«Peacekeeping, dall’Italia più uomini» L’ANALISI · I servizi segreti italiani stanno...

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Kirkuk Aleppo Bassora Mar Arabico Golfo Persico Mar Caspio Mar Mediterraneo Mosul Benghasi Kandahar Tripoli Damasco Beirut Baghdad Sana’a Ankara Kabul Ramallah EGITTO ARABIA SAUDITA IRAN INDIA GIORDANIA PAKISTAN ALGERIA TUNISIA TERRIT. PALESTINESI Pil 2014 -0,8% Le due fazioni Fatah e Hamas hanno formato l’anno scorso un governo di unità ma le divisioni restano. Hamas mantiene di fatto il controllo su Gaza (dove nel 2014 c’è stato l’ennesimo conflitto con Israele), l’Anp - che fa capo a Fatah - governa la più ricca Cisgiordania LIBIA Pil 2014 -24% La Libia del dopo Gheddafi è un Paese spaccato tra il governo legittimato dalla comunità internazionale, a Tobruk, e quello delle milizie islamiche, a Tripoli. È inoltre punto di partenza e cuore del traffico di migranti IRAQ Pil 2014 -0,5% I contrasti tra sciiti, sunniti e curdi, mai appianati dopo la caduta di Saddam Hussein, sono passati in subordine dopo la nascita del governo di coalizione di al-Abadi (sett. 2014). Dall’inizio del 2015 la priorità è la guerra all’Isis e la riconquista dei territori perduti YEMEN Pil 2014 0% Gli scontri settari innescati dalla Primavera Araba, con le dimissioni del presidente Saleh, hanno visto un’escalation dal settembre 2014, con l’avanzata dei ribelli Houthi e la nascita di una coalizione a guida saudita per respingerli. Il Paese è uno dei santuari del terrorismo islamico AFGHANISTAN Pil 2014 +2,0% Tutt’altro che completati la pacificazione del Paese e il disimpegno delle forze straniere. A settembre del 2014 è stato formato un governo di unità nazionale e sono stati avviati colloqui con i talebani, che però continuano a combattere come ha confermato ieri la conquista di Kunduz LIBANO Pil 2014 +2,0% La guerra in Siria ha fatto riemergere le tensioni settarie mai sopite e la fragilità dello Stato, evidenziata in maniera quasi simbolica dalla recente crisi dei rifiuti, specchio di debolezza, corruzione e inefficienza del governo di unità nazionale TURCHIA Pil 2014 +2,9% Tradizionale ponte tra Est e Ovest è diventata, con due milioni di rifugiati, il ponte tra guerra siriana e Ue. Dopo le ultime elezioni, vinte dall’Akp del presidente Erdogan senza maggioranza assoluta, non è stato possibile formare un governo e il 1° novembre si tornerà alle urne SIRIA Pil 2014 +0,5% Travolto da una guerra civile in corso ormai da quattro anni e mezzo tra il regime di Assad e un’eterogenea coalizione sunnita, il Paese ha visto dal 2012-13 la drammatica ascesa dell’Isis che controlla ampie porzioni del territorio e ha accentuato l’esodo di profughi Fonte: Elaborazioni IlSole24Ore e Banca Mondiale I fronti caldi, dal Nordafrica all’Afghanistan

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8 Il Sole 24 OreMartedì 29 Settembre 2015 ­ N. 268

La nuova mappa disegnata dai conflitti. La guerra ha travolto nazioni e frontiere ma anche l’Islam, mentre il Califfato ha accentuato le divisioni tra sciiti e sunniti, tra laici e religiosi

Il Medio Oriente che non c’è piùazzerato dall’Isis e dalla fine dei raìs

L’Onu e il terrorismoLA POSIZIONE ITALIANA

«Colpito il crociato»L’omicidio a Dacca in Bangladesh, notizia riferita dal sito di intelligence «Site»

Gli 007: «Margini di ambiguità»I servizi segreti italiani stanno effettuandoverifiche sull’attendibilità della rivendicazione

L’ANALISI

GerardoPelosi

Roma puntaal Consigliodi sicurezza

Se una ventina d’anni fa avesse­ro pronosticato al giovane boyscout Matteo Renzi, ai suoi pri­

mi passi in politica proprio sulla scorta degli ambiziosi obiettivi del Millennio, che un giorno sarebbe dipeso proprio da lui, dalle sue scel­te, far ottenere all’Italia la candida­tura di membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu si sa­rebbe pensato a un folle visionario. Eppure il percorso politico del pre­mier messo in moto dai MillenniumGoals potrebbe trovare il suo coro­namento in quell’ambizioso risulta­to al quale, in linea di massima, il no­stro Paese accede una volta ogni no­ve­dieci anni (l’ultima fu nel biennio2007­2008). 

Da oltre un anno in ogni incontrointernazionale,  in  ogni  vertice, Renzi e i suoi ministri fanno campa­gna elettorale per chiedere il voto nelle elezioni che si terranno nel giugno 2016 a New York per la no­mina dei 10 membri non perma­nenti del Consiglio di sicurezza per il biennio 2017­2018. Al gruppo dei Paesi occidentali spettano due seg­gi ma i candidati sono tre: oltre al­l’Italia, l’Olanda e la Svezia. È dun­que in atto una sana, civile competi­zione tra Paesi europei (la Svezia è da sempre molto compatibile con ilsistema Onu mentre sull’Olanda 

pesano da sempre le ombre di Sre­brenica). Gli elementi per decideresono i più diversi ma il fatto che sia­mo il primo contributore come for­ze di peacekeeping tra i Paesi occi­dentali è un plus che il premier ha ricordato a tutti i suoi interlocutori in queste ore dal presidente irania­no Rohani a quello egiziano Al Sisi fino ai leader di Paesi meno noti mail cui voto potrebbe essere alla fine decisivo. Senza contare che presie­dere nel 2017 il G7 avendo all’attivo l’elezione al Consiglio di sicurezza Onu aumenterebbe leadership e credibilità dell’Italia.

«Stiamo facendo campagna elet­torale – ha ammesso Renzi – nel giu­gno 2016 vedremo se l’Italia avrà i numeri». Rientra nella stessa stra­tegia (seggio Onu e presidenza G7) quel recupero di credibilità interna­zionale dell’Italia alla quale Renzi sta lavorando ad esempio per attira­re investimenti esteri (ieri a New York  l’incontro con  la business community al fondo Blackrock). Risponde alla stessa logica lo stan­ziamento nel Def di maggiori fondi per la cooperazione allo sviluppo specie verso quei Paesi da dove pro­vengono i flussi migratori. E servirà allo scopo anche la gestione della crisi libica aiutando gli sforzi dell’in­viato Onu Bernardino Leon per la creazione di un Governo provviso­rio e poi per una risoluzione che consenta l’uso della forza contro i trafficanti di immigrati. Se poi a que­sto si aggiungerà, come molti spera­no, l’assegnazione delle Olimpiadi aRoma nel 2024 (ieri Renzi ha incon­trato a New York il capo del Cio, Thomas  Bach)  –  indipendente­mente da chi siederà a Palazzo Chigi– l’Italia farebbe davvero il pieno.

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di Alberto Negri

u Continua da pagina 1

N essuno  attraverseràpiazza  Firdous  a  Ba­ghdad,  dove  nel  2003

venne abbattuta la statua di Sad­dam, o alzerà gli occhi al cielo perosservare i grattacieli medioe­vali di Sanaa in Yemen. L’oriz­zonte da cui sono nate millenarieciviltà è un cumulo di rovine. E neanche il più ottimista dei rifu­giati giunto in Europa dalla Siria può pensare di tornarci perchéla distruzione materiale ed eco­nomica della guerra è stata ac­compagnata da quella morale, dalla scomparsa di ogni residuo di tolleranza e convivenza civile.

Per questo se mai ci sarà ungiorno  la  ricostruzione  dellaSiria, dell’Iraq, dello Yemen odella Libia, e anche del lontanoAfghanistan, tutto ci appariràsoltanto una replica dell’origi­nale, come avvertiva l’archeo­logo italiano Paolo Matthiae, loscopritore di Ebla. Ma se si puòrifare un capitello di Palmira, èimpossibile replicare una so­cietà  sradicata  dalle  fonda­menta. Fondamenta assai fra­gili  perché  l’80%  del  MedioOriente è l’eredità della disgre­gazione dell’Impero Ottomanoe delle successive sistemazionicoloniali  anglo­francesi,  cuisono seguiti i tragici fallimentidegli Stati laici e autocratici. 

Quel Medio Oriente non esi­ste più neppure sulla carta geo­grafica. Mentre Putin e Obama ieri stavano discutendo a New York, un altro pezzo della regio­ne più nevralgica del mondo, cu­stode di riserve di petrolio e di gas, scompariva, inghiottita dauna battaglia del Califfato, da un 

raid di Assad, da un bombarda­mento saudita o della coalizioneinternazionale. La guerra ha tra­volto Stati e frontiere ma anche l’Islam: l’Isis ha reso ancora più aspra la separazione tra sciiti esunniti, tra laici e religiosi, tra una maggioranza musulmana e minoranze che si sono dissolte. Icristiani  sono  scomparsi  dalcuore dell’Iraq per rifugiarsi in Kurdistan, così come gli yezidi oi mandei, di cui nessuno ha mai parlato ma che vivevano lungo il

Tigri da migliaia di anni. Sono di­ventate laceranti anche le divi­sioni etniche, come quella che oppone i curdi a ad Ankara e ri­schia di diventare una questioneinsanabile per la Turchia, stori­co membro della Nato. 

Le costruzioni post­colonialisono pericolanti perché si è li­quefatto l’unico collante che le teneva insieme, il nazionalismo, anche nelle sue forme più esa­sperate come quella di Saddam Hussein in Iraq o di Gheddafi in Libia. Caduti i raìs sono crollati gli Stati che rappresentavano e sono in crisi di legittimità anche le monarchie del Golfo che dopoavere esportato problemi finan­ziando l’Islam radicale ora vedo­no i guai tornare a casa propria. 

È sintomatico che i soli a re­clamare ancora una nazione (eun territorio), oltre ai separati­

sti curdi, siano i palestinesi cheieri hanno innalzato la loro ban­diera all’Onu. Per Washington,che ha votato contro, è interve­nuta l’ambasciatrice SamanthaPower: «Alzare la bandiera pa­lestinese non è un’alternativa ainegoziati e non porterà più vici­ni alla pace». Una dichiarazio­ne surreale: nessuno parla più di negoziati. Gli israeliani han­no  evitato  commenti  inutili.Dalle alture del Golan vedonoben altri stendardi sventolare all’orizzonte.

L’unica bandiera che garri­sce al vento è quella nera delCaliffato che di fatto ha abbat­tuto i confini coloniali. Forsenon è un caso che il video dimaggiore successo dell’Isis siaquello in cui un bulldozer di­sintegra  in pieno deserto uncartello con la scritta Sykes­Pi­cot, il nome dei due diplomaticidi Gran Bretagna e Francia chenel 1916 disegnarono la sparti­zione del Levante arabo. 

Negli ultimi decenni gli isla­misti hanno cercato in ogni mo­do di creare uno Stato islamicogovernato dalla sharia: in Su­dan, in Afghanistan, in Yemen,nel Sahel africano. L’idea eraquella di impossessarsi di unoStato preesistente e farlo pro­prio, mentre al­Qaeda e Osamabin Laden puntavano a sparge­re il terrore mirando al nemicolontano, Stati Uniti e Occiden­te. Ma l’11 settembre non ha avu­to gli effetti sperati lasciandoimmutati gli equilibri geopoli­tici del Medio Oriente. Al­Qae­da  seminava  paura  ma  non cambiava il mondo.

Il Califfato nasce in Iraq pro­prio da questa intuizione. È inu­tile combattere il centro del po­

tere, è molto più efficace pren­dersi le periferie concentrando­si sui territori dove il governo è più debole e più forte lo sconten­to. Così nasce lo Stato Islamico: un pezzo di Iraq cui aggiungere un pezzo di Siria facendo saltarele frontiere tracciate sulle ceneridell’Impero Ottomano. L’Isis è nei fatti la dimostrazione che il mondo può cambiare: è con que­sto che ha calamitato i consensi locali dei sunniti e mobilitatol’afflusso dei foreign fighters. Si è parlato molto dei jihadisti occi­dentali, dei convertiti. Ma la re­altà è che i combattenti stranieri di prima linea sono ceceni, uz­beki, jihadisti di tutte le naziona­lità  addestrati  in Afghanistan, Yemen, Sudan, Maghreb e Sahel.

Quello dell’Isis è un esercitomotivato e professionale. Altri­menti non avrebbe sbaragliatoquello iracheno, messo spalle al muro Assad e dato filo da torcerea milizie sciite sperimentate co­me quelle dei libanesi Hezbollahe dei Pasdaran iraniani. Chi haviaggiato con Hezbollah sa per­fettamente che nel Qalamoun si­riano hanno combattuto contro ceceni che adottavano le stesse tattiche  di  guerriglia  usate  aGrozny contro i russi.

Ecco perché la guerra al Ca­liffato  non  si  vince  soltantocon i raid aerei. Questo lo sacertamente Putin e anche Oba­ma che non vuole impegnaretruppe nel Levante. Ma soprat­tutto  entrambi  sanno,  comepure gli Stati della regione con­volti  ­  Turchia,  Iran,  ArabiaSaudita ­ che il Medio Oriente èall’anno zero e la soluzione mi­litare non basta a ricostruireun mondo che non c’è più.

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«Peacekeeping, dall’Italia più uomini»Renzi ai ceo di Wall Street: «Mantenute le promesse sulle riforme, il Paese è ripartito»Gerardo PelosiNEW YORK. Dal nostro inviato

pIl lavoro di Matteo Renzi in questi giorni a New York si sta svi­luppando dentro e fuori il Palazzo di vetro dell’Onu. Con un obietti­vo preciso: far capire a tutti gli in­terlocutori, siano essi capi di Statoe di Governo, rappresentanti dellabusiness community oppure opi­nion leader, gli sforzi che il Gover­no italiano sta facendo per «rimet­tere in moto l’Italia», trasformare un Paese conosciuto solo come bella destinazione turistica in un luogo attraente anche per gli inve­stitori esteri. Nella mattinata di ie­ri Renzi ha partecipato a un bre­akfast  nella  sede  del  fondo Blackrock con gli investitori ame­ricani. Intorno allo stesso tavolo con Renzi, Larry Fink, Presidente e ceo di Blackrock, John Paulson (edge fund Paulson and Co.), PeterHancock (presidente e ceo Aig), Greg Fleming (Morgan Stanley), Indra Nooyi (presidente e ceo Pe­psi), Brian Moynihan (presidente e ceo Bank of America), Nancy Prior (Fidelity), George Walker (Neuberger Berman). Un incon­tro dal quale Renzi ha tratto la con­clusione che «siamo considerati solidi, stabili e con molte carte an­cora da giocare». Soprattutto per­ché «un anno fa ci chiedevano se avremmo fatto la fine della Grecia ed oggi pensano che possiamo competere con la Germania; un anno fa gli investitori ci chiedeva­

no di fare la riforma del lavoro, del­la pubblica amministrazione e la­mentavano la mancanza di stabili­tà per la legge elettorale». Tutte cose che sono state affrontate e ri­solte(«naturalmente  vanno  im­plementate nei prossimi mesi ­ chiarisce Renzi ­ ma la direzione dimarcia è molto chiara») e i risultatisono evidenti. Per alcuni di loro, anche «sorprendenti». Oggi le do­mande sono quasi tutte sulla poli­

tica e l’economia europea, «cose che non dipendono più solo da noi». Per molti di loro, inoltre, al­cune scelte come il decreto sulle banche popolari, che ha suscitato polemiche in Italia, è il segnale cheinvece «il mercato è aperto, non cisono più le rendite di posizione, non ci sono più sempre i soliti che governano certi settori dell’eco­nomia». Un clima che potrà favo­rire maggiori investimenti esteri in Italia. 

Una ritrovata fiducia confer­mata anche dai dati dei consuma­tori, «non solo un dato statistico ­ dice Renzi ­ ma un pezzo della 

scommessa economica che abbia­mo fatto». Fiducia, consumi inter­ni e maggiori investimenti esteri sono infatti le condizioni per la ri­presa della crescita. E se qualcuno gli chiede se non ha esagerato a di­re che l’Italia potrebbe superare la Germania, Renzi conferma: «No, non ho esagerato. Possiamo fare meglio della Germania, se faccia­mo bene il nostro lavoro. Al mo­mento non è così ma possiamo competere con i nostri amici tede­schi in molti settori, se facciamo quello che dobbiamo fare». 

Evita di pavoneggiarsi più ditanto il presidente del Consiglio con chi gli ricorda che è stato para­gonato a un nuovo Bill Clinton: un accostamento che «mi fa straordi­nariamente piacere ma chi cono­sce la politica sa che è assoluta­mente imparagonabile: quello chemi interessa è che l’Italia si rimettain moto ed è positivo che l’Italia siastimata all’estero». 

Il premier non manca di bac­chettare (lo aveva già fatto setti­mane fa) chi a Bruxelles vorrebbe mettere bocca sulle scelte fiscali dell’Italia e sulla riduzione delle tasse sulla casa «per tutti e per sempre inserita nel Def».

Sulla Siria il premier confermala posizione italiana che non inten­de «inseguire posizioni di singoli Paesi», leggasi la Francia. Una si­tuazione che Renzi giudica «com­plicata» ma il bilaterale tra Putin e Obama è un elemento positivo. 

«L’Italia farà comunque la sua par­te ­ assicura Renzi ­ senza interve­nire in Siria perché mancano an­che i presupposti giuridici al di là delle valutazioni politiche». L’im­portante è non replicare situazionicome la Libia in cui all’intervento non è seguita una strategia sul lun­go periodo e su questo «c’è un giu­dizio condiviso da moltissimi». 

Renzi ha incontrato ieri a lateredei lavori dell’assemblea generale dell’Onu  il  presidente  iraniano Hassan Rohani (che sarà in Italia in novembre) e quello egiziano Al Sisi. Un giro d’orizzonte sulla crisi in Medio Oriente e la lotta al terro­rismo con apprezzamenti per le posizioni italiane. 

La lunga giornata di Renzi al­l’Onu si conclude con l’intervento sulle operazioni di peacekeeping voluto dal presidente americano Obama e al quale partecipano 50 Paesi. Renzi ha annunciato davan­ti al presidente americano Obama che l’Italia metterà a disposizione un battaglione di fanteria altamen­te specializzato (dai 300 ai 500 uo­mini), uno squadrone di elicotteri e una compagnia del genio costru­zioni per  le operazioni di pea­cekeeping delle Nazioni Unite . Il premier lancia la proposta di crea­re caschi blu per la protezione del patrimonio culturale minacciato dalla furia distruttiva dell’Isis, dei veri e propri “caschi blu della cul­tura”.

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KirkukAleppo

Bassora

Mar Arabico

GolfoPersico

MarCaspio

Mar Mediterraneo Mosul

Benghasi KandaharTripoli

DamascoBeirut

Baghdad

Sana’a

Ankara

Kabul

Ramallah

EGITTO

ARABIA SAUDITA

IRAN

INDIA

GIORDANIA PAKISTAN

ALGERIA

TUNISIA

TERRIT. PALESTINESI

Pil 2014 -0,8%

Le due fazioni Fatah e Hamas hanno formato l’anno scorso un governo di unità ma le divisioni restano. Hamas mantiene di fatto il controllo su Gaza (dove nel 2014 c’è stato l’ennesimo conflitto con Israele), l’Anp - che fa capo a Fatah - governa la più ricca Cisgiordania

LIBIA

Pil 2014 -24%

La Libia del dopo Gheddafi è un Paese spaccato tra il governo legittimato dalla comunità internazionale, a Tobruk, e quello delle milizie islamiche, a Tripoli. È inoltre punto di partenza e cuore del traffico di migranti

IRAQ

Pil 2014 -0,5%

I contrasti tra sciiti, sunniti e curdi, mai appianati dopo la caduta di Saddam Hussein, sono passati in subordine dopo la nascita del governo di coalizione di al-Abadi (sett. 2014). Dall’inizio del 2015 la priorità è la guerra all’Isis e la riconquista dei territori perduti

YEMEN

Pil 2014 0%

Gli scontri settari innescati dalla Primavera Araba, con le dimissioni del presidente Saleh, hanno visto un’escalation dal settembre 2014, con l’avanzata dei ribelli Houthi e la nascita di una coalizione a guida saudita per respingerli. Il Paese è uno dei santuari del terrorismo islamico

AFGHANISTAN

Pil 2014 +2,0%

Tutt’altro che completati la pacificazione del Paese e il disimpegno delle forze straniere. A settembre del 2014 è stato formato un governo di unità nazionale e sono stati avviati colloqui con i talebani, che però continuano a combattere come ha confermato ieri la conquista di Kunduz

LIBANO

Pil 2014 +2,0%

La guerra in Siria ha fatto riemergere le tensioni settarie mai sopite e la fragilità dello Stato, evidenziata in maniera quasi simbolica dalla recente crisi dei rifiuti, specchio di debolezza, corruzione e inefficienza del governo di unità nazionale

TURCHIA

Pil 2014 +2,9%

Tradizionale ponte tra Est e Ovest è diventata, con due milioni di rifugiati, il ponte tra guerra siriana e Ue. Dopo le ultime elezioni, vinte dall’Akp del presidente Erdogan senza maggioranza assoluta, non è stato possibile formare un governo e il 1° novembre si tornerà alle urne

SIRIA

Pil 2014 +0,5%

Travolto da una guerra civile in corso ormai da quattro anni e mezzo tra il regime di Assad e un’eterogenea coalizione sunnita, il Paese ha visto dal 2012-13 la drammatica ascesa dell’Isis che controlla ampie porzioni del territorio e ha accentuato l’esodo di profughi

Fonte: Elaborazioni IlSole24Ore e Banca Mondiale

I fronti caldi, dal Nordafrica all’Afghanistan

LA FINE DI UN MONDOLe costruzioni post­coloniali sono pericolanti perché è venuto meno il nazionalismo, sono crollati gli Stati, sono in crisi di legittimità le monarchie

Ucciso cooperante italiano, l’Isis rivendicapÈ stata rivendicata dall’Isis l’uc­cisione del cooperante italiano Ce­sare Tavella a Dacca, colpito per­ché «occidentale» e «crociato». L’informazione è stata diffusa dal sito internet di intelligence Site, di­retto da Rita Katz, e le autorità ita­liane e l’intelligence ne stanno ve­rificando la correttezza, visto che la rivendicazione presenterebbe margini di ambiguità.

L’agguato è avvenuto nel cuorediplomatico della capitale bengale­se. Il cooperante italiano, identifica­to dalla polizia del Bangladesh comeCesare Tavella, veterinario di circa 50 anni, è stato ucciso per strada nel ricco quartiere residenziale di Gul­shan da almeno tre uomini armati che lo hanno raggiunto in moto e «crivellato di colpi». La Farnesina ha confermato il decesso, senza for­

nire ulteriori dettagli, mentre l’am­basciata italiana ­ che ha informato la famiglia ­ sta seguendo il caso in stretto contatto con gli inquirenti lo­cali. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha espresso cordoglio e vicinanza ai familiari. 

I servizi occidentali erano con­sapevoli della pericolosità del Ban­gladesh. Proprio ieri il Foreign Of­fice britannico, così come aveva 

fatto l’ambasciata spagnola, aveva messo in guardia i propri conna­zionali dalla minaccia terroristica nel Paese del Sudest asiatico, rife­rendo in particolare di «informa­zioni affidabili» secondo cui «mili­tanti potrebbero pianificare di col­pire interessi occidentali in Ban­gladesh».  Solo  domenica  la squadra australiana di cricket ave­va rinviato la propria partenza per 

un tour nel Paese nel timore di at­tacchi mirati.

Tavella, secondo la polizia, erain tenuta da jogging quando è statoraggiunto per strada dal comman­do armato verso le 19. Testimoni hanno raccontato ai media locali diaver sentito almeno tre spari, che hanno ferito l’uomo all’addome, al­la mano destra e al gomito sinistro.Gli uomini armati hanno quindi la­

sciato l’italiano «in una pozza di sangue» e sono riusciti a scappare. Alcuni passanti hanno caricato il corpo per portarlo agli United Ho­spitals, dove Tavella, secondo una fonte ospedaliera, è arrivato già morto «con numerose ferite».

Nel Paese c'è una considerevolepresenza islamista e le modalità dell'uccisione sembrano indicare che l'obiettivo fosse proprio Ta­vella. Difficile, tuttavia, in queste prime ore riuscire a capire se l'ita­liano fosse nel mirino in quanto co­operante di una ong occidentale o per altri motivi.La polizia ha co­

munque subito escluso  l’ipotesi della rapina finita male, visto che lavittima aveva ancora con sé tutti i suoi effetti personali. A Dacca Ta­vella lavorava come project mana­ger per una Ong olandese, la Icco Cooperation, che ha uffici in Ban­gladesh. In particolare si occupavadel  progetto  Proofs  (Profitable Opportunities for Food Security), nel settore dell’agricoltura locale edell’alimentazione. Aveva comin­ciato a lavorare nell’ambito dello sviluppo nel 1993, in diverse ong in­ternazionali soprattutto in Asia.

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ANSA

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Cooperante. Cesare Tavella