importanti spazi pubblici e privati. matteomezzadri.com

> MATTEO MEZZADRI

‘History of Doing’, Rotterdam 2010, durata 2’40’’, MiniDV.selezionato dall’archivio arthub.it

Nata a Roma nel 1973. Vive e lavora tra l’Italia e l’Olanda. Artista visiva con un linguaggio eclettico che include video arte, installazione, performance e suono. I suoi lavori sono stati esposti sia in ambito museale che in spazi non abitualmente dedicati all’arte. Si interessa alla storia della tecnologia, della scienza e del viaggio.Collabora frequentemente con scienziati, artisti del suono e coreografi.

danieladepaulis.com

> DANIELA DE PAULIS

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SINOSSI:Nel video “Alterity” il tempo accelera, “ritaglia” e mette in risalto frammenti di vita quotidiana di persone che si ferma-no ed escono dal flusso della vita frenetica della metropoli.Nell’opera, non c’è messa in scena, ma solo ricerca e documentazione diretta di storie sottolineate ed evidenziate da artefatti di post-produzione digitale, come l’ultima telefonata tra due fidanzati o la lunga attesa per un appuntamen-to che forse non verrà rispettato.

SINOSSI:‘History of Doing’ mostra il decadimento di un inceneritore dismesso nel 2010, situato vicino al porto di Rotterdam. Il video mostra l’edifico, ora divenuto monumento industriale, dall’esterno all’interno, fino ai sotterranei invasi dall’ac-qua e restituiti all’entropia. Il suono ambientale segue lo stesso percorso delle immagini, divenendo sempre più sordo nelle viscere del ‘gigante’. Il viaggio attraverso l’edifico è anche viaggio simbolico nell’inconscio, in cui stati di ombra sono schiariti da finestre e fasci di luce astratta.

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INWARD, 2010, 7’ 10” - Il video fa parte di VisualContainer - Italian Videart Distributor, Milano

Nata a San Benedetto del Tronto nel 1964. Vive e lavora a Bologna.Realizza installazioni, video, fotografie, videoinstallazioni, performance. Il suo lavoro è stato esposto in personali, collettive e festival in Italia e all’estero.

sabrinamuzi.it

> SABRINA MUZI

APRIL WOODS (video e foto), 2007, 03’:10”selezionato dall’archivio arthub.it

Nato nel 1976 in Austria. Vive e lavora tra Bologna e Firenze.Artista, musicista, compositore e regista. I suoi lavori sono stati esposte in istituzioni pub-bliche e private tra cui il Centre Georges Pompidou di Parigi, la Fondazione Sandretto Re Re-baudengo di Torino, la Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Trento, il Museo Pecci di Prato e il Museo di Villa Croce di Genova. Inoltre, da diversi anni collabora a progetti firmati con altri artisti e musicisti tra cui Karin Andersen, il collettivo 01.org (Luther Blissett), Andy Fumagalli (Bluvertigo) e Giancarlo Onorato.

christianrainer.com

> CHRISTIAN RAINER

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SINOSSI:Nel video Inward un oggetto dalla forma tondeggiante si muove nell’ambiente, la sua consistenza è morbida e quindi nel suo procedere da un punto a un altro dello spazio tende a modificarsi assumendo anche forme più irregolari. La sensazione è quella di avere di fronte un oggetto che attraverso spostamenti e brevi pulsazioni sembra comunicarci di essere una forma viva. La struttura può ricordare un bozzolo, un uovo, una forma che si trasformerà e dall’interno porterà qualcosa all’esterno: una crescita, la nascita di qualcosa…

Inward è un lavoro realizzato durante una residenza in Cina nel 2010 ed esposto allo Yunnan University Art Museum di Kunming.

SINOSSI:Il video April Woods, è concepito a metà tra la video arte ed il videoclip, esplora le possibilità di inversione e confusio-ne di ruoli nel normale ordine delle cose. Si instaura così un dialogo inedito tra cose che tra loro non comunicano nel-la normalità. Tutto e tutti, assistono al caos che li coinvolge, in attesa di conoscere la propria sorte e nuova identità.Gli interni e gli esterni dialogano grazie ad un continuo scambio, sino a generare dei paradossi che hanno la funzione di rileggere le consuetudini.

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Diversa proiezione, 2009, video HD, computer grafica, suono stereo, 5’- courtesy Galleria Studio G7, Bologna

Nato a Reggio Emilia nel 1979. Vive e lavora a Bologna.Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dal 2001 lavora con gli strumenti del video e della computergrafica. Le possibilità dell’immagine sintetica diventa per Zuelli un mezzo per indagare l’esistente, coinvolgendo la storia dell’arte, il cinema e la fotografia.

diegozuelli.it

> DIEGO ZUELLI

“I WAS HERE” Video di animazione 2D, 90 secondi, 2012

Nata a Pavia nel1978. Vive e lavora a Berlino.Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, città in cui ha abitato fino al 2006, anno in cui si è trasferita a Berlino. L’artista ha svolto una residenza al Centre des Récollets a Parigi nel 2003. Ha esposto in diverse gallerie, spazi no-profit e in importanti istituzioni in Italia e all’estero.

rebeccaagnes.org

> REBECCA AGNES

Rebecca-ritratto di Anita, Burchardt 2012

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SINOSSI:Il lavoro tratto dalla video-installazione, dal titolo “diversa proiezione” realizzata alla studio G7 di Bologna è comple-tamente costruito dall’autore in computer grafica. L’immagine proiettata, mostra e deforma i connotati della stessa galleria dov’era presentata. L’acqua invadendo lo spazio, descrive ciò che potrebbe capitare in caso di allagamento. L’osservatore può così raccogliere e individuare con maggior concretezza uno strano fenomeno dove l’acqua che riempie l’immagine restituisce un equilibrio ormai perso.

SINOSSI:I paesaggi della Agnes sono l’ambientazione fantastica di romanzi dissimili e la ricostruzione fisica di luoghi che non esistono se non nell’immaginario. La letteratura, a sua volta, può influenzare il nostro sguardo, il nostro modo di esprimerci e modifica ciò che ci circonda. Il fruitore viaggia a vari livelli, portandosi appresso tutto quello che ha visto, che ha vissuto e che si è letto.

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Inestricabilmente, 2003, animazione, 01’:02’’, pal 768 x 576 px

Nato nel 1964 a Firenze. Vive e lavora a Firenze.Inizia occupandosi di fumetto, illustrazione e grafica, collaborando con riviste e case editrici. Dal 1988 si dedica alla pittura e alla creazione di opere scultoree in camera d’aria. Dal 1994 il suo lavoro caratterizzato dall’uso esclusivo del bianco e del nero, si concentra su tematiche legate al rapporto dell’uomo con la città, dando vita attraverso la sua particolare tecnica ad un universo fatto di storie, suggestioni e sogni.

lucamatti.it

> LUCA MATTI

“HOW TO KILL THE ARTISTS”, EPISODIO 1, animazione su dvd, 2007

Nata nel 1980 a Rovereto. Vive e lavora a Duckland. L’arte di Laurina Paperina si compone di pitture, disegni, installazioni e animazioni video. I suoi lavori, iconici e giocosi, appaiono come un ironico e talvolta dissacrante commentario al mondo contemporaneo, alle sue figure e ai suoi miti.L’artista ha esposto in tutta Europa, in America, Asia e Africa. Ha preso parte a svariate pubblicazioni e fiere d’arte in Italia e all’estero.

laurinapaperina.com

> LAURINA PAPERINA

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SINOSSI: In una sequenza di movimenti compiuti ripetutamente come in un mantra, un uomo avvolto da un sottile filo nero, si troverà ad ogni passaggio sempre più ingarbugliato nell’inestricabile rete di legami della sua esistenza. Il video è metafora delle difficoltà e delle infinite relazioni che portano l’uomo contemporaneo allo smarrimento e all’annul-lamento.

SINOSSI:In How to Kill the Artists, Laurina Paperina si prende gioco di se stessa e dei più noti artisti contemporanei con ironia dissacrante. Una serie di video-animazioni narrano l’ipotetica morte di artisti ormai arrivati all’apice del successo e osannati dalla critica.L’artista si diverte ad estremizzare il racconto fino allo splatter, con sbrandellamenti di corpi e fiotti di sangue. I suoi lavori evocano i linguaggi che germinano dal mondo di internet, della televisione e del cinema horror degli anni ottanta e novanta.

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ADOTTANTI

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ADOTTANTI

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ADOTTANTI

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ADOTTANTI

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IDEATORI - MCD’A

> LINO ROSETTI - Cocalo’s Club

> FRANCO MARCONI - Galleria Marconi

> FAUSTO CALABRESI - Palariviera

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STAFF DI PROGETTAZIONE - MCD’A

> DARIO CIFERRI - ufficio stampa e comunicazione

> MATTEO BIANCHINI - web master

> ARIANNA SCARPA - grafico

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un grazie speciale a tutti coloro

che hanno collaborato alla riuscita

di questo progetto

meraviglioso...

Franco Marconi, Lino Rosetti, Fausto Calabresi.

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2° edizione 2012 - 8 luglio - 30 agosto