Patria ed amore - WordPress.comEd ora benedico le lagrime che hoversate per lei, ed i canti di...
Transcript of Patria ed amore - WordPress.comEd ora benedico le lagrime che hoversate per lei, ed i canti di...
Informazioni su questo libro
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Googlenell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio èun libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblicodominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggiopercorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Linee guide per l’utilizzo
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per potercontinuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l’utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresal’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi fileAbbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamodi utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query automatizzateNon inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo dellatraduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, tiinvitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigranaLa "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progettoe aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legaleIndipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Nondare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti dialtri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se undeterminato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che puòessere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
Informazioni su Google Ricerca Libri
La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiutai lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Webnell’intero testo di questo libro dahttp://books.google.com
1
mtljeCttpofBmilltJrk
LIBRARY
CANTI
DI
LAURA BEATRICE MANCINI
OLIVA
CANTI
LAURA BEATRICE MANCINI
OLIVA
TORINO
TIPOGRAFIA EREDI BOTTA
BDCCCLXI
^^BW\3,\^_
AGL'ITALIANI
Non è senza trepidanza ch'io pongo sotto
il vostro sguardo questa scelta di mie po-
vere rime. Esse non hanno altro merito che
quello di esser l'emanazione di un'anima
educata costantemente all'amore ardentis-
simo della nazionale libertà ed indipen
denza. La maggior parte di esse furono
dettate durante la mia lunga dimora in
questa gentile città di Torino, ch'io non
259270
— 2 —
chiamava mai terra di esiglio, essendomi
cara quanto la stessa mia terra natale. Dirò
di più, che i miei canti mi furono in gran
parte inspirati dai forti esempi di cittadine
virtù, dalla costanza negli alti propositi,
dalla prudenza e dallo entusiasmo guer
riero, di cui questo popolo diede solenne
esempio agli altri Italiani, mostrandosi de
gno d'innalzare pel primo il vessillo glo
rioso, unificatore d'Italia nostra. Se una
speranza mi teneva in vita, si era quella
di veder presto la mia Napoli seguirlo nel
l'arduo aringo. Ma ora che questa ha scosso
un giogo lungo ed abborrito; ora che con
una mirabile spontaneità, proclamando a
suo Re il prode e magnanimo Vittorio
Emanuele, ha congiuntele sue sorti a quelle
delle altre sorelle italiane, il suo cuore non
batterà d'oggi innanzi che per la libertà e
- 3 —
per la gloria. Le ire di parte, le armate
reazioni, già quasi disperse, nulla ormai val
gono, poiché essa sa e vuole essere libera
e grande. Ed ora benedico le lagrime che
ho versate per lei, ed i canti di speranza e
di amore che le ho consacrati per tanti
anni.
Ho osato ancora porre sotto a' vostri
occhi alcune armonie, dettate quasi all'u
scire di fanciullezza. Per queste sopra tutto
convien che implori l'indulgenza del pub
blico , avendo voluto in esse conservare alla
mia famiglia un domestico ricordo. Anzi
non ho osato ritoccarle, per non togliere
nulla alla loro ingenua negligenza. Esse
partivano da un'anima che si destava nello
stesso tempo alla poesia ed all'amore. Però
le ho separate dalle altre, riserbando loro
le ultime pagine di questo libro, e dedi-
- 4 —
candole unicamente a colui che me le inspi
rava.
L'accoglienza da voi fatta ad alcune delle
mie poesie già pubblicate mi conforta a con
fidare, che il sentimento in esse dominante
di affetto verso la patria nostra possa ren
derle non disaggradevoli a voi, o Italiani,
che a lei consacraste il braccio e la vita.
Torino, novembre 1861.
L AUTRICE.
VITTORIO mft'BÉEE-"
RE D'ITALIA (1)
CANTO
O eletto a compier la più bella impresa
Cui pien di maraviglia il mondo onori,
D'un ardente gioir l'anima accesa
Cingi, o Signor, gl'invidi'ati allori.
Vendicator di nostra antica offesa,
Ben è ragion che Italia tua ti adori ;
Nel plauso ella d'amor concorde e unita
In te il suo Prence e la sua gloria addita.
Fra le tenèbre del suo duol ravvolta
L'amasti, e al tuo pensier parve più bella;
Il gemito ne udisti, e a te rivolta
Al raggio sospirò della tua stella :
Da quel punto ogni speme ha in te raccolta,
E ad ogni legge ria fatta rubella
L'empie minacce de' superbi sfida,
E nel tuo brando e nel tuo cor s'affida.
• ••••-•--••••«• •• • #v« •• • •»!• ••* •^-k<)«—
- m * • «• •• ••••••»•• •• •••• ••»**»***
"Ah si f nói"la]#vé3rém* libera ed una
Ragnar d&ll!Àfoi alla Sicana sponda:
Invano in suo férrof folgori aduna
Chi al lauro tuo non toccherà la fronda,
Chè non cieco voler della fortuna,
Ma è Dio che l'opre del valor seconda ;
Quell' ira ingiusta egli distorna, e pone
Suo spirto a guardia delle tue corone.
Per te sul Po, dove suonava in pria
D'Italia in pianti il voto e la parola,
Alto e novo consesso a lei si apria,
Cui stringe un patto ed una speme sola.
Ogni cittade che un eletto invia
Nel gran giorno coll'anima qui vola.
Italia qui si aduna, e n'hai l'impero
Tu, suo Prence, suo Duce, e suo Guerriero.
E se Venezia scinta ancor la chioma
D'ostinato stranier soggiace all' ira,
Pur da ferreo poter non vinta o doma
Te di città liberator sospira.
La man sull'elsa la vetusta Roma
Nell'opre tue suoi prischi esempi ammira.
Priva di te Partenope si duole,
E abborre i rai del suo fulgente sole.
Di libertade il fiume abbatte e schianta
L'arbor da rei spergiuri ognor nudrita,
E a lei da presso ogni mal nata pianta
Che sol per fraudi e tradimenti ha vita.
Napoli mia, dal duol sei dunque affranta
Della tua sanguinante ampia ferita?...
Tu soffri! e pur t'offende, o terra mia,
Fin l'ingiuria crudel di codardia !
Oh fero strazio, a cui null'altro è pari,
Per chi conosce, o madre, il tuo martiro!
Fia ver che sol di Vittime s'impari
Da te il nome degli anni al novo giro,
Mentre a te intorno sventolar su' mari
Vedi i colori a cui volgi il sospiro ?...
Soffrirem dove Italia è più gentile,
Che fra' vili oppressor regni il più vile?...
E là dove coll'onda e l'Etna freme
Il Sican generoso e d'ira ardente,
Scorre il sangue, e versarlo ancor non teme
Imbelle re per tirannia demente.
Chi nelle lotte valorose estreme
Or fia che aiti quell'ardita gente ?
Oh ! a te soltanto, o prode, a te s'aspetta
Far della strage immane ampia vendetta.
— 8 —
Sovra il triplice mar di lido in lido
Si ascolti il suon del nome tuo soltanto ;
Corri, n'è tempo, ove t'appella il grido
D'un popol ch'è ben tuo tuttor nel pianto ;
Spavento è il sol tuo nome al prence infido,
Che di calcar l'orme paterne ha vanto.
Intero il suo destino, e non invano,
Pose Italia, o Signor, nella tua mano.
Novo trionfo! Ecco all'Etruria amante
Mostri il seren del marziale aspetto !
E tra un novo esultar movi le piante,
E n'hai commosso il valoroso petto.
Placata in questo di l'ombra di Dante
Più non impreca al lido suo diletto;
Ma in quella gioia con lo sguardo intento-
Di Fiorenza gentil gode al contento.
O Re d'Italia, oh di quai grandi l'alme,.
Onor del mondo, che qui sorgan parmi !
Vestir vorrian le già vitali salme
Per sacrarti scalpelli e tele e carmi ;
Ed intrecciando a' verdi allor le palme
Ti van mostrando e monumenti e marmi :
Chi fea del regno un'arte, anco tra quelli
Sorge, e ti onora; il mira, è Machiavelli.
— 9 —
« Redentor della patria e gloria vera,
(Esclama) « oh quel ben sei ch'io profetai !
« Tu stringesti la libera bandiera,
« Che ovunque è Italia sventolar farai.
« Tutta a sperder de' barbari la schiera
« Tra il plauso universal primo sarai.
« Corri alla meta : sgombra avrai la via,
« Come innanzi a Mosè l'onda si apria. »
Pur te beato, o Prence ; il ciel t'invita
Tra' mortali ad onor sublime e santo !
Un gran popol per te riede alla vita,
Quasi un estinto dal funereo ammanto!
Nelle venture età l'alma è rapita,
Allor che avrà di saggio e forte il vanto !
Te nomando, dirà l'Italia altera:
« Mi fea libera e grande; e figlio ei m'era!
Torino, marzo 1860.
(1) Allorché recossi in Toscana, dopo l'annessione di questa nobilissima
provincia alle altre dell'Italia superiore.
10 —
GARIBALDI
Ha un forte Italia, che il valor, la mente
Di cento duci accoglie e cento eroi,
Ed a libera tarla, una e possente,
Ratto vola a pugnar pe' dritti suoi.
Negl'Itali tien desto un foco ardente
Ch'opra talor d'incanto appar tra noi;
E allo stranier desta il terror nel seno
Di sua vittrice spada al sol baleno.
Con pochi eletti su' lombardi campi
Primo il teutono ardir sperdea veloce,
E fantasma parea ch'orma non stampi,
Fin della Fama precorrea la voce.
Stupi de' non attesi acciari a' lampi
Il Ticino sottratto al giogo atroce ;
E tra le ostili orde fugate e dome
Alto echeggiò di Garibaldi il nome.
— li —
Combatti e vinci, o prode : il brando solo
Questa gran lite antica ormai decida.
Arma tremante de' suoi rei lo stuolo
Di un re che ne tradia la prole infida :
Là fra i trepidi sgherri apriti il volo,
La mala pianta fia che tu recida,
Già in mio pensier la turba a te si dona,
Tanto è il prestigio della tua persona.
Combatti a vendicar del crudo scempio
Perugia sanguinosa e sbigottita,
E di Bassi e Brunetti il fero esempio
Che ogni anima gentile al pianto invita.
Non valse all'un ministro esser del tempio,
Nè all'altro il cor di padre, e per la vita
Ahi ! pregar del più tenero suo nato,
O almen ch'ei fosse pria di lui svenato!...
Ma no!... su' figli, ohimè! cadea trafitto,
Poi che al suolo natio serbò sua fede!...
Oh ! a farsi ammenda alfin d'ogni delitto
Armi, armi, o Italia, il tuo guerrier ti chiede :
Ed armi appresta al generoso e invitto
Ch'oggi alla tua difesa in campo riede :
E la fervida voce anco de' carmi
Voli intorno gridando : « All'armi ! all'armi !
Modena, 1859.
— 12 —
AL PEIMO ANNUNZIO
DELLA PARTENZA DI GARIBALDI CO' SUOI PRODI
PER LA SICILIA. (1)
ODE
Una nave coll'ombre silenti,
Notte amica, proteggi, e t'imbruna!...
Tace il vento, e d'un velo la luna
Nel mistero il suo volto copri.
Quella nave di spirti frementi
D'amor cela un pensiero divino,
Eppur muta siccome il destino
Solca l'onda e dal guardo spari.
Garibaldi!... L'Italia si desta
A quel nome tremante sul lido :
Col desiro accompagna il suo fido,
Palpitante di speme e terror !
Garibaldi!... Quel braccio chi arresta?.
Nelle fiamme, nel sangue morente
Sta Sicilia ; egli il grido ne sente,
E il suo strazio gli lacera il cor!
— 13 —
O Sicilia, egli esclama, mi attendi...
Non depor quella spada, io son teco :
Il mio brando, il mio sangue ti reco ;
Vivi, o forte, prosegui a pugnar.
Generoso!... che ardisci, che imprendi?
Non sai tu che dell'empio che impera
Sta di prore la vigil crociera
Sospettosa, e ti aspetta sul mar ?
Non tremate! ei securo si avanza :
Non tremate, egli passa e non s'ode:
Pria combatte, pria vince quel prode,
Poi la Fama ch'ei giunse dirà!
Stan con esso vittoria e speranza,
Stan con esso la gloria, il portento :
Al suo nome il terror, lo sgomento
Fra i nemici spargendo si va.
Oh s'ei giunge ! Al suo rapido volo
Tutta intenta sta muta la terra,
Ed ei, pari al cherubo di guerra,
Sfida il flutto ed il brando impugnò.
Oh s'ei giunge! s'ei preme quel suolo
Sanguinante che grida vendetta,
Come ardente veloce saetta
Sentirem che sui vili piombò.
— 14 —
O Signor, che tra i nembi sonanti
Apparisti a un tuo fido sull'onde,
Il tuo spirto deh! guidi alle sponde
Questo eroe di costanza e di fè!
Sugli scogli di Scilla giganti
Stanno d'ombre anelanti coorti ,
L'alme son de' caduti, de' forti
Sterminati dal perfido re:
Or la speme le accoglie!... Si speri !..
Sfugge agli empi la prora..., ed arriva..
Oh contento! egli tocca la riva,
Egli compie il suo divo pensier ! —
Or tacete, o potenti stranieri.
Mira, Europa, il momento si appressa :
Ei stromento è di un'alta promessa
Che all'Italia fe' un Prence guerrier.
Torino, 1860.
(1) Questo canto fu scritto e pubblicato sul Diritto, giornale torinese,
quando nella universale trepidazione ancora ignoravasi il glorioso successo
dell'audacissima spedizione.
— le
ALL'ANIMA
O arcana forza, o vivida
Aura che in me t'ascondi,
E immota sembri e t'agiti
Si che infiniti mondi
Non bastericno all'ansia
Del lungo tuo vagar ;
Sei tu che bianca immagine
Appari a' sogni miei,
Quasi romita vergine
Schiva de' tempi rei,
Che in ampio velo avvolgesi
Le lagrime a celar...
— 16 ^-
Ah ! se già un tempo un angelo
Fosti dall'ali aurate,
Perchè di novo scendere
In queste valli ingrate,
E schiava farti, o libera
Figlia d'ignoto ciel ?
O peregrina eterea,
Te sento se si aggira
Un tuo divino fremito
A scoter la mia lira,
Se splendi in fra le tenebre
Del mio terreno vel !
Te sento allor che mistica
Par che su me si stenda
Un'ala amante e vigile
Che me da me difenda,
Si che i miei ceppi rompere
Pura tu possa ancor.
Te sento allor che rapida,
Quasi lasciando il frale,
Varchi tra sfere incognite
Oltre il desio mortale,
E ti ritempri a' fervidi
Raggi del primo amor !
— il —
Te sento allor che a' limpidi
Cieli ti volgi e fremi, •
Dove scegliesti scendere
Tra i fior, tra i bei racemi
Di Mergellina, al murmure
Del mio divino mar.
Oh rammentiamo i palpiti
Primi d'amore, e i canti
Misti al sospir de'zeffiri,
E i cari accenti e i pianti,
Quando si accoglie il vivere
Nel sol desio d'amar!...
Che non soffristi, o trepida,
Quai smanie e quai tormenti ?..
Come colomba timida
Ferita all'ale, a' venti
Or s'abbandona, or vedesi
Travolta e stanca al suol;
Cosi talora ahi ! cedere
Parevi sbigottita
Al rio tumulto e all' impeto
Della crescente vita :
Di tua prigione immemore
Scioglier tentavi il vol!
2
— 18 —
Ma ognor corresti al tenero
Dell'amor tuo richiamo,
Che ti dicea, nomandoti :
« Ah vieni, io t'amo, io t'amo ! »
Ed alma ad alma univasi,
E il ciel s^apria per te !
No, non stancarti, incorati,
Che se dal duolo è scossa
Ascosa fiamma, accendesi
Con inusata possa...
Ama, ed un di sol gelida
La tomba fia per me !...
Ma che ?... Tu al lungo strazio
Ahi più non reggi ! e aneli
Alle armonie recondite
Mescerti in mezzo a' cieli,
E già le ascolti, ed avida
Vi affisi il tuo desir?...
Pur tra le sfere empiree
Non volerai secura,
Se desolata in lagrime,
In preda a ria sventura
Vedrai tua terra, e piangere
Dovrai sul suo martiri...
— 19 —
Sul mar natio, tra il flebile
Dell'onde mormorio,
Andrò mescendo un gemito,
Spirto amoroso anch' io,
Com'aura errante aggirasi
Sopra un amato avel!...
Fia lieto il cielo, o l'aere
Subito nembo anneri,
Starò co' venti a fremere
Come deserta Peri,
Lungi da' fior, dal vivido
Raggio del patrio ciel !
Ma no!... la speme infiammasi!
Ti rivedrò più bella
Pria che al tramonto pallida
Inchinerà mia stella,
Terra diletta!... Involati,
Alma, nel gaudio allor !
Là d'ogni amor nell'unico
Fonte primier t' invola,
Spoglia d' inganni e impavida
Reca tua fiamma sola,
E desiosa uniscila
All'increato ardori...
Torino, gennaio 1859.
ALLA TOSCANA
CANZONE
O di vati e d'eroi diva nutrice,
Terra di Dante e Galileo, ti allieta,
O diletta Fiorenza ed animosa :
La superba cervice
Di chi fida all'Italia esser ti vieta
Prostrasti : forte in tuo diritto or posa.
Ei reo, che allo stranier vendea l'acciaro,
E desiò del tuo sangue fumante
Il conteso sentiero "
Al soglio avito aprirsi... Ma più chiaro
Spuntava un astro in ciel vivo e raggiante
Cui l'egual non mirò nostro emisfero :
E mentre il suo splendor sovra i silenti
Spandea campi cruenti
Ove delle sdegnose alme nemiche
S'ode il fremer notturno, a lui volgesti
Cupido il guardo, e in sua luce ti arresti.
L'amor più ardente e le tue glorie antiche
A lui consacri : oh ! ben ti affidi, è quello
Il novo astro d'Italia, Emmanuello !
— 81 —
E nella tua gentil colta favella,
Nostro soave orgoglio, or vieni innante
Al Prence eletto, e a lui tuoi voti esponi
Che tutta Italia appella,
Che primo in core ne sentiva i pianti,
E a cui l'è gloria e vanto offrir suoi troni.
Ben commetti in sua mano il tuo destino
Ed in te stessa. Ei rinnovò pugnando
Di eccelse glorie etade:
Di Palestro, Magenta e Solferino
Ti è guida il duce : ei fia d'Italia il brando
Finchè in lei stanno pellegrine spade.
La voce, onde lo stranio impallidia
Nel passar la tua via,
Di Piero e di Ferruccio ancor si ascolta
Tuonar possente d'ogni Tosco in petto,
Che l'opra forte avrà conforme al detto.
Cosi ogni possa agli oppressor fia tolta,
E inulta non sarà la rabbia infida
Per cui Perugia alzò l'ultime grida.
Ve' la grave Bologna erge la testa, .
E colla man sull'elsa in calma attende
Il feroce nemico : ei guata intanto
E trepido si arresta..;
Ma tenebrose arti segrete imprende,
E cela il ferro sotto il sacro ammanto !
Forse di nove stragi e di rovine,
Pensa, e di donne e vegli e pargoletti
Medita ancor lo scempio !
Ahi ! dell'Elvezia i figli alle rapine
Ebbri corron festosi e maledetti... ,
Liberi !... e pur di vili schiavi esempio !
N'è alfin sdegnosa la natia lor terra,
E dopo infame guerra
Non fia che più li accolga e al sen li stringa
Di sangue valoroso aspersi ancora,
Mentre di antica libertà si onora !
Nè più la spada pei tiranni cinga,
Se pur non vuol che civiltà fremente
. Nido la chiami di venduta gente !
— 23 —
Modena e Parma, deste al novo lume,
Fiaccano anch'esse a' rei signor l'ardire,
E ancor nel solo italo duce han fede.
Ma, il superbo costume
Deposto i re d'Austria vassalli, al Sire
Di Francia il soglio ognun sommesso or chiede.
Oh vana speme ! Il popol generoso
Che pel nostro riscatto il sangue sparse
Fia che lor presti aita ?... >
Anzi il veggio ripor mesto e sdegnoso
L'acciar fumante, e la bell'ira ond'arse
Fremer che l'opra ancor non sia compita.
Nè vorria ricalcar l'Alpi nevose
Mentre ancor le pietose
Grida lo seguon di Venezia in lutto...
E se in lei l'ira invendicata sfoga •.
L'Austro furente e le sue voci affoga,
Francia mirar no 'l può con ciglio asciutto,
Ella che accorse in armi e combattea
Perchè intera trionfi un'alta idea.
— 24 —
Poichè il tuo nome a dir di te m'invita,
Venezia mia, tu nel pensier m'appari
Derelitta ed in pianto, e pur di altera
Maestade vestita,
E il gemer tuo che affidi all'aure e a' mari
Fino a noi giunge, e sovra ogni alma impera.
Non v'ha per noi gioir di libertade
Se tu, nobil sorella, ahi! gemi avvinta
In più funesti nodi !
Oh ! come a' lampi di nemiche spade
Intrepida sogguardi, e la non vinta
Speme vive immortal nel sen de' prodi!
Chè ben da forti guerreggiar con noi
I tuoi giovani eroi :
Nè Italia obblia che un di sulle tue mura
Del morbo e della fame in fra i tormenti
Sola spiegavi il gran vessillo a' venti.
Piange commosso sulla tua sventura
Intero il mondo, e o Libertà fia morta,
0 in te, Venezia, la vedrem risorta.
— 25
E la vedrem fin dove il mar più vago
Lambe alla mia Sirena il sen di fiori,
Si che questa dal sonno alfin si desti,
E la sua propria imago
In mirar si vergogni, e i rei terrori
Deponga, ed alla pugna ardua s'appresti.
Oh sventurata mia ! Tu già primiera
Agli alti esempi, all'onta or vivi, e nulla
Dell'imprecar ti cale !
Ed un'orda più rea che la straniera,
Ch'ebbe (oh ludibrio!) nel tuo sen la culla,
A' forti irride e ti ridusse a tale !
Pur non di te dispero !.:. il giorno è presso
Che all'Italia è concesso
Mostrarsi una e concorde! Oh allora in armi
Verrai... Se manchi alla suprema lotta,
Ne' suoi gorghi frementi il mar t'inghiotta.
Ma dove or me tragge il fervor de' carmi?
0 di martiri madre, il vero intendi,
Sorgi, e te stessa e l'onor tuo difendi.
86 -
E tu, popol d'Etruria, un'alta prova
Alle attonite genti
Di mirabil concordia al mondo nova
Porgi, e di nobil temperanza e calma,
Puro di sangue e d'ogni ostile oltraggio.
Cosi gagliardo e saggio
Su' tuoi vinti nemici, invan frementi,
Cogli ogni di la più difflcil palma.
Salve, o madre, da cui più folto stuolo
Nacque di grandi che da Europa intera :
Salve, o tempio dell'arte, ove pensoso
Par che Michel divino ancor respiri,
E che nell'acque sue l'Arno orgoglioso
Dal tuo classico suolo
Tante glorie immortal specchiarsi miri !
Tu, che d'Italia insiem colla favella
Serbasti il genio e il cor, duce primiera,
Secura ormai tu stessa
La meta alla meriggia Italia oppressa
Mostra, e l'appella, e a lei porgi la destra
Di antica e nova civiltà maestra.
Firenze, ottobre 1859.
— 27 —
A
SIR G. GLADSTONE
CANZONEI
Tu dunque fremi di santissim'ira,
Generoso Britanno , al fero scempio
Che strazia e opprime la natal mia terra ?
Securo in volto, e la pietà nel core
Scendesti entro l'orrore
De' cupi abissi, ove l'uom giusto ahi! geme,
Che all'empia tirannia rompe il riposo ,
Col ladro e l'omicida, oh crudo esempio!
Sol perchè amò la patria ivi si aggira,
E una stessa catena insiem gli serra !
Pure un raggio di speme
Splende per te nel career doloroso ,
E spande su que' volti alcun sereno.
Odon que' mesti almeno
Che il delitto potente al mondo in faccia
Trova ancor chi lo accusa e lo minaccia.
O magnanimo cor, ben tu rammenti
Di quelle fronti l'innocenza, e i detti
Sublimi di perdono e di costanza!
Ma l'alma lor stanca di tanti affanni
Scoter si sforza i vanni
Verso i liberi campi , e fuggitiva
Un vital soffio in essi ahi! lascia appena.
E madri e spose e suore i lor diletti
Ravvisar più non sanno in que' pallenti
Volti, che ormai di spettri han la sembianza!
Ahi ! la ragion smarriva
Del figlio amato alla terribil pena
Una tenera madre (1) in suo deliro:
« O fìgliuol mio, ti miro
( Esclama): or posa alla tua madre accanto,
Ch'ella ti sciolga i ceppi al corpo affranto ! »
— 29 —
Oh patria mia ! qui desolata io piango ,
Chè l'insano sospetto, il furor cieco
Van lacerando il tuo bel sen gentile !
Stolto un poter che Dio rinnega e oltraggia
Quasi terra selvaggia
Te fea , che sei del mondo la più bella ,
E d'arti e di virtudi alma nutrice.
Oh raduna l'ardor che ancora è teco ,
Madre antica di martiri , e nel fango
Più non t'irrida l'oppressor tuo vile.
La sua maligna stella
Se tramonti di stragi annunziatrice ,
Se stesso incolpi , e la sua voglia ingorda :
Chè ragion si fa sorda ,
E alfin natura irrompe, e abbatte e schianta
Dalle radici la malnata pianta.
;
— 30 —
O difensor d'un popolo gemente ,
Per te s'acqueta il duol che l'ha conquiso,
E nel tuo dir si riconforta e spera.
Dall'esul senza pace e senza tregua
Per poco or si dilegua
Del cor l'affanno all'alta tua parola.
Tu che quel mar mirasti e quella sponda ,
Di', potremmo obbliar tanto sorriso ?
Erra e sospira l'anima dolente,
Ed ivi ognor qual mesta aura leggera
Dolcemente sorvola
Su' fior, su' colli, e sulla limpid'onda !
Bacia il terreno che le amate spoglie
De' nostri padri accoglie,
Fende l'aer natio vinta d'amore,
E a lei novella vita è il vago errore !
— 31 —
L'itala libertà dell'Alpi al piede
Mentre il lacero fianco almen riposa,
T'ode, e i suoi pianti e i suoi sospiri arresta.
Qui dove un abborrito estranio accento
Non l'è mortal tormento,
Gente di forti sensi ecco ti addita
Di civil senno peregrino esempio,
Che se in itali petti generosa
Carità della patria e invitta fede
Arda, mirabil prova al mondo appresta.
Qui scorre all'uom la vita
Qual di pace ospital nel sacro tempio,
Qui divider con noi sembra ogni ciglio
Il pianto dell'esiglio :
Oh tal virtù se Iddio qui volle accolta,
La ragion degli oppressi in ciel si ascolta !
32 —
E tu solleva i lagrimosi rai,
O mestissima Italia ! Intenta porgi
L'orecchio... un vivo susurrar non odi?
Come rotte da' venti gemon l'onde,
Tale un compianto asconde
Lontano mormorio, che intorno intorno
L'aria percote, e lino a te perviene.
Commossa Europa in tuo favor già scorgi,
E da ogni terra odi levarsi ormai
E voti e plausi a confortar tuoi prodi.
Che un solo è il dritto, a ogni uom fia noto un giorno,
A cui l'umana libertà s'attiene.
Libero un popol non dirà sè stesso
Se un altro ancora è oppresso;
Che l'universo una ed eterna legge
Con armonia d'amor governa e regge.
— 33 —
Mesta e sdegnosa spiega all'aura il volo,
E tutto assorto in duolo
Vedrai là sul Tamigi , o Canzon mia ,
Di giustizia il campion di noi pensoso.
Di speranza un accento allor gli chiedi
Per gl'infelici , e s'egli a te lo affida ,
Dell'atre bolge fra caligin densa
Apriti all'egro prigionier la via.
Nè te de' ceppi il suon, l'aer gravoso
Arretri, o il piglio dello sgherro infame.
Là sul lurido strame
Cerca la stanca larva, e se t'intende,
Dille che il mondo un alto esempio attende!
Torino, 1851 .
(1) La generosa ed infelice baronessa Poerio.
3
— 34 —
PER LA STATUA INNALZATA
A
GUGLIELMO PEPE
ne' pubblici giardini della città DI TORINO
CANZONE
Qui, dove in tele e in marmi
All'italo valore è almen concesso
Render solenne omaggio,
Non manchi l'immortal voce de' carmi,
Cui, qual favella d'una ad altra etade,
Fu i patrii esempi d'esaltar commesso.
O venerata e cara
Sembianza del guèrrier duce di prodi,
Speme ed onor dell'itale contrade,
Chi mai qui rediviva a noi ti mostra ?
O diva Arte di Fidia antica e rara,
De' tuoi trionfi or godi,
Tu elètta ad eternar la gloria nostra
Quando t'inspiri a non mendaci eroi.
A questi io sacrerò libere rime ,
Nè più vegga l'Italia i vati suoi
Dar laudi e fiori a un regnator che opprime.
— 35 —
Ed ecco, o Butti (1), al creator pensiero
T'apparia la severa ombra del forte
Come allor che sdegnoso
Del fedifrago re scoperse intero
Il tradimento, e n'ebbe il cenno infranto.
Ahi che l'ultima sorte
Della sperata libertà gli appare!
E pria che a Dio, pria che alla patria infido,
Rinegar chi l'oltraggia a lui fia vanto.
Gli atti a sublime maestà compone,
Ed accennando ver l'adriaco mare
Del Po già varca il lido;
Drappel di forti al periglioso agone
Il segue col suo sangue a lavar l'onta:
Ma il passo ardito egli un istante arresta,
E pria colla man pronta
Strugge il foglio abborrito e lo calpesta.
— 36 —
Di Guglielmo un sospiro
Ebbe la vita intera, un solo amore !
Fu Libertà la donna
Di quel gran core ; e il primo arduo martiro
A lei sacrava nell'april degli anni.
0 amor d'Italia, al nobil suo valore
Prima fonte e sostegno,
Per lui vital respiro ed alimento,
Oh quai per te non ebbe e glorie e affanni ?
Nell'età più gentile eccolo in armi
Contro un reo della Fè ministro indegno
Che a tirannia stromento
Fea di Cristo gli altari e i sacri carmi,
Sacerdote di guerra fratricida (2) !...
Ed ei del primo sangue ahi ! bagna il suolo,
Da cui fìa che il divida
Di rie vicende interminabil duolo!
— 37 —
Di dura prigionia Io strazio immane
In antro sepolcral, cieca dimora
D'umida tenebria
Ove non giunge il lume del dimane,
Crebbe i pensier gagliardi e il saldo affetto :
E parve ad ora ad ora
Scender nell'alma giovinetta un raggio
Di fortezza immortale ,
E di tal fermo ardir si cinse il petto
Che gloria eran per lui l'ardue catene.
Ah ! ognor l'uom forte, il generoso, il saggio
È questo il don regale
Che nella terra più gentile ottiene !
Napoli mia, sei dunque al cielo in ira ?
Più non vantar tuoi fiori e l'àer puro ;
Fatta albergo te mira
Di sangue, di perfidia e di spergiuro.
— 38 —
Di pianto umido il ciglio
Partir, lasciando tirannia nel seno
Della terra diletta ;
Soffrir Io strazio di si lungo esiglio ;
Rieder snudando l'onorata spada
Della speme immortale a un sol baleno ;
Fu questa la tua vita.
Degna d'invidia a chi la patria adora
Tua fama alle più tarde età sen vada.
Ad ammirar la veneranda imago
Venite, Itali, a gara : egli v'invita
Qual vostro duce ancora
Col magnanimo volto. Ah ! non fia pago
Lo spirto errante a questi marmi intorno,
Se da quel ch'ei ne dava invitto esempio
Non sorga un chiaro giorno,
Nè vano fia di tanti eroi lo scempio.
39
0 veneta laguna, oh ! quante volte
Rompe il silenzio di tue chete notti
Sulla querula riva
Delle indarno abborrite austriache scolte
Il grave risonar dell'orme alterne !
Ne' suoi sonni interrotti
Il mesto abitator ode il frastuono
De' bronzi e delle spade,
E correr sangue l'onda ancor discerne.
E del duce guerrier sorger l'aspetto
Pargli, e ascoltar della sua voce il suono,
E tra chi spira e cade
Espor gli mira alle ferite il petto.
Seco ha Poerio e Rossaroll (3) ; di speme
Il guardo lor fiammeggia, e ben si vede
Che van parlando insieme
Della non morta in essi unica fede !
— 40
0 vera gloria e sola,
Che per cento città viva risuona
Fin che il valor si onora,
Fin che laude a grand'opre intorno vola !
Della bella Venezia il nome accoglie
Morte ed amor! Chi mai, chi le ridona
Le vittrici bandiere
Ch'ella pur vide, e di fortezza il grido
Onde depose le servili spoglie ?
Ohimè! tutto fe' guerra alla infelice,
Ed alle ardite ed onorate imprese
Natura e il ciel fu infido !
Ma pur quel pianto che dal ciglio elice
Più le rinverde i suoi famosi allori.
Non cadesti, o Venezia : il core hai desto
A' generosi ardori,
Nè vinto è ancor quei che alla pugna è presto.
— 4i —
Nè tu, antico guerrier, deposto avevi
Per bianca etade il generoso brando,
Ma con securo volto
Un gran momento ancor saldo attendevi.
O vero di costanza eletto esempio !
Eri oppresso ed in bando
Agli oppressi sostegno. Esule anch'ella
Ah la Virtude in terra
Nel tuo bel cor trovar pareva un tempio !
E il re, che mente in sul temuto altare,
Forse mirando impallidir sua stella,
Mentre l'abisso a' piè gli si disserra
E in suo terror gli appare,
Oh! quante volte invidiò l'intera
Pace dell'alma tua ! S'ei vinto cade,
Vedrà l'ultima sera
Maledetto da Dio senza pietade.
— 42 —
Quel raro amor che ha vita
Oltre la tomba, o nobil core, accese
La tua dolce compagna,
Conforto a te nell'ultima partita ,
E ih tutte l'ore angel tuo fido e amante (4).
Le tue gagliarde imprese,
L'intatto amor di patria ecco ella stessa
In questi marmi avviva ,
Pegno di affetto a te saldo e costante.
Spesso io la vidi gli occhi in te rivolti
Da un moto o un cenno tuo pender perplessa.
E tu, qual sulla riva
Il viator che voce amica ascolti,
Stanco fermavi il passo accanto a lei.
«In te vivrò; nè tronchi ancor (dicesti)
Io stimo i giorni miei,
Se tu di me parte miglior qui resti. »
— 43 —
Ma se il tuo spirto apria l'ali amoroso
Volando al ciel della natia tua sponda,
Là dove irrequieto
D'ira si strugge il Calabro pensoso;
Pur ti fu dolce almen chiuder le ciglia
Qui dove il sole innonda
Dell'italica luce i tre colori ,
Dove ferve raccolto
Sdegno antico guerrier che al tuo somiglia
Pel mostro a cui morder tu festi il suolo.
E se avverrà che a' bellici furori
Il fren sarà disciolto,
Tu spiegherai tra noi dal cielo il volo,
E fia duce a' gagliardi il sol tuo nome.
Oh ! fino al di che le straniere genti
Non sien fugate e dome,
Il gioir di lassù, no, tu non senti !
— 44 —
Figlia eletta del cielo, Arte immortale,
Quest'opra di tua man tutta accogliea
Dell'Italia l'idea.
Ascolta ora il lontan represso grido
Di Partenope mia. Sul caro lido
Sorga l'imago del guerrier canuto.
Invida forse, e di segreto pianto
Umida il ciglio, qui manda un saluto
La generosa oppressa!...
Oh ! sorga alfin dal lungo sonno anch'essa !
E l'idolo bugiardo a terra infranto,
Innalzi al suo gran figlio un marmo e un canto.
Torino, 1858.
\
!
— 45 -
(1) Stefano Butti, -valoroso artista milanese, scolpi la statua del Pepe,
nell'atto in cui calpesta gli ordini ricevuti nel 1848 da Ferdinando Borbone
di far retrocedere l'esercito napoletano e di abbandonare la guerra nazio
nale contro l'Austria, ed in vece ordina a' suoi soldati di valicare il Po e
di recarsi a soccorrere Venezia.
(2) II cardinale Ruffo, capo del brigantaggio napolitano del 1799 per
ricuperare con quell'infame mezzo a' Borboni il trono.
(3) Alessandro Poerio e Cesare Rossaroll, vittime generose della
guerra della nazionale indipendenza, tra i Napolitani difensori di Venezia
nel 1849.
(4) Marianna Cowentry, inglese di egregie virtù, consorte affettuosis-
sima del Pepe, la quale ne onorò in ogni guisa la memoria, e continuò
largamente le sue beneficenze agli esuli italiani.
— 46 —
IN MORTE
DI
CAROLINA POERIO
CANZONE
Dunque cedesti al fato,
O magnanima donna, o eletto esempio
Delle madri latine e delle spose!
Muori, e l'estremo fiato
Al figlio carco di catene accanto
Ahi misera ! esalar tu non potesti,
Nè quei le morte tue membra compose
D'ogni forte sentir pudico tempio !
Alma gentil, ti fia corona e vanto
Che nel natio tuo suolo in pria vedesti
Cader la scure immane,
E de' più eletti eroi troncar la vita,
Onde ancor piange Italia in bruno ammanto ;
E pur martire ardita
T'ebbero i forti alla seconda prova.
Or si ammira per te quanta rimane
Di donna in cor virtute arcana e nova.
47 —
O anima affannosa,
Quando di calde lagrime non davi
Più sfogo agli occhi, e ti opprimeano il core ,
Iddio con man pietosa
Ti stese un denso vel sull'intelletto ,
E paresti obbliar le tue sventure (1).
Però pascevi ancor l'illuso amore
Talor di care immagini soavi,
E stringer ti sembrava i figli al petto,
E con essi alternar tue dolci cure!
Ma rapido baleno
Ti aperse un solo istante orribil vero,
E al cor mancò la vita e al labbro il detto!
O mesto prigioniero,
Qual divenisti allor nell'àer cieco ?
Deh ! rechi in parte all'alto affanno un freno
La patria che si volge a pianger teco.
— 48
Nello stanco velame
Avvolta ancor la nobil pellegrina
Scoteva indarno e affaticava l'ale,
Chè colle ardenti brame
I figli, l'un mal vivo e l'altro spento,
Sol potea visitar nel doppio avello.
Ma, da' suoi lacci sciolta ed immortale,
Ecco raccoglie il volo, e si avvicina
Alle amate cagion del suo tormento.
E là nel career di dolore ostello
Amorosa si avanza,
E del suo caldo anelito circonda
II suo Carlo, e ne molce il lungo stento,
E par che a lui risponda
Come in vita solea la donna forte,
E ne sostenga i voti e la speranza...
Chè contro Amor dardi non ha la Morte.
— 49 —
Poi nell'eterna luce
Parmi vederla, e a lei sporger le braccia
L'alto Orator che tutta Italia onora (2),
Ei che fu padre e duce
A' duo martiri, e a lor segnò la via
Di libertà, che il trasse a lungo esiglio !
Nè l'empia tirannia fu sazia ancora,
Chè l'ombra pur ne teme e ne minaccia.
Ve' tra i cori d'angelica armonia
Un altro figlio alla consorte addita
Tra sacri spirti accolto
Cui morir per la patria il ciel concesse :
E questi a lei : Deh ! vieni o madre mia ,
Chè se il tuo fral non resse
A gir pietosa ove morii pugnando,
Me del tuo pianto a confortar sepolto
Qui la bell'alma tua si posi amando.
- 50 —
E ben da tanta madre
Nascer dovevi, o vate a un tempo e prode,
Che sacrasti alla patria e vita e carmi (3),
E, le straniere squadre
Mirando a te dinanzi in fuga volte,
Cadesti alzando di vittoria il grido.
Nel sangue immerso e tra il fragor dell'armi
Da te sclamar: Viva l'Italia! s'ode.
Ah si ! tai glorie veggio in Mestre accolte,
Per cui secura all'avvenir sorrido.
Chi al valor vostro insulta
Volga il guardo a quel suolo, itali eroi,
Di cui quest'un pur basti a eterna lode.
Lungamente per voi
L'età, che tutto nell'obblio travolve,
Dirà: Qui non restò l'Ausonia inulta,
Il mostro alato qui mordea la polve.
5i
Quando la muta notte
Ricopre colle immense ali stellanti
I flutti della veneta laguna,
Le tenebre interrotte
Son da un vivo fulgor che l'àer fende,
Com'astro suol che scende ratto a sera.
E trascorrendo per la volta bruna
S'informa, e di colei veste i sembianti
Che il cener caro a visitar discende.
Allor di un fioco lamentar leggera
Eco si ascolta, e spira
Dell'onde al cupo mormorio frammista,
Che un suon quasi di pianto intorno rende !
L'alma pensosa e trista,
Mentre pel campo di animose morti
Altera in sua pietà geme e si aggira,
Sorgono a venerar l'ombre de' forti.
52 —
Grande al par che infelice,
Peria quel figlio almen sul campo estinto :
Ma l'altro ahi porse a' ceppi i polsi e il piede !
Rabbia codarda e ultrice,
Che il nome usurpa di giustizia, e regna,
Il seppellia dentro caligo orrenda.
Oggi al duro giaciglio in pianto riede ,
Egli che i gravi ferri onde fu avvinto
Bagnar mai d'una lagrima non degna.
Voce d'amor non fia che a lui più scenda
Di madre o di germano,
Nè intorno mira che il suo aspetto istesso
Ne' mesti accolti nel feral recinto.
Ah ! per quel giusto oppresso
Invan d'Italia il cor palpita e freme !
Se a' colpi indura un reo poter la mano,
Quando a lui scenderà luce di speme ?
— 53 —
A voi, che in cor soffrite
Pe' vostri cari in ceppi, esuli o spenti,
E suore, e spose e madri, or volgo gli occhi
A voi, cui già rapite
Fur le gioie più pure e desiate
Onde il viver mortal s'orna e si abbella !
Misere ! A quante ancor convien che tocchi,
Più non udir quaggiù gli amati accenti !
Ma stuol di forti ad allevar sol nate,
Seguiam l'orme di questa a noi sorella,
Che con secura fronte,
Col ciglio asciutto e in sua virtù raccolta
De' figli udia la morte o i crudi stenti ;
E a tutte noi rivolta
Dicea : Se della patria offersi anch'io
Un sangue a me si caro a lavar l'onte,
Felice, itale madri, è il destin mio !
— 54 —
Avvolta in negre vesti,
Canzon, trascorri pel natal mio cielo,
E all'aure affida tue dolenti note :
Là con funereo velo
Copriti il guardo; il sempiterno riso
Non mirar di natura, e sol co' mesti
Di lagrime furtive ahi ! bagna il viso !
Torino, 185i.
— 55 —
(1) La forte donna negli ultimi giorni della sua vita, affranta dal dolore
della prolungata prigionia e della condanna dell'illustre figliuolo, smani la
ragione.
(2) Il barone Giuseppe Poerio, sommo tra i più eloquenti oratori italiani
nella palestra forense e nella tribuna politica.
(3) Alessandro Poerio , altro figliuolo , chiarissimo per lettere e per
valore poetico, il quale ad una missionediplomatica in Parigi preferi nel 1849
di pugnar semplice volontario a Venezia contro gli Austriaci sotto il comando
del generale Pepe, e morire gloriosamente combattendo a Mestre.
— 56 —
AGESILAO MELANO
CANZONE
Vola, alma mia, sulla natal tua riva,
E di quel sol ti bea
Di cui ti stringe invan lungo desio !
Caro lido natio,
Ecco io ti veggio e l'aure tue risento !
Ma qual cupo lamento
L'aere percorre? Fosche nubi intorno
Velano il ciel sereno,
E in tetro ammanto il giorno
Sorge di duol presago e di spavento.
Un suon represso di lamenti pieno
Al cor mi giunge, e di pietade il pianto
Tronca su' labbri il canto !...
O terra di beltà suprema e sola ,
Il tuo divo sorriso or chi t'invola?
— 57 —
Ma, oh fera vista ! Là d'incontro eretto
Veggio un palco di morte,
E il reo si avanza avvolto in negro ammanto.
L'empio gli è scritto in petto (1),
E già si appressa all'ultime ritorte.
Sta in ogni ciglio il pianto,
Ed ei sereno a noi par che sorrida.
Udiam l'estreme grida...
« Viva l'Italia e Dio!» — Che sento?... Un empio
Con tai voci non muore !
Deh! l'inumano scempio
Si arresti, e il giovin prode ah! non s'uccida!...
Ma la voce gli affoga, e l'ultim'ore
Gli prolunga il carnefice! Qual dritto
Vi move, o crudi, e quale è in lui delitto ?
Voi, che tremanti state, ah! ditel voi,
Che mormorate : egli moria per noi !
58
Ma se ognun qui non l'osa, e piange o tace;
Meglio a te il chieggo, o Fama,
Che la gloria ne spargi in ogni parte.
Una tigre rapace
Di' che in itala terra si disbrama ,
Si che già in ceppi o sparte
Sono vittime a mille. Oh ! di qual sangue
L'ira che in lei non langue
Fea rosseggiar le già ridenti vie !
Regia possanza assume
Per le infamie natie,
Onde fu erede del velen dell'angue !
E pur tal belva osa imperar qual nume.
V'ha chi l'odia, l'abborre e indarno freme;
V'ha chi piange o chi teme,
Ma un'alma audace a vendicar nostr'onte
Sola sorgea di tanta possa a fronte !
— 59 —
Ecco in mezzo alle sue squadre guerriere,
Scorrendo il vasto campo,
In suo fulgor stassi il temuto sire.
Ratto fuor delle schiere
Qual vide balenar sinistro lampo ?
Oh sovrumano ardire!
Osi affrontar coll'unico tuo ferro
Il coronato sgherro.
Com'angel di vendetta, a lui dicevi :
« Deponi il reo tuo serto,
« O re, morir tu devi...
« Io solo, in mezzo al tuo poter, ti atterro. »
Ma il gran colpo falli!... Pallido, incerto,
Dal terror vinto e dall'interno affanno
Chè non vedi il tiranno ?
Ben forse il di gli appar ch'ei cada estinto
Da quelle spade onde a difesa è cinto.
— 60 —
Di Cirillo e Pagano ombre sdegnose,
Ad ammirar sorgete
Quest'alto esempio dagli avelli inulti.
Entro le mura ascose
D'un'orrida prigion presenti or siete
Agl'inumani insulti,
Onde una vil tortura ahi ! lo flagella !
Egli con voi favella,
Con voi del crudo suo soffrir si allegra.
Ma tosto altra gli appare
Pallida, in veste negra,
Piangente imago... la sua madre è quella !
Forse di ascose allor lagrime amare,
Più che il forte guerrier, l'amante figlio
Bagnava il mesto ciglio !
Donna infelice ! Il tuo materno duolo
Chi ha cor di madre misurar può solo!
,- 61
Tra i fantasmi d'amor, tra i più soavi
Sogni, e quei dolci inganni
Onde l'alma s'inebbria e il viver sente ,
Melano, ah ! non curavi
Lasciar la vita in sull'april degli anni ?
O ardita, o nobil mente,
Cui del foco de' carmi il cielo accese,
Che guida è all'alte imprese,
E innalza i forti agli animosi affetti !
Qual patrio amor traluce
Da' tuoi sdegnosi detti
Che di giudici rei sfidan le offese!
Un sol pensier, tu esclami, a me fu duce,
Nè ignobil odio questo sen rinserra :
Liberar la mia terra
Volli da un mostro onde fremea natura !..
Esempio ai regi ed all'età futura.
- 62 —
Pur v'ha chi reo, chi scellerato noma
Questo Bruto novello,
Onde altera sarà la nostra etade.
Possa qual v'ha che doma
Un efferato alla ragion rubello,
S'egli spento non cade
Da chi a difender sorga ogni uomo oppresso ,
Ed immoli sè stesso
Per distrugger costui, che a un sol pensiero
Ne toglie e beni e vita,
Possente masnadiero,
Cui da forza brutal tutto è concesso?
Chi non ammira che con mano ardita
Spirto gentile e di delitti ignaro
Fin l'omicida acciaro
Pel suol natio stringesti, oh mai nel petto
Ei non provò l'ardor del patrio affetto !
63
Tace la notte, e per l'aria si desta
Un balenar frequente,
Che di fero spavento ogni alma ingombra !
La sua notturna festa
Più l'allegra Partenope non sente.
Sola si aggira un'ombra
E par che in ogni loco ella si veggia.
Di vivi rai fiammeggia,
E in mezzo al bruno ciel vieppiù sfavilla ;
Col crine in preda a' venti,
Che ancor di sangue stilla,
Qual cherubin s'innalza in sulla reggia.
Stanno gli oppressi in lei cogli occhi intenti.
Ma già ne' sogni del tiranno apparve
Cinta di orrende larve,
Di cui grida ciascuna : « In chi t'affidi ?
« Mille braman ferirti, e un sol ne uccidi ! »
— 64 —
Orrenda vision !... Sovr'altra sponda
Trepido il guardo ei torse
Per sottrarsi al terror... ma in quell'istante
Fremè commossa l'onda,
E, spettro irato, Bentivegna ei scorse (2),
Qual già dell'avo innante
Il tradito Caracciolo apparia!
Chiusa è pel reo la via
Dell'antica salute : il generoso
Sican, mordendo il freno,
Da gran tempo il riposo
Col frequente agitarsi a lui rapia.
L'Etna e il Vesèvo versan già dal seno
Terribil fiamma che la terra scote,
Ove in sanguigne note
Parmi che scritto apertamente io scerna :
« Stanca dell'empio è la giustizia eterna ! »
- 65 —
Molle di pianto e d'alto duol commossa,
Movi, o mesta Canzon, romita e sola
Ove sepolte l'ossa
Stan d'iniqui e ladroni : in poca fossa
Ivi cerca l'eroe; digli che ancora
In Italia è una gente
Fra cui sonar si sente
Libero all'aure di Melano il nome ,
Ove tra poche elette alme non dome
Il fatto audace ed immortal si onora.
Torino, 1857.
(1) Con tale apparato si eseguiva, secondo il Codice napolitano, il supplizio
capitale nelle condanne con l'ultimo grado di esemplarità.
(2) II barone Bentivegna , generoso siciliano , che tentò la insurrezione
nelT isola, ma fu preso e tratto a morte per ordine del Borbone.
— 66
ALLA MEMORIA DEL PADRE
ELEGIA
V'ha tale un duol che sdegna uman conforto,
V'ha tale un duol che nè per largo pianto,
Nè per volger di tempi o di vicende,
Si fa più lieve, anzi nel cor si addentra,
E profondo e terribile la vita
Vuol che si strugga pria che il suo martiro f
Pari è il dolor eh' io porto ognor nell'alma,
O padre, o padre amato ! Al guardo innante
Par che la sacra e cara urna in cui giaci
Io m'abbia, e di mie lagrime l'aspergo,
E te chiamo sovr'essa! Allor d'intorno
Dolcemente aleggiando erra e'si appressa
L'alma tua, che a me parla, e coll'usate
Note d'amor mi riconforta. O padre,
Io si le ascolto... e teco ancor favello
Col riso della speme!... Ohimè! che imprendo f
Come, come narrar potrei lo strazio
67 —
Dell'alma mia?... La man s'arresta e trema,
Vela il pianto questi occhi, e nel mio core
Par che sol parli una terribil voce
Che mi ripete ognor: «Non hai più padre!...
Fia dunque ver?... Sovra le acerbe piume,
Ove un tremendo morbo ti rodeva
Le stanche membra, e addolorato e inerte
Giacer ti fea senza mai calma o posa,
Mentre già il sol travolto avea nel cielo
Undici volte il disco, ahimè che ancora
Parmi vederti e udirti!... Ah! forse, o padre
Dolce, amoroso, alla tua mesta figlia
Cosi dolente ed egro, e inabil reso
Ad ogni moto onde la vita uom sente,
Non fosti tu scorta fedele e sola ?
Tu della fiamma che ti ardea nel petto
Pel bello eterno, e per virtù sublime
Ond'eri oracol vivo, entro al mio seno
Fin dall'età che sol di fole è vaga
M'inspiravi scintilla: io, te mirando
Riviver sol di poesia nel foco
A cui scioglievi l'inspirato labbro
Con melodica voce, anch' io la cetra
Destava al suon, quasi mestissim'eco
— 08 —
De' teneri tuoi carmi. Ahi ! che la morte,
Mentre a me ti rapia, sembra che ancora
Dell'eterno suo gel mia mente ingombri !..
Oh ! chi darà mai tregua al dolor mio
Perch' io ridica del tuo forte ingegno
L'alto valor ? Come calzar sapesti
Con nobil vanto il tragico coturno,
E sdegnoso che più d'eroi non fosse
La nostra età feconda, all'ardua prova
Di rivestir con itale armonie
La diva altezza delle greche scene
Sorgevi ? E appieno la sapienza e l'arte
Di Sofocle e d'Euripide appariro
Palesi a te. Come dar fiato a un tempo
Sapesti alla divina epica tromba,
Che i caldi affetti del tuo cor spirava
Fra i labbri tuoi? Come l'altera musa
Del Lazio rinverdir gli antichi allori
Fea per te, padre mio, che a nova altezza
La ridestavi ! E come infra le angosce
Orrende ed ineffabili, che morte
Chiamar ti feano in lagrimevol suono,
Le meste note del gran re profeta
Dolcemente sposavi alla tua lira!
— 69 —
Ma perchè mai tu, ch'eri infra i mortali
Al vizio spento ed all'onor sol vivo,
Segno al più avverso fato esser dovesti ?
Perchè le gioie che apre all'uomo il mondo
Non fur per te che rapido baleno ?
Tu del lauro de' vati ornato il crine
Splendesti, è ver„ nel lusinghiero incanto
Ch'offre il patrio favor ; ma qual mai frutto ?
I dardi ad evitar d'invidia rea
Mari e monti varcasti, questa cara
Terra natia fuggendo ; e viver puote
Fuor di quest'aure amanti italo figlio ?
E pur d'una dolcezza unica e vera,
D'una dolcezza che null'altra agguaglia
Ad infiorar tua vita, una consorte
Iddio donotti, che parea dal cielo
Angel disceso a confortar tue pene,
A sollevar colla pietosa mano
L'egre tue membra e ad apprestarti ancora
L'alimento vital, chè (oh ria sciagura!)
Pel fero morbo era tua cara destra
Inerte e vinta dal torpor di morte !
Fisse ed intente nell'amato e mesto
Tuo volto ah non sapea chiuder le ciglia
Al bramato dall'uom dolce riposo !
Ella sol fu che sostenea tuoi spirti
- 70 —
Quando due figli, due soavi pegni
Del vostro raro amor, giugnendo appena
All'etade in cui l'uom nobil possanza
Sente nel petto, e l'avvenir già vede
Fiorir ne' sogni della giovin mente,
Ahi fur colti da morte!... A lei tu stesso
Col sospir dell'angoscia ripetevi :
« Il più misero io fui, tu la più forte ! »
Ed or ti veggio, o padre mio, nel cielo
Stretto abbracciarti a' duo tuoi cari figli,
E gli altri orfani tuoi mirar pietoso,
E la madre dolente, e me che mai
Non cesserò dal pianto! E il dolce sposo
Che un di tu stesso a me giugnevi, e ch'era
Il soave amor tuo, mira che meco
Sulla tua tomba gemito diffonde
Di figlio amante, ed a me dice : « 0 sposa,
Or sento io pur quanto tuo padre amai ! »
Deh ! perchè mai la cara bambinella
Delizia del mio cor, come già schiude
I labbretti alla gioia, il duol che m'ange
Pur non comprende? Le innocenti e prime
Sue lagrimette a te sacrar vedresti !
Un di saprà che a lei l'estremo canto
Volgesti, e del suo di l'albor primiero
Salutò dall'occaso il tuo dolore !
Ma che?... Qual lampo di sinistra luce,
Atra un'idea si affaccia alla mia mente,
Una tremenda idea ! Finch' io respiri
Te più mai non vedrò?... Nel vuoto orrendo
De' rinascenti secoli sospingo
Il desir mio, quasi anelando un giorno,
Un'ora, un punto in cui mi torni innante
La paterna sembianza ! Oh allor che l'alma
Sentirò svolta dal corporeo velo,
E d' incognite sfere pellegrina
Lasciar dovrà quanto quaggiuso amava ;
Solo un pensier fia che le impenni l'ale,
E, qual veloce aura d'amor, tuo volto
Cercando andrà là d'onde a noi proviene
Questa fuggevol vita, che si ratta
Riede in sen dell'Eterno! Almen, deh vieni,
Vieni sovente a rallegrar miei sonni !
Che ancor di te bear mi possa, o cara,
0 maestosa e nobil fronte, o voce
D' ineffabil dolcezza, o vivo sguardo
Pien di quel raggio che dal ciel discende
Ne' spirti eletti, cui vestir fu dato
Di celesti armonie divin pensiero ! <
Di voi, deh ch'io mi pasca! Ahi solo il pianto
Quaggiù mi resta!. È l'unico retaggio,
Il fatal vero in cui l'uom vive, il solo
Tributo dell'amor sui cari estinti,
Il solo ohimè eh' io dar ti possa, o padre!
Napoli, 1842.
— 72
ALLA POESIAio
Nobil figlia del cielo, il cui sorriso
Dal mar di Cuma e dall'ausonia riva
Mai per volger d'età non fia diviso !
Alma qual v'ha si di dolcezza schiva,
Qual v'ha si duro cor che non risenta
Il poter di tue grazie ? O vaga Diva,
0 Poesia, nel cui bel raggio intenta
Fissai gioiosa ed avida lo sguardo
Da questa età di sogni sol contenta;
Benchè mesto il pensier, pur non è tardo
Giammai quando il tuo nume in ogni vena
Quel foco avviva ond'io per te sempr'ardo:
E allor che m'ange del dolor la piena,
Sola, nè il come io so, mi rassecura
Della tua melodia l'aura serena.
— 73 —
Non qual ne giugne a noi l'eco non pura
Del norte, che piegar vuol tua divina
Voce al tristo fragor della natura;
Ma qual s'ode spirar dalla vicina
Sorrento, e qual trascorre a molcer l'onda
Dal fatidico suol di Mergellina.
Pur qual destino è il mio che a me s'asconda
Sempre il tuo riso, e mentre il cor t'ascolta,
Fuor che un lungo sospir, nulla risponda?
In fosche bende a me dinanzi avvolta
E col raggiante volto ed immortale
Mutamente ti veggio a me rivolta.
E mentre il pensier mio scotendo l'ale
Crede l'eterea via trascorrer teco
Con vol superno ed al desiro eguale ;
Del duol tu il traggi nell'orrendo speco,
Ov'ei sospira invan fugate e rotte
Veder l'ombre per lui dell'aer cieco.
Ah ! dunque mai da questa orribil notte
Non fia ch'ei sorga, e luce alma respiri
Lasciando dell'obblio l'eterne grotte?...
— 74 —
Ma che?... Qual nembo del color dell' iri
Sulle Sicille sponde omai può trarmi
Dove il mar freme in vorticosi giri ?
Sei tu stessa, o d'amor gloria e dell'armi,
Diva, che del Peloro all'ardua mole
Tanta parte di Grecia anco risparmi?
Qui dove apristi Y itale parole,
Te ravviso al fulgor che in sè raduna
Nel più vivo seren l' italo sole :
Donde ancor le tue note ad una ad una
L'eco raccoglie, indi per l'aure amanti
Le diffonde alla placida laguna.
E mentre acqueti co' celesti canti
L'Etna che freme, intorno a te le belle
Arti fan coro onde ottenerne i vanti.
Del foco inspirator tu le facelle
Fra lor comparti, e in esse è tua l'imago,
Come quella del sol rendon le stelle.
Quindi al tuo sguardo di sue glorie vago
Sola bastar potria quest'alma terra
Che in sue dovizie ogni desir fa pago.
— 75 —
Il tuo sguardo d'amor si affigge ed erra
Pria sull'alta Palermo, e èen rammenti
Quanta del tuo valor parte rinserra.
Ve' Messina, che incontro alle furenti
Rocce di Scilla in suo saper si posa,
Meditando al tenor de' tuoi concenti.
Per la piva e il compasso al par famosa
Ve' Siracusa, e il Sofo d'Agrigento
Che a Falari minaccia ombra sdegnosa:
Stesicoro, Epicarmo, e cento e cento
Nomi, che da' bei colli al mar vicino
Fan mormorar delle lor glorie il vento,
Che il vario spiro agitator divino
Volge al triplice mar di lito in lito
Fin dov'eccelso il capo alza il Pachino.
Terra di gloria ! Ah non ti fia rapito
Un raggio sol mai di si viva face
Dal settentrional vedovo sito !
Quando al cader dell'ombre il mondo tace,
E al carolar delle stellanti rote
Sovra i flutti del mar siede la pace,
— 76 —
Io raccorrò le solitarie note
Che tu, Diva, ne inspiri, e un dolce pianto
D'amor, di speme bagnerà mie gote.
Ma sperar non potrò mescermi al vanto
Di quei saggi che annovera il Peloro,
Nobil tema fra noi del tuo bel canto.
Ultima fra gli eletti a sì bel còro,
D'ora innanzi al fiorir de' miei verd'anni,
Mi attenderò dall'alto esempio loro
L'aura che basti a sostener miei vanni.
Napoli, 1842.
(1) Nell'essere stata l'autrice ascritta all'Accademia Peloritana di Messina.
77 —
LA VIOLETTA
ODE
Sovra un ruscel che limpido
Gemea tra sponda e sponda,
All'ombra d'un bel salice
Che si spandea sull'onda,
E trar parea delizia
Da quel vivace umor,
Io mi posava: e l'alito
D'auretta rugiadosa
Libava il casto anemone,
La verginella rosa,
E la viola mammola
Bella nel suo pudor.
— 78 —
La tortorella semplice,
L'amabile usignuolo,
All'aleggiar de' zeffiri
Tutti traeano a volo
Dove tra foglie ascondesi
Quel pallidetto fior.
Perchè, perchè non correre
Sul vago fiordaliso,
Sul fior gradito a Cipria,
Sul tenero narciso,
Lievi augelletti ? Io tacita
Cosi dicea nel cor.
Riposta in verde calice
Sul verecondo stelo
Ella non anco i petali
Svolse ridenti al cielo,
Il sole ancor non fecela
Specchio del suo splendor.
O violetta ingenua,
Quel tuo pallor (se m'odi )
Che ti fa mesta e languida
Tragge il favor che godi :
Anch'io per te nell'anima
Sento il più caro amor.
— 79 —
Vieni... Il mio volto inchinasi
Al par della tua spoglia ;
Vieni... di schietta lagrima
Ti aspergerò la foglia,
Nè splenderai men rorida
Che al mattutino albor.
Ma no... Già presso a svellerla
Ristetti, e si dicea :
O vaga, io troppo amandoti
Del tuo morir son rea.
Non ti corrò; l'immagine
Serba del mio dolor!
Napoli, 1842.
— 80 —
ALL'ILLUSTRE
TERENZIO MAMIANI
ESULE IN PARIGI
Tu ancor sei dunque, o Mam'iani, il segno
Dell' ingiusta fortuna alle ritorte ?
Tu segui ancor sotto un estranio regno
Di Campanella e d'Alighier la sorte ?
Tu che ritraggi dal primier l' ingegno,
Dall'altro il divin foco e l'alma forte ?
O Italia, te d'onor colman tuoi figli ;
E tu, ingrata, lor dai ceppi ed esigli?
Ma no... Voce non è d'Italia mia
Che i suoi figliuoli dal bel sen diparte:
Voce ell'è che sovr'essa incrudelia,
Al cui cenno mirò sue membra sparte —
Deh! quando a noi volgi il pensier, che obblia
Sol per brev'ora le sudate carte,
Di' : Quella voce sol me lungi brama,
Ma la voce d'Italia a sè mi chiama.
Napoli, 1843.
81
PEL SUPPLIZIO
DEI
FRATELLI BANDIERA
CARME
Oh ! perchè mai di si lugubre ammanto
Si veste la natura ? Oh ! chi direbbe'
€he il ciel d'Italia è questo ? Ecco di nera
Caligin fitta inorridito il sole
Si ricovre la fronte; e non un grido
Uman si ascolta, alto un silenzio regna,
Un silenzio di morte: e sol dal fondo
De' cupi monti, dal tremante seno
Della terra, dal sibilo del vento,
Dal mesto canto di sinistri augelli
Un gemito si eleva, un suon di pianto
Che per l'aere si spande, ed il mio ciglio
6
, — 82 —
Or di lagrime ingombra ! E dove un core
Di selce v'ha che qui non pianga ? — Oh quale
Spettacolo tremendo !... Un palco è quello,
À cui d'intorno avidamente corre
Immensa turba che più e più si affolla,
Qual chi attende grand'opra ! E dov'è mai
La vittima ? Che miro ! Ecco uno stuolo
Di garzoncelli che il bel volto appena
Del primo pelo infiorano ! la fronte
Han mesta, e pur scintilla il guardo ardito,
Che di sublime alma fa fede. Ah ! dunque
Di sangue uman giustizia orrida io veggio...
Giustizia!... Qui dove in un Dio si crede
Di perdono e di pace, ancor si noma
Giustizia dunque , e tu permetti, o cielo,
Punir delitti con maggior delitto ? —
Ma pur qual colpa è in essi? Ah! voi mel diter
Voi che immoti qui state, e nel cui volto
Veggio il timor più che l'orror scolpito,
Su, mel dite, qual colpa?... E che? si grave
È questa dunque, che un pallor di morte
Tutti vi pinge al sol pensarla, e il labbro
Non si attenta nomarla?... Ecco già tutti
Son presso al palco ! Già lo sgherro innalza
Il braccio infame!... Ohimè che sento ! un d'essi
Atteggia il labbro alla parola. Udiamo :
t Italia, Italia, io moro, e il solo amarti
« Fu il mio delitto, O caro, unico, ardente
— 83 —
« Di patria amor, tu che ne accendi il petto,
« Non perirai con noi ; chè più possente
« Da questo sangue correrà tua fiamma
t Per l'itale contrade. Or voi tremate... » .
Ma gli si vieta il dir più oltre, e il colpo
Feral già tronca l'innocente capo,
Che rotolando al suol, parole ancora
Libere e generose mormorando,
L'estremo spiro esala!... Ad uno ad uno
Seguon la sorte stessa i valorosi,
Nè un sol sospiro al fior di prima etade
Da lor si emette, non un sol lamento
Al cessar della vita, ma te sola
Piangono, Italia, e di te sola! Ah! dunque
È della lor più dura assai tua sorte?
Ma chi no'l vede? Immenso stuol qui assiste
Alla infernal vendetta, e non si eleva
Qui di pietade un grido, chè nel petto
Vil paura l'affoga. Ah ! ti ridesta,
Cosenza: e soffri che in tuo sen si compia
Il cruento sterminio, e non strappasti
Le vittime al flagello, e non ti mosse
Quella fiorente giovinezza?... O gregge
Di vili schiavi, e voi nepoti appella
Ancor de' Bruti lo stranier?... No, piangi,
Italia, piangi, e lunghi giorni ancora
In negre bende ; chè da te lontano
Io veggio il di che avrai rasciutto il ciglio !
— 84 —
Ma qual novella scena agli occhi miei
Or s'appresenta ? Ove son tratta? — È questa
La reggia, io la ravviso; ecco il novello
Falari in trono superbo si asside,
E un bianco veglio tremolante e chino
Gli si prostra piangendo : « Ah ! prendi, o Sire,
Questo canuto capo, ecco io tel reco,
Troncalo a posta tua; ma sappi... io padre
Son di due figli tenerelli, sola
Delizia di mia vita al fin già presso :
Essi in tua man son già : di sconsigliato
Amor di patria rei, ben so che il tuo
Sdegno regal sovra il lor capo ahi ! piomba ;
Ma ti muovan le lagrime cocenti
Onde bagnato è questo volto antico,
Ti mova il cor di un padre... oh tu sei padre !...
Ben che imbiancato d'altra corte all'aure
Ho questo crine, e che pupilla io sia
D'un re che m'ama; io nulla e lustro e onori
Estimo omai ; qui tel ripeto, vibra,
Signor, nel petto mio l'orribil colpo
Pria che nel sen de' miseri miei figli ! »
— 85 —
Re, che rispondi ? — E tu sorgi dal suolo,
O canuto infelice, ed al tiranno
Non dar la gioia del tuo pianto. — Ahi lasso !
Smarrita ha la ragion ! Cruento ei mira
Già de' figli lo spettro, ma di affetto
E di conforto a lui favellan. Certo
Essi in ben altra sanguinosa vista
Nell'ora estrema appariranno innante
Al carnefice re: con una mano
Stringendo il tronco capo, e insiem coll'altra
Mostrando il ciel, rammenteranno al vile
La folgore di Dio, che sovra il capo
Già terribil gli piomba, e in un baleno
I re trabalza, e atterra e schianta i troni!
Napoli, 1844.
- 86 —
A SORRENTO
SONETTO
0 colli, o amene valli, ombre amorose,
Suol che sembri al mio cor sacro e beato,
Ah ! in voi di sè gran parte il ciel ripose
Sol perchè foste un di culla a Torquato !
Qui tra vaghi boschetti e querce annose
Parmi il suo canto fin dell'aura il fiato !
Qui errar lo veggio ancor colle pensose
Luci, ove impresse stan l'onte del fato.
E in mesta voce che discende al core
Esclama: « O mio dolce e fiorito lido,
Perchè in lontane corti, ahi! volsi il piede?
Qui non avrei, tratto in insano ardore,
Creduto al riso della sorte infido,
E di reo prence alla bugiarda fede !
Sorrento, 1845.
— 87 — '
A
VITTORIO ALFIERI
SONETTO
Al fragor cupo di commossa gente,
Che alla Senna fea l'onda sanguinosa,
Sorse gridando l'Astigian fremente :
« O Italia, e ancor sei muta e sonnacchiosa?
Ma se ne' vivi tue virtù son spente,
Se il valor nelle tombe, ohimè riposa;
Di Virginio e di Bruto almen la mente
Mandi dal labbro mio voce sdegnosa. »
Si scosse al suon dell'alta sua favella
L'Itala Donna, e dall'eroiche scene
Di nova gloria sfolgorò più bella.
Or dall'avel suo spirto evoca, e s'ange,
E vuol che ad altri ei scaldi almen le .vene...
Ma son tant'anni ohimè che aspetta e piange !
Napoli, 184G.
ALLA POLONIA
SONETTO
0 Polonia gentil! tu sorgerai,
E teco Italia, da perenni guai.
Chi di si fosca nube il ciel t' imbruna,
Polonia, e chi ti fa misera e prona ?
Chi sul tuo capo or tanti mali aduna ?
Chi toglie a te la fede e la corona?
Ah ! mentre ancor veggio l'Odrisia Luna
Velar la fronte, ove il tuo nome suona;
Te mira Europa in preda a ria fortuna,
Nè impugna un brando, e in ceppi ahi t'abbandona?
Pur v'ha lontana terra a te sorella
Nell'altar, nella gloria e nell'impero,
Che piange i prischi tempi... — Italia è quella.
Se al par versaste il sangue del martiro,
Se vostre membra sparte ha lo straniero ;
Deh in cielo arrivi alfin d'ambe il sospiro!
Firenze, 1846.
— 89 —
IL TROVATELLO
SONETTO
Non ho delitti, e nudo in sul terreno
Perchè negato è a me d'ogni uom l'affetto ?
Perchè il padre crudel mi nega un tetto,
La madre il latte del fecondo seno ?
E pur non nega a me l'aere sereno
Quei che il soffio vital mi pose in petto.
Nasci, se mi dicea l'eterno Detto,
Di viver dritto avrò d'ogni altro io meno ?
Ma da chi nacqui ? Erro deserto e solo,
Su' tanti volti almen cercando un segno
Di lor, per cui qui vivo all'onta e al duolo.
E invidia anco una legge al viver mio,
E del soccorso uman mi grida indegno...
Perchè padre non ebbi altri che Iddio!
Bologna, 1846.
— 90 —
IN MORTE
DEL CELEBRE MEDICO
TOMMASINI
SONETTO
Innanzi a Tommasini, al saggio, al forte
Che tante prede a lei strappate avea,
Irresoluta di ferir la Morte
Quasi un cenno di lui muta attendea.
Ma ferma a' colpi dell'avversa sorte
L'alma: « Ferisci pur (disse alla rea),
Chè lieta ad incontrar figlia e consorte
Io volo in seno dell'Eterna Idea ! »
Spirto gentil, deh per la patria terra,
Non per salvezza di caduche salme,
Or poni in opra l' immortal virtute !
Di quei che un muro ed una fossa serra
Prega in un sol desio concordi l'alme,
E avrà l'Italia ancor da te salute !
Parma, 1846.
— 94 —
COLOMBO
AL CONVENTO DELLA RABIDA
Pura e serena in ciel tacea la notte,
E la luna stendea limpidi rai
Sovra il mar d'Andalusia : alla soave
Notturna brezza, al mormorio leggero
Dell'onda limpidissima, un'arcana
Forza d'amor molcendo l'alme, unirle
Parea disgombre dell'umano velo
Dell'immenso creato, all'armonia.
E si scorgeano sovra alpestre scoglio
Nereggiar solitarie antiche mura
Cinte di folti abeti : ivi fuggendo
Le mondane discordie, le malvage
Ire, le insidie e la nemica immonda
D'ogni ben, d'ogni gloria invidia rea,
Poche alme elette raccoglieansi, liete
Nel vincol strette di celeste pace,
Per le mondane colpe assidui voti
Volgendo al cielo ad implorar perdono.
— 92 —
Quand'uom, cui tutta trasparia dal volto
Pallido e scarno l'anima gemente
Tra mille angosce, e pur salda ed immota
Contro il destin, che colla ferrea mano
Non valse a cancellar da quella fronte
ll vivo raggio dell'Eterna Idea ;
Traendo al fianco un garzoncel, che a stento
Movea le piante tenerelle e stanche
Dal già lungo cammin, con un sospiro
Al limitar sostò del santo ospizio :
E qual chi forte combattuto è dentro
Da contrarii pensier, mirava il cielo,
Del suo ramingo e miserando stato
Chiedendo a lui ragion ; poi lo scotea
Il lamentar già moribondo e fioco
Del figliuol che mancava... « Oh! disse alfine,
Signor, tu il vuoi ? D'orgoglio uman l'estrema
Voce si taccia nel mio cor : paterno
Amor lo impone, ed all'Italia almeno,
Se il di verrà che andrà superba e lieta
D'esser mia patria, il vanto sol si lasci,
Che non languii sotto il suo ciel per fame ! ì>
E si dicendo, colla man tremante
Più volte e più quel sacro uscio percosse,
E allor che schiuso il vide, colla palma
La sua fronte covrendo : « Oh ! date un pane,
Sclamava, un pane al mio figliuol che muore! s
— 93 —
Un fraticel, cui la pietosa voce
Ratta dell'umil core apri la via,
La man dal volto gli togliea : poi scosso
Dal maestoso aspetto : « Ah ! vieni meco
(Con dolce accento gli dicea): sé il mondo
T'abbandona cosi, qui trovi almeno
Tuo travagliato spirto asilo e pace. »
Mesto l'altro il seguiva, e poi che un dolce
Conforto più dalle parole sante
Che dal cibo ottenea, traendol seco
Presso un ampio veron, d'onde apparia
Il sottoposto mar-: « Vedi (gli disse)
Quest'immenso oceàn, su cui lo sguardo
L'uom rivolge tremando? Il campo forse
Fia di mia gloria! Ah si, da' più verd'anni
S'io vi fissai quest'occhi, il cor sentia
Doppiar suoi moti, ed un'arcana voce
Pareami ognor che fuor dell'onde uscisse
Vaticinando a me mistiche note.
« Sappi (dicea) che quando il sole a noi
Cela il fulgor dell'infocata fronte,
Oltre quel mar la luce sua diffonde
Sovra incogniti lidi in altro mondo.
Ed a quel novo polo, a ogni uom negato
Finor, tu primo spiegherai le antenne ! »
— 94
O viva speme, anzi certezza intera,
Che i giorni miei, che le mie notti invadi,
Perchè dagli occhi miei si non traspari
Che trasfonder ti possa a ogni uom nel petto ?
Con incredulo riso ahi! veder deggio
Accolti intorno i detti miei, con volto
Dimesso gir d'una in un'altra sponda,
Quasi chiedendo per pietà che mecé
L'alto arcano non mora. — Oh ! patria mia,
Genova, che sull'onde impero avesti,
Serbarlo a te credea: ma tu già chini
L'altera fronte, e in te gloria, grandezza,
Possanza, ahi tutto svanirà tra poco
Di libertà col languido barlume !
O Italia, Italia, e ricusar potesti
Tu l'offerta di un mondo ? Ed or m'astringi,
Esule, errante, a mendicar, la vita,
E a soffrir le repulse e i duri motti,
L'invidia, l'arti, i tradimenti vili
Delle straniere corti ? Ed io sperava
Un lauro di tua man ! Ma no : che parlo ?
Se più quella non sei, sprezzo i tuoi serti,
Agl'istrioni o a' re serba gli allori. »
— 95 —
Si disse il grande : e già riedea quell'ora
Che il primo raggio mattutin si accende
D'un si lieve baglior, che intorno appare
Più mesta che nell'alta ora notturna
La pallida natura ; ed una luce
Venne improvvisa a rischiarar la fronte
A quel divo cosi, che in quell'istante
Un segno parve del favor divino.
Oh come conscio egli apparia dell'alta
Sua mission ! Tra le sventure forte,
Generoso, magnanimo ! Lo sguardo
Tenea si fitto al mar, che il suo pensiero,
Al gran volo immortal spiegando i vanni,
Varcar parea dell'oceàn le vie.
« O chiunque tu sii (l'altro rispose
Con inspirati accenti), al volto, a' detti
Più che un mortal tu sembri. Or tu l'amplesso
Ricevi d'amistà. Da un'umil cella
Cominci la tua gloria : in ogni evento
Io consiglier, duce, fratello, amico
Sarotti al fianco : voce in cor mi grida
Che lo splendor di nostra età sarai. »
— 96 —
Ah forse un Vaneggiar di accesa mente
Mover potea dell'uom ramingo i detti ?
Ed il suo nome? Ei proferillo : oscuro,
Ignoto nome allor suonò. Chi mai
Rispondere a quel pio poteva allora :
« La man stendesti a un grande tra' più grandi
Che il sol mai vide, all'immortal Colombo ? t
O Colombo ! Colombo ! E perchè mai
Con profetico spirto in quell'istante
Non lesse intero l'avvenir quel veglio?
Detto t'avrebbe : « È assai men duro calle
Girne un pane a implorar di lido in lido, -
Che a vili e ingrati il dono far d'un mondo ! !
Tu possanza e tesori a lor darai :
Ed essi a te?... Lo spregio e le catene ! »
Genova, 1846V
- 97 -
NAPOLEONE E WASHINGTON
SONETTO
Com'aquila che obblia l'usato artiglio
Quando a' raggi del sol si volge e bea,
Di Bonaparte dall' ingrato esiglio
Lo spirto ebbro di sangue al ciel giungea.
Ma perchè atterra vergognoso il ciglio
Ei che imperar, solo imperar sapea?
Oh vista! oh incontro! dell'Italia al figlio
Di Washington la lieta ombra occorrea.
Ah mentre immoto quei sospira e tace,
Pensa ch'ei sol regnar fe' il brando e l' ira,
E l'altro il trono suo cesse alla pace.
Allor di Dio la voce in suon di sdegno
Lo riscosse, e gridò: « D'Italia or mira
Chi nascer figlio era di te più degno ! »
Genova, 1846.
— 98 —
P A R I N I (,)
Mentre coll'alma or lieta, or sospirosa
Vo' in ogni parte dell'Italia mia
Il piè volgendo, mentre in ogni sasso
Veggio una gloria o una sventura, in queste
Dell'insubre città sacre a Sofia
Auguste soglie, oh chi m'appare innanti
Che fin dal marmo par che d'ira avvampi?
Sei tu del Vespro e del Mattiti cantore,
Sei tu, Parini : io ti ravviso al ciglio
Cui corruga lo sdegno, invan celato
Dal sogghigno del labbro: io ti ravviso,
E all'acceso pensiero al tuo cospetto
L'italo Genio par che stenda l'ali
Di te superbo, e in guisa tal favelli :
— 99 —
« Oh potessi dal ciel dove ancor fremi
Sovra i miei fati, austera alma lombarda,
Coll'ardente desio rapir tuo divo
Spirto increato, e in questi freddi marmi
Ridestar moto e sentimento e vita,
E quel poter che me dal sozzo fango,
In cui m'ebber travolto estranie genti,
Trasse a libero volo ! Oh con qual onta
L'uom vidi allor contro l'altr'uomo armato,
E di Religion vestita il manto
Vil sacrilega donna, udii gridargli :
« Uccidi pur, chè chiede sangue il cielo. »
10 vidi agli occhi Poesia far velo
Cinta di bende lugubri, usurparne
Il nome udii la Vanità sonora,
Che alti sensi inspirar ben cauta evita
Di Tirannia ministra : e la soave
Figlia del ciel premea tremante al seno
Fra' singhiozzi e le lagrime que' prischi
Canti, in cui tutta trasparia la speme,
La gloria, il gemer lungo, e la costante
Ira repressa e non mai spenta in seno
Della tradita Italia; e non osava
Nota levar vinta dal suon dell'armi
— 100 —
E dal fragor delle catene. Oh allora,
Qual novo astro che brilli in buia notte,
Apparisti, o Parini, e di fulgente
Luce vestito io questo vago cielo
Novamente percorsi : il sol tuo verso
Con intrepido ardir su' labbri tuoi
Sferzò le dure leggi e i rei costumi.
Ed il vizio, che ascoso era e securo
Con orgoglio impudico entro i recessi
Delle dorate mura, udi fremendo
Entro il superbo petto il dardo acuto
Del satirico detto: invan piegarti
Tentò con oro e con viltà, che mai
Non percotesti adulator mendace
Le dure illustri porte ! E dove un'alma
Vedevi ornata di fulgor natio,
Non vil retaggio della cieca sorte,
Recavi a lei tuoi carmi : o nel beato
Terren tra' colli placidi, che l'acque
Dell'Olona ricingono con lieve
Insensibil pendio, toccar godevi
L'immacolata cetra, ed il tuo canto
Sempre al tuo nume, a Verità sacravi,
Insiem contento e libero. E pur tanto
101 —
Ardevi in cor di cittadino affetto
Per l'Italia infelice! In forti accenti
« Ahi misera la patria (alto sclamavi)
Cui figli rei rinnegano, chiamando
Lor patria il mondo, ed in orrenda guerra
Di fratelli e fratelli innondan tutto
Il comun suol di comun sangue ! Oh quando,
Quando sarà che un sol pensiero, un solo
Vero e saldo voler gl'Itali tutti
Annodi e stringa quasi un'alma sola ?
O perenne desio d'ogni alto petto,
Caro, antico desio, ch'eterno vivi
Per la membranza delle glorie avite,
Eterno ancor per le sciagure, oh alfine
Il ciel ti compia ! » — Qui la vaga fronte
Del genio apparve di quel foco accesa
Onde s'orna la speme, e un indistinto
Fremito intorno mi parea far eco
Sommessamente a quelle ardenti note.
« Pur te felice (ripigliò quel divo),
Che il tuo spirto sdegnoso almen non vide
Mercarsi a prezzo vil laudi ed onori,
E il mostro aquilonar fatto più ardito
Squarciar le membra, e tutto inebbriarsi
102 —
Nel sangue della tua patria diletta !
E su' lombardi tuoi fertili campi,
Che il sol vagheggia e con amor feconda,
Di tronche itale teste orrida messe
Sparger l'idra assetata e furibonda!... »
A tai parole, quasi fosca nube,
Che gravida di nembi adombri e celi
Una vivida stella, in cui lo sguardo
Seguendo il vol dell'alma ansio si pasce,
Avido indagator de' divi arcani ;
In men che il dico entro il suo vel si avvolse
Il favellante Genio. E come suole
Il villanel quando vaghezza il prende
Di più lungo lavoro, e il sol gli asconde
Il tesor di sua luce ; io tal divenni
All'improvviso disparir, chè lunga
Speme di udirlo aveami in petto. I sensi
Si mi legava la dolcezza ancora,
Che ben più non sapea dov'io mi fossi.
Se non che un mormorar di stranio accento
Mi percosse l'orecchio, e ben conobbi
Ch'era del Norte la fatal favella,
Onde l'Italo ancora in volto arrossa.
— 103 —
È questa pur l'Insubria (allor gridai),
Tua patria è questa, o mio Parini; o intorno
M'è del Danubio la pallente riva? —
Quindi, innoltrando tacita e pensosa
Gl'incerti passi, nel sentir sul volto
Aleggiarmi le ausonie aure natie,
Versai segreto pianto ! Ahi che pur troppo
Sovra il mio capo era d'Italia il cielo !
Milano, 18i6. > >
(1) Nel veder la sua statua nel palazzo Brera in Milano, nel 184-6.
— 104 —
IN MORTE
dell'insigne poetessa napolitani
MARIA GIUSEPPA GUACCI
CANZONE
(Letta in pubblica adunanza dell'Accademia Pontaniana di Napoli
nel 1849, mentre si opprimevano le nascenti libertà ).
Al sol dell'alme libere sospiro
Drizzi amorosa l'ale,
Tu che de' raggi suoi quaggiù splendesti,
Donna, che ancor vivendo eri immortale !
Or senza velo nell'eterno empiro
Vedi onde mova la virtù de' carmi :
Anzi mirarti innanzi a Dio già parmi
Temprar note soavi e pellegrine
Sovra l'arpe divine;
E a vera libertà levar tal canto,
Che ne' commossi abitator celesti
Trovi mercè d'Italia il lungo pianto !
Forse otterrai che giugnerà men lento
Del suo pieno trionfo il gran momento.
— 105 —
Da quegli anni in che il vergine pensiero
Amor dischiude e desta,
Solo di fiamma generosa e pia
Gli esempi t'accendean d'inclite gesta.
E , tutt'assorta nel disio del vero,
De' sommi antichi in compagnia ti stavi.
E con l'austero giudicar degli avi
Disdegnosa guatando il secol stolto,
Non il leggiadro volto,
Non le lusinghe dell'età fiorente
Pregiando, di tua cetra all'armonia
L'alme destavi a volgar ozio intente.
Narrava intanto di tua fama l'eco
Quanto lume del ciel fosse già teco.
— 106 —
E giunta poscia al tuo sentir perfetto,
Madre di cara prole,
Amor di chiaro sposo, eletto ingegno,
Pari mostrasti l'opre alle parole.
La luce del tuo vivido intelletto
Dolce scendea de' parvoli innocenti
A rischiarar le tenerelle menti :
Chè ben sapevi come il ciel ripose
In noi madri, in noi spose
Le sorti liete della patria o il danno.
Se progenie cresciuta al santo sdegno
Noi le darem dell'invasor tiranno,
Se concordi saremo all'alta impresa,
Bastano i figli nostri in sua difesa.
-
107 —
Delle greche virtudi ammiratrice,
Lieta sentisti in core
Che un di schernite, oggi levar la fronte
Possiam d'Italia in faccia all'oppressore.
Già dell'Adriaco mar l'alma Fenice
Accoglie d'ogni parte i nostri nati (1).
Nè più la patria invidia i tempi andati,
Che già per lei, non pe' tiranni suoi,
Folte schiere d'eroi
La sacra terra fèr di sangue rossa,
Dove stampa tuttor crudeli impronte
La fera stirpe e rea di Barbarossa.
Se fortuna mancò, l'itala mano
Ben rinnovò la gloria di Legnano.
-r 408
Pari all'augello dalle nivee piume,
Tu presso all'ultim'ora
Più dolce suon dall'affannato petto
Forse scioglievi a cosi bell'aurora... .
Quando del guardo il tremolante lume
Ahi l'eterna caligine coprio !
Deh, l'alta carità del suol natio,
Ombra amata, tra noi talor ti meni !
Forse gli occhi sereni
Qui un di vedranno a Libertade eretto
Perenne un tempio, e innanzi a tanto nume
L'error cacciato in bando e maledetto !
Di sangue tirannia non sazia mai
Di', le vedremo al piè?... Tu in cielo il sai.
-,
109 —
E poi che ardita i tempi rei cantasti
Nell'inspirato metro,
Un plauso a' forti ah non darà tua lira,
Che muta or giace sovra il tuo ferètro !
Ma lasciando il tuo spirto i membri casti,
Lieto vide le stesse sue faville
Gran fiamma secondar ne' mille e mille :
E nell'itala mano ancor mirando
Il non asciutto brando,
Nel suo partir dicea: Terra diletta,
Più alte prove di magnanim'ira
Or da te la tua figlia in cielo aspetta :
L'ora in cui fia gran vanto è già vicina
D'esser madre, consorte e cittadina.
— no —
Canzon, che ognor sul labbro suo gentile
Udii suonar si dolcemente altera,
Che de' lontani secoli la schiera
Ne andrà lodando intorno il forte stile;
Deh vanne a lei cinta de' tre colori,
Onde la nostra speme ancor si avviva!
Un ramoscel di lauro ed un di oliva
Tu le presenta, e di': — Pallida imago
Di te, non coglierà tuoi verdi allori
L'amica tua ; ma il suo desir fia pago
Se fin che viva andrà gridando intorno:
«D'Italia il lungo scorno
Oggi a lavar col sangue, e non col pianto ,
Infiammi la divina arte del canto. »
Napoli, 18Ì9.
(1) Era il tempo del memorabile assedio di Venezia.
— IH —
ITALIA
SULLA TOMBA DI GIOBERTI
POLIMETRO
Fra l'ombre quete di profonda notte
Qui a meditar tra le dilette salme
De' miei figli più cari oggi ritorno
Io derelitta Italia ! Oimè che vale
Che presso ad ogni avel spunti un alloro,
Se di sangue rosseggia, o un freddo marmo
Parte dell'alma mia chiude e nasconde ?
Tal eri tu, Sofo immortal, che l'alma
Drizzi rapida e ferma a quell'eterna
Libertà che non cade, e dove or corri
Del mio destino a favellar con Dio.
Tu del vero e del bello il vel squarciando ,
L'inspirato pensier si v'addentravi,
Che a te il creato i suoi misteri apria,
E l'avvenir suoi muti arcani. Ah certo
Nel Primo Amor, che all'universo è vita,
D'ignota forza allor cercavi un raggio
Che le tenebre mie vincer potesse,
— 112 —
E a libero sentiero aprirmi il varco
Fuor del lungo servaggio. Opra divina
Tu desiavi, e la chiedesti indarno
Da quel Poter che di pietà si ammanta
E accortamente ambizion vi cela,
De' ceppi miei dalla fucina antica,
Là d'onde a rivi ancor scorre il mio sangue !
Quinci più duro il disinganno mosse.
Pur dal solo tuo labbro udii la prima
Liberatrice altissima parola;
Tu fosti il divo, al cui richiamo io vidi
A' già stanchi occhi miei svolta una luce,
Per cui divenni ebbra di speme. E come
In altra etade il solitario Piero
Vide sovra ogni sponda al sol suo detto
Tutta l'Europa armarsi, e folte schiere
Correr per Cristo ad isnudar la spada;
Tal numerosi italici drappelli
Di crociati guerrieri alla tua voce
Sceser per me frementi all'alta pugna :
E il nome tuo tra' plausi e tra le faci
Echeggiava sull'Adria e sul Tirreno,
Te padre, te benefattor chiamando
Un popol tutto , astro bramato e puro
Di un novo giorno precursor divino.
O de' secoli ascosi ordin remoto,
Qual di voi canterà gli alti prodigi,
Che in di si brevi oprar, compier vid'io ?
— H3 -
Ecco dall'Alpi a Scilla
Una sola scintilla
Balena, striscia, e infiamma a gara i forti.
Le innumerate schiere
D'odiate orde straniere
Precipitose volgono le spalle
Innanzi a pochi prodi, e di lor morti
Spargono intanto l'usurpato calle.
Fuggon que' regi'in cui mettea spavento
Il proprio tradimento.
Par che fra nembi e tuoni
Cadano infranti i troni
Di lor che giuran libertade e pace,
Porgendo al reo stranier la man mendace.
Deposi alfine il secolar mio lutto,
Risorsi e respirai,
E del mio strazio almen raccolsi il frutto.
Ma tu primiero avrai
De' rapidi portenti i plausi e i serti,
0 vero, o ardito inspirator Gioberti!
— 114 —
Ma tacque, ahi lassa ! di vittoria il gridor
Chè di novo delusa io lo cangiai
In accento lugubre !... Alma sublime,
Che per la patria sol la vita amavi,
Nel cui sen custodita ognor fervea
Del suo trionfo la secreta speme,
Qual divenisti allor? Qual divenisti,
Quando un italo re prode e guerriero
Cinto de' tre colori ei stesso in campo
Sorse a' barbari incontro, e nulla valse
Il magnanimo oprar, chè in altri lidi
Esul, ramingo, e dal dolor consunto,
Cinto di gloria il mio cader lo spense?
Ma venne altro stranier che la fraterna
Destra stendeami, e a libertà ministra
La vantava pietoso, e in me coll'altra
Di soppiatto vibrò l'acuto acciaro
Venduto a' suoi tiranni. E pur nel seno
Pria di cader gliel ripiantai più volte,
Benchè di sangue esàusta. A tanta gloria
Sola non eri, o antica Roma. O forte
Bologna, o tu Brescia di eroi nutrice,
O tu Venezia, ne' cui gorghi ancora
Fremono a mille le barbariche ombre,
Contro il Teutono stuol che non osaste ?
Il valor vostro al vincitor nemico
Sfronda sul crine i fortunati allori !
— 115
Ahimè coll'ali nere
Sceso l'angel di morte
Svelse le mie bandiere
Tinte di sangue al generoso, al forte.
Su' miei deserti campi
Sta mutamente assiso:
Sol move il reo sorriso
Se la straniera scolta orma vi stampi.
Le madri addolorate,
Le vergini pietose,
Le derelitte spose
Qui vengono a cercar le spoglie amate !
Dove son queste, ahi dove? '
Risponde al lor lamento
Il sospirar del vento,
Che forse parte di quel cener move.
E l'antico terrore
A ripartir sen viene
Morti, esigli e catene
Tra' figli del mio cor sublime amore !
— 116 —
Allor volgesti a tant'orror le spalle,
Spirto pietoso, e dal mio suol lontano
A me soltanto ogni pensier sacravi,
Ogni fervido affetto , ed ogni 'nota
Della penna divina. E qual nell'ora
Che si avvicina al suo tramonto il sole,
Se d'atre nubi è l'orizzonte ingombro,
Pur cogli ultimi rai vi pinge un'iri
Che vaga nunzia di serena aurora
Le sbigottite alme ricrea ; tal presso
Al supremo tuo di, parole ancora
Di fede, di consiglio e di conforto
Mi volgevi da lunge; ed era, ahi lassa!
Era, o mio lume, il tuo saluto estremo !
HI
Ma libera una terra ancor mi resta,
Che ben si affida all'immancabil giuro
Di generoso prence; ed ei mi rende
L'amata salma, e sovra questa almeno
Pianger mi è dato ! — Dall'eccelse sfere
Verso la terra ove nascesti, o grande
Se innamorato ancor volgi il desio,
Mira il popol che amasti accorrer folto
Intorno al tuo ferètro, e l'alto affanno
Ch'ivi lo tragge, e d'ogni ciglio il pianto,
Ed il silenzio, e il vero amor che il mena
Spontaneo a dirti pace ! Un sol pensiero,
Un sol desir quivi lo aduna : or vedi
In quel pensiero, e in quel desir compiuta
L'opra tua più perfetta e più gradita !
118
Itali, un'ara è questa tomba. Ognuno
Vi si appressi pietoso, e sciolga il giuro
Di porre un fine alle contrarie voglie,
E non su' labbri aver fraterno affetto
E discordia nel core. Ormai n'è tempo ;
Di quel forte intelletto i sacri accenti
Vi rammentin l'orror del vostro stato,
Qual vi bramò, qual siete. Ed i cipressi
Onde si adorna quell'amato sasso
Talor verrà scotendo aura soave,
Che parlerà d'amor, di gloria. Oh veggio
Una splendida aurora, ed al mio sguardo
Cinta di eterni rai l'alma trasvola :
Di quel giusto immortal, d'onde non erra
Il vaticinio ecco favella: «Ardisci:
Il tuo diritto, o Italia, in eie! si ascolta :
Ardisci, e ancor ti assiderai sul soglio,
O non prostrata mai regina antica ! »
Torino, 1851.
— H9
CANTO MATTUTINO DE' FANCIULLI
DEGLI ASILI D'INFANZIA. PIEMONTESI
Spunta l'alba : all'ebbrezza di vita
Si ridesta la terra sopita,
E la notte già fosca nel cielo
Apre il velo — al sorriso del di.
Puro al par del profumo d'un fiore
Solleviamo all'Eterno l'amore,
E una voce dal labbro innocente
Riverente — sciogliamo cosi:
O Signor, se la culla n'haidata
Nella terra dal sole più amata,
A vederla perchè ne condanni
Negli affanni — e nel pianto soffrir?
- 120 -
Se di lei la più libera parte
A noi sorte propizia comparte,
Di tant'altra, che in ceppi ricade,
La pietade — ne vieta il gioir.
Qui raccolte si veggono insieme
La Giustizia, la Fede, la Speme ;
Tutto un popol qui vive securo
In quel giuro — che libero il fe':
Là dei nostri fratelli le sorti
Sono i ceppi, gli esigli, le morti;
Lo Spergiuro, il Terrore, l'Inganno
Ivi stanno — sul trono de' re.
Sovra tanti mestissimi volti
Spesso abbiamo gli sguardi rivolti.
Chi è costui? (domandiamo)— «Un proscritto;
— E il delitto?— « D'Italia l'amor!! »
Generosi! Quest'inclito affetto
Pari al vostro ne cresca nel petto,
E nel giorno invocato co' preghi
Si dispieghi — in un santo furor.
Come stella al pallente nocchiero
Sia la patria nel nostro sentiero;
Per disciorla dall'empie ritorte,
Pur la morte — a nói dolce sarà!
-m -
Oh ricalchi dell'Alpi le cime
Lo stranier che la insulta e la opprime,
E assecuri il suo pieno riscatto
Uri sol patto — fra cento città.
Angel santo, che all'ombra dell'ale,
Ne accompagni nel viver mortale,
Al Signor nell'altissima spera
Tal preghiera — deh vanne a recar:
« Libertà la sua luce gioconda
Sovra tutta l'Italia diffonda,
E il vessillo de' sacri colori
Tra gli allori — vi torni a brillar. »
Torino, 1852.
— 12* —
AIA ILLUSTRE POETESSA NIZZARDA
AGATA SOFIA SASSERNO
CARME
Non quei che vive entro dorate sale,
E tra danze e tumulti in ozio spende
L'ore fuggenti della vita, in questi
Tuoi carmi affisi il sempre asciutto ciglio.
Ma chi visse al dolor, chi l'alma aperse
A quella mesta poesia che scende
Quasi un'aura celeste entro gli arcani
Penetrali del cor, che lo riscote
A' battiti frequenti, a quell'ebbrezza
Del pianto, che improvviso ingombra gli occhi,
Quando lo spirto ad alto vol già presto
Le sconfortate ali raccoglie ; oh questi,
123 —
Questi, o dolce Sofia, le tue dolenti
Note mediti. e pianga! Egli ti segua,
Allor che innalzi dal terrestre esiglio
L'incompreso sospiro, e immota ammiri
Lo scintillar delle fiammanti stelle
Entro i sereni di pensosa notte,
E l'anima vi libri: e interrogando
Un astro vai dove il desio sorvola,
Se l'affannosa peregrina un tempo
Accoglierà pietoso, e i moti ardenti
L'ansio petto ne segue ; o allor che a' fiori
Un arcano pensier gemendo affidi,
0 il sovvenir d'un infelice affetto;
E dall'onde e da' venti odi levarsi
Del creato la mistica favella
Che il profano non ode. Ah f ben si apprende
Dal flebil canto tuo che al gioir l'alma
Raro tu apristi: e pur sempre soavi
Sono i gemiti tuoi, ch'anco tu siedi
Tra le felici, se del numer una
— 124 —
Sei dell'elette il cui bel nome è nova
Gemma d'onor che il crin d'Italia adorna!
Grati conforti di gentili accenti
Ognor tu spargi sulle altrui sciagure,
Mentre d'altri la gioia un'eco ha sempre
Anche ne' canti tuoi ; per essa allora
Le meste corde della lira a' lieti
Concenti del piacer vai ritemprando,
Come deserta rondine che ascolta
Delle compagne la canzon d'amore !
Ma il dolce stil che addentro ne commove,
Talor s'innalza, e di santissim'ira,
Arde ad un tratto. Se dinanzi al guardo
Ti appar l'Italia gemebonda, erompe
In forti detti l'anima sdegnosa
Lungamente compressa. E l'ozio imprechi,
Fulmini il vizio, e il già pietoso metro -
Obblii se ardita all'oppressor favelli,
A cui tripudio è il nostro gemer vano,
Ma il fremer no, che i sonni rei gli rompe.
— 125 —
Deh prosegui a bear di queste care
Melodie la tua terra : e anch'io nell'ora
Che più invita al silenzio, e il sole aduna
Sovra il Cenisio gli ultimi splendori,
Ed ama prolungar l'ardente addio
A questa Italia a lui diletta ; il guardo
Umido affiggerò sulle tue rime.
Nè un sol pensiero, un sol sospir, cui tutto
Il secreto del cor gelosa affidi,
Sfuggirà non inteso all'alma mia
A cui noto è il dolor!... Teco il desiro
In quell'ora pensosa anch'io rivolgo
Di Partenope mia ver l'almo cielo,
Che tu in vaghe armonie descrivi e canti:
E qual soffio d'amor l'aura ne sento
Che il profumo de' fior coll'ali accoglie
E lo sparge sull'onda, e il raggio estremo
Veggio del di che di sua luce indora
Del vasto mar la limpida quiete,
E qual fiaccola ardente alle notturne
126 —
Feste, il Vesèvo erger dall'ampio seno
Di fiamma alta piramide, che voce
Par della terra a chi la insulta e opprime.
O Sofìa, tu non sai quante membranze,
Quanto amor, quanto affanno in me si desta
A questa vision funesta e cara!
Lagrime amare bagnan le mie gote,
Mancan gli accenti... Ah tempra almen la cetra,
Sorella, a un suon men tristo, e a me di speme
Coll'amoroso modular favella!
Torino, 185*.
-
- 127 —
A SUPERGA
Quante volte da lunge ti miro^
O Superga, e ti volgo un sospiro !
Quante volte mi arresto pensosa
Nel mirarti fra nubi nascosa!
Più gradita poi riedi al mio sguardo
Sotto il dardo — del reduce sol.
Oh Superga ! una storia di pianto
Ti fa bella, ti cresce l'incantò.
Quando notte silente nel cielo
Ti ravvolge d'un lugubre velo,
In te vede il fervente pensiero
Un mistero — di morte e di duol.
— 128 —
Coronata di pallido serto
Sorge l'ombra guerriera di Alberto :
Un sorriso le labbra gli sflora
Mentre volge lo sguardo alla Dora.
Ma perchè corre all'elsa la mano?...
Ahi Milano — da lunge gli appar !
Nell'orror che gl'invade la mente
Pur balena una luce repente.
Oh mirate ! quel forte non geme,
Ma ripete in un lampo di speme:
« Per te, Italia, s'io morte incontrai ,
« Pur vedrai — la mia stella brillar !
Torino, 1854.
— 129 —
AL GENERALE
GUGLIELMO PEPE
RIME IMPROVVISE
Te miro alfine, o generoso, o invitto,
Che all'Italia sacrasti e braccio e core :
Vendicator del nostro antico dritto,
De' Teutoni terror, d'Italia amore !
Sulla tua nobil fronte io veggio scritto
Che la costanza è in te pari al valore,
E che, la man sull'elsa, attendi in calma
Quel novo giorno in cui rapita hai l'alma.
Fra le italiche stragi ed il martiro
Stavi solo dell'Adria in sulla sponda,
E del tuo brando ancor vedeasi al giro
Straniero sangue rosseggiar nell'onda.
Oh ! se in te sol si ardito esempio ammiro
Di cui non fu veruna età feconda,
Ben è ragion che Italia a te commetta
L'ora aspettata della sua vendetta !
Acqui, 1853.
9
— 430 —
PER NOZZE
. DI
DONZELLA TEDESCA.
CON
GIOVINETTO ITALIANO
CANZONE
Tu ancora, o giovinetta,
Il passo movi all'infiorata riva
Dove per man d'Amor ben rado arriva
Talor qualche gentile anima eletta.
Che se ad Imen l'ara si vede eretta
In uno o in altro loco, •
Quante coll'alma van cinta di gelo
Ove giugner dovria sol cui saetta
Quel divo ardente foco
Che a' suoi cari sentir concede il cielo f
Ma tu, nova angeletta in uman velo,
Non sei di un dubbio ardor fuggevol gioco :
Chè da' vaghi occhi tuoi movendo spira
Quell'alto amor che al sentir vero invita,.
Che l'opre eccelse inspira,
Ed a' mortali e all'universo è vita.
— 131
Solo è beata in terra
L'alma che vive riamata amante,
E l'ardue leggi de' mortali infrante
Verso novelle sfere il vol disserra.
Che se ferve nel sen terribil guerra
Nell'amorosa cura,
Pur ella è sola che ne innalza, e induce
Nostro interno disio che vaga ed erra
Ove ogni mente oscura
Rischiara il ben di un'infinita luce.
O vago fior, l'aura di amor ti adduce
Dov'ella spira più vivace e pura!
Qui fra gl'itali campi, e la ridente
Inesausta armonia che il ciel governa,
S'agita il core e sente,
E fiamma alberga in ogni petto eterna.
— 132 —
Forse in lontane sponde
Sotto nordico gel, negl'innocenti
Virginei sogni ti apparian gli ardenti
Lidi d'Italia, e i suoi giardini e l'onde.
E voce che al sospir fida risponde,
Qui, con note soavi,
Vieni, ti disse, a invidiabil sorte:
Vieni ove il suo col tuo destin confonde
Chi non curò degli avi
Oro o fulgor, ma le virtù del forte.
Te all'alto onor di madre e di consorte
Chiama la terra che da lunge amavi!
Ed ecco ancor da te la patria nostra
Prole temprata a fatti egregi attende;
Ch'uopo di chi la innostra
Non ha, ma di chi l'ama e la difende.
133 —
Ma par che torni e splenda
Viva luce per noi d'amore e d'armi.
Sorge un'età novella, e veder parmi
Che l'antica virtù gli animi accenda:
Ed ogni madre ed ogni sposa imprenda
A far con nobil gara
Redivivo l'onor de' prischi tempi;
Di un secol molle, oh desiata ammenda !
Fin che la donna impara
Quai sensi inspirar puote e quali esempi,
La gloria rieder può di Grecia e Roma,
Ove candida man l'elmo alla chioma
Allacciava sovente al guerrier forte:
Si che animoso ne' supremi istanti
A non temer la morte
Primo imparava da' begli occhi amanti.
— 134
Fra le italiche spose
Vieni, sorella, e in mezzo a noi ti assidi:
E il nostro duol più che il gioir dividi,
Chè a dure ed ardue prove il ciel ne pose.
Ah ben sai tu che le caduche rose
Non fur sola corona
Alle intrepide un di donne latine,
Che nell'armi e ne' canti al par famose
Della bella persona
Fin le grazie ponean spesso -in obblio:
E non ad infiammar breve desio,
Che spesso all'opre vili o al vizio sprona,
Brillava il lampo de' femminei sguardi ;
Onde anelando al lor sublime affetto,
Talora i men gagliardi
Di virtù nova divampar nel petto.
— 135 —
Canzon, deh 'vanne a lei
Che l'orme già nel sen d'Italia imprime;
E colle incolte rime
Dille che ignota è a te la sua sembianza:
Che se negletta sei,
Solo del volto suo potria l'incanto
ll labbro aprirti ad un più nobil canto:
Che fra l'itale rose e le viole
Correr leggiadra prole
Ella vedrà, volta agli esempi chiari
Onde si adornan le paterne mura:
Ivi per tempo impari
Che solo eterna dura
Fama d'invitte e di magnanim'opre,
Ma ogni vano splendor l'obblio ricopre.
Torino, 1854.
— 136 —
ALLE SORELLE
VIRGINIA E CAROLINA FERNI
CELEBRI SUONATRICI DI VIOLINO
Angeli d'armonia, fra gl'immortali
Chi quell'agi! divino arco vi diede,
Onde l'alma di nove aure sull'ali
Tra il suon delle superne arpe si crede?
L'arco è d'Amor, che più securi strali
Per voi vibrando, di sua man ve 'l cede:
Poi vinto ei stesso da possanza ascosa
Vi ascolta immoto, e ripigliar non l'osa.
Torino, 1854.
-
- 137 —
ALLE STESSE
Novo portento ! Da' celesti giri
Scendon due serafini,
E fan vibrar dall'arco elette note,
Onde arcani sospiri,
Arcani suoni l'alma avvien che ascolti :
E intanto al ciel rivolti
Tengon gli occhi soavi,
Onde un vago splendore
Par che le avvolga, e dall'eteree vie
Quelle vaghe armonie
Ver noi discendan per virtù d'Amore !
— 138 —
0 benedette e care,
Italiche sorelle,
Quando in lontane sponde
Volgete i passi, qual due pure stelle -
Di questo ciel splendete : anzi per voi
Quando di un dolce suon l'aere si abbella,
Dell'Italia il sospiro e la favella,
Il suo canto immortal di lido in lido
Recate, ove ne giunge appena il grido;
Onde talor si arresta e inarca il ciglio
L'attonito straniero.
Qual sarà dunque, ei volge in suo pensiero,
Di quel cielo il sereno,
Se agli angeli dà vita? E dal suo seno
Se parte tal dolcezza e tal concento,
Terra è quella di gloria e di portento !
Un tempo fu che ne' profondi abissi
Il suon potè d'innamorata lira
Impietosir l'Averno;
E il soggiorno dell'ira
Al risuonar delle inattese note,
Si rischiarò della celeste face
Di pietade e di pace.
E Morte Amor senti... tanto Amor puote!
Ed or con quei sembianti
Non opreran più ardite maraviglie
Queste del Bello Eterno elette figlie ?
139 —
Forse commossa la divina pièta
Da tanta melodia,
Farà che ritorni
Di più sereni giorni
L'invocato splendor; chè, se lassuso
Giungon sull'aure amanti
Del novo suon gl'incanti,
Attonita l'udrà di sfera in sfera
La sovrumana schiera ;
Anzi, maravigliando,
Sospender si vedrà l'etereo coro
Il suon dell'arpe d'oro !
Deh! seguite, o leggiadre; e àllor che intorno
Volgete il guardo, più de' plausi ardenti
Vi commova la lagrima pietosa
Di qualche alma gentile: oh allor soltanto
Che accende e vince il- cor più del pensiero,
Vantar può l'Arte il suo trionfo intero!
Torino, 1855.
- 140 —
AD
ADELAIDE RISTORI
per aver rappresentata li mia Tragedia
INES DE 0-A.STPtO
Ines! Ah sei tu stessa ! Ecco io ti miro
Qual ti compresi e ti sentii nel petto.
È questo il pianto tuo, questo il sospiro,
L'ardente, immenso e sventurato affetto.
Innanzi alla pietà del tuo martiro
Mancò la lena al trepido intelletto,
Cui vagheggiata e mal raggiunta imago
Appariva da lunge in riva al Tago.
Ma qui sull'Eridàno, ove diffondi
Nova luce su queste itale scene,
Donna sublime, al desir mio rispondi,
E di tua gloria un raggio a me perviene.
Quel tesoro d'amor che in te nascondi
Trasfonder sai nelle più fredde vene ;
E se foglia d'alloro a me si dona,
Tu me la porgi dalla tua corona.
— 141 —
Tu del tragico verso all'armonia,
Ch'è sol d'Italia nostra eterno vanto,
Traggi, se Mirra sei, Francesca o Pia,
Dall'alme un vero ed immortal compianto.
Segui animosa pur la nobil via,
Chè innanzi a te l'invidia ha l'armi infranto:
E di tant'arte il nobil magistero
Fiacchi e vinca l'orgoglio allo straniero.
Non vedi tu com'ei tutto ne invola,
E usurparne vorria quel vivo lume ?
Com'egli impor ne vuol colla sua scola
Le sue leggi, i suoi modi, il suo costume ?
Oh non ne tolga almen tal gloria sola
Chi profanarci anco il pensier presume !
Nè dica: <i A che il saper vantan degli avi?
« Fin sulle scene a me son fatti schiavi. »
Deh ! sorgi, e in questa almen libera arena
Alle patrie grandezze ognor t' inspira.
Allor dell'Astigian verrà serena
L'ombra che disdegnosa or qui si aggira:
Che dove amor del suol natio la mena
Sua prima e degna interprete ti ammira :
Tu, mentre il divo suo pensier comprendi,
Seco l' italo genio anco difendi.
Torino, 1856.
— 142 —
AMEDEO YI DI SAVOIA
IL CONTE VERDE (<>
BALLATA
Del mattin la prim'aurora, '
Rugiadosa e fosca ancor,
Cinge l'Alpe e l' incolora
Dell' incerto suo chiaror.
Ma che fia ! Quai nove stelle
Guizzan tra quelle cime ardenti lampi,
E di vivide facelle
Par che la valle sottoposta avvampi?
0 giovanetti guerrieri e amanti
Cui scaldan l'alma di guerra i canti,
Giovani donne cui vita è amor,
Udite il carme del trovator.
— 443 —
Di folti militi
Ricinto intorno
Un duce scovrono
I rai del giorno ,
Cui par sul tenero
Volto ridente
II bacio imprimere
L'età fiorente.
Ei dal suo limpido
Ciel di Savoia
Sempre all'Italia
Volse il desir,
Ed or s'imporpora
Di pura gioia,
Del suol d'Italia
All'apparir.
Alla vittoria
Corri, o garzone,
Ecco ogni despota,
Prence o barone,
Vinto sommettersi
Dinanzi a te.
- 14i —
Ove l' intrepido
Acciar balena,
Il vol di gloria
Lo segue appena,
Chè i vili a sperdere
Eletto egli è.
Di lauri incoronato
Riede al colle natio.
Oh se veder gli è dato
Quella che il, cor non può porre in obblio!
Quella ch'ei vide un di (dolce membranza !)
Vestita del color della Speranza.
Su, spargete di fiori
Al garzoncel guerriero,
Giovinette, il sentiero.
Oh qual di voi non ne diviene amante
Il suo valor mirando e il suo sembiante ?
E i più soavi allori
Per man della beltade
Sospirando desia !
Su, pel forte Amedeo
S'apra, o belle, il torneo.
Chi di si fresca etade,
D'alma si forte s'aprirà la via ?
— H5 —
Da lontane contrade
Accorron duci, araldi e cavalieri,
Brillan elmi e cimieri,
Lucide lance e spade,
E adamantine maglie
Ripercotono il sole.
I fervidi destrieri
Battono il suol colla ferrata zampa,
Anelanti alle corse e alle battaglie.
Ma vien la forte prole
De' Savoiardi Prenci: Italia intera
Oh quai cose da lei si attende e spera !
Di Amedeo già rifulge la fronte :
Oh mirate la possa d'amore!
Lo zendado ha di verde colore,
Verde il drappo sul suo corridoi-. ' .
Ma incontrato han gli sguardi del conte
La compagna dell'alma rapita;
Tutta in lei già raccoglie la vita,
Di sua mano sol brama un allor.
Squilla il suon che alla pugna l'appella;
Viva un'ansia la turba già invade:
Ve' , s' incontran, già s'urtan due spade,
Stan due forti sul campo a pugnar.
io
— 146 —
Non temer, palpitante donzella,.
Egli è prode, leggiadro e gagliardo.
Oh sorridi al guerrier savoiardo :
Quel bel capo ben puoi coronar.
Ma dove stende '
La bella Dora
L'onda, che cupida
Scende nel Po ,
. - È angusto limite
Al forte ancora :
Altrove intrepida
L'alma volò.
La croce sul petto, la guerra in pensiero,
Già valica l'onde d'Italia il guerriero :
La tomba di Cristo redimer giurò.
Vittoria lo segue, già i Bulgari ha vinti;
Gallipoli espugna da' forti recinti;
L'invitto stendardo sui merli brillò.
— 147 —
Ma sul puro orizzonte a poco a poco
In nugolo di foco •
Il sol tramonta in si lucente aspetto,
Che agli occhi par non abbandoni ancora
Quel ciel dond'egli nasce e il mondo indora.
Solo nel chiuso elmetto
Sta sul campo Amedeo: dove si aggira
Il suo fosco pensier guardando il cielo?
Ben lo svela il veder com'ei sospira,
Come allo sguardo mestamente anelo
La lagrima d'amor scénde a far velo !
Corron su lui duo Saraceni armati,
Che l'additano, irati,
E il credon già lor preda e lor prigione —
« Ecco il Conte (un gridò) che nulla teme,
« Che del nostro perir veste la speme!!,»
Ma di Cristo il campione,
Snudato il ferro lo aggredi si forte,
Che l'altro alla difesa ha il tempo appena.
« Ben qui venisti ad incontrar la morte »
(Quindi Amedeo gli grida); e si lo svena, ,
Che freme ei stesso alla cruenta scena —
— 148 —
Si arretra il vincitor che spento il vede,
Quando alle spalle il fiede
L'altro pagano in fin aMor tremante,
Si che già in copia il sangue
Perde Amedeo : ma non si arretra o langue, -
Ed in un solo istante
Con varii colpi quello incalza e serra,
E ormai non vede il vil come ne scampi,
Chè il suo nemico in un balen lo atterra :
E della spada vincitrice i lampi
Brillan tra l'ombre in que' notturni campi.
Ma che! già il forte
Vacilla e cade,
Il gel di morte
Ormai lo invade —
E chiome nere -,
Stringendo al petto
Volge il pensiere,
Volge l'affetto
Alla sua patria,
A quella terra
Che in pria nomavalo
Fiftmin di guerra.
149 —
Chè dell'Italia
L'amor tu sei,
Stirpe magnanima
Degli Amedei!...
Torino, 1856.
(1) la occasione del monumento in bronzo erettogli in una piazza di
Torino.
— 180 —
PER LE FANCIULLE
DELLA SCUOLA MATERNA DI TORINO
Qual praticel di fiori
Adorno ed olezzante,
Cui la mano leggera
Va coltivando di donzella amante;
Tal 'questa eletta schiera
Di leggiadre fanciulle è al guardo mio.
Chè d'esse al par prendon soave cura
Giovanette gentili,
Ch'ogni più caldo affetto
Non poser già nelle fugaci fole .
Che il vulgo onora e cole ;
Ma le feste e le danze
Fuggon sdegnose, ed in romite stanze
Le accende assiduo ardore
Verso infallibil segno
Ad elevar l'ingegno,
Ed a trasfonder nell'april degli anni
Tanto senno e virtute
In tenerelle menti,
E a vagheggiar soventi
Or nell'una, or nell'altra
Bellissima sembianza
Un affetto d'Italia e una speranza.
i'6i
Tempo verrà tra poco,
Fanciulle mie, che questi
Primi studi gentili, e il riso e ij gioco
E le dolci compagne
Abbandonando, su per ermo calle
Il pie volger dovrete, e della vita
Più, che le gioie risentir gli affanni.
Allor come colombe,
Che gli amorosi vanni
Spiegan tornando al nido; .
Col memore pensiero
Voi tornerete a questi anni ridenti.
Ed al funesto balenar del vero
Ad una ad una richiamando andrete
Ouelle virtudi, onde secura duce
Vi è già la prima luce.
Ed ahi ! poi che il dolore,
Prepotente signore,
A noi fu dato in sorte;
Poi che lottar con esso
Fu a noi dal ciel commesso ;
Voi gli saprete oppor de' prischi tempi
La sublime costanza e i forti esempi.
— 152 -
Ma quest'amata e cara
Nostra patria diletta,
Questa che ricco esempio
D'inimitata storia ne comparte,
Da voi non poco aspetta;
Anzi la miglior parte
Di sue vive speranze in voi ripose.
Vi mova a sdegno la viltà; vi miri
Inorridir chi agli oppressor sorride
E i molli tempi onora:
E quei che aspira ancora
All' itala grandezza,
O quei che ancor per essa
Un'opra generosa
Imprende o compier osa,
Ratto sul vostro viso
Un angelico riso
Sfolgorar miri che di laude il colmi :
Cosi sol, onorando i saggi e i forti,
"Vi fìa dato cangiar le patrie sorti.
— 153 —
E allor che al vostro sguardo
Più non sorrida l'avvenir, che tutti
Gli aurati sogni e le sperate arcane
Felicità svanir vedrete ; un solo
Un lume sol costante
Fia che a voi brilli innante,
Che d'ogni ben mortale
Splende più assai: quel lume •
Sta nel puro costume,
Del giusto nell'amor, ne' santi modi,
E in quella diva carità che splende
Quasi raggio di Dio di donna in fronte.
Nè mai dal vostro ostello
Si parta il poverello
Senza un pane e un conforto, e l'egro e il mesto
Trovin pietosa aita
Nel vostro accento e nell'oprar. Secure
Quindi aspettar potrete
Che volga ad altri mondi e batta l'ale
Questa che a noi fu data
Pellegrina immortale !
Che se nell'affannata
Nostra fuggevol vita
Recar sa un raggio di lassù, che renda
Meno inutil gravame
Questo nostro caduco e fragil velo,
Oh allor soltanto aspiri ardita al cielo.
Torino, 1856.
— 154 —
A
CARLO POERIO
PER LA SUA LIBERAZIONE DA' BAGNI DI NAPOLI
SONETTO
No, non v'ha' gloria, nè immortal corona
Che s'agguagli all'onor del tuo martiro :
Dal ciel di Dio la voce alfìn risuona,
E giunto il di della giustizia io miro.
Il reo, che offende e strugge, e non perdona,
Rende fra pene rie l'ultimo spiro:
A te fra' tuoi più cari oggi si dona
L'alba mirar del lungo tuo desiro.
Ah si t'allegra, o giusto ! Alfìn vedrai
L'Italia tua, per cui penasti tanto,
Terger libera ed una i mesti rai.
E, allor che fien le ostili aquile dome,
Lieto udrai dalla patria eterno vanto
Darsi di Carlo e di Alessandro al nome.
Torino, 1857.
— 185 —
IN MORTE DI BÉRANGER
CANZONE
Popol di Francia , o tu che alle profane
Feste, obbliato il tuo fratello ucciso,
Pur or correvi, alfin sorger ti veggio,
Sprezzar le gioie insane,
Onde talor fosti da' saggi irriso,
E seguir mesto un funebre corteggio.
Il tuo poeta più gentil tu rechi
All'estrema dimora. ',
Da quelle spoglie ancora
Par che voce d'amore a te sia volta,
E t'esorta e ti appella
Perchè l'arte de' rei più non t'accechi,
Perchè l'antica stella
Brilli su' tuoi trionfi anco una volta ;
E se di nuovo avrai liberi vanti,
Ei non invano a te sacrò suoi canti.
— 156 —
Vate immortal ! Per te l'ora di morte
Era di gloria. D'alto lume cinto
Ti apparve ogni tuo canto astro ridente.
Il generoso e il forte
Li ammira e cole; ma deriso e vinto
L'orgoglio vil ne freme, e il reo potente.
Tua fu la possa! Di tua mente il lampo
Un secolo rischiara :
E s'or sulla tua bara
Geme la patria che cotanto amasti,
Io per quel nobil pianto,
Alma gentil, con te di speme avvampo.
Scinte le chiome e il manto,
Se piange te, che Libertà cantasti ;
Oh ! quanta invidia a te si debbe estinto,
Co' carmi ancora hai combattuto e vinto!
— 157 —
0 Poesia, che nella man sorreggi
Come scettro la lira, alta reina
Sei di senno civil sotto ogni forma.
Sia che ad inique leggi
Imprechi, o a' fasti di regal rapina,
E fai che Tirannia per te non dorma ;
Sia che a,vivaci e lusinghieri accenti
Sciogli i labbri immortali,
E ripiegate l'ali
Delle Grazie e d'Amore in compagnia
E del Gioco e del Riso,
Scendi più bella a ingentilir le menti.
E tal gioconda in viso
Mostravi al Franco Anacreòn la via.
Ed oh portento ! Quel gioir, quel gioco
Di santa ira destava ardente foco !
— 158 —
Ma pure a meste immagini soavi
Tempravi, o vate, il suen della tua cetra,
Ed i lamenti d'usignuol solingo
Dolcemente cantavi,
O delle stelle il disparir per l'etra,
O il vol seguivi d'un augel ramingo :
E del deserto prigioniero il grido,
Dell'esul che tremante
Alla rondine amante
Nuove chiedendo va del patrio tetto,
Ne' tuoi pietosi carmi
Per te di pianto fa bagnar le gote !
Se patria e amore ed armi
Ti poser l'ali al nobile intelletto,
Ben è ragion che Italia mia ti ammiri,
E anch'essa a te consacri i suoi sospiri !
— 159 —
. Deh mira dal tuo ciel di quanta guerra
Segno ella è fatta e di crudel vendetta,
Si che teatro è di spergiuri e morti.
Ma pur dalla sua terra
, Surse chi pari a te viva saetta
A quei vibrò che in male oprar son forti,
E armato del mordace ardente stile
Impallidir fe' solo
De' potenti lo stuolo.
O Giusti, l'alma tua libera e pura
Or di Lutezia al vate
Favella della tua patria gentile.
Già le sorti librate
Son d'Italia e di Francia : a voi secura
L'alba si mostra di vittoria e vita,
Ch'ambi affrettaste colla penna ardita.
— 160 —
Ecco la folla si dilegua, e stende
L'ultimo raggio sulla Senna il giorno,
E al vate anch'esso par che dica addio!
Qual mestizia comprende ,
Qual disperato duol, quanto desio-
Tal voce volta a chi non fa ritorno!
Del sol t'innalzi sugli estremi rai
Forse, o spirto sereno,
E delle nubi in seno
L'aura natia l'ultima volta or bevi.
Forse lieve ti aggiri,
Ed alla patria ripetendo vai :
« Fine a' vani sospiri, »
E il grido animator da te si elevi.
Chè solo allor meco ripeter puoi :
« Sia gloria, o Francia invitta, a' figli tuoi ! i
Torino, 1857.
— 161 —
ALL'ANIMA DI UN BAMBINO
Oh sgorghi alfiri dagli occhi lassi il pianto,
Sgorghi... e la picciol'alma a me ritorni,
Ed aleggiando sul mio labbro colga
Come solea l'avido bacio!... Oh giorni
Di madre desolata !... Ovunque io volga
Il disperato sguardo, o il corpo affranto,
Più non ritrovo il mio Vittorio... — Ahi quando
E perchè ten fuggisti ?... Era l'affetto
Ond'io ti circondai men dell'amore
Di Dio fervente ?... In quai sfere volando,
In quai cieli, o diletto,
Trovar potrai più della madre il core?...
Era questo il tuo ciel, questo era il tempio
In cui viver dovevi, a te il donai
Dal di tuo primo... ed or che a tanto scempio
Sopravviver dovei, tu in questo petto
Assai più che fra gli angeli vivrai!...
H
— 168 —
Vuota mirar la cuna ove deposi
Questo fiore gentil...; Più dalla rosa
De' soavi labbretti, ove qual primo
Spiro d'amor di madre il nome errava...
Dagli azzurri amorosi
Occhi non bever più tanta dolcezza
Che avanza e vince ogni terrena cosa;
Morte assai meglio estimo !
Oh allor ch'ella troncava
De' giorni amati il breve corso, ascosa
A me si tenne... Io nella stessa ebbrezza
Dell'amplesso feral con cui stringea
La bianchissima salma avrei me ancora
Abbandonata, d'ogni cosa al mondo
Dimentica in quel punto... — Ed or l'aurora
Succede all'altra!... e non avrò giocondo
Un solo istante in terra: io nel tuo riso
Sol vissi, o figlio, e sol vivrò talora
Se al ciel, dove tu sei, mi volgo e affiso !
— 163 —
Chi mi chiamò?... Qual voce odo levarsi
Dalla terra profonda?... Un suono parmi
Che all'aure si disposa, e mi careggia
Soavemente il volto!... E terra, e cielo,
Tutto parla di lui!... l'anima alzarsi
A vol vorria, ma parmi allor ch'io veggia
Il piccioletto velo
Caldo ancor de' miei baci, e a sè ritrarrai
Vuol con tal possa, che ver esso inchina
Ho la pallida fronte, e l'amor mio
Sotterra si distempra, e si affatica
In vani amplessi!... Ahi vien la mattutina
Stilla che allegra i fior, sorge l'augello ;
Ma tu da questo avello
Non sorgi mai!... Tutto a me par che dica :
Ov'è Vittorio?... Ov'è delle paterne
Mura la gioia?... Ov'è quei che schiudea
Al padre il riso in fra le cure alterne ?
Ahi qual tremenda idea!...
Non riederàmai più!... Piangiamo insieme,
O madri desolate e senza speme !
— 164 —
Occhi miei spenti!... e che chiedete all'ombre
Alte di notte? Che chiedete a' cieli
Fiammeggianti di stelle e al tremolante
Raggio amoroso della mesta luna ?
Ah no, non si disgombre
Questa tenebra amica ! essa riveli
All'acceso pensier, su questo amante
Sen, la divina e tenera sembianza!
In quanti fochi aduna
Il firmamento io la riveggio, e spesso
Di mirarla men viva ahi m'addoloro!
Essa all'usato amplesso
Stende le bianche e fresche braccia!... Oh vieni,
O vaghissima larva!... Ecco io ti adoro,
E mi prostro e t'invoco... In fra i sereni
Ahimè ti perdi dell'eterea volta!...
Pari a fiamma che appaia e che baleni,
E tra i campi del ciel more travolta.
— 165
Io ti ringrazio, o arcana possa, o vaga
Vision che ne' sonni irrequieti
Un angel m' inviò fatto pietoso
Di queste angosce mie, del mio deliro!
Oh come avida e paga
Al cor lo strinsi e il vagheggiai. Ti miro,
Dolce amor mio, gli dissi... oh come allieti
La vita mia... tu vivi... e creder oso
Che un sogno infausto fu tua morte?... Oh questo
Se un sogno egli è, più desto
A cosi fero strazio il cor non sia!...
Vieni, o bell'alma mia,
Vieni, al padre corriamo : e allor più forte
Me lo stringea, tremando che rapito
Non mi venisse ancor !... Chi mi riscosse ?...
E il vital senso in dolce error sopito
Qual genio avverso a tanto duol rimosse ?
Figlio, mentr' io si ti mirava, oh almeno
Perchè teco non corsi a morte in seno ?
— 166 —
Te vivo, o figlio, pel mio sguardo amante
Il creato ridea, pareano i fiori,
È ver, di te men belli, ma più cari
Se a te li pareggiava, ed il sembiante
Di tue vaghe sorelle, e i bei colori
Delle lor bionde anella, e fin quei rari
Lor neri occhi amorosi eran più vaghi
Di tua luce raggianti ! Ed or dispersa
Quasi in arida landa
Ecco la mia ghirlanda,
Che in dolce orgoglio i miei desir fea paghi.
In alti sensi e generosi immersa
Vivea quest'alma, e il cor doppiava i moti
Per forti affetti ; ed ora altro che il pianto
Non vo' che più mi scoti...
Sul labbro tace della patria il canto ,
Nè avverrà eh' io più volga i pensier miei
In parte dove, o figlio mio, non sei !
- 167 —
O bella alma gentil, tutta sorriso,
Tutt'amor, tutta vita, e perchè mai,
Perchè scendesti si brev'ora in terra
Da' più lieti seren del paradiso ?
Quanto, oh quanto t'amai !...
Tu nella dura mia terrena guerra
Eri l'angel d'amor che qui m'apriva
De' celesti l'ebbrezza!
Innamorata a' rai di tua bellezza
Dimentica vivea dell'altra riva
Cui convien che il mortal volga il pensiero.
E tu (fatal mistero!)
Primo v'apristi desioso l'ale,
E di là mi sorridi, e a te mi chiami !
Figlio, se tanto mi ami,
E se Amor cela ancor divino impero;
Apra la mia prigion, si eh' io mi bei
Nel ciel dove tu sei !
S' io ti donai terreno viver frale,
Tu a me, figlio, darai vita immortale.
Torino, 1858.
— ICS —
LA COLOMBA ED IL PRIGIONIERO
O Colomba, che amorosa
Riedi a me nel muto obblio,
Vieni, o cara, e ti riposa
Fida ognor sul petto mio.
Dimmi : piangi al mio tormento
Con quel roco tuo lamento ?. .
Per me lasci l'aure e l'onde
E i bei soli e la campagna,
E fra tenebre profonde
Sola corri a me compagna :
Per qual forza o qual mistero
Voli sempre al prigioniero?
Forse, dimmi, una gentile
T'affidava il suo sospiro,
E nell'alma a te simile
Pianse teco al mio martiro?...
Deh ripeti il caro accento
Con quel roco tuo lamento!
— 169 —
Se di lei sei messaggiera,
Ratterrò la vita stanca :
Ogni mane ed ogni sera
Ch'io ti baci l'ala bianca,
Ove forse della mesta
Una lagrima si arresta.
Come in lei, l'ardor del core
Verso in te, mia dolce amica!
Se di notte il cupo orrore
Covrirà la torre antica,
E col gemito del vento
A me giunga il tuo lamento ;
Qual sospiro d'un amante,
Sol risponda a tue querele
Per le brune mura infrante
Il sospir del tuo fedele,
Che tra l'ansie invoca il giorno
Aspettando il tuo ritorno.
Tu, dall'aere d'amor pieno
Ritornando all'atra soglia,
Forse un di sul freddo seno
Poserai d'estinta spoglia,
E il tuo fido ahi muto e spento
Chiamerai col tuo lamento !
— 170 —
Ma che fia?... Dalla marina
Sorge appena il gran pianeta,
E tu riedi a me vicina
Qual non usi ardente e lieta ?
Ah di speme un dolce accento
Oggi parmi il tuo lamento !
O mia fida, ah non t'inganni!
A me aperto è il career tetro!...
Bianca amica di tant'anni,
Te a mirar mi volgo indietro,
E nel gemito del vento
M'accompagna il tuo lamento !
TorTno, 1859.
— 171 —
LE ULTIME ORE DI SAFFO
« Il pianto, il pianto solo, altro tu dunque,
O cor, non hai per isfogarti ; e questo
Eterno lagrimar non fia che basti
Una favilla ad ammorzar soltanto
Del foco ond'ardi?... O voi, lucenti stelle,
Che amando accoglie la cerulea notte
Nel rugiadoso velo; o mar che fremi,
E da' gorghi profondi innalzi l'onda
Al cupo infausto mugolar del vento;
O bianca luna, al cui tranquillo raggio
Schiudono i fior del variopinto seno
I soavi profumi ; o del creato
Favella arcana, in te pur non ritrovo
Nulla che mi riscota e mi ritorni
A un istante d'amor... quando io credea
Ch'altri una fiamma egual strugger potesse
— m —
A questa ond'io mi moro. Eppur quel volto,
Quel guardo amante, quella voce!... Oh vieni,
O sovvenir, co' tuoi colori ardenti
Me 'l dipingi qual era in quell' istante
Che a me diceva — io t'amo : il viver mio
Ch'io tutto accolga in quel momento, e alfine
In quel beato rimembrar ch'io mora!...
Faon! Fia ver che un'altra donna il foco
Trasfonderti saprà d'unico immenso
Amor che raro il ciel quaggiù consente ?
Forse funesta questa fiamma un giorno
Quanto a me stessa a te pur fia : me lasci
Derelitta, spregiata: avidamente
Intorno corri, e or l'ima or l'altra affisi,
Quasi a scoprir su quei gelati volti
Il cor di Saffo!! Oh sola mia vendetta!
Ne' freddi amplessi, negl' infinti detti,
O negli stolti accenti, una, sol una
Ritrovar non potrai da cui trabocchi
L'alma accesa da' labbri, e ti rammenti
Il nostro amor !... Gloria, desio fatale
D'amor nemico, non di te mi prese
Mai vano ardor; suonò spontaneo il canto
Dall'alma mia, qual mormorio leggero
D'aura che gema entro le foglie, o quasi
D'augel canoro a cui fu dato in sorte
— H3 —
Cantar tra' boschi i suoi cocenti ardori !
Ah forse un di, quando alla età lontana
Scenderà l'inno mio che disperato
Or mi erompe dal petto, alme gentili
No, creder non potran che a tanto affetto,
A' moti inconsueti or non risponda
Un'anima di gelo ; e le mie forme
Fingeran forse l'amoroso foco
Ad accender non use : e pur di bella
Mi suona il nome da infiammale labbra
Spesso a me mormorato ; e pure io veggio
Discolorar quei che quest'occhi affisa,
O a cui volga un sorriso ; e quei respingo
A cui dal guardo, assai più che dal labbro,
Spira il più vivo amor, sol un seguendo
Infido spregiator, chè tal destino
Mi fu da' Numi avversi in ciel prescritto ! »
Cosi diceva : e dalle nivee braccia
Cadea negletta la sonora cetra,
Dono del Nume. La dorata chioma
In onde lucidissime scendea
Intorno al bianco volto,
E il sottil velo avvolto
Sovra il candido sen, scosso da' venti,
Da' vaghi occhi accogliea lagrime ardenti.
— 174 —
t Ma che mai fia ? Tra' rami della selva
Udito ho un lieve mormorio che scosso,
Come un'aura che passa, ha quel fogliame :
E il bianco aspetto di donzella move
Qual vision sull'erba rugiadosa.
Ahi mesta e sospirosa
È anch'essa la gentile ! Udiam. Qual nome
Ha sulle labbra? Ohimè, non ben s'intende!...
Ma quivi al certo il suo diletto attende.
Oh belle ore di amor, quando ancor io
Lo attendeva cosi ! Se alcun tormento
Quell'ansia non pareggia, alcuna al pari
Gioia quaggiuso al rivedersi, al primo
Sguardo del sospirato, ah non s'agguaglia !
Certo il mortale sulla terra è nume,
Sol quando a lui concessa è da'superni
Un'estasi d'amor!... Fors'ella amante
È al par di me... Che parlo?—O amor, che sei
Per chi di poesia, ch'è amore anch'essa,
Solo si nutre ? Tu la vita sei,
Dell'universo la bellezza, il soffio
Animator che tutto regge, e tutto
Par che di te si vesta! E allor che fuggi,
Allor che d'ogni illusion più cara
Lasci deserta del poeta l'alma,
Quale ella è allor? dove seguirti? il volo
Per quali vie dispiegherà, che giunga
A delibar dell'alito infocato,
- 175 —
Ch'era a lei vita ed alimento, ancora
Una favilla ? Oh sete, ardente sete
Ella è pur questa ! il misero, che geme
Nell'ambascia di morte in fra i deserti
Senza una sola stilla,
Al desioso dell'amor somiglia :
Ve' di natura novo, infausto gioco ;
Sete è ancor questa, ed è sete di foco !
—Ma oh vista, oh vista! Ecco Faonche appressasi:
Come da lunge ancor vaga disegnasi
L'agil persona ! come il passo ha rapido
Su per l'erbetta ! oh vieni, vieni il trepido
Mio cor ti attende ! »
Or taci, o Musa, e- non dir, no, che al core
Le giunsero d'amor le sacre voci,
Ma non per lei ! Non dir che la silente
Ninfa attendea Faon fatto spergiuro
Al più possente immacolato affetto!...
Ah ! mal soffri quell'anima divina
Il tradimento rio : per un istante
Abbandonar parve la fredda salma,
Che cadde sovra l'erba, e che pietosa
Mano ahi non resse !... Ma la dolce brezza
Tornava i sensi all'infelice, e in essi
L'acuto strazio ! E poi che in vani lai
Fremè imprecando, l'immortal sua cetra
Brandi sdegnosa, e cosi sciolse il canto :
— 176 —
Ove son io?... la mattutina stilla
Fredda mi bagna l'infiammato viso !...
L'alba nascente in mezzo al ciel sfavilla
Col suo sorriso !
Ecco il sasso di Leucade ! Si ascenda
Fino alla cima che si lunge appare,
E meco la mia fiamma alfin discenda
Nel vasto mare !
O Amor, sospendi il trabalzar del seno !
O Amor, sospendi almen fino alla meta
Del mio cammino il tuo mortal veleno... .
E l'ire acqueta !...
Oh fero strazio ! e ancor di te favella
Ogni albero, ogni fiore, e invita al verso;
O Amor, sempre per te ride ogni stella,
Sei l'universo!
Sei l'universo, e in me tutto ti accogli !
Spento hai forse nel mondo ogni altro affetto,
E il foco poni, che a' mortali or togli,
Sol nel mio petto?...
Soavi occhi, che al cor forza mi feste,
O labbro onde ancor sento il dolce spiro,
O sembianze per me sacre e funeste,
Io pur vi miro !
— 177 —
Io, si, vi miro e sento, e fuggir bramo,
E sulle rive d'Acheronte ahi scendo !
Là quell'obblio che invan sospiro e chiamo
Là solo attendo.
0 Amor, so che il tuo sdegno a me si deve,
Nè in sen pur della morte avrò quiete,
Fin che questa smarrita alma non beve
L'onda di Lete!
Pur s'ei versa un sospir sul mio destino,
L'obblio non vo' d'ogni terrena cosa,
E volerò non vista a lui vicino,
Ombra amorosa !
Oh ebbrezza ! udir su quelle labbra ancora
Della sua fida l' invocato nome
Ne' sonni amanti, quando appàr l'aurora
Dall'auree chiome...
Oda il suon di mia lira, e si riscota,
Ed in estasi tratto a me favelli !
Di lagrima gentil bagni la gota,
E Saffo appelli !
Oh vana speme !... Amor più mai non riede
Nel cor ch'ei lascia, e di sè crede indegno.
Ei fugge , e giura a chi macchiò sua fede
Eterno sdegno !
12
— 178 —
O miei canti d'amor! Voi somiglianti
Foste a vano splendor che brilla e more,
E pur dal sen sorgeste palpitanti
Di vita e ardore!...
Che mi valse de' vati il foco arcano ?...
Non fama o gloria, amore amor voll' io :
Se non me 'l desti, io ti detesto, o vano
Dono di Dio.
Desio di Morte, oh come il cor mi premi !
Come fia dolce il tuo gelato amplesso !
In te parrammi ne' momenti estremi
Stringer lui stesso !
A lui stretta morrò!... D'intorno ei senta
Fiamma che in dolce fremer lo circonda,
Mentre me fredda avrà salma già spenta
Lalivid'ondaL.
Si disse la divina, e tal dolcezza
Da' suoi labbri movea, che tutto intorno
Tacea solennemente, e in quegl' istanti
Parve che il cielo stesso intento e immoto
Stesse a quei mesti accenti. Era quell'ora
Che si destan gli augelli, e allegri suoni
Vibran per l'odorate aure soavi,
E si drizzano i fiori, ed un concerto
— 179 —
Di vita e d'armonia palpita e move
Nell'aere amante e ne disgombra il velo.
Il pianeta vital col primo raggio
Scalda il seno alla terra : ella sopita
Lo sente e freme, e fin le sue latèbre
Scote d'Amor la possa !... Allor ch'ei sorge,
E tutta la feconda, e fin talora
La consuma e l'adugge; oh chi non vede
Che tutto crea, tutto distrugge Amore ?
Cosi Saffo infelice, ahi, la rapita
Anima errante trar sentia da ignota
E sovrumana possa, e fuor del velo
Sposarsi al foco animator del tutto!...
Ella il monte ascendea rapida e fisa,
Quasi corresse al desiato ! e intanto
Premean le molli piante e sterpi e spine,
E sanguinanti le movea per l'erto
Sentiero, inconscia d'ogni duol terreno !
E le rauche colombe, e le amorose
Lodolette tra' rami e tra le foglie
Batteano l'ali, e spinte dal disio
Mettean dolce un susurro, e tra' sospiri
E l'alternar de' baci il dolce nido
Sacro a' gaudii d'amor poneano insieme :
Le allegre cavriole in fra' boschetti
L'una l'altra inseguiva, e il lor veloce
Strisciar tra fronda e fronda arcanamente
Scotea le fibre; e fin la variopinta
— 180 -
Angue sorgea col fremer delle spire
Impaziente dell'atteso amplesso.
« Ahi tutto ama, diss'ella, e non contende
Amar natura a quanto or mi circonda,
Fuor che a me sola ! Oh almen quando l'errante
Alma fia sciolta del terreno incarco,
Ch' io parte sia dell'armonia che amando
Muove le sfere, ed il creato regge.
Me tu schiava volesti ; ed i miei ceppi
Sciolgo, e libera sono, e in brevi istanti
Io sarò un raggio di te stesso, Amore ! »
Tai fur l'ultime voci, e l'ardua vetta
Raggiunse e tacque : e sporte ambe le braccia
Sul mar fremente, rapida scomparve.
Cosi talora per le azzurre notti,
Pari a saetta, vivida fiammella
Balena e striscia per gli eterei campi,
E nella valle occidental discende !
Torino, 1859.
— 181 —
AD UN CIGNO
NEL LAGO DELLA VILLA REALE DI RACCONIGI
IMPROVVISO
O vago augello dalle nivee piume,
Che per le chiare e fresche acque ti aggiri,
Che vogar come nave hai per costume,
E l'aure empiendo vai de' tuoi sospiri;
Che val s'io qui tra l'onde e i fior ti miri
In cui voci d'amor natura assume ?
M'accorgo ben dovunque il guardo io giri
Che son del ciel natio lungi dal lume!
Pur te felice, che sul patrio rio
Un di suonar farai gli ultimi lai!...
Oh ! fosse al tuo simile il destin mio !
Chè al presagio lugubre ahi ! gelo e tremo,
Ch'io non possa levar, come tu fai,
Presso al mar dov' io nacqui, il canto estremo !
Raeconigi, 1859.
182
ALL'EGREGIA LOMBARDA
CLAUDIA ANTONA TRAVERSI
PER AVER FONDATO UN MAGNIFICO ASILO INFANTILE
IN SANNAZZARO
Mancante di vesti,
Di pane, di tetto,
Pel freddo languente,
Da tutti reietto,
Del povero il nato
Gemea sul cammin !
Ma Claudia in mirarlo
Sostò nella via,
E un angelo accolse
La lagrima pia,
Che crebbe le grazie
Del ciglio divin !
— 183 —
E là dove spande
L'eterno suo lume
Pietà, che lo sguardo
Tien fiso nel Nume,
Fervente d'amore
Recolla al Signor!
E ilciel ne rifulse!...
Accoglie i gementi
La bella pietosa,
Ne adorna le menti,
E in ampia magione
Cangiò lo squallor.
Oh ! il di che la patria
Vedrà nuovi prodi,
A Claudia gentile
Ne tornin le lodi ;
Chè in' essi alti sensi
Trasfonder saprà.
Magnanimo esempio
Che al mondo si addita !..
Dovizia che dona,
Che il povero aita,
Discender fa in terra
La diva Pietà.
Torino, 1860.
184 —
IL TRAMONTO
CANZONETTA
Tutto è amore!... Il giorno è spento,
E pur foco è l'orizzonte,
Fin la bianca intatta fronte
Fa dell'Alpi rosseggiar.
Ora amata! Io ti rammento
D'Ischia e Capri alla marina,
Sul mio suol di Mergellina
Del Vesèvo al fiammeggiar !
Tutta, o sol, quest'alma ardente
Nel tuo raggio si trasfonde,
Teco bacia quelle sponde,
Teco posa in grembo a' fior.
O memorie!... il cor già sente
Il poter del vostro incanto...
E dal ciglio scorre il pianto
Qual ne' giorni dell'amor!
— 185 —
Ahi qual velo, o Terra mia,
Covre ancor tua pura stella ?
Ma tu fremi, e ancor più bella
Ti riveli al mio pensier !
Deh per lei nella tua via,
Sol, che l'ami, or forma un' iri !
Dille : « Ardente a' tuoi desiri
Giunge in armi il tuo Guerrier. »
Torino, marzo 1860.
— 186 —
NELLA MORTE
DELLA ILLUSTRE POETESSA NIZZARDA
AGATA SOFIA SASSERNÒ
Alma gentil, pura, amorosa e santa,
Quaggiù di pianto e d'armonia nudrita,
Vidi anzi tempo consumarsi affranta
A poco a poco la tua debil vita.
Parea deserta, inaridita pianta
Tua sembianza languente e scolorita!
Ma i tormenti obbliando e i lunghi affanni,
Fermi drizzavi al Vero Eterno i vanni.
Chè là soltanto, o sospirosa, un'eco
Trovavi al tuo desio mesto, incompreso,
E ti parea da' cieli pianger teco
Angel che avesse i tuoi lamenti inteso.
Però non ti conobbe il mondo cieco,
Che di troppa virtù si sdegna offeso :
Eri genio romito ed immortale
Dannato a sopportar l'umano frale !
— 187 —
Quel dolce suon che da' tuoi canti mosse
Pace e calma soave all'alme appresta.
Nè del mare alle infrante onde commosse,
Nè al mugolar de' venti in ria tempesta,
Nè alle spietate armi di sangue rosse
Sdegnoso accento fosti a volger presta,
Nè infiammata s'udi tuonar per l'etra
Ira o vendetta mai dalla tua cetra.
Ma le tue note eran com'aura lieve
Che tra le verdi fronde erra e sospira,
Come il profumo che da' fior si beve,
Come un bel rio che in mezzo all'erbe gira,
Come il chiaror che placido riceve
Notte dagli astri e amor nell'alme inspira,
Come lontana arpa che parla al core
Allor che in bruno ammanto il di si more !
E Italia amavi, e sol per lei talora
Speme brillò sul tuo pallente viso ;
Chè nata, o mia dolente, eri tu ancora
Dov'ella schiude un sempiterno riso.
— Vaga Nizza , il tuo sol vince e innamora
Ogni stranier, che su' tuoi colli assiso
Al tiepid'aere che ad amar lo invita
Chiede gli torni la fuggente vita.
— 188 —
Ed or che i tuoi mirteti e le viole
E i campi olenti e la tua lucid'onda
Altri ne invola, il limpido tuo sole
Dirà che pur d'Italia è la tua sponda.
Odi un errante spirto che si duole,
Nè sai se il flutto o il ramo in sen l'asconda!
L'alma è di lei, che dal suo vel fuggiva
Quando il Franco mirò sulla tua riva.
« 0 terra mia (par ch'ella dica), o terra,
Che amasti tanto, e ha tanto Italia amata,
Tuoi prodi che per lei moriano in guerra
Meco ti chiaman più che illusa, ingrata !
Invan piangon tuoi saggi, invan disserra
Nova italica gloria e da te nata
Il prode, il forte, l'invincibil Duce
Che ovunque giunge la vittoria adduce.
« Ahi t'ebbe lo stranieri L'estremo addio
Men duro a me fu nell'agon di morte,
E pietoso fu meco il destin mio
Se il fral nOn resse alla tua dura sorte !
Ah ! tu sol piangerai, mio suol natio,
Quando Italia sarà libera e forte?...
No, non eterno è il pianto: eterno dura
Quanto dall'Alpi al mar ne diè natura. »
— 189 -.
Ti acqueta, anima eletta : e tra le sfere
Ove puro e benigno etere spiri,
Più degna patria or trovi al tuo pensiere,
Commossa al dolce suon de' tuoi sospiri.
Nelle notti serene io le leggere
Ali a te volgerò de' miei desiri,
E mi parrà che da una viva stella
Tu mi dica talor: «Vieni, o sorella! »
La seguirò finch'ella a poco a poco
Il breve corso al suo tramonto inchina.
Stanca del mortal canto, incerto e fioco,
Teco anelo a temprar lira divina !
Chè sol dov'è di Dio l' immenso foco
Degno canto all'Italia il ciel destina.
Me felice, se anch'io tra l'alme ardenti
Inni dirò di libertà frementi.
Tra i freddi avelli inosservata e sola
Veggio, Sofia, posar tua fredda spoglia.
Del pensier la mestissima viola
T'apre accanto la bruna umida foglia;
E l'angel che t'amò gemendocela
A te dappresso per la muta soglia ;
Chè sul divo suo cor con un sorriso
Bianco piegasti e addormentato il viso.!
Torino, giugno 1860.
— 190 —
ALLA ILLUSTRE IMPR0VVISATRICE NAPOLITANA
GIANNINA MILLI
ODE
Nelle notti dell'esiglio,
Quando il duol più m'assalia,
E volgeva e core e ciglio
Ver la dolce terra mia, .
Ripensando al primo canto,
A' prim'anni, al primo amor;
M'appariva in bianco ammanto
In quei lidi una donzella,
Mi traea segreto incanto
A raccorne la favella...
Eran note peregrine
D'inspirato e mesto ardor !
— m —
Per le piagge mie divine
La seguia col mio pensiero
Coll 'allor sul nero crine
Della gloria nel sentiero :
D'un'attonita infinita
Turba il plauso giunse a me.
Oh (le dissi) hai tu rapita
Ad un angelo la lira,
O de' cieli hai forse udita
L'armonia ch'eterna spira ?
D'onde vieni? e chi trasfonde
Questo foco arcano in te?
Non si preste scorrer l'onde
Vidi a un rapido ruscello,
Nè si ratte a vol diffonde
Le sue note amante augello,
De' soavi tuoi concenti,
Pari all'aure del tuo ciel.
Forza hai tu di trar le menti
Teco a vol per l'universo
Sulle imagini repenti
Del fatidico tuo verso :
Là nell'aere più sereno
L'alma oblia che in terra ha il vel !
— 192 —
Oh volgiam del cielo in seno
Del pensier gli ardenti vanni !
In quei regni d'onde almeno
Non ci scacciano i tiranni,
Tra le vaghe fantasie,
Nell'oblio del tristo ver !
Pur, se canti le natie
Aure e i fior del nostro lido,
De' tuoi labbri le armonie
Cangi allora in mesto grido,
E del duol nella favella
Novo incanto ha il tuo pensier.
Ma in que' cieli un'altra stella
Incomincia il suo viaggio:
Alla viva sua fiammella
Or la speme accresce il raggio...
Oh fidiam ! Quell'astro ha vinto
D'altre tenebre l'orror.
f
No, se Dio quel suolo ha cinto
Del suo lume e del suo spiro,
No 'l vorrà deserto, estinto
Nell'angoscia e nel martiro.
Come il sole su quei monti
Versa e lascia il suo fulgor;
— 193 —
Tal ne' genii arditi e pronti
Poesia suoi raggi aduna :
Ma donò fra tante fronti
Il suo bacio a te sol una,
E il tuo ciglio ardente e nero
Del suo foco scintillò.
Di', volgendo il piè leggero
Fra gli allór di Mergellina,
Di Virgilio e di Sincero
Giunse un'aura a te divina,
Che in un subito concento
Su tuoi labbri si cangiò?
Ma quel flebile lamento
Onde freme la tua cetra,
Misto ai gemiti del vento, '
Certo or giunse a Dio per l'etra !...
La mia mente ormai non erra; •
Di vittoria è presso il di !
Come rondine disserra
Dopo il verno il lieto volo,
Tornerem da tanta guerra
Amorose al patrio suolo,
Scioglierai tu allor quei carmi
Che non anco Italia udi.
15
- 194 —
Già in pensier vederti parmi,
Infra i rai di nova luce,
Celebrar la gloria e l'armi
Del gagliardo, invitto duce,
Ch'ivi giunge, e abbatte un trono
Di spergiuri e di terror.
Di quei canti udendo il suono
Scenderà co' tre colori
Lieto l'angel del perdono
Sulla terra degli allori.
Fine al sangue!... Ei reca in dono
Libertade, e pace, e amor!
Torino, giugno 1860.
! 95
AI VALOROSI
GIACOMO LONGO E CARLO DELLI FRANCI
I QUALI APPENA LIBERI DA DODICENNE PRIGIONIA
CORRONO A COMBATTERE I* SICILIA >
ED UN ADDIO
A' MIEI COMPAGNI D'ESILIO
CHE RITORNANO A NAPOLI
Che val se lunge ferva la vita *
Pel mesto in atra prigion romita ?
Che con bei sogni l'età fiorente
Soavi immagini gli torni in mente?
Ahi ! tutto è tenebre, tutto è mistero
Nell'antro orribile del prigioniero!
Ma la immortale anima errante
Se ascolta il murmure d'un'aura amante,
Se la fragranza sente d'un fiore,
S'ode un augello cantar d'amore,
O se compagna sola, amorosa
Fida colomba sul sen gli posa;
— 196 —
Pargli che almeno nel cieco obblio
Alcun risponda al suo disio,
Che l'universo abbia un accento,
Eco pietosa del suo lamento,
E tra le angosce pura una calma
De' ceppi immemore ritrova l'alma !
Ma quei che vittima d'un empio giacque
Allor che libero pensier gli nacque
Del giogo antico d'infranger l'onta
Con destra invitta e all'armi pronta ;
Se un suon guerriero per l'aere intenda
Che nel già muto career discenda;
Di duol, di rabbia avvampa insieme,
Tra mille smanie sospira e freme :
Già coll'indomito spirto si scaglia
Dove più fervida è la battaglia :
Già pugna, vince... Ma il guardo ei volge!...
Mura il circondano di orrende bolge !
E voi tal pena soffriste, o prodi,
Antiche vittime d'inique frodi:
Voi che snudaste libero brando
Il trono a infrangere del reo Fernando,
Ed or coll'animo non vinto e puro
Correte a sperdere novo spergiuro.
— 197 —
Per voi l'Italia al mondo intero
Mostri qual fede ha il suo guerriero.
Odano il vostro nome i ribaldi
Misto al terribile di Garibaldi,
Ch'or da Sicilia, ch'ei desta a vita,
Napoli a' forti seguaci addita.
E voi, compagni del lungo esiglio,
A cui rivolgo umido il ciglio,
Addio!... Vedrete la sponda e i fiori
Di Posilippo co' verdi allori !
Cento memorie con vago incanto
Verranno a tergere il vostro pianto.
Ah ben v'è noto che il reo che opprime
Con vil menzogna noi non redime.
Degno dell'empia stirpe onde nasce
L'odio or nasconde di cui si pasce,
E tra le fraudi il giorno aspetta
Della invocata crudel vendetta.
Ma voi del giusto la calma pura
Or dalle perfide arti assecura:
D'un re l'esempio già vi rendea
Costanti ad unica sublime idea.
Suoni di guerra per lui lo squillo
Ch'una è l'Italia, uno il Vessillo !
Torino, luglio 1860.
19R —
PER L'INGRESSO IN NAPOLI
VITTORIO EMANUELE
RE II Utili
CANTATA W
Vieni, o Prence! il balen di tua spada
Ti precorse di gloria foriero !
Vieni, o forte d'Italia guerriero,
Qui d'un popol ti chiama l'amor.
Mira, è tua questa bella contrada,
Questo ciel, questa sponda divina !
Mormorando Tazzurra marina
Plaude anch'essa al bramato Signor.
Per te solo di fiamma nascosa
Arse in sen questa fervida terra,
Pari a quella ch'eterna rinserra
Il Vesèvo fra il cupo fragor.
— 199 —
Ti seguiva coll'ansia affannosa
Fin su' campi di lotta cruenta,
Quando al sol di Palestro e Magenta
Dispiegavi l'ardito valor.
1a
Ti allegra, o Napoli ;
. Ecco i due Forti,
Che dell'Italia
Cangiar le sorti !
La man si strinsero,
E di speranza
Roma e Venezia
Ne palpitar.
Coro
Stella Sabauda/
Il corso avanza;
Roma e Venezia
Tu dèi salvar!
2a
Primo de' popoli
Udisti il grido,
Strisciò il tuo fulmine
Di lido in lido...
Tremanti i despoti
Si dileguar !
— 200 —
Oh giorno ! oh gloria,
Allor che il soglio
Terrai dei Cesari
Sul Campidoglio,
Primo a difendere
Il sacro altar.
Coro
O Re ! d'Italia
Sei la speranza,
Roma e Venezia
Tu dèi salvar.
3*
Si! del tuo libero
Acciaro il lampo
Vedrem rifulgere
Di novo in campo ;
E ancor dell'Adria
Terrà l'impero
L'antica e intrepida
Donna del mar.
Coro
O Re d'Italia,
Sprona il destriero ;
Roma e Venezia
Corri a salvar.
— 201 —
Coro finale
Garibaldi e Vittorio ! due spade
Feron salva quest'inclita terra !
Una è Italia ! Terribile in guerra,
Saggia in pace e temuta sarà !
De' trionfi è ben questa l'etade !
Viva il Re ! viva il prode, il possente !
Ei ridesta l'Italica gente
A una gloria che pari non ha.
Napoli, novembre 1860.
(1) Eseguita nel teatro di S, Carlo con musica del maestro cavaliere
Capecelatro.
— 202 —
PER LA COMMEMORAZIONE
DELLE STMGI DEL 15 MAGGIO 1848
IN NAPOLI l'I
Diva Pietà, che sulle tombe assisa
Pensi agli estinti, e velo fai di pianto
Al tuo sguardo che amante in Dio si affisa ;
Spesso io ti miro avvolta in negro ammanto,
E vuoi eh' io sacri a' generosi spenti
Dal profondo del cor lagrime e canto.
Pur di quei forti che in tal di rammenti
Il santo nome sol da te fu scritto,
Chè invan teco ne chieggo i monumenti.
Ma poi che del Borbone ulto è il delitto,
Su i merli di Gaeta Iddio ne addita
L'ombre, ond'egli severo è in suo diritto.
— 203 —
E per le vie dove lasciar la vita
Indi aggirarsi le riveggo, e insieme
Parlar fremendo della fe' tradita.
Di quella fe' che ormai più nulla teme,
Poi che qui regna il prode Emmanuello
In cui ne' tristi di ponea sua speme.
Narri di lui la storia, e mostri in quello,
Che se l'impero nell'amor si fonda,
Popol non v'ha che al prence fìa rubello.
Narri (ed il volto nelle palme asconda)
Che il primo colpo il reo tiranno volle,
Se di fraterno sangue ancor si gronda.
Atroce vista ! cieco d' ira e folle
Contro gli sgherri il popolo si avventa,
Mentre il bronzo feral tuona dal colle.
Rotte le vie, nella difesa è intenta
La città tutta in fiamme, orrida scena,
Che ad ogni istante si fa più cruenta !
Ahi mentre in lotta ria l'un l'altro svena,
E spose e madri e pargoletti un grido
Levan per l'aura di lamenti piena !
— 204 —
Che fa in tanta rovina il prence infido?..
Del veron sulla soglia, empio, si bea
Della vendetta che in quel core ha il nido.
E padre della patria egli potea
Nomarsi un tempo ? e prestar fede ancora
Fuvvi chi osava alla sua stirpe rea ?
Al suo popol che freme ahi l'ultim'ora
Ben sa che appresta, e ne trionfa e gode!...
Vile ! del tuo perir questa è l'aurora.
Tronca è mia voce alla nefanda frode,
Nè dirò di quai stragi in sua baldanza
Fu rea la turba che su i vinti è prode!
Ebbra di sangue e di furor si avanza,
E coll'armi impugnate ella penètra
Dove gli eletti della patria han stanza.
Ma quel grave consesso per la tetra
Aula non leva un grido, e fermo resta,
Si che a tal vista l'orda ria si arrètra.
Tal de' padri di Roma alla funesta
De' Galli apparve trionfante schiera
La maestade veneranda e mesta.
— 205 —
Ed una voce impavida e severa
Del re malvagio a protestar s' innalza
Contro l'arte perversa e menzognera.
Muti restano i tristi, che gl'incalza
Terror segreto, e forse ad essi in petto
Il cor per senso di rimorso balza;
E illesi escon quei forti. Oh in quale aspetto
Trovan la dolce terra ! ohimè, vien manco
Innanzi a tanto strazio il debil detto !
Rosseggia il sangue della luna al bianco
Raggio su i morti, e su i morenti a mille
Qual franto il capo, il petto, il volto o il fianco !
Tronchi lamenti coll'ultime stille
Altri mandan languendo, e ad altri d' ira
Ardon tra i semispenti occhi faville.
Lugubre un suon per la città si aggira
Che impreca e piange, e sulle sue rovine
La Giustizia di Dio scender si mira.
Vela, o Pietà, le luci tue divine,
Esule tremebonda!... Odio e Vendetta
Surgon d'Averno insanguinato il crine.
— 206 —
Esigli e ceppi e morti a che si affretta
A compartir tremante il re, se in cielo
Scritto gran tempo è già quel che l'aspetta?
Sull'abborrito suo putrido stelo
Marcisce il Giglio, e spento al suol si vede
Pria che lo colga dell'etade il gelo.
Vacilla il soglio ove mal fermo siede,
Poi che stampava nel sentier maligno
L'orme, d'infida stirpe il tristo erede.
Ma spuntava un sereno astro benigno,
E al suo chiaror forse dal ciel discese
Vestito un Grande di color sanguigno.
Qui l'eterno voler per lui si apprese,
Che appare, vince, e il trono infausto atterra.
Oh non mai viste sovrumane imprese !
È vinta alfin l'abbominata guerra !
Sorgi, e un riso d'amore apri, o Sirena,
A chi libera luce or ti disserra !
Nol vedi ? è Dio che a trionfar ti mena,
O diva Italia ! Emmanuel ti guida...
Poe' opra avanza, e la vittoria è piena.
— 207 —
In lui fisa lo sguardo, in lui ti affida,
Nè accenda mai Discordia in te la face,
Perchè il nemico del tuo mal non rida.
La Fama che di tue glorie non tace,
Se parlò di Magenta e Solferino,
Novi trionfi a nunziar si piace.
Quando compiuto l'italo destino
Avrem Venezia e Roma, alme onorate,
Tutte vi sentiremo a noi vicino,
Di quanti or vita a libertà donate
Dall'Eridàno alla sicula sponda !
Di voi canti ogni ardente italo vate,
Che il vostro sangue-'il patrio allòr feconda.
Napoli, 15 maggio 1861.
(1) Versi letti in puliMica adunanza.
— 208 —
PE' FRATELLI SAVIO
MORTI COMBATTENDO
ODO in lD'COIi.1, L1KTKO A. 61111
Itale madri, o voi che tutto in terra
Perdeste, ohimè ! donando i dolci nati
Alla funesta e gloriosa guerra
Onde liberi avremo i lidi amati;
Se intorno un'aura che sospira ed erra
A voi parlando va degli adorati
Estinti, oh in quella son d'amor parole
Di tutta Italia che con voi si duole !
O dolorose, a voi rivolgo il canto,
Ben che non abbian tregua i vostri affanni !
Ed ecco al guardo mio molle di pianto
Appare una gentile in negri panni
Là sulla Dora : a lei delizia e vanto
Eran due cari figli, e da' primi anni
Trasfuso aveano in lor del suol natio
Un indomato amor la madre e Dio.
— 209 —
Con quale orgoglio la materna cura
Crescer vedeva quella fiamma in essi !
E già dell'avvenir fatta secura,
Lor diceva, alternando i dolci amplessi :
Oh fortunati , a cui l'alta ventura
Serbato ha il ciel di liberar gli oppressi !
Se vi vedrò tra le vittrici squadre ,
Io beata sarò d'esservi madre.
Alfredo, Emilio! ite, o guerrieri ardenti,
Ite, già l'ora della pugna è giunta.
Chi ratterrà le vostre alme frementi,
E del fervido acciar l'ardita punta ?
Ecco il bronzo guerrier tuona fra i venti,
Vittoria dal valor non fia disgiunta.
Giovani entrambi generosi e forti,
Voi non arresta il suol sparso di morti.
Lugubre il canto sul mio labbro suona,
E tronche da' sospir son le parole.
Vinta è la pugna, e ancor tu vedi, o Ancona,
Tra fumo e fiamme impallidito il sole.
Alfredo il suo destriero innanzi sprona,
Mirar se l'oste ancor ne offenda ei vuole,
Quando improvviso un colpo ahi tuonar s'ode,
Che ferisce nel fianco il giovin prode.
u
210
Taccia il mio canto se una madre ascolta,
Che s' io piango, il suo strazio oimè qual fìa ?
Morir senza vederti anco una volta,
(Ei sclamava morendo) o madre mia!
E la bell'alma dal suo fral disciolta
Verso libere sfere il volo apria,
Chè la parte più eletta il cielo addita
A chi donò pel suol natio la vita.
Tu resti almen, tu, Emilio, alla dolente,
Di sua trepida speme unica meta:
Ma sostener la guancia sua pallente
Sovra il tuo petto, alto dover ti vieta,
Ch'ultimo asilo a tirannia morente
Te mira, o ardito espugnator, Gaeta.
Ella il sa, nè ti chiama; oh dura sorte!
Eppur l'è noto ch'ivi ancora è morte.
Scoppia in fiamme la terra : è nel supremo
Agon l'impero di spergiuri e frodi.
Del suo bronzo abborrito il rombo estremo
Inorridita, o patria mia, non odi ?
Colla voce e l'esempio, in dirlo io tremo,
Combatte Emilio, e grida: Innanzi, o prodi.
Ma un sasso spinto dall'accesa polve
Col capo in brani al suolo ahi lo travolve!
— 2M —
Ripiega l'ali sospiróse, o vento,
E non recar sul Po la ria novella.
Ivi è una madre; sull'infausto evento
Pietoso fia chi piange e non favella.
Non sappia no, che l'altro figlio è spento,
Che infranta giacque la sembianza bella.
Inesorabil fama a lei lo disse,
Ahi sventurata ! ed ella il seppe e visse!
Visse, e restò negli occhi suoi rappresa
La lagrima d'amor fatta di gelo.
Le avanza un figlio, e a confortarla intesa
Angel vive la figlia in mortal velo.
E l'alma sua gentil geme sospesa
Vagando incerta fra la terra e il cielo.
Pur se vedrà la patria in rio periglio
La forte le darà l'ultimo figlio.
Platani ombrósi della mia Torino,
Cui cingon freschi ruscelletti erranti,
Voi pingete alla mesta in suo cammino
Fanciulli ancora i duo vaghi sembianti.
Quando su' poggi or le sedean vicino,
Or con vezzoso ardir correanle innanti;
E spesso un angel per cantar di loro
Le recava tra l'ombre il plettro d'oro (\).
— 212 —
Or taci, Olimpia? ah esprimer tenti invano
Quel tremendo pensier che in te sta fiso !
Che tra i singhiozzi ti cadria di mano
Quel plettro, e bianco inchineresti il viso.
Solo rechi un conforto a te non vano
La patria che il dolor teco ha diviso.
Oh quei che udrà la storia tua funesta
Esclamerà : « Nova Cornelia è questa ! »
Napoli, 1861.
(1) Olimpia Savio, madre de' valorosi giovani, è autrice di pregiati poetici
lavori.
— 213 —
IL BERSAGLIERE
CANZONETTA POPOLARE PER MUSICA (1)
In quel nugolo di polve
Un drappello si ravvolve,
Mentre corre al par del vento
D'una tromba il suono io sento.
Tremi, fugga lo stranier :
Oh vittoria! è il bersaglier.
Come fulmine si avventa
A Palestro ed a Magenta.
Sembra l'italo Destino
Sovra i colli a Sammartino.
Oh d'Italia fra i guerrier
Viva sempre il bersaglier !
Sinigaglia a lui sgombrate,
0 vendute orde malnate.
S'ei difenda il suo stendardo
Ben lo sa Castelfìdardo.
Nostra è Ancona ! oh fra i guerrier
Viva viva il bersaglier!
— 214 —
L'ira sua chi fia che affronti
Di Teano sovra i monti,
Or ch'è duce a tanto ardire
Dell'Italia il forte sire?
Del Borbone il reo guerrier
Fugge innanzi al bersaglier.
Sul nemico s'ei si getta
Coll'ardita baionetta,
Di resister tenta invano
Chi gli nega il Garigliano.
Oh fra gl'itali guerrier
Viva sempre il bersaglierl
Vola, giunge alla sua meta
Sulle mura di Gaeta.
Ma sull'Adria ancor lo appella
Il sospiro d'una bella.
Tremi, sgombri lo stranier,
Che si appressa il bersaglier.
Napoli, 1861.
(1) Musicata dall'egregio mapjlro De Ciosa
— 2t5 —
IN MORTI
DI CAMILLO BENSO DI CAVOUR
CANZONE (*)
Te ancor la inesorata onda che il fato
De' mortali travolve, innanzi sera
Inghiotte ne' suoi gorghi? Oh attendi, attendi !
Or più non odi, o grande, il desolato
Grido d'Italia tua, la sua preghiera ?
La voce sua che impera
Sovra il tuo cor tu dunque ahi non intendi ?
Mira, fa di sua mano onta alla chioma
Roma, sclamando, Roma !
Mentre la folta tenebria di morte
Rapida covre il raggio onnipossente
Alla cui diva luce
Spezzar senti le prime sue ritorte.
Te all'voprar suo vuol duce
L'adriaca Donna, e chiede alla tua mente
Il di propizio in cui deposta alfine
La sua funerea benda
Coll'elmo in campo scenda.
Or di novo cipresso ahi cinge il crine !
Che già l'ora vicina è del periglio,
Ed a noi manca, o padre, il tuo consiglio.
216 —
Nella lotta de' secoli già spenta
Credean la madre di sapienza e d'arte :
Su quel sen palpitante ognor di vita
Stampava la profana orma cruenta
Lo stranier che ne avea le membra sparte.
Ma sulle dotte carte
Vegliava un'alma arcanamente ardita.
E poich'era del di la face estinta,
In rie catene avvinta
Donna gli apparve. Dal gentil suo petto
Grondava in copia il sangue, e colla mano
Scostava il negro ammanto
Onde velato era il divino aspetto.
Poi gli dicea nel pianto :
« Vedi qual soffro ancor strazio inumano !
Ed or che sento ascosa in me possanza,
Dell'efferato mostro
Più crudo è il doppio rostro.
Dimmi, o saggio, una speme ancor mi avanza,
O fìen vani per me di tanti forti
L'esiglio, i ceppi e le onorate morti ? »
- 217 -
Questo grido in quell'anima scendea
Come fiamma che invade e che divora :
E nelle notti insonni e nel perenne
Indomato pensier sempre parea
Nell'alta vision rapita ancora.
E giunse alfìn quell'ora
Invocata dal forte, ora solenne
In cui la voce alto levava ei stesso
In possente consesso.1
Oh allor primo suonò su i labbri ardenti
D'italo figlio il rattenuto amore
Per questa invitta madre,
Che invocava il suo dritto in fra le genti.
Ei ne inviò le squadre
A rammentar nel mondo il suo valore
Fin dell'Eusino sulla torbid'onda.
Del nòrte allor la stella
Impallidia, chè per la sua sorella
Francia un alloro da quel di feconda.
E per novo terror l'Austro presago
Mirò ne' vinti la sua propria imago.
- 218 —
Chi pari a lui coll'arti ardue di regno
Pur secondò de' popoli il sospiro ?
Chi alle contrarie voglie imporre un freno
Seppe, e menarle unite al gran disegno ?
Maravigliar l'età, ventura io miro
Che l'ardito desiro
A destar giunse anco a' potenti in seno !
E se parte costò di nostra terra
Una invocata guerra,
Entro i recessi di quel cor chi scese
E del suo duol profondo ebbe misura?
Oh pace al grande, pace !
L'eroe sdegnato a lui la man distese,
E se spezzò la face
Discordia, d'ire imperversar non cura,
E invan gli volge invidia il torvo sguardo.
D'italo pianto aspersa,
Sacra è sua tomba, e d'ogni colpa è tersa !
Spieghiam sovr'essa il fulgido stendardo
Nel giorno trionfal, ch'egli primiero
Volle Una Italia in faccia al mondo intero.
— 519 —
Odo un lamento!... Entro lugubre stanza
Io miro il giusto nell'agon di morte,
E il Re d'Italia che a lui geme accanto !
Ahi muore quei che pien d'alta fidanza
Pur or gli disse : « Al Campidoglio andremo. »
Ma il suo trionfo estremo,
Ed il più sacro è di un tal prence il pianto!
Però si sparge una soave calma
Sulla morente salma !
E del suo re la mano al sen di gelo
Recando, un raggio d'ineffabil riso
Sul pallido sembiante
Diffonde una immortale aura di cielo !
« O sire, a me dinante
Sta Ralia (ei dice), è dessa! io la ravviso. »
Non più ferita il sen, ma la divina
Lo scettro e la corona
Di propria man ti dona !
Non odo un suon da Iunge?... Oh lei regina
Riconoscon le genti !... Or cada estinto
Mio fral, ma Italia è rediviva, e ha vinto !
220
Addio!... ti segua il nostro amor, nè mai
Da tua memoria fia ch'ei si scompagni !
Addio! se un dubbio ti discese in petto
D'Italia tua sovra il concorde affetto,
Or beata sarai,
Alma, che sol per lei sentisti vita,
Che sull'Adria e il Tirren per te si lagni !
Mira pallida in volto e a duol vestita
La tua bella Torino ! essa t'implora,
Scendi nell'aula che a te fu si cara,
E degli eletti della patria ancora
Tu le menti rischiara !
Che all'opre lor se qui fu duce, o saggio,
Del tuo pensiero il raggio
Mentr'eri avvolto nel terreno frale ,
Non scenderà più vivo e più possente
Da te fatto immortale?
Là nel suo ciel te mira Italia e sente,
E il tuo spirto che ancor guida gli eroi
Verrà sul Tebro a trionfar con noi !
Napoli, 1861.
fi) [Letta in solenne adunanza poetica musicale tenuta in Napoli nella
grande sala della Biblioteca Nazionale per la perdita dell'esimio uomo distato.
— 221 —
SULLO STESSO ARGOMENTO
STANZE(I)
0 tu che riedi al cieJ, Spirto divino,
Volgi a quest'aula di sapienza i vanni !
Tu poserai qui presso al sol d'Aquino,
Che al par di te giurò guerra a' tiranni ,
E al Sofo che de' popoli il destino
Scrutò, svelando del passato i danni :
Chè d'ambo a compier l'immortal desio
A noi fe' dono di tua mente Iddio !
Tu piangi, o Italia?... Ah cessa! è tua tal gloria,
A cui null'altra in suo fulgor somiglia:
Gh'ei guidò libertade alla vittoria
Coll'armi de' potenti... oh maraviglia !
E se di nove gesta orni la storia,
La tua grandezza di quel senno è figlia :
Profeta de' tuoi vanti, ei già in Crimea
Le lombarde città salvate avea.
— 222 —
Speme d'Italia e amor, giovani ardenti,
Ch'io miro qui di pianto umido il ciglio,
Si aspetta a voi ne' già maturi eventi
Seguir coll'opra l'alto suo consiglio.
Nè van tributo a lui sol di lamenti
Volgiam, s'ei parte dal terreno esiglio,
Ma il suo pensier si compia, ed a quel saggio
Offriam d'Italia libera l'omaggio.
Di un negro velo cinte ancor la chioma
Due donne io miro presso ad un morente ;
Ed egli esclama: oh mia Venezia, o Roma !...
E il gel di morte l'invade repente.
Ma tu la possa che le oltraggia hai doma,
L'opra compiesti dell'ardita mente!
Ed ora lasci, o grande, il mortal velo
Sol per gioir della vittoria in cielo!
Napoli, 19 giugno 1861.
(1) Lette nella Regia Università degli Studi in Napoli , dove col concorso
della studiosa gioventù si collocò il busto del grande Italiano tra quelli di
S. Tommaso d'Aquino e di Giambattista Vico.
223 -
VENEZIA
STORNELLO
0 poverella mia, con veste bruna,
Che fai soletta presso alla laguna ?
Perchè t'asciughi gli occhi col bel velo,'
E guardi sospirando il monte e il cielo ?
Non lo sapete voi, sorelle mie ?
La povera Venezia non ha pace !
Scorre la gioia per le vostre vie,
Ed ella sempre afflitta o piange, o tace !
Stassi ognuna di voi vestita a festa,
Io sto sul mare scapigliata e mesta!
Ed ora guardo in questo lido e in quello
Se appare Garibaldi o Eramanuello !
— 224 —
Ditemi voi quando verran quei forti,
Per cui spezzate son vostre catene ?
Se per essi cangiar le vostre sorti,
Me toglieranno ancor da queste pene !
Ahi nell'aquila ria l'ira non langue ,
Mi morde il seno, e mi avvelena il sangue !
Voi, cui la libertà fea cosi belle,
Stendetemi la man, dolci sorelle !
Napoli, 1861.
— 225 —
IL PESCATORE DI VENEZIA
PEE MUSICA
O mia Venezia,
Nell'ora bruna
A te rivolgesi
Per la laguna
Il solitario
Canto d'amore
Del pescatore.
Odo i tuoi gemiti
Tra il vento e il flutto,
Ti vedo piangere
Vestita a lutto,
Ed al tuo strazio
Si spezza il core
Del pescatore !
18
Ma veggio splendere
Dall'orizzonte
Un raggio vivido
Sulla tua fronte !
L'astro è d'Italia
Che infiamma il core
Del pescatore.
De' nembi il fremere
Per lui non temo.
Il di mi annunzia
Ch'io getti il remo,
E che alla patria
Sacre fien l'ore
Del pescatore !
Ohimè la libera .
Canzon mi è tolta...
Odo l'austriaca
Notturna scolta!...
Tu acqueti, o fulgido
Astro, il dolore
Del pescatore.
Napoli, 1861.
— 227 —
INNO POPOLARE DEGLI ITALIANI
Salva l'Italia, oDio,
Da' rei nemici suoi !
Seconda tu il desio
De' generosi eroi
Di questa madre intrepida
Del genio e del valor.
Sorgi. (dicesti), ed ella
Apri le spente luci !
E al raggio di sua stella
Mirò due forti duci,
Che il capo le ricinsero
Dell'obbliato allòr !
Temuta e forte or siede
Col serto in sulla chioma :
E pien di onor, di fede,
Vedrà Vittorio in Roma,
Vittorio, amor degl'Itali,
De' despoti terror.
— 288 —
Gran Dio, dal sonno scossa
Se il cenno tuo la vuole,
Nulla veder mai possa
Di lei più grande il sole !
Discenda l'invincibile
Tuo spirto in lei, Signor !
Napoli, 1801.
ALLE MIE DUE BAMBINE
ROSINA E FLORA
Non mi curo se la vita
Co' suoi fior più non mi affida,
Se alla speme già svanita
L'avvenir più non sorrida,
Sul mio core ho due sembianze
Che mi parlano del ciel.
S' io vi miro, di speranza
Viva luce ancor mi abbella.
Come in cielo ardenti danze
Move or l'una, or l'altra stella,
Tal nel guardo a voi scintilla
Vago lume senza vel.
— 230 —
O Rosina, a te non brilla
D'un gioir che non ha posa
Quella tenera pupilla
Sempre languida e pensosa :
O bambina, e t'ange il petto
Già del mondo il tristo duol ?
Forse pria che al nostro affetto
T'inviasse il paradiso
Di mestizia l'angeletto
Ti baciava il bianco viso,
E non visto a te d'accanto
Ti accompagna col suo vol?
Se di gioia ascolti il canto,
I begli occhi affisi e taci.
Ma si velano di pianto,
Ma diventano loquaci,
Se una storia di sventura
Odi intenta rimembrar.
Il tuo bacio è a me qual pura
Fresca stilla di rugiada
Che a conforto dell'arsura
Dopo il di sull'erba cada...
Ma il bel capo sul mio seno
Posi, e segui a meditar ?
— 231 —
Ah non turbi il tue sereno
Quel soave e mesto raggio ,
Ma di moti ardenti il freno
Ei ti sia nel tuo viaggio :
Sia la pura e dolce aurora
Di felice e casto amor.
Ma tu corri, o vaga Flora,
A me tenera e festosa,
E ch'io stringa al sen la suora,
Ben t'intendo, sei gelosa.
Altri moti ed altri affetti
Chiudi, o bella, nel tuo cor.
Nel tuo sguardo, ne' tuoi detti
Stan la vita ed il pensiero.
Quanto m'ami a dir ti affretti
Pria col ciglio ardito e nero,
Poi co' baci tuoi ferventi ,
A me sveli il tuo sentir.
Amorose ed innocenti
Son di foco tue parole,
Le tue chiome son fulgenti
D'un bel raggio del mio sole,
Colle anella all'aura sciolte
Il tuo volto ha un vago ardir.
Son le grazie in te raccolte
D'una tenera Andalusa.
S'altre gioie a me son tolte,
Sii d'amor per me la musa:
Ch'io ti stringa!... oh ebbrezze eguali
Solo han gli angeli nel ciel !
Se avverrà che tra i mortali
Spento il cor non vi difenda,
L'alma mia distese l'ali
Sul bel capo a voi discenda,
Qual si aggira un'aura errante
Su due fiori in uno stel.
Sentirete spiro amante
Che a voi parla e vi circonda
Fin tra il rezzo delle piante,
Fin tra il murmure dell'onda :
Forza ell'è che mai non muore
Questo ardor che in voi vivrà !
Io tra i regni dell'Amore,
Sol per farvi ancor più belle ,
Qualche raggio allo splendore
Rapirò di amanti stelle,
E di voi più elette suore
Forse il mondo non avrà !
Napoli, 1861.
— 233 —
AI MORTI PER LA PATRIA
CANTO
Fia ver ? sull'onde rapida trascorre
La nave che mi reca al patrio lido ?
E le lucide stelle, il mar diletto,
Il mio limpido cielo, e i monti e i fiori
Che già la mesta giovinezza mia
Confòrtavan di speme, alfin concesso
M'è riveder..., bearmi anco una volta
Dell'aure amate, del mio patrio sole
Dopo tant'anni!... Gli ultimi fulgori
Tramanda il di, mentr'io lo sguardo affiso
Per l'orizzonte avidamente, e il petto
Per ardente disio fassi più anelo !
E tra il cadente velo
Le invocate isolette ad una ad una
Ecco io veggio apparir sull'onda bruna.
Ignoia possa l'anima solleva,
E nel pianto d'amor che bagna il ciglio,
A voi rivolgo il mio pensiero, o prodi,
Al cui strazio dobbiam tanta salute !
Ah non di voi fien mute
— 234 -
Mai le italiche lire: e grata a voi,
O fortunati eroi,
Volgasi Italia in sue cangiate sorti,
Ch'ella rivive per le vostre morti !
Già sovra il mar fremente a mille a mille
Le vostre ombre si addensano, e silente
E prostrata le adoro. Una raggiante
Sanguigna striscia le circonda ! Oh salve,
Salve, o sacra coorte,
Ch'eterna vivi in braccio anco di morte !
Salve, o beata schiera,
Cui certo accolse, qual null'altra agguaglia,
Lucentissima sfera !
Per voi non vesta la feral gramaglia
Nè madre, nè consorte,
Ma sovra il suol del vostro sangue molle
Più il fior sorrida, e più l'aura gentile
Rechi il profumo al ritornar d'aprile !
E qual di voi, spento a' prim'anni ancora,
Tornar vorria qui nel mortal tormento,
Se ogni vostra ferita
Crebbe a noi gloria, a libertà la vita?
Le tronche braccia, lo squarciato seno,
E il capo infranto, e la cruenta strage
Di vostre membra, cui non regge il core,
Vi rendea della patria eterno amore!
«
— 23S —
Ed ecco uno di voi tra il rosseggiante
Aere ver me sorvola.
Io lo ravviso al colpo che gli fende
La fronte giovinetta, e al folgorante
Soavissimo aspetto !
Oh ben sei tu, ben è la tua parola,
Tu che primo cantasti « Italia è desta,
E dell'elmo di Scipio
La valorosa si cingea la testa ! (1) »
Or qual ti guida amor, tu che da forte
Là insanguinasti il piano, ove ancor l'alme
De' Fabrizii e de' Bruti attendon l'ora
Che del suo lauro fregi
La gloriosa chioma
L'antica madre di portenti Roma?
Or ben t'intendo! Qui tu ammiri amando
Ridesta, e sciolta dalla sua catena
La mia gentil sirena,
Che di novo splendor si scote al raggio !
Vedi quanto è più vaga, or che l'abbella
La bramata da lei propizia stella!
Deh fino a quando le funeree bende
Fia che vesta Venezia, e non ritorni
Al sospir nostro intera
L'itala libertà per te difesa?
Se il duce invitto Emmanuel percorre
- 236 —
La bellissima sponda, ove il ciel versa
Tutto l'italo lume, e le divine
Amate aure latine
Di libere vittorie, e di sol'una
Concorde idea si allietano; qual possa
Ancor l'Averno aduna,
Che a tirannia prolunga l'ore estreme ?
Ed or che alfine il nostro mar non freme
Più sotto il pondo di straniere navi,
In quali opre malvage ancor si affida
La infausta prole di una razza infida ?
E tu potevi tua possente aita
Prestarle, o Francia? Questa ch'or si schianta
Era già in odio a te malnata pianta.
Strana pietà ti vinse! e non sei quella
Che pur or vidi in campo
Piagata il fianco e il seno
Sciogliere i ceppi della tua sorella ?
Pur di tua man reggi il triregno ancora
Sul capo a lui, che senza te più sante
Orme, ove siede religion pensosa
Del già incruento, or profanato altare,
Stampar forse potria ! Deh l' immortale
Opra tu compi, ormai n'è tempo, e sgombra
Il nido ancor di tenebrose frodi
Per noi morendo il vollero i tuoi prodi !
— 237 —
Coll'ultima speranza
Si atterri alfin Faquilonar baldanza.
Oh se allontani libertà che adori,
Ti cadon dalle chiome
Quei che avesti per lei famosi allori !
E soffrirai che nieghi a te la storia
Parte si bella di cotanta gloria ?
Già dell'ultima pugna odo lo squillo,
E le attonite genti
Sovra ogni nostra torre il gran vessillo
Sapran che brilla dispiegato a' venti.
E il fiammeggiar veggio di ardente spada
Che il cherubin d'Italia in tal momento
Stringe, ed anela di rotar tremenda.
Dallo scoglio immortal già già si sente
Novo grido di guerra : -
Trema intorno la terra
E conscio mugge il flutto. O generose
Alme, io colà correr vedrovvi a gara,
Svolte in nubi amorose,
Circondarlo e seguirlo : e se pur scende
In voi desio di vite,
Or le vostre ferite
Voi rinnovar vorreste ! Ed alla bella
Adriaca donna in pianto, ed al fremente
Ungaro che per noi discese in campo,
— 238 —
Se il desiato lampo
Del vostro acciar non brilla ; or novi prodi
Di pugna impazienti
Mossi dall'alto esempio
Del vostro invitto scempio
Qui la terra feconda, e li riversa
Sull'Idra sempre a Jibertade avversa !
Chè dove avvera inevitabil fato
Di Palermo i portenti, or qual non hanno
Speme gli oppressi ? oh allor l'ultima sera
Vide, e tremò sul soglio ogni tiranno!
E tu non mai sazia di morti, a cui
Nelle bramose canne
Versar vorrebbe Europa in copia l'oro
Perchè dal nostro lido
Sgombri il funesto ed abborrito aspetto;
Se nel tuo core infido
Vibrar più atroci colpi al nostro petto
Perfida agogni..., oh in sull'arcion già riede,
Mira, il regio campion di onor, di fede :
Mira, è quel desso Emmanuel che il fianco
Ti percosse a Palestro a che ristai ?
Sangue per sangue avrai, posa non mai.
Noi madri e spose, noi l'ultima prole,
S'anco ne avanza atta a brandir la spada,
Gli affideremo a gara
— 239 —
Perch'ei l'adduca ov'è il maggior periglio.
Noi con asciutto ciglio
Udrem l'orrenda lotta, in fin che il canto
Leverem del trionfo!... Oh presso all'ara
Si pianga allor, ma sia di gioia il pianto !
Or per gli eterei campi
Par che ogni ombra guerriera a me risponda
Coll'inno di vittoria: e sovra l'onda
Guizzano ardenti lampi,
Che l'alta schiera in dileguarsi invia.
Infinita armonia
L'aere trascorre, e assorta in quella io miro
Te mio dolce sospiro,
Mio primo amor, Napoli mia ! Felice
Al par che bella alfin tu sei. Qui sempre
Non fia che giunga un giorno solo a sera
Ch'io non volga il pensier teco a Caprera !
Il divo tuo liberator là veggio
Ancor di noi pensoso, -
Che invoca il fin del breve suo riposo !
Coll'alme di Melano e de' Bandiera
Egli ragiona! Oh di lor bocca io sento
« Una è l'Italia, è giunto il gran momento ! »
Napoli, gennaio 1861.
(1 ) Goffredo Mameli, autore del primo canto popolare delle italiche libertà .
IL 7 SETTEMBRE
INNO A GARIBALDI <*>
Salve, o giorno solenne invocato
Di portento, di amore, di gloria !
Salve, o giorno che altera la storia
Tra i più grandi suoi fasti segnò.
Garibaldi ! tu il nume, tu il fato
Sei pur sempre di Napoli amante,
Tu di ogni alma il sospiro costante,
L'angel primo che il cielo mandò.
Oh mirate ! colui che disperse
Folgorando un'armata ed un soglio
Dalla riva di un umile scoglio
A noi volge il saluto di amor !
— 211 —
Egli forse ha le luci converse
Ver la terra che a vita ha ridesta,
E gli spunta al pensier di sua festa
Sovra il ciglio una stilla del cor.
Garibaldi, tu il sai, questa terra
Ama, e foco indomato è l'affetto :
Non invan Dio le pose sul petto
Il Vesèvo, e l'incendio nel sen.
S'ella tace, il suo labbro disserra
A un sospir che ti volge amorosa,
Come donna lontana pensosa
Che si strugge invocando il suo ben !
Se ti noma, una vampa percorre
Le sue fibre, ed un inno guerriero
Di cui sol de' tremar lo straniero
S'ode intorno per l'aura suonar.
E chi freno a quell'ansia può imporre,
Se qui vieni, se in viso ti mira ?
Nell'amor che la investe delira,
Come l'onda fremente del mar.
Maledetto chi crede divisa
Da un gran Re la tua santa bandiera ,
Maledetto chi crede, chi spera
Che in tuo nome discordia verrà !
16
Garibaldi e Vittorio !... vi affisa
Tutta Italia, ed uniti vi aspetta,
Chè già l'angel dell'alta vendetta
Sovra il Tebro librando si va.
Fur vostr'àlme dal Nume create
Nel gran di ch'egli disse alla terra:
« Non più schiavi ! » e dell'ultima guerra
Da' tiranni lo squillo si udi.
Questo vile che d'orde malnate
Cinge e invade le nostre contrade,
Tutto senta il poter di due spade,
Al cui lume il suo trono svani.
Stirpe infida, che invano si asconde
Sotto l'ombra di possa già doma,
Sgombri alfine, e si sperda, chè Roma
Pe' malvagi e pe' vinti non è !
Nel gran giorno che invitta sull'onde
Nave ardita toccava il tuo lido,
Non sentisti di un popolo il grido,
Ch'era lutto e sterminio per te ?
Non vedesti di Capua sul campo,
Di Gaeta sui merli levato
Di tuo padre il fantasma scéttrato
Dirti : « È giunto il momento fatal ? »
— 243 —
Del Vesèvo entro nube sanguigna
Ei s'innalza, e fremendo di sdegno,
« Questo è dunque (egli esclama) il mio regno,
E gli schiavi eh' io vidi al mio piè ? »
Al suo fianco la larva maligna
Pur dell'avo spergiuro si affaccia,
E su i labbri coll'empia minaccia
La perversa compagna del re.
Ed intanto una turba infinita
Garibaldi, il suo padre, festeggia,
Vola intorno il gran nome ed echeggia
Per la volta stellata del ciel.
Di Caracciol poi l'ombra tradita
Sorger miro sporgendo la mano
A Cirillo, Carafa e Pagano
Ch'esultanti lasciàro l'avel.
A tal vista i fantasmi regali
Nell'abisso sprofondan fremendo.
Cupo un rombo si ascolta che orrendo
Scuote il seno al fiammante vulcan.
Distruttor di nostr'onte fatali,
(Ch'eran frutto di strazio e di danni)
Garibaldi, terror de' tiranni,
Stringi ancora l'acciaro in tua man.
— 244 -
La tua Roma, Venezia ti appella!..
Ogni fraude straniera fia spenta !
Cogli eroi di Palestro e Magenta
Su compite d'Italia il destin.
Ungheria la diletta sorella,
Che per noi s'è di gloria cospersa,
Geme avvinta dall'orda perversa
Sangue il seno, le vesti, ed il crin ;
Là corriamo, vittoria ci attende,
O la vita daremo per essi!
Libertade al Polacco, agli oppressi ;
Libertade ogni terra invocò.
Se la stella d'Italia risplende,
Ogni popol che geme si desti :
Alla pugna suprema si appresti
Chè il suo fato in que' raggi brillò.
(1) Declamato nel Teatro de' Fiorentini in Napoli nella sera del primo
anniversario dell'ingresso di Garibaldi in quella città.
— 245 —
GIACOMO LEOPARDI
CANZONE
Spirto gentile, che solingo errasti
Mesto, senza conforto, ed incompreso
Tra le ostinate ombre di un secol pravo ;
O tu che tanto amasti,
E il tuo sospir mai non speravi inteso;
Non più al vile o all' ignavo
Or giunge il suon delle tue forti note.
Mira, già si riscote
Italia, e rediviva
Compie del suo riscatto il gran portento.
Levarsi l'ombre del suo mare in riva
Di lor che feanla de' suoi danni accorta
Veggio, e bearsi, e il carme tuo divino,
— 246 —
O cantor di Conzalvo, ancor risento !
Oh come di raggiante aura ti avvolvi,
Quanto amor, quanta ebbrezza è nel tuo spiro !
Nè tra l'ira e il dolor più ne sconforta,
Il tuo sentir dell'italo destino ;
Ma la nube del dubbio a me tu solvi,
Dell'invocato di nunzio ti miro.
Oh qual cor giovinetto
Del primo raggio di virtude ardente
Non trabalzò nel petto
Al grido tuo fervente,
Nè di patria senti moti gagliardi,
Allor che un brando, un brando
Ivi ardito invocando,
Perchè il tuo sangue sol fosse a' codardi
Qual foco animator ? Se gloria or siede
Là dov'era silenzio, e sonno, e pianto,
Se dal funereo ammanto
Italia sorge, e al suo trionfo incede ;
Della luce che il capò le incorona
Gran parte a te, genio immortal, si dona.
- 847 -
E a te penso nell'ora
Che a meditar con dolce calma invita,
0 allor che irraggia la pensosa luna
1 monti intorno, ed i silenti eampi.
Dimmi, la sete ancora
D'immenso amor che ti attristò la vita
Appaghi alfin dov'ei tutto si aduna,
0 ancor mesta ed errante ombra ne avvampi 1
Quel pensier che.stimavi unica meta
Dell'alma irrequieta,
E il fervido tormento
Ch'ebbe di te misterioso impero,
Non vedi alfin ch'era desio del Vero,
Il cui perenne lume
Fiammeggia in fronte al Nume?
Entro al mesto mio cor non è mai spento
Il suono de' tuoi canti !
Se stormir tra le foglie ascolto il vento,
S'odo augelletti erranti,
Se l'Orsa splende colle amanti stelle,
Tutto quanto il creato
L'accento innamorato
Par che ripeta: e se talor di speme
Muta parmi la vita, un'aura freme
Intorno, e son tue note: oh allor con quelle
Esclamo: Il mondo sol due cose ha belle!...
Amore e Morte!... ah vero è si... Tu ancora,.
Tu lo sconforto d'ogni umana cosa
Sentisti fin dov'ei nel fondo è volto
In che il soffrir dell'uom trova il confine !
Ma la diva onde il vulgo si scolora,
E va fingendo all'anima affannosa
Cadaver dalla terra dissepolto
Privo di sguardo in un deforme ossame;
A te bianco vestita
E sparso il lungo crine . -
Sul niveo sen qual vaga donna apparve :
Pur col tristo cortèo di fosche larve,
Ovunque il passo volve
Ben sa che tutto è polve,
Che strugge dove tocca il suo velame t
Ma quando Amor la invita,
Quando la chiama con insano ardore,
Ella da fatal possa allor sospinta,
Corre ove ardendo muore
Un desolato, cui travaglia il petto
Dispregiato, potente, unico affetto !
Ahi da qual forza è vinta
L'alma che fugge l'universo intero
Come infausto deserto,
E con un riso alfìn mira il sentiero,
Per man di Morte a libertadc aperto!
— 249 —
Cosi tu la invocavi ! e in quella vaga
Età cui ride l'avvenir, che l'alma
Tra le sfere sorvola, ed arde, e abbraccia
Col suo foco il creato, ahimè tua salma
Da tal forza è consunta, e men s'appaga !
Tremante vedi il disinganno in faccia
Mentre amor chiedi, ed il poter ne senti,
Ed i tuoi spirti ardenti
Mirano in ogni stella
Un'anima sorella.
In quel fero supplizio, ed in quel vivo
Irrequieto tuo vagar non trovi
Che un aspirar perenne, e non un solo
Sospir che al tuo risponda, e che nel divo
Desio d'amor col tuo confonda il volo.
Nè più avvien che la speme in te rinnovi
La mestizia gentil, pari a una lieve
Nube che il sol di giovinezza asconda
Ed i raggi ne tempri, ed è soave
Più del gioir; pura dolcezza beve
L'alma che i moti amanti in lei feconda.
Ma da te sparve ! ed una tetra, oscura
Notte in tenebre folte
Ha tue speranze avvolte!
Come chi nulla attende e nulla pave,
Sul mondo affisi un disperato sguardo,
E della vita al limitar ti assidi,
Chè del mortal cammino s'impaura
— 250 —
L'anima stanca, e a Morte sol sorridi :
Ed imprecando al tardo
Suo giunger,! fremi tra infiniti affanni !
Ahi sventurato!... e pria de' tuoi vent'anni!..
Dimmi, nel viver tuo breve, fuggente,
Nell'ebbrezza del trepido desio,
. Di', non avesti un'alba in cui credente
Sentisti l'alma, e alzasti un inno a Dio ?
E della vita al novo pellegrino
Non sorrideano i vaghi sogni, e il primo
Destarsi amando in un pensier divino ?
Oh si, avesti un tal di, pria che nell'imo
Cadessi del dolor ! Si mel rivela
Il tuo vagar tra le natie montagne,
Quando per le campagne
Di Silvia udivi e degli augelli il canto !
Oh quanto ardor si cela,
Quanta speme in quel pianto !
Ma allor che tacque in te di amor la fede,
Volgesti il cor pien di tenèbre e lutto
All'infinita vanità del tutto !
Chè quel foco primier che in noi si accende
Nella più dolce etade,
E che negli occhi e nel pensier ci splende,
Parte ben è di Dio! Se spenta cade
Quella celeste illusion, smarrita
L'anima guarda la terrena via!
— 251 —
Chè un raggio di lassù solo le invia
Amor, fiamma immortale, estasi e vita !
Oh quante volte sulla verde sponda
Di Posilippo e Mergellina il passo
Pensosa arresto, e col pensier ti miro !
Sul crin, sul volto a errarmi
L'aura vien de' tuoi canti, e il tuo sospiro !
Ed or vederti parmi <
Colla pallida fronte affisar l'onda,
Ed ora il fianco travagliato e lasso
Posar tra l'erbe ove la tua ginestra
Erge il modesto capo, e intorno spande
GÌ' ignorati profumi ! Oh ben simile
All'alma tua, che fra terrene lande
È un fior deserto, abbandonato! Stendi
Ver lei la scarna destra,
E al sen recando il suo bel fiore umile,
Puro, immortal come il tuo spirto il rendi.
Ma pari ad essa che per vivo foco,
Che il Vesèvo le invia più mesta inchina
I suoi pallidi rami ; a poco a poco
Quella che chiudi in te fiamma divina
Sottragge a tanta guerra
Tuo frale affranto, e tua prigion disserra !
— 2S2 —
Ma quel supremo affanno
Onde suonan tuoi canti, ad una sola
Prima fonte attingevi, una sol era
Tua vera donna, Italia! Il torvo sguardo
Volgevi all'uno e all'altro suo tiranno,
Chè schiava nel pensier, nella parola
Qual vile prigioniera .
Languiva, e non un gemito possente,
Non un detto fremente,
Non canto aveva che tremar fa il reo,
E l'oppressor discora !
Allor sorgesti, e intorno a te si feo
Quasi una luce di novella aurora !
Pari al feroce Allobrogo che mosse
In sulle scene a' rei potenti guerra,
Per te pensò, si scosse
La generosa giovinezza, e in petto
Di sè senti scontento.
-E tu morivi! e non sapevi eretto
A libertade eterno un monumento
Dalla tua mano. Le pensose fronti
Chine ed intente sovra il tuo volume
Per d'Italia cangiar leggi e costume.
Com'ella or l'ire de' perversi affronti
Non vedi tu?... Non odi?... È il suon dell'armi
Di sua vittoria... E non avrà tuoi carmi! —
— 253 —
Oh Italia ! Italia ! il tuo dolore antico
Se in lui tutto è sepolto;
Volgi un pensiero, ed un sospir costante
Al tuo divino amante.
Io, mentre il suon de' tuoi trionfi ascolto,
Ver lui mesta e pensosa or volgo il passo,
E bacio e adoro questo sacro sasso !
Napoli, 1861.
— 284 —
PER LA PRIMA
GRANDE ESPOSIZIONE NAZIONALE
DELLE ARTI E DELLE INDUSTRIE ITALIANE
IN FIRENZE NEL. 1861
Già plaude il mondo alla tua doppia gloria
Italia mia, di civil senno e d'armi.
Ma se maravigliando a te la storia
Diè il primo vanto nelle tele e i carmi ;
Nell'arte industre la gentil vittoria
Si nega alla tua man, che avviva i marmi:
Ed ogni popol che ne aspira al vanto
Ti rivolge superbo il suo compianto.
Eppur quanta dovizia ad altre genti
Sempre recò de' grandi tuoi lo stuolo !
Ecco fra l'onda e il furiar de' venti
Flavio che addita a' naviganti il polo;
E il divo domator degli elementi
Che spiega a un altro mondo ardito il volo.
Nelle parlanti fila ha Volta immerso
Il foco agitator dell'universo.
Calpestò lo stranier le membra sparte
D'Italia, sempre al sorger suo rubello ;
E spente in lei gridando e scienza ed arte
Ne incatenava il Genio entro un avello.
Ma sull'italo suol da eletta parte
Sorge un suo figlio, il prode Emmanuello,
Per lei combatte, vince l'ardua gara,
Ed a quel Genio innalza un tempio e un'ara.
Vaga Fiorenza ! è ben ragion se appresta
Quel tempio in te dov'ebbe culto e regno :
Ogni cittade a libertà ridesta
Offre al suo piè d'industre mano un pegno.
Roma e Venezia anch'esse in negra vesta
Invian l'omaggio del non servo ingegno:
Nato fra i ceppi e il pianto è desso un fiore
Di costanza, di speme e di dolore!
Oh non più sol per le sue glorie avke
Nascer fia vanto in questa diva terra !
Ma nelle più lontane e più romite
Contrade se un suo figlio or move ed erra,
Troverà ch'ivi fur le glorie udite
Di nostra santa invidiabil guerra ,
Sapran quivi gli eroi, l'ire già dome,
E di Vittorio e Garibaldi il nome.
— 256 —
E all or che nostre fien tutte le sponde
Che il ciel ne diè, che strazia un empio artiglio;
Fervide menti come il suol feconde
Schiuder faranno al vulgo ignaro il ciglio :
Securo e altero correrà sull'onde
Dell'oceàn l'italico naviglio:
E mostrerà l'artefice negletto
Che può la man con libero intelletto.
Oh quando aperto del grand'Istmo il seno
Vedrem due mondi stretti in un amplesso^
Quando all'arti e al saper fia tolto il freno,
E scambiarne i tesor ne fia concesso;
Rechi anco Italia il volto suo sereno
Dell'industre valor nel gran consesso :
Invida no , ma lieta ogni sorella
A offrir verrà un alloro alla più bella.
Cessin le gare! Amor che vince e crea
Vuol che un popol la mano all'altro stenda,
E la dovizia d'onde l'un si bea
Farà che l'altro pur si elevi e splenda.
Cosi di libertà l'eterna idea
Sovra ogni oppresso il raggio egual distenda :
E ancora, o Italia, il genio tuo fecondo
Brilli qual faro all'avvenir del mondo.
Torino, settembre 1861.
RICORDI D'AMORE
AL MIO SPOSO
17
— 259 —
ALLA LIRA
ODE
T'affidai d'umil prego il mesto accento :
Deh seconda or, mia lira, il pregar mio!
Per te di novo l'aleggiar del vento
Il rechi a Dio.
Ei già l'udia, già mi rendea secura,
Tornava in pace a respirar quest'alma;
Dal caldo e il gel di mia prigione oscura
Sorgea la calma.
Chi mai, chi mai quell'armonia dolente
Ch'io ritentai sulle tue corde, o lira,
Udir potea?... chi rispondea? La mente
No, non delira!
Limpida voce al pregar mio rispose,
Qual di pietade soavissim' eco :
E l'alto accento in mesti lai compose
Per pianger meco.
— 260 —
Allor diss'io : Quel fremito segreto
Del tuo plorar, mia cetra, omai sospendi.
Quel suon t'invita ; ormai di speme un lieto
Carme mi apprendi.
E tu che scoti vivide facelle
Pur da fievol vapor non interrotte,
Più lungamente a scintillar di stelle
Prosegui, o notte.
Prosegui, almo respir d'aure leggere,
Nè vi sperdan le preste ale de' venti,
Mentre a me susurrate lusinghiere
Que' dolci accenti.
Oimè ! già tutto nell'obblio profondo
Torna in silenzio ! Illusion fallace !
La sola, oimè, che m'arridea nel mondo
Aura già tace.
O mesta cetra ! del gioir s'appanna
Per me quel lampo... altro non fur che larve!
Balen che presto l'uman core inganna,
Presto disparve!
— 261 —
UNA VISITA ALLA FLORIDIANA (1>
Allor che il primo mio sospir segreto
Io ti volgea, quando di tanti affanni,
Di cui teco son io preda innocente,
L'orror non prevedea ; ben mille volte
Dell'avvenir tra le nascose vie
Col rapido pensier correa secura ;
Fra quelle vie, comunque incerte arcane, ,
In cui l'uom sempre (ahi troppo cieco e folle !)
Mai di sperar non resta. Oh quante volte,
Chi pari a me felice, io ripetea,
Chi pari a me, gran Dio! lieta, se un giorno
Dato a entrambi sarà di ameni colli,
Di vaghi campi errar tra le solinghe
Ombre amorose, e l'un dell'altro al fianco
Respirar nelle pure aure silenti
D'esultanza e d'amor vita soave ?
E pur teco son io!.., questo è il bramato
Verde, solingo ed amoroso colle
Ch'io sognai scorrer teco, e mai più vago
Fingerlo nella mente io non potea.
— 262 —
Come accresce del sole il raggio estremo
Di queste vie sacre ad amor l'incanto !
Sia che il guardo volgiam tra fiori e fronde,
O sul natio Tirren la dolce vista
Vagheggiam da quest'erta della cara
Nostra città; sia che la striscia immensa
Pinta sull'orizzonte in puro foco
Miriam, che tutta di sua luce indora
Del vasto mar la limpida quiete.
Ma perchè mai se le nostr'alme amanti
Tentan levarsi ad innocente gioia,
Fosca idea le respigne ? Oimè ! se gli occhi
Dallo spettacol vago ritirando,
Affisiam l'un dell'altro il mesto volto ,
Ah perchè mai di pianto si fan pregni,
Ed un tremor le nostre membra scote?...
Oh ! quel sorriso che il tuo labbro sfiora,
Quel più non è ch'io vagheggiai tra' primi
Sogni d'amor!... Dov'è l'ardente sguardo
Che doppiar la mia vita un di solea?
Di giovanezza dove son le rose
SuU'amabil sembiante? Oimè tu meco
Langui e ti struggi ancor; nè di pietade
Speme è per noi, chè alla pietade il varco
Chiuse in un cor paterno avverso fato !
Ecco siam pari a quelle meste piante
L'una ver l'altra per amor converse,
— 263 —
Cui molto aere divide: a poco a poco
Mostran pallenti le conformi spoglie,
Ed il suolo ne spargono: nè vale
La brezza del mattin, non l'aura molle
A richiamarle a vita. Oh me soltanto,
Me colga il perversar di cieca sorte !
Voi, venticelli dall'amante spiro,
Che qui correte a careggiar soavi
L'erbetta verde, e i fior di color mille;
Voi rendete al natio vigor primiero
In lui la speme della patria, in lui
L'alto cor che all'oppresso e al reo pentito
Presta il poter di sua parola. O colli,
Ecco di quanti, e non sol mia, la cura
Confido a voi. Ma tu che amor ben senti,
Fulgido giorno che declini a sera,
Tu non tramonti al pensier mio. Col sole
Tu riederai dopo il girar dell'anno
Sull'arco adeguator d'ombra e di luce :
Ma già non spero in te bear serene
Le mie pupille. Ah questo raggio estremo,
Chi sa se allor fia che al mio pianto usato,
0 al pianto altrui sovra il mio sasso splenda!
(1) Amenissima villa sul colle del Vomero presso Napoli, abitata dall'in
fermo fidanzato.
LA PARTENZA
SONETTO
Alla tua madre amante, al padre antico,
Vanne, o lor solo amor, gloria e desio,
Vanne, del ciel dolce un sorriso amico
La via t'infiori al vago suol natio.
Men tre t'affretti al tuo bel colle aprico,
L'aura col suo sospir sol mova il rio;
Ma tutto taccia in men ch'io no 'l ridico,
Quando udrai da que' labbri : « O figliuol mio !...»
Amore!... anch'esso udrà quei cari accenti,
Ma intento e muto ei non ti faccia il core
Batter per altr'oggetto in quei momenti.
Ma quando al rieder tuo si apprestan l'ore,
Ascolta deh le sue parole ardenti,
E guida sol sia de' tuoi passi Amore!
— 265 —
LA LODOLA MESSAGGERA
ODE
Lodoletta dal ramo d'Oliva
Tu saluti l'aurora del di !
Tu fai l'eco alla querula riva
Che risponde al mio ben che parti !
Lodoletta, qui vieni, qui posa...
Di', ne udisti l'accento d'amor?
Deh ripeti la voce amorosa,
Deh conforta l'oppresso mio cor !
Si, volai : più serena l'aurora
Per lui svolse la luce del sol :
La sua voce, onde l'aura innamora.
Per dolcezza rattenne il mio vol.
— 266 —
Poche note!... ma vago un obblio
Mi vincea coll'incanto del dir:
Non rammento... ma dolce un addio
Disse all'aura con tronco sospir.
Taci ah taci! quel tronco sospiro,
Quell'addio sovra il cor mi piombò.
Ahi fu voce di mesto deliro !
La sua fida in quel punto nomò.
Va, ritorna... Se vedi il mio pianto;
Deh non dirgli il mio strazio crudel!
Sol rammenti, e gli dica il tuo canto :
Per te l'aura fìa pura e fedel.
Al suo fianco allegrate il cammino,
. Vaghi augelli, aure lievi per me:
Per lui rida tra' fior del mattino
Quel gioir che qui meco non è.
Mentre a lui di natura il sembiante
Lieti oggetti fingendo ne andrà,
Non gli dir che qui sola e tremante
La mia speme un conforto non ha !
— 267 —
Lodoletta, già corri ?... un lamento
Pari al mio ti precorre al volar.
Infelice! che dissi? ben sento...
Tu gli apporti il mio lungo penar !
Va, ti attendo al ritorno del sole
Per bearmi d'un puro seren,
Se mi arrechi le calde parole
Che già volge il mio fido nel sen.
— 268 —
LA LODOLA MESSAGGERA
RISPOSTA
Or che il sol volgendo a sera
Spiega pallido il suo manto,
Lodoletta messaggiera,
Che favelli col tuo canto ?
Donde vieni a dir t'affretta,
Messaggiera lodoletta.
— Il mio vol sull'aura alzai
D'un sospir della tua bella :
Io sull'alba la mirai,
Del mattin parea la stella :
Io ti reco il suo dolor,
E il saluto dell'amor.
— 269 —
— Di', piangea? — Sul ciglio errante
Ella il pianto trattenea ;
Che infelice è la sua amante
Ei no 'l sappia: mi dicea.
Di' soltanto che lo aspetta,
Messaggera lodoletta.
Tacque, e l'alma accompagnarmi
Parve allor che a vol sorgei :
Poi pensando che a posarmi
Sul tuo seno io mi verrei,
Da lontan mi richiamò,
Ed un bacio mi donò. —
Quanta invidia m'arde in seno
Degl'ignari gaudi tuoi !
Vieni; un bacio io pósi almeno
Dove il fior de' labbri suoi
Riposò la mia diletta,
Messaggiera lodoletta.
Come te sull'aure anch'io
Ah librarmi a vol Vorrei !
Sol coll'ali del desio
Più al mio ben non volerei :
Ne' colloqui dell'amor
Mi vedrebbe il nuovo albor.
— 270 —
Tu che il puoi, se a lei ritorni,
Di' le smanie desolate,
La tristezza de' miei giorni,
Le mie notti in duol vegliate,
E un mio giuro e una preghiera...,
Lodoletta messaggiera.
Di' che in sogno mi comparve
Breve gioia al dolor mio,
Bella come al guardo apparve
Nella sera dell'addio ;
Ma che l'ansia del gioir
Batto il sogno fe' svanir.
Dille... — Ah men di lei pietoso
Io t'affido i miei lamenti :
Ma se un'ara, un di festoso,
Una vita di contenti
Poi le additi, e dici: spera —
Lodoletta messaggiera,
Fia mercè del tuo messaggio
Un angelico sorriso,
Di quegli occhi un dolce raggio
Che fa in terra un paradiso...
Ma già corri?... Oh te beata,
Lodoletta fortunata!
Pasquale Stanislao Mancini.
— 271 —
LA TEMPESTA
SONETTO
Terribil notte!... Atro si addensa un velo
Rotto sol dalla folgore frequente,
Al tremendo fragor ch'erra pel cielo
Corron tetri fantasmi alla mia mente.
Or par ch'io miri, e in me discende un gelo,
Tra i ciechi orrori un pellegrin gemente,
Or fra l'onde un nocchier stanco ed anelo
Cui la stella polar tolta è repente.
Ma pari a questi non son io ? Qual mai,
Qual'è la luce a cui mi volga e speri,
0 chi mi dice al cor: Lieta sarai?
Tenebre!... ah sole voi mi rispondete!
Voi ministre di lugubri pensieri,
Voi della vita mia l'immagin siete!
272 —
SULLO STESSO ARGOMENTO
SONETTO
Più che il fresco respir di primavera,
E il gaio aspetto di fiorite zolle,
E degli augei la colorata schiera
Ne' folti boschi, e sovra i prati e il colle ;
Conforme al pensier mio par questa nera
Caligo, che nel ciel densa si estolle ;
E il turbin della rabida bufèra
M'empie di gioia disperata e folle !
Dolci pensieri della prima etade,
In cui questa io credea tutta sorriso,
Ogni vostra lusinga ohimè già cade !
Pura gioia innocente, ah vieni ancora,
Vieni a brillarmi anco una volta in viso,
E nel deliro tuo lascia ch'io mora!
— 273
AVE MARIA
Spunta la prima stella, e una preghiera
Vorrei volger dal core a te, Maria!...
Ma il labbro dice : Oh vieni, ecco la sera ,
Anima mia!
Vergin, che innamorasti il sommo Sole,
Si che in te pose tutt'i raggi suoi,
In quest'ora cogli atti e le parole
Preghi per noi.
Ma un sospir che vederlo a te sol chiede
(Oh perdona !) sull'aure a te salia !
Oh vieni, e avrò contento e gioia e fede,
Anima mia!
Si ammanta il ciel di nubi intorno intorno,
Tutto il creato par vestito a duolo,
E a me sorride mentre more il giorno
Quell'astro solo.
Il tremolar del suo raggio lucente
Degli occhi suoi par che l'ardor m'invia :
In quell'astro d'amor lo mira e sente
L'anima mia.
18
— 274 —
f
D'una lontana squilla a poco a poco
S'ode l'ultimo tocco : e mesta l'eco
Mi ripete in quel suon morente e fioco :
t Ei non è teco ! »
Vergin, qual pianto, e quanti preghi ho sparsi!
La man porgimi ancor nell'aspra via,
Si che al tuo divo amor possa levarsi
L'anima mia !
Ma l'aura tace, e flebile un lamento
Per l'aer bruno intorno a me si aggira,
S'agita l'onda, e solo ascolto il vento, ,
Che irato spira !
Dov'è la stella mia ? Fera tempesta
De' nembi al mugolar me la rapia!...
Ahi speme di vederlo a te non resta,
Anima mia!
Bianco vestita in mezzo al bruno cielo
Mi appari, o santa, o amor del Primo Amore !
Deh perdona, o Maria, s'io ti rivelo
Profano ardore !
E se temprar del core i moti ardenti
Più non m'è dato; almen l'anima mia
Ripeter possa fin tra i suoi tormenti :
t Ave Maria ! j
— 275 —
IL RITRATTO
t
SONETTO
Se il ciel fine imponendo a miei sospiri,
Vuol che al tuo si congiunga il destin mio,
Lieti rammenterem gli aspri martiri,
E l'ardor che ne accese a ugual desio.
Ma se mia vita avvien che ceda al rio
Fato, nè fia che un si bel giorno io miri ;
Deh non sommerger nel perenne obblio
L'immago, a cui gli occhi pietosi or giri.
E s'è ver che d'amore hai caldo il petto,
Questa effigie mirando, ah ti sovvenga
Qual sia l'alto poter d'un primo affetto !
E ch'io giurai, che o tua sarà mia vita,
0 che ben presto a susurrar ti venga
Voce che a te ripeta : « Ella è finita! »
18
— 276
ALLO SPOSO REDUCE
SONETTO
Riedi deh riedi a me, soave oggetto
Del più tenero amor, del più costante,
Vieni a stringer di novo i figli al petto,
E nella sposa a rabbracciar l'amante!
Quanta ebbrezza del cor, qual divo affetto
Le nostre alme confonde in questo istante !
Ah se manca la voce e manca il detto,
Ti favelli il gioir del mio sembiante !
Teco fu il mio pensier, teco il desiro,
Come nel di che l'anima fervente
A te rivolse il verginal sospiro.
Che dico?... All'alto amor ch'ella risente,
lo ben m'avveggo che degli anni al giro
La fiamma del mio cor fassi più ardente.
L'INVIO DEL MIO RITRATTO
DIPINTO DA ME STESSA
ALLO SPOSO ESULE
0 mia dolente immagine,
Varca le mobil'onde,
E dove ancora italiche
S'odon chiamar le sponde,
Con un sorriso accolgati
Lo sposo mio nel sen.
Oh se potessi l'anima
Trasfonderti nel volto,
Se il guardo malinconico
Quant'ho nel cor sepolto
In sua favella esprimere
A lui potesse almen ;
f
- 278 —
Saprebbe di quai smanie
Guerra mi ferve in petto :
Che sulla terra infausta
Dell'odio e del sospetto
Vivo deserta e squallida
Nel duolo e nel terror:
Che di mie calde lagrime
Bagno le amate soglie,
Dove mirarlo ahi sembrami
Che il mesto addio discioglie,
E a lui cogli occhi immobili
Rivolgo e mente e cor.
Parmi involarsi rapida
La vela fuggitiva :
Pel flutto solitario
L'alma di riva in riva
Ne segue il corso rapido
Col lungo suo sospir.
0 terra ove il Cenisio
D'italo sol s'indora,
E novi allori a cingere
Ti specchi nella Dora,
Ove respira l'esule
Dal lungo suo soffrir ;
— 279 —
Dove ancor pura e vergine
La libertà si abbella ,
E splende in ciel d'Italia
Come d'amor la stella;
Tutt'i miei voti or volano
A riposarsi in te.
Che val se il ciel di fulgidi
Raggi qui adorni il manto,
Se il suol di vaghi e splendidi
Perenni fiori ha il vanto,
Se l'onda limpidissima
Venga a lambirmi il piè ?
Piena è di lai, di fremiti
L'aura che par si pura ;
E se lo sguardo innalzasi
Al riso di natura,
Ecco Sant'Elmo sorgere
Fantasma a noi feral !
Sua vaga prole e tenera
Non vanti qui la madre ;
La destra inesorabile
Che già percosse il padre,
Per essa ancor più vindice
Prepara il rio pugnal.
- 280 —
O miei diletti pargoli,
Da tant'orror fuggiamo ;
Fra il mormorar de' zeffiri
Il fervido richiamo
Dell'amor mio già sembrami
Intenta d'ascoltar.
S'ei per amar la patria
Vive da' rei proscritto,
Noi pure or grava, o teneri,
Lo stesso suo delitto,
Chè i primi vostri palpiti
Saprete a lei sacrar.
Deh vanne, o mesta effigie,
Dov'è il mio core e l'alma:
Me qui deserta esanime
Lasci qual fredda salma !
Te par ch'io veggia vivere,
E me già spegne il duol!
Dunque la speme, ahi misera!
Fia vinta dagli affanni,
E coprirà mie ceneri
La terra de' tiranni?...
Gran Dio, veder concedimi
Di libertade il sol!
Napoli, gennaio 1850.
INDICE
Pagina
Agli Italiani 1
A Vittorio Emanuele Re d'Italia (Canto) 5
A Garibaldi 10
Al primo annunzio della partenza di Garibaldi co' suoi
prodi per la Sicilia (Ode) 12
All'Anima 15
Alla Toscana (Canzone) 20
A Sir G. Gladstone (Canzone) 27
Per la statua innalzata a Guglielmo Pepe ne' pubblici
giardini della città di Torino (Canzone) 34
In morte di Carolina Poerio (Canzone) 46
Agesilao Melano (Canzone) 86
Alla memoria del Padre (Elegia) 66
Alla Poesia 72
La Violetta (Ode) 77
All'illustre Terenzio Mamiani esule in Parigi 80
Pel supplizio dei fratelli Bandiera (Carme) 81
A Sorrento (Sonetto) 86
A Vittorio Alfieri (Sonetto) 87
Alla Polonia (Sonetto) 88
Il Trovatello (Sonetto) 89
In morte del celebre medico Tommasini (Sonetto) . . 90
Pagina
Colombo al convento della Rabida 91
Napoleone e Washington (Sonetto) 97
A Parini 98
In morte dell'insigne poetessa napolitana Maria Giuseppa
Guacci (Canzone) 104
Italia sulla tomba di Gioberti (Polimetro). ...... IH
Canto mattutino de' fanciulli ad uso degli Asili d'in
fanzia piemontesi 119
All' illustre poetessa nizzarda Agata Sofia Sassernò
(Carme) 122
A Superga 187
Al generale Guglielmo Pepe (Rime improvvise). . . . 129
Per nozze di donzella tedesca con giovinetto italiano
(Canzone) 130
Alle sorelle Virginia e Carolina Ferni, celebri suonatrici
di violino 136
Alle stesse 137
Ad Adelaide Ristori, per aver rappresentata la mia tra
gedia Ines de Castro 140
Amedeo VI di Savoia o il Conte Verde (Ballata) ... 142
Per le fanciulle della scuola materna di Torino .... 150
A Carlo Poerio, per la sua liberazione da' bagni di Na
poli (Sonetto) 154
In morte di Béranger (Canzone) 155
All'anima di un bambino 161
La colomba ed il prigioniero 168
Le ultime ore di Saffo 171
Ad un cigno nel lago della villa reale di Racconigi
(Improvviso) 181
All'egregia lombarda Claudia Antona Traversi, per aver
fondato un magnifico Asilo infantile in Sannazzaro . 182
Il Tramonto (Canzonetta) 184
Nella morte della illustre poetessa nizzarda Agata Sofia
Sassernò 186
All'illustre improvvisatrice napolitana Giannina Milli
(Ode) 190
— 283 —
Pagina
Ai valorosi Giacomo Longo e Carlo Delli Franci, i quali
appena liberi da dodicenne prigionia corrono a com
battere in Sicilia : ed un addio a' miei compagni d'e
silio che ritornano a Napoli 195
Per l'ingresso in Napoli di Vittorio Emanuele Re d'Italia
(Cantata) 198
Per la commemorazione delle stragi dell 5 maggio 1848
in Napoli 202
Pe' fratelli Savio, morti combattendo, uno ad Ancona,
l'altro a Gaeta . . . .. 208
Il Bersagliere, canzonetta popolare per musica .... 213
In morte di Camillo Benso di Cavour (Canzone) . . . 215
Sullo stesso argomento (Stanze) 221
Venezia (Stornello) 223
II pescatore di Venezia, per musica 225
Inno popolare degli Italiani 227
Alle mie due bambine Rosina e Flora 229
Ai morti per la patria (Canto) 233
Il 7 settembre, inno a Garibaldi 240
Giacomo Leopardi (Canzone) 245
Per la prima grande Esposizione Nazionale delle Arti e
delle Industrie Italiane in Firenze nel 1861 254
Ricordi d'amore — Al mio Sposo
•Alla Lira (Ode) 259
Una visita alla Floridiana 261
La partenza (Sonetto) 264
La lodola messaggiera (Ode) 265
Id. (Risposta) 268
La tempesta (Sonetto) 271
Sullo stesso argomento (Sonetto) 272
Ave Maria 273
Il ritratto (Sonetto) 276
Allo sposo reduce (Sonetto) 277
L'invio del mio ritratto, dipinto da me stessa, allo sposo
esule 278
PPvs from the last date stamped
five^ents.adavvnn be incurred.
^^ v\-ò\zV_
DEC 5 1933