Peace Zone, camminando per la pace

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Antonio Tomaselli Peace Zone ... camminando per la pace

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diario del viaggio, ancora in corso, di Antonio Tomaselli. Alaska - Patagonia in BICI!

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Antonio Tomaselli

Peace Zone

... camminando per la pace

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Le nostre valigie logore erano ancora sul marciapiede, ci aspettava altro e più lungo cammino, ma non importa, la strada è la vita

Jack Kerouac

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Alaska - Patagonia. 45000 km di diversità

Mi chiamo Antonio Tomaselli,sono un ragazzo di 30 anni e sono membro di Matite di gioia, l’associazione onlus che mi accompagnerà in questo progetto.

Dopo diverse esperienze nel sociale, iniziate nella mia terra natale, la Sicilia, ho vissuto per oltre un anno, parte del 2004 e tutto il 2005, nel Sud-Est asiatico, prestando servizio ai lebbrosi di Calcutta.Nell’inverno del 2006, in vista di questo progetto, ho iniziato il mio primo viaggio in solitaria in bici, da Nicolosi, paese da cui provengo, fino a Santiago de Compostela, percorrendo 3600 km in 50 giorni, lungo le strade ital-iane, francesi e spagnole.Questa nuova avventura che sta per diventare realtà, prevede l’attraversamento del territorio delle due Ameri-che comprese tra Anchorage, capitale economica dell’Alaska, e la Patagonia Argentina.Il percorso sarà di circa 45000 chilometri, per una durata di cinque anni, durante i quali le mie due passioni, il viaggio ed il volontariato, si fonderanno costantemente tra loro.In diverse nazioni mi fermerò per circa un mese, lavorando nel sociale e a stretto contatto con le differenti prob-lematiche di ciascun luogo. Con me porterò un messaggio dell’IPEC ( International Programm of the Elimination of Child labour), programma dell’ILO ( International Labour Organization) e indosserò magliette con la scritta “Red Card to child labour” (cartellino rosso al lavoro minorile).Alcuni dei centri dove sosterò sono legati a progetti dell’IPEC, altri li sceglierò lungo il percorso facendomi guidare dalle sensazioni e dalle emozioni che mi trasmetteranno luoghi e persone.Alla fine di questo periodo, per me di crescita, dal quale non voglio ricavare altro che l’esperienza nel sociale e il dono della condivisione con altre culture, il mio desiderio è quello di trasmettere, in diversi modi, quello che è stato il mio modo di vedere la vita, nel rispetto della natura e dell’uomo, parte di essa.Sono sicuro che il materiale informativo che raccoglierò da questa esperienza, servirà, insieme ai messaggi im-portanti che molte organizzazioni lanciano ogni giorno, ad aggiungere gocce vitali nel mare della solidarietà.Per concretizzare questo sogno, ho chiesto sponsorizzazioni che mi possano essere economicamente o logistica-mente d’aiuto. In ciò, l’unico interesse è quello di cercare di coprire le spese per tutto il periodo. Qualsiasi somma in esubero verrà donata negli stessi centri in cui lavorerò.

2008

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Matite di gioia

La nascita dell’associazione Matite di gioia, avvenne nel 2007, in contempora-nea con l’idea del viaggio.Lo scopo di Matite di gioia, così come del progetto Alaska - Patagonia. 45000 km di diversità, è quello di sensibilizzare alle diverse problematiche che ri-guardano i paesi del Sud del mondo. La presenza di numerose associazioni di questo tipo pose l’interrogativo sul come riuscire ad essere un mezzo efficace di informazione e sensibilizzazione. L’esempio vero e concreto, l’esperienza del mondo fatta secondo certi principi, sono sicuramente la testimonianza più pura e bella di uno stile di vita consavepole e partecipe. Così il progetto di-venta l’esperienza diretta dell’altrove, e l’associazione il tramite tra due realtà ,il mezzo per dar voce all’esperienza del viaggiatore, a quella della gente che avrebbe incontrato Antonio. Matite di gioia è il mezzo per mostrare quello che i suoi occhi avrebbero visto e, tramite proprio questa esperienza, promuovere l’ecosostenibilità di ogni singola vita e l’azione partecipata, il contributo reale verso quelle realtà di disagio, povertà e sfruttamento che, spesso, sono dimen-ticate.

e-mail: [email protected]

Associazione O.N.L.U.S. Matite di gioiaVia G. Verga, 39Nicolosi, CT

Conto Corrente bancario:IT 22 W 03019 84090 000000560814

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Peace Zone

Peace Zone nasce come iniziativa per sostenere il viaggio-progetto di Antonio.Il nostro impegno nel far conoscere Alaska- Patagonia. 45000 km di di-versità, nasce non solo da un profondo affetto, ma anche dal voler cre-dere nell’enormità di questo gesto straordinario del partire, dell’essere nomade e mescolarsi, confondersi con l’ ”altrove”, per capirne l’essenza e soprattutto per capire quali sono le dinamiche che muovono il “mon-do alla fine del mondo”, troppo spesso lasciato solo e in balia delle logiche di potere dei grandi imperi economici. Discorsi questi retorici, ma quanto è recidivo l’uomo contemporaneo, che non impara mai dai propri sbagli e dalle sofferenze vissuti sulla propria pelle e che, così, ci costringe agli stessi triti discorsi. Peace Zone nasce come una sorta di progetto parallelo al viaggio di An-tonio, azione collaterale ai suoi chilometri percorsi, che mostra realtà lontane attraverso lo sguardo del nomade, creando un ponte tra un qui smemorato e disinteressato, ed un lì che fa fatica a credere di fare parte dello stesso mondo, perchè sottoposto a leggi diverse, di sfruttamento e sottomissione.E’ con questi pensieri in testa che, ad un anno dalla partenza di Anto-nio, e ormai due anni fa, decidemmo di diventare quel ponte tra due mondi e di creare una “zona di pace” temporanea, certo, all’interno della quale poter parlare ancora una volta dell’altrove, ma stavolta non con la retorica, ma con l’esperienza di chi vi si è buttato dentro, di chi adesso la vive come la propria realtà e ce ne dona la testimonianza. Nasce così l’idea di un ciclo di mostre annuali atto a raccontare l’esperienza di questo viaggio e dell’impegno diretto di Antonio.

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A Pina ed Alfio, genitori fantastici A mia sorella Emanuela, la sorella speciale che chiunque desidera

A tutti gli amici che hanno accompagnato la mia vita e quella di chi li ha conosciuti e che oggi, per motivi spesso incomprensibili, cammina-no altrove, felici e liberi di essere quello che hanno sempre sognato… e angeli che ci seguono e credono in noi!

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Alaska -Patagonia45000 km di diversità

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Non abbiamo voluto aspettare la fine del viaggio di Antonio per redigere un diario, poiché ci piace l’idea di poterlo seguire sempre e quasi in tempo reale e, almeno una volta per anno, avere una sorta di resoconto e la possibilità di ampliare la nostra conoscenza dell’altrove, attraverso l’esperienza di chi la sta vivendo. Il diario di viaggio è un diario particolare che non segue tanto la storia cronologica di questo andare, ma l’evoluzione del percepire e sentire l’esperienza stessa del viaggio.C’è un nord ed un sud che fungono da indicazioni psicogeografiche.Nel nord risiede una sfida fisica per Antonio, quella dei chilometri che si accumulano sulle sue gambe e della fatica e del sudore della strada. C’è l’approccio con un nuovo mondo, c’è ancora il bisogno di trovarsi nella più grande e mistica solitudine per confrontarsi con il proprio limite, mentale ma soprat-tutto fisico, e percepire il cammino come un progetto solitario, come fosse una costante preghiera ed un costante esame di se stessi.Il nord è introspezione pura.E c’è un sud. Caldo, avvolgente e colorato.Qui la bolla di “protezione” in cui ci si immerge nelle esperienze nuove, scompare… e così il viaje-ro ha imparato a guardare da dentro quell’altrove dal quale, prima, in fondo,era distante. Il sud è un’immersione totale nell’altro e non credo che sia un caso che Antonio abbia cominciato a fare servizio proprio dal Messico, luogo che lo ha segnato perché traccia una linea tra due mondi, una frat-tura che marca “l’inizio” dell’altro lato del mondo, in cui ancora si muore di fame se la siccità rovina i raccolti, in cui si combatte con multinazionali che comprano risorse fondamentali per gli abitanti che ne restano senza.Antonio, nel suo sud piscogeografico, ci entra dentro con la sua carne e la sua mente. Si fonde con quell’idea di altrove e con quella realtà diversa, ma non troppo, dalla nostra. La prima parte di questo diario sente di più la presenza del tempo, quello trascorso in strada, e non poteva essere altrimenti, se è un andare su strada, un prendere confidenza con il proprio corpo.La seconda parte, è un zigzagare tra paesaggi umani e naturali ed un riflettere su realtà di cui Antonio, come noi del resto, non conosceva l’esistenza.Il Sud è il luogo dell’incontro con l’altro e dell’emozione del viaggio. È un diverso tipo di introspezione legata stavolta totalmente all’altro, legata al confrontarsi, allo stabilire legami più profondi rispetto a quelli che prima duravano solo lo spazio di qualche chilometro percorso insieme.Il sud è incontro.

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Se dovessi definire il viaggio con una parola, userei senza dubbio EVOLUZIONE.Sono passati ormai due anni da quando ho iniziato questa meravigliosa avventura, e nessun termine racconta più di questo, quello che ho vissuto e che continuo a vivere.Evoluzione significa movimento, crescita, apprendere da tutto quello che ci sfiora e che interferisce con la nostra vita. Arricchirci di tutti i colori, i sapori, gli odori che ogni metro offre, dei sorrisi o delle lacrime della gente, dell’equilibrio tra bello e brutto tra “buono” e “cattivo”, che la vita ci mostra in ogni situazione. Evoluzione significa cambiamento continuo di quello che è il nostro essere, arricchito da tutte le esperienze che viviamo.In India dicono: Il piede che si bagna per secondo nel fiume lo fa con acqua distinta dal primo…come dire che il cambiamento è immediato e costante, dal primo giorno di vita, tra le braccia della madre, all’ultimo alito che, forse, ci mostra infine il vero senso di tutto.

Siamo sempre in continua evoluzione.

Il cambiamento più significativo di questa esperienza l’ho percepito proprio sulla strada e sulla ma-niera di pedalare. La prima parte, dal Nord America fino a San Diego e poi la Baja California l’ho vis-suta influenzato dalla mia natura sportiva.Da piccolissimo ho sempre fatto sport e, anche se da tempo ho smesso di competere ufficialmente, l’indole è rimasta quella e, in ogni momento, la competizione è stata la mia caratteristica, in molti aspetti della vita, se non in tutti, ho sempre messo la sfida davanti, dallo sport al lavoro, dallo studio ai sogni e devo dire anche nei sentimenti … ogni tanto, però, si incontra chi ti vince!I primi mesi del viaggio vivevo in strada la maggior parte della giornata e infatti in pochissimi mesi, da maggio a settembre, mi trovai già al confine del Messico. Ogni giorno era come una droga, più stavo in bici e più sentivo che potevo pedalare e, mi ritrovavo così come in un circolo vizioso che, però, mi faceva stare bene.Diciamo che nella prima parte di questo viaggio, ho vissuto moltissimo l’aspetto naturale e del con-tatto con la strada e, poco quello con la gente, nel senso che non mi sono fermato nè ho dedicato tanto tempo ad entrare a fondo nella vita quotidiana, anche perchè le differenze tra l’Europa e il Nord America sono sempre meno. Tutto ormai sembra essere lo stesso.Spero solo che un bel giorno non decidano di abbattere i centri storici delle città europee per dar

In viaggio

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spazio al padrone cemento e alla richiesta di “location”, così che l’unica differenza, legata alla storicità e all’arte che la raffigura, svanisca in questa melassa uguale ovunque e comunque!

Da quando ho messo piede in Messico ho iniziato a sentire un cambiamento dentro di me.Naturalmente e senza rifletterci tanto, ho iniziato ad assaporare di più il tempo, la strada, gli sguardi delle persone e a parlare molto di più con tutti quelli che incontravo. Da questo momento le giornate in generale sono state completamente differenti.Anche se continuo a fare una vita molto semplice e rarissimamente esco la sera, una volta finita la giornata non sento la necessità di andare a riposare, già nel primo pomeriggio inizio a cercare un posto dove passare la notte. Da una media iniziale di oltre 100 chilometri al giorno sono passato a una che credo non superi i 70.Questo piccolo cambiamento, con il peso della bici e dei bagagli, significa ore di strada in meno e più tempo per conoscere i posti, parlare con la gente, significa meno stanchezza e più energia da dedi-care allo scambio con l’altro.

Dal Messico in poi è anche cambiato l’aspetto culturaleIn piccolissima parte, nelle grandi città, questo allineamento globale si percepisce, però poco fuori dalle capitali o dai grandi centri, l’autenticità e la millenaria cultura precolombina ancora oggi mar-cano le differenze tra un’area e l’altra. Assieme a questi cambiamenti ci sono anche gli aspetti di me e del mio modo di pensare che si sono evoluti e che in pratica si sono solo rafforzati o maturati. La mia criticità, ad esempio, verso il capital-ismo o verso un cattivo sistema sociale che prende in giro milioni di persone nel mondo e permette tutte le ingiustizie che vediamo. Oggi sento ancora più mio il dover provare a fare qualcosa per lasci-are il mondo un pò migliore di come lo abbiamo trovato.

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N o r d

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corpo-mente-strada

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L’arrivo ad Anchorage è stato tutto un romanzo, sarei dovuto arrivare alle dieci della notte, ora locale, ma a causa del ritardo del volo Alitalia per Parigi, perdo sia la coincidenza per Chicago sia quella per l’Alaska. Cambio di volo e tempi andati a quel paese, da Chicago vengo dirottato a Los An-geles e da li volo per Anchorage con arrivo alle 2 del mattino. Arrivo senza aver cambiato un solo dollaro e rimango fuori dall’aeroporto per un’altra ora piena...Passate le avventure del primo giorno e scaricate un pò di ten-sioni che l’ultima settimana mi aveva lasciato, tra addii vari e saluti del caso, mi risveglio ad Anchorage per il primo giorno di questo mio sogno che, a quanto pare, si è trasformato in realtà!Questa settimana la vivo in modo semplice e quasi incapace di capire cosa fare, cerco un pò di mappe che mi indichino la strada da prendere e, tra un’informazione qua ed una là, faccio amicizia con alcuni personaggi del posto: un certo Peter, un amante della bici, col quale faccio un giretto attorno la costa. Conosco Ector, un Portoricano trasferitosi in Alaska da decenni che gestisce un ristorante, il SorayaClub, amante della musica e voce-percussione di un gruppo che si esibisce per la città...conosce anche un bel pò di belle donne!Infine un tizio, del quale non ricordo il nome, che conosco per via di un buon caffè, il quale è rimasto letteralmente in-cantato dalla mia avventura...Dopo un paio di giorni capisco che la strada per il Canada è una e una sola e che è un’autostrada...Wow si inizia!!!

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Whitehorse.

Per la prima volta dalla partenza trovo un ostello della gioventù che oltre al costo contenuto fa anche uno sconto per chi arriva in bici. La struttura è gestita da una splendida coppia di viaggiatori, austriaca lei, tedesco lui.La permanenza prolungata è dovuta al fatto che attendo il pacco spedito da casa pochi giorni prima e che contiene magliette e altri piccoli gadget dell’ILO con il messaggio che sto portando con me, “Red Card to Child La-bour”, ovvero “Stop al lavoro minorile”.In questi giorni di permanenza conosco diverse persone interessanti, un canadese di nome Francis, un giapponese che viaggia in bici e che vorreb-be fare più o meno il mio stesso tragitto e Karen, una ragazza australiana.Giro parecchio in bici ed ho modo di conoscere meglio i dintorni di White-horse...Ripercorro il tragitto fatto con la navetta per una cinquantina di chilometri, vado sulle montagne che circondano la città e percorro un vec-chio sentiero, chiamato Long Lake, che collegava Whitehorse ad un picco-lissimo villaggio posto a cento chilometri a nord della città. In questi giorni ho modo di fare due-tre incontri con gli orsi lungo questi sentieri ed è in uno di questi incontri che decido, quasi per gioco, di smettere di fumare. Esattamente il lunedi 19 di maggio, alle due del pomeriggio circa, mentre affronto una salita durissima e con un pò di fiatone, sto pensando che se

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dovessi incontrare un orso in questo momento e per fatalità questo vo-lesse attaccarmi, io non sarei al massimo della forma, anche a causa della respirazione condizionata dalle sigarette... uno di quei pensieri assurdi che ognuno di noi fa mentre è da solo! Che volete penso sia normale… no!?Ad ogni modo, trenta secondi dopo questo pensiero assurdo, davanti a me, a neanche cinquanta metri, mi vedo un bell’orsetto di 200-300 kg che mi fissa...Io mi paralizzo, più che per la paura proprio per il pensiero che avevo finito di concepire...e il tempo di capire dove mi trovo e cosa fare, lui si addentra nel bosco e non lo vedo più. Decido di smettere di fumare all’istante, interpretando l’accaduto come un segnale donatomi dalla vita...Il giorno dopo arriva il pacco e così dopo un mega barbeque con Francis a base di salmone, mi rimetto in cammino verso il sud del Canada.

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Vancouver.

Dopo Anchorage, Vancouver è la prima grande città, ma a primo impatto più bella e pulita.La permanenza prolungata in questa città è dovuta all’attesa del nuovo visto americano.In questi giorni, faccio la conoscenza di numerose persone interessantis-sime. Un gruppo di rugbisti con i quali mi intrattengo già dalla prima notte, con Mariano e Joe in testa...conosco anche un gruppo di italiani davvero simpatici, Nadia, Cristiano e Andrea, sono quelli con cui ho avuto un rap-porto più intenso e con i quali passo diversi momenti delle mie giornate, specie con Cristiano, uno con il quale potrei benissimo essere amico per sempre, intesa immediata.Una delle cose più belle che ho visto a Vancouver, è una manifestazione che si tiene ogni ultimo venerdì dei mesi estivi. Si tratta di un blocco legale di tutta la città, dei mezzi di trasporto, unica eccezione: le bici!Di qualsiasi forma o età, vecchia, ormai rottame o all’ultimo grido, tutte in strada a festeggiare il mezzo che meno inquina.

pagina a fianco- Antonio partecipa alla mani-festazione bikers, Vancouver, Canada

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Dopo due settimane nella splendida Vancouver e ricco delle nuove amici-zie, mi rimetto in marcia verso gli States.Inizia la mia avventura per gli USA.Chi l’avrebbe mai detto che avrei messo piede qui!Due giorni dopo aver varcato la soglia degli States, giungo a Port Townsend.Questa piccola ma accogliente cittadina era, in passato e lo è ancora oggi, uno dei punti più importanti del Nord Ovest statunitense.Percorro la 1o1 (perchè gli americani non dicono centouno ma uno “o” uno) la strada che assieme alla 1 ha contribuito a creare il mito del sogno californiano.Qui tutto diventa più affascinante. La strada è una bellissima strada cost-iera, con piccoli saliscendi di poco conto, il mare è l’indiscusso padrone della scena e anche se non si tratta dell’oceano vero e proprio se ne av-verte la grandezza. Anche il suo odore è più intenso, come fosse più salato, più mare insomma!In cammino per SeaSide mi imbatto in due sventurati ciclisti sul ciglio della strada, alle prese con un cambio di camera d’aria, che vanno a San Fran-cisco.Dopo averli aiutati, decidiamo di fare strada assieme. Evan e Jay , entrambi di 22 anni, sono due artisti. Con uno dei due, Evan, iniziamo con una in-comprensione a proposito di politica.

pagina a fianco:Due partecipanti alla manifestazione dei bikers (di spalle Joe) Vancouver, Canada

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Lui è israeliano ed inevitabilmente la discussione cade sul conflitto israelo-palestinese. Dopo questo piccolo sgambetto la serata prosegue e con i ragazzi si comincia a discutere di argomenti profondi, specie con Evan, il quale alla fine dell’ultimo giorno, piangendo,mi dice che dopo una mil-lenaria storia religiosa, fatta di tradizioni e culti da lui appresi sin dalla nascita, non vuole più ascoltare chi gli dice “che tutti siamo uguali e che ammazzare un palestinese è come ammazzare un israeliano”. Ad ogni modo ci salutiamo con un arrivederci, anche perchè io voglio viag-giare solo.

Newport.

Arrivo in due ore e qualche minuto, con una splendida media giornaliera di quasi 25 km/h. Qui faccio la conoscenza di un ragazzo di Bellingam, nello stato di Washington, di nome Paul.Trascorrendo del tempo insieme, il nostro rapporto si intensifica e leggo in lui la voglia di viaggiare assieme, di avere, oltre che un compagno di viag-gio, anche un amico più grande.

Durante questi già parecchi chilometri, mi rendo conto, anche grazie alle numerose e diversissime persone che ho incontrato, di una sorta di legge per chi viaggia: poche parole, poche certezze e molto affidato all’istinto...

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In marcia per Santa Cruz incontro uno dei tizi più strani di tutta la mia vita, un ragazzo della mia età circa che viaggiava a piedi in senso contrario al mio, quindi verso Nord, con una immensa croce di legno, penso cinque metri per tre, poggiata sulla spalla e con una piccola ruota all’estremità bassa per scorrere nella strada. Ci scambiamo un saluto veloce, e non mi sfiora neanche l’idea di fargli una foto, forse per rispetto o forse perché mi ha letteralmente sconvolto...

Verso Santa Cruz

La strada per i prossimi giorni e fino al confine con il Messico dovrebbe essere con meno salite e con un vento a favore.Intanto il mattino è come al solito fresco e con una fitta nebbia, che però mi abbandona pochi chilometri a sud di San Francisco.A meno di 20 km da Santa Cruz faccio l’incontro di Bernie e di sua figlia Clotilde, francesi che stanno viaggiando in bici per alcune settimane da San Francisco fino a Los Angeles.Arrivo a Santa Cruz…

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Incontro Paul, con il quale mi ero separato per qualche chilometro, e Kim-berly che mi invita ad alloggiare da lei..giriamo un pò….In serata capisco cosa voleva dire Paul a proposito della vita della città...In mezzo alla strada e quasi dal nulla, con una macchina, un minimo di amplificazione e dei ragazzi che hanno energie da vendere, si mette su un party che presto raggiunge le cento persone.Al mattino lascio casa di Kimberly e così, dopo averle scritto un biglietto e messo tutto a posto mi lascio alle spalle questa splendida cittadina, Kim-berly e in particolare Paul, con cui ho passato delle belle settimane e che a pelle sento non rivedrò mai più!

San Luis Obispo

Oltre ad essere una ricca cittadina studentesca, è famosa per la sua mis-sione, una delle più a nord che i missionari del diciottesimo secolo costru-irono per “portare la fede” nelle comunità indigene. Le giornate in questa piccola comunità le passo a gironzolare e le sere an-diamo a bere qualche birretta qua e là...

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Pagina a fianco (in alto a sinistra in senso orario) :Antonio in cammino, Alaska;

Paesaggio, Alaska;Manifestazione bikers, Vancouver, Canada;

Los Angeles, California.

In marcia verso Capinteria

Sono lì nel primo pomeriggio, mi rilasso un po’, mi sistemo in campeggio incontro ancora una volta un caro compagno di viaggio, Matt, con il quale decido di fare strada verso Los Angeles.Qui veniamo ospitati da Jennifer una sua cara amica.Poi passerò un paio di giorni tra Las Vegas e il Gran Canyon ... Il Messico è sempre più vicino! La mattina della mia partenza, Jennifer va via prestissimo e io non la sento nemmeno. Quando mi alzo trovo un bigliettino in cui mi augura buona for-tuna e, dopo aver fatto colazione, mi incammino verso gli ultimi chilometri che mi separano dal Messico!

Il 17 settembre, numero per me fortunatissimo, mi trovo ad entrare in Messico, linea di confine che paradossalmente marca la fine di un viaggio e l’inizio di un altro completamente differente... il Messico e, tutto ciò che c’è sotto di esso, rappresenta realmente la motivazione del mio viaggio e la voglia di vivere a stretto contatto con questa realtà!

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Gran Canyon, Arizona, USA

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Il colore che ho scelto di portare con me durante il viaggio è quello della bandiera della pace, da qui l’idea di chiamare l’evento così, simbolo di unione e amore a 360 gradi. Molti la confondono con la bandiera che rap-presenta il movimento omosessuale, di fatto la bandiera nasce proprio per questa ragione a San Francisco, città tra le più liberali e tolleranti del mondo, per parecchio tempo simbolo del libero amore ma da un paio di anni. La bandiera è stata associata ad un amore libero ancora più grande, la pace, il rispetto e l’amore verso tutto e tutti, la libertà sessuale, religiosa, política e soprattutto la libertà dei popoli dalla violenza, senza dubbio la violenza della guerra ma anche le violenze che in ogni gesto feriscono, ridicolizzano o umiliano l’altro.I miei messaggi, il primo associato principalmente ai minori e agli abusi che subiscono nel lavoro e nel quotidiano, il secondo quello contro il mas-chilismo e quindi la violenza sulle donne, sono solo messaggi simbolici che in parte vogliono abbracciare ogni tipo di violenza e vogliono parlare di uno stile di vita e di un modo di pensare votato al rispetto e alla tolleranza del prossimo, del “diverso” o più semplicemente di ogni essere vivente. I colori della pace, ovvero i colori dell’arcoiris, rappresentano quella fu-sione di diversità di cui parlo a proposito della società e della politica, rap-presentano l’unione di miliardi di uomini, quindi di universi, che possono e devono convivere questo mondo, colorando così il quadro più bello che sia stato mai concepito.

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S u d

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corpi-menti-strade

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Eduardo Galeano, scrittore uruguayano, definisce questo mondo come “una scuola del mondo al contrario, con le gambe in aria”. Da buon idealista e sognatore quale sono, continuo a credere nei sogni, nelle utopie di pensiero e continuo a vedere una possibile via di fuga a tutto quello che sta logorando e distruggendo il nostro mondo e che costringe la stragrande maggioranza di esseri umani a vivere in condizioni disgustose. A malincuore, però, devo anche dare atto al fatto che, crescendo, inizio ad essere anche più critico verso i miei stessi principi e i miei più saldi ideali.Un tempo sono stato un estremista per molti aspetti del mio essere, spe-cie in politica.Oggi, sono sempre più consapevole che gli estremi sono per natura sba-gliati e privano l’uomo della sua libertà di pensare, scegliere, fare e vivere.La politica, che ci piaccia o no, determina le società di questo mondo e,spesso, è fatta di estremi, siano essi bianchi, rossi, neri o che so io… qualsiasi sistema tende sempre a sopraffare l’altro, a renderlo inerme, a farlo tacere.Il bianco e il nero da soli dicono ben poco, due tele di questo colore sono uniformi ovunque,ma se queste due tele fossero dipinte con le infinite sfu-mature che, in ogni angolo del mondo ognuno decide di dargli, creereb-bero infinite interpretazioni del pensiero umano.La politica è fatta solo di bianco e nero, la politica non ha ancora com-preso, che la ricerca del bene comune, insieme, vinti e vincitori, è l’unica strada per crescere in maniera sana.

Il bianco e il nero

pagina a fianco :Bimbi a lavoro,Oaxaca, Messico

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Barrio la Boquilla, Cartagena de las Indias, Colombia.

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L’America Latina è fatta principalmente di finte democrazie che vivono per gli interessi di pochi e spremono fino all’ultima goccia intere generazioni.Il capitalismo è considerato la meta da raggiungere e l’ideale politico è un pretesto per nascondersi dietro principi nobili.Il bianco e il nero non fanno grande differenza, sono sistemi estremi in cui i pochi eletti hanno tutti i benefici e, gli altri, nella migliore delle ipo-tesi, qualche piccola briciola che, quasi sempre, con il passare del tempo, devono essere restituite…e non con altre briciole, con guerre civili, con golpe militari e con sangue.Dal Messico, in cui il modello americano è più influente, alle giovani democrazie del Centro America, ai sandinisti del Nicaragua che usurpano il nome di chi morì per liberare la sua terra, alle nazioni burattine del grande impero, Costarica, Panama, Colombia, al finto socialismo-democrazia del Venezuela, tutto sembra essere parte dello stesso copione: chi vince co-manda, chi vince detta le regole, chi vince ha diritto di fare quello che più gli aggrada.Chi perde deve aspettare il prossimo turno…se gli va bene… per fare poi lo stesso con i primi…e la gente, i milioni di contadini, i milioni di nativi, i milioni di cittadini comuni che hanno sofferto, soffrono e continueranno a farlo per sopravvivere?Quelli, sono l’unico aspetto in comune che hanno i bianchi e i neri… Non interessano a nessuno dei due!

America Latina: capitalismo sfrenato e finto socialismo

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E cosi ogni realtà, qualsiasi sia il suo colore, è corrotta, cinica, garante delle caste, fatta da polizie che controllano i traffici sporchi, da governi falsi e populisti sottomessi alle grandi aziende che sfruttano le risorse di un paese per poi invertire i guadagni in altre terre. Governi in cui il tasso di analfabetismo continua a crescere, in cui si sono firmati i trattati dei diritti umani e dove ancora oggi gli indigeni non esistono in nessun senso umano.La controparte di questo quadro, così lacerato e lacerante, è la gioia che popoli come quello latino-americano, continuano ad avere, nel vivere il dono della vita.La continua speranza che affiora dai gesti dei campesini, curvi sui campi di mais, dagli occhi delle mamitas che vendono i loro prodotti nei mercati, dal sorriso dei bimbi che giocando con dei palloni fatti di stoffa e con la loro innocenza ti danno la forza di credere che un giorno loro saranno un pò più coscienti delle generazioni che le hanno precedute.

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Tulum, Messico

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Con il Messico coincide il cambiamento più grande del mio viaggio.Da quando sono entrato in questa nazione, tutto il modo di viaggiare, pedalare, conoscere e vivere si è fatto ancora più lento, se possibile, di quanto non abbia fatto nel nord e, da qui, ho iniziato a vivere da più vicino le diverse realtà sociali e gli innumerevoli problemi che le contraddizioni di questo mondo creano in ogni regione.Dopo aver viaggiato nel nord della penisola messicana, fino a Monterrey e poi per i grandi altipiani che passano da Real de Catorce, San Luis Potosi, Queretaro e infine la grande capitale Messico D.F., mi sposto nuovamente nella costa pacifica dove vado a trovare una cara amica conosciuta in India e dove presterò servizio nel primo centro!Lo scopo del viaggio è quello di sensibilizzare e promuovere il messaggio contro lo sfruttamento minorile e gli abusi in generale ai minori. Questo aspetto lo vivo e lo condivido giornalmente con tutte le persone che incon-tro e dal mio punto di vista è un passo importante, però dal Messico inizio a cercare contatti e centri dove possa lavorare e vivere, con una prospet-tiva interna, certe realtà. Il primo centro in cui mi trovo a lavorare si chiama Piña Palmeira ed è una fondazione molto umile che si occupa dei diversamente abili delle aree indigene di Oaxaca.Qui in Messico la loro realtà è quella dell’abbandono. Spesso molte delle persone con problemi psicomotori non sono nati in

Mexico lindo!

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queste condizioni, ma sono stati condannati dall’incopetenza dei medici oda sbagliate cure ricevute.In tutto ciò il governo tace e non supporta i diversamente abili nè le lorofamiglie.Il centro Piña Palmeira si trova in uno dei paesini più visitati della costamessicana, il piccolo villaggio di Zipolite, conosciuto da molti italiani perle idee libertine in quanto a droga e sesso e battuto principalmente negliAnni Ottanta. Questo villaggio è il classico esempio di come il dio denarosia al di sopra di tutto e di come lo straniero abbia sfruttato le risorse finoal limite e calpestato anche la dignità, solo per il proprio profitto.Il centro, fondato da un brasiliano, una ventina di anni fa, si propone direndere indipendenti, dove possibile, questi ragazzi, insegnando loro unlavoro e offrendogli i mezzi per poter crescere e vivere una vita “normale”.Qui mi sono fermato poco più di un mese e, una delle cose più tristi che hovisto, è stata proprio l’indifferenza della gente nel vedere questi ragazzi onell’offrire loro i servizi minimi per farli vivere.Parlo di semplici scivole per le sedie a rotelle o il semplice permesso diutilizzare i servizi comuni come internet o, poter passare una notte sullaspiaggia ad ascoltare musica o bere un frullato di frutta.Del periodo trascorso li, ricordo un aneddoto in particolare.

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Una delle persone del centro, sulla sedia a rotelle, si recò in un internet point dove si vide negato l’ingresso perchè, secondo il canadese o fran-cese (non ricordo) propietario del locale, la sua difficoltà nel parlare, dis-turbava gli altri clienti. Sdegnati da questo episodio, durante una riunione fatta tra i lavoratori fissi ed i volontari del centro, decidemmo di organizzare una piccola mani-festazione in strada per censurare e chiudere metaforicamente tutte le strutture che vietavano i loro servizi alle persone disabili. Ne venne fuori una bellissima serata in cui riuscimmo a convincere i gestori dei locali ad iniziare i lavori per creare almeno i servizi minimi per i disabili.Il giorno dopo alcuni erano davvero già all’opera!La cosa triste è che il disimpegno dei cittadini verso queste problematiche deriva dal fatto che lo stesso governo messicano non se ne cura partico-larmente. Anche quando vengono mossi i primi passi per garantire certi diritti fondamentali, l’impegno è minimo e disinteressato. Specie quando si parla di indigeni, sembra che la burocrazia e le leggi fatichino molto di più ad essere efficenti, poichè è la fetta di popolazione che meno influisce nelle votazioni. Quindi perchè perdere tempo ed energie ed interessarsi di queste realtà?

Pagina a fianco:Centro per disabili Piña Palmeira,

Zipolite, Messico.In alto a sinistra in senso orario:

Paco;Pronti per fare attività;

Produzione di carta riciclata;Malena

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Dalla costa oaxacaqueña mi dirigo verso lo stato del Chiapas, terra magica e ricca di contraddizioni. Terra che ancora oggi parla il dialetto maya e dove, negli occhi dei suoi abitanti, si vede lo spirito di questa grande ed evolutissima cultura e il forte legame che mantengono con la madre terra. Terra ricchissima che, ad ogni nuovo paesaggio, regala immagini che per sempre rimarranno nel mio cuore.A San Cristobal de las Casas passo un mese intenso e bellissimo, condivido questo periodo con degli amici conosciuti nella costa di Oaxaca e ne ap-profitto per imparare un pò di artesanía, approfondendo le mie conoscen-ze sul macramé (non si sa mai che decida di lavorare nuovamente, questo potrebbe essere un buon lavoro).Proprio nel periodo in cui mi trovavo lì, febbraio-marzo del 2009, la città di San Cristobal vendette la sua principale fonte di acqua alla Coca Cola e iniziarono i problemi nella città. Scoprii che, una delle ragioni per l’assenza di acqua è la mancanza di pagamento da parte della gente. Tuttavia, oltre la metà dell’acqua disponibile, viene usata e NON pagata dalle strutture turistiche, che però sono proprio quelle a cui viene comunque fornito il servizio.Altro dato interessante è che il Messico è il maggior consumatore di Coca Cola al mondo e che la regione del Chapas è quella che più ne consuma all`interno del Messico.

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Non solo il danno ma anche la beffa… e si perchè qui gli stabilimenti della multinazionale sottraggono acqua pura e restituiscono il 60/70% di con-taminazione, arrecando un enorme danno ecologico e allo stesso tempo ricavandone grossi profitti.Altra realtà che mi rattrista parecchio è vedere come gli stessi indigeni siano divisi tra loro. Durante il cammino che da San Cristobal mi porta a Palenque, la famosa e antica città maya dove, fino agli inizi del 1900 si nascondevano i discendenti dei maya, mi accorgo di come, tra un villaggio e il seguente, non ci sia unione e continuità di pensiero o senso comune della lotta per i propri diritti. L’uno è indipendente, l’altro è a favore del governo, un altro ancora è liberato, il prossimo no...e cosi via… Sono dei piccolissimi mondi a se, che ovviamente non riusciranno mai ad ottenere nulla di concreto, mantenendosi disgregati.Il Messico in generale è stato per me un paese interessantissimo, il più vario, culturalmente, che abbia mai visitato, il posto che ha cambiato il senso di movimento del mio viaggio, il primo contatto con l’America Latina e con questo calore unico e avvolgente che possiedono i latini d’America. E’ stato il primo contatto con le cultura precolombiane, i potente e agguer-riti Aztechi e i saggi e misteriosi Maya.Senza dubbio avrà un posto speciale nel mio cuore, come fosse un primo amore, di fatto lo metto li al fianco dell’India, tanto differenti e tanto si-mili…Mexico, Mexico lindo!!!

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Parco naturale di Tairona, Sierra Nevada de Santa Marta, Colombia. Foto di Eva Luna Garcia Mauriño

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Come raccontare il mondo e le sue contraddizioni senza scivolare nella re-torica del buonismo, senza e utilizzare le solite immagini “terzomondiste”? Come utilizzare la fotografia per dire che la meraviglia della vita forse si trova dove le condizioni di disagio sono maggiori e, documentare la felicità dove questa sembra non avere casa.Quanti di noi si sarebbero aspettati da questo diario, foto di miseria, di povertà, piedi sporchi, guance scarne… Beh, raccontare realtà svantag-giate significa anche ribaltare la propria visione, significa riuscire a far tra-pelare il lato felice della vita e non solamente il mediatico dolore.È questo quello che fotografa Antonio. Capta i momenti più gioiosi e il suo dito automaticamente riesce a fare click in quell’istante, per consegnarci quello che, forse, non sappiamo vedere.A proposito di questo scrive così: “Nei posti che sembrano quelli più mar-toriati ho incontrato la voglia di vivere più grande, ho visto la felicità per una palla di pezza e per poter correre a piedi nudi o saltare su una corda e così ridere per ore. Dove ho incontrato più necessità e povertà, ho ricevuto più amore e disponibilità e così ho appreso il dono della vita e il doverla vivere in maniera cosciente, sempre.Per questo, oltre ai paesaggi e gli animali, gli unici momenti che mi piace immortalare sono quelli in cui si percepisce il colore della gioia, quando magari il cuore lacrima”.

Il lato felice della vita

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Barrio la Boquilla,Cartagena de las Indias, Colombia.

Piña Palmeira, Zipolite, Messico,diversamente abile.

Paco, Piña Palmeira, Zipolite, Messico

Barrio la Boquilla, Cartagena de las Indias, Colombia.

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Panama

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pagina a fianco:Diego e Pato.

Diego e Pato sono due artisti argentini, entrambi musicisti e viaggiatori, conosciuti nella città di Panama. La musica per entrambi e l’arte del circo di strada sono i doni con cui, insieme, condividono la bellezza della vita! Diego è un pagliaccio anche nell’animo, la sua sola presenza e le espres-sioni che accompagnano le sue parole, fanno si che la gente si senta felice. Pato (diminuitivo di Patrizia), invece, ha un passato incredibile alle spalle e nelle sue vene scorre il sangue di chi visse e lottò contro la dittatura Argentina. I suoi primi anni di vita e la sua adolescenza li passò sopra un piccolo ve-liero della famiglia, super rivoluzionaria, viaggiando da Buenos Aires al vi-cino Uruguay trasportando costantemente rifugiati politici e persone che pubblicamente si schieravano contro la dittatura.Poco prima di incontrarci, Patrizia aveva vissuto da dentro la lotta organiz-zata contro il neo dittatore Micheletti che aveva appena deposto Zelaya. Con voce determinata e cosciente di chi conosce la lotta politica, mi rac-contava di come in Honduras una rivoluzione vera non sarà mai possibile, perchè le persone capaci di organizzare un’opposizione seria, sono state eliminate e i contadini non hanno idea di cosa fare…ogni evento di pro-testa si trasforma in un disastro e in profonde delusioni che fanno spro-fondare la voglia dei pochi rimasti di raccontare e far emergere la verità.

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Una delle isole riserva della tribù dei Kuna Laya, Arcipelago di San Blas,Panama

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In Guatemala la mia amica Francesca, conosciuta in India anni fa, mi mise in contatto con un centro in cui lei stessa aveva prestato servizio. Il centro si trova nello stato di Chimaltenango, nella parte occidentale del Guatemala, più o meno a metà strada tra la “Antigua Guatemala”, bellissi-ma cittadina coloniale, e il lago di Atitlan, bellissima opera d’arte naturale, uno splendido lago circondato da vulcani.Il centro lavora con gli indigeni dell’area e si occupa di educazione e avvio al lavoro.La struttura è stata creata con fondi europei ed è una bellissima realtà n cui i “potocos”(così chiamano i ragazzi) oltre a studiare imparano un mestiere grazie ai diversi laboratori, all’area dedicata alla produzione di prodotti agricoli e ad una piccola fattoria che fornisce il latte, le uova e quello che serve per nutrire la comunità.Con molte difficoltà e tanta passione e amore, la familia Cardenas, con l’aiuto di alcuni professori, mantengono in piedi questa piccola oasi im-mersa nel nulla. I due coniugi, nativi purosangue, hanno sempre lavorato e lottato per i diritti basici di ogni uomo. Lei è oggi responsabile dei diritti umani in Guatemala e impegnatissima nell’ambito governativo per dar voce ai più piccoli. Lui amministra la struttura ed uno dei due superstiti dei 21 che fondarono l’associazione Kato-Ki , che informava i campesini, al tempo della guerriglia, su cosa stesse succedendo.

Trabajando

Pagina a fianco:In alto a sinistra, in senso orario:Spettacolo teatrale con bambini di discendenza maya, Chiapas, Messico;Incontro tra capi villaggio dell’area rurale di Chimaltenango e funzionari di governo per la realizzazione di un progetto di viabilità e commercio;Consegna dei regali di fine anno scolastico, Barrio la Boquilla, Cartagena de las Indias,Colombia;Nicaragua (foto di “tio Antonio”)

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Quasi tutti i ragazzi, ospiti della comunità, appartengono a famiglie in cui il padre è quasi sempre alcolizzato, spesso lavora negli Stati Uniti e quando è in casa abusa dei figli.I ragazzi spessissimo giocano sui doppi sensi e sull’omosessualità, tipica reazione di un maschio che ha subito o percepito violenze fisiche, le raga-zze, invece, sempre con gli occhi bassi e mai a guardare un uomo in viso. Questo perenne stato di sottomissione aleggia ovunque nelle aree rurali la donna si riduce ad essere la serve dell’uomo, con il compito di fare i lavori di casa, saziare il marito in ogni suo desiderio sessuale e ritrovarsi a trent’anni con corpi irriconoscibili a causa degli innumerevoli parti e della vita di continuo sacrificio.È stato difficile riuscire ad avere una relazione con questi ragazzi. I primi giorni erano pochissimi quelli che accettavano il dialogo, specie i più picco-li. Dopo la prima settimana però siamo riusciti ad incontrarci, e anche con loro la terapia del sorriso e del vedere tutto come un gioco ha funzionato.

In Nicaragua, grazie ad un’amica tedesca, Linda, conosco un catalano ge-niale, Antonio. Antonio ha creato un ambiente unico nel territorio nicaraguense, costru-endo una sorta di industria solidale. Con l’aiuto di alcuni amici che hanno collaborato, ha creato un piccolo

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ostello che è servito come prima entrata economica per poter iniziare dei laboratori per la costruzione di amache. Da lì hanno iniziato a vendere le amache come un’impresa vera e propria, distribuendole in giro per il mondo e facendone di ogni colore e forma. Per i profitti ricavati dalle ven-dite, Antonio ha impostato una ripartizione equa e giusta del ricavato: un 30 per cento per i materiali, un 30 per cento per i lavoratori (quasi tutti giovani ragazzi dei quartieri più umili e poveri) e un 30 per cento per inve-stire in nuovi laboratori, in scuole, in palestre e altre attività.

In Colombia ho lavorato, per un periodo di tempo abbastanza lungo, in un centro Italiano, Boca Azul, fondato da un generale dell’aviazione in pen-sione e dalla moglie.Il centro è un ritrovo per i piccoli ragazzi del barrio della Boquilla, 20 km in periferia della ricchissima e turistica Cartagena de las Indias.In questo centro vivo i momento più intensi di questo viaggio! Qui girano tra i 100 e i 150 bimbi e con tutti instauro un rapporto bellissimo.I ragazzi vanno a scuola e arrivano per ora di pranzo e poi si fermano lì tut-to il pomeriggio, a giocare e a studiare. Il quartiere dove vivono è difficile e davvero umile, le prospettive future per un giovane boquillero sono: se uomo, ladro da piccolissimo; se donna, madre dal momento che il corpo lo permette…

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Imbarcazione Kuna Laya(la caratteristica di queste barche è quella di essere ricavate da un solo tronco d’albero),Arcipelago di San Blas, Panama

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Ci sono quattro luoghi che sembrano essere i più carichi di senso all’interno del viaggio di Antonio, luoghi che lo hanno segnato profondamente ed in-ciso cambiamenti forti nel suo essere e nel suo andare. Lo si vede da come fotografa certi momenti, certi volti, da come è cambiato il suo modo di parlare, e quindi di scrivere, delle realtà che sta vivendo, come le senta più sue, più visceralmente legate all’uomo che si sta modellando su di esse. E questo diario ne è la testimonianza.Il Messico ha cambiato il modo stesso del suo viaggiare, il Guatemala, il Nicaragua e la Colombia, hanno creato una coscienza diversa di se e del mondo. É come se avesse aperto gli occhi su realtà che sconosceva, da buon estraneo, e si fosse confrontato con limiti, personali ed emotivi, di cui, forse, da soli si sente di più il peso.Rincontrare l’amore, sentire la distanza dai vecchi amici, dalla famiglia, sentire l’impotenza di fronte alle difficoltà dei propri cari, impotenza det-tata dalle migliaia di chilometri che separano da “casa”.Allo stesso tempo conoscere persone fantastiche che spendono la pro-pria vita inventando modi di vivere alternativi e dando un senso al proprio esistere, improntato sul costruire futuri sostenibili per se e per gli altri. E dell’esperienza di queste persone Antonio farà tesoro per arricchire la propria.Così questo è diventato non solo un diario di viaggio, così come si pre-figgeva di essere, ma un diario di cambiamento, uno spazio di riflessione intima...Ma forse è proprio questa l’essenza stessa di ogni viaggio.

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In Guatemala ho notato la contraddizione più grande di tutto il viaggio. Nel 1996 in Guatemala sono stati firmati i trattati dei diritti umani e para-dossalmente sembra che questa terra sia proprio quella dove meno si ri-cordino dei nativi e dove questi trattati meno vengono rispettati.In Guatemala ci sono tantissime persone che letteralmente non esistono, non vengono censiti, non hanno diritto all’educazione, non hanno diritto alla sanità non vengono assistiti in niente, e se muoiono è come morisse NESSUNO…

Il Nicaragua è il paese centro americano dove ho passato più tempo. At-tualmente è governato dai sandinisti, seguaci di Sandino che dedicò la sua vita per liberare la nazione dall’esercito di occupazione statunitense e dai poteri del governo USA, che nel 20simo secolo hanno controllato tutto il sistema politico sociale dell’America Latina, con finte democrazie e dit-tature burattine. Sandino morì giovanissimo senza veder realizzato il suo sogno di liberazione e sviluppo. Oggi il presidente Daniel Ortega e, la sua combriccola, sono gli speculatori principali della ricchezza della nazione, mentre l’analfabetismo ha raggiunto livelli altissimi. Il Nicaragua è una delle nazioni al mondo che più ricevono aiuti umanitari. Il numero di organizzazioni che lavora nel territorio, le offerte di servizio volontario a pagamento e gli organi internazionali che aiutano con inves-timenti ingenti è incalcolabile,cosicchè ovunque si ha la possibilità di in-contrare centri, fondazioni, associazioni, strutture agenzie che offrono di tutto…

Andando

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Questo comporta un giro di soldi incredibile e un problema enorme nella vita delle persone locali, perchè la gente dà tutto per dovuto e scontato, chiunque oggi si aspetta che prima o poi arrivi qualcuno che ti costruisca la casa, ti porti l’acqua o ti compri il cibo.

In Nicaragua fui sconvolto da una vicenda terribile.Mi trovavo con degli amici alla splendida laguna di Apoyo, quando vidi che un ragazzo stava annegando e non riuscivano a tirarlo fuori. Andai in suo in soccorso, e riuscii a tirarlo fuori dall’acqua…Il ragazzo era vestito, l’acqua della laguna era pesantissima e io venivo già da lontano, lui si trovava ad una decina di metri di profondità ,ero senza forze…mentre chiedevo aiuto la gente stava a guardare annegarci nell’indifferenza generale. Grazie al soccorso dei miei amici raggiunsi la riva ma il ragazzo era già morto.In quel momento, sentivo una rabbia e un senso di impotenza dettata dall’atteggiamento freddo e cinico delle persone. Quella gente, sulla spiag-gia, trattava il corpo del ragazzo e parlava di quello che era successo come se qualcuno avesse rotto un vaso per strada. Scoprirò dopo che qualcuno aveva persino fotografato il ragazzo mentre annegava.

Colombia. Un paese martoriato da anni di guerriglia e narcotraffico e da governi fantoccio che hanno fatto proliferare i gruppi paramilitari au-mentando la violenza e l’immagine negativa di questa meravigliosa terra.

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La prima impressione che ho della Colombia è di una forte similarità con la mia terra, la Sicilia. Così come la mafia è diventata il simbolo della Sicilia nell’immaginario mondiale, il narcotraffico e la guerriglia hanno fatto lo stesso in Colombia. Ma i siciliani, come i colombiani, non sono solo ques-to, anzi, sono gente bellissima, allegra, ospitale, ma costretta in un ruolo, quello del mafioso e quello del narcotrafficante, che ormai imprigiona la loro stessa visione di sè. Alla fine, diventano immagini che si trasformano in realtà quando si comincia a credere davvero di essere quel personaggio e si fatica a liberarsene.

Il cartello della droga, è il motivo principale per cui gli Stati Uniti sono stati e rimangono i protagonisti della politica colombiana, dato che sono i consumatori della metà della droga prodotta in tutto il mondo e, princi-pali acquirenti della cocaina colombiana. Il gioco della droga, prevede di-versi passaggi, in cui sono coinvolti aereoporti, funzionari statali, dirigente politici. Tutti hanno la loro fettina per permettere il passaggio di queste sostanze e tutti fanno di tutto per continuare a mantenere il giochetto…

Il periodo iniziale, che è stato bellissimo, accompagnato anche dalla magia dell’amore e della relazione che stavo vivendo con Eva, si è presto trasfor-mato in un momento assurdo in cui mi sono ritrovato nel fondo del pozzo più buio e profondo che avessi mai immaginato…

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Immagino che sia una questione di equilibri tra gli stati d’animo e i doni che la vita ci offre, quindi, sentendomi una persona davvero fortunata e grata alla vita per quello che mi ha dato, ogni tanto devo pagare il conto e bilanciare il tutto.Tra il tempo passato da solo, che ormai iniziava ad essere tanto, tra le no-tizie da casa, non tanto positive, tra i miei mille pensieri sulla scelta di con-tinuare il viaggio o ritornare in Italia, prima, e in Spagna poi, per rafforzare la mia relazione con Eva, mi trovavo in un momento in cui tutto si era fatto grigio e senza uscita. Così ho ottenuto solamente due cose: vivere il periodo che mi restava nel centro di Boca Azul rinchiuso in una stanza, senza comunicare con nessuno che non fosse la mia famiglia ed Eva. La prima per sfogarmi e scaricare tutte le tensioni e le mie delusioni, la seconda per litigare e alla fine perderla!Il mese di febbraio e parte di marzo sono stati mesi orrendi, in cui più volte ho pensato di abbandonare il viaggio. Spessissimo ho rivoltato la mia vita e messo in discussione tutto, mi sono sentito, per la prima volta in vita mia, inutile, una cattiva persona e la stessa avventura che sto vivendo, adesso felice più di prima e con più energia di prima, è stata messa in discussione… ero la vittima e il carnefice ero il giudicato e il giudicante di me stesso…

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Così decido di lasciare il centro, a malincuore, certo, perchè in realtà avrei voluto dare e fare molto di più, e mi rimetto a pedalare, sicuro che la strada e il poter stare con me stesso in maniera più intima, mi avrebbe fatto uscire da questa spirale negativa in cui io stesso mi ero cacciato…Oggi mi trovo in Venezuela, magari mentre leggete sono da poco passato in Brasile.

Il tempo è stato maestro in tutta la mia vita, ho appreso che non è vero che cura tutto e le ferite spariscono. Si curano solo in parte, le cicatrici rimangono li, non a farti del male ma a ricordare l’esperienza che hai vissuto e a ricordare quello che hai appreso , a ricordarti che sei caduto e ti sei rialzato e che alla fine stai continuando a cammi-nare…Io continuo a camminare e cadere e rialzarmi e camminare e cadere e, così sempre, in questo meraviglioso mondo, provando a lasciare una piccola scintilla nei cuori di chi conosco e, sicuro che alla fine del mio camminare, anche fosse solo con una piccola briciola e dopo mille cadute, il mondo lo lascerò un pò migliore di come l’ho con-osciuto…

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La utopía está en el horizonte.Camino dos pasos, ella se aleja dos pasos y el horizonte se corre diez pasos más allá. ¿Entonces para que sirve la utopía?Para eso, sirve para caminar.

Eduardo Galeano

L’utopia sta nell’orizzonte. Faccio due passi, lei si allontana due passi e l’orizzonte corre dieci passi più in là. Allora a che serve l’utopia? Per questo, serve per camminare!

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Il ringraziamento più importante va alla mia famiglia, mio padre Alfio, mia madre Pina e mia sorella Emanuela. Senza il loro appoggio e la loro presenza non avrei concluso nulla nella mia vita, e nonos-tante le mie decisioni spesso difficili da digerire sono stati la luce del mio cammino!Ringrazio con il cuore e con affetto le mie amiche Maria Luisa, Giorgia, Agnese, Antonietta, Lucia e la signora Agata Abbate per aver creato dal nulla Peace Zone e per continuare a credere in me e nelle mie follie e farlo in maniera sincera e bellissima…Il più bel regalo che ho ricevuto è stato questo!I miei amici “ Vulkanukasona” Ciccio e Antonio, Andrea “Attraversamente”, che hanno contribuito alla seconda edizione di Peace Zone; Dino Barbagallo e Antonio Rizzo, amici fraterni.Ringrazio i finanziatori che mi hanno permesso di poter iniziare questo sogno e continuare a portarlo avanti, in particolar modo Mario Lozano, amico fraterno madrileno, La Funivia dell’Etna, Nicolosi Tra-sporti, Scuto, Fratelli Vitale, Nuccio Sciuto, il comune di Nicolosi, la provincia di Catania, e tutti quelli che in svariati modi in Italia e durante il cammino hanno collaborato e mi hanno offerto appoggio.

Un grazie particolare va alla mia professoressa di Italiano della scuole medie, che oggi non c’è più, Pina Scatola, e che, grazie al libro che allora undicenne mi consigliò ha acceso in me la passione per il viaggio e l’avventura, il mio libro preferito letto e riletto, Il Signore degli Anelli.I miei capi scout, Santo, Rita, Orazio, Mariella, Mariagrazia, persone che hanno affiancato la mia fami-glia e che oltre ai valori sani e i principi saldi che mi hanno fatto vivere e sperimentare con l’esperienza scout sono stati sempre un esempio per me da seguire con la loro vita e le loro azioni. Infine ringrazio tutte le donne che ho conosciuto e che mi hanno donato i momenti più intensi e belli della mia vita, con qualcuna sono debitore nessuna mi deve niente, da tutte ho ricevuto il massimo del rispetto e dell’amore e tutte hanno arricchito in maniera bellissima la mia vita rendendola meravi-gliosa, ogni tanto difficile, ma meravigliosa… grazie.Sicuramente dimentico tanti e mi scuso, il mio grazie comunque sia è diretto a tutti quelli che ho conosciuto nella mia vita, dal primo che mi ricordi all’ultimo che domani passerà…se sono quello che sono, nel bene e nel male, è anche grazie agli incontri che ho fatto.

Pagina a fianco:Anthony, messicano conosciuto in Nicaragua

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Il ricavato delle vendite del diario di viaggio Peace Zone... camminando per la pace, andrà a sostenere il progetto Alaska - Patagonia. 45000 km di diversità attraverso il finanziamneto del viaggio stesso di Antonio Tomaselli e attraverso le donazioni che Antonio continuerà a fare ai centri visitati.

Pensavate davvero che un Delfino, per di più Astuto, potesse restare a lungo rinchiuso dentro una piscina? Pur divertendosi, intrattenendo ed essendo utile è solo apparentemente felice!