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FEBBRAIO 2012 - n° 145 STAI CAMMINANDO SUI MIEI SOGNI «Da Gerusalemme scendeva verso Gerico la famiglia. Scendeva per le vie tortuose e impervie della storia quando, a una svolta della strada, incontrò i Tempi Moderni. Non erano di natura loro briganti, non peggio di altri tempi, ma si accanirono subito contro la famiglia … Le rubarono prima di tutto la fede, che bene o male aveva conservato fino a quel momento come un fuoco acceso sotto la cenere dei secoli. Poi la spogliarono dell’unità e della fedeltà, della gioia dei figli e di ogni fecondità generosa. Le tolsero infine la serenità del colloquio domestico, la solidarietà con il vicinato e l’ospitalità 1

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FEBBRAIO 2012 - n° 145

STAI CAMMINANDO SUI MIEI SOGNI«Da Gerusalemme scendeva verso Gerico la famiglia. Scendeva per le vie tortuose e impervie della storia quando, a una svolta della strada, incontrò i Tempi Moderni. Non erano di natura loro briganti, non peggio di altri tempi, ma si accanirono subito contro la famiglia … Le rubarono prima di tutto la fede, che bene o male aveva conservato fino a quel momento come un fuoco acceso sotto la cenere dei secoli. Poi la spogliarono dell’unità e della fedeltà, della gioia dei figli e di ogni fecondità generosa. Le tolsero infine la serenità del colloquio domestico, la solidarietà con il vicinato e l’ospitalità

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sacra per i viandanti e i dispersi. La lasciarono così semiviva sull’orlo della strada e se ne andarono a banchettare, ridendo della sorte sventurata della famiglia.Passò per quella strada un sociologo, vide la famiglia sull’orlo della strada, la studiò a lungo e disse: “Ormai è morta”. Le venne accanto uno psicologo e sentenziò: “L’istituzione familiare era oppressiva. Meglio che sia finita!”. La trovò infine un prete che si mise a sgridarla: “Perché non hai resistito ai ladroni? Dovevi combattere di più. Eri forse d’accordo con chi ti calpestava?”Passò poco dopo il Signore, ne ebbe compassione e si chinò su di lei a curarne le ferite, versandovi sopra l’olio della sua tenerezza e il vino del suo amore. Poi, caricatala sulle spalle, la portò alla chiesa e gliela affidò dicendo: “Ho già pagato per lei tutto quello che c’era da pagare. L’ho comprata col mio sangue e voglio farne la mia prima piccola sposa. Non lasciarla più sola sulla strada, in balìa dei Tempi. Ristorala con la mia Parola e il mio Pane. Al mio ritorno chiederò conto di lei”.Quando si riebbe la famiglia ricordò il volto del Signore chino su di lei. Assaporò la gioia di quell’amore». (La Domenica ‘99)

Chinarsi sulla famiglia, sulle sue gioie e sulle sue ferite: è quel che cercheremo di fare in tutte le iniziative che ci porteranno al 7° incontro mondiale delle famiglie (Milano 30 maggio-3 giugno … ci sarà anche il Papa!), una straordinaria occasione di analisi lucide, di riflessioni, di incontro, di ascolto, di dialogo, di franchezza, di festa, di speranza, di accoglienza. Un’occasione da non perdere.Sembrano davvero tempi bui per la famiglia, per il matrimonio, per il matrimonio cristiano indissolubile… Non è raro sentire parlare di disinteresse per il matrimonio, di spavento per la convivenza, di follia per la fedeltà. A volte il matrimonio viene descritto come anacronistico, ridicolo. Si afferma che la monogamia non durerà in eterno, che sparirà anche come ideale … Eppure la famiglia sta sotto i nostri piedi e noi ci troviamo ritti sopra la famiglia. Una parte importante di quel che siamo è scritto nella nostra famiglia.E nonostante tutto, nonostante spesso siano il «crocevia di tutte le fragilità», il matrimonio e la famiglia continuano a essere considerati dai più come tra i fattori più importanti per la realizzazione e per la felicità di ogni persona. Sembrano proprio essere la «chiave della felicità».Forse per questo nella classifica dei dieci articoli più letti nel 2011 sul New York Times c’è quello sul matrimonio proposto non come il territorio recintato dai sacrifici ma come il giardino in cui coltivare le opportunità della libertà. Forse per questo la copertina scelta dalla rivista tedesca Der Spiegel per salutare l’anno nuovo era dedicata al matrimonio e intitolata “Amore eterno”. Scelte apparentemente fuori moda tali da spingere una giornalista a chiedersi: “È dunque il matrimonio la risposta più moderna ai tempi, incerti di tutto, che dovremo vivere?”. Io credo di sì! Per questo invito tutti a non aver paura della proposta evangelica dell’amore per sempre, un amore forte come la morte, anzi di più. Nella certezza che il Dio dei cristiani sogna la felicità per ogni uomo e donna, sogna con loro. Non è un Dio guastafeste, non è un Dio concorrente o geloso dell’uomo. Come ci narra splendidamente Paul Claudel ne La scarpetta di raso quando scrive di un dialogo tra la protagonista femminile del dramma, combattuta tra la paura e il desiderio di arrendersi all’amore, e il suo angelo custode.

«Donna Prouhèze: “È dunque permesso questo amore delle creature l’una per l’altra? Davvero, Dio non è geloso?”. L’angelo custode: “Come potrebbe essere geloso di ciò che ha fatto lui stesso?” (…). Donna Prouhèze: “Ma l’uomo nelle braccia della donna dimentica Dio”. L’angelo custode: “È forse dimenticarlo essere con lui ed essere associati al mistero della sua creazione?”».

Dio sogna di far fiorire la nostra umanità, nulla toglie ma piuttosto aggiunge. Per realizzare il suo sogno il nostro Dio deve poter entrare nei sogni dell’uomo e l’uomo deve poter sognare i sogni di Dio …

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Se avessi il drappo ricamato del cielo,intessuto dell'oro e dell'argento e della luce,

i drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della nottedai mezzi colori dell'alba e del tramonto,stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:

invece, essendo povero, ho soltanto i sogni;e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;

cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.(William Butler Yeats, da "Il vento tra le canne", 1899)

Che meraviglia! Ogni giorno qualcuno stende sotto i piedi di un altro i suoi sogni: la moglie col marito, il marito con la moglie, i figli coi genitori, i genitori coi figli, i fidanzati, gli amici, le famiglie con la Chiesa … e noi dovremmo imparare a camminare con piedi leggeri, perché non c’è niente di più bello, e insieme di più fragile, di quel sogno a cui abbiamo dato nome amore. Un sogno che va custodito, fatto crescere, accompagnato con un di più di tenerezza, di audacia, di speranza, di fede, di preghiera. È il cammino dell’amore, è il viaggio dell’amore (stupenda la barca degli sposi di Chagall in copertina!), è la scuola dell’amore. È la bellezza dell’amore che ti fa scoprire di essere interamente tuo quando “appartieni” a un altro, è la bellezza dell’amore che fa il cielo più limpido e la terra più profumata. Un amore come l’amore di Dio. Per sempre.

DON MIRKO www.donmirkobellora.it

Appuntamenti da ricordare

∗ Domenica 15 aprile 2012 alla cascina Lodovica Festa cittadina delle famiglieUn giorno di festa per gustare la gioia di stare insieme.

∗ Dal 30 maggio al 3 giugno 2012 a MilanoVII° Incontro mondiale delle famiglieLa famiglia: il lavoro e la festa

∗ Domenica 17 giugno 2012 in chiesa S. MicheleFesta anniversari di matrimoniOre 10 Preludio con musica classica Ore 11 Santa Messa

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La comunità pastorale “Beata Vergine del Rosario” in Vimercate e Buragoaccoglie con grande gioia il dono di un nuovo sacerdote

DON MICHELE DI NUNZIO

Breve profilo per i fedeli di Vimercate Sono don Michele Di Nunzio, sono nato il 23 marzo 1965, provengo dalla diocesi di Foggia-Bovino, scarsi 200.000 abitanti.Prete da vent'anni, sin dall'inizio fui 'assegnato' alla Curia diocesana, occupandomi del primo Sinodo diocesano occasione che mi portò ad avere contatti con la Chiesa Ambrosiana che aveva appena concluso il proprio 47° Sinodo, insomma lo stato dell'arte della sinodalità.

Un passo indietro. Dopo gli studi di base, fui invitato a proseguire col diritto canonico, benché fossi più orientato alla liturgia, o magari alla filosofia. Così mi son occupato - oltre alla curia - di tribunale matrimoniale ... per gran parte del ministero. Il residuo andava alla pastorale di associazioni e gruppi ecclesiali. Fui poi chiamato a Roma per un incarico di curia durante il quale compresi esser giunto il momento di ricaricare le pile... Conoscevo i padri Barnabiti di Eupilio sin dagli anni della formazione. D'accordo col mio vescovo decisi di rigenerarmi nella verde Brianza sostenuto dai pp. Barnabiti cui va la più sincera gratitudine per la fraternità e l'accoglienza dimostratemi. Mi sono reso utile collaborando nei servizi richiesti alla comunità religiosa. Ne sono nate stime reciproche, amicizie sincere, bei cammini di fede.

Nel frattempo maturavo l'idea di fermarmi in zona per concomitanti motivazioni: l'opportunità di sperimentare un modello pastorale stimolante ma conosciuto solo in teoria, la vicinanza dei miei familiari da tempo nel milanese, alcuni incontri spiritualmente rilevanti per la mia formazione permanente. L'idea, affatto contrastata dal mio vescovo peraltro originario di Cesano Maderno - fu manifestata a Mons. Molinari. Ed eccomi qui.

Sono contento di iniziare a Vimercate, con voi, l'esperienza della comunità pastorale che per me é una stimolante avventura: la corresponsabilità del team sacerdotale, la collaborazione dei laici, l'autorevole guida di don Mirko - di cui ho subito apprezzato umanità e determinazione, oltre... l'occhio di gufo. Quanto ai "compiti per casa", mi é stato proposto di occuparmi della famiglia, di cui per lo più mi è nota la 'Caporetto'. Che dire.. ho tutto da imparare ed avrò bisogno della vostra pazienza per entrare nella cultura ambrosiana, e, se mi date fiducia, anche nelle vostre buone prassi, scoglio più duro per le new entry.

Vengo tra voi sempre più radicato nell'esperienza di Gesù, unico Signore della mia vita, confidando in Lui che "mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero..." (1 Tm 1,12).

Mi affido al vostro sostegno fraterno, alla premurosa maternità della Vergine del Rosario, all'intercessione dei santi titolari delle nostre parrocchie, perché questa opera giunga a compimento.

don Michele Di Nunzio

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Un cambiamento di mentalitàUn nuovo stile di evangelizzazione nella Chiesa

I santi sono per noi un modello di vita, esempio di chi sceglie di non mettere più al centro se stesso, ma di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo. Penso che dovremmo guardare a don Bosco per quegli aspetti della sua vita che ci possono essere di modello, o meglio per un metodo che da sempre nella Chiesa è risultato vincente.Don Bosco ha saputo lasciarsi interrogare dai problemi sociali del suo tempo. Siamo a Torino nella seconda metà dell’800 quando, in seguito ad un’ondata di immigrazione dovuta alla ricerca di lavoro e all'insediamento numeroso e disordinato di famiglie sradicate da contesti geografici e culturali di origine diversa, la precarietà economica, l’ignoranza e la miseria morale si ripercossero dolorosamente sulla vita sociale e religiosa della città, con espressioni di devianza e pericolosità sociale, di abbandono della pratica religiosa, di incuria educativa da parte di genitori obbligati all'in-serimento precoce dei bambini nel mondo del lavoro, in condizioni spesso disumane e di palese sfruttamento economico. Alla domenica e nei giorni festivi quella multiforme massa giovanile invadeva strade, piazze e prati della periferia, offrendo agli occhi della popolazione un impressionante quadro di miseria, di ignoranza e di violenza. Don Bosco, con altri giovani sacerdoti, capì che l’oratorio poteva costituire un’adeguata risposta a tale critica situazione. In oratorio don Bosco rovesciò la situazione: chiese ai ragazzi più grandi, abituati ad usare prepotenza, di prendersi cura e di proteggere i più piccoli; agli educatori vietò di picchiare i ragazzi anche se ribelli. Chiamato in carcere a confessare i ragazzi che, recidivi, erano condannati a morte, avendo visto e sofferto per il fallimento di tante vite giovani, capì che, solo attraverso la conoscenza, la formazione e la realizzazione professionale, avrebbe potuto salvare la vita di questi giovani. Per distinguere il suo metodo dal sistema repressivo di educazione, prevalente a quell’epoca, egli chiamò il proprio metodo “sistema preventivo” perché esso cerca il modo di prevenire la necessità della punizione, collocando il ragazzo in un ambiente in cui egli è incoraggiato a dare il meglio di sé. Il comportamento di don Bosco è illuminante per guidarci nella ricerca di quei cambiamenti pastorali che sono necessari oggi. Noi ci sentiamo inadeguati nel trovare soluzioni ai nuovi problemi che sono sorti in questi decenni e che ci mettono in crisi. Seguendo l’esempio di don Bosco dobbiamo imparare a reagire in modo diverso di fronte ad una critica, che è comunque il segnale che qualcosa non va, o ad un risultato che non riusciamo a ottenere mentre è più facile che ci irritiamo o ci lamentiamo con chi non corrisponde. Sforziamoci invece di ascoltare, di capire il problema; allora sarà più facile individuare anche che cosa siamo chiamati a realizzare.

* * *In questo momento storico la difficoltà più grande che registriamo nella pastorale a livello parrocchiale è l’incapacità di entrare in relazione con quelle persone che, per i più svariati motivi, faticano a frequentare la Messa domenicale come momento di incontro con gli altri credenti.Viviamo una forma di cristianesimo privato; tanti si dicono credenti ma non praticano, non esprimono con atti pubblici la loro fede, non si sentono di appartenere ad una comunità, alla Chiesa verso la cui istituzione dimostrano poca fiducia e stima, perché non ne avvertono alcun legame. Questo però non è il primo e più immediato problema, tanto è vero che quando si riesce a trovare un prete o una comunità “diversa”, capace di relazioni umane, tutto diventa possibile.Finalmente abbiamo capito dove sta il cuore della questione e cominciamo a muovere i primi passi in una direzione nuova, verso una “nuova evangelizzazione”. In questa linea vanno capite le richieste ai laici di visitare le famiglie in occasione del Natale, per rompere l’isolamento che non è

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più un male della sola città, ma di paesi anche più piccoli, la nuova forma di catechesi di iniziazione alla Comunione e alla Cresima che si prende cura dei genitori alla pari dei figli se non di più e l’invito a iniziare un rapporto con i genitori che chiedono il battesimo dei loro figli.

Sono solo dei passi, ma la direzione è giusta e si rivela promettente. Chi ha il coraggio di intraprendere questo cammino si accorge che il clima cambia, il rapporto umano da subito appare più facile del previsto, che tante perplessità cadono immediatamente. La cosa più bella è che le tante scuse che solitamente venivano accampate per prendere le distanze, sembrano svanire d’incanto.Mi è capitato così di distribuire 57 vangeli ad altrettanti genitori di bambini di prima e seconda elementare su 60 convocati in una domenica di gennaio, stupito, che né le malattie di stagione, nè il freddo, la “settimana bianca”, le attività sportive o altro avessero impedito la partecipazione, come è sempre accaduto e accade tutt’ora per i genitori dei ragazzi più grandi. Lo stupore nasce anche nell’ascoltare i genitori che parlano mettendosi in gioco in prima persona, senza timore di essere giudicati, aiutando a capire dove veramente stanno i problemi che impediscono di vivere oggi in famiglia la trasmissione della fede.Certamente il primo passo è stato quello che hanno compiuto le catechiste, capaci di una vera accoglienza, di accettare ognuno nella sua situazione, di interessarsi ma con discrezione, di non aspettare, ma di andare incontro, di non presentarsi in un ruolo ma semplicemente come mamme che parlano ad altri genitori.

La situazione più difficile al momento si presenta quella della pastorale che si occupa dei genitori prima e dopo il battesimo. L’impressione è che qui non siamo ancora riusciti a capirne le esigenze e quindi chiediamo cose “impossibili”, adottiamo con loro lo stesso metodo che siamo soliti usare: la convocazione ad una riunione, dimenticando che ci sono mamme che, non potendo contare sulla vicinanza dei genitori, si ritrovano sole e vivono la maternità come un tempo bellissimo ma totalmente nuovo e gravido di pensieri che non sempre possono condividere. La prima cosa che dovremmo fare è rimanere loro accanto, come donna, come mamma se non come nonna. Siamo più inclini a pretendere dalla famiglia, dalla coppia che non a dare aiuto. Dovremmo, ad esempio, riuscire a creare un servizio di baby sitter che conceda ai genitori qualche sera libera prima di chiedere loro l’impegno di trovare il tempo per una riunione. L’esempio dei missionari che “parlano” del Vangelo soprattutto con uno stile di vita, che spesso sono impegnati nella promozione umana prima che nella catechesi e nei sacramenti, ci potrebbe aiutare a cambiare questa mentalità.Fino a che il figlio non inizia la scuola materna, quindi per tre anni, alcuni genitori rimangono soli, ai margini della Comunità. Registrando questa realtà dovremmo essere noi a non dimenticarci di loro creando una rete di rapporti veri, umani, che non si riducano solo ad un incontro formale. In altre parole, occorre che dimostriamo che a noi sta più a cuore la loro persona che non il Battesimo, o il gruppo, o la Chiesa. Se non riescono a partecipare siamo noi che ci facciamo carico di condividere, senza assillare, ma senza dimenticare. Questo è il cambiamento: stabilire legami, interessamento autentico, rapporti veri affinchè chi non è presente non venga considerato assente, dimenticato ma più vicino perchè lo portiamo nel nostro cuore ogni volta che ci riuniamo nell’assemblea dei fratelli (ecclesia). don Marco

∗ Tutti coloro che desiderano intervenire sull’argomento possono scrivere a [email protected]

∗ Per rimanere collegati alla vita della comunità è possibile usare anche il sito della parrocchia che permette di conoscere, di mantenersi informati, anche quando non è possibile partecipare alle varie iniziative. Ogni settimana viene pubblicato il foglio degli avvisi parrocchiali “Comunità Orenese” e c’è la possibilità di riascoltare conferenze che sono avvenute in teatro.

∗ Per coltivare anche a casa la formazione spirituale si possono ascoltare le omelie di don Mirko o leggere quelle di don Marco, riprendendo lungo la settimana le intenzioni di preghiera domenicali.

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DIARIO DI DICEMBRE e GENNAIOAppunti per ricordare, riflettere e ringraziare Dio

18 dicembreRestaurata … resta da pagare

Il Comitato spontaneo, per la ristrutturazione dell’edicola religiosa della Madonna di Caravaggio, ringrazia tutta quanta la popola-zione, le Autorità comunali e religiose, gli Enti sponsorizzatori e i vari Tecnici che con il loro contributo finanziario e morale, hanno permesso la realizzazione dei lavori di restauro. L’ammontare complessivo della spesa ha raggiunto l’importo di 12.000 €, dei quali 8.000 già versati. Rimane, pertanto, un residuo di 4.000 € la cui scadenza è prevista per la fine di febbraio c. a.Il Comitato, fra le varie iniziative escogitate per la raccolta di altri fondi, ha promosso una “cazzoeulata” per la sera di sabato 18 febbraio p. v. da consumarsi presso il Centro don Bosco di via Madonna (l’Oratorio) mediante il contributo di 20 €, tutto compreso.Si fa affidamento sulla generosa partecipa-zione della Popolazione ricordando che i posti sono limitati a n° 100.

20 gennaioLe cose che senti nel cuoreGiorgio aveva voluto esserci a tutti i costi il 19 dicembre allo spettacolo che aveva organizzato per dire ancora una volta il suo ringraziamento e il suo inno alla vita e così ha “accompagnato” all’Onnicomprensivo i medici del S. Gerardo che avrebbero ritirato il contributo per la borsa di studio. Un’emozione vederlo sulla sedia a rotelle, segnato dalla lotta contro la malattia, ma presente a testimoniare una grande e generosa dedizione. Ecco la poesia che aveva composto in ospedale e che ci racconta di un uomo non solo entusiasta di vivere, ma grato di aver ricevuto tanto da Dio e dagli uomini, anche negli anni della malattia. don Marco

Le cose che senti nel cuore sono sempre le più belle, sono quelleche i tuoi occhi, spesso distratti da un mondo confuso, non vedono.Anche un monito, pur forte che sia, non potrà farti male seviene dal cuore.Corri incontro alla vita sempre, balla, cantala, vivila come tidice il tuo cuore.Dividi il tuo cuore in tante piccole stelle e donane una ad ognipersona che incontri, ed avrai un cielo trapunto d’amore.

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Al tuo cuore non occorrono parole, le cose che senti nel cuorele puoi scrivere ovunque.

Giorgio Rovelli

Durante la Messa il giorno del suo funerale abbiamo raccolto 1.504 € per continuare a sostenere la ricerca delle malattie tumorali del sangue. Chi volesse raccogliere l’invito di Giorgio può contribu-re versando la sua offerta sul C/C N. 173082/34 Banca B.c.c. Carugate - Via Bice Cremagnani - Vimercate intestato ad: "ASSOCIAZIONE ERIS"

Dalla rivista SCARP DE’ TENIS, DICEMBRE 2011, letta per noi da Paola Figini

LA MAFIA FA SCHIFOI ragazzi dai 12 ai 19 anni che in questi ultimi cinque anni hanno incontrato nelle scuole Nicola Gratteri, uno dei magistrati più impegnati nelle lotta alla 'ndrangheta, lo sanno che la mafia fa schifo! “All'indifferenza preferiscono la consapevolezza” questo è scritto nelle loro lettere raccolte in un libro grazie allo storico delle organizzazioni criminali Antonio Nicaso che li ha seguiti insieme a Gratteri nel progetto. Il libro si intitola proprio “La mafia fa schifo” e Scarp de' tenis ne ha parlato intervistando proprio questo procuratore che dal 1989 vive sotto scorta perchè esposto nella lotta contro la 'ndrangheta. “I ragazzi hanno capito che le mafie si combattono con la partecipazione, ciascuno di noi può fare qualcosa attraverso piccoli comportamenti quotidiani, fatti di lealtà, rispetto delle regole, amore per il prossimo.” La scelta del quieto vivere operata dai genitori lentamente sta cambiando, “.. la parola ha una forza sovversiva come la memoria, i mafiosi si nutrono del nostro silenzio...i social network hanno contribuito a diffondere la rabbia di molti giovani, ma anche la consapevolezza rispetto a certi fenomeni e certe mentalità che resistono all'usura del tempo..” Nelle lettere inoltre emerge una percezione dei ragazzi di una Chiesa che si muove su due binari come se da un lato non si pronunciasse in modo incisivo contro la criminalità organizzata e dall'altro lato i sacerdoti di frontiera, tra mille rischi cerchino di praticare il catechismo della legalità. Purtroppo, racconta Gratteri, “Ci sono mafiosi che contribuiscono a raccogliere soldi per ristrutturare chiese e altri che organizzano feste patronali per guadagnare consenso sociale; bisognerebbe scomunicare i mafiosi come atto simbolico!”Nel libro ci sono anche le lettere di Cinzia, 16 anni, figlia di un mafioso ucciso, per lei “scegliere di cambiare è un dovere” fa parte del Comitato Addiopizzo junior; Gratteri commenta con entusiasmo la lucidità di questi giovani ma ricorda che c'è la necessità di far fronte comune omologando le riforme normative sul piano europeo, creando un'antimafia che possa colpire i mafiosi nei loro interessi in ogni angolo del mondo. Nel libro “La mafia fa schifo” si parla di speranza e coraggio e nell'intervista il magistrato ribadisce “Gli incontri con i giovani, realizzati nel tempo libero, ci danno la forza e ci fanno guardare avanti e lontano con maggiore convinzione. Non bisogna tradire le aspettative dei ragazzi. Sono una ricchezza, vanno ascoltati e valorizzati”.

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Dio è morto?Vite in offerta

Mentre scrivo ricorre ‘il giorno della memoria’, a ricordo dell’ Olocausto. Sono numerose le donne ebree dal forte temperamento a spiccare nel contesto drammatico che precedette e segui il secondo conflitto mondiale. Le tre menti più acute della riflessione filosofica nella prima metà del ‘900 europeo, Edmund Husserl - Karl Jaspers e Martin Heidegger, ebbero come interlocutrici privilegiate due di loro: Hannah Arendt ed Edith Stein.

Martin Heidegger, proprio nel momento in cui succedeva al suo maestro, Husserl, e iniziava i suoi celebri semestri didattici a Friburgo si imbattè negli occhi penetranti e luminosi di una diciottenne in prima fila: Hannah Arendt. Nacque una relazione intensa e segreta tra la giovane allieva e il professore universitario, già famoso e già sposato. Il rapporto si interruppe quando nel 1926 Heidegger si accomiatò dalla Arendt per dedicarsi nella sua baita sulla Foresta Nera a una lunga riflessione filosofica, pubblicata l’anno seguente col titolo Essere e tempo e destinata a segnare la storia del pensiero. L’estraneità generata in Hannah da quella lontananza forzata divenne poi ostilità quando Heidegger ebbe un atteggiamento compiacente col nazismo, fino ad assumere l’incarico di rettore dell’Università di Friburgo, mentre numerosi suoi colleghi ebrei venivano sospesi dell’insegnamento o imprigionati: la Arendt si sentì tradita e umiliata. Solo dopo due decenni, quando ormai Heidegger aveva pagato con un lungo isolamento culturale e sociale quel tragico errore, la Arendt tornò a contattare l’antico maestro, non per riprendere una storia d’ amanti, ma per riannodare quel sodalizio di pensieri e di affinità elettive che aveva improntato di sé l’allieva. Alla ripresa dei contatti la Arendt era ormai una personalità matura, sfuggita in tempo alla persecuzione nazista ed emigrata negli U.S.A., dove fu giornalista, scrittrice e infine docente universitaria.

I rapporti del loro ‘ricominciamento’ furono prevalentemente epistolari, con occasionali visite di lei a casa Heidegger nel periodo estivo. L’iniziale imbarazzo delle prime lettere, lasciò via via il posto ad una nuova confidenza, all’antica stima, a una ritrovata sintonia spirituale fino a lasciar trasparire l’impressione di una ripresa, pur mitigata dagli anni, dei sentimenti di un tempo. (Hannah Arendt-Martin Heidegger, Lettere 1925-1975, ed. Comunità, 2001). Dagli Stati Uniti la Arendt aiutò come potè Heidegger a uscire dall’isolamento in cui era stato lasciato: contattò editori, curò personalmente la revisione delle traduzioni, promosse l’edizione delle opere di Heidegger, tenne seminari sul suo pensiero. Heidegger ritrovò in lei quel che l’aveva colpito nella giovane diciottenne della prima fila: il rigore intellettuale, la passione per la verità, la ricerca della giustizia senza compromessi, l’indifferenza per il pensiero uniformato e per una vita dagli obiettivi scontati giacchè, aveva detto lei, s’era iscritta consapevolmente a una facoltà di morti di fame, ma per questo più duri e più esigenti.

Animata da questa sensibilità la riflessione filosofica della Arendt si era sempre più orientata alla analisi politica, alla critica sociale, al lotta ad ogni sopruso e, soprattutto, alla denuncia di ogni risorgente rischio di totalitarismo. Inviata nel’61 a Gerusalemme come corrispondente del New Yorker per seguire il processo Eichmann, il suo sguardo si fissò sulla Banalità del male, titolo dellasua opera più famosa e contestata, con cui stigmatizzava il vuoto intellettuale e morale del criminale Eichmann, ma anche le connivenze dei molti collaborazionisti ebrei. E’ facile immaginare la reazione risentita del mondo ebraico, che mise in atto una campagna diffamatoria nella quale

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intervenne pubblicamente a difesa della Arendt Karl Jaspers, la grande coscienza critica della Germania postbellica.

Jaspers, mentre Heidegger era celebrato rettore a Friburgo, sfuggiva per un soffio all’arresto e alla deportazione per essere stato ostile al regime e marito devoto di una moglie ebrea. Heidegger e Jaspers si conoscevano bene e si emulavano a distanza; Jaspers non nascose mai l’ammirazione per la forza speculativa della mente di Heidegger il quale, nel momento della persecuzione nazista, non fece nulla per aiutare l’amico. Anche questo pesò sul risentimento che in quegli anni ad Heidegger riservò la Arendt, la quale fu invece sempre legata a Jaspers da una devota amicizia e da una franco confronto di opinioni. Dagli Stati Uniti fece pervenire ai coniugi Jaspers rifugiati in Svizzera spedizioni alimentari bisettimanali, curandosi del loro sostentamento finchè a Jaspers fu conferita la cattedra universitaria di filosofia all’università di Basilea. Anche gli scambi epiostolari tra i due ( Hannah Arendt-Karl Jaspers, Carteggio, 1926-1969, Feltrinelli, 1989 ), testimoniano l’altezza della loro tensione ideale. Quando Heidegger compì 80 anni toccò alla Arendt tenere la laudatio accademica presso l’università di Friburgo. Quando morì Jaspers l’università di Basilea volle che il discorso commemorativo fosse tenuto ancora da lei.

E Dio? Sembra non esserci un Dio nell’orizzonte della Arendt, benchè ella conoscesse bene sia la teologia cristiana che il pensiero patristico. Del resto la grande sintonia spirituale tra la Arendt e Heidegger rimanda all’interrogativo se il grande maestro di Friburgo fosse credente o no. L’ansia di assoluto con cui Heidegger condusse la sua ricerca ha fatto scrivere a Bruno Forte, filosofo e fine teologo oggi vescovo di Chieti-Vasto, che Heidegger alla filosofia giunge dalla teologia, per poi in essa in modo inusitato riaprirsi chiamando l’Essere sorgivo indicibile e indeducibile della sua ricerca “l’Ultimo Dio” che ci potrà salvare. (Bruo Forte, La sfida di Dio, Mondadori, 2001)

Non m’è rimasto spazio per dire di un’altra grande donna: Edith Stein; ma essa è certamente più conosciuta nelle coordinate essenziali della biografia, oltre che per la risonanza ecclesiale, anche per un’ intensa lettura cinematografica della sua vita, fatta dalla regista ungherese Marta Merzaros nel film La settima stanza. La Stein fu prima collega di Heidegger e assistente con lui di Husserl, il fondatore della Fenomenologia; quando vinse una cattedra universitaria iniziò la persecuzione nazista, ma anche la sua chiamata a farsi cristiana, folgorata una notte dalla lettura dell’autobiografia di S. Teresa d’Avila. Visse, come Simone Weil, tutti i tormenti di un’ebrea che ‘tradisce’ il suo ebraismo per un’altra fede, ma si fece cristiana e monaca carmelitana, come santa Teresa, col nome di Teresa Benedetta della Croce. Volle però essere solidale col suo popolo e non fece nulla per sottrarsi alla persecuzione nazista. Strappata dal monastero, dove anche una sorella si era consacrata carmelitana, morì in una camera a gas di Auscchwitz, dopo aver fatto della sua vita un’offerta totale a Cristo e aver vissuto con Lui la notte oscura dell’abbandono da parte di Dio. Aveva scritto: Essere partecipe della passione di Cristo, questa è la mia aspirazione. Fu esaudita. Giovanni Paolo II l’ha proclamata Santa, Dottore della Chiesa e Compatrona d’Europa.

Lino Varisco

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Pensieri da meditare (2a parte)

Continuiamo ad ascoltare fratel Lino, monaco della Comunità di Bose, nella sua meditazione che ci ha proposto il 14 dicembre scorso. In particolare riflettiamo sul tema della fiducia e l’accoglienza.

C’è una coscienza in noi della fiducia che ci è stata accordata per il fatto che ci siamo, per il fatto che noi siamo creature, per il dono che abbiamo ricevuto della vita? C’è tutto un linguaggio della fiducia che è preparatorio alla fede, senza il quale la parola fede rischia di essere una parola schematica e insufficiente. C’è un tessuto della fiducia in cui noi facciamo fatica perchè siamo in un momento di insicurezza, di incredulità nelle relazioni. Una vecchia pubblicità diceva: “Galbani vuol dire fiducia”, oggi una pubblicità di questo tipo non sarebbe compresa. Oggi il linguaggio della pubblicità è infarcito della parola sicurezza, bisogno di sicurezza, bisogno di difesa personale, bisogno di blindare una mia identità. Spesso alcune persone faticano su quel terreno così essenziale alla vita, non sono in grado di sentire la fiducia dell’altro perché non l’hanno ricevuta dai canali ordinari del padre e della madre. Ciascuno di noi però ha avuto momenti in cui ha potuto reperire da altri la fiducia essenziale per la crescita, per lo sviluppo, per la pienezza di una persona. Se noi non reperiamo una fiducia che è stata fatta su di noi facciamo fatica poi a averla in noi e dobbiamo benedire quelle persone che nella nostra vita hanno creduto in noi in qualche maniera, in quello che semplicemente eravamo. Questo tessuto della fiducia si è rarefatto ed è invece importante, essenziale per la nostra umanità, perché da qui sfocia nella fede. Come posso parlare di fede in Dio che è un compimento ed è il punto terminale di una serie di fedi se io non ho fiducia in mia moglie, nei miei fratelli, in chi mi vive accanto?A volte sentiamo persone che dicono: ho una grande fiducia in Dio, ho un rapporto intensissimo con Dio, poi vedi che trattano con freddezza le persone che hanno accanto. C’è una continuità dell’esperienza della fiducia che si apre alla fede su cui noi oggi siamo minacciati. Io credo in Gesù come narrazione di Dio. Gesù era capace di dare fiducia nelle persone che incontrava, sapeva creare un ambiente in cui la persona era stimolata a tirare fuori la propria parte migliore. E’ un’arte, è l’arte dell’incontro. Come mai le prostitute andavano da Gesù? I vangeli ce lo testimoniano: egli aveva una capacità di accoglienza che dava la possibilità a queste persone di ritrovare la loro identità perduta, la loro bellezza nascosta, la loro bellezza offuscata e di poterla nuovamente manifestare.Ecco quindi un tratto che noi vediamo nella vita di Gesù che ci può fortemente parlare oggi e che può essere per noi un riferimento grande: questa capacità di creare uno spazio di accoglienza, questa capacità di incontrare l’altro senza etichettarlo. Noi a volte diciamo: adesso vado ad incontrare l’anziano, l’handicappato, qualcuno che noi pensiamo di sapere un pochino com’è. Questo non è un incontro nel senso vero del termine, perché solo nell’incontro l’altro si rivela essere un povero, un anziano, un bisognoso e non possiamo dire di conoscerlo prima.Gesù aveva anche questa capacità di dialogo perché sapeva diminuire rispetto all’altro cioè sapeva ascoltare.Noi facciamo fatica forse, magari siamo angosciati, preoccupati. Cosa fa una persona preoccupata? Parla, parla magari non sa cosa dice, riversa parole magari per colmare un’ansia che ha dentro. Gesù aveva una saldezza personale che gli permetteva di ascoltare, di lasciare che l’altro si esprimesse e di farsi piccolo per permettere all’altro di espandersi. E’ una specie di nascondimento che Gesù opera di sè, della propria qualità proprio perché l’altro non sia sovrastato e possa crescere, dilatarsi.

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COMUNITÀ PASTORALEBEATA VERGINE DEL ROSARIO

IN VIMERCATE E BURAGO

QUARESIMALE 2012La Famiglia: il lavoro e la festa

venerdì 2 marzoCena povera e Via Crucis

Il digiuno e la preghiera segni di solidarietà

venerdì 9 marzoCecilia Pirrone e Giovanni Ferrario

“Quando il lavoro s-coppia”: lavoro e vita di coppia

venerdì 16 marzoMariateresa Zattoni e Gilberto Gillini

Un incanto che non teme il disincanto

venerdì 23 marzodon Francesco Scanziani

A scuola di relazioni. Maestro: Gesù di Nazareth

venerdì 30 marzoLuigi Accattoli

La famiglia è gelosa della domenica

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