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Informazioni su questo libro Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio percorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. Linee guide per l’utilizzo Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l’utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa l’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate. Inoltre ti chiediamo di: + Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. + Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. + Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. + Fanne un uso legale Indipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Non dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. Informazioni su Google Ricerca Libri La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web nell’intero testo di questo libro da http://books.google.com

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Informazioni su questo libro

Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Googlenell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.

Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio èun libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblicodominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.

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CANTI

DI

LAURA BEATRICE MANCINI

OLIVA

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CANTI

LAURA BEATRICE MANCINI

OLIVA

TORINO

TIPOGRAFIA EREDI BOTTA

BDCCCLXI

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AGL'ITALIANI

Non è senza trepidanza ch'io pongo sotto

il vostro sguardo questa scelta di mie po-

vere rime. Esse non hanno altro merito che

quello di esser l'emanazione di un'anima

educata costantemente all'amore ardentis-

simo della nazionale libertà ed indipen

denza. La maggior parte di esse furono

dettate durante la mia lunga dimora in

questa gentile città di Torino, ch'io non

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chiamava mai terra di esiglio, essendomi

cara quanto la stessa mia terra natale. Dirò

di più, che i miei canti mi furono in gran

parte inspirati dai forti esempi di cittadine

virtù, dalla costanza negli alti propositi,

dalla prudenza e dallo entusiasmo guer

riero, di cui questo popolo diede solenne

esempio agli altri Italiani, mostrandosi de

gno d'innalzare pel primo il vessillo glo

rioso, unificatore d'Italia nostra. Se una

speranza mi teneva in vita, si era quella

di veder presto la mia Napoli seguirlo nel

l'arduo aringo. Ma ora che questa ha scosso

un giogo lungo ed abborrito; ora che con

una mirabile spontaneità, proclamando a

suo Re il prode e magnanimo Vittorio

Emanuele, ha congiuntele sue sorti a quelle

delle altre sorelle italiane, il suo cuore non

batterà d'oggi innanzi che per la libertà e

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per la gloria. Le ire di parte, le armate

reazioni, già quasi disperse, nulla ormai val

gono, poiché essa sa e vuole essere libera

e grande. Ed ora benedico le lagrime che

ho versate per lei, ed i canti di speranza e

di amore che le ho consacrati per tanti

anni.

Ho osato ancora porre sotto a' vostri

occhi alcune armonie, dettate quasi all'u

scire di fanciullezza. Per queste sopra tutto

convien che implori l'indulgenza del pub

blico , avendo voluto in esse conservare alla

mia famiglia un domestico ricordo. Anzi

non ho osato ritoccarle, per non togliere

nulla alla loro ingenua negligenza. Esse

partivano da un'anima che si destava nello

stesso tempo alla poesia ed all'amore. Però

le ho separate dalle altre, riserbando loro

le ultime pagine di questo libro, e dedi-

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- 4 —

candole unicamente a colui che me le inspi

rava.

L'accoglienza da voi fatta ad alcune delle

mie poesie già pubblicate mi conforta a con

fidare, che il sentimento in esse dominante

di affetto verso la patria nostra possa ren

derle non disaggradevoli a voi, o Italiani,

che a lei consacraste il braccio e la vita.

Torino, novembre 1861.

L AUTRICE.

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VITTORIO mft'BÉEE-"

RE D'ITALIA (1)

CANTO

O eletto a compier la più bella impresa

Cui pien di maraviglia il mondo onori,

D'un ardente gioir l'anima accesa

Cingi, o Signor, gl'invidi'ati allori.

Vendicator di nostra antica offesa,

Ben è ragion che Italia tua ti adori ;

Nel plauso ella d'amor concorde e unita

In te il suo Prence e la sua gloria addita.

Fra le tenèbre del suo duol ravvolta

L'amasti, e al tuo pensier parve più bella;

Il gemito ne udisti, e a te rivolta

Al raggio sospirò della tua stella :

Da quel punto ogni speme ha in te raccolta,

E ad ogni legge ria fatta rubella

L'empie minacce de' superbi sfida,

E nel tuo brando e nel tuo cor s'affida.

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• ••••-•--••••«• •• • #v« •• • •»!• ••* •^-k<)«—

- m * • «• •• ••••••»•• •• •••• ••»**»***

"Ah si f nói"la]#vé3rém* libera ed una

Ragnar d&ll!Àfoi alla Sicana sponda:

Invano in suo férrof folgori aduna

Chi al lauro tuo non toccherà la fronda,

Chè non cieco voler della fortuna,

Ma è Dio che l'opre del valor seconda ;

Quell' ira ingiusta egli distorna, e pone

Suo spirto a guardia delle tue corone.

Per te sul Po, dove suonava in pria

D'Italia in pianti il voto e la parola,

Alto e novo consesso a lei si apria,

Cui stringe un patto ed una speme sola.

Ogni cittade che un eletto invia

Nel gran giorno coll'anima qui vola.

Italia qui si aduna, e n'hai l'impero

Tu, suo Prence, suo Duce, e suo Guerriero.

E se Venezia scinta ancor la chioma

D'ostinato stranier soggiace all' ira,

Pur da ferreo poter non vinta o doma

Te di città liberator sospira.

La man sull'elsa la vetusta Roma

Nell'opre tue suoi prischi esempi ammira.

Priva di te Partenope si duole,

E abborre i rai del suo fulgente sole.

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Di libertade il fiume abbatte e schianta

L'arbor da rei spergiuri ognor nudrita,

E a lei da presso ogni mal nata pianta

Che sol per fraudi e tradimenti ha vita.

Napoli mia, dal duol sei dunque affranta

Della tua sanguinante ampia ferita?...

Tu soffri! e pur t'offende, o terra mia,

Fin l'ingiuria crudel di codardia !

Oh fero strazio, a cui null'altro è pari,

Per chi conosce, o madre, il tuo martiro!

Fia ver che sol di Vittime s'impari

Da te il nome degli anni al novo giro,

Mentre a te intorno sventolar su' mari

Vedi i colori a cui volgi il sospiro ?...

Soffrirem dove Italia è più gentile,

Che fra' vili oppressor regni il più vile?...

E là dove coll'onda e l'Etna freme

Il Sican generoso e d'ira ardente,

Scorre il sangue, e versarlo ancor non teme

Imbelle re per tirannia demente.

Chi nelle lotte valorose estreme

Or fia che aiti quell'ardita gente ?

Oh ! a te soltanto, o prode, a te s'aspetta

Far della strage immane ampia vendetta.

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Sovra il triplice mar di lido in lido

Si ascolti il suon del nome tuo soltanto ;

Corri, n'è tempo, ove t'appella il grido

D'un popol ch'è ben tuo tuttor nel pianto ;

Spavento è il sol tuo nome al prence infido,

Che di calcar l'orme paterne ha vanto.

Intero il suo destino, e non invano,

Pose Italia, o Signor, nella tua mano.

Novo trionfo! Ecco all'Etruria amante

Mostri il seren del marziale aspetto !

E tra un novo esultar movi le piante,

E n'hai commosso il valoroso petto.

Placata in questo di l'ombra di Dante

Più non impreca al lido suo diletto;

Ma in quella gioia con lo sguardo intento-

Di Fiorenza gentil gode al contento.

O Re d'Italia, oh di quai grandi l'alme,.

Onor del mondo, che qui sorgan parmi !

Vestir vorrian le già vitali salme

Per sacrarti scalpelli e tele e carmi ;

Ed intrecciando a' verdi allor le palme

Ti van mostrando e monumenti e marmi :

Chi fea del regno un'arte, anco tra quelli

Sorge, e ti onora; il mira, è Machiavelli.

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« Redentor della patria e gloria vera,

(Esclama) « oh quel ben sei ch'io profetai !

« Tu stringesti la libera bandiera,

« Che ovunque è Italia sventolar farai.

« Tutta a sperder de' barbari la schiera

« Tra il plauso universal primo sarai.

« Corri alla meta : sgombra avrai la via,

« Come innanzi a Mosè l'onda si apria. »

Pur te beato, o Prence ; il ciel t'invita

Tra' mortali ad onor sublime e santo !

Un gran popol per te riede alla vita,

Quasi un estinto dal funereo ammanto!

Nelle venture età l'alma è rapita,

Allor che avrà di saggio e forte il vanto !

Te nomando, dirà l'Italia altera:

« Mi fea libera e grande; e figlio ei m'era!

Torino, marzo 1860.

(1) Allorché recossi in Toscana, dopo l'annessione di questa nobilissima

provincia alle altre dell'Italia superiore.

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GARIBALDI

Ha un forte Italia, che il valor, la mente

Di cento duci accoglie e cento eroi,

Ed a libera tarla, una e possente,

Ratto vola a pugnar pe' dritti suoi.

Negl'Itali tien desto un foco ardente

Ch'opra talor d'incanto appar tra noi;

E allo stranier desta il terror nel seno

Di sua vittrice spada al sol baleno.

Con pochi eletti su' lombardi campi

Primo il teutono ardir sperdea veloce,

E fantasma parea ch'orma non stampi,

Fin della Fama precorrea la voce.

Stupi de' non attesi acciari a' lampi

Il Ticino sottratto al giogo atroce ;

E tra le ostili orde fugate e dome

Alto echeggiò di Garibaldi il nome.

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— li —

Combatti e vinci, o prode : il brando solo

Questa gran lite antica ormai decida.

Arma tremante de' suoi rei lo stuolo

Di un re che ne tradia la prole infida :

Là fra i trepidi sgherri apriti il volo,

La mala pianta fia che tu recida,

Già in mio pensier la turba a te si dona,

Tanto è il prestigio della tua persona.

Combatti a vendicar del crudo scempio

Perugia sanguinosa e sbigottita,

E di Bassi e Brunetti il fero esempio

Che ogni anima gentile al pianto invita.

Non valse all'un ministro esser del tempio,

Nè all'altro il cor di padre, e per la vita

Ahi ! pregar del più tenero suo nato,

O almen ch'ei fosse pria di lui svenato!...

Ma no!... su' figli, ohimè! cadea trafitto,

Poi che al suolo natio serbò sua fede!...

Oh ! a farsi ammenda alfin d'ogni delitto

Armi, armi, o Italia, il tuo guerrier ti chiede :

Ed armi appresta al generoso e invitto

Ch'oggi alla tua difesa in campo riede :

E la fervida voce anco de' carmi

Voli intorno gridando : « All'armi ! all'armi !

Modena, 1859.

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AL PEIMO ANNUNZIO

DELLA PARTENZA DI GARIBALDI CO' SUOI PRODI

PER LA SICILIA. (1)

ODE

Una nave coll'ombre silenti,

Notte amica, proteggi, e t'imbruna!...

Tace il vento, e d'un velo la luna

Nel mistero il suo volto copri.

Quella nave di spirti frementi

D'amor cela un pensiero divino,

Eppur muta siccome il destino

Solca l'onda e dal guardo spari.

Garibaldi!... L'Italia si desta

A quel nome tremante sul lido :

Col desiro accompagna il suo fido,

Palpitante di speme e terror !

Garibaldi!... Quel braccio chi arresta?.

Nelle fiamme, nel sangue morente

Sta Sicilia ; egli il grido ne sente,

E il suo strazio gli lacera il cor!

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— 13 —

O Sicilia, egli esclama, mi attendi...

Non depor quella spada, io son teco :

Il mio brando, il mio sangue ti reco ;

Vivi, o forte, prosegui a pugnar.

Generoso!... che ardisci, che imprendi?

Non sai tu che dell'empio che impera

Sta di prore la vigil crociera

Sospettosa, e ti aspetta sul mar ?

Non tremate! ei securo si avanza :

Non tremate, egli passa e non s'ode:

Pria combatte, pria vince quel prode,

Poi la Fama ch'ei giunse dirà!

Stan con esso vittoria e speranza,

Stan con esso la gloria, il portento :

Al suo nome il terror, lo sgomento

Fra i nemici spargendo si va.

Oh s'ei giunge ! Al suo rapido volo

Tutta intenta sta muta la terra,

Ed ei, pari al cherubo di guerra,

Sfida il flutto ed il brando impugnò.

Oh s'ei giunge! s'ei preme quel suolo

Sanguinante che grida vendetta,

Come ardente veloce saetta

Sentirem che sui vili piombò.

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O Signor, che tra i nembi sonanti

Apparisti a un tuo fido sull'onde,

Il tuo spirto deh! guidi alle sponde

Questo eroe di costanza e di fè!

Sugli scogli di Scilla giganti

Stanno d'ombre anelanti coorti ,

L'alme son de' caduti, de' forti

Sterminati dal perfido re:

Or la speme le accoglie!... Si speri !..

Sfugge agli empi la prora..., ed arriva..

Oh contento! egli tocca la riva,

Egli compie il suo divo pensier ! —

Or tacete, o potenti stranieri.

Mira, Europa, il momento si appressa :

Ei stromento è di un'alta promessa

Che all'Italia fe' un Prence guerrier.

Torino, 1860.

(1) Questo canto fu scritto e pubblicato sul Diritto, giornale torinese,

quando nella universale trepidazione ancora ignoravasi il glorioso successo

dell'audacissima spedizione.

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— le

ALL'ANIMA

O arcana forza, o vivida

Aura che in me t'ascondi,

E immota sembri e t'agiti

Si che infiniti mondi

Non bastericno all'ansia

Del lungo tuo vagar ;

Sei tu che bianca immagine

Appari a' sogni miei,

Quasi romita vergine

Schiva de' tempi rei,

Che in ampio velo avvolgesi

Le lagrime a celar...

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Ah ! se già un tempo un angelo

Fosti dall'ali aurate,

Perchè di novo scendere

In queste valli ingrate,

E schiava farti, o libera

Figlia d'ignoto ciel ?

O peregrina eterea,

Te sento se si aggira

Un tuo divino fremito

A scoter la mia lira,

Se splendi in fra le tenebre

Del mio terreno vel !

Te sento allor che mistica

Par che su me si stenda

Un'ala amante e vigile

Che me da me difenda,

Si che i miei ceppi rompere

Pura tu possa ancor.

Te sento allor che rapida,

Quasi lasciando il frale,

Varchi tra sfere incognite

Oltre il desio mortale,

E ti ritempri a' fervidi

Raggi del primo amor !

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— il —

Te sento allor che a' limpidi

Cieli ti volgi e fremi, •

Dove scegliesti scendere

Tra i fior, tra i bei racemi

Di Mergellina, al murmure

Del mio divino mar.

Oh rammentiamo i palpiti

Primi d'amore, e i canti

Misti al sospir de'zeffiri,

E i cari accenti e i pianti,

Quando si accoglie il vivere

Nel sol desio d'amar!...

Che non soffristi, o trepida,

Quai smanie e quai tormenti ?..

Come colomba timida

Ferita all'ale, a' venti

Or s'abbandona, or vedesi

Travolta e stanca al suol;

Cosi talora ahi ! cedere

Parevi sbigottita

Al rio tumulto e all' impeto

Della crescente vita :

Di tua prigione immemore

Scioglier tentavi il vol!

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Ma ognor corresti al tenero

Dell'amor tuo richiamo,

Che ti dicea, nomandoti :

« Ah vieni, io t'amo, io t'amo ! »

Ed alma ad alma univasi,

E il ciel s^apria per te !

No, non stancarti, incorati,

Che se dal duolo è scossa

Ascosa fiamma, accendesi

Con inusata possa...

Ama, ed un di sol gelida

La tomba fia per me !...

Ma che ?... Tu al lungo strazio

Ahi più non reggi ! e aneli

Alle armonie recondite

Mescerti in mezzo a' cieli,

E già le ascolti, ed avida

Vi affisi il tuo desir?...

Pur tra le sfere empiree

Non volerai secura,

Se desolata in lagrime,

In preda a ria sventura

Vedrai tua terra, e piangere

Dovrai sul suo martiri...

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Sul mar natio, tra il flebile

Dell'onde mormorio,

Andrò mescendo un gemito,

Spirto amoroso anch' io,

Com'aura errante aggirasi

Sopra un amato avel!...

Fia lieto il cielo, o l'aere

Subito nembo anneri,

Starò co' venti a fremere

Come deserta Peri,

Lungi da' fior, dal vivido

Raggio del patrio ciel !

Ma no!... la speme infiammasi!

Ti rivedrò più bella

Pria che al tramonto pallida

Inchinerà mia stella,

Terra diletta!... Involati,

Alma, nel gaudio allor !

Là d'ogni amor nell'unico

Fonte primier t' invola,

Spoglia d' inganni e impavida

Reca tua fiamma sola,

E desiosa uniscila

All'increato ardori...

Torino, gennaio 1859.

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ALLA TOSCANA

CANZONE

O di vati e d'eroi diva nutrice,

Terra di Dante e Galileo, ti allieta,

O diletta Fiorenza ed animosa :

La superba cervice

Di chi fida all'Italia esser ti vieta

Prostrasti : forte in tuo diritto or posa.

Ei reo, che allo stranier vendea l'acciaro,

E desiò del tuo sangue fumante

Il conteso sentiero "

Al soglio avito aprirsi... Ma più chiaro

Spuntava un astro in ciel vivo e raggiante

Cui l'egual non mirò nostro emisfero :

E mentre il suo splendor sovra i silenti

Spandea campi cruenti

Ove delle sdegnose alme nemiche

S'ode il fremer notturno, a lui volgesti

Cupido il guardo, e in sua luce ti arresti.

L'amor più ardente e le tue glorie antiche

A lui consacri : oh ! ben ti affidi, è quello

Il novo astro d'Italia, Emmanuello !

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— 81 —

E nella tua gentil colta favella,

Nostro soave orgoglio, or vieni innante

Al Prence eletto, e a lui tuoi voti esponi

Che tutta Italia appella,

Che primo in core ne sentiva i pianti,

E a cui l'è gloria e vanto offrir suoi troni.

Ben commetti in sua mano il tuo destino

Ed in te stessa. Ei rinnovò pugnando

Di eccelse glorie etade:

Di Palestro, Magenta e Solferino

Ti è guida il duce : ei fia d'Italia il brando

Finchè in lei stanno pellegrine spade.

La voce, onde lo stranio impallidia

Nel passar la tua via,

Di Piero e di Ferruccio ancor si ascolta

Tuonar possente d'ogni Tosco in petto,

Che l'opra forte avrà conforme al detto.

Cosi ogni possa agli oppressor fia tolta,

E inulta non sarà la rabbia infida

Per cui Perugia alzò l'ultime grida.

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Ve' la grave Bologna erge la testa, .

E colla man sull'elsa in calma attende

Il feroce nemico : ei guata intanto

E trepido si arresta..;

Ma tenebrose arti segrete imprende,

E cela il ferro sotto il sacro ammanto !

Forse di nove stragi e di rovine,

Pensa, e di donne e vegli e pargoletti

Medita ancor lo scempio !

Ahi ! dell'Elvezia i figli alle rapine

Ebbri corron festosi e maledetti... ,

Liberi !... e pur di vili schiavi esempio !

N'è alfin sdegnosa la natia lor terra,

E dopo infame guerra

Non fia che più li accolga e al sen li stringa

Di sangue valoroso aspersi ancora,

Mentre di antica libertà si onora !

Nè più la spada pei tiranni cinga,

Se pur non vuol che civiltà fremente

. Nido la chiami di venduta gente !

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— 23 —

Modena e Parma, deste al novo lume,

Fiaccano anch'esse a' rei signor l'ardire,

E ancor nel solo italo duce han fede.

Ma, il superbo costume

Deposto i re d'Austria vassalli, al Sire

Di Francia il soglio ognun sommesso or chiede.

Oh vana speme ! Il popol generoso

Che pel nostro riscatto il sangue sparse

Fia che lor presti aita ?... >

Anzi il veggio ripor mesto e sdegnoso

L'acciar fumante, e la bell'ira ond'arse

Fremer che l'opra ancor non sia compita.

Nè vorria ricalcar l'Alpi nevose

Mentre ancor le pietose

Grida lo seguon di Venezia in lutto...

E se in lei l'ira invendicata sfoga •.

L'Austro furente e le sue voci affoga,

Francia mirar no 'l può con ciglio asciutto,

Ella che accorse in armi e combattea

Perchè intera trionfi un'alta idea.

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— 24 —

Poichè il tuo nome a dir di te m'invita,

Venezia mia, tu nel pensier m'appari

Derelitta ed in pianto, e pur di altera

Maestade vestita,

E il gemer tuo che affidi all'aure e a' mari

Fino a noi giunge, e sovra ogni alma impera.

Non v'ha per noi gioir di libertade

Se tu, nobil sorella, ahi! gemi avvinta

In più funesti nodi !

Oh ! come a' lampi di nemiche spade

Intrepida sogguardi, e la non vinta

Speme vive immortal nel sen de' prodi!

Chè ben da forti guerreggiar con noi

I tuoi giovani eroi :

Nè Italia obblia che un di sulle tue mura

Del morbo e della fame in fra i tormenti

Sola spiegavi il gran vessillo a' venti.

Piange commosso sulla tua sventura

Intero il mondo, e o Libertà fia morta,

0 in te, Venezia, la vedrem risorta.

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— 25

E la vedrem fin dove il mar più vago

Lambe alla mia Sirena il sen di fiori,

Si che questa dal sonno alfin si desti,

E la sua propria imago

In mirar si vergogni, e i rei terrori

Deponga, ed alla pugna ardua s'appresti.

Oh sventurata mia ! Tu già primiera

Agli alti esempi, all'onta or vivi, e nulla

Dell'imprecar ti cale !

Ed un'orda più rea che la straniera,

Ch'ebbe (oh ludibrio!) nel tuo sen la culla,

A' forti irride e ti ridusse a tale !

Pur non di te dispero !.:. il giorno è presso

Che all'Italia è concesso

Mostrarsi una e concorde! Oh allora in armi

Verrai... Se manchi alla suprema lotta,

Ne' suoi gorghi frementi il mar t'inghiotta.

Ma dove or me tragge il fervor de' carmi?

0 di martiri madre, il vero intendi,

Sorgi, e te stessa e l'onor tuo difendi.

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86 -

E tu, popol d'Etruria, un'alta prova

Alle attonite genti

Di mirabil concordia al mondo nova

Porgi, e di nobil temperanza e calma,

Puro di sangue e d'ogni ostile oltraggio.

Cosi gagliardo e saggio

Su' tuoi vinti nemici, invan frementi,

Cogli ogni di la più difflcil palma.

Salve, o madre, da cui più folto stuolo

Nacque di grandi che da Europa intera :

Salve, o tempio dell'arte, ove pensoso

Par che Michel divino ancor respiri,

E che nell'acque sue l'Arno orgoglioso

Dal tuo classico suolo

Tante glorie immortal specchiarsi miri !

Tu, che d'Italia insiem colla favella

Serbasti il genio e il cor, duce primiera,

Secura ormai tu stessa

La meta alla meriggia Italia oppressa

Mostra, e l'appella, e a lei porgi la destra

Di antica e nova civiltà maestra.

Firenze, ottobre 1859.

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— 27 —

A

SIR G. GLADSTONE

CANZONEI

Tu dunque fremi di santissim'ira,

Generoso Britanno , al fero scempio

Che strazia e opprime la natal mia terra ?

Securo in volto, e la pietà nel core

Scendesti entro l'orrore

De' cupi abissi, ove l'uom giusto ahi! geme,

Che all'empia tirannia rompe il riposo ,

Col ladro e l'omicida, oh crudo esempio!

Sol perchè amò la patria ivi si aggira,

E una stessa catena insiem gli serra !

Pure un raggio di speme

Splende per te nel career doloroso ,

E spande su que' volti alcun sereno.

Odon que' mesti almeno

Che il delitto potente al mondo in faccia

Trova ancor chi lo accusa e lo minaccia.

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O magnanimo cor, ben tu rammenti

Di quelle fronti l'innocenza, e i detti

Sublimi di perdono e di costanza!

Ma l'alma lor stanca di tanti affanni

Scoter si sforza i vanni

Verso i liberi campi , e fuggitiva

Un vital soffio in essi ahi! lascia appena.

E madri e spose e suore i lor diletti

Ravvisar più non sanno in que' pallenti

Volti, che ormai di spettri han la sembianza!

Ahi ! la ragion smarriva

Del figlio amato alla terribil pena

Una tenera madre (1) in suo deliro:

« O fìgliuol mio, ti miro

( Esclama): or posa alla tua madre accanto,

Ch'ella ti sciolga i ceppi al corpo affranto ! »

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— 29 —

Oh patria mia ! qui desolata io piango ,

Chè l'insano sospetto, il furor cieco

Van lacerando il tuo bel sen gentile !

Stolto un poter che Dio rinnega e oltraggia

Quasi terra selvaggia

Te fea , che sei del mondo la più bella ,

E d'arti e di virtudi alma nutrice.

Oh raduna l'ardor che ancora è teco ,

Madre antica di martiri , e nel fango

Più non t'irrida l'oppressor tuo vile.

La sua maligna stella

Se tramonti di stragi annunziatrice ,

Se stesso incolpi , e la sua voglia ingorda :

Chè ragion si fa sorda ,

E alfin natura irrompe, e abbatte e schianta

Dalle radici la malnata pianta.

;

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— 30 —

O difensor d'un popolo gemente ,

Per te s'acqueta il duol che l'ha conquiso,

E nel tuo dir si riconforta e spera.

Dall'esul senza pace e senza tregua

Per poco or si dilegua

Del cor l'affanno all'alta tua parola.

Tu che quel mar mirasti e quella sponda ,

Di', potremmo obbliar tanto sorriso ?

Erra e sospira l'anima dolente,

Ed ivi ognor qual mesta aura leggera

Dolcemente sorvola

Su' fior, su' colli, e sulla limpid'onda !

Bacia il terreno che le amate spoglie

De' nostri padri accoglie,

Fende l'aer natio vinta d'amore,

E a lei novella vita è il vago errore !

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— 31 —

L'itala libertà dell'Alpi al piede

Mentre il lacero fianco almen riposa,

T'ode, e i suoi pianti e i suoi sospiri arresta.

Qui dove un abborrito estranio accento

Non l'è mortal tormento,

Gente di forti sensi ecco ti addita

Di civil senno peregrino esempio,

Che se in itali petti generosa

Carità della patria e invitta fede

Arda, mirabil prova al mondo appresta.

Qui scorre all'uom la vita

Qual di pace ospital nel sacro tempio,

Qui divider con noi sembra ogni ciglio

Il pianto dell'esiglio :

Oh tal virtù se Iddio qui volle accolta,

La ragion degli oppressi in ciel si ascolta !

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32 —

E tu solleva i lagrimosi rai,

O mestissima Italia ! Intenta porgi

L'orecchio... un vivo susurrar non odi?

Come rotte da' venti gemon l'onde,

Tale un compianto asconde

Lontano mormorio, che intorno intorno

L'aria percote, e lino a te perviene.

Commossa Europa in tuo favor già scorgi,

E da ogni terra odi levarsi ormai

E voti e plausi a confortar tuoi prodi.

Che un solo è il dritto, a ogni uom fia noto un giorno,

A cui l'umana libertà s'attiene.

Libero un popol non dirà sè stesso

Se un altro ancora è oppresso;

Che l'universo una ed eterna legge

Con armonia d'amor governa e regge.

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— 33 —

Mesta e sdegnosa spiega all'aura il volo,

E tutto assorto in duolo

Vedrai là sul Tamigi , o Canzon mia ,

Di giustizia il campion di noi pensoso.

Di speranza un accento allor gli chiedi

Per gl'infelici , e s'egli a te lo affida ,

Dell'atre bolge fra caligin densa

Apriti all'egro prigionier la via.

Nè te de' ceppi il suon, l'aer gravoso

Arretri, o il piglio dello sgherro infame.

Là sul lurido strame

Cerca la stanca larva, e se t'intende,

Dille che il mondo un alto esempio attende!

Torino, 1851 .

(1) La generosa ed infelice baronessa Poerio.

3

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— 34 —

PER LA STATUA INNALZATA

A

GUGLIELMO PEPE

ne' pubblici giardini della città DI TORINO

CANZONE

Qui, dove in tele e in marmi

All'italo valore è almen concesso

Render solenne omaggio,

Non manchi l'immortal voce de' carmi,

Cui, qual favella d'una ad altra etade,

Fu i patrii esempi d'esaltar commesso.

O venerata e cara

Sembianza del guèrrier duce di prodi,

Speme ed onor dell'itale contrade,

Chi mai qui rediviva a noi ti mostra ?

O diva Arte di Fidia antica e rara,

De' tuoi trionfi or godi,

Tu elètta ad eternar la gloria nostra

Quando t'inspiri a non mendaci eroi.

A questi io sacrerò libere rime ,

Nè più vegga l'Italia i vati suoi

Dar laudi e fiori a un regnator che opprime.

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— 35 —

Ed ecco, o Butti (1), al creator pensiero

T'apparia la severa ombra del forte

Come allor che sdegnoso

Del fedifrago re scoperse intero

Il tradimento, e n'ebbe il cenno infranto.

Ahi che l'ultima sorte

Della sperata libertà gli appare!

E pria che a Dio, pria che alla patria infido,

Rinegar chi l'oltraggia a lui fia vanto.

Gli atti a sublime maestà compone,

Ed accennando ver l'adriaco mare

Del Po già varca il lido;

Drappel di forti al periglioso agone

Il segue col suo sangue a lavar l'onta:

Ma il passo ardito egli un istante arresta,

E pria colla man pronta

Strugge il foglio abborrito e lo calpesta.

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— 36 —

Di Guglielmo un sospiro

Ebbe la vita intera, un solo amore !

Fu Libertà la donna

Di quel gran core ; e il primo arduo martiro

A lei sacrava nell'april degli anni.

0 amor d'Italia, al nobil suo valore

Prima fonte e sostegno,

Per lui vital respiro ed alimento,

Oh quai per te non ebbe e glorie e affanni ?

Nell'età più gentile eccolo in armi

Contro un reo della Fè ministro indegno

Che a tirannia stromento

Fea di Cristo gli altari e i sacri carmi,

Sacerdote di guerra fratricida (2) !...

Ed ei del primo sangue ahi ! bagna il suolo,

Da cui fìa che il divida

Di rie vicende interminabil duolo!

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— 37 —

Di dura prigionia Io strazio immane

In antro sepolcral, cieca dimora

D'umida tenebria

Ove non giunge il lume del dimane,

Crebbe i pensier gagliardi e il saldo affetto :

E parve ad ora ad ora

Scender nell'alma giovinetta un raggio

Di fortezza immortale ,

E di tal fermo ardir si cinse il petto

Che gloria eran per lui l'ardue catene.

Ah ! ognor l'uom forte, il generoso, il saggio

È questo il don regale

Che nella terra più gentile ottiene !

Napoli mia, sei dunque al cielo in ira ?

Più non vantar tuoi fiori e l'àer puro ;

Fatta albergo te mira

Di sangue, di perfidia e di spergiuro.

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— 38 —

Di pianto umido il ciglio

Partir, lasciando tirannia nel seno

Della terra diletta ;

Soffrir Io strazio di si lungo esiglio ;

Rieder snudando l'onorata spada

Della speme immortale a un sol baleno ;

Fu questa la tua vita.

Degna d'invidia a chi la patria adora

Tua fama alle più tarde età sen vada.

Ad ammirar la veneranda imago

Venite, Itali, a gara : egli v'invita

Qual vostro duce ancora

Col magnanimo volto. Ah ! non fia pago

Lo spirto errante a questi marmi intorno,

Se da quel ch'ei ne dava invitto esempio

Non sorga un chiaro giorno,

Nè vano fia di tanti eroi lo scempio.

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39

0 veneta laguna, oh ! quante volte

Rompe il silenzio di tue chete notti

Sulla querula riva

Delle indarno abborrite austriache scolte

Il grave risonar dell'orme alterne !

Ne' suoi sonni interrotti

Il mesto abitator ode il frastuono

De' bronzi e delle spade,

E correr sangue l'onda ancor discerne.

E del duce guerrier sorger l'aspetto

Pargli, e ascoltar della sua voce il suono,

E tra chi spira e cade

Espor gli mira alle ferite il petto.

Seco ha Poerio e Rossaroll (3) ; di speme

Il guardo lor fiammeggia, e ben si vede

Che van parlando insieme

Della non morta in essi unica fede !

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— 40

0 vera gloria e sola,

Che per cento città viva risuona

Fin che il valor si onora,

Fin che laude a grand'opre intorno vola !

Della bella Venezia il nome accoglie

Morte ed amor! Chi mai, chi le ridona

Le vittrici bandiere

Ch'ella pur vide, e di fortezza il grido

Onde depose le servili spoglie ?

Ohimè! tutto fe' guerra alla infelice,

Ed alle ardite ed onorate imprese

Natura e il ciel fu infido !

Ma pur quel pianto che dal ciglio elice

Più le rinverde i suoi famosi allori.

Non cadesti, o Venezia : il core hai desto

A' generosi ardori,

Nè vinto è ancor quei che alla pugna è presto.

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— 4i —

Nè tu, antico guerrier, deposto avevi

Per bianca etade il generoso brando,

Ma con securo volto

Un gran momento ancor saldo attendevi.

O vero di costanza eletto esempio !

Eri oppresso ed in bando

Agli oppressi sostegno. Esule anch'ella

Ah la Virtude in terra

Nel tuo bel cor trovar pareva un tempio !

E il re, che mente in sul temuto altare,

Forse mirando impallidir sua stella,

Mentre l'abisso a' piè gli si disserra

E in suo terror gli appare,

Oh! quante volte invidiò l'intera

Pace dell'alma tua ! S'ei vinto cade,

Vedrà l'ultima sera

Maledetto da Dio senza pietade.

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— 42 —

Quel raro amor che ha vita

Oltre la tomba, o nobil core, accese

La tua dolce compagna,

Conforto a te nell'ultima partita ,

E ih tutte l'ore angel tuo fido e amante (4).

Le tue gagliarde imprese,

L'intatto amor di patria ecco ella stessa

In questi marmi avviva ,

Pegno di affetto a te saldo e costante.

Spesso io la vidi gli occhi in te rivolti

Da un moto o un cenno tuo pender perplessa.

E tu, qual sulla riva

Il viator che voce amica ascolti,

Stanco fermavi il passo accanto a lei.

«In te vivrò; nè tronchi ancor (dicesti)

Io stimo i giorni miei,

Se tu di me parte miglior qui resti. »

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— 43 —

Ma se il tuo spirto apria l'ali amoroso

Volando al ciel della natia tua sponda,

Là dove irrequieto

D'ira si strugge il Calabro pensoso;

Pur ti fu dolce almen chiuder le ciglia

Qui dove il sole innonda

Dell'italica luce i tre colori ,

Dove ferve raccolto

Sdegno antico guerrier che al tuo somiglia

Pel mostro a cui morder tu festi il suolo.

E se avverrà che a' bellici furori

Il fren sarà disciolto,

Tu spiegherai tra noi dal cielo il volo,

E fia duce a' gagliardi il sol tuo nome.

Oh ! fino al di che le straniere genti

Non sien fugate e dome,

Il gioir di lassù, no, tu non senti !

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— 44 —

Figlia eletta del cielo, Arte immortale,

Quest'opra di tua man tutta accogliea

Dell'Italia l'idea.

Ascolta ora il lontan represso grido

Di Partenope mia. Sul caro lido

Sorga l'imago del guerrier canuto.

Invida forse, e di segreto pianto

Umida il ciglio, qui manda un saluto

La generosa oppressa!...

Oh ! sorga alfin dal lungo sonno anch'essa !

E l'idolo bugiardo a terra infranto,

Innalzi al suo gran figlio un marmo e un canto.

Torino, 1858.

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\

!

— 45 -

(1) Stefano Butti, -valoroso artista milanese, scolpi la statua del Pepe,

nell'atto in cui calpesta gli ordini ricevuti nel 1848 da Ferdinando Borbone

di far retrocedere l'esercito napoletano e di abbandonare la guerra nazio

nale contro l'Austria, ed in vece ordina a' suoi soldati di valicare il Po e

di recarsi a soccorrere Venezia.

(2) II cardinale Ruffo, capo del brigantaggio napolitano del 1799 per

ricuperare con quell'infame mezzo a' Borboni il trono.

(3) Alessandro Poerio e Cesare Rossaroll, vittime generose della

guerra della nazionale indipendenza, tra i Napolitani difensori di Venezia

nel 1849.

(4) Marianna Cowentry, inglese di egregie virtù, consorte affettuosis-

sima del Pepe, la quale ne onorò in ogni guisa la memoria, e continuò

largamente le sue beneficenze agli esuli italiani.

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— 46 —

IN MORTE

DI

CAROLINA POERIO

CANZONE

Dunque cedesti al fato,

O magnanima donna, o eletto esempio

Delle madri latine e delle spose!

Muori, e l'estremo fiato

Al figlio carco di catene accanto

Ahi misera ! esalar tu non potesti,

Nè quei le morte tue membra compose

D'ogni forte sentir pudico tempio !

Alma gentil, ti fia corona e vanto

Che nel natio tuo suolo in pria vedesti

Cader la scure immane,

E de' più eletti eroi troncar la vita,

Onde ancor piange Italia in bruno ammanto ;

E pur martire ardita

T'ebbero i forti alla seconda prova.

Or si ammira per te quanta rimane

Di donna in cor virtute arcana e nova.

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47 —

O anima affannosa,

Quando di calde lagrime non davi

Più sfogo agli occhi, e ti opprimeano il core ,

Iddio con man pietosa

Ti stese un denso vel sull'intelletto ,

E paresti obbliar le tue sventure (1).

Però pascevi ancor l'illuso amore

Talor di care immagini soavi,

E stringer ti sembrava i figli al petto,

E con essi alternar tue dolci cure!

Ma rapido baleno

Ti aperse un solo istante orribil vero,

E al cor mancò la vita e al labbro il detto!

O mesto prigioniero,

Qual divenisti allor nell'àer cieco ?

Deh ! rechi in parte all'alto affanno un freno

La patria che si volge a pianger teco.

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— 48

Nello stanco velame

Avvolta ancor la nobil pellegrina

Scoteva indarno e affaticava l'ale,

Chè colle ardenti brame

I figli, l'un mal vivo e l'altro spento,

Sol potea visitar nel doppio avello.

Ma, da' suoi lacci sciolta ed immortale,

Ecco raccoglie il volo, e si avvicina

Alle amate cagion del suo tormento.

E là nel career di dolore ostello

Amorosa si avanza,

E del suo caldo anelito circonda

II suo Carlo, e ne molce il lungo stento,

E par che a lui risponda

Come in vita solea la donna forte,

E ne sostenga i voti e la speranza...

Chè contro Amor dardi non ha la Morte.

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— 49 —

Poi nell'eterna luce

Parmi vederla, e a lei sporger le braccia

L'alto Orator che tutta Italia onora (2),

Ei che fu padre e duce

A' duo martiri, e a lor segnò la via

Di libertà, che il trasse a lungo esiglio !

Nè l'empia tirannia fu sazia ancora,

Chè l'ombra pur ne teme e ne minaccia.

Ve' tra i cori d'angelica armonia

Un altro figlio alla consorte addita

Tra sacri spirti accolto

Cui morir per la patria il ciel concesse :

E questi a lei : Deh ! vieni o madre mia ,

Chè se il tuo fral non resse

A gir pietosa ove morii pugnando,

Me del tuo pianto a confortar sepolto

Qui la bell'alma tua si posi amando.

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- 50 —

E ben da tanta madre

Nascer dovevi, o vate a un tempo e prode,

Che sacrasti alla patria e vita e carmi (3),

E, le straniere squadre

Mirando a te dinanzi in fuga volte,

Cadesti alzando di vittoria il grido.

Nel sangue immerso e tra il fragor dell'armi

Da te sclamar: Viva l'Italia! s'ode.

Ah si ! tai glorie veggio in Mestre accolte,

Per cui secura all'avvenir sorrido.

Chi al valor vostro insulta

Volga il guardo a quel suolo, itali eroi,

Di cui quest'un pur basti a eterna lode.

Lungamente per voi

L'età, che tutto nell'obblio travolve,

Dirà: Qui non restò l'Ausonia inulta,

Il mostro alato qui mordea la polve.

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5i

Quando la muta notte

Ricopre colle immense ali stellanti

I flutti della veneta laguna,

Le tenebre interrotte

Son da un vivo fulgor che l'àer fende,

Com'astro suol che scende ratto a sera.

E trascorrendo per la volta bruna

S'informa, e di colei veste i sembianti

Che il cener caro a visitar discende.

Allor di un fioco lamentar leggera

Eco si ascolta, e spira

Dell'onde al cupo mormorio frammista,

Che un suon quasi di pianto intorno rende !

L'alma pensosa e trista,

Mentre pel campo di animose morti

Altera in sua pietà geme e si aggira,

Sorgono a venerar l'ombre de' forti.

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52 —

Grande al par che infelice,

Peria quel figlio almen sul campo estinto :

Ma l'altro ahi porse a' ceppi i polsi e il piede !

Rabbia codarda e ultrice,

Che il nome usurpa di giustizia, e regna,

Il seppellia dentro caligo orrenda.

Oggi al duro giaciglio in pianto riede ,

Egli che i gravi ferri onde fu avvinto

Bagnar mai d'una lagrima non degna.

Voce d'amor non fia che a lui più scenda

Di madre o di germano,

Nè intorno mira che il suo aspetto istesso

Ne' mesti accolti nel feral recinto.

Ah ! per quel giusto oppresso

Invan d'Italia il cor palpita e freme !

Se a' colpi indura un reo poter la mano,

Quando a lui scenderà luce di speme ?

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— 53 —

A voi, che in cor soffrite

Pe' vostri cari in ceppi, esuli o spenti,

E suore, e spose e madri, or volgo gli occhi

A voi, cui già rapite

Fur le gioie più pure e desiate

Onde il viver mortal s'orna e si abbella !

Misere ! A quante ancor convien che tocchi,

Più non udir quaggiù gli amati accenti !

Ma stuol di forti ad allevar sol nate,

Seguiam l'orme di questa a noi sorella,

Che con secura fronte,

Col ciglio asciutto e in sua virtù raccolta

De' figli udia la morte o i crudi stenti ;

E a tutte noi rivolta

Dicea : Se della patria offersi anch'io

Un sangue a me si caro a lavar l'onte,

Felice, itale madri, è il destin mio !

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— 54 —

Avvolta in negre vesti,

Canzon, trascorri pel natal mio cielo,

E all'aure affida tue dolenti note :

Là con funereo velo

Copriti il guardo; il sempiterno riso

Non mirar di natura, e sol co' mesti

Di lagrime furtive ahi ! bagna il viso !

Torino, 185i.

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— 55 —

(1) La forte donna negli ultimi giorni della sua vita, affranta dal dolore

della prolungata prigionia e della condanna dell'illustre figliuolo, smani la

ragione.

(2) Il barone Giuseppe Poerio, sommo tra i più eloquenti oratori italiani

nella palestra forense e nella tribuna politica.

(3) Alessandro Poerio , altro figliuolo , chiarissimo per lettere e per

valore poetico, il quale ad una missionediplomatica in Parigi preferi nel 1849

di pugnar semplice volontario a Venezia contro gli Austriaci sotto il comando

del generale Pepe, e morire gloriosamente combattendo a Mestre.

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— 56 —

AGESILAO MELANO

CANZONE

Vola, alma mia, sulla natal tua riva,

E di quel sol ti bea

Di cui ti stringe invan lungo desio !

Caro lido natio,

Ecco io ti veggio e l'aure tue risento !

Ma qual cupo lamento

L'aere percorre? Fosche nubi intorno

Velano il ciel sereno,

E in tetro ammanto il giorno

Sorge di duol presago e di spavento.

Un suon represso di lamenti pieno

Al cor mi giunge, e di pietade il pianto

Tronca su' labbri il canto !...

O terra di beltà suprema e sola ,

Il tuo divo sorriso or chi t'invola?

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— 57 —

Ma, oh fera vista ! Là d'incontro eretto

Veggio un palco di morte,

E il reo si avanza avvolto in negro ammanto.

L'empio gli è scritto in petto (1),

E già si appressa all'ultime ritorte.

Sta in ogni ciglio il pianto,

Ed ei sereno a noi par che sorrida.

Udiam l'estreme grida...

« Viva l'Italia e Dio!» — Che sento?... Un empio

Con tai voci non muore !

Deh! l'inumano scempio

Si arresti, e il giovin prode ah! non s'uccida!...

Ma la voce gli affoga, e l'ultim'ore

Gli prolunga il carnefice! Qual dritto

Vi move, o crudi, e quale è in lui delitto ?

Voi, che tremanti state, ah! ditel voi,

Che mormorate : egli moria per noi !

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58

Ma se ognun qui non l'osa, e piange o tace;

Meglio a te il chieggo, o Fama,

Che la gloria ne spargi in ogni parte.

Una tigre rapace

Di' che in itala terra si disbrama ,

Si che già in ceppi o sparte

Sono vittime a mille. Oh ! di qual sangue

L'ira che in lei non langue

Fea rosseggiar le già ridenti vie !

Regia possanza assume

Per le infamie natie,

Onde fu erede del velen dell'angue !

E pur tal belva osa imperar qual nume.

V'ha chi l'odia, l'abborre e indarno freme;

V'ha chi piange o chi teme,

Ma un'alma audace a vendicar nostr'onte

Sola sorgea di tanta possa a fronte !

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— 59 —

Ecco in mezzo alle sue squadre guerriere,

Scorrendo il vasto campo,

In suo fulgor stassi il temuto sire.

Ratto fuor delle schiere

Qual vide balenar sinistro lampo ?

Oh sovrumano ardire!

Osi affrontar coll'unico tuo ferro

Il coronato sgherro.

Com'angel di vendetta, a lui dicevi :

« Deponi il reo tuo serto,

« O re, morir tu devi...

« Io solo, in mezzo al tuo poter, ti atterro. »

Ma il gran colpo falli!... Pallido, incerto,

Dal terror vinto e dall'interno affanno

Chè non vedi il tiranno ?

Ben forse il di gli appar ch'ei cada estinto

Da quelle spade onde a difesa è cinto.

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Di Cirillo e Pagano ombre sdegnose,

Ad ammirar sorgete

Quest'alto esempio dagli avelli inulti.

Entro le mura ascose

D'un'orrida prigion presenti or siete

Agl'inumani insulti,

Onde una vil tortura ahi ! lo flagella !

Egli con voi favella,

Con voi del crudo suo soffrir si allegra.

Ma tosto altra gli appare

Pallida, in veste negra,

Piangente imago... la sua madre è quella !

Forse di ascose allor lagrime amare,

Più che il forte guerrier, l'amante figlio

Bagnava il mesto ciglio !

Donna infelice ! Il tuo materno duolo

Chi ha cor di madre misurar può solo!

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,- 61

Tra i fantasmi d'amor, tra i più soavi

Sogni, e quei dolci inganni

Onde l'alma s'inebbria e il viver sente ,

Melano, ah ! non curavi

Lasciar la vita in sull'april degli anni ?

O ardita, o nobil mente,

Cui del foco de' carmi il cielo accese,

Che guida è all'alte imprese,

E innalza i forti agli animosi affetti !

Qual patrio amor traluce

Da' tuoi sdegnosi detti

Che di giudici rei sfidan le offese!

Un sol pensier, tu esclami, a me fu duce,

Nè ignobil odio questo sen rinserra :

Liberar la mia terra

Volli da un mostro onde fremea natura !..

Esempio ai regi ed all'età futura.

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Pur v'ha chi reo, chi scellerato noma

Questo Bruto novello,

Onde altera sarà la nostra etade.

Possa qual v'ha che doma

Un efferato alla ragion rubello,

S'egli spento non cade

Da chi a difender sorga ogni uomo oppresso ,

Ed immoli sè stesso

Per distrugger costui, che a un sol pensiero

Ne toglie e beni e vita,

Possente masnadiero,

Cui da forza brutal tutto è concesso?

Chi non ammira che con mano ardita

Spirto gentile e di delitti ignaro

Fin l'omicida acciaro

Pel suol natio stringesti, oh mai nel petto

Ei non provò l'ardor del patrio affetto !

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63

Tace la notte, e per l'aria si desta

Un balenar frequente,

Che di fero spavento ogni alma ingombra !

La sua notturna festa

Più l'allegra Partenope non sente.

Sola si aggira un'ombra

E par che in ogni loco ella si veggia.

Di vivi rai fiammeggia,

E in mezzo al bruno ciel vieppiù sfavilla ;

Col crine in preda a' venti,

Che ancor di sangue stilla,

Qual cherubin s'innalza in sulla reggia.

Stanno gli oppressi in lei cogli occhi intenti.

Ma già ne' sogni del tiranno apparve

Cinta di orrende larve,

Di cui grida ciascuna : « In chi t'affidi ?

« Mille braman ferirti, e un sol ne uccidi ! »

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— 64 —

Orrenda vision !... Sovr'altra sponda

Trepido il guardo ei torse

Per sottrarsi al terror... ma in quell'istante

Fremè commossa l'onda,

E, spettro irato, Bentivegna ei scorse (2),

Qual già dell'avo innante

Il tradito Caracciolo apparia!

Chiusa è pel reo la via

Dell'antica salute : il generoso

Sican, mordendo il freno,

Da gran tempo il riposo

Col frequente agitarsi a lui rapia.

L'Etna e il Vesèvo versan già dal seno

Terribil fiamma che la terra scote,

Ove in sanguigne note

Parmi che scritto apertamente io scerna :

« Stanca dell'empio è la giustizia eterna ! »

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- 65 —

Molle di pianto e d'alto duol commossa,

Movi, o mesta Canzon, romita e sola

Ove sepolte l'ossa

Stan d'iniqui e ladroni : in poca fossa

Ivi cerca l'eroe; digli che ancora

In Italia è una gente

Fra cui sonar si sente

Libero all'aure di Melano il nome ,

Ove tra poche elette alme non dome

Il fatto audace ed immortal si onora.

Torino, 1857.

(1) Con tale apparato si eseguiva, secondo il Codice napolitano, il supplizio

capitale nelle condanne con l'ultimo grado di esemplarità.

(2) II barone Bentivegna , generoso siciliano , che tentò la insurrezione

nelT isola, ma fu preso e tratto a morte per ordine del Borbone.

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— 66

ALLA MEMORIA DEL PADRE

ELEGIA

V'ha tale un duol che sdegna uman conforto,

V'ha tale un duol che nè per largo pianto,

Nè per volger di tempi o di vicende,

Si fa più lieve, anzi nel cor si addentra,

E profondo e terribile la vita

Vuol che si strugga pria che il suo martiro f

Pari è il dolor eh' io porto ognor nell'alma,

O padre, o padre amato ! Al guardo innante

Par che la sacra e cara urna in cui giaci

Io m'abbia, e di mie lagrime l'aspergo,

E te chiamo sovr'essa! Allor d'intorno

Dolcemente aleggiando erra e'si appressa

L'alma tua, che a me parla, e coll'usate

Note d'amor mi riconforta. O padre,

Io si le ascolto... e teco ancor favello

Col riso della speme!... Ohimè! che imprendo f

Come, come narrar potrei lo strazio

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67 —

Dell'alma mia?... La man s'arresta e trema,

Vela il pianto questi occhi, e nel mio core

Par che sol parli una terribil voce

Che mi ripete ognor: «Non hai più padre!...

Fia dunque ver?... Sovra le acerbe piume,

Ove un tremendo morbo ti rodeva

Le stanche membra, e addolorato e inerte

Giacer ti fea senza mai calma o posa,

Mentre già il sol travolto avea nel cielo

Undici volte il disco, ahimè che ancora

Parmi vederti e udirti!... Ah! forse, o padre

Dolce, amoroso, alla tua mesta figlia

Cosi dolente ed egro, e inabil reso

Ad ogni moto onde la vita uom sente,

Non fosti tu scorta fedele e sola ?

Tu della fiamma che ti ardea nel petto

Pel bello eterno, e per virtù sublime

Ond'eri oracol vivo, entro al mio seno

Fin dall'età che sol di fole è vaga

M'inspiravi scintilla: io, te mirando

Riviver sol di poesia nel foco

A cui scioglievi l'inspirato labbro

Con melodica voce, anch' io la cetra

Destava al suon, quasi mestissim'eco

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— 08 —

De' teneri tuoi carmi. Ahi ! che la morte,

Mentre a me ti rapia, sembra che ancora

Dell'eterno suo gel mia mente ingombri !..

Oh ! chi darà mai tregua al dolor mio

Perch' io ridica del tuo forte ingegno

L'alto valor ? Come calzar sapesti

Con nobil vanto il tragico coturno,

E sdegnoso che più d'eroi non fosse

La nostra età feconda, all'ardua prova

Di rivestir con itale armonie

La diva altezza delle greche scene

Sorgevi ? E appieno la sapienza e l'arte

Di Sofocle e d'Euripide appariro

Palesi a te. Come dar fiato a un tempo

Sapesti alla divina epica tromba,

Che i caldi affetti del tuo cor spirava

Fra i labbri tuoi? Come l'altera musa

Del Lazio rinverdir gli antichi allori

Fea per te, padre mio, che a nova altezza

La ridestavi ! E come infra le angosce

Orrende ed ineffabili, che morte

Chiamar ti feano in lagrimevol suono,

Le meste note del gran re profeta

Dolcemente sposavi alla tua lira!

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— 69 —

Ma perchè mai tu, ch'eri infra i mortali

Al vizio spento ed all'onor sol vivo,

Segno al più avverso fato esser dovesti ?

Perchè le gioie che apre all'uomo il mondo

Non fur per te che rapido baleno ?

Tu del lauro de' vati ornato il crine

Splendesti, è ver„ nel lusinghiero incanto

Ch'offre il patrio favor ; ma qual mai frutto ?

I dardi ad evitar d'invidia rea

Mari e monti varcasti, questa cara

Terra natia fuggendo ; e viver puote

Fuor di quest'aure amanti italo figlio ?

E pur d'una dolcezza unica e vera,

D'una dolcezza che null'altra agguaglia

Ad infiorar tua vita, una consorte

Iddio donotti, che parea dal cielo

Angel disceso a confortar tue pene,

A sollevar colla pietosa mano

L'egre tue membra e ad apprestarti ancora

L'alimento vital, chè (oh ria sciagura!)

Pel fero morbo era tua cara destra

Inerte e vinta dal torpor di morte !

Fisse ed intente nell'amato e mesto

Tuo volto ah non sapea chiuder le ciglia

Al bramato dall'uom dolce riposo !

Ella sol fu che sostenea tuoi spirti

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- 70 —

Quando due figli, due soavi pegni

Del vostro raro amor, giugnendo appena

All'etade in cui l'uom nobil possanza

Sente nel petto, e l'avvenir già vede

Fiorir ne' sogni della giovin mente,

Ahi fur colti da morte!... A lei tu stesso

Col sospir dell'angoscia ripetevi :

« Il più misero io fui, tu la più forte ! »

Ed or ti veggio, o padre mio, nel cielo

Stretto abbracciarti a' duo tuoi cari figli,

E gli altri orfani tuoi mirar pietoso,

E la madre dolente, e me che mai

Non cesserò dal pianto! E il dolce sposo

Che un di tu stesso a me giugnevi, e ch'era

Il soave amor tuo, mira che meco

Sulla tua tomba gemito diffonde

Di figlio amante, ed a me dice : « 0 sposa,

Or sento io pur quanto tuo padre amai ! »

Deh ! perchè mai la cara bambinella

Delizia del mio cor, come già schiude

I labbretti alla gioia, il duol che m'ange

Pur non comprende? Le innocenti e prime

Sue lagrimette a te sacrar vedresti !

Un di saprà che a lei l'estremo canto

Volgesti, e del suo di l'albor primiero

Salutò dall'occaso il tuo dolore !

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Ma che?... Qual lampo di sinistra luce,

Atra un'idea si affaccia alla mia mente,

Una tremenda idea ! Finch' io respiri

Te più mai non vedrò?... Nel vuoto orrendo

De' rinascenti secoli sospingo

Il desir mio, quasi anelando un giorno,

Un'ora, un punto in cui mi torni innante

La paterna sembianza ! Oh allor che l'alma

Sentirò svolta dal corporeo velo,

E d' incognite sfere pellegrina

Lasciar dovrà quanto quaggiuso amava ;

Solo un pensier fia che le impenni l'ale,

E, qual veloce aura d'amor, tuo volto

Cercando andrà là d'onde a noi proviene

Questa fuggevol vita, che si ratta

Riede in sen dell'Eterno! Almen, deh vieni,

Vieni sovente a rallegrar miei sonni !

Che ancor di te bear mi possa, o cara,

0 maestosa e nobil fronte, o voce

D' ineffabil dolcezza, o vivo sguardo

Pien di quel raggio che dal ciel discende

Ne' spirti eletti, cui vestir fu dato

Di celesti armonie divin pensiero ! <

Di voi, deh ch'io mi pasca! Ahi solo il pianto

Quaggiù mi resta!. È l'unico retaggio,

Il fatal vero in cui l'uom vive, il solo

Tributo dell'amor sui cari estinti,

Il solo ohimè eh' io dar ti possa, o padre!

Napoli, 1842.

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— 72

ALLA POESIAio

Nobil figlia del cielo, il cui sorriso

Dal mar di Cuma e dall'ausonia riva

Mai per volger d'età non fia diviso !

Alma qual v'ha si di dolcezza schiva,

Qual v'ha si duro cor che non risenta

Il poter di tue grazie ? O vaga Diva,

0 Poesia, nel cui bel raggio intenta

Fissai gioiosa ed avida lo sguardo

Da questa età di sogni sol contenta;

Benchè mesto il pensier, pur non è tardo

Giammai quando il tuo nume in ogni vena

Quel foco avviva ond'io per te sempr'ardo:

E allor che m'ange del dolor la piena,

Sola, nè il come io so, mi rassecura

Della tua melodia l'aura serena.

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— 73 —

Non qual ne giugne a noi l'eco non pura

Del norte, che piegar vuol tua divina

Voce al tristo fragor della natura;

Ma qual s'ode spirar dalla vicina

Sorrento, e qual trascorre a molcer l'onda

Dal fatidico suol di Mergellina.

Pur qual destino è il mio che a me s'asconda

Sempre il tuo riso, e mentre il cor t'ascolta,

Fuor che un lungo sospir, nulla risponda?

In fosche bende a me dinanzi avvolta

E col raggiante volto ed immortale

Mutamente ti veggio a me rivolta.

E mentre il pensier mio scotendo l'ale

Crede l'eterea via trascorrer teco

Con vol superno ed al desiro eguale ;

Del duol tu il traggi nell'orrendo speco,

Ov'ei sospira invan fugate e rotte

Veder l'ombre per lui dell'aer cieco.

Ah ! dunque mai da questa orribil notte

Non fia ch'ei sorga, e luce alma respiri

Lasciando dell'obblio l'eterne grotte?...

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— 74 —

Ma che?... Qual nembo del color dell' iri

Sulle Sicille sponde omai può trarmi

Dove il mar freme in vorticosi giri ?

Sei tu stessa, o d'amor gloria e dell'armi,

Diva, che del Peloro all'ardua mole

Tanta parte di Grecia anco risparmi?

Qui dove apristi Y itale parole,

Te ravviso al fulgor che in sè raduna

Nel più vivo seren l' italo sole :

Donde ancor le tue note ad una ad una

L'eco raccoglie, indi per l'aure amanti

Le diffonde alla placida laguna.

E mentre acqueti co' celesti canti

L'Etna che freme, intorno a te le belle

Arti fan coro onde ottenerne i vanti.

Del foco inspirator tu le facelle

Fra lor comparti, e in esse è tua l'imago,

Come quella del sol rendon le stelle.

Quindi al tuo sguardo di sue glorie vago

Sola bastar potria quest'alma terra

Che in sue dovizie ogni desir fa pago.

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— 75 —

Il tuo sguardo d'amor si affigge ed erra

Pria sull'alta Palermo, e èen rammenti

Quanta del tuo valor parte rinserra.

Ve' Messina, che incontro alle furenti

Rocce di Scilla in suo saper si posa,

Meditando al tenor de' tuoi concenti.

Per la piva e il compasso al par famosa

Ve' Siracusa, e il Sofo d'Agrigento

Che a Falari minaccia ombra sdegnosa:

Stesicoro, Epicarmo, e cento e cento

Nomi, che da' bei colli al mar vicino

Fan mormorar delle lor glorie il vento,

Che il vario spiro agitator divino

Volge al triplice mar di lito in lito

Fin dov'eccelso il capo alza il Pachino.

Terra di gloria ! Ah non ti fia rapito

Un raggio sol mai di si viva face

Dal settentrional vedovo sito !

Quando al cader dell'ombre il mondo tace,

E al carolar delle stellanti rote

Sovra i flutti del mar siede la pace,

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— 76 —

Io raccorrò le solitarie note

Che tu, Diva, ne inspiri, e un dolce pianto

D'amor, di speme bagnerà mie gote.

Ma sperar non potrò mescermi al vanto

Di quei saggi che annovera il Peloro,

Nobil tema fra noi del tuo bel canto.

Ultima fra gli eletti a sì bel còro,

D'ora innanzi al fiorir de' miei verd'anni,

Mi attenderò dall'alto esempio loro

L'aura che basti a sostener miei vanni.

Napoli, 1842.

(1) Nell'essere stata l'autrice ascritta all'Accademia Peloritana di Messina.

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77 —

LA VIOLETTA

ODE

Sovra un ruscel che limpido

Gemea tra sponda e sponda,

All'ombra d'un bel salice

Che si spandea sull'onda,

E trar parea delizia

Da quel vivace umor,

Io mi posava: e l'alito

D'auretta rugiadosa

Libava il casto anemone,

La verginella rosa,

E la viola mammola

Bella nel suo pudor.

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— 78 —

La tortorella semplice,

L'amabile usignuolo,

All'aleggiar de' zeffiri

Tutti traeano a volo

Dove tra foglie ascondesi

Quel pallidetto fior.

Perchè, perchè non correre

Sul vago fiordaliso,

Sul fior gradito a Cipria,

Sul tenero narciso,

Lievi augelletti ? Io tacita

Cosi dicea nel cor.

Riposta in verde calice

Sul verecondo stelo

Ella non anco i petali

Svolse ridenti al cielo,

Il sole ancor non fecela

Specchio del suo splendor.

O violetta ingenua,

Quel tuo pallor (se m'odi )

Che ti fa mesta e languida

Tragge il favor che godi :

Anch'io per te nell'anima

Sento il più caro amor.

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— 79 —

Vieni... Il mio volto inchinasi

Al par della tua spoglia ;

Vieni... di schietta lagrima

Ti aspergerò la foglia,

Nè splenderai men rorida

Che al mattutino albor.

Ma no... Già presso a svellerla

Ristetti, e si dicea :

O vaga, io troppo amandoti

Del tuo morir son rea.

Non ti corrò; l'immagine

Serba del mio dolor!

Napoli, 1842.

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— 80 —

ALL'ILLUSTRE

TERENZIO MAMIANI

ESULE IN PARIGI

Tu ancor sei dunque, o Mam'iani, il segno

Dell' ingiusta fortuna alle ritorte ?

Tu segui ancor sotto un estranio regno

Di Campanella e d'Alighier la sorte ?

Tu che ritraggi dal primier l' ingegno,

Dall'altro il divin foco e l'alma forte ?

O Italia, te d'onor colman tuoi figli ;

E tu, ingrata, lor dai ceppi ed esigli?

Ma no... Voce non è d'Italia mia

Che i suoi figliuoli dal bel sen diparte:

Voce ell'è che sovr'essa incrudelia,

Al cui cenno mirò sue membra sparte —

Deh! quando a noi volgi il pensier, che obblia

Sol per brev'ora le sudate carte,

Di' : Quella voce sol me lungi brama,

Ma la voce d'Italia a sè mi chiama.

Napoli, 1843.

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81

PEL SUPPLIZIO

DEI

FRATELLI BANDIERA

CARME

Oh ! perchè mai di si lugubre ammanto

Si veste la natura ? Oh ! chi direbbe'

€he il ciel d'Italia è questo ? Ecco di nera

Caligin fitta inorridito il sole

Si ricovre la fronte; e non un grido

Uman si ascolta, alto un silenzio regna,

Un silenzio di morte: e sol dal fondo

De' cupi monti, dal tremante seno

Della terra, dal sibilo del vento,

Dal mesto canto di sinistri augelli

Un gemito si eleva, un suon di pianto

Che per l'aere si spande, ed il mio ciglio

6

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, — 82 —

Or di lagrime ingombra ! E dove un core

Di selce v'ha che qui non pianga ? — Oh quale

Spettacolo tremendo !... Un palco è quello,

À cui d'intorno avidamente corre

Immensa turba che più e più si affolla,

Qual chi attende grand'opra ! E dov'è mai

La vittima ? Che miro ! Ecco uno stuolo

Di garzoncelli che il bel volto appena

Del primo pelo infiorano ! la fronte

Han mesta, e pur scintilla il guardo ardito,

Che di sublime alma fa fede. Ah ! dunque

Di sangue uman giustizia orrida io veggio...

Giustizia!... Qui dove in un Dio si crede

Di perdono e di pace, ancor si noma

Giustizia dunque , e tu permetti, o cielo,

Punir delitti con maggior delitto ? —

Ma pur qual colpa è in essi? Ah! voi mel diter

Voi che immoti qui state, e nel cui volto

Veggio il timor più che l'orror scolpito,

Su, mel dite, qual colpa?... E che? si grave

È questa dunque, che un pallor di morte

Tutti vi pinge al sol pensarla, e il labbro

Non si attenta nomarla?... Ecco già tutti

Son presso al palco ! Già lo sgherro innalza

Il braccio infame!... Ohimè che sento ! un d'essi

Atteggia il labbro alla parola. Udiamo :

t Italia, Italia, io moro, e il solo amarti

« Fu il mio delitto, O caro, unico, ardente

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— 83 —

« Di patria amor, tu che ne accendi il petto,

« Non perirai con noi ; chè più possente

« Da questo sangue correrà tua fiamma

t Per l'itale contrade. Or voi tremate... » .

Ma gli si vieta il dir più oltre, e il colpo

Feral già tronca l'innocente capo,

Che rotolando al suol, parole ancora

Libere e generose mormorando,

L'estremo spiro esala!... Ad uno ad uno

Seguon la sorte stessa i valorosi,

Nè un sol sospiro al fior di prima etade

Da lor si emette, non un sol lamento

Al cessar della vita, ma te sola

Piangono, Italia, e di te sola! Ah! dunque

È della lor più dura assai tua sorte?

Ma chi no'l vede? Immenso stuol qui assiste

Alla infernal vendetta, e non si eleva

Qui di pietade un grido, chè nel petto

Vil paura l'affoga. Ah ! ti ridesta,

Cosenza: e soffri che in tuo sen si compia

Il cruento sterminio, e non strappasti

Le vittime al flagello, e non ti mosse

Quella fiorente giovinezza?... O gregge

Di vili schiavi, e voi nepoti appella

Ancor de' Bruti lo stranier?... No, piangi,

Italia, piangi, e lunghi giorni ancora

In negre bende ; chè da te lontano

Io veggio il di che avrai rasciutto il ciglio !

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— 84 —

Ma qual novella scena agli occhi miei

Or s'appresenta ? Ove son tratta? — È questa

La reggia, io la ravviso; ecco il novello

Falari in trono superbo si asside,

E un bianco veglio tremolante e chino

Gli si prostra piangendo : « Ah ! prendi, o Sire,

Questo canuto capo, ecco io tel reco,

Troncalo a posta tua; ma sappi... io padre

Son di due figli tenerelli, sola

Delizia di mia vita al fin già presso :

Essi in tua man son già : di sconsigliato

Amor di patria rei, ben so che il tuo

Sdegno regal sovra il lor capo ahi ! piomba ;

Ma ti muovan le lagrime cocenti

Onde bagnato è questo volto antico,

Ti mova il cor di un padre... oh tu sei padre !...

Ben che imbiancato d'altra corte all'aure

Ho questo crine, e che pupilla io sia

D'un re che m'ama; io nulla e lustro e onori

Estimo omai ; qui tel ripeto, vibra,

Signor, nel petto mio l'orribil colpo

Pria che nel sen de' miseri miei figli ! »

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— 85 —

Re, che rispondi ? — E tu sorgi dal suolo,

O canuto infelice, ed al tiranno

Non dar la gioia del tuo pianto. — Ahi lasso !

Smarrita ha la ragion ! Cruento ei mira

Già de' figli lo spettro, ma di affetto

E di conforto a lui favellan. Certo

Essi in ben altra sanguinosa vista

Nell'ora estrema appariranno innante

Al carnefice re: con una mano

Stringendo il tronco capo, e insiem coll'altra

Mostrando il ciel, rammenteranno al vile

La folgore di Dio, che sovra il capo

Già terribil gli piomba, e in un baleno

I re trabalza, e atterra e schianta i troni!

Napoli, 1844.

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- 86 —

A SORRENTO

SONETTO

0 colli, o amene valli, ombre amorose,

Suol che sembri al mio cor sacro e beato,

Ah ! in voi di sè gran parte il ciel ripose

Sol perchè foste un di culla a Torquato !

Qui tra vaghi boschetti e querce annose

Parmi il suo canto fin dell'aura il fiato !

Qui errar lo veggio ancor colle pensose

Luci, ove impresse stan l'onte del fato.

E in mesta voce che discende al core

Esclama: « O mio dolce e fiorito lido,

Perchè in lontane corti, ahi! volsi il piede?

Qui non avrei, tratto in insano ardore,

Creduto al riso della sorte infido,

E di reo prence alla bugiarda fede !

Sorrento, 1845.

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— 87 — '

A

VITTORIO ALFIERI

SONETTO

Al fragor cupo di commossa gente,

Che alla Senna fea l'onda sanguinosa,

Sorse gridando l'Astigian fremente :

« O Italia, e ancor sei muta e sonnacchiosa?

Ma se ne' vivi tue virtù son spente,

Se il valor nelle tombe, ohimè riposa;

Di Virginio e di Bruto almen la mente

Mandi dal labbro mio voce sdegnosa. »

Si scosse al suon dell'alta sua favella

L'Itala Donna, e dall'eroiche scene

Di nova gloria sfolgorò più bella.

Or dall'avel suo spirto evoca, e s'ange,

E vuol che ad altri ei scaldi almen le .vene...

Ma son tant'anni ohimè che aspetta e piange !

Napoli, 184G.

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ALLA POLONIA

SONETTO

0 Polonia gentil! tu sorgerai,

E teco Italia, da perenni guai.

Chi di si fosca nube il ciel t' imbruna,

Polonia, e chi ti fa misera e prona ?

Chi sul tuo capo or tanti mali aduna ?

Chi toglie a te la fede e la corona?

Ah ! mentre ancor veggio l'Odrisia Luna

Velar la fronte, ove il tuo nome suona;

Te mira Europa in preda a ria fortuna,

Nè impugna un brando, e in ceppi ahi t'abbandona?

Pur v'ha lontana terra a te sorella

Nell'altar, nella gloria e nell'impero,

Che piange i prischi tempi... — Italia è quella.

Se al par versaste il sangue del martiro,

Se vostre membra sparte ha lo straniero ;

Deh in cielo arrivi alfin d'ambe il sospiro!

Firenze, 1846.

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— 89 —

IL TROVATELLO

SONETTO

Non ho delitti, e nudo in sul terreno

Perchè negato è a me d'ogni uom l'affetto ?

Perchè il padre crudel mi nega un tetto,

La madre il latte del fecondo seno ?

E pur non nega a me l'aere sereno

Quei che il soffio vital mi pose in petto.

Nasci, se mi dicea l'eterno Detto,

Di viver dritto avrò d'ogni altro io meno ?

Ma da chi nacqui ? Erro deserto e solo,

Su' tanti volti almen cercando un segno

Di lor, per cui qui vivo all'onta e al duolo.

E invidia anco una legge al viver mio,

E del soccorso uman mi grida indegno...

Perchè padre non ebbi altri che Iddio!

Bologna, 1846.

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— 90 —

IN MORTE

DEL CELEBRE MEDICO

TOMMASINI

SONETTO

Innanzi a Tommasini, al saggio, al forte

Che tante prede a lei strappate avea,

Irresoluta di ferir la Morte

Quasi un cenno di lui muta attendea.

Ma ferma a' colpi dell'avversa sorte

L'alma: « Ferisci pur (disse alla rea),

Chè lieta ad incontrar figlia e consorte

Io volo in seno dell'Eterna Idea ! »

Spirto gentil, deh per la patria terra,

Non per salvezza di caduche salme,

Or poni in opra l' immortal virtute !

Di quei che un muro ed una fossa serra

Prega in un sol desio concordi l'alme,

E avrà l'Italia ancor da te salute !

Parma, 1846.

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— 94 —

COLOMBO

AL CONVENTO DELLA RABIDA

Pura e serena in ciel tacea la notte,

E la luna stendea limpidi rai

Sovra il mar d'Andalusia : alla soave

Notturna brezza, al mormorio leggero

Dell'onda limpidissima, un'arcana

Forza d'amor molcendo l'alme, unirle

Parea disgombre dell'umano velo

Dell'immenso creato, all'armonia.

E si scorgeano sovra alpestre scoglio

Nereggiar solitarie antiche mura

Cinte di folti abeti : ivi fuggendo

Le mondane discordie, le malvage

Ire, le insidie e la nemica immonda

D'ogni ben, d'ogni gloria invidia rea,

Poche alme elette raccoglieansi, liete

Nel vincol strette di celeste pace,

Per le mondane colpe assidui voti

Volgendo al cielo ad implorar perdono.

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— 92 —

Quand'uom, cui tutta trasparia dal volto

Pallido e scarno l'anima gemente

Tra mille angosce, e pur salda ed immota

Contro il destin, che colla ferrea mano

Non valse a cancellar da quella fronte

ll vivo raggio dell'Eterna Idea ;

Traendo al fianco un garzoncel, che a stento

Movea le piante tenerelle e stanche

Dal già lungo cammin, con un sospiro

Al limitar sostò del santo ospizio :

E qual chi forte combattuto è dentro

Da contrarii pensier, mirava il cielo,

Del suo ramingo e miserando stato

Chiedendo a lui ragion ; poi lo scotea

Il lamentar già moribondo e fioco

Del figliuol che mancava... « Oh! disse alfine,

Signor, tu il vuoi ? D'orgoglio uman l'estrema

Voce si taccia nel mio cor : paterno

Amor lo impone, ed all'Italia almeno,

Se il di verrà che andrà superba e lieta

D'esser mia patria, il vanto sol si lasci,

Che non languii sotto il suo ciel per fame ! ì>

E si dicendo, colla man tremante

Più volte e più quel sacro uscio percosse,

E allor che schiuso il vide, colla palma

La sua fronte covrendo : « Oh ! date un pane,

Sclamava, un pane al mio figliuol che muore! s

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— 93 —

Un fraticel, cui la pietosa voce

Ratta dell'umil core apri la via,

La man dal volto gli togliea : poi scosso

Dal maestoso aspetto : « Ah ! vieni meco

(Con dolce accento gli dicea): sé il mondo

T'abbandona cosi, qui trovi almeno

Tuo travagliato spirto asilo e pace. »

Mesto l'altro il seguiva, e poi che un dolce

Conforto più dalle parole sante

Che dal cibo ottenea, traendol seco

Presso un ampio veron, d'onde apparia

Il sottoposto mar-: « Vedi (gli disse)

Quest'immenso oceàn, su cui lo sguardo

L'uom rivolge tremando? Il campo forse

Fia di mia gloria! Ah si, da' più verd'anni

S'io vi fissai quest'occhi, il cor sentia

Doppiar suoi moti, ed un'arcana voce

Pareami ognor che fuor dell'onde uscisse

Vaticinando a me mistiche note.

« Sappi (dicea) che quando il sole a noi

Cela il fulgor dell'infocata fronte,

Oltre quel mar la luce sua diffonde

Sovra incogniti lidi in altro mondo.

Ed a quel novo polo, a ogni uom negato

Finor, tu primo spiegherai le antenne ! »

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— 94

O viva speme, anzi certezza intera,

Che i giorni miei, che le mie notti invadi,

Perchè dagli occhi miei si non traspari

Che trasfonder ti possa a ogni uom nel petto ?

Con incredulo riso ahi! veder deggio

Accolti intorno i detti miei, con volto

Dimesso gir d'una in un'altra sponda,

Quasi chiedendo per pietà che mecé

L'alto arcano non mora. — Oh ! patria mia,

Genova, che sull'onde impero avesti,

Serbarlo a te credea: ma tu già chini

L'altera fronte, e in te gloria, grandezza,

Possanza, ahi tutto svanirà tra poco

Di libertà col languido barlume !

O Italia, Italia, e ricusar potesti

Tu l'offerta di un mondo ? Ed or m'astringi,

Esule, errante, a mendicar, la vita,

E a soffrir le repulse e i duri motti,

L'invidia, l'arti, i tradimenti vili

Delle straniere corti ? Ed io sperava

Un lauro di tua man ! Ma no : che parlo ?

Se più quella non sei, sprezzo i tuoi serti,

Agl'istrioni o a' re serba gli allori. »

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— 95 —

Si disse il grande : e già riedea quell'ora

Che il primo raggio mattutin si accende

D'un si lieve baglior, che intorno appare

Più mesta che nell'alta ora notturna

La pallida natura ; ed una luce

Venne improvvisa a rischiarar la fronte

A quel divo cosi, che in quell'istante

Un segno parve del favor divino.

Oh come conscio egli apparia dell'alta

Sua mission ! Tra le sventure forte,

Generoso, magnanimo ! Lo sguardo

Tenea si fitto al mar, che il suo pensiero,

Al gran volo immortal spiegando i vanni,

Varcar parea dell'oceàn le vie.

« O chiunque tu sii (l'altro rispose

Con inspirati accenti), al volto, a' detti

Più che un mortal tu sembri. Or tu l'amplesso

Ricevi d'amistà. Da un'umil cella

Cominci la tua gloria : in ogni evento

Io consiglier, duce, fratello, amico

Sarotti al fianco : voce in cor mi grida

Che lo splendor di nostra età sarai. »

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— 96 —

Ah forse un Vaneggiar di accesa mente

Mover potea dell'uom ramingo i detti ?

Ed il suo nome? Ei proferillo : oscuro,

Ignoto nome allor suonò. Chi mai

Rispondere a quel pio poteva allora :

« La man stendesti a un grande tra' più grandi

Che il sol mai vide, all'immortal Colombo ? t

O Colombo ! Colombo ! E perchè mai

Con profetico spirto in quell'istante

Non lesse intero l'avvenir quel veglio?

Detto t'avrebbe : « È assai men duro calle

Girne un pane a implorar di lido in lido, -

Che a vili e ingrati il dono far d'un mondo ! !

Tu possanza e tesori a lor darai :

Ed essi a te?... Lo spregio e le catene ! »

Genova, 1846V

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- 97 -

NAPOLEONE E WASHINGTON

SONETTO

Com'aquila che obblia l'usato artiglio

Quando a' raggi del sol si volge e bea,

Di Bonaparte dall' ingrato esiglio

Lo spirto ebbro di sangue al ciel giungea.

Ma perchè atterra vergognoso il ciglio

Ei che imperar, solo imperar sapea?

Oh vista! oh incontro! dell'Italia al figlio

Di Washington la lieta ombra occorrea.

Ah mentre immoto quei sospira e tace,

Pensa ch'ei sol regnar fe' il brando e l' ira,

E l'altro il trono suo cesse alla pace.

Allor di Dio la voce in suon di sdegno

Lo riscosse, e gridò: « D'Italia or mira

Chi nascer figlio era di te più degno ! »

Genova, 1846.

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— 98 —

P A R I N I (,)

Mentre coll'alma or lieta, or sospirosa

Vo' in ogni parte dell'Italia mia

Il piè volgendo, mentre in ogni sasso

Veggio una gloria o una sventura, in queste

Dell'insubre città sacre a Sofia

Auguste soglie, oh chi m'appare innanti

Che fin dal marmo par che d'ira avvampi?

Sei tu del Vespro e del Mattiti cantore,

Sei tu, Parini : io ti ravviso al ciglio

Cui corruga lo sdegno, invan celato

Dal sogghigno del labbro: io ti ravviso,

E all'acceso pensiero al tuo cospetto

L'italo Genio par che stenda l'ali

Di te superbo, e in guisa tal favelli :

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— 99 —

« Oh potessi dal ciel dove ancor fremi

Sovra i miei fati, austera alma lombarda,

Coll'ardente desio rapir tuo divo

Spirto increato, e in questi freddi marmi

Ridestar moto e sentimento e vita,

E quel poter che me dal sozzo fango,

In cui m'ebber travolto estranie genti,

Trasse a libero volo ! Oh con qual onta

L'uom vidi allor contro l'altr'uomo armato,

E di Religion vestita il manto

Vil sacrilega donna, udii gridargli :

« Uccidi pur, chè chiede sangue il cielo. »

10 vidi agli occhi Poesia far velo

Cinta di bende lugubri, usurparne

Il nome udii la Vanità sonora,

Che alti sensi inspirar ben cauta evita

Di Tirannia ministra : e la soave

Figlia del ciel premea tremante al seno

Fra' singhiozzi e le lagrime que' prischi

Canti, in cui tutta trasparia la speme,

La gloria, il gemer lungo, e la costante

Ira repressa e non mai spenta in seno

Della tradita Italia; e non osava

Nota levar vinta dal suon dell'armi

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— 100 —

E dal fragor delle catene. Oh allora,

Qual novo astro che brilli in buia notte,

Apparisti, o Parini, e di fulgente

Luce vestito io questo vago cielo

Novamente percorsi : il sol tuo verso

Con intrepido ardir su' labbri tuoi

Sferzò le dure leggi e i rei costumi.

Ed il vizio, che ascoso era e securo

Con orgoglio impudico entro i recessi

Delle dorate mura, udi fremendo

Entro il superbo petto il dardo acuto

Del satirico detto: invan piegarti

Tentò con oro e con viltà, che mai

Non percotesti adulator mendace

Le dure illustri porte ! E dove un'alma

Vedevi ornata di fulgor natio,

Non vil retaggio della cieca sorte,

Recavi a lei tuoi carmi : o nel beato

Terren tra' colli placidi, che l'acque

Dell'Olona ricingono con lieve

Insensibil pendio, toccar godevi

L'immacolata cetra, ed il tuo canto

Sempre al tuo nume, a Verità sacravi,

Insiem contento e libero. E pur tanto

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101 —

Ardevi in cor di cittadino affetto

Per l'Italia infelice! In forti accenti

« Ahi misera la patria (alto sclamavi)

Cui figli rei rinnegano, chiamando

Lor patria il mondo, ed in orrenda guerra

Di fratelli e fratelli innondan tutto

Il comun suol di comun sangue ! Oh quando,

Quando sarà che un sol pensiero, un solo

Vero e saldo voler gl'Itali tutti

Annodi e stringa quasi un'alma sola ?

O perenne desio d'ogni alto petto,

Caro, antico desio, ch'eterno vivi

Per la membranza delle glorie avite,

Eterno ancor per le sciagure, oh alfine

Il ciel ti compia ! » — Qui la vaga fronte

Del genio apparve di quel foco accesa

Onde s'orna la speme, e un indistinto

Fremito intorno mi parea far eco

Sommessamente a quelle ardenti note.

« Pur te felice (ripigliò quel divo),

Che il tuo spirto sdegnoso almen non vide

Mercarsi a prezzo vil laudi ed onori,

E il mostro aquilonar fatto più ardito

Squarciar le membra, e tutto inebbriarsi

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102 —

Nel sangue della tua patria diletta !

E su' lombardi tuoi fertili campi,

Che il sol vagheggia e con amor feconda,

Di tronche itale teste orrida messe

Sparger l'idra assetata e furibonda!... »

A tai parole, quasi fosca nube,

Che gravida di nembi adombri e celi

Una vivida stella, in cui lo sguardo

Seguendo il vol dell'alma ansio si pasce,

Avido indagator de' divi arcani ;

In men che il dico entro il suo vel si avvolse

Il favellante Genio. E come suole

Il villanel quando vaghezza il prende

Di più lungo lavoro, e il sol gli asconde

Il tesor di sua luce ; io tal divenni

All'improvviso disparir, chè lunga

Speme di udirlo aveami in petto. I sensi

Si mi legava la dolcezza ancora,

Che ben più non sapea dov'io mi fossi.

Se non che un mormorar di stranio accento

Mi percosse l'orecchio, e ben conobbi

Ch'era del Norte la fatal favella,

Onde l'Italo ancora in volto arrossa.

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— 103 —

È questa pur l'Insubria (allor gridai),

Tua patria è questa, o mio Parini; o intorno

M'è del Danubio la pallente riva? —

Quindi, innoltrando tacita e pensosa

Gl'incerti passi, nel sentir sul volto

Aleggiarmi le ausonie aure natie,

Versai segreto pianto ! Ahi che pur troppo

Sovra il mio capo era d'Italia il cielo !

Milano, 18i6. > >

(1) Nel veder la sua statua nel palazzo Brera in Milano, nel 184-6.

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— 104 —

IN MORTE

dell'insigne poetessa napolitani

MARIA GIUSEPPA GUACCI

CANZONE

(Letta in pubblica adunanza dell'Accademia Pontaniana di Napoli

nel 1849, mentre si opprimevano le nascenti libertà ).

Al sol dell'alme libere sospiro

Drizzi amorosa l'ale,

Tu che de' raggi suoi quaggiù splendesti,

Donna, che ancor vivendo eri immortale !

Or senza velo nell'eterno empiro

Vedi onde mova la virtù de' carmi :

Anzi mirarti innanzi a Dio già parmi

Temprar note soavi e pellegrine

Sovra l'arpe divine;

E a vera libertà levar tal canto,

Che ne' commossi abitator celesti

Trovi mercè d'Italia il lungo pianto !

Forse otterrai che giugnerà men lento

Del suo pieno trionfo il gran momento.

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— 105 —

Da quegli anni in che il vergine pensiero

Amor dischiude e desta,

Solo di fiamma generosa e pia

Gli esempi t'accendean d'inclite gesta.

E , tutt'assorta nel disio del vero,

De' sommi antichi in compagnia ti stavi.

E con l'austero giudicar degli avi

Disdegnosa guatando il secol stolto,

Non il leggiadro volto,

Non le lusinghe dell'età fiorente

Pregiando, di tua cetra all'armonia

L'alme destavi a volgar ozio intente.

Narrava intanto di tua fama l'eco

Quanto lume del ciel fosse già teco.

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— 106 —

E giunta poscia al tuo sentir perfetto,

Madre di cara prole,

Amor di chiaro sposo, eletto ingegno,

Pari mostrasti l'opre alle parole.

La luce del tuo vivido intelletto

Dolce scendea de' parvoli innocenti

A rischiarar le tenerelle menti :

Chè ben sapevi come il ciel ripose

In noi madri, in noi spose

Le sorti liete della patria o il danno.

Se progenie cresciuta al santo sdegno

Noi le darem dell'invasor tiranno,

Se concordi saremo all'alta impresa,

Bastano i figli nostri in sua difesa.

-

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107 —

Delle greche virtudi ammiratrice,

Lieta sentisti in core

Che un di schernite, oggi levar la fronte

Possiam d'Italia in faccia all'oppressore.

Già dell'Adriaco mar l'alma Fenice

Accoglie d'ogni parte i nostri nati (1).

Nè più la patria invidia i tempi andati,

Che già per lei, non pe' tiranni suoi,

Folte schiere d'eroi

La sacra terra fèr di sangue rossa,

Dove stampa tuttor crudeli impronte

La fera stirpe e rea di Barbarossa.

Se fortuna mancò, l'itala mano

Ben rinnovò la gloria di Legnano.

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-r 408

Pari all'augello dalle nivee piume,

Tu presso all'ultim'ora

Più dolce suon dall'affannato petto

Forse scioglievi a cosi bell'aurora... .

Quando del guardo il tremolante lume

Ahi l'eterna caligine coprio !

Deh, l'alta carità del suol natio,

Ombra amata, tra noi talor ti meni !

Forse gli occhi sereni

Qui un di vedranno a Libertade eretto

Perenne un tempio, e innanzi a tanto nume

L'error cacciato in bando e maledetto !

Di sangue tirannia non sazia mai

Di', le vedremo al piè?... Tu in cielo il sai.

-,

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109 —

E poi che ardita i tempi rei cantasti

Nell'inspirato metro,

Un plauso a' forti ah non darà tua lira,

Che muta or giace sovra il tuo ferètro !

Ma lasciando il tuo spirto i membri casti,

Lieto vide le stesse sue faville

Gran fiamma secondar ne' mille e mille :

E nell'itala mano ancor mirando

Il non asciutto brando,

Nel suo partir dicea: Terra diletta,

Più alte prove di magnanim'ira

Or da te la tua figlia in cielo aspetta :

L'ora in cui fia gran vanto è già vicina

D'esser madre, consorte e cittadina.

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— no —

Canzon, che ognor sul labbro suo gentile

Udii suonar si dolcemente altera,

Che de' lontani secoli la schiera

Ne andrà lodando intorno il forte stile;

Deh vanne a lei cinta de' tre colori,

Onde la nostra speme ancor si avviva!

Un ramoscel di lauro ed un di oliva

Tu le presenta, e di': — Pallida imago

Di te, non coglierà tuoi verdi allori

L'amica tua ; ma il suo desir fia pago

Se fin che viva andrà gridando intorno:

«D'Italia il lungo scorno

Oggi a lavar col sangue, e non col pianto ,

Infiammi la divina arte del canto. »

Napoli, 18Ì9.

(1) Era il tempo del memorabile assedio di Venezia.

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— IH —

ITALIA

SULLA TOMBA DI GIOBERTI

POLIMETRO

Fra l'ombre quete di profonda notte

Qui a meditar tra le dilette salme

De' miei figli più cari oggi ritorno

Io derelitta Italia ! Oimè che vale

Che presso ad ogni avel spunti un alloro,

Se di sangue rosseggia, o un freddo marmo

Parte dell'alma mia chiude e nasconde ?

Tal eri tu, Sofo immortal, che l'alma

Drizzi rapida e ferma a quell'eterna

Libertà che non cade, e dove or corri

Del mio destino a favellar con Dio.

Tu del vero e del bello il vel squarciando ,

L'inspirato pensier si v'addentravi,

Che a te il creato i suoi misteri apria,

E l'avvenir suoi muti arcani. Ah certo

Nel Primo Amor, che all'universo è vita,

D'ignota forza allor cercavi un raggio

Che le tenebre mie vincer potesse,

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— 112 —

E a libero sentiero aprirmi il varco

Fuor del lungo servaggio. Opra divina

Tu desiavi, e la chiedesti indarno

Da quel Poter che di pietà si ammanta

E accortamente ambizion vi cela,

De' ceppi miei dalla fucina antica,

Là d'onde a rivi ancor scorre il mio sangue !

Quinci più duro il disinganno mosse.

Pur dal solo tuo labbro udii la prima

Liberatrice altissima parola;

Tu fosti il divo, al cui richiamo io vidi

A' già stanchi occhi miei svolta una luce,

Per cui divenni ebbra di speme. E come

In altra etade il solitario Piero

Vide sovra ogni sponda al sol suo detto

Tutta l'Europa armarsi, e folte schiere

Correr per Cristo ad isnudar la spada;

Tal numerosi italici drappelli

Di crociati guerrieri alla tua voce

Sceser per me frementi all'alta pugna :

E il nome tuo tra' plausi e tra le faci

Echeggiava sull'Adria e sul Tirreno,

Te padre, te benefattor chiamando

Un popol tutto , astro bramato e puro

Di un novo giorno precursor divino.

O de' secoli ascosi ordin remoto,

Qual di voi canterà gli alti prodigi,

Che in di si brevi oprar, compier vid'io ?

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— H3 -

Ecco dall'Alpi a Scilla

Una sola scintilla

Balena, striscia, e infiamma a gara i forti.

Le innumerate schiere

D'odiate orde straniere

Precipitose volgono le spalle

Innanzi a pochi prodi, e di lor morti

Spargono intanto l'usurpato calle.

Fuggon que' regi'in cui mettea spavento

Il proprio tradimento.

Par che fra nembi e tuoni

Cadano infranti i troni

Di lor che giuran libertade e pace,

Porgendo al reo stranier la man mendace.

Deposi alfine il secolar mio lutto,

Risorsi e respirai,

E del mio strazio almen raccolsi il frutto.

Ma tu primiero avrai

De' rapidi portenti i plausi e i serti,

0 vero, o ardito inspirator Gioberti!

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— 114 —

Ma tacque, ahi lassa ! di vittoria il gridor

Chè di novo delusa io lo cangiai

In accento lugubre !... Alma sublime,

Che per la patria sol la vita amavi,

Nel cui sen custodita ognor fervea

Del suo trionfo la secreta speme,

Qual divenisti allor? Qual divenisti,

Quando un italo re prode e guerriero

Cinto de' tre colori ei stesso in campo

Sorse a' barbari incontro, e nulla valse

Il magnanimo oprar, chè in altri lidi

Esul, ramingo, e dal dolor consunto,

Cinto di gloria il mio cader lo spense?

Ma venne altro stranier che la fraterna

Destra stendeami, e a libertà ministra

La vantava pietoso, e in me coll'altra

Di soppiatto vibrò l'acuto acciaro

Venduto a' suoi tiranni. E pur nel seno

Pria di cader gliel ripiantai più volte,

Benchè di sangue esàusta. A tanta gloria

Sola non eri, o antica Roma. O forte

Bologna, o tu Brescia di eroi nutrice,

O tu Venezia, ne' cui gorghi ancora

Fremono a mille le barbariche ombre,

Contro il Teutono stuol che non osaste ?

Il valor vostro al vincitor nemico

Sfronda sul crine i fortunati allori !

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— 115

Ahimè coll'ali nere

Sceso l'angel di morte

Svelse le mie bandiere

Tinte di sangue al generoso, al forte.

Su' miei deserti campi

Sta mutamente assiso:

Sol move il reo sorriso

Se la straniera scolta orma vi stampi.

Le madri addolorate,

Le vergini pietose,

Le derelitte spose

Qui vengono a cercar le spoglie amate !

Dove son queste, ahi dove? '

Risponde al lor lamento

Il sospirar del vento,

Che forse parte di quel cener move.

E l'antico terrore

A ripartir sen viene

Morti, esigli e catene

Tra' figli del mio cor sublime amore !

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— 116 —

Allor volgesti a tant'orror le spalle,

Spirto pietoso, e dal mio suol lontano

A me soltanto ogni pensier sacravi,

Ogni fervido affetto , ed ogni 'nota

Della penna divina. E qual nell'ora

Che si avvicina al suo tramonto il sole,

Se d'atre nubi è l'orizzonte ingombro,

Pur cogli ultimi rai vi pinge un'iri

Che vaga nunzia di serena aurora

Le sbigottite alme ricrea ; tal presso

Al supremo tuo di, parole ancora

Di fede, di consiglio e di conforto

Mi volgevi da lunge; ed era, ahi lassa!

Era, o mio lume, il tuo saluto estremo !

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HI

Ma libera una terra ancor mi resta,

Che ben si affida all'immancabil giuro

Di generoso prence; ed ei mi rende

L'amata salma, e sovra questa almeno

Pianger mi è dato ! — Dall'eccelse sfere

Verso la terra ove nascesti, o grande

Se innamorato ancor volgi il desio,

Mira il popol che amasti accorrer folto

Intorno al tuo ferètro, e l'alto affanno

Ch'ivi lo tragge, e d'ogni ciglio il pianto,

Ed il silenzio, e il vero amor che il mena

Spontaneo a dirti pace ! Un sol pensiero,

Un sol desir quivi lo aduna : or vedi

In quel pensiero, e in quel desir compiuta

L'opra tua più perfetta e più gradita !

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118

Itali, un'ara è questa tomba. Ognuno

Vi si appressi pietoso, e sciolga il giuro

Di porre un fine alle contrarie voglie,

E non su' labbri aver fraterno affetto

E discordia nel core. Ormai n'è tempo ;

Di quel forte intelletto i sacri accenti

Vi rammentin l'orror del vostro stato,

Qual vi bramò, qual siete. Ed i cipressi

Onde si adorna quell'amato sasso

Talor verrà scotendo aura soave,

Che parlerà d'amor, di gloria. Oh veggio

Una splendida aurora, ed al mio sguardo

Cinta di eterni rai l'alma trasvola :

Di quel giusto immortal, d'onde non erra

Il vaticinio ecco favella: «Ardisci:

Il tuo diritto, o Italia, in eie! si ascolta :

Ardisci, e ancor ti assiderai sul soglio,

O non prostrata mai regina antica ! »

Torino, 1851.

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— H9

CANTO MATTUTINO DE' FANCIULLI

DEGLI ASILI D'INFANZIA. PIEMONTESI

Spunta l'alba : all'ebbrezza di vita

Si ridesta la terra sopita,

E la notte già fosca nel cielo

Apre il velo — al sorriso del di.

Puro al par del profumo d'un fiore

Solleviamo all'Eterno l'amore,

E una voce dal labbro innocente

Riverente — sciogliamo cosi:

O Signor, se la culla n'haidata

Nella terra dal sole più amata,

A vederla perchè ne condanni

Negli affanni — e nel pianto soffrir?

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- 120 -

Se di lei la più libera parte

A noi sorte propizia comparte,

Di tant'altra, che in ceppi ricade,

La pietade — ne vieta il gioir.

Qui raccolte si veggono insieme

La Giustizia, la Fede, la Speme ;

Tutto un popol qui vive securo

In quel giuro — che libero il fe':

Là dei nostri fratelli le sorti

Sono i ceppi, gli esigli, le morti;

Lo Spergiuro, il Terrore, l'Inganno

Ivi stanno — sul trono de' re.

Sovra tanti mestissimi volti

Spesso abbiamo gli sguardi rivolti.

Chi è costui? (domandiamo)— «Un proscritto;

— E il delitto?— « D'Italia l'amor!! »

Generosi! Quest'inclito affetto

Pari al vostro ne cresca nel petto,

E nel giorno invocato co' preghi

Si dispieghi — in un santo furor.

Come stella al pallente nocchiero

Sia la patria nel nostro sentiero;

Per disciorla dall'empie ritorte,

Pur la morte — a nói dolce sarà!

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-m -

Oh ricalchi dell'Alpi le cime

Lo stranier che la insulta e la opprime,

E assecuri il suo pieno riscatto

Uri sol patto — fra cento città.

Angel santo, che all'ombra dell'ale,

Ne accompagni nel viver mortale,

Al Signor nell'altissima spera

Tal preghiera — deh vanne a recar:

« Libertà la sua luce gioconda

Sovra tutta l'Italia diffonda,

E il vessillo de' sacri colori

Tra gli allori — vi torni a brillar. »

Torino, 1852.

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— 12* —

AIA ILLUSTRE POETESSA NIZZARDA

AGATA SOFIA SASSERNO

CARME

Non quei che vive entro dorate sale,

E tra danze e tumulti in ozio spende

L'ore fuggenti della vita, in questi

Tuoi carmi affisi il sempre asciutto ciglio.

Ma chi visse al dolor, chi l'alma aperse

A quella mesta poesia che scende

Quasi un'aura celeste entro gli arcani

Penetrali del cor, che lo riscote

A' battiti frequenti, a quell'ebbrezza

Del pianto, che improvviso ingombra gli occhi,

Quando lo spirto ad alto vol già presto

Le sconfortate ali raccoglie ; oh questi,

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123 —

Questi, o dolce Sofia, le tue dolenti

Note mediti. e pianga! Egli ti segua,

Allor che innalzi dal terrestre esiglio

L'incompreso sospiro, e immota ammiri

Lo scintillar delle fiammanti stelle

Entro i sereni di pensosa notte,

E l'anima vi libri: e interrogando

Un astro vai dove il desio sorvola,

Se l'affannosa peregrina un tempo

Accoglierà pietoso, e i moti ardenti

L'ansio petto ne segue ; o allor che a' fiori

Un arcano pensier gemendo affidi,

0 il sovvenir d'un infelice affetto;

E dall'onde e da' venti odi levarsi

Del creato la mistica favella

Che il profano non ode. Ah f ben si apprende

Dal flebil canto tuo che al gioir l'alma

Raro tu apristi: e pur sempre soavi

Sono i gemiti tuoi, ch'anco tu siedi

Tra le felici, se del numer una

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— 124 —

Sei dell'elette il cui bel nome è nova

Gemma d'onor che il crin d'Italia adorna!

Grati conforti di gentili accenti

Ognor tu spargi sulle altrui sciagure,

Mentre d'altri la gioia un'eco ha sempre

Anche ne' canti tuoi ; per essa allora

Le meste corde della lira a' lieti

Concenti del piacer vai ritemprando,

Come deserta rondine che ascolta

Delle compagne la canzon d'amore !

Ma il dolce stil che addentro ne commove,

Talor s'innalza, e di santissim'ira,

Arde ad un tratto. Se dinanzi al guardo

Ti appar l'Italia gemebonda, erompe

In forti detti l'anima sdegnosa

Lungamente compressa. E l'ozio imprechi,

Fulmini il vizio, e il già pietoso metro -

Obblii se ardita all'oppressor favelli,

A cui tripudio è il nostro gemer vano,

Ma il fremer no, che i sonni rei gli rompe.

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— 125 —

Deh prosegui a bear di queste care

Melodie la tua terra : e anch'io nell'ora

Che più invita al silenzio, e il sole aduna

Sovra il Cenisio gli ultimi splendori,

Ed ama prolungar l'ardente addio

A questa Italia a lui diletta ; il guardo

Umido affiggerò sulle tue rime.

Nè un sol pensiero, un sol sospir, cui tutto

Il secreto del cor gelosa affidi,

Sfuggirà non inteso all'alma mia

A cui noto è il dolor!... Teco il desiro

In quell'ora pensosa anch'io rivolgo

Di Partenope mia ver l'almo cielo,

Che tu in vaghe armonie descrivi e canti:

E qual soffio d'amor l'aura ne sento

Che il profumo de' fior coll'ali accoglie

E lo sparge sull'onda, e il raggio estremo

Veggio del di che di sua luce indora

Del vasto mar la limpida quiete,

E qual fiaccola ardente alle notturne

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126 —

Feste, il Vesèvo erger dall'ampio seno

Di fiamma alta piramide, che voce

Par della terra a chi la insulta e opprime.

O Sofìa, tu non sai quante membranze,

Quanto amor, quanto affanno in me si desta

A questa vision funesta e cara!

Lagrime amare bagnan le mie gote,

Mancan gli accenti... Ah tempra almen la cetra,

Sorella, a un suon men tristo, e a me di speme

Coll'amoroso modular favella!

Torino, 185*.

-

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- 127 —

A SUPERGA

Quante volte da lunge ti miro^

O Superga, e ti volgo un sospiro !

Quante volte mi arresto pensosa

Nel mirarti fra nubi nascosa!

Più gradita poi riedi al mio sguardo

Sotto il dardo — del reduce sol.

Oh Superga ! una storia di pianto

Ti fa bella, ti cresce l'incantò.

Quando notte silente nel cielo

Ti ravvolge d'un lugubre velo,

In te vede il fervente pensiero

Un mistero — di morte e di duol.

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— 128 —

Coronata di pallido serto

Sorge l'ombra guerriera di Alberto :

Un sorriso le labbra gli sflora

Mentre volge lo sguardo alla Dora.

Ma perchè corre all'elsa la mano?...

Ahi Milano — da lunge gli appar !

Nell'orror che gl'invade la mente

Pur balena una luce repente.

Oh mirate ! quel forte non geme,

Ma ripete in un lampo di speme:

« Per te, Italia, s'io morte incontrai ,

« Pur vedrai — la mia stella brillar !

Torino, 1854.

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— 129 —

AL GENERALE

GUGLIELMO PEPE

RIME IMPROVVISE

Te miro alfine, o generoso, o invitto,

Che all'Italia sacrasti e braccio e core :

Vendicator del nostro antico dritto,

De' Teutoni terror, d'Italia amore !

Sulla tua nobil fronte io veggio scritto

Che la costanza è in te pari al valore,

E che, la man sull'elsa, attendi in calma

Quel novo giorno in cui rapita hai l'alma.

Fra le italiche stragi ed il martiro

Stavi solo dell'Adria in sulla sponda,

E del tuo brando ancor vedeasi al giro

Straniero sangue rosseggiar nell'onda.

Oh ! se in te sol si ardito esempio ammiro

Di cui non fu veruna età feconda,

Ben è ragion che Italia a te commetta

L'ora aspettata della sua vendetta !

Acqui, 1853.

9

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— 430 —

PER NOZZE

. DI

DONZELLA TEDESCA.

CON

GIOVINETTO ITALIANO

CANZONE

Tu ancora, o giovinetta,

Il passo movi all'infiorata riva

Dove per man d'Amor ben rado arriva

Talor qualche gentile anima eletta.

Che se ad Imen l'ara si vede eretta

In uno o in altro loco, •

Quante coll'alma van cinta di gelo

Ove giugner dovria sol cui saetta

Quel divo ardente foco

Che a' suoi cari sentir concede il cielo f

Ma tu, nova angeletta in uman velo,

Non sei di un dubbio ardor fuggevol gioco :

Chè da' vaghi occhi tuoi movendo spira

Quell'alto amor che al sentir vero invita,.

Che l'opre eccelse inspira,

Ed a' mortali e all'universo è vita.

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— 131

Solo è beata in terra

L'alma che vive riamata amante,

E l'ardue leggi de' mortali infrante

Verso novelle sfere il vol disserra.

Che se ferve nel sen terribil guerra

Nell'amorosa cura,

Pur ella è sola che ne innalza, e induce

Nostro interno disio che vaga ed erra

Ove ogni mente oscura

Rischiara il ben di un'infinita luce.

O vago fior, l'aura di amor ti adduce

Dov'ella spira più vivace e pura!

Qui fra gl'itali campi, e la ridente

Inesausta armonia che il ciel governa,

S'agita il core e sente,

E fiamma alberga in ogni petto eterna.

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— 132 —

Forse in lontane sponde

Sotto nordico gel, negl'innocenti

Virginei sogni ti apparian gli ardenti

Lidi d'Italia, e i suoi giardini e l'onde.

E voce che al sospir fida risponde,

Qui, con note soavi,

Vieni, ti disse, a invidiabil sorte:

Vieni ove il suo col tuo destin confonde

Chi non curò degli avi

Oro o fulgor, ma le virtù del forte.

Te all'alto onor di madre e di consorte

Chiama la terra che da lunge amavi!

Ed ecco ancor da te la patria nostra

Prole temprata a fatti egregi attende;

Ch'uopo di chi la innostra

Non ha, ma di chi l'ama e la difende.

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133 —

Ma par che torni e splenda

Viva luce per noi d'amore e d'armi.

Sorge un'età novella, e veder parmi

Che l'antica virtù gli animi accenda:

Ed ogni madre ed ogni sposa imprenda

A far con nobil gara

Redivivo l'onor de' prischi tempi;

Di un secol molle, oh desiata ammenda !

Fin che la donna impara

Quai sensi inspirar puote e quali esempi,

La gloria rieder può di Grecia e Roma,

Ove candida man l'elmo alla chioma

Allacciava sovente al guerrier forte:

Si che animoso ne' supremi istanti

A non temer la morte

Primo imparava da' begli occhi amanti.

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— 134

Fra le italiche spose

Vieni, sorella, e in mezzo a noi ti assidi:

E il nostro duol più che il gioir dividi,

Chè a dure ed ardue prove il ciel ne pose.

Ah ben sai tu che le caduche rose

Non fur sola corona

Alle intrepide un di donne latine,

Che nell'armi e ne' canti al par famose

Della bella persona

Fin le grazie ponean spesso -in obblio:

E non ad infiammar breve desio,

Che spesso all'opre vili o al vizio sprona,

Brillava il lampo de' femminei sguardi ;

Onde anelando al lor sublime affetto,

Talora i men gagliardi

Di virtù nova divampar nel petto.

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— 135 —

Canzon, deh 'vanne a lei

Che l'orme già nel sen d'Italia imprime;

E colle incolte rime

Dille che ignota è a te la sua sembianza:

Che se negletta sei,

Solo del volto suo potria l'incanto

ll labbro aprirti ad un più nobil canto:

Che fra l'itale rose e le viole

Correr leggiadra prole

Ella vedrà, volta agli esempi chiari

Onde si adornan le paterne mura:

Ivi per tempo impari

Che solo eterna dura

Fama d'invitte e di magnanim'opre,

Ma ogni vano splendor l'obblio ricopre.

Torino, 1854.

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— 136 —

ALLE SORELLE

VIRGINIA E CAROLINA FERNI

CELEBRI SUONATRICI DI VIOLINO

Angeli d'armonia, fra gl'immortali

Chi quell'agi! divino arco vi diede,

Onde l'alma di nove aure sull'ali

Tra il suon delle superne arpe si crede?

L'arco è d'Amor, che più securi strali

Per voi vibrando, di sua man ve 'l cede:

Poi vinto ei stesso da possanza ascosa

Vi ascolta immoto, e ripigliar non l'osa.

Torino, 1854.

-

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- 137 —

ALLE STESSE

Novo portento ! Da' celesti giri

Scendon due serafini,

E fan vibrar dall'arco elette note,

Onde arcani sospiri,

Arcani suoni l'alma avvien che ascolti :

E intanto al ciel rivolti

Tengon gli occhi soavi,

Onde un vago splendore

Par che le avvolga, e dall'eteree vie

Quelle vaghe armonie

Ver noi discendan per virtù d'Amore !

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— 138 —

0 benedette e care,

Italiche sorelle,

Quando in lontane sponde

Volgete i passi, qual due pure stelle -

Di questo ciel splendete : anzi per voi

Quando di un dolce suon l'aere si abbella,

Dell'Italia il sospiro e la favella,

Il suo canto immortal di lido in lido

Recate, ove ne giunge appena il grido;

Onde talor si arresta e inarca il ciglio

L'attonito straniero.

Qual sarà dunque, ei volge in suo pensiero,

Di quel cielo il sereno,

Se agli angeli dà vita? E dal suo seno

Se parte tal dolcezza e tal concento,

Terra è quella di gloria e di portento !

Un tempo fu che ne' profondi abissi

Il suon potè d'innamorata lira

Impietosir l'Averno;

E il soggiorno dell'ira

Al risuonar delle inattese note,

Si rischiarò della celeste face

Di pietade e di pace.

E Morte Amor senti... tanto Amor puote!

Ed or con quei sembianti

Non opreran più ardite maraviglie

Queste del Bello Eterno elette figlie ?

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139 —

Forse commossa la divina pièta

Da tanta melodia,

Farà che ritorni

Di più sereni giorni

L'invocato splendor; chè, se lassuso

Giungon sull'aure amanti

Del novo suon gl'incanti,

Attonita l'udrà di sfera in sfera

La sovrumana schiera ;

Anzi, maravigliando,

Sospender si vedrà l'etereo coro

Il suon dell'arpe d'oro !

Deh! seguite, o leggiadre; e àllor che intorno

Volgete il guardo, più de' plausi ardenti

Vi commova la lagrima pietosa

Di qualche alma gentile: oh allor soltanto

Che accende e vince il- cor più del pensiero,

Vantar può l'Arte il suo trionfo intero!

Torino, 1855.

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- 140 —

AD

ADELAIDE RISTORI

per aver rappresentata li mia Tragedia

INES DE 0-A.STPtO

Ines! Ah sei tu stessa ! Ecco io ti miro

Qual ti compresi e ti sentii nel petto.

È questo il pianto tuo, questo il sospiro,

L'ardente, immenso e sventurato affetto.

Innanzi alla pietà del tuo martiro

Mancò la lena al trepido intelletto,

Cui vagheggiata e mal raggiunta imago

Appariva da lunge in riva al Tago.

Ma qui sull'Eridàno, ove diffondi

Nova luce su queste itale scene,

Donna sublime, al desir mio rispondi,

E di tua gloria un raggio a me perviene.

Quel tesoro d'amor che in te nascondi

Trasfonder sai nelle più fredde vene ;

E se foglia d'alloro a me si dona,

Tu me la porgi dalla tua corona.

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— 141 —

Tu del tragico verso all'armonia,

Ch'è sol d'Italia nostra eterno vanto,

Traggi, se Mirra sei, Francesca o Pia,

Dall'alme un vero ed immortal compianto.

Segui animosa pur la nobil via,

Chè innanzi a te l'invidia ha l'armi infranto:

E di tant'arte il nobil magistero

Fiacchi e vinca l'orgoglio allo straniero.

Non vedi tu com'ei tutto ne invola,

E usurparne vorria quel vivo lume ?

Com'egli impor ne vuol colla sua scola

Le sue leggi, i suoi modi, il suo costume ?

Oh non ne tolga almen tal gloria sola

Chi profanarci anco il pensier presume !

Nè dica: <i A che il saper vantan degli avi?

« Fin sulle scene a me son fatti schiavi. »

Deh ! sorgi, e in questa almen libera arena

Alle patrie grandezze ognor t' inspira.

Allor dell'Astigian verrà serena

L'ombra che disdegnosa or qui si aggira:

Che dove amor del suol natio la mena

Sua prima e degna interprete ti ammira :

Tu, mentre il divo suo pensier comprendi,

Seco l' italo genio anco difendi.

Torino, 1856.

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— 142 —

AMEDEO YI DI SAVOIA

IL CONTE VERDE (<>

BALLATA

Del mattin la prim'aurora, '

Rugiadosa e fosca ancor,

Cinge l'Alpe e l' incolora

Dell' incerto suo chiaror.

Ma che fia ! Quai nove stelle

Guizzan tra quelle cime ardenti lampi,

E di vivide facelle

Par che la valle sottoposta avvampi?

0 giovanetti guerrieri e amanti

Cui scaldan l'alma di guerra i canti,

Giovani donne cui vita è amor,

Udite il carme del trovator.

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— 443 —

Di folti militi

Ricinto intorno

Un duce scovrono

I rai del giorno ,

Cui par sul tenero

Volto ridente

II bacio imprimere

L'età fiorente.

Ei dal suo limpido

Ciel di Savoia

Sempre all'Italia

Volse il desir,

Ed or s'imporpora

Di pura gioia,

Del suol d'Italia

All'apparir.

Alla vittoria

Corri, o garzone,

Ecco ogni despota,

Prence o barone,

Vinto sommettersi

Dinanzi a te.

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- 14i —

Ove l' intrepido

Acciar balena,

Il vol di gloria

Lo segue appena,

Chè i vili a sperdere

Eletto egli è.

Di lauri incoronato

Riede al colle natio.

Oh se veder gli è dato

Quella che il, cor non può porre in obblio!

Quella ch'ei vide un di (dolce membranza !)

Vestita del color della Speranza.

Su, spargete di fiori

Al garzoncel guerriero,

Giovinette, il sentiero.

Oh qual di voi non ne diviene amante

Il suo valor mirando e il suo sembiante ?

E i più soavi allori

Per man della beltade

Sospirando desia !

Su, pel forte Amedeo

S'apra, o belle, il torneo.

Chi di si fresca etade,

D'alma si forte s'aprirà la via ?

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— H5 —

Da lontane contrade

Accorron duci, araldi e cavalieri,

Brillan elmi e cimieri,

Lucide lance e spade,

E adamantine maglie

Ripercotono il sole.

I fervidi destrieri

Battono il suol colla ferrata zampa,

Anelanti alle corse e alle battaglie.

Ma vien la forte prole

De' Savoiardi Prenci: Italia intera

Oh quai cose da lei si attende e spera !

Di Amedeo già rifulge la fronte :

Oh mirate la possa d'amore!

Lo zendado ha di verde colore,

Verde il drappo sul suo corridoi-. ' .

Ma incontrato han gli sguardi del conte

La compagna dell'alma rapita;

Tutta in lei già raccoglie la vita,

Di sua mano sol brama un allor.

Squilla il suon che alla pugna l'appella;

Viva un'ansia la turba già invade:

Ve' , s' incontran, già s'urtan due spade,

Stan due forti sul campo a pugnar.

io

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— 146 —

Non temer, palpitante donzella,.

Egli è prode, leggiadro e gagliardo.

Oh sorridi al guerrier savoiardo :

Quel bel capo ben puoi coronar.

Ma dove stende '

La bella Dora

L'onda, che cupida

Scende nel Po ,

. - È angusto limite

Al forte ancora :

Altrove intrepida

L'alma volò.

La croce sul petto, la guerra in pensiero,

Già valica l'onde d'Italia il guerriero :

La tomba di Cristo redimer giurò.

Vittoria lo segue, già i Bulgari ha vinti;

Gallipoli espugna da' forti recinti;

L'invitto stendardo sui merli brillò.

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— 147 —

Ma sul puro orizzonte a poco a poco

In nugolo di foco •

Il sol tramonta in si lucente aspetto,

Che agli occhi par non abbandoni ancora

Quel ciel dond'egli nasce e il mondo indora.

Solo nel chiuso elmetto

Sta sul campo Amedeo: dove si aggira

Il suo fosco pensier guardando il cielo?

Ben lo svela il veder com'ei sospira,

Come allo sguardo mestamente anelo

La lagrima d'amor scénde a far velo !

Corron su lui duo Saraceni armati,

Che l'additano, irati,

E il credon già lor preda e lor prigione —

« Ecco il Conte (un gridò) che nulla teme,

« Che del nostro perir veste la speme!!,»

Ma di Cristo il campione,

Snudato il ferro lo aggredi si forte,

Che l'altro alla difesa ha il tempo appena.

« Ben qui venisti ad incontrar la morte »

(Quindi Amedeo gli grida); e si lo svena, ,

Che freme ei stesso alla cruenta scena —

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— 148 —

Si arretra il vincitor che spento il vede,

Quando alle spalle il fiede

L'altro pagano in fin aMor tremante,

Si che già in copia il sangue

Perde Amedeo : ma non si arretra o langue, -

Ed in un solo istante

Con varii colpi quello incalza e serra,

E ormai non vede il vil come ne scampi,

Chè il suo nemico in un balen lo atterra :

E della spada vincitrice i lampi

Brillan tra l'ombre in que' notturni campi.

Ma che! già il forte

Vacilla e cade,

Il gel di morte

Ormai lo invade —

E chiome nere -,

Stringendo al petto

Volge il pensiere,

Volge l'affetto

Alla sua patria,

A quella terra

Che in pria nomavalo

Fiftmin di guerra.

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149 —

Chè dell'Italia

L'amor tu sei,

Stirpe magnanima

Degli Amedei!...

Torino, 1856.

(1) la occasione del monumento in bronzo erettogli in una piazza di

Torino.

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— 180 —

PER LE FANCIULLE

DELLA SCUOLA MATERNA DI TORINO

Qual praticel di fiori

Adorno ed olezzante,

Cui la mano leggera

Va coltivando di donzella amante;

Tal 'questa eletta schiera

Di leggiadre fanciulle è al guardo mio.

Chè d'esse al par prendon soave cura

Giovanette gentili,

Ch'ogni più caldo affetto

Non poser già nelle fugaci fole .

Che il vulgo onora e cole ;

Ma le feste e le danze

Fuggon sdegnose, ed in romite stanze

Le accende assiduo ardore

Verso infallibil segno

Ad elevar l'ingegno,

Ed a trasfonder nell'april degli anni

Tanto senno e virtute

In tenerelle menti,

E a vagheggiar soventi

Or nell'una, or nell'altra

Bellissima sembianza

Un affetto d'Italia e una speranza.

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i'6i

Tempo verrà tra poco,

Fanciulle mie, che questi

Primi studi gentili, e il riso e ij gioco

E le dolci compagne

Abbandonando, su per ermo calle

Il pie volger dovrete, e della vita

Più, che le gioie risentir gli affanni.

Allor come colombe,

Che gli amorosi vanni

Spiegan tornando al nido; .

Col memore pensiero

Voi tornerete a questi anni ridenti.

Ed al funesto balenar del vero

Ad una ad una richiamando andrete

Ouelle virtudi, onde secura duce

Vi è già la prima luce.

Ed ahi ! poi che il dolore,

Prepotente signore,

A noi fu dato in sorte;

Poi che lottar con esso

Fu a noi dal ciel commesso ;

Voi gli saprete oppor de' prischi tempi

La sublime costanza e i forti esempi.

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— 152 -

Ma quest'amata e cara

Nostra patria diletta,

Questa che ricco esempio

D'inimitata storia ne comparte,

Da voi non poco aspetta;

Anzi la miglior parte

Di sue vive speranze in voi ripose.

Vi mova a sdegno la viltà; vi miri

Inorridir chi agli oppressor sorride

E i molli tempi onora:

E quei che aspira ancora

All' itala grandezza,

O quei che ancor per essa

Un'opra generosa

Imprende o compier osa,

Ratto sul vostro viso

Un angelico riso

Sfolgorar miri che di laude il colmi :

Cosi sol, onorando i saggi e i forti,

"Vi fìa dato cangiar le patrie sorti.

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— 153 —

E allor che al vostro sguardo

Più non sorrida l'avvenir, che tutti

Gli aurati sogni e le sperate arcane

Felicità svanir vedrete ; un solo

Un lume sol costante

Fia che a voi brilli innante,

Che d'ogni ben mortale

Splende più assai: quel lume •

Sta nel puro costume,

Del giusto nell'amor, ne' santi modi,

E in quella diva carità che splende

Quasi raggio di Dio di donna in fronte.

Nè mai dal vostro ostello

Si parta il poverello

Senza un pane e un conforto, e l'egro e il mesto

Trovin pietosa aita

Nel vostro accento e nell'oprar. Secure

Quindi aspettar potrete

Che volga ad altri mondi e batta l'ale

Questa che a noi fu data

Pellegrina immortale !

Che se nell'affannata

Nostra fuggevol vita

Recar sa un raggio di lassù, che renda

Meno inutil gravame

Questo nostro caduco e fragil velo,

Oh allor soltanto aspiri ardita al cielo.

Torino, 1856.

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— 154 —

A

CARLO POERIO

PER LA SUA LIBERAZIONE DA' BAGNI DI NAPOLI

SONETTO

No, non v'ha' gloria, nè immortal corona

Che s'agguagli all'onor del tuo martiro :

Dal ciel di Dio la voce alfìn risuona,

E giunto il di della giustizia io miro.

Il reo, che offende e strugge, e non perdona,

Rende fra pene rie l'ultimo spiro:

A te fra' tuoi più cari oggi si dona

L'alba mirar del lungo tuo desiro.

Ah si t'allegra, o giusto ! Alfìn vedrai

L'Italia tua, per cui penasti tanto,

Terger libera ed una i mesti rai.

E, allor che fien le ostili aquile dome,

Lieto udrai dalla patria eterno vanto

Darsi di Carlo e di Alessandro al nome.

Torino, 1857.

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— 185 —

IN MORTE DI BÉRANGER

CANZONE

Popol di Francia , o tu che alle profane

Feste, obbliato il tuo fratello ucciso,

Pur or correvi, alfin sorger ti veggio,

Sprezzar le gioie insane,

Onde talor fosti da' saggi irriso,

E seguir mesto un funebre corteggio.

Il tuo poeta più gentil tu rechi

All'estrema dimora. ',

Da quelle spoglie ancora

Par che voce d'amore a te sia volta,

E t'esorta e ti appella

Perchè l'arte de' rei più non t'accechi,

Perchè l'antica stella

Brilli su' tuoi trionfi anco una volta ;

E se di nuovo avrai liberi vanti,

Ei non invano a te sacrò suoi canti.

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— 156 —

Vate immortal ! Per te l'ora di morte

Era di gloria. D'alto lume cinto

Ti apparve ogni tuo canto astro ridente.

Il generoso e il forte

Li ammira e cole; ma deriso e vinto

L'orgoglio vil ne freme, e il reo potente.

Tua fu la possa! Di tua mente il lampo

Un secolo rischiara :

E s'or sulla tua bara

Geme la patria che cotanto amasti,

Io per quel nobil pianto,

Alma gentil, con te di speme avvampo.

Scinte le chiome e il manto,

Se piange te, che Libertà cantasti ;

Oh ! quanta invidia a te si debbe estinto,

Co' carmi ancora hai combattuto e vinto!

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— 157 —

0 Poesia, che nella man sorreggi

Come scettro la lira, alta reina

Sei di senno civil sotto ogni forma.

Sia che ad inique leggi

Imprechi, o a' fasti di regal rapina,

E fai che Tirannia per te non dorma ;

Sia che a,vivaci e lusinghieri accenti

Sciogli i labbri immortali,

E ripiegate l'ali

Delle Grazie e d'Amore in compagnia

E del Gioco e del Riso,

Scendi più bella a ingentilir le menti.

E tal gioconda in viso

Mostravi al Franco Anacreòn la via.

Ed oh portento ! Quel gioir, quel gioco

Di santa ira destava ardente foco !

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— 158 —

Ma pure a meste immagini soavi

Tempravi, o vate, il suen della tua cetra,

Ed i lamenti d'usignuol solingo

Dolcemente cantavi,

O delle stelle il disparir per l'etra,

O il vol seguivi d'un augel ramingo :

E del deserto prigioniero il grido,

Dell'esul che tremante

Alla rondine amante

Nuove chiedendo va del patrio tetto,

Ne' tuoi pietosi carmi

Per te di pianto fa bagnar le gote !

Se patria e amore ed armi

Ti poser l'ali al nobile intelletto,

Ben è ragion che Italia mia ti ammiri,

E anch'essa a te consacri i suoi sospiri !

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— 159 —

. Deh mira dal tuo ciel di quanta guerra

Segno ella è fatta e di crudel vendetta,

Si che teatro è di spergiuri e morti.

Ma pur dalla sua terra

, Surse chi pari a te viva saetta

A quei vibrò che in male oprar son forti,

E armato del mordace ardente stile

Impallidir fe' solo

De' potenti lo stuolo.

O Giusti, l'alma tua libera e pura

Or di Lutezia al vate

Favella della tua patria gentile.

Già le sorti librate

Son d'Italia e di Francia : a voi secura

L'alba si mostra di vittoria e vita,

Ch'ambi affrettaste colla penna ardita.

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— 160 —

Ecco la folla si dilegua, e stende

L'ultimo raggio sulla Senna il giorno,

E al vate anch'esso par che dica addio!

Qual mestizia comprende ,

Qual disperato duol, quanto desio-

Tal voce volta a chi non fa ritorno!

Del sol t'innalzi sugli estremi rai

Forse, o spirto sereno,

E delle nubi in seno

L'aura natia l'ultima volta or bevi.

Forse lieve ti aggiri,

Ed alla patria ripetendo vai :

« Fine a' vani sospiri, »

E il grido animator da te si elevi.

Chè solo allor meco ripeter puoi :

« Sia gloria, o Francia invitta, a' figli tuoi ! i

Torino, 1857.

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— 161 —

ALL'ANIMA DI UN BAMBINO

Oh sgorghi alfiri dagli occhi lassi il pianto,

Sgorghi... e la picciol'alma a me ritorni,

Ed aleggiando sul mio labbro colga

Come solea l'avido bacio!... Oh giorni

Di madre desolata !... Ovunque io volga

Il disperato sguardo, o il corpo affranto,

Più non ritrovo il mio Vittorio... — Ahi quando

E perchè ten fuggisti ?... Era l'affetto

Ond'io ti circondai men dell'amore

Di Dio fervente ?... In quai sfere volando,

In quai cieli, o diletto,

Trovar potrai più della madre il core?...

Era questo il tuo ciel, questo era il tempio

In cui viver dovevi, a te il donai

Dal di tuo primo... ed or che a tanto scempio

Sopravviver dovei, tu in questo petto

Assai più che fra gli angeli vivrai!...

H

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— 168 —

Vuota mirar la cuna ove deposi

Questo fiore gentil...; Più dalla rosa

De' soavi labbretti, ove qual primo

Spiro d'amor di madre il nome errava...

Dagli azzurri amorosi

Occhi non bever più tanta dolcezza

Che avanza e vince ogni terrena cosa;

Morte assai meglio estimo !

Oh allor ch'ella troncava

De' giorni amati il breve corso, ascosa

A me si tenne... Io nella stessa ebbrezza

Dell'amplesso feral con cui stringea

La bianchissima salma avrei me ancora

Abbandonata, d'ogni cosa al mondo

Dimentica in quel punto... — Ed or l'aurora

Succede all'altra!... e non avrò giocondo

Un solo istante in terra: io nel tuo riso

Sol vissi, o figlio, e sol vivrò talora

Se al ciel, dove tu sei, mi volgo e affiso !

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— 163 —

Chi mi chiamò?... Qual voce odo levarsi

Dalla terra profonda?... Un suono parmi

Che all'aure si disposa, e mi careggia

Soavemente il volto!... E terra, e cielo,

Tutto parla di lui!... l'anima alzarsi

A vol vorria, ma parmi allor ch'io veggia

Il piccioletto velo

Caldo ancor de' miei baci, e a sè ritrarrai

Vuol con tal possa, che ver esso inchina

Ho la pallida fronte, e l'amor mio

Sotterra si distempra, e si affatica

In vani amplessi!... Ahi vien la mattutina

Stilla che allegra i fior, sorge l'augello ;

Ma tu da questo avello

Non sorgi mai!... Tutto a me par che dica :

Ov'è Vittorio?... Ov'è delle paterne

Mura la gioia?... Ov'è quei che schiudea

Al padre il riso in fra le cure alterne ?

Ahi qual tremenda idea!...

Non riederàmai più!... Piangiamo insieme,

O madri desolate e senza speme !

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— 164 —

Occhi miei spenti!... e che chiedete all'ombre

Alte di notte? Che chiedete a' cieli

Fiammeggianti di stelle e al tremolante

Raggio amoroso della mesta luna ?

Ah no, non si disgombre

Questa tenebra amica ! essa riveli

All'acceso pensier, su questo amante

Sen, la divina e tenera sembianza!

In quanti fochi aduna

Il firmamento io la riveggio, e spesso

Di mirarla men viva ahi m'addoloro!

Essa all'usato amplesso

Stende le bianche e fresche braccia!... Oh vieni,

O vaghissima larva!... Ecco io ti adoro,

E mi prostro e t'invoco... In fra i sereni

Ahimè ti perdi dell'eterea volta!...

Pari a fiamma che appaia e che baleni,

E tra i campi del ciel more travolta.

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— 165

Io ti ringrazio, o arcana possa, o vaga

Vision che ne' sonni irrequieti

Un angel m' inviò fatto pietoso

Di queste angosce mie, del mio deliro!

Oh come avida e paga

Al cor lo strinsi e il vagheggiai. Ti miro,

Dolce amor mio, gli dissi... oh come allieti

La vita mia... tu vivi... e creder oso

Che un sogno infausto fu tua morte?... Oh questo

Se un sogno egli è, più desto

A cosi fero strazio il cor non sia!...

Vieni, o bell'alma mia,

Vieni, al padre corriamo : e allor più forte

Me lo stringea, tremando che rapito

Non mi venisse ancor !... Chi mi riscosse ?...

E il vital senso in dolce error sopito

Qual genio avverso a tanto duol rimosse ?

Figlio, mentr' io si ti mirava, oh almeno

Perchè teco non corsi a morte in seno ?

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— 166 —

Te vivo, o figlio, pel mio sguardo amante

Il creato ridea, pareano i fiori,

È ver, di te men belli, ma più cari

Se a te li pareggiava, ed il sembiante

Di tue vaghe sorelle, e i bei colori

Delle lor bionde anella, e fin quei rari

Lor neri occhi amorosi eran più vaghi

Di tua luce raggianti ! Ed or dispersa

Quasi in arida landa

Ecco la mia ghirlanda,

Che in dolce orgoglio i miei desir fea paghi.

In alti sensi e generosi immersa

Vivea quest'alma, e il cor doppiava i moti

Per forti affetti ; ed ora altro che il pianto

Non vo' che più mi scoti...

Sul labbro tace della patria il canto ,

Nè avverrà eh' io più volga i pensier miei

In parte dove, o figlio mio, non sei !

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- 167 —

O bella alma gentil, tutta sorriso,

Tutt'amor, tutta vita, e perchè mai,

Perchè scendesti si brev'ora in terra

Da' più lieti seren del paradiso ?

Quanto, oh quanto t'amai !...

Tu nella dura mia terrena guerra

Eri l'angel d'amor che qui m'apriva

De' celesti l'ebbrezza!

Innamorata a' rai di tua bellezza

Dimentica vivea dell'altra riva

Cui convien che il mortal volga il pensiero.

E tu (fatal mistero!)

Primo v'apristi desioso l'ale,

E di là mi sorridi, e a te mi chiami !

Figlio, se tanto mi ami,

E se Amor cela ancor divino impero;

Apra la mia prigion, si eh' io mi bei

Nel ciel dove tu sei !

S' io ti donai terreno viver frale,

Tu a me, figlio, darai vita immortale.

Torino, 1858.

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— ICS —

LA COLOMBA ED IL PRIGIONIERO

O Colomba, che amorosa

Riedi a me nel muto obblio,

Vieni, o cara, e ti riposa

Fida ognor sul petto mio.

Dimmi : piangi al mio tormento

Con quel roco tuo lamento ?. .

Per me lasci l'aure e l'onde

E i bei soli e la campagna,

E fra tenebre profonde

Sola corri a me compagna :

Per qual forza o qual mistero

Voli sempre al prigioniero?

Forse, dimmi, una gentile

T'affidava il suo sospiro,

E nell'alma a te simile

Pianse teco al mio martiro?...

Deh ripeti il caro accento

Con quel roco tuo lamento!

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— 169 —

Se di lei sei messaggiera,

Ratterrò la vita stanca :

Ogni mane ed ogni sera

Ch'io ti baci l'ala bianca,

Ove forse della mesta

Una lagrima si arresta.

Come in lei, l'ardor del core

Verso in te, mia dolce amica!

Se di notte il cupo orrore

Covrirà la torre antica,

E col gemito del vento

A me giunga il tuo lamento ;

Qual sospiro d'un amante,

Sol risponda a tue querele

Per le brune mura infrante

Il sospir del tuo fedele,

Che tra l'ansie invoca il giorno

Aspettando il tuo ritorno.

Tu, dall'aere d'amor pieno

Ritornando all'atra soglia,

Forse un di sul freddo seno

Poserai d'estinta spoglia,

E il tuo fido ahi muto e spento

Chiamerai col tuo lamento !

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— 170 —

Ma che fia?... Dalla marina

Sorge appena il gran pianeta,

E tu riedi a me vicina

Qual non usi ardente e lieta ?

Ah di speme un dolce accento

Oggi parmi il tuo lamento !

O mia fida, ah non t'inganni!

A me aperto è il career tetro!...

Bianca amica di tant'anni,

Te a mirar mi volgo indietro,

E nel gemito del vento

M'accompagna il tuo lamento !

TorTno, 1859.

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— 171 —

LE ULTIME ORE DI SAFFO

« Il pianto, il pianto solo, altro tu dunque,

O cor, non hai per isfogarti ; e questo

Eterno lagrimar non fia che basti

Una favilla ad ammorzar soltanto

Del foco ond'ardi?... O voi, lucenti stelle,

Che amando accoglie la cerulea notte

Nel rugiadoso velo; o mar che fremi,

E da' gorghi profondi innalzi l'onda

Al cupo infausto mugolar del vento;

O bianca luna, al cui tranquillo raggio

Schiudono i fior del variopinto seno

I soavi profumi ; o del creato

Favella arcana, in te pur non ritrovo

Nulla che mi riscota e mi ritorni

A un istante d'amor... quando io credea

Ch'altri una fiamma egual strugger potesse

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— m —

A questa ond'io mi moro. Eppur quel volto,

Quel guardo amante, quella voce!... Oh vieni,

O sovvenir, co' tuoi colori ardenti

Me 'l dipingi qual era in quell' istante

Che a me diceva — io t'amo : il viver mio

Ch'io tutto accolga in quel momento, e alfine

In quel beato rimembrar ch'io mora!...

Faon! Fia ver che un'altra donna il foco

Trasfonderti saprà d'unico immenso

Amor che raro il ciel quaggiù consente ?

Forse funesta questa fiamma un giorno

Quanto a me stessa a te pur fia : me lasci

Derelitta, spregiata: avidamente

Intorno corri, e or l'ima or l'altra affisi,

Quasi a scoprir su quei gelati volti

Il cor di Saffo!! Oh sola mia vendetta!

Ne' freddi amplessi, negl' infinti detti,

O negli stolti accenti, una, sol una

Ritrovar non potrai da cui trabocchi

L'alma accesa da' labbri, e ti rammenti

Il nostro amor !... Gloria, desio fatale

D'amor nemico, non di te mi prese

Mai vano ardor; suonò spontaneo il canto

Dall'alma mia, qual mormorio leggero

D'aura che gema entro le foglie, o quasi

D'augel canoro a cui fu dato in sorte

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— H3 —

Cantar tra' boschi i suoi cocenti ardori !

Ah forse un di, quando alla età lontana

Scenderà l'inno mio che disperato

Or mi erompe dal petto, alme gentili

No, creder non potran che a tanto affetto,

A' moti inconsueti or non risponda

Un'anima di gelo ; e le mie forme

Fingeran forse l'amoroso foco

Ad accender non use : e pur di bella

Mi suona il nome da infiammale labbra

Spesso a me mormorato ; e pure io veggio

Discolorar quei che quest'occhi affisa,

O a cui volga un sorriso ; e quei respingo

A cui dal guardo, assai più che dal labbro,

Spira il più vivo amor, sol un seguendo

Infido spregiator, chè tal destino

Mi fu da' Numi avversi in ciel prescritto ! »

Cosi diceva : e dalle nivee braccia

Cadea negletta la sonora cetra,

Dono del Nume. La dorata chioma

In onde lucidissime scendea

Intorno al bianco volto,

E il sottil velo avvolto

Sovra il candido sen, scosso da' venti,

Da' vaghi occhi accogliea lagrime ardenti.

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— 174 —

t Ma che mai fia ? Tra' rami della selva

Udito ho un lieve mormorio che scosso,

Come un'aura che passa, ha quel fogliame :

E il bianco aspetto di donzella move

Qual vision sull'erba rugiadosa.

Ahi mesta e sospirosa

È anch'essa la gentile ! Udiam. Qual nome

Ha sulle labbra? Ohimè, non ben s'intende!...

Ma quivi al certo il suo diletto attende.

Oh belle ore di amor, quando ancor io

Lo attendeva cosi ! Se alcun tormento

Quell'ansia non pareggia, alcuna al pari

Gioia quaggiuso al rivedersi, al primo

Sguardo del sospirato, ah non s'agguaglia !

Certo il mortale sulla terra è nume,

Sol quando a lui concessa è da'superni

Un'estasi d'amor!... Fors'ella amante

È al par di me... Che parlo?—O amor, che sei

Per chi di poesia, ch'è amore anch'essa,

Solo si nutre ? Tu la vita sei,

Dell'universo la bellezza, il soffio

Animator che tutto regge, e tutto

Par che di te si vesta! E allor che fuggi,

Allor che d'ogni illusion più cara

Lasci deserta del poeta l'alma,

Quale ella è allor? dove seguirti? il volo

Per quali vie dispiegherà, che giunga

A delibar dell'alito infocato,

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- 175 —

Ch'era a lei vita ed alimento, ancora

Una favilla ? Oh sete, ardente sete

Ella è pur questa ! il misero, che geme

Nell'ambascia di morte in fra i deserti

Senza una sola stilla,

Al desioso dell'amor somiglia :

Ve' di natura novo, infausto gioco ;

Sete è ancor questa, ed è sete di foco !

—Ma oh vista, oh vista! Ecco Faonche appressasi:

Come da lunge ancor vaga disegnasi

L'agil persona ! come il passo ha rapido

Su per l'erbetta ! oh vieni, vieni il trepido

Mio cor ti attende ! »

Or taci, o Musa, e- non dir, no, che al core

Le giunsero d'amor le sacre voci,

Ma non per lei ! Non dir che la silente

Ninfa attendea Faon fatto spergiuro

Al più possente immacolato affetto!...

Ah ! mal soffri quell'anima divina

Il tradimento rio : per un istante

Abbandonar parve la fredda salma,

Che cadde sovra l'erba, e che pietosa

Mano ahi non resse !... Ma la dolce brezza

Tornava i sensi all'infelice, e in essi

L'acuto strazio ! E poi che in vani lai

Fremè imprecando, l'immortal sua cetra

Brandi sdegnosa, e cosi sciolse il canto :

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— 176 —

Ove son io?... la mattutina stilla

Fredda mi bagna l'infiammato viso !...

L'alba nascente in mezzo al ciel sfavilla

Col suo sorriso !

Ecco il sasso di Leucade ! Si ascenda

Fino alla cima che si lunge appare,

E meco la mia fiamma alfin discenda

Nel vasto mare !

O Amor, sospendi il trabalzar del seno !

O Amor, sospendi almen fino alla meta

Del mio cammino il tuo mortal veleno... .

E l'ire acqueta !...

Oh fero strazio ! e ancor di te favella

Ogni albero, ogni fiore, e invita al verso;

O Amor, sempre per te ride ogni stella,

Sei l'universo!

Sei l'universo, e in me tutto ti accogli !

Spento hai forse nel mondo ogni altro affetto,

E il foco poni, che a' mortali or togli,

Sol nel mio petto?...

Soavi occhi, che al cor forza mi feste,

O labbro onde ancor sento il dolce spiro,

O sembianze per me sacre e funeste,

Io pur vi miro !

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— 177 —

Io, si, vi miro e sento, e fuggir bramo,

E sulle rive d'Acheronte ahi scendo !

Là quell'obblio che invan sospiro e chiamo

Là solo attendo.

0 Amor, so che il tuo sdegno a me si deve,

Nè in sen pur della morte avrò quiete,

Fin che questa smarrita alma non beve

L'onda di Lete!

Pur s'ei versa un sospir sul mio destino,

L'obblio non vo' d'ogni terrena cosa,

E volerò non vista a lui vicino,

Ombra amorosa !

Oh ebbrezza ! udir su quelle labbra ancora

Della sua fida l' invocato nome

Ne' sonni amanti, quando appàr l'aurora

Dall'auree chiome...

Oda il suon di mia lira, e si riscota,

Ed in estasi tratto a me favelli !

Di lagrima gentil bagni la gota,

E Saffo appelli !

Oh vana speme !... Amor più mai non riede

Nel cor ch'ei lascia, e di sè crede indegno.

Ei fugge , e giura a chi macchiò sua fede

Eterno sdegno !

12

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— 178 —

O miei canti d'amor! Voi somiglianti

Foste a vano splendor che brilla e more,

E pur dal sen sorgeste palpitanti

Di vita e ardore!...

Che mi valse de' vati il foco arcano ?...

Non fama o gloria, amore amor voll' io :

Se non me 'l desti, io ti detesto, o vano

Dono di Dio.

Desio di Morte, oh come il cor mi premi !

Come fia dolce il tuo gelato amplesso !

In te parrammi ne' momenti estremi

Stringer lui stesso !

A lui stretta morrò!... D'intorno ei senta

Fiamma che in dolce fremer lo circonda,

Mentre me fredda avrà salma già spenta

Lalivid'ondaL.

Si disse la divina, e tal dolcezza

Da' suoi labbri movea, che tutto intorno

Tacea solennemente, e in quegl' istanti

Parve che il cielo stesso intento e immoto

Stesse a quei mesti accenti. Era quell'ora

Che si destan gli augelli, e allegri suoni

Vibran per l'odorate aure soavi,

E si drizzano i fiori, ed un concerto

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— 179 —

Di vita e d'armonia palpita e move

Nell'aere amante e ne disgombra il velo.

Il pianeta vital col primo raggio

Scalda il seno alla terra : ella sopita

Lo sente e freme, e fin le sue latèbre

Scote d'Amor la possa !... Allor ch'ei sorge,

E tutta la feconda, e fin talora

La consuma e l'adugge; oh chi non vede

Che tutto crea, tutto distrugge Amore ?

Cosi Saffo infelice, ahi, la rapita

Anima errante trar sentia da ignota

E sovrumana possa, e fuor del velo

Sposarsi al foco animator del tutto!...

Ella il monte ascendea rapida e fisa,

Quasi corresse al desiato ! e intanto

Premean le molli piante e sterpi e spine,

E sanguinanti le movea per l'erto

Sentiero, inconscia d'ogni duol terreno !

E le rauche colombe, e le amorose

Lodolette tra' rami e tra le foglie

Batteano l'ali, e spinte dal disio

Mettean dolce un susurro, e tra' sospiri

E l'alternar de' baci il dolce nido

Sacro a' gaudii d'amor poneano insieme :

Le allegre cavriole in fra' boschetti

L'una l'altra inseguiva, e il lor veloce

Strisciar tra fronda e fronda arcanamente

Scotea le fibre; e fin la variopinta

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— 180 -

Angue sorgea col fremer delle spire

Impaziente dell'atteso amplesso.

« Ahi tutto ama, diss'ella, e non contende

Amar natura a quanto or mi circonda,

Fuor che a me sola ! Oh almen quando l'errante

Alma fia sciolta del terreno incarco,

Ch' io parte sia dell'armonia che amando

Muove le sfere, ed il creato regge.

Me tu schiava volesti ; ed i miei ceppi

Sciolgo, e libera sono, e in brevi istanti

Io sarò un raggio di te stesso, Amore ! »

Tai fur l'ultime voci, e l'ardua vetta

Raggiunse e tacque : e sporte ambe le braccia

Sul mar fremente, rapida scomparve.

Cosi talora per le azzurre notti,

Pari a saetta, vivida fiammella

Balena e striscia per gli eterei campi,

E nella valle occidental discende !

Torino, 1859.

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— 181 —

AD UN CIGNO

NEL LAGO DELLA VILLA REALE DI RACCONIGI

IMPROVVISO

O vago augello dalle nivee piume,

Che per le chiare e fresche acque ti aggiri,

Che vogar come nave hai per costume,

E l'aure empiendo vai de' tuoi sospiri;

Che val s'io qui tra l'onde e i fior ti miri

In cui voci d'amor natura assume ?

M'accorgo ben dovunque il guardo io giri

Che son del ciel natio lungi dal lume!

Pur te felice, che sul patrio rio

Un di suonar farai gli ultimi lai!...

Oh ! fosse al tuo simile il destin mio !

Chè al presagio lugubre ahi ! gelo e tremo,

Ch'io non possa levar, come tu fai,

Presso al mar dov' io nacqui, il canto estremo !

Raeconigi, 1859.

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182

ALL'EGREGIA LOMBARDA

CLAUDIA ANTONA TRAVERSI

PER AVER FONDATO UN MAGNIFICO ASILO INFANTILE

IN SANNAZZARO

Mancante di vesti,

Di pane, di tetto,

Pel freddo languente,

Da tutti reietto,

Del povero il nato

Gemea sul cammin !

Ma Claudia in mirarlo

Sostò nella via,

E un angelo accolse

La lagrima pia,

Che crebbe le grazie

Del ciglio divin !

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— 183 —

E là dove spande

L'eterno suo lume

Pietà, che lo sguardo

Tien fiso nel Nume,

Fervente d'amore

Recolla al Signor!

E ilciel ne rifulse!...

Accoglie i gementi

La bella pietosa,

Ne adorna le menti,

E in ampia magione

Cangiò lo squallor.

Oh ! il di che la patria

Vedrà nuovi prodi,

A Claudia gentile

Ne tornin le lodi ;

Chè in' essi alti sensi

Trasfonder saprà.

Magnanimo esempio

Che al mondo si addita !..

Dovizia che dona,

Che il povero aita,

Discender fa in terra

La diva Pietà.

Torino, 1860.

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184 —

IL TRAMONTO

CANZONETTA

Tutto è amore!... Il giorno è spento,

E pur foco è l'orizzonte,

Fin la bianca intatta fronte

Fa dell'Alpi rosseggiar.

Ora amata! Io ti rammento

D'Ischia e Capri alla marina,

Sul mio suol di Mergellina

Del Vesèvo al fiammeggiar !

Tutta, o sol, quest'alma ardente

Nel tuo raggio si trasfonde,

Teco bacia quelle sponde,

Teco posa in grembo a' fior.

O memorie!... il cor già sente

Il poter del vostro incanto...

E dal ciglio scorre il pianto

Qual ne' giorni dell'amor!

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— 185 —

Ahi qual velo, o Terra mia,

Covre ancor tua pura stella ?

Ma tu fremi, e ancor più bella

Ti riveli al mio pensier !

Deh per lei nella tua via,

Sol, che l'ami, or forma un' iri !

Dille : « Ardente a' tuoi desiri

Giunge in armi il tuo Guerrier. »

Torino, marzo 1860.

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— 186 —

NELLA MORTE

DELLA ILLUSTRE POETESSA NIZZARDA

AGATA SOFIA SASSERNÒ

Alma gentil, pura, amorosa e santa,

Quaggiù di pianto e d'armonia nudrita,

Vidi anzi tempo consumarsi affranta

A poco a poco la tua debil vita.

Parea deserta, inaridita pianta

Tua sembianza languente e scolorita!

Ma i tormenti obbliando e i lunghi affanni,

Fermi drizzavi al Vero Eterno i vanni.

Chè là soltanto, o sospirosa, un'eco

Trovavi al tuo desio mesto, incompreso,

E ti parea da' cieli pianger teco

Angel che avesse i tuoi lamenti inteso.

Però non ti conobbe il mondo cieco,

Che di troppa virtù si sdegna offeso :

Eri genio romito ed immortale

Dannato a sopportar l'umano frale !

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— 187 —

Quel dolce suon che da' tuoi canti mosse

Pace e calma soave all'alme appresta.

Nè del mare alle infrante onde commosse,

Nè al mugolar de' venti in ria tempesta,

Nè alle spietate armi di sangue rosse

Sdegnoso accento fosti a volger presta,

Nè infiammata s'udi tuonar per l'etra

Ira o vendetta mai dalla tua cetra.

Ma le tue note eran com'aura lieve

Che tra le verdi fronde erra e sospira,

Come il profumo che da' fior si beve,

Come un bel rio che in mezzo all'erbe gira,

Come il chiaror che placido riceve

Notte dagli astri e amor nell'alme inspira,

Come lontana arpa che parla al core

Allor che in bruno ammanto il di si more !

E Italia amavi, e sol per lei talora

Speme brillò sul tuo pallente viso ;

Chè nata, o mia dolente, eri tu ancora

Dov'ella schiude un sempiterno riso.

— Vaga Nizza , il tuo sol vince e innamora

Ogni stranier, che su' tuoi colli assiso

Al tiepid'aere che ad amar lo invita

Chiede gli torni la fuggente vita.

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— 188 —

Ed or che i tuoi mirteti e le viole

E i campi olenti e la tua lucid'onda

Altri ne invola, il limpido tuo sole

Dirà che pur d'Italia è la tua sponda.

Odi un errante spirto che si duole,

Nè sai se il flutto o il ramo in sen l'asconda!

L'alma è di lei, che dal suo vel fuggiva

Quando il Franco mirò sulla tua riva.

« 0 terra mia (par ch'ella dica), o terra,

Che amasti tanto, e ha tanto Italia amata,

Tuoi prodi che per lei moriano in guerra

Meco ti chiaman più che illusa, ingrata !

Invan piangon tuoi saggi, invan disserra

Nova italica gloria e da te nata

Il prode, il forte, l'invincibil Duce

Che ovunque giunge la vittoria adduce.

« Ahi t'ebbe lo stranieri L'estremo addio

Men duro a me fu nell'agon di morte,

E pietoso fu meco il destin mio

Se il fral nOn resse alla tua dura sorte !

Ah ! tu sol piangerai, mio suol natio,

Quando Italia sarà libera e forte?...

No, non eterno è il pianto: eterno dura

Quanto dall'Alpi al mar ne diè natura. »

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— 189 -.

Ti acqueta, anima eletta : e tra le sfere

Ove puro e benigno etere spiri,

Più degna patria or trovi al tuo pensiere,

Commossa al dolce suon de' tuoi sospiri.

Nelle notti serene io le leggere

Ali a te volgerò de' miei desiri,

E mi parrà che da una viva stella

Tu mi dica talor: «Vieni, o sorella! »

La seguirò finch'ella a poco a poco

Il breve corso al suo tramonto inchina.

Stanca del mortal canto, incerto e fioco,

Teco anelo a temprar lira divina !

Chè sol dov'è di Dio l' immenso foco

Degno canto all'Italia il ciel destina.

Me felice, se anch'io tra l'alme ardenti

Inni dirò di libertà frementi.

Tra i freddi avelli inosservata e sola

Veggio, Sofia, posar tua fredda spoglia.

Del pensier la mestissima viola

T'apre accanto la bruna umida foglia;

E l'angel che t'amò gemendocela

A te dappresso per la muta soglia ;

Chè sul divo suo cor con un sorriso

Bianco piegasti e addormentato il viso.!

Torino, giugno 1860.

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— 190 —

ALLA ILLUSTRE IMPR0VVISATRICE NAPOLITANA

GIANNINA MILLI

ODE

Nelle notti dell'esiglio,

Quando il duol più m'assalia,

E volgeva e core e ciglio

Ver la dolce terra mia, .

Ripensando al primo canto,

A' prim'anni, al primo amor;

M'appariva in bianco ammanto

In quei lidi una donzella,

Mi traea segreto incanto

A raccorne la favella...

Eran note peregrine

D'inspirato e mesto ardor !

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— m —

Per le piagge mie divine

La seguia col mio pensiero

Coll 'allor sul nero crine

Della gloria nel sentiero :

D'un'attonita infinita

Turba il plauso giunse a me.

Oh (le dissi) hai tu rapita

Ad un angelo la lira,

O de' cieli hai forse udita

L'armonia ch'eterna spira ?

D'onde vieni? e chi trasfonde

Questo foco arcano in te?

Non si preste scorrer l'onde

Vidi a un rapido ruscello,

Nè si ratte a vol diffonde

Le sue note amante augello,

De' soavi tuoi concenti,

Pari all'aure del tuo ciel.

Forza hai tu di trar le menti

Teco a vol per l'universo

Sulle imagini repenti

Del fatidico tuo verso :

Là nell'aere più sereno

L'alma oblia che in terra ha il vel !

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— 192 —

Oh volgiam del cielo in seno

Del pensier gli ardenti vanni !

In quei regni d'onde almeno

Non ci scacciano i tiranni,

Tra le vaghe fantasie,

Nell'oblio del tristo ver !

Pur, se canti le natie

Aure e i fior del nostro lido,

De' tuoi labbri le armonie

Cangi allora in mesto grido,

E del duol nella favella

Novo incanto ha il tuo pensier.

Ma in que' cieli un'altra stella

Incomincia il suo viaggio:

Alla viva sua fiammella

Or la speme accresce il raggio...

Oh fidiam ! Quell'astro ha vinto

D'altre tenebre l'orror.

f

No, se Dio quel suolo ha cinto

Del suo lume e del suo spiro,

No 'l vorrà deserto, estinto

Nell'angoscia e nel martiro.

Come il sole su quei monti

Versa e lascia il suo fulgor;

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— 193 —

Tal ne' genii arditi e pronti

Poesia suoi raggi aduna :

Ma donò fra tante fronti

Il suo bacio a te sol una,

E il tuo ciglio ardente e nero

Del suo foco scintillò.

Di', volgendo il piè leggero

Fra gli allór di Mergellina,

Di Virgilio e di Sincero

Giunse un'aura a te divina,

Che in un subito concento

Su tuoi labbri si cangiò?

Ma quel flebile lamento

Onde freme la tua cetra,

Misto ai gemiti del vento, '

Certo or giunse a Dio per l'etra !...

La mia mente ormai non erra; •

Di vittoria è presso il di !

Come rondine disserra

Dopo il verno il lieto volo,

Tornerem da tanta guerra

Amorose al patrio suolo,

Scioglierai tu allor quei carmi

Che non anco Italia udi.

15

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- 194 —

Già in pensier vederti parmi,

Infra i rai di nova luce,

Celebrar la gloria e l'armi

Del gagliardo, invitto duce,

Ch'ivi giunge, e abbatte un trono

Di spergiuri e di terror.

Di quei canti udendo il suono

Scenderà co' tre colori

Lieto l'angel del perdono

Sulla terra degli allori.

Fine al sangue!... Ei reca in dono

Libertade, e pace, e amor!

Torino, giugno 1860.

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! 95

AI VALOROSI

GIACOMO LONGO E CARLO DELLI FRANCI

I QUALI APPENA LIBERI DA DODICENNE PRIGIONIA

CORRONO A COMBATTERE I* SICILIA >

ED UN ADDIO

A' MIEI COMPAGNI D'ESILIO

CHE RITORNANO A NAPOLI

Che val se lunge ferva la vita *

Pel mesto in atra prigion romita ?

Che con bei sogni l'età fiorente

Soavi immagini gli torni in mente?

Ahi ! tutto è tenebre, tutto è mistero

Nell'antro orribile del prigioniero!

Ma la immortale anima errante

Se ascolta il murmure d'un'aura amante,

Se la fragranza sente d'un fiore,

S'ode un augello cantar d'amore,

O se compagna sola, amorosa

Fida colomba sul sen gli posa;

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— 196 —

Pargli che almeno nel cieco obblio

Alcun risponda al suo disio,

Che l'universo abbia un accento,

Eco pietosa del suo lamento,

E tra le angosce pura una calma

De' ceppi immemore ritrova l'alma !

Ma quei che vittima d'un empio giacque

Allor che libero pensier gli nacque

Del giogo antico d'infranger l'onta

Con destra invitta e all'armi pronta ;

Se un suon guerriero per l'aere intenda

Che nel già muto career discenda;

Di duol, di rabbia avvampa insieme,

Tra mille smanie sospira e freme :

Già coll'indomito spirto si scaglia

Dove più fervida è la battaglia :

Già pugna, vince... Ma il guardo ei volge!...

Mura il circondano di orrende bolge !

E voi tal pena soffriste, o prodi,

Antiche vittime d'inique frodi:

Voi che snudaste libero brando

Il trono a infrangere del reo Fernando,

Ed or coll'animo non vinto e puro

Correte a sperdere novo spergiuro.

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— 197 —

Per voi l'Italia al mondo intero

Mostri qual fede ha il suo guerriero.

Odano il vostro nome i ribaldi

Misto al terribile di Garibaldi,

Ch'or da Sicilia, ch'ei desta a vita,

Napoli a' forti seguaci addita.

E voi, compagni del lungo esiglio,

A cui rivolgo umido il ciglio,

Addio!... Vedrete la sponda e i fiori

Di Posilippo co' verdi allori !

Cento memorie con vago incanto

Verranno a tergere il vostro pianto.

Ah ben v'è noto che il reo che opprime

Con vil menzogna noi non redime.

Degno dell'empia stirpe onde nasce

L'odio or nasconde di cui si pasce,

E tra le fraudi il giorno aspetta

Della invocata crudel vendetta.

Ma voi del giusto la calma pura

Or dalle perfide arti assecura:

D'un re l'esempio già vi rendea

Costanti ad unica sublime idea.

Suoni di guerra per lui lo squillo

Ch'una è l'Italia, uno il Vessillo !

Torino, luglio 1860.

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19R —

PER L'INGRESSO IN NAPOLI

VITTORIO EMANUELE

RE II Utili

CANTATA W

Vieni, o Prence! il balen di tua spada

Ti precorse di gloria foriero !

Vieni, o forte d'Italia guerriero,

Qui d'un popol ti chiama l'amor.

Mira, è tua questa bella contrada,

Questo ciel, questa sponda divina !

Mormorando Tazzurra marina

Plaude anch'essa al bramato Signor.

Per te solo di fiamma nascosa

Arse in sen questa fervida terra,

Pari a quella ch'eterna rinserra

Il Vesèvo fra il cupo fragor.

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— 199 —

Ti seguiva coll'ansia affannosa

Fin su' campi di lotta cruenta,

Quando al sol di Palestro e Magenta

Dispiegavi l'ardito valor.

1a

Ti allegra, o Napoli ;

. Ecco i due Forti,

Che dell'Italia

Cangiar le sorti !

La man si strinsero,

E di speranza

Roma e Venezia

Ne palpitar.

Coro

Stella Sabauda/

Il corso avanza;

Roma e Venezia

Tu dèi salvar!

2a

Primo de' popoli

Udisti il grido,

Strisciò il tuo fulmine

Di lido in lido...

Tremanti i despoti

Si dileguar !

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— 200 —

Oh giorno ! oh gloria,

Allor che il soglio

Terrai dei Cesari

Sul Campidoglio,

Primo a difendere

Il sacro altar.

Coro

O Re ! d'Italia

Sei la speranza,

Roma e Venezia

Tu dèi salvar.

3*

Si! del tuo libero

Acciaro il lampo

Vedrem rifulgere

Di novo in campo ;

E ancor dell'Adria

Terrà l'impero

L'antica e intrepida

Donna del mar.

Coro

O Re d'Italia,

Sprona il destriero ;

Roma e Venezia

Corri a salvar.

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— 201 —

Coro finale

Garibaldi e Vittorio ! due spade

Feron salva quest'inclita terra !

Una è Italia ! Terribile in guerra,

Saggia in pace e temuta sarà !

De' trionfi è ben questa l'etade !

Viva il Re ! viva il prode, il possente !

Ei ridesta l'Italica gente

A una gloria che pari non ha.

Napoli, novembre 1860.

(1) Eseguita nel teatro di S, Carlo con musica del maestro cavaliere

Capecelatro.

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— 202 —

PER LA COMMEMORAZIONE

DELLE STMGI DEL 15 MAGGIO 1848

IN NAPOLI l'I

Diva Pietà, che sulle tombe assisa

Pensi agli estinti, e velo fai di pianto

Al tuo sguardo che amante in Dio si affisa ;

Spesso io ti miro avvolta in negro ammanto,

E vuoi eh' io sacri a' generosi spenti

Dal profondo del cor lagrime e canto.

Pur di quei forti che in tal di rammenti

Il santo nome sol da te fu scritto,

Chè invan teco ne chieggo i monumenti.

Ma poi che del Borbone ulto è il delitto,

Su i merli di Gaeta Iddio ne addita

L'ombre, ond'egli severo è in suo diritto.

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— 203 —

E per le vie dove lasciar la vita

Indi aggirarsi le riveggo, e insieme

Parlar fremendo della fe' tradita.

Di quella fe' che ormai più nulla teme,

Poi che qui regna il prode Emmanuello

In cui ne' tristi di ponea sua speme.

Narri di lui la storia, e mostri in quello,

Che se l'impero nell'amor si fonda,

Popol non v'ha che al prence fìa rubello.

Narri (ed il volto nelle palme asconda)

Che il primo colpo il reo tiranno volle,

Se di fraterno sangue ancor si gronda.

Atroce vista ! cieco d' ira e folle

Contro gli sgherri il popolo si avventa,

Mentre il bronzo feral tuona dal colle.

Rotte le vie, nella difesa è intenta

La città tutta in fiamme, orrida scena,

Che ad ogni istante si fa più cruenta !

Ahi mentre in lotta ria l'un l'altro svena,

E spose e madri e pargoletti un grido

Levan per l'aura di lamenti piena !

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— 204 —

Che fa in tanta rovina il prence infido?..

Del veron sulla soglia, empio, si bea

Della vendetta che in quel core ha il nido.

E padre della patria egli potea

Nomarsi un tempo ? e prestar fede ancora

Fuvvi chi osava alla sua stirpe rea ?

Al suo popol che freme ahi l'ultim'ora

Ben sa che appresta, e ne trionfa e gode!...

Vile ! del tuo perir questa è l'aurora.

Tronca è mia voce alla nefanda frode,

Nè dirò di quai stragi in sua baldanza

Fu rea la turba che su i vinti è prode!

Ebbra di sangue e di furor si avanza,

E coll'armi impugnate ella penètra

Dove gli eletti della patria han stanza.

Ma quel grave consesso per la tetra

Aula non leva un grido, e fermo resta,

Si che a tal vista l'orda ria si arrètra.

Tal de' padri di Roma alla funesta

De' Galli apparve trionfante schiera

La maestade veneranda e mesta.

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— 205 —

Ed una voce impavida e severa

Del re malvagio a protestar s' innalza

Contro l'arte perversa e menzognera.

Muti restano i tristi, che gl'incalza

Terror segreto, e forse ad essi in petto

Il cor per senso di rimorso balza;

E illesi escon quei forti. Oh in quale aspetto

Trovan la dolce terra ! ohimè, vien manco

Innanzi a tanto strazio il debil detto !

Rosseggia il sangue della luna al bianco

Raggio su i morti, e su i morenti a mille

Qual franto il capo, il petto, il volto o il fianco !

Tronchi lamenti coll'ultime stille

Altri mandan languendo, e ad altri d' ira

Ardon tra i semispenti occhi faville.

Lugubre un suon per la città si aggira

Che impreca e piange, e sulle sue rovine

La Giustizia di Dio scender si mira.

Vela, o Pietà, le luci tue divine,

Esule tremebonda!... Odio e Vendetta

Surgon d'Averno insanguinato il crine.

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— 206 —

Esigli e ceppi e morti a che si affretta

A compartir tremante il re, se in cielo

Scritto gran tempo è già quel che l'aspetta?

Sull'abborrito suo putrido stelo

Marcisce il Giglio, e spento al suol si vede

Pria che lo colga dell'etade il gelo.

Vacilla il soglio ove mal fermo siede,

Poi che stampava nel sentier maligno

L'orme, d'infida stirpe il tristo erede.

Ma spuntava un sereno astro benigno,

E al suo chiaror forse dal ciel discese

Vestito un Grande di color sanguigno.

Qui l'eterno voler per lui si apprese,

Che appare, vince, e il trono infausto atterra.

Oh non mai viste sovrumane imprese !

È vinta alfin l'abbominata guerra !

Sorgi, e un riso d'amore apri, o Sirena,

A chi libera luce or ti disserra !

Nol vedi ? è Dio che a trionfar ti mena,

O diva Italia ! Emmanuel ti guida...

Poe' opra avanza, e la vittoria è piena.

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— 207 —

In lui fisa lo sguardo, in lui ti affida,

Nè accenda mai Discordia in te la face,

Perchè il nemico del tuo mal non rida.

La Fama che di tue glorie non tace,

Se parlò di Magenta e Solferino,

Novi trionfi a nunziar si piace.

Quando compiuto l'italo destino

Avrem Venezia e Roma, alme onorate,

Tutte vi sentiremo a noi vicino,

Di quanti or vita a libertà donate

Dall'Eridàno alla sicula sponda !

Di voi canti ogni ardente italo vate,

Che il vostro sangue-'il patrio allòr feconda.

Napoli, 15 maggio 1861.

(1) Versi letti in puliMica adunanza.

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— 208 —

PE' FRATELLI SAVIO

MORTI COMBATTENDO

ODO in lD'COIi.1, L1KTKO A. 61111

Itale madri, o voi che tutto in terra

Perdeste, ohimè ! donando i dolci nati

Alla funesta e gloriosa guerra

Onde liberi avremo i lidi amati;

Se intorno un'aura che sospira ed erra

A voi parlando va degli adorati

Estinti, oh in quella son d'amor parole

Di tutta Italia che con voi si duole !

O dolorose, a voi rivolgo il canto,

Ben che non abbian tregua i vostri affanni !

Ed ecco al guardo mio molle di pianto

Appare una gentile in negri panni

Là sulla Dora : a lei delizia e vanto

Eran due cari figli, e da' primi anni

Trasfuso aveano in lor del suol natio

Un indomato amor la madre e Dio.

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— 209 —

Con quale orgoglio la materna cura

Crescer vedeva quella fiamma in essi !

E già dell'avvenir fatta secura,

Lor diceva, alternando i dolci amplessi :

Oh fortunati , a cui l'alta ventura

Serbato ha il ciel di liberar gli oppressi !

Se vi vedrò tra le vittrici squadre ,

Io beata sarò d'esservi madre.

Alfredo, Emilio! ite, o guerrieri ardenti,

Ite, già l'ora della pugna è giunta.

Chi ratterrà le vostre alme frementi,

E del fervido acciar l'ardita punta ?

Ecco il bronzo guerrier tuona fra i venti,

Vittoria dal valor non fia disgiunta.

Giovani entrambi generosi e forti,

Voi non arresta il suol sparso di morti.

Lugubre il canto sul mio labbro suona,

E tronche da' sospir son le parole.

Vinta è la pugna, e ancor tu vedi, o Ancona,

Tra fumo e fiamme impallidito il sole.

Alfredo il suo destriero innanzi sprona,

Mirar se l'oste ancor ne offenda ei vuole,

Quando improvviso un colpo ahi tuonar s'ode,

Che ferisce nel fianco il giovin prode.

u

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210

Taccia il mio canto se una madre ascolta,

Che s' io piango, il suo strazio oimè qual fìa ?

Morir senza vederti anco una volta,

(Ei sclamava morendo) o madre mia!

E la bell'alma dal suo fral disciolta

Verso libere sfere il volo apria,

Chè la parte più eletta il cielo addita

A chi donò pel suol natio la vita.

Tu resti almen, tu, Emilio, alla dolente,

Di sua trepida speme unica meta:

Ma sostener la guancia sua pallente

Sovra il tuo petto, alto dover ti vieta,

Ch'ultimo asilo a tirannia morente

Te mira, o ardito espugnator, Gaeta.

Ella il sa, nè ti chiama; oh dura sorte!

Eppur l'è noto ch'ivi ancora è morte.

Scoppia in fiamme la terra : è nel supremo

Agon l'impero di spergiuri e frodi.

Del suo bronzo abborrito il rombo estremo

Inorridita, o patria mia, non odi ?

Colla voce e l'esempio, in dirlo io tremo,

Combatte Emilio, e grida: Innanzi, o prodi.

Ma un sasso spinto dall'accesa polve

Col capo in brani al suolo ahi lo travolve!

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— 2M —

Ripiega l'ali sospiróse, o vento,

E non recar sul Po la ria novella.

Ivi è una madre; sull'infausto evento

Pietoso fia chi piange e non favella.

Non sappia no, che l'altro figlio è spento,

Che infranta giacque la sembianza bella.

Inesorabil fama a lei lo disse,

Ahi sventurata ! ed ella il seppe e visse!

Visse, e restò negli occhi suoi rappresa

La lagrima d'amor fatta di gelo.

Le avanza un figlio, e a confortarla intesa

Angel vive la figlia in mortal velo.

E l'alma sua gentil geme sospesa

Vagando incerta fra la terra e il cielo.

Pur se vedrà la patria in rio periglio

La forte le darà l'ultimo figlio.

Platani ombrósi della mia Torino,

Cui cingon freschi ruscelletti erranti,

Voi pingete alla mesta in suo cammino

Fanciulli ancora i duo vaghi sembianti.

Quando su' poggi or le sedean vicino,

Or con vezzoso ardir correanle innanti;

E spesso un angel per cantar di loro

Le recava tra l'ombre il plettro d'oro (\).

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— 212 —

Or taci, Olimpia? ah esprimer tenti invano

Quel tremendo pensier che in te sta fiso !

Che tra i singhiozzi ti cadria di mano

Quel plettro, e bianco inchineresti il viso.

Solo rechi un conforto a te non vano

La patria che il dolor teco ha diviso.

Oh quei che udrà la storia tua funesta

Esclamerà : « Nova Cornelia è questa ! »

Napoli, 1861.

(1) Olimpia Savio, madre de' valorosi giovani, è autrice di pregiati poetici

lavori.

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— 213 —

IL BERSAGLIERE

CANZONETTA POPOLARE PER MUSICA (1)

In quel nugolo di polve

Un drappello si ravvolve,

Mentre corre al par del vento

D'una tromba il suono io sento.

Tremi, fugga lo stranier :

Oh vittoria! è il bersaglier.

Come fulmine si avventa

A Palestro ed a Magenta.

Sembra l'italo Destino

Sovra i colli a Sammartino.

Oh d'Italia fra i guerrier

Viva sempre il bersaglier !

Sinigaglia a lui sgombrate,

0 vendute orde malnate.

S'ei difenda il suo stendardo

Ben lo sa Castelfìdardo.

Nostra è Ancona ! oh fra i guerrier

Viva viva il bersaglier!

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— 214 —

L'ira sua chi fia che affronti

Di Teano sovra i monti,

Or ch'è duce a tanto ardire

Dell'Italia il forte sire?

Del Borbone il reo guerrier

Fugge innanzi al bersaglier.

Sul nemico s'ei si getta

Coll'ardita baionetta,

Di resister tenta invano

Chi gli nega il Garigliano.

Oh fra gl'itali guerrier

Viva sempre il bersaglierl

Vola, giunge alla sua meta

Sulle mura di Gaeta.

Ma sull'Adria ancor lo appella

Il sospiro d'una bella.

Tremi, sgombri lo stranier,

Che si appressa il bersaglier.

Napoli, 1861.

(1) Musicata dall'egregio mapjlro De Ciosa

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— 2t5 —

IN MORTI

DI CAMILLO BENSO DI CAVOUR

CANZONE (*)

Te ancor la inesorata onda che il fato

De' mortali travolve, innanzi sera

Inghiotte ne' suoi gorghi? Oh attendi, attendi !

Or più non odi, o grande, il desolato

Grido d'Italia tua, la sua preghiera ?

La voce sua che impera

Sovra il tuo cor tu dunque ahi non intendi ?

Mira, fa di sua mano onta alla chioma

Roma, sclamando, Roma !

Mentre la folta tenebria di morte

Rapida covre il raggio onnipossente

Alla cui diva luce

Spezzar senti le prime sue ritorte.

Te all'voprar suo vuol duce

L'adriaca Donna, e chiede alla tua mente

Il di propizio in cui deposta alfine

La sua funerea benda

Coll'elmo in campo scenda.

Or di novo cipresso ahi cinge il crine !

Che già l'ora vicina è del periglio,

Ed a noi manca, o padre, il tuo consiglio.

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216 —

Nella lotta de' secoli già spenta

Credean la madre di sapienza e d'arte :

Su quel sen palpitante ognor di vita

Stampava la profana orma cruenta

Lo stranier che ne avea le membra sparte.

Ma sulle dotte carte

Vegliava un'alma arcanamente ardita.

E poich'era del di la face estinta,

In rie catene avvinta

Donna gli apparve. Dal gentil suo petto

Grondava in copia il sangue, e colla mano

Scostava il negro ammanto

Onde velato era il divino aspetto.

Poi gli dicea nel pianto :

« Vedi qual soffro ancor strazio inumano !

Ed or che sento ascosa in me possanza,

Dell'efferato mostro

Più crudo è il doppio rostro.

Dimmi, o saggio, una speme ancor mi avanza,

O fìen vani per me di tanti forti

L'esiglio, i ceppi e le onorate morti ? »

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- 217 -

Questo grido in quell'anima scendea

Come fiamma che invade e che divora :

E nelle notti insonni e nel perenne

Indomato pensier sempre parea

Nell'alta vision rapita ancora.

E giunse alfìn quell'ora

Invocata dal forte, ora solenne

In cui la voce alto levava ei stesso

In possente consesso.1

Oh allor primo suonò su i labbri ardenti

D'italo figlio il rattenuto amore

Per questa invitta madre,

Che invocava il suo dritto in fra le genti.

Ei ne inviò le squadre

A rammentar nel mondo il suo valore

Fin dell'Eusino sulla torbid'onda.

Del nòrte allor la stella

Impallidia, chè per la sua sorella

Francia un alloro da quel di feconda.

E per novo terror l'Austro presago

Mirò ne' vinti la sua propria imago.

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- 218 —

Chi pari a lui coll'arti ardue di regno

Pur secondò de' popoli il sospiro ?

Chi alle contrarie voglie imporre un freno

Seppe, e menarle unite al gran disegno ?

Maravigliar l'età, ventura io miro

Che l'ardito desiro

A destar giunse anco a' potenti in seno !

E se parte costò di nostra terra

Una invocata guerra,

Entro i recessi di quel cor chi scese

E del suo duol profondo ebbe misura?

Oh pace al grande, pace !

L'eroe sdegnato a lui la man distese,

E se spezzò la face

Discordia, d'ire imperversar non cura,

E invan gli volge invidia il torvo sguardo.

D'italo pianto aspersa,

Sacra è sua tomba, e d'ogni colpa è tersa !

Spieghiam sovr'essa il fulgido stendardo

Nel giorno trionfal, ch'egli primiero

Volle Una Italia in faccia al mondo intero.

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— 519 —

Odo un lamento!... Entro lugubre stanza

Io miro il giusto nell'agon di morte,

E il Re d'Italia che a lui geme accanto !

Ahi muore quei che pien d'alta fidanza

Pur or gli disse : « Al Campidoglio andremo. »

Ma il suo trionfo estremo,

Ed il più sacro è di un tal prence il pianto!

Però si sparge una soave calma

Sulla morente salma !

E del suo re la mano al sen di gelo

Recando, un raggio d'ineffabil riso

Sul pallido sembiante

Diffonde una immortale aura di cielo !

« O sire, a me dinante

Sta Ralia (ei dice), è dessa! io la ravviso. »

Non più ferita il sen, ma la divina

Lo scettro e la corona

Di propria man ti dona !

Non odo un suon da Iunge?... Oh lei regina

Riconoscon le genti !... Or cada estinto

Mio fral, ma Italia è rediviva, e ha vinto !

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220

Addio!... ti segua il nostro amor, nè mai

Da tua memoria fia ch'ei si scompagni !

Addio! se un dubbio ti discese in petto

D'Italia tua sovra il concorde affetto,

Or beata sarai,

Alma, che sol per lei sentisti vita,

Che sull'Adria e il Tirren per te si lagni !

Mira pallida in volto e a duol vestita

La tua bella Torino ! essa t'implora,

Scendi nell'aula che a te fu si cara,

E degli eletti della patria ancora

Tu le menti rischiara !

Che all'opre lor se qui fu duce, o saggio,

Del tuo pensiero il raggio

Mentr'eri avvolto nel terreno frale ,

Non scenderà più vivo e più possente

Da te fatto immortale?

Là nel suo ciel te mira Italia e sente,

E il tuo spirto che ancor guida gli eroi

Verrà sul Tebro a trionfar con noi !

Napoli, 1861.

fi) [Letta in solenne adunanza poetica musicale tenuta in Napoli nella

grande sala della Biblioteca Nazionale per la perdita dell'esimio uomo distato.

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— 221 —

SULLO STESSO ARGOMENTO

STANZE(I)

0 tu che riedi al cieJ, Spirto divino,

Volgi a quest'aula di sapienza i vanni !

Tu poserai qui presso al sol d'Aquino,

Che al par di te giurò guerra a' tiranni ,

E al Sofo che de' popoli il destino

Scrutò, svelando del passato i danni :

Chè d'ambo a compier l'immortal desio

A noi fe' dono di tua mente Iddio !

Tu piangi, o Italia?... Ah cessa! è tua tal gloria,

A cui null'altra in suo fulgor somiglia:

Gh'ei guidò libertade alla vittoria

Coll'armi de' potenti... oh maraviglia !

E se di nove gesta orni la storia,

La tua grandezza di quel senno è figlia :

Profeta de' tuoi vanti, ei già in Crimea

Le lombarde città salvate avea.

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— 222 —

Speme d'Italia e amor, giovani ardenti,

Ch'io miro qui di pianto umido il ciglio,

Si aspetta a voi ne' già maturi eventi

Seguir coll'opra l'alto suo consiglio.

Nè van tributo a lui sol di lamenti

Volgiam, s'ei parte dal terreno esiglio,

Ma il suo pensier si compia, ed a quel saggio

Offriam d'Italia libera l'omaggio.

Di un negro velo cinte ancor la chioma

Due donne io miro presso ad un morente ;

Ed egli esclama: oh mia Venezia, o Roma !...

E il gel di morte l'invade repente.

Ma tu la possa che le oltraggia hai doma,

L'opra compiesti dell'ardita mente!

Ed ora lasci, o grande, il mortal velo

Sol per gioir della vittoria in cielo!

Napoli, 19 giugno 1861.

(1) Lette nella Regia Università degli Studi in Napoli , dove col concorso

della studiosa gioventù si collocò il busto del grande Italiano tra quelli di

S. Tommaso d'Aquino e di Giambattista Vico.

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223 -

VENEZIA

STORNELLO

0 poverella mia, con veste bruna,

Che fai soletta presso alla laguna ?

Perchè t'asciughi gli occhi col bel velo,'

E guardi sospirando il monte e il cielo ?

Non lo sapete voi, sorelle mie ?

La povera Venezia non ha pace !

Scorre la gioia per le vostre vie,

Ed ella sempre afflitta o piange, o tace !

Stassi ognuna di voi vestita a festa,

Io sto sul mare scapigliata e mesta!

Ed ora guardo in questo lido e in quello

Se appare Garibaldi o Eramanuello !

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— 224 —

Ditemi voi quando verran quei forti,

Per cui spezzate son vostre catene ?

Se per essi cangiar le vostre sorti,

Me toglieranno ancor da queste pene !

Ahi nell'aquila ria l'ira non langue ,

Mi morde il seno, e mi avvelena il sangue !

Voi, cui la libertà fea cosi belle,

Stendetemi la man, dolci sorelle !

Napoli, 1861.

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— 225 —

IL PESCATORE DI VENEZIA

PEE MUSICA

O mia Venezia,

Nell'ora bruna

A te rivolgesi

Per la laguna

Il solitario

Canto d'amore

Del pescatore.

Odo i tuoi gemiti

Tra il vento e il flutto,

Ti vedo piangere

Vestita a lutto,

Ed al tuo strazio

Si spezza il core

Del pescatore !

18

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Ma veggio splendere

Dall'orizzonte

Un raggio vivido

Sulla tua fronte !

L'astro è d'Italia

Che infiamma il core

Del pescatore.

De' nembi il fremere

Per lui non temo.

Il di mi annunzia

Ch'io getti il remo,

E che alla patria

Sacre fien l'ore

Del pescatore !

Ohimè la libera .

Canzon mi è tolta...

Odo l'austriaca

Notturna scolta!...

Tu acqueti, o fulgido

Astro, il dolore

Del pescatore.

Napoli, 1861.

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— 227 —

INNO POPOLARE DEGLI ITALIANI

Salva l'Italia, oDio,

Da' rei nemici suoi !

Seconda tu il desio

De' generosi eroi

Di questa madre intrepida

Del genio e del valor.

Sorgi. (dicesti), ed ella

Apri le spente luci !

E al raggio di sua stella

Mirò due forti duci,

Che il capo le ricinsero

Dell'obbliato allòr !

Temuta e forte or siede

Col serto in sulla chioma :

E pien di onor, di fede,

Vedrà Vittorio in Roma,

Vittorio, amor degl'Itali,

De' despoti terror.

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— 288 —

Gran Dio, dal sonno scossa

Se il cenno tuo la vuole,

Nulla veder mai possa

Di lei più grande il sole !

Discenda l'invincibile

Tuo spirto in lei, Signor !

Napoli, 1801.

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ALLE MIE DUE BAMBINE

ROSINA E FLORA

Non mi curo se la vita

Co' suoi fior più non mi affida,

Se alla speme già svanita

L'avvenir più non sorrida,

Sul mio core ho due sembianze

Che mi parlano del ciel.

S' io vi miro, di speranza

Viva luce ancor mi abbella.

Come in cielo ardenti danze

Move or l'una, or l'altra stella,

Tal nel guardo a voi scintilla

Vago lume senza vel.

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— 230 —

O Rosina, a te non brilla

D'un gioir che non ha posa

Quella tenera pupilla

Sempre languida e pensosa :

O bambina, e t'ange il petto

Già del mondo il tristo duol ?

Forse pria che al nostro affetto

T'inviasse il paradiso

Di mestizia l'angeletto

Ti baciava il bianco viso,

E non visto a te d'accanto

Ti accompagna col suo vol?

Se di gioia ascolti il canto,

I begli occhi affisi e taci.

Ma si velano di pianto,

Ma diventano loquaci,

Se una storia di sventura

Odi intenta rimembrar.

Il tuo bacio è a me qual pura

Fresca stilla di rugiada

Che a conforto dell'arsura

Dopo il di sull'erba cada...

Ma il bel capo sul mio seno

Posi, e segui a meditar ?

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— 231 —

Ah non turbi il tue sereno

Quel soave e mesto raggio ,

Ma di moti ardenti il freno

Ei ti sia nel tuo viaggio :

Sia la pura e dolce aurora

Di felice e casto amor.

Ma tu corri, o vaga Flora,

A me tenera e festosa,

E ch'io stringa al sen la suora,

Ben t'intendo, sei gelosa.

Altri moti ed altri affetti

Chiudi, o bella, nel tuo cor.

Nel tuo sguardo, ne' tuoi detti

Stan la vita ed il pensiero.

Quanto m'ami a dir ti affretti

Pria col ciglio ardito e nero,

Poi co' baci tuoi ferventi ,

A me sveli il tuo sentir.

Amorose ed innocenti

Son di foco tue parole,

Le tue chiome son fulgenti

D'un bel raggio del mio sole,

Colle anella all'aura sciolte

Il tuo volto ha un vago ardir.

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Son le grazie in te raccolte

D'una tenera Andalusa.

S'altre gioie a me son tolte,

Sii d'amor per me la musa:

Ch'io ti stringa!... oh ebbrezze eguali

Solo han gli angeli nel ciel !

Se avverrà che tra i mortali

Spento il cor non vi difenda,

L'alma mia distese l'ali

Sul bel capo a voi discenda,

Qual si aggira un'aura errante

Su due fiori in uno stel.

Sentirete spiro amante

Che a voi parla e vi circonda

Fin tra il rezzo delle piante,

Fin tra il murmure dell'onda :

Forza ell'è che mai non muore

Questo ardor che in voi vivrà !

Io tra i regni dell'Amore,

Sol per farvi ancor più belle ,

Qualche raggio allo splendore

Rapirò di amanti stelle,

E di voi più elette suore

Forse il mondo non avrà !

Napoli, 1861.

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— 233 —

AI MORTI PER LA PATRIA

CANTO

Fia ver ? sull'onde rapida trascorre

La nave che mi reca al patrio lido ?

E le lucide stelle, il mar diletto,

Il mio limpido cielo, e i monti e i fiori

Che già la mesta giovinezza mia

Confòrtavan di speme, alfin concesso

M'è riveder..., bearmi anco una volta

Dell'aure amate, del mio patrio sole

Dopo tant'anni!... Gli ultimi fulgori

Tramanda il di, mentr'io lo sguardo affiso

Per l'orizzonte avidamente, e il petto

Per ardente disio fassi più anelo !

E tra il cadente velo

Le invocate isolette ad una ad una

Ecco io veggio apparir sull'onda bruna.

Ignoia possa l'anima solleva,

E nel pianto d'amor che bagna il ciglio,

A voi rivolgo il mio pensiero, o prodi,

Al cui strazio dobbiam tanta salute !

Ah non di voi fien mute

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— 234 -

Mai le italiche lire: e grata a voi,

O fortunati eroi,

Volgasi Italia in sue cangiate sorti,

Ch'ella rivive per le vostre morti !

Già sovra il mar fremente a mille a mille

Le vostre ombre si addensano, e silente

E prostrata le adoro. Una raggiante

Sanguigna striscia le circonda ! Oh salve,

Salve, o sacra coorte,

Ch'eterna vivi in braccio anco di morte !

Salve, o beata schiera,

Cui certo accolse, qual null'altra agguaglia,

Lucentissima sfera !

Per voi non vesta la feral gramaglia

Nè madre, nè consorte,

Ma sovra il suol del vostro sangue molle

Più il fior sorrida, e più l'aura gentile

Rechi il profumo al ritornar d'aprile !

E qual di voi, spento a' prim'anni ancora,

Tornar vorria qui nel mortal tormento,

Se ogni vostra ferita

Crebbe a noi gloria, a libertà la vita?

Le tronche braccia, lo squarciato seno,

E il capo infranto, e la cruenta strage

Di vostre membra, cui non regge il core,

Vi rendea della patria eterno amore!

«

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— 23S —

Ed ecco uno di voi tra il rosseggiante

Aere ver me sorvola.

Io lo ravviso al colpo che gli fende

La fronte giovinetta, e al folgorante

Soavissimo aspetto !

Oh ben sei tu, ben è la tua parola,

Tu che primo cantasti « Italia è desta,

E dell'elmo di Scipio

La valorosa si cingea la testa ! (1) »

Or qual ti guida amor, tu che da forte

Là insanguinasti il piano, ove ancor l'alme

De' Fabrizii e de' Bruti attendon l'ora

Che del suo lauro fregi

La gloriosa chioma

L'antica madre di portenti Roma?

Or ben t'intendo! Qui tu ammiri amando

Ridesta, e sciolta dalla sua catena

La mia gentil sirena,

Che di novo splendor si scote al raggio !

Vedi quanto è più vaga, or che l'abbella

La bramata da lei propizia stella!

Deh fino a quando le funeree bende

Fia che vesta Venezia, e non ritorni

Al sospir nostro intera

L'itala libertà per te difesa?

Se il duce invitto Emmanuel percorre

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- 236 —

La bellissima sponda, ove il ciel versa

Tutto l'italo lume, e le divine

Amate aure latine

Di libere vittorie, e di sol'una

Concorde idea si allietano; qual possa

Ancor l'Averno aduna,

Che a tirannia prolunga l'ore estreme ?

Ed or che alfine il nostro mar non freme

Più sotto il pondo di straniere navi,

In quali opre malvage ancor si affida

La infausta prole di una razza infida ?

E tu potevi tua possente aita

Prestarle, o Francia? Questa ch'or si schianta

Era già in odio a te malnata pianta.

Strana pietà ti vinse! e non sei quella

Che pur or vidi in campo

Piagata il fianco e il seno

Sciogliere i ceppi della tua sorella ?

Pur di tua man reggi il triregno ancora

Sul capo a lui, che senza te più sante

Orme, ove siede religion pensosa

Del già incruento, or profanato altare,

Stampar forse potria ! Deh l' immortale

Opra tu compi, ormai n'è tempo, e sgombra

Il nido ancor di tenebrose frodi

Per noi morendo il vollero i tuoi prodi !

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— 237 —

Coll'ultima speranza

Si atterri alfin Faquilonar baldanza.

Oh se allontani libertà che adori,

Ti cadon dalle chiome

Quei che avesti per lei famosi allori !

E soffrirai che nieghi a te la storia

Parte si bella di cotanta gloria ?

Già dell'ultima pugna odo lo squillo,

E le attonite genti

Sovra ogni nostra torre il gran vessillo

Sapran che brilla dispiegato a' venti.

E il fiammeggiar veggio di ardente spada

Che il cherubin d'Italia in tal momento

Stringe, ed anela di rotar tremenda.

Dallo scoglio immortal già già si sente

Novo grido di guerra : -

Trema intorno la terra

E conscio mugge il flutto. O generose

Alme, io colà correr vedrovvi a gara,

Svolte in nubi amorose,

Circondarlo e seguirlo : e se pur scende

In voi desio di vite,

Or le vostre ferite

Voi rinnovar vorreste ! Ed alla bella

Adriaca donna in pianto, ed al fremente

Ungaro che per noi discese in campo,

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— 238 —

Se il desiato lampo

Del vostro acciar non brilla ; or novi prodi

Di pugna impazienti

Mossi dall'alto esempio

Del vostro invitto scempio

Qui la terra feconda, e li riversa

Sull'Idra sempre a Jibertade avversa !

Chè dove avvera inevitabil fato

Di Palermo i portenti, or qual non hanno

Speme gli oppressi ? oh allor l'ultima sera

Vide, e tremò sul soglio ogni tiranno!

E tu non mai sazia di morti, a cui

Nelle bramose canne

Versar vorrebbe Europa in copia l'oro

Perchè dal nostro lido

Sgombri il funesto ed abborrito aspetto;

Se nel tuo core infido

Vibrar più atroci colpi al nostro petto

Perfida agogni..., oh in sull'arcion già riede,

Mira, il regio campion di onor, di fede :

Mira, è quel desso Emmanuel che il fianco

Ti percosse a Palestro a che ristai ?

Sangue per sangue avrai, posa non mai.

Noi madri e spose, noi l'ultima prole,

S'anco ne avanza atta a brandir la spada,

Gli affideremo a gara

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— 239 —

Perch'ei l'adduca ov'è il maggior periglio.

Noi con asciutto ciglio

Udrem l'orrenda lotta, in fin che il canto

Leverem del trionfo!... Oh presso all'ara

Si pianga allor, ma sia di gioia il pianto !

Or per gli eterei campi

Par che ogni ombra guerriera a me risponda

Coll'inno di vittoria: e sovra l'onda

Guizzano ardenti lampi,

Che l'alta schiera in dileguarsi invia.

Infinita armonia

L'aere trascorre, e assorta in quella io miro

Te mio dolce sospiro,

Mio primo amor, Napoli mia ! Felice

Al par che bella alfin tu sei. Qui sempre

Non fia che giunga un giorno solo a sera

Ch'io non volga il pensier teco a Caprera !

Il divo tuo liberator là veggio

Ancor di noi pensoso, -

Che invoca il fin del breve suo riposo !

Coll'alme di Melano e de' Bandiera

Egli ragiona! Oh di lor bocca io sento

« Una è l'Italia, è giunto il gran momento ! »

Napoli, gennaio 1861.

(1 ) Goffredo Mameli, autore del primo canto popolare delle italiche libertà .

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IL 7 SETTEMBRE

INNO A GARIBALDI <*>

Salve, o giorno solenne invocato

Di portento, di amore, di gloria !

Salve, o giorno che altera la storia

Tra i più grandi suoi fasti segnò.

Garibaldi ! tu il nume, tu il fato

Sei pur sempre di Napoli amante,

Tu di ogni alma il sospiro costante,

L'angel primo che il cielo mandò.

Oh mirate ! colui che disperse

Folgorando un'armata ed un soglio

Dalla riva di un umile scoglio

A noi volge il saluto di amor !

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— 211 —

Egli forse ha le luci converse

Ver la terra che a vita ha ridesta,

E gli spunta al pensier di sua festa

Sovra il ciglio una stilla del cor.

Garibaldi, tu il sai, questa terra

Ama, e foco indomato è l'affetto :

Non invan Dio le pose sul petto

Il Vesèvo, e l'incendio nel sen.

S'ella tace, il suo labbro disserra

A un sospir che ti volge amorosa,

Come donna lontana pensosa

Che si strugge invocando il suo ben !

Se ti noma, una vampa percorre

Le sue fibre, ed un inno guerriero

Di cui sol de' tremar lo straniero

S'ode intorno per l'aura suonar.

E chi freno a quell'ansia può imporre,

Se qui vieni, se in viso ti mira ?

Nell'amor che la investe delira,

Come l'onda fremente del mar.

Maledetto chi crede divisa

Da un gran Re la tua santa bandiera ,

Maledetto chi crede, chi spera

Che in tuo nome discordia verrà !

16

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Garibaldi e Vittorio !... vi affisa

Tutta Italia, ed uniti vi aspetta,

Chè già l'angel dell'alta vendetta

Sovra il Tebro librando si va.

Fur vostr'àlme dal Nume create

Nel gran di ch'egli disse alla terra:

« Non più schiavi ! » e dell'ultima guerra

Da' tiranni lo squillo si udi.

Questo vile che d'orde malnate

Cinge e invade le nostre contrade,

Tutto senta il poter di due spade,

Al cui lume il suo trono svani.

Stirpe infida, che invano si asconde

Sotto l'ombra di possa già doma,

Sgombri alfine, e si sperda, chè Roma

Pe' malvagi e pe' vinti non è !

Nel gran giorno che invitta sull'onde

Nave ardita toccava il tuo lido,

Non sentisti di un popolo il grido,

Ch'era lutto e sterminio per te ?

Non vedesti di Capua sul campo,

Di Gaeta sui merli levato

Di tuo padre il fantasma scéttrato

Dirti : « È giunto il momento fatal ? »

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— 243 —

Del Vesèvo entro nube sanguigna

Ei s'innalza, e fremendo di sdegno,

« Questo è dunque (egli esclama) il mio regno,

E gli schiavi eh' io vidi al mio piè ? »

Al suo fianco la larva maligna

Pur dell'avo spergiuro si affaccia,

E su i labbri coll'empia minaccia

La perversa compagna del re.

Ed intanto una turba infinita

Garibaldi, il suo padre, festeggia,

Vola intorno il gran nome ed echeggia

Per la volta stellata del ciel.

Di Caracciol poi l'ombra tradita

Sorger miro sporgendo la mano

A Cirillo, Carafa e Pagano

Ch'esultanti lasciàro l'avel.

A tal vista i fantasmi regali

Nell'abisso sprofondan fremendo.

Cupo un rombo si ascolta che orrendo

Scuote il seno al fiammante vulcan.

Distruttor di nostr'onte fatali,

(Ch'eran frutto di strazio e di danni)

Garibaldi, terror de' tiranni,

Stringi ancora l'acciaro in tua man.

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— 244 -

La tua Roma, Venezia ti appella!..

Ogni fraude straniera fia spenta !

Cogli eroi di Palestro e Magenta

Su compite d'Italia il destin.

Ungheria la diletta sorella,

Che per noi s'è di gloria cospersa,

Geme avvinta dall'orda perversa

Sangue il seno, le vesti, ed il crin ;

Là corriamo, vittoria ci attende,

O la vita daremo per essi!

Libertade al Polacco, agli oppressi ;

Libertade ogni terra invocò.

Se la stella d'Italia risplende,

Ogni popol che geme si desti :

Alla pugna suprema si appresti

Chè il suo fato in que' raggi brillò.

(1) Declamato nel Teatro de' Fiorentini in Napoli nella sera del primo

anniversario dell'ingresso di Garibaldi in quella città.

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— 245 —

GIACOMO LEOPARDI

CANZONE

Spirto gentile, che solingo errasti

Mesto, senza conforto, ed incompreso

Tra le ostinate ombre di un secol pravo ;

O tu che tanto amasti,

E il tuo sospir mai non speravi inteso;

Non più al vile o all' ignavo

Or giunge il suon delle tue forti note.

Mira, già si riscote

Italia, e rediviva

Compie del suo riscatto il gran portento.

Levarsi l'ombre del suo mare in riva

Di lor che feanla de' suoi danni accorta

Veggio, e bearsi, e il carme tuo divino,

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— 246 —

O cantor di Conzalvo, ancor risento !

Oh come di raggiante aura ti avvolvi,

Quanto amor, quanta ebbrezza è nel tuo spiro !

Nè tra l'ira e il dolor più ne sconforta,

Il tuo sentir dell'italo destino ;

Ma la nube del dubbio a me tu solvi,

Dell'invocato di nunzio ti miro.

Oh qual cor giovinetto

Del primo raggio di virtude ardente

Non trabalzò nel petto

Al grido tuo fervente,

Nè di patria senti moti gagliardi,

Allor che un brando, un brando

Ivi ardito invocando,

Perchè il tuo sangue sol fosse a' codardi

Qual foco animator ? Se gloria or siede

Là dov'era silenzio, e sonno, e pianto,

Se dal funereo ammanto

Italia sorge, e al suo trionfo incede ;

Della luce che il capò le incorona

Gran parte a te, genio immortal, si dona.

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- 847 -

E a te penso nell'ora

Che a meditar con dolce calma invita,

0 allor che irraggia la pensosa luna

1 monti intorno, ed i silenti eampi.

Dimmi, la sete ancora

D'immenso amor che ti attristò la vita

Appaghi alfin dov'ei tutto si aduna,

0 ancor mesta ed errante ombra ne avvampi 1

Quel pensier che.stimavi unica meta

Dell'alma irrequieta,

E il fervido tormento

Ch'ebbe di te misterioso impero,

Non vedi alfin ch'era desio del Vero,

Il cui perenne lume

Fiammeggia in fronte al Nume?

Entro al mesto mio cor non è mai spento

Il suono de' tuoi canti !

Se stormir tra le foglie ascolto il vento,

S'odo augelletti erranti,

Se l'Orsa splende colle amanti stelle,

Tutto quanto il creato

L'accento innamorato

Par che ripeta: e se talor di speme

Muta parmi la vita, un'aura freme

Intorno, e son tue note: oh allor con quelle

Esclamo: Il mondo sol due cose ha belle!...

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Amore e Morte!... ah vero è si... Tu ancora,.

Tu lo sconforto d'ogni umana cosa

Sentisti fin dov'ei nel fondo è volto

In che il soffrir dell'uom trova il confine !

Ma la diva onde il vulgo si scolora,

E va fingendo all'anima affannosa

Cadaver dalla terra dissepolto

Privo di sguardo in un deforme ossame;

A te bianco vestita

E sparso il lungo crine . -

Sul niveo sen qual vaga donna apparve :

Pur col tristo cortèo di fosche larve,

Ovunque il passo volve

Ben sa che tutto è polve,

Che strugge dove tocca il suo velame t

Ma quando Amor la invita,

Quando la chiama con insano ardore,

Ella da fatal possa allor sospinta,

Corre ove ardendo muore

Un desolato, cui travaglia il petto

Dispregiato, potente, unico affetto !

Ahi da qual forza è vinta

L'alma che fugge l'universo intero

Come infausto deserto,

E con un riso alfìn mira il sentiero,

Per man di Morte a libertadc aperto!

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— 249 —

Cosi tu la invocavi ! e in quella vaga

Età cui ride l'avvenir, che l'alma

Tra le sfere sorvola, ed arde, e abbraccia

Col suo foco il creato, ahimè tua salma

Da tal forza è consunta, e men s'appaga !

Tremante vedi il disinganno in faccia

Mentre amor chiedi, ed il poter ne senti,

Ed i tuoi spirti ardenti

Mirano in ogni stella

Un'anima sorella.

In quel fero supplizio, ed in quel vivo

Irrequieto tuo vagar non trovi

Che un aspirar perenne, e non un solo

Sospir che al tuo risponda, e che nel divo

Desio d'amor col tuo confonda il volo.

Nè più avvien che la speme in te rinnovi

La mestizia gentil, pari a una lieve

Nube che il sol di giovinezza asconda

Ed i raggi ne tempri, ed è soave

Più del gioir; pura dolcezza beve

L'alma che i moti amanti in lei feconda.

Ma da te sparve ! ed una tetra, oscura

Notte in tenebre folte

Ha tue speranze avvolte!

Come chi nulla attende e nulla pave,

Sul mondo affisi un disperato sguardo,

E della vita al limitar ti assidi,

Chè del mortal cammino s'impaura

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— 250 —

L'anima stanca, e a Morte sol sorridi :

Ed imprecando al tardo

Suo giunger,! fremi tra infiniti affanni !

Ahi sventurato!... e pria de' tuoi vent'anni!..

Dimmi, nel viver tuo breve, fuggente,

Nell'ebbrezza del trepido desio,

. Di', non avesti un'alba in cui credente

Sentisti l'alma, e alzasti un inno a Dio ?

E della vita al novo pellegrino

Non sorrideano i vaghi sogni, e il primo

Destarsi amando in un pensier divino ?

Oh si, avesti un tal di, pria che nell'imo

Cadessi del dolor ! Si mel rivela

Il tuo vagar tra le natie montagne,

Quando per le campagne

Di Silvia udivi e degli augelli il canto !

Oh quanto ardor si cela,

Quanta speme in quel pianto !

Ma allor che tacque in te di amor la fede,

Volgesti il cor pien di tenèbre e lutto

All'infinita vanità del tutto !

Chè quel foco primier che in noi si accende

Nella più dolce etade,

E che negli occhi e nel pensier ci splende,

Parte ben è di Dio! Se spenta cade

Quella celeste illusion, smarrita

L'anima guarda la terrena via!

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— 251 —

Chè un raggio di lassù solo le invia

Amor, fiamma immortale, estasi e vita !

Oh quante volte sulla verde sponda

Di Posilippo e Mergellina il passo

Pensosa arresto, e col pensier ti miro !

Sul crin, sul volto a errarmi

L'aura vien de' tuoi canti, e il tuo sospiro !

Ed or vederti parmi <

Colla pallida fronte affisar l'onda,

Ed ora il fianco travagliato e lasso

Posar tra l'erbe ove la tua ginestra

Erge il modesto capo, e intorno spande

GÌ' ignorati profumi ! Oh ben simile

All'alma tua, che fra terrene lande

È un fior deserto, abbandonato! Stendi

Ver lei la scarna destra,

E al sen recando il suo bel fiore umile,

Puro, immortal come il tuo spirto il rendi.

Ma pari ad essa che per vivo foco,

Che il Vesèvo le invia più mesta inchina

I suoi pallidi rami ; a poco a poco

Quella che chiudi in te fiamma divina

Sottragge a tanta guerra

Tuo frale affranto, e tua prigion disserra !

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— 2S2 —

Ma quel supremo affanno

Onde suonan tuoi canti, ad una sola

Prima fonte attingevi, una sol era

Tua vera donna, Italia! Il torvo sguardo

Volgevi all'uno e all'altro suo tiranno,

Chè schiava nel pensier, nella parola

Qual vile prigioniera .

Languiva, e non un gemito possente,

Non un detto fremente,

Non canto aveva che tremar fa il reo,

E l'oppressor discora !

Allor sorgesti, e intorno a te si feo

Quasi una luce di novella aurora !

Pari al feroce Allobrogo che mosse

In sulle scene a' rei potenti guerra,

Per te pensò, si scosse

La generosa giovinezza, e in petto

Di sè senti scontento.

-E tu morivi! e non sapevi eretto

A libertade eterno un monumento

Dalla tua mano. Le pensose fronti

Chine ed intente sovra il tuo volume

Per d'Italia cangiar leggi e costume.

Com'ella or l'ire de' perversi affronti

Non vedi tu?... Non odi?... È il suon dell'armi

Di sua vittoria... E non avrà tuoi carmi! —

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— 253 —

Oh Italia ! Italia ! il tuo dolore antico

Se in lui tutto è sepolto;

Volgi un pensiero, ed un sospir costante

Al tuo divino amante.

Io, mentre il suon de' tuoi trionfi ascolto,

Ver lui mesta e pensosa or volgo il passo,

E bacio e adoro questo sacro sasso !

Napoli, 1861.

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— 284 —

PER LA PRIMA

GRANDE ESPOSIZIONE NAZIONALE

DELLE ARTI E DELLE INDUSTRIE ITALIANE

IN FIRENZE NEL. 1861

Già plaude il mondo alla tua doppia gloria

Italia mia, di civil senno e d'armi.

Ma se maravigliando a te la storia

Diè il primo vanto nelle tele e i carmi ;

Nell'arte industre la gentil vittoria

Si nega alla tua man, che avviva i marmi:

Ed ogni popol che ne aspira al vanto

Ti rivolge superbo il suo compianto.

Eppur quanta dovizia ad altre genti

Sempre recò de' grandi tuoi lo stuolo !

Ecco fra l'onda e il furiar de' venti

Flavio che addita a' naviganti il polo;

E il divo domator degli elementi

Che spiega a un altro mondo ardito il volo.

Nelle parlanti fila ha Volta immerso

Il foco agitator dell'universo.

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Calpestò lo stranier le membra sparte

D'Italia, sempre al sorger suo rubello ;

E spente in lei gridando e scienza ed arte

Ne incatenava il Genio entro un avello.

Ma sull'italo suol da eletta parte

Sorge un suo figlio, il prode Emmanuello,

Per lei combatte, vince l'ardua gara,

Ed a quel Genio innalza un tempio e un'ara.

Vaga Fiorenza ! è ben ragion se appresta

Quel tempio in te dov'ebbe culto e regno :

Ogni cittade a libertà ridesta

Offre al suo piè d'industre mano un pegno.

Roma e Venezia anch'esse in negra vesta

Invian l'omaggio del non servo ingegno:

Nato fra i ceppi e il pianto è desso un fiore

Di costanza, di speme e di dolore!

Oh non più sol per le sue glorie avke

Nascer fia vanto in questa diva terra !

Ma nelle più lontane e più romite

Contrade se un suo figlio or move ed erra,

Troverà ch'ivi fur le glorie udite

Di nostra santa invidiabil guerra ,

Sapran quivi gli eroi, l'ire già dome,

E di Vittorio e Garibaldi il nome.

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— 256 —

E all or che nostre fien tutte le sponde

Che il ciel ne diè, che strazia un empio artiglio;

Fervide menti come il suol feconde

Schiuder faranno al vulgo ignaro il ciglio :

Securo e altero correrà sull'onde

Dell'oceàn l'italico naviglio:

E mostrerà l'artefice negletto

Che può la man con libero intelletto.

Oh quando aperto del grand'Istmo il seno

Vedrem due mondi stretti in un amplesso^

Quando all'arti e al saper fia tolto il freno,

E scambiarne i tesor ne fia concesso;

Rechi anco Italia il volto suo sereno

Dell'industre valor nel gran consesso :

Invida no , ma lieta ogni sorella

A offrir verrà un alloro alla più bella.

Cessin le gare! Amor che vince e crea

Vuol che un popol la mano all'altro stenda,

E la dovizia d'onde l'un si bea

Farà che l'altro pur si elevi e splenda.

Cosi di libertà l'eterna idea

Sovra ogni oppresso il raggio egual distenda :

E ancora, o Italia, il genio tuo fecondo

Brilli qual faro all'avvenir del mondo.

Torino, settembre 1861.

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RICORDI D'AMORE

AL MIO SPOSO

17

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— 259 —

ALLA LIRA

ODE

T'affidai d'umil prego il mesto accento :

Deh seconda or, mia lira, il pregar mio!

Per te di novo l'aleggiar del vento

Il rechi a Dio.

Ei già l'udia, già mi rendea secura,

Tornava in pace a respirar quest'alma;

Dal caldo e il gel di mia prigione oscura

Sorgea la calma.

Chi mai, chi mai quell'armonia dolente

Ch'io ritentai sulle tue corde, o lira,

Udir potea?... chi rispondea? La mente

No, non delira!

Limpida voce al pregar mio rispose,

Qual di pietade soavissim' eco :

E l'alto accento in mesti lai compose

Per pianger meco.

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— 260 —

Allor diss'io : Quel fremito segreto

Del tuo plorar, mia cetra, omai sospendi.

Quel suon t'invita ; ormai di speme un lieto

Carme mi apprendi.

E tu che scoti vivide facelle

Pur da fievol vapor non interrotte,

Più lungamente a scintillar di stelle

Prosegui, o notte.

Prosegui, almo respir d'aure leggere,

Nè vi sperdan le preste ale de' venti,

Mentre a me susurrate lusinghiere

Que' dolci accenti.

Oimè ! già tutto nell'obblio profondo

Torna in silenzio ! Illusion fallace !

La sola, oimè, che m'arridea nel mondo

Aura già tace.

O mesta cetra ! del gioir s'appanna

Per me quel lampo... altro non fur che larve!

Balen che presto l'uman core inganna,

Presto disparve!

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— 261 —

UNA VISITA ALLA FLORIDIANA (1>

Allor che il primo mio sospir segreto

Io ti volgea, quando di tanti affanni,

Di cui teco son io preda innocente,

L'orror non prevedea ; ben mille volte

Dell'avvenir tra le nascose vie

Col rapido pensier correa secura ;

Fra quelle vie, comunque incerte arcane, ,

In cui l'uom sempre (ahi troppo cieco e folle !)

Mai di sperar non resta. Oh quante volte,

Chi pari a me felice, io ripetea,

Chi pari a me, gran Dio! lieta, se un giorno

Dato a entrambi sarà di ameni colli,

Di vaghi campi errar tra le solinghe

Ombre amorose, e l'un dell'altro al fianco

Respirar nelle pure aure silenti

D'esultanza e d'amor vita soave ?

E pur teco son io!.., questo è il bramato

Verde, solingo ed amoroso colle

Ch'io sognai scorrer teco, e mai più vago

Fingerlo nella mente io non potea.

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— 262 —

Come accresce del sole il raggio estremo

Di queste vie sacre ad amor l'incanto !

Sia che il guardo volgiam tra fiori e fronde,

O sul natio Tirren la dolce vista

Vagheggiam da quest'erta della cara

Nostra città; sia che la striscia immensa

Pinta sull'orizzonte in puro foco

Miriam, che tutta di sua luce indora

Del vasto mar la limpida quiete.

Ma perchè mai se le nostr'alme amanti

Tentan levarsi ad innocente gioia,

Fosca idea le respigne ? Oimè ! se gli occhi

Dallo spettacol vago ritirando,

Affisiam l'un dell'altro il mesto volto ,

Ah perchè mai di pianto si fan pregni,

Ed un tremor le nostre membra scote?...

Oh ! quel sorriso che il tuo labbro sfiora,

Quel più non è ch'io vagheggiai tra' primi

Sogni d'amor!... Dov'è l'ardente sguardo

Che doppiar la mia vita un di solea?

Di giovanezza dove son le rose

SuU'amabil sembiante? Oimè tu meco

Langui e ti struggi ancor; nè di pietade

Speme è per noi, chè alla pietade il varco

Chiuse in un cor paterno avverso fato !

Ecco siam pari a quelle meste piante

L'una ver l'altra per amor converse,

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— 263 —

Cui molto aere divide: a poco a poco

Mostran pallenti le conformi spoglie,

Ed il suolo ne spargono: nè vale

La brezza del mattin, non l'aura molle

A richiamarle a vita. Oh me soltanto,

Me colga il perversar di cieca sorte !

Voi, venticelli dall'amante spiro,

Che qui correte a careggiar soavi

L'erbetta verde, e i fior di color mille;

Voi rendete al natio vigor primiero

In lui la speme della patria, in lui

L'alto cor che all'oppresso e al reo pentito

Presta il poter di sua parola. O colli,

Ecco di quanti, e non sol mia, la cura

Confido a voi. Ma tu che amor ben senti,

Fulgido giorno che declini a sera,

Tu non tramonti al pensier mio. Col sole

Tu riederai dopo il girar dell'anno

Sull'arco adeguator d'ombra e di luce :

Ma già non spero in te bear serene

Le mie pupille. Ah questo raggio estremo,

Chi sa se allor fia che al mio pianto usato,

0 al pianto altrui sovra il mio sasso splenda!

(1) Amenissima villa sul colle del Vomero presso Napoli, abitata dall'in

fermo fidanzato.

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LA PARTENZA

SONETTO

Alla tua madre amante, al padre antico,

Vanne, o lor solo amor, gloria e desio,

Vanne, del ciel dolce un sorriso amico

La via t'infiori al vago suol natio.

Men tre t'affretti al tuo bel colle aprico,

L'aura col suo sospir sol mova il rio;

Ma tutto taccia in men ch'io no 'l ridico,

Quando udrai da que' labbri : « O figliuol mio !...»

Amore!... anch'esso udrà quei cari accenti,

Ma intento e muto ei non ti faccia il core

Batter per altr'oggetto in quei momenti.

Ma quando al rieder tuo si apprestan l'ore,

Ascolta deh le sue parole ardenti,

E guida sol sia de' tuoi passi Amore!

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— 265 —

LA LODOLA MESSAGGERA

ODE

Lodoletta dal ramo d'Oliva

Tu saluti l'aurora del di !

Tu fai l'eco alla querula riva

Che risponde al mio ben che parti !

Lodoletta, qui vieni, qui posa...

Di', ne udisti l'accento d'amor?

Deh ripeti la voce amorosa,

Deh conforta l'oppresso mio cor !

Si, volai : più serena l'aurora

Per lui svolse la luce del sol :

La sua voce, onde l'aura innamora.

Per dolcezza rattenne il mio vol.

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— 266 —

Poche note!... ma vago un obblio

Mi vincea coll'incanto del dir:

Non rammento... ma dolce un addio

Disse all'aura con tronco sospir.

Taci ah taci! quel tronco sospiro,

Quell'addio sovra il cor mi piombò.

Ahi fu voce di mesto deliro !

La sua fida in quel punto nomò.

Va, ritorna... Se vedi il mio pianto;

Deh non dirgli il mio strazio crudel!

Sol rammenti, e gli dica il tuo canto :

Per te l'aura fìa pura e fedel.

Al suo fianco allegrate il cammino,

. Vaghi augelli, aure lievi per me:

Per lui rida tra' fior del mattino

Quel gioir che qui meco non è.

Mentre a lui di natura il sembiante

Lieti oggetti fingendo ne andrà,

Non gli dir che qui sola e tremante

La mia speme un conforto non ha !

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— 267 —

Lodoletta, già corri ?... un lamento

Pari al mio ti precorre al volar.

Infelice! che dissi? ben sento...

Tu gli apporti il mio lungo penar !

Va, ti attendo al ritorno del sole

Per bearmi d'un puro seren,

Se mi arrechi le calde parole

Che già volge il mio fido nel sen.

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— 268 —

LA LODOLA MESSAGGERA

RISPOSTA

Or che il sol volgendo a sera

Spiega pallido il suo manto,

Lodoletta messaggiera,

Che favelli col tuo canto ?

Donde vieni a dir t'affretta,

Messaggiera lodoletta.

— Il mio vol sull'aura alzai

D'un sospir della tua bella :

Io sull'alba la mirai,

Del mattin parea la stella :

Io ti reco il suo dolor,

E il saluto dell'amor.

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— 269 —

— Di', piangea? — Sul ciglio errante

Ella il pianto trattenea ;

Che infelice è la sua amante

Ei no 'l sappia: mi dicea.

Di' soltanto che lo aspetta,

Messaggera lodoletta.

Tacque, e l'alma accompagnarmi

Parve allor che a vol sorgei :

Poi pensando che a posarmi

Sul tuo seno io mi verrei,

Da lontan mi richiamò,

Ed un bacio mi donò. —

Quanta invidia m'arde in seno

Degl'ignari gaudi tuoi !

Vieni; un bacio io pósi almeno

Dove il fior de' labbri suoi

Riposò la mia diletta,

Messaggiera lodoletta.

Come te sull'aure anch'io

Ah librarmi a vol Vorrei !

Sol coll'ali del desio

Più al mio ben non volerei :

Ne' colloqui dell'amor

Mi vedrebbe il nuovo albor.

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— 270 —

Tu che il puoi, se a lei ritorni,

Di' le smanie desolate,

La tristezza de' miei giorni,

Le mie notti in duol vegliate,

E un mio giuro e una preghiera...,

Lodoletta messaggiera.

Di' che in sogno mi comparve

Breve gioia al dolor mio,

Bella come al guardo apparve

Nella sera dell'addio ;

Ma che l'ansia del gioir

Batto il sogno fe' svanir.

Dille... — Ah men di lei pietoso

Io t'affido i miei lamenti :

Ma se un'ara, un di festoso,

Una vita di contenti

Poi le additi, e dici: spera —

Lodoletta messaggiera,

Fia mercè del tuo messaggio

Un angelico sorriso,

Di quegli occhi un dolce raggio

Che fa in terra un paradiso...

Ma già corri?... Oh te beata,

Lodoletta fortunata!

Pasquale Stanislao Mancini.

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— 271 —

LA TEMPESTA

SONETTO

Terribil notte!... Atro si addensa un velo

Rotto sol dalla folgore frequente,

Al tremendo fragor ch'erra pel cielo

Corron tetri fantasmi alla mia mente.

Or par ch'io miri, e in me discende un gelo,

Tra i ciechi orrori un pellegrin gemente,

Or fra l'onde un nocchier stanco ed anelo

Cui la stella polar tolta è repente.

Ma pari a questi non son io ? Qual mai,

Qual'è la luce a cui mi volga e speri,

0 chi mi dice al cor: Lieta sarai?

Tenebre!... ah sole voi mi rispondete!

Voi ministre di lugubri pensieri,

Voi della vita mia l'immagin siete!

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272 —

SULLO STESSO ARGOMENTO

SONETTO

Più che il fresco respir di primavera,

E il gaio aspetto di fiorite zolle,

E degli augei la colorata schiera

Ne' folti boschi, e sovra i prati e il colle ;

Conforme al pensier mio par questa nera

Caligo, che nel ciel densa si estolle ;

E il turbin della rabida bufèra

M'empie di gioia disperata e folle !

Dolci pensieri della prima etade,

In cui questa io credea tutta sorriso,

Ogni vostra lusinga ohimè già cade !

Pura gioia innocente, ah vieni ancora,

Vieni a brillarmi anco una volta in viso,

E nel deliro tuo lascia ch'io mora!

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— 273

AVE MARIA

Spunta la prima stella, e una preghiera

Vorrei volger dal core a te, Maria!...

Ma il labbro dice : Oh vieni, ecco la sera ,

Anima mia!

Vergin, che innamorasti il sommo Sole,

Si che in te pose tutt'i raggi suoi,

In quest'ora cogli atti e le parole

Preghi per noi.

Ma un sospir che vederlo a te sol chiede

(Oh perdona !) sull'aure a te salia !

Oh vieni, e avrò contento e gioia e fede,

Anima mia!

Si ammanta il ciel di nubi intorno intorno,

Tutto il creato par vestito a duolo,

E a me sorride mentre more il giorno

Quell'astro solo.

Il tremolar del suo raggio lucente

Degli occhi suoi par che l'ardor m'invia :

In quell'astro d'amor lo mira e sente

L'anima mia.

18

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— 274 —

f

D'una lontana squilla a poco a poco

S'ode l'ultimo tocco : e mesta l'eco

Mi ripete in quel suon morente e fioco :

t Ei non è teco ! »

Vergin, qual pianto, e quanti preghi ho sparsi!

La man porgimi ancor nell'aspra via,

Si che al tuo divo amor possa levarsi

L'anima mia !

Ma l'aura tace, e flebile un lamento

Per l'aer bruno intorno a me si aggira,

S'agita l'onda, e solo ascolto il vento, ,

Che irato spira !

Dov'è la stella mia ? Fera tempesta

De' nembi al mugolar me la rapia!...

Ahi speme di vederlo a te non resta,

Anima mia!

Bianco vestita in mezzo al bruno cielo

Mi appari, o santa, o amor del Primo Amore !

Deh perdona, o Maria, s'io ti rivelo

Profano ardore !

E se temprar del core i moti ardenti

Più non m'è dato; almen l'anima mia

Ripeter possa fin tra i suoi tormenti :

t Ave Maria ! j

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— 275 —

IL RITRATTO

t

SONETTO

Se il ciel fine imponendo a miei sospiri,

Vuol che al tuo si congiunga il destin mio,

Lieti rammenterem gli aspri martiri,

E l'ardor che ne accese a ugual desio.

Ma se mia vita avvien che ceda al rio

Fato, nè fia che un si bel giorno io miri ;

Deh non sommerger nel perenne obblio

L'immago, a cui gli occhi pietosi or giri.

E s'è ver che d'amore hai caldo il petto,

Questa effigie mirando, ah ti sovvenga

Qual sia l'alto poter d'un primo affetto !

E ch'io giurai, che o tua sarà mia vita,

0 che ben presto a susurrar ti venga

Voce che a te ripeta : « Ella è finita! »

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— 276

ALLO SPOSO REDUCE

SONETTO

Riedi deh riedi a me, soave oggetto

Del più tenero amor, del più costante,

Vieni a stringer di novo i figli al petto,

E nella sposa a rabbracciar l'amante!

Quanta ebbrezza del cor, qual divo affetto

Le nostre alme confonde in questo istante !

Ah se manca la voce e manca il detto,

Ti favelli il gioir del mio sembiante !

Teco fu il mio pensier, teco il desiro,

Come nel di che l'anima fervente

A te rivolse il verginal sospiro.

Che dico?... All'alto amor ch'ella risente,

lo ben m'avveggo che degli anni al giro

La fiamma del mio cor fassi più ardente.

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L'INVIO DEL MIO RITRATTO

DIPINTO DA ME STESSA

ALLO SPOSO ESULE

0 mia dolente immagine,

Varca le mobil'onde,

E dove ancora italiche

S'odon chiamar le sponde,

Con un sorriso accolgati

Lo sposo mio nel sen.

Oh se potessi l'anima

Trasfonderti nel volto,

Se il guardo malinconico

Quant'ho nel cor sepolto

In sua favella esprimere

A lui potesse almen ;

f

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- 278 —

Saprebbe di quai smanie

Guerra mi ferve in petto :

Che sulla terra infausta

Dell'odio e del sospetto

Vivo deserta e squallida

Nel duolo e nel terror:

Che di mie calde lagrime

Bagno le amate soglie,

Dove mirarlo ahi sembrami

Che il mesto addio discioglie,

E a lui cogli occhi immobili

Rivolgo e mente e cor.

Parmi involarsi rapida

La vela fuggitiva :

Pel flutto solitario

L'alma di riva in riva

Ne segue il corso rapido

Col lungo suo sospir.

0 terra ove il Cenisio

D'italo sol s'indora,

E novi allori a cingere

Ti specchi nella Dora,

Ove respira l'esule

Dal lungo suo soffrir ;

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— 279 —

Dove ancor pura e vergine

La libertà si abbella ,

E splende in ciel d'Italia

Come d'amor la stella;

Tutt'i miei voti or volano

A riposarsi in te.

Che val se il ciel di fulgidi

Raggi qui adorni il manto,

Se il suol di vaghi e splendidi

Perenni fiori ha il vanto,

Se l'onda limpidissima

Venga a lambirmi il piè ?

Piena è di lai, di fremiti

L'aura che par si pura ;

E se lo sguardo innalzasi

Al riso di natura,

Ecco Sant'Elmo sorgere

Fantasma a noi feral !

Sua vaga prole e tenera

Non vanti qui la madre ;

La destra inesorabile

Che già percosse il padre,

Per essa ancor più vindice

Prepara il rio pugnal.

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- 280 —

O miei diletti pargoli,

Da tant'orror fuggiamo ;

Fra il mormorar de' zeffiri

Il fervido richiamo

Dell'amor mio già sembrami

Intenta d'ascoltar.

S'ei per amar la patria

Vive da' rei proscritto,

Noi pure or grava, o teneri,

Lo stesso suo delitto,

Chè i primi vostri palpiti

Saprete a lei sacrar.

Deh vanne, o mesta effigie,

Dov'è il mio core e l'alma:

Me qui deserta esanime

Lasci qual fredda salma !

Te par ch'io veggia vivere,

E me già spegne il duol!

Dunque la speme, ahi misera!

Fia vinta dagli affanni,

E coprirà mie ceneri

La terra de' tiranni?...

Gran Dio, veder concedimi

Di libertade il sol!

Napoli, gennaio 1850.

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INDICE

Pagina

Agli Italiani 1

A Vittorio Emanuele Re d'Italia (Canto) 5

A Garibaldi 10

Al primo annunzio della partenza di Garibaldi co' suoi

prodi per la Sicilia (Ode) 12

All'Anima 15

Alla Toscana (Canzone) 20

A Sir G. Gladstone (Canzone) 27

Per la statua innalzata a Guglielmo Pepe ne' pubblici

giardini della città di Torino (Canzone) 34

In morte di Carolina Poerio (Canzone) 46

Agesilao Melano (Canzone) 86

Alla memoria del Padre (Elegia) 66

Alla Poesia 72

La Violetta (Ode) 77

All'illustre Terenzio Mamiani esule in Parigi 80

Pel supplizio dei fratelli Bandiera (Carme) 81

A Sorrento (Sonetto) 86

A Vittorio Alfieri (Sonetto) 87

Alla Polonia (Sonetto) 88

Il Trovatello (Sonetto) 89

In morte del celebre medico Tommasini (Sonetto) . . 90

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Pagina

Colombo al convento della Rabida 91

Napoleone e Washington (Sonetto) 97

A Parini 98

In morte dell'insigne poetessa napolitana Maria Giuseppa

Guacci (Canzone) 104

Italia sulla tomba di Gioberti (Polimetro). ...... IH

Canto mattutino de' fanciulli ad uso degli Asili d'in

fanzia piemontesi 119

All' illustre poetessa nizzarda Agata Sofia Sassernò

(Carme) 122

A Superga 187

Al generale Guglielmo Pepe (Rime improvvise). . . . 129

Per nozze di donzella tedesca con giovinetto italiano

(Canzone) 130

Alle sorelle Virginia e Carolina Ferni, celebri suonatrici

di violino 136

Alle stesse 137

Ad Adelaide Ristori, per aver rappresentata la mia tra

gedia Ines de Castro 140

Amedeo VI di Savoia o il Conte Verde (Ballata) ... 142

Per le fanciulle della scuola materna di Torino .... 150

A Carlo Poerio, per la sua liberazione da' bagni di Na

poli (Sonetto) 154

In morte di Béranger (Canzone) 155

All'anima di un bambino 161

La colomba ed il prigioniero 168

Le ultime ore di Saffo 171

Ad un cigno nel lago della villa reale di Racconigi

(Improvviso) 181

All'egregia lombarda Claudia Antona Traversi, per aver

fondato un magnifico Asilo infantile in Sannazzaro . 182

Il Tramonto (Canzonetta) 184

Nella morte della illustre poetessa nizzarda Agata Sofia

Sassernò 186

All'illustre improvvisatrice napolitana Giannina Milli

(Ode) 190

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— 283 —

Pagina

Ai valorosi Giacomo Longo e Carlo Delli Franci, i quali

appena liberi da dodicenne prigionia corrono a com

battere in Sicilia : ed un addio a' miei compagni d'e

silio che ritornano a Napoli 195

Per l'ingresso in Napoli di Vittorio Emanuele Re d'Italia

(Cantata) 198

Per la commemorazione delle stragi dell 5 maggio 1848

in Napoli 202

Pe' fratelli Savio, morti combattendo, uno ad Ancona,

l'altro a Gaeta . . . .. 208

Il Bersagliere, canzonetta popolare per musica .... 213

In morte di Camillo Benso di Cavour (Canzone) . . . 215

Sullo stesso argomento (Stanze) 221

Venezia (Stornello) 223

II pescatore di Venezia, per musica 225

Inno popolare degli Italiani 227

Alle mie due bambine Rosina e Flora 229

Ai morti per la patria (Canto) 233

Il 7 settembre, inno a Garibaldi 240

Giacomo Leopardi (Canzone) 245

Per la prima grande Esposizione Nazionale delle Arti e

delle Industrie Italiane in Firenze nel 1861 254

Ricordi d'amore — Al mio Sposo

•Alla Lira (Ode) 259

Una visita alla Floridiana 261

La partenza (Sonetto) 264

La lodola messaggiera (Ode) 265

Id. (Risposta) 268

La tempesta (Sonetto) 271

Sullo stesso argomento (Sonetto) 272

Ave Maria 273

Il ritratto (Sonetto) 276

Allo sposo reduce (Sonetto) 277

L'invio del mio ritratto, dipinto da me stessa, allo sposo

esule 278

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DEC 5 1933

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