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Anno IV - N° 1 - Gennaio 2014 a cura dell’Ufficio PD Italiani nel mondo email: [email protected] Chiuso in redazione il 21 Gennaio alle ore 15 DAL PARLAMENTO Grande vittoria per le mamme italiane 3 Incoraggianti segnali dalla visita di Letta in Messico 4 Accelerare tempi per insegnamen- to migrazioni nelle scuole 6 Il confronto sulla rete consolare deve partire dalla realtà 7 ANALISI E COMMENTI Cittadini italiani oltre l’Europa (Cesare Saccani) 8 Si stava meglio quando si stava peggio? (Dino Nardi) 12 OLTRE IL BORDO DEL PIATTO Quote? Forse, ma…(Carla Ciar- lantini-Krick) 14 QUI NEW YORK Si spegne una stella repubblicana nel Nordest degli Usa? (Silvana Mangione) 16 SOMMARIO NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO segue a pag. 2 La Direzione nazionale del Partito Democrati- co riunitasi il 16 gennaio, su sollecitazione dell’Assemblea della Circoscrizione estero del PD che aveva inviato alla Presidenza una no- ta con alcune richieste di impegno su diritto di voto, riordino rete consolare e tasse sulla casa, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno con il quale ribadisce, appunto, l’impegno del Partito in una riforma comples- siva del sistema elettorale che tenga conto dell’imprescindibile diritto di voto dei cittadi- ni italiani residenti all’estero e la possibilità concreta di esercitare tale diritto alle elezioni politiche. A tal fine, i Democratici, con il voto unanime del 16, impegnano il Partito e i suoi gruppi parlamentari a calendarizzare in tempi brevi e sostenere la proposta di legge di riforma del voto all’estero, predisposta dai capigruppo Zanda e Speranza, al fine di garantire la mes- sa in sicurezza del sistema di voto all’estero. Detta proposta è il sostanziale punto di par- tenza di una discussione parlamentare che dovrà portare, in tempi brevi, all’integrazione e miglioramento delle modalità di voto, per VOTO ESTERO: IMPRESCINDIBILE

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Anno IV - N° 1 - Gennaio 2014 a cura dell’Ufficio PD Italiani nel mondo email: [email protected] Chiuso in redazione il 21 Gennaio alle ore 15

DAL PARLAMENTO

• Grande vittoria per le mamme

italiane 3

• Incoraggianti segnali dalla visita di

Letta in Messico 4

• Accelerare tempi per insegnamen-

to migrazioni nelle scuole 6

• Il confronto sulla rete consolare

deve partire dalla realtà 7

ANALISI E COMMENTI

• Cittadini italiani oltre l’Europa

(Cesare Saccani) 8

• Si stava meglio quando si stava

peggio? (Dino Nardi) 12

OLTRE IL BORDO DEL PIATTO

• Quote? Forse, ma…(Carla Ciar-

lantini-Krick) 14

QUI NEW YORK

• Si spegne una stella repubblicana nel Nordest degli Usa? (Silvana

Mangione) 16

SOMMARIO

NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO

segue a pag. 2

La Direzione nazionale del Partito Democrati-co riunitasi il 16 gennaio, su sollecitazione dell’Assemblea della Circoscrizione estero del PD che aveva inviato alla Presidenza una no-ta con alcune richieste di impegno su diritto di voto, riordino rete consolare e tasse sulla casa, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno con il quale ribadisce, appunto, l’impegno del Partito in una riforma comples-siva del sistema elettorale che tenga conto dell’imprescindibile diritto di voto dei cittadi-ni italiani residenti all’estero e la possibilità concreta di esercitare tale diritto alle elezioni politiche. A tal fine, i Democratici, con il voto unanime del 16, impegnano il Partito e i suoi gruppi parlamentari a calendarizzare in tempi brevi e sostenere la proposta di legge di riforma del voto all’estero, predisposta dai capigruppo Zanda e Speranza, al fine di garantire la mes-sa in sicurezza del sistema di voto all’estero. Detta proposta è il sostanziale punto di par-tenza di una discussione parlamentare che dovrà portare, in tempi brevi, all’integrazione e miglioramento delle modalità di voto, per

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esempio con l’inserimento delle opzioni che consentano anche il voto dei cittadini italiani tempora-

neamente all’estero, come gli studenti Erasmus, per i quali già alle passate elezioni politiche il PD si

era molto speso sui territori e nei circoli europei e oggi ha una sua proposta in Parlamento.

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DAL PARLAMENTO

GRANDE VITTORIA PER LE MAMME ITALIANE

La deputata Laura Garavini sulla sentenza della Corte di Strasburgo che sollecita completa parità

fra uomo e donna sui cognomi dei figli.

"Si tratta di una grande vittoria per le madri italiane. Adesso è ora che anche nel nostro Paese si pos-sa tranquillamente assegnare il cognome della mamma ai propri figli. Una scelta che da anni è già possibile fare in numerosi paesi, non solo europei, e che è espressione di modernità e di pari oppor-tunità, anche nell´esercizio dei propri diritti. Mi auguro che l’odierna sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ci aiuti ad approvare quanto prima la proposta di legge di cui mi sono resa prima firmataria, che introduce il diritto di potere attribuire il cognome materno ai propri bimbi." Lo afferma Laura Garavini, componente dell’Ufficio di Presidenza del Gruppo PD alla Ca-mera, presentatrice di un disegno di legge in materia. "Siamo un Paese ancora molto legato ad una cultura di tipo patriarcale", prosegue la parlamentare PD, aggiungendo: "Basta leggere i commenti inviati dai lettori ai siti dei principali giornali italiani alla notizia della sentenza di oggi. Molti uomini si sentono minacciati da questa decisione, altri dico-no che ci sono cose più urgenti e concrete da fare. E’ un atteggiamento molto indicativo: è espressio-ne di un modo di pensare maschilista, non al passo con i tempi. Ecco perchè bisogna approvare velocemente la proposta di legge che realizzi quanto ribadito oggi dalla Corte di Strasburgo. I genitori devono poter scegliere quale cognome assegnare ai propri figli: il cognome della mamma, quello del papà o entrambi. Non è certo tempo perso. Un Paese riparte sulla via del progresso anche grazie alle conquiste di tipo socio-culturale che riconoscono i diritti, anche quello di uguale dignità tra uomo e donna, attraverso la possibilità di assegnare il cognome della madre ai propri figli."

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INCORAGGIANTI SEGNALI DALLA VISITA DI LETTA IN MESSICO

“Non si può che apprezzare l’impegno che il Presidente Letta sta mettendo nel rilanciare relazioni politiche, economiche, commerciali e culturali con Paesi che in questa fase di stagnazione possono diventare soggetti trainanti per la ripresa dell’Italia. Prima il Canada, dove un Presidente del Consi-glio italiano non si recava da diversi anni, poi il faccia a faccia con Obama, nei giorni scorsi il Messi-co, dove un nostro Presidente mancava addirittura da un quarto di secolo. Naturalmente, non si è trattato di dimenticanza o trascuratezza, ma del fatto che il Messico, è stato per lungo tempo sottovalutato quando si presentava con i tratti di un Paese sottosviluppato e in pre-da a seri problemi di sicurezza interna, mentre è diventato un interlocutore interessantissimo a se-guito del processo di trasformazione profonda che sta vivendo. Per il Messico, infatti, si prevede u-na crescita media annua per i prossimi 4 anni di circa il 7% e un export di 4,6 miliardi di euro l’anno: cifre da capogiro per un Paese come il nostro, impegnato ad agganciare una ripresa che solo ora sembra compiere i primi timidi passi. Non è un caso che il Messico sia diventato il capofila del Mint, l’organizzazione di Paesi con forti dinamiche evolutive nel mercato globale, che comprende anche la Nigeria, l’Indonesia e la Turchia e che ha affiancato il gruppo di Paesi del Bric che, come il Brasile, la Russia, la Cina, l’India e il Sud Africa, stanno assumendo a livello mondiale un ruolo sempre più penetrante. La missione di Letta, che ha fruttato la firma di alcuni importanti accordi bilaterali, si è svolta so-prattutto in ambito imprenditoriale, oltre che nel naturale solco istituzionale. Le riforme che la giovane classe dirigente messicana ha adottato per i prossimi anni apriranno una serie di possibilità, soprattutto nel settore energetico, rispetto alle quali l’Italia fa bene a prepararsi per tempo. La cosa significativa per noi, comunque, è che le nostre grandi imprese, ad iniziare da ENEL e FINMECCANICA, non solo cercano di cogliere delle opportunità, ma hanno anche parec-chio da offrire in termini di tecnologia, ricerca, sistemi di gestione. In più, anche dal Messico, come da altre parti del mondo, si guarda all’esperienza delle nostre piccole e medie imprese come a un modello da imitare e da perseguire. In un momento difficile come questo, fa bene pensare che l’Italia in campo internazionale ha ancora importanti carte da giocare e che con un po’ più di fiducia nei propri mezzi e un po’ più di determinazione, quella che Letta sta mettendo nei sui contatti inter-nazionali, si può risalire la china. In Messico vi sono molte imprese dove c’è l’impronta italiana, pare più di 1400, ma non ci sono solo le imprese. Ci sono tanti altri italiani che svolgono importanti attività sociali, culturali, artistiche e della più varia natura. Nel programma del Presidente del Consiglio non c’è stato un vero e proprio momento comunitario, probabilmente per le urgenze politiche che hanno richiamato Letta in Italia, ma la nostra attenzione va rivolta anche a loro. In questi giorni, infatti, ho sollecitato il Ministro de-gli Esteri ad avviare i negoziati per la stipula dell’accordo di sicurezza sociale con il Messico per re-golare meglio una serie di questioni di stretta rilevanza per tanti lavoratori.

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Imprese e comunità sono i punti di forza della nostra proiezione internazionale. Quanto più la sal-datura sarà forte, tanto più l’Italia ne potrà trarre vantaggio”. On. Francesca La Marca

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DAL PARLAMENTO

ACCELERARE TEMPI PER INSEGNAMENTO MIGRAZIONI NELLE SCUOLE

“ Saluto con soddisfazione la notizia che la proposta di legge sull’insegnamento delle migra-zioni nelle scuole, presentata al Senato dal Sen. Fausto Longo, sia stata assegnata alla Com-missione Istruzione e quindi possa finalmente iniziare il suo cammino in quel ramo del Par-

lamento. Un fenomeno strutturale come quello delle migrazioni, ormai connaturato nei tempi e nel mondo in cui viviamo, non può non diventare materia di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e gra-do. E’ necessario per questo che tra i progetti proposti dal MIUR come rifermento per la program-mazione didattica e nel rispetto dell’autonomia degli istituti si attivino nelle scuole laboratori di ricerca che attraverso diverse discipline (storia, letteratura, musica, fotografia, cinema e quant’altro) facciano conoscere in modo critico alle nuove generazioni il fenomeno sociale più pro-fondo che ha segnato l’Italia nell’ultimo secolo e mezzo. E tutto questo è tanto più necessario nel momento in cui l’esodo è ripreso, anche se con forme e protagonisti diversi rispetto al passato, con la possibilità che molti dei ragazzi che oggi sono tra i banchi potranno loro stessi vivere un domani, volontariamente o per necessità, un’esperienza di questo genere. Nello stesso tempo, è opportuno che questi elementi siano messi a confronto con i processi di inse-diamento di alcuni milioni di stranieri in Italia, che stanno determinando una transizione sociale e culturale che non può restare ai margini di un serio percorso educativo. Da tempo sono convinto di questo, tant’è che già nella scorsa legislatura ho presentato un disegno di legge in tal senso, una proposta che ho ripresentata in questa legislatura e che è stata assegnata fin dallo scorso mese di settembre alla commissione istruzione e cultura della Camera. Confido che tra l’una e l’altra Camera, sarà possibile quanto prima arrivare ad un esito positivo, tanto più che una riforma di questo genere non si scontra con le note difficoltà di bilancio perché non costa quasi niente. Per questo rivolgo un appello ai presidenti delle due commissioni compe-tenti e, per quanto mi riguarda, al Presidente e all’ufficio di presidenza della commissione istruzio-ne della Camera perché l’esame della proposta di legge sia calendarizzata ed esaminata. Le cronache quotidiane delle migrazioni e la funzione dell’Italia di avamposto europeo nel Medi-terraneo ci dicono che l’Italia ha un grande bisogno di spirito di accoglienza e di cultura dell’integrazione. L’insegnamento multidisciplinare delle migrazioni nelle scuole, a cui mi auguro s’accompagni anche il rilancio del museo dell’emigrazione come Museo nazionale delle migrazioni sono modi semplici, concreti e poco costosi per aiutare a far maturare questi orientamenti”. On. Fabio Porta

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IL CONFRONTO SULLA RETE CONSOLARE DEVE PARTIRE DALLA REALTA’

“Nel corso della nuova audizione del Vice Ministro Marta Dassù davanti alle Commissioni Esteri di Camera e Senato abbiamo au-spicato un dialogo costruttivo volto a far partire una fase nuova di confronto con il Governo sulla rete diplomatico-consolare nel mondo. Ma un confronto positivo e produttivo può partire solo dalla consapevolezza della realtà. Le fiction dovremmo lasciarle fuori dalle aule parlamentari. I paragoni con le diplomazie di altri Paesi, ad esempio, vanno evitati: altre storie, altre strutture, diver-sa efficienza amministrativa, diversa capacità di servizio e altri

compensi e retribuzioni. Per non parlare del fatto che noi abbiamo una massa di cittadini che vivono all'estero molto più consistente degli altri. Una vera fase di rinnovamento della rete diplomatico-consolare nel mondo deve partire da una base comune, obiettiva e condivisa, di conoscenza della realtà. La sensazione - ricordano l’on. Marco Fe-

di e l’on. Gianni Farina - è che si viva come in una fiction in cui non si tiene conto dei tempi di lavo-razione delle pratiche, come si dovrebbe fare in ogni buona amministrazione, e della qualità della rete informatica, su cui è necessario investire sia in tecnologia che formazione. Sarebbe utile per Mi-nistro, Vice-Ministri e sottosegretari fare esperienza diretta all'estero per capire cosa significhi atten-dere due anni per un appuntamento per una pratica di cittadinanza o mesi per un nuovo passapor-to. Noi continuiamo a ritenere sbagliato chiudere sedi consolari o Istituti di cultura. Chiediamo una sospensione di tutto il piano di riorientamento fino a un riesame serio che parta da una valutazione sul personale necessario, sul giusto equilibrio tra personale di ruolo e a contratto, sulla revisione e l’aggiornamento di tutte le tipologie contrattuali, per garantire equità, giustizia e tutela dei diritti di tutto il personale della nostra rete, sulla revisione della spesa a invarianza dei servizi, che privilegi la tutela dei cittadini e i servizi a cittadini e imprese. I servizi resi a costoro sono in realtà un servizio reso al nostro Paese, né più né meno dell'azione diplomatica dei nostri Ambasciatori.

Il problema oggi non è solo avere una rete diplomatico-consolare nel mondo che non sprechi risorse e che sia in grado di fare diplomazia, ma è anche quello di garantire strutture efficienti, in grado di rispondere alle esigenze di comunità stabilmente residenti, dei nuovi migranti e delle imprese.

Anche le annunciate sospensioni di chiusure non possono essere considerate pienamente soddisfa-centi se poi i Consolati non saranno in grado, per mancanza di personale adeguato, di offrire servizi di qualità. E sulla qualità si giocheranno anche le sfide del futuro”.

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ANALISI E COMMENTI

CITTADINI ITALIANI OLTRE L'EUROPA di Cesare Saccani *

L'Italia (e il PD) che desidera crescere economicamente ha il dovere di trasformare i cittadini italiani residenti fuori Europa da "Esuli perduti" in "risorsa attiva".

Il processo di integrazione comunitaria è ancora da completare tuttavia occorre già guardare oltre l'Europa e valorizzare l'enorme potenziale dei cittadini italiani residenti in paesi extra europei (Asia su tutti) per sostenere il processo di crescita della nostra economia come sanno fare bene i nostri principali partner continentali (Francia, Germania e Spagna su tutti).

In passato gli Italiani lasciavano il Paese in condizioni di povertà e basso livello di istruzione per cercare fortuna all'Estero. Le mete tradizionali erano la Germania, gli Stati Uniti (Costa orientale), l'Australia e il Sud America. L'orizzonte temporale di emigrazione era a lungo termine.

Nel nuovo millennio il flusso di emigrazione è cambiato. I protagonisti sono i "Knowledge Workers": giovani e professionisti, managers e imprenditori, accademici e ricercatori, architetti e designer, stili-sti e merchandiser del lusso, avvocati ed esperti finanziari, funzionari di istituzioni italiane all'Este-ro, dirigenti di NGO e persone impegnate nel sociale. Le destinazioni di questi flussi sono le aree con maggiori tassi di crescita economica: Cina, India, Singapore, Giappone, Sud Africa, Stati Uniti (Silicon Valley, Seattle, Redmond), Hong Kong, ecc. L'orizzonte temporale di emigrazione è più li-mitato e in molti casi questi Italiani vorrebbero rientrare nel Bel Paese al termine del periodo di e-sperienza all'Estero.

In passato le politiche per gli Italiani all'Estero hanno giustamente privilegiato le esigenze dei citta-dini di antica emigrazione ma ora occorre dedicare particolare attenzione anche agli emigranti Kno-

wledge workers che spesso si sentono come "Esuli Perduti".

Lo scenario competitivo internazionale e l'Italia

Per superare una delle più difficili crisi della sua storia che interessa l'ambito economico, sociale e politico l'Italia deve vincere, nel più breve tempo possibile, la sfida della crescita economica.

Per fare questo è necessario tenere conto dello scenario competitivo internazionale.

Nel secolo scorso la struttura dei sistemi produttivi era fondata sui principi del fordismo (grandi vo-lumi di prodotti, elevata standardizzazione, basso contenuto di servizio, forte integrazione vertica-le). La concorrenza era principalmente tra imprese.

Alla fine del secolo scorso, il Giappone ha spostato in avanti le sfide della competizione.

L'introduzione del paradigma produttivo della Lean Production e del Total Quality Management hanno portato il livello della competizione tra sistemi di fornitura (supply chain).

Oggi lo scenario economico internazionale muove verso la progressiva riduzione del ciclo di vita media dei prodotti, la concorrenza sempre più forte sui costi (soprattutto per i prodotti a basso

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contenuto di conoscenza ed elevato contenuto di manodopera) e il decentramento produttivo.

Nell'ultimo decennio la crescente apertura dei mercati internazionali (per merci e servizi) e la defini-tiva consacrazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno cambiato ancora il paradigma produttivo. La competizione si è spostata tra reti organizzative fondate sulla conoscen-za caratterizzate da elevati livelli di specializzazione, varietà dei prodotti, disarticolazione dell'orga-nizzazione produttiva (anche oltre i confini dei singoli Stati).

Nella competizione tra reti organizzative le politiche per il lavoro e per l'impresa sono chiamate a un salto in avanti e devono favorire il funzionamento di interi sistemi a rete destrutturati.

Occorre ripensare la tradizionale dialettica limitata al rapporto "datore di lavoro" e "salariato" per-ché nelle reti organizzative i portatori di conoscenza (progettisti e designer, business developer, e-sperti di marketing, consulenti finanziari) sono sempre più frequentemente professionisti esterni.

Nell'Italia di domani fornitori di capitale, imprenditori e fornitori di lavoro non possono essere più considerati "antagonisti" ma "partner" per competere insieme con altri paesi e rispondere meglio alla crescente concorrenza tra Stati per attrarre insediamenti di unità organizzative sempre più focaliz-zate su attività a elevato contenuto di conoscenza (es. centri di R&S) e a maggiore creazione di valo-re aggiunto lasciando ad Stati le attività a basso contenuto di conoscenza.

In tale contesto la crescita dell'economia reale (non della rendita finanziaria) e la conseguente crea-zione di posti di lavoro può avvenire solo attraverso due grandi strategie:

- l'innovazione (per creare prodotti/servizi in grado di soddisfare bisogni reali)

- l'internazionalizzazione (non solo del mercato ma anche della produzione)

Entrambe richiedono al nostro sistema produttivo maggiore capitalizzazione, più forza finanziaria ma soprattutto più competenze manageriali abituate alla competizione internazionale

Purtroppo l'Italia non si presenta alle nuove sfide in una posizione non favorevole.

La domanda interna è limitata perché l'età media è molto elevata rispetto alle economie emergenti a livello mondiale e non offre grandi spazi di crescita.

La struttura del sistema produttivo è ancora fondata sulla piccola e media impresa. 6 milioni di im-prese su 60 milioni di abitanti era una struttura adeguata in una fase storica caratterizzata da merca-ti locali, attività "labour intensive" e prodotti standardizzati ma oggi non consente più di competere "oltre l'Europa" per carenza di risorse finanziarie e manageriali per sostenere le sfide dell'innovazio-ne e della internazionalizzazione.

Il Made In Italy suscita ancora un grande fascino oltre i confini europei ma per sfruttarlo l'Italia de-ve cambiare verso e deve:

- aumentare la dimensione media delle imprese

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- spostare il baricentro del sistema produttivo verso settori ad elevato contenuto di conoscenza.

Da anni il segmento delle medie imprese multinazionali tascabili che realizzano prodotti ad elevato contenuto di conoscenza garantisce i maggiori margini di redditività. Sono ancora troppo poche.

Occorre puntare meno sul "numero totale di imprese" e più sul "numero di medie imprese" in settori Knowledge intensive per misurare lo stato di salute della struttura produttiva.

Italiani oltre l'Europa: da "Esuli dispersi" a "Risorsa strategica"

Nella competizione "oltre l'Europa" l'Italia presenta, rispetto ad altri paesi Europei, un deficit di ri-sorse umane qualificate e abituate a competere in mercati ad alta crescita e complessità.

Eppure cresce in misura consistente il numero di cittadini Italiani che lascia l'Italia al termine del pe-riodo di studio e dopo le prime esperienze professionali. La fuga di knowledge workers Italiani verso l'estero è una perdita secca sull'investimento fatto per la loro formazione.

Si tratta di un vero spreco di risorse pubbliche: dopo aver investito per anni in formazione l'Italia non offre ai nostri giovani le opportunità che meritano per valorizzare la competenze acquisite.

Le cause? Imprese troppo piccole per sostenere investimenti in occupazione legata ai processi chiave di innovazione e internazionalizzazione, poca ricerca e innovazione in Italia, Amministrazione Pub-blica troppo attenta a tutelare l'anzianità rispetto alla competenza, logiche clientelari e non legate al merito nella definizione dei percorsi di carriera.

Eppure la generazione di knowledge workers emigranti presenta padronanza delle lingue, apertura mentale, dinamismo, abitudine a lavorare in contesti professionali ad elevata complessità e fare leva solo su competenza, innovazione, merito ed etica.

A parte impedire la futa l'Italia non è nemmeno attrezzata ad accogliere nuovamente questi cittadini temporaneamente emigrati all'estero valorizzando l'esperienza acquisita.

Fino ad oggi il gruppo di Knowledge workers Italiani emigrati all'Estero non ha ricevuto l'attenzione che merita e tanto meno un'adeguata rappresentanza politica in Italia.

La recente intenzione espressa dalla Ministra Emma Bonino di togliere il diritto di voto agli Italiani all'Estero dimostra l'assoluta miopia sul ruolo e l'importanza che questo gruppo sociale sempre più consistente potrebbe giocare a sostegno del processo di crescita della nostra economia.

Per l'Italia (e il PD) è venuto il momento di cambiare verso nell'idea di Italiani temporaneamente

residenti all'estero: da "esuli perduti" a "risorsa strategica" per la crescita.

Se l'Italia (e il PD) desidera veramente favorire un profondo rinnovamento nella mentalità dei pro-pri cittadini e quadri dirigenti è necessario rinsaldare il legame con i nostri knowledge workers emi-granti e di coinvolgerli attivamente nei processi di trasformazione del nostro paese.

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Tre le linee di azione:

- favorire i giovani Italiani senza occupazione che desiderano fare esperienze all'estero

- mantenere con loro un legame costante nel periodo di permanenza all'estero

- creare le condizioni per favorire il loro rientro in Italia valorizzando le competenze acquisite

Occorre mantenere attivi i canali di ascolto con i tanti Knowledge workers che vivono per esempio in Asia o in Nord America e coinvolgerli nei grandi processi decisionali.

L'Italia che desidera "oltre l'Europa" non soltanto esportando prodotti realizzati in Italia ma anche delocalizzando la produzione per diminuire l'incidenza della ricerca e sviluppo (da mantenere in Italia) e aumentare i volumi di mercato non può più permettersi imprenditori che non parlano l'in-glese oppure che continuano ad affidarsi solo al proprio istinto e intuito senza confidare su profes-sionalità in possesso di conoscenze specifiche nei mercati in cui investire.

I knowledge workers di recente emigrazione costituiscono una risorsa preziosissima da sostenere e co-involgere sempre più nella competizione tra reti organizzative per tre ragioni perché sono:

- i primi e migliori promotori del Made In Italy e della nostra cultura nei paesi emergenti.

- i veri conoscitori di mercati lontani e complessii

- abituati a competere su competenza, innovazione, merito ed etica.

Protezionismo, autarchia e uscita dall'Euro non sono la risposta adeguate alle nuove sfide interna-zionali.

Il PD deve mostrare coraggio e deve fare del coinvolgimento degli Italiani "oltre l'Europa" un punto cardinale per favorire il processo di crescita dell'economia e sprovincializzare il paese.

La tutela del diritto di voto dei knowledge workers residenti all'Estero è il punto di partenza ma ben altro bisogna fare per non disperdere e valorizzare l'immenso potenziale in capitale umano che l'Ita-lia dispone.

* Coordinatore PD Asia

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ANALISI E COMMENTI

SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO?

di Dino Nardi

Sarà certamente una casualità tuttavia non si può negare che dal 2006, ovvero con l'entrata in Parla-mento in Italia di sei senatori e dodici deputati eletti dagli emigrati italiani nella Circoscrizione Estero, è stato tutto un crescendo di penalizzazioni in qualsi-asi ambito riguardi gli italiani residenti all'estero: dalla mancata approvazione di accordi bilaterali di sicurezza sociale (nuovi o da rinegoziare) con Paesi di forte presenza di emigrazione italiana, alla ridu-zione di finanziamento destinato a garantire un mi-

nimo di assistenza ai nostri emigrati indigenti che vivono in Paesi privi di qualsiasi protezione so-ciale; dai tagli al finanziamento dei corsi di lingua e cultura italiana, alla contestuale riduzione del contingente degli insegnanti italiani di ruolo destinati all'estero; dalla fiscalità sulla casa (prima con l'ICI, poi con l'IMU ed ora con la IUC) che ha penalizzato e continua a penalizzare gli iscritti all'Aire proprietari di una abitazione in Italia, al drastico e continuo dimagrimento della rete consolare ita-liana in particolare in aree dove risiedono importanti comunità italiane. A quest'ultimo proposito, basti ricordare quello che è accaduto in Svizzera dove, chiusura dopo chiusura, adesso (dopo quelle recentissime delle Agenzie consolari di Neuchâtel, Sion e Wettingen), buon ultimo,toccherà anche al Consolato di San Gallo. Una rete consolare che in Svizzera, ancora qualche lustro fa, contava su ben 22 Uffici mentre oggi i 560'000 italiani che vivono nella Confederazione avranno a disposizione solo la Cancelleria consola-re di Berna, il Consolato di Basilea ed i Consolati Generali di Ginevra, Lugano e Zurigo. Con buona pace degli emigrati italiani che vivono in Engadina che dovranno impiegare alcune ore di viaggio in treno per raggiungere il Consolato Generale di Zurigo, oppure di quelli che vivono nell'Alto Vallese che, per raggiungere un Ufficio consolare, dovranno recarsi non più a Sion o Losanna (chiusi en-trambi nel giro di circa un paio d'anni) bensì a Ginevra all'estrema punta occidentale della Confede-razione, praticamente in Francia! Naturalmente i diciotto parlamentari eletti all'estero, perlomeno quelli del Partito Democratico, sia alla Camera dei Deputati che al Senato, si sono dati molto da fare per difendere gli interessi del loro elettorato. Per esempio: hanno ottenuto la possibilità per gli emigrati di vedersi rilasciare la Carta si identità italiana pure dalla rete consolare (anche se è un documento che serve solo per circolare in Europa); hanno difeso i diritti sindacali dei contrattisti consolari; hanno sostenuto l'opportunità di privilegiare l'impiego di personale locale sia nella rete consolare che nei corsi di lingua e cultura; hanno cercato di impedire la chiusura di molti Uffici consolari ed hanno anche battagliato in

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parlamento sulla fiscalità della casa affinché le abitazioni in Italia degli iscritti all'Aire fossero pure considerate prime case. Infine, è attualità di questi giorni, nella Legge di stabilità per il 2014 hanno recuperato ulteriori cinque milioni di euro a favore delle politiche per gli italiani all'estero, così sud-divisi: 2 milioni per le elezioni per il rinnovo dei Comites e del CGIE, 1 milione per gli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana, 600 mila euro per l'assistenza agli indigenti, 200 mila euro per il Museo dell'emigrazione italiana, 200 mila euro per le agenzie di stampa specializzate per gli italiani all'estero ed 1 milione a favore della stampa italiana all'estero. Purtroppo, nel complesso, i risultati sono stati quelli che tutti noi conosciamo, cioè molto deludenti rispetto alle aspettative degli emigrati, ma non certamente a causa degli eletti all'estero e quindi guai a pensare o dire, come fanno certuni, "si stava meglio quando si stava peggio" e cioè prima del voto all'estero. La verità è che ormai nel Paese, in Italia, da un lato, si sono sfilacciati o addirittura persi gli stretti vincoli parentali di un tempo con gli italiani all'estero e, dall'altro, i problemi posti dall'immigrazio-ne in Italia e la stessa crisi economica, hanno fatto si che dell'emigrazione se ne freghino tutti (lo ab-biamo visto anche con le recenti dichiarazioni dello stesso ministro Emma Bonino e da alcuni com-menti dei media italiani rispetto al recupero di cinque milioni di euro nella legge di stabilità 2014 a favore delle politiche per gli italiani all’estero). Anzi, gli italiani all'estero sono ormai visti come dei privilegiati per cui anche nel parlamento italiano, salvo qualche rara eccezione, a nessuno, che non sia un eletto all'estero, interessa dei problemi degli emigrati. Da qui la difficoltà per i diciotto parlamentari della Circoscrizione Estero di trovare sostegno, spesso perfino nei loro stessi partiti di appartenenza, alle loro istanze e richieste a favore degli iscritti all'Ai-re. L'unica possibilità che potrà riportare in Italia una nuova attenzione ed una soluzione ai problemi degli italiani all'estero sarà, a mio avviso, la nuova emigrazione (quella dei trolley, per intenderci) - che ormai da alcuni anni sta, purtroppo, riprendendo alla grande - quando anch'essa si renderà con-to che, vivendo all'estero, avrà nei confronti dell'Italia gli stessi identici problemi della vecchia emi-grazione (funzionalità dei servizi consolari, scuola italiana per i figli, fiscalità sull'abitazione in Italia, ecc. ecc.) e quindi, per cercare di risolverli si ritroverà a dovere far fronte comune con la vecchia e-migrazione ed impegnarsi nei loro stessi organismi di rappresentanza (associazionismo, Consulte regionali,Comites e Cgie) che, per il momento, si guarda bene dal frequentare. Una nuova emigrazione che, proprio perché recente, probabilmente troverà oggi più sensibilità ed ascolto nel Paese come avveniva per la vecchia emigrazione sino a qualche lustro fa. Tanti, tantissimi auguri per il 2014 e per il futuro degli italiani all'estero, vecchi e nuovi!

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OLTRE IL BORDO DEL PIATTO

QUOTE? FORSE, MA… di Carla Ciarlantini-Krick

Nelle passate settimane sono avvenuti alcuni eventi che hanno a che fare con la presenza delle don-ne ai “piani alti” della politica e dell'economia. Alcuni hanno ricevuto abbastanza attenzione dalla stampa, altri sono passati più inosservati. Giusto per citarne qualcuno: il ballottaggio per la presi-denza della repubblica cilena che ha visto un duello tra due donne; la nomina di Janet Yellen al co-mando della Federal Reserve; il nuovo governo tedesco con una donna a capo del ministero più “maschile” di tutti, la Difesa; la scelta di Mary Barra come nuovo AD della General Motors, primo caso in assoluto nell'industria dell'automobile. Si potrebbe continuare: Angela Merkel che si avvia a battere il record di Helmut Kohl per la durata del suo cancellierato, la nuova segreteria del PD a maggioranza femminile, la crescente presenza femminile alla testa di aziende della media impresa, il nuovo ponte sul Meno, davanti alla sede del-la BCE, messo in opera da una giovane ingegnere civile specializzata in grandi strutture. Tutti questi eventi hanno alcuni elementi in comune: fanno notizia, il che significa che molti ancora non vedono una donna al timone come una cosa nor-male; le protagoniste dei casi di cui sopra – e molte altre donne, se è per questo – si sono “fatte da sé”. OK, Ursula von den Leyen è figlia di un politico, ma sostanzialmente queste donne hanno dato la scalata alle organizzazioni che ora guidano per le vie classiche e non, ad esempio, perché hanno pre-so le redini di un'azienda di famiglia dove non c'erano eredi di sesso maschile. Quanto sopra merita un paio di commenti. Anzitutto se è vero che certi casi fanno notizia è anche vero che se non venisse inclusa una significa-tiva presenza femminile in istituzioni come governi e partiti, la cosa causerebbe un bel po' di com-menti negativi, tipo “questa è discriminazione: meritate una denuncia” oppure “mica ci vorrete far credere che nel vostro giro non avete trovato neanche una donna in grado di fare quel lavoro?” La presenza femminile comincia ad essere considerata un dovere, oltre che un diritto. E questo indipendentemente dall'esistenza di un obbligo di quote. In secondo luogo queste donne si sono poste obiettivi e costruite una professionalità che anche solo una decina d'anni fa forse non sarebbero stati concepibili. Le donne cominciano a non dare più per scontato che il loro curriculum deve prevedere uno studio non troppo impegnativo, un lavoro da assistente e l'assunzione dell'80% della gestione di casa e famiglia. Cominciano a smettere di affollare solo Lettere o Giurisprudenza e ad accettare l'idea che tutto som-mato Macroeconomia, Chimica Industriale o Ingegneria non sono strumenti del Demonio. E giacché ci sono, iniziano a ribellarsi all'idea che o fai figli o fai carriera. In poche parole: si è innescato e si sta consolidando un cambio di mentalità. Ed è un cambio che coinvolge sia le donne che gli uomini.

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Intendiamoci: non sono tutte rose e fiori. Per una Janet Yellen o una Christine Lagarde, quante ce ne sono che, dopo anni di fatica e di battaglie per farsi strada in una banca o un istituto finanziario, gettano la spugna all'ennesima promozione man-cata? E gli uomini che prendono un permesso di paternità per occuparsi di pappine e pannolini sono ancora una minoranza. Però il cambiamento è in corso, qui sotto non ci piove. E – fatto importante – sta avvenendo “fuori quo-

te”. Se il PD si è autoregolamentato in questo senso, non esiste una legge che imponga le quote in istituzioni come il governo tedesco o la General Motors. Al massimo esistono buone intenzioni come l'equal opportunities che si legge più o meno sulle homepage di tutte le aziende dei paesi anglosas-soni. Pari Opportunità, ma senza impegno. E allora? Buttiamo via l'idea di introdurre quote obbligatorie nelle istituzioni e nell'industria priva-ta? Non necessariamente, però ricordiamoci bene di due cose: chiunque ottenga una carica, che sia di capovendite o di presidente di una repubblica, perché c'era una quota da rispettare non avrà mai la stessa autorità di cui può godere chi arriva alla stessa carica senza quote; la carriera si fa con due ingredienti: competenze e alleanze. Le donne in molti campi hanno trascura-to entrambi gli ingredienti. Alla GM si arriva al vertice dai settori di ricerca e sviluppo e da quelli commerciali, non dalla contabilità o dall'ufficio legale. Frutta di più essere ingegnere che gestire pa-ghe e stipendi. E frutta anche saper fare lavoro di squadra e costruirsi buoni rapporti interpersonali. Una volta un dirigente della media impresa tedesca, dove la costruzione di macchinari fa la parte del leone, fu intervistato sui piani del governo di imporre le quote anche nel suo settore. Lui rispose: “Sono d'accordo. Basta che mi diciate dove posso andare a prendere tutte queste inge-gnere”. Come dire: cominciamo noi donne a fare la nostra parte, senza aspettare spinte dall'esterno. Poniamoci un obiettivo: il giorno in cui una donna al posto di Marchionne non farà più notizia.

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QUI NEW YORK

SI SPEGNE UNA STELLA REPUBBLICANA NEL NORDEST DEGLI USA?

di Silvana Mangione

Chi ha una visione edulcorata della perfetta democrazia made in USA è bene che si risvegli. Scandalo dopo scandalo, i Repubblicani si trovano adesso in acque veramente melmose. Chris Christie, il Governatore del ricco Stato del New Jersey, l’astro nascente, il salvatore della pa-tria più volte invocato nella scorsa campagna elettorale contro la riconferma di Obama, quando il “grand old party” si rese conto che Mitt Romney sarebbe stato fagocitato dalla gioiosa macchina da guerra di Barack, si è rivelato un colosso con i piedi di argilla. I nostri della destra profonda ne han-no fatte di tutti i colori, ma finora nessuno si era permesso di far bloccare tre corsie su quattro all’ora di punta sull’autostrada Bologna Firenze perché il Sindaco di Firenze non aveva appoggiato Berlu-sconi alle elezioni del 2013. Ma l’entourage di Christie ha bloccato tre corsie su quattro del George Washington Bridge, il ponte più trafficato d’America, che unisce New York al resto degli Stati Uniti, per vendetta contro il Sindaco della cittadina di Fort Lee, democratico, che ovviamente non ha ap-poggiato la rielezione di Christie. Come risultato delle chiusure sono morte quattro persone, fra cui un bambino e una signora novantunenne la cui ambulanza non è riuscita a raggiungere in tempo l’ospedale. Il Governatore, considerato da tutti un accentratore assoluto delle decisioni da prendere, si è profusamente scusato, proclamando di essere stato assolutamente all’oscuro di quanto stavano facendo due suoi sottoposti. Fra questi due, nominati da lui stesso, Christie ha immediatamente li-cenziato la donna, ma ha atteso che l’uomo presentasse le dimissioni prima di “lasciarlo andare”, come si dice qui, con un eufemismo derivato dalla sottomissione generale all’insopportabile princi-pio del “politically correct”. Nell’ultimo sondaggio il 51% dei cittadini del New Jersey si è detto con-vinto che Chris non sia onesto, mentre il 40% lo sostiene ancora. Il 9% preferisce non esprimersi, for-se per il timore di essere identificato e trovare chiusa la strada d’accesso a casa sua. Tutto questo non basta, perché, come si sa, piove sul bagnato. È delle ultime ore la notizia che l’Ispettore generale dell’Housing and Urban Development Department – HUD (Ministero dell’Abitazione e dello Sviluppo Urbano), su richiesta del newjersiano Congressman democratico italo-americano Frank Pallone, sta effettuando un controllo approfondito sulla voce che Christie a-vrebbe usato parte dei fondi per la ricostruzione delle devastazioni causate dall’uragano Sandy nel 2012 per finanziare spot televisivi di promozione del turismo in New Jersey, in cui compariva lui stesso con tutta la sua famiglia, guarda caso! proprio nell’anno della sua rielezione. Peggio ancora, c’è anche un’indagine dei revisori dei conti dell’HUD, che stanno verificando se il Governatore ha scelto la proposta di pubblicità da $4.7 milioni, soltanto perché l’altro progetto, che costava $2.2.milioni in meno, presentato da una ditta concorrente, non prevedeva la presenza dei Christie (Governatore e famiglia) come testimonial. A pensar male si fa peccato? Vuol dire che i responsabili dell’HUD dovranno andare a confessarsi nell’improbabile ipotesi che questa accusa sia falsa. Ben altra è la situazione al qua del fiume Hudson, che separa, appunto, il

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New Jersey da New York. A prescindere dalle solite schermaglie di partito, l’accusa più pesante finora lanciata contro il Sindaco Bill De Blasio è che è stato colto a mangiare la pizza con la forchetta e il col-tello! E il “Sindaco degli USA” ha risposto che lo fa per rispettare le abitudini italiane. Viva Bill! I repubblicani sono terrorizzati dall’apparizione di questo primo cittadino “liberal”, che qui vuol dire progressista, il quale sta rompendo tutti gli schemi dell’asservimento all’elite finanziaria nei vent’anni di loro ininterrotta reggenza della città di New York: Rudy Giuliani prima e Michael Bloomberg (ufficialmente “indipendente”!) poi. Bill De Blasio non ha perso tempo.

Sta lavorando con il Governatore dello Stato di New York, anche lui democratico e italo-americano: Andrew Cuomo, per aumentare le tasse ai ricchi, con cui finanziare asili nido e attività di doposcuo-la per tutti i bambini della città. Gli scopi sono due, altrettanto importanti: da un lato consentire a tutti gli studenti di avere le stesse opportunità di apprendimento fin dalla più tenera età, dall’altro garantire ai genitori che lavorano la serenità di sapere che i loro figli sono a scuola, in un ambiente protetto e stimolante, fino alla fine della giornata di lavoro. Così, semplicemente. Sembra poco, ma non è vero. Qui è una rivoluzione sociale. L’annuncio è stato fatto in un incontro con i sindacati degli insegnanti, in una scuola di un quartiere disagiato, dove il nostro De Blasio ha parlato in americano, italiano e spagnolo. E allora: Hasta la victoria siempre, Bill! Vai avanti così e continua a renderci davvero orgogliosi di questo splendido oriundo che onora l’Italia!

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