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LA PRATICA DELL’ACCOGLIENZA passo dopo passo

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la pratica dell’accoglienzapasso dopo passo

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Testi a cura del Comitato Italiano per l’UNICEF - Programma ScuolaCon la cortese collaborazione del Prof. Francesco Farina

Progetto grafico e impaginazioneIt’s Gut srl - www.itsgut.it

StampaArti Grafiche Agostini srlSettembre 2011

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una costante continuità 3

un cammino non concluso né conclusivo 7

l’accoglienza: premessa e avvio per un itinerario verso gli altri passi 10

le buone pratiche 12

"io sono l'altro per l'altro"istituto comprensivo di nociglia e di surano (lecce) 21

"progettiamo l'accoglienza"scuola secondaria di i grado “l andreotti” di pescia (pistoia) 31

"i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza"classe iii/ap, istituto g pascoli di firenze 37

"verso una scuola amica dei bambini e dei ragazzi"classe iv-a del liceo laura bassi di bologna e classe iv-ap del liceo a manzoni di latina 43

bibliografia 48

indice

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Nel presentare questa nuova pubblicazione si vuole innanzitutto mettere in evidenza il fatto che, in continuità con le precedenti pubblicazioni: “Verso una Scuola Amica delle bambine e dei bambini” (2007) e “Percorsi di lavoro verso una Scuola Amica” (2008), permane costante il riferimento al quadro che l’UNICEF ha elaborato per la realizzazione di sistemi educativi basati sui diritti dei bambini, delle bambine e degli adolescenti.Le cinque aree, identificate a livello internazionale, come assi portanti di ogni piano di attuazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, mantengono tutto il loro valore di orientamento, sia per le scelte culturali, sia per le decisioni organizzative e metodologiche delle attività del Programma “Scuola Amica”.Pertanto in ogni iniziativa del Programma si dovranno tenere presenti i principi che queste aree identificano: • il principio dell’inclusione e della non

discriminazione, per il quale, a partire dal

riconoscimento del diritto all’istruzione (art. 28) e del diritto all’educazione (art. 29), la scuola deve garantire piena inclusione, indipendentemente dal background o dalle abilità degli/lle studenti/esse;

• il principio dell’efficacia: per cui a tutti, nessuno escluso, dovrà essere garantito il diritto ad un esito positivo dell’azione educativa svolta dalla scuola;

• il principio secondo cui è inalienabile il diritto alla salute, alla sicurezza e alla protezione, al benessere emotivo, fisico e psicologico;

• il principio per cui l’attenzione al genere deve essere uno dei motivi centrali del modello educativo;

• il principio della partecipazione, che mira a favorire e a valorizzare il coinvolgimento degli studenti e delle studentesse, delle famiglie e della comunità nella progettazione e nello svolgimento delle attività della scuola.

una costante continuità

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dall’intervento eccezionale alla consuetudine della pratica quotidianaNegli anni passati, per introdurre il modello di “Scuola Amica” si è dovuto necessariamente passare attraverso la proposta di progetti volti a realizzare i diritti dei bambini e degli adolescenti, generalmente ponendo attenzione ai diritti mancati, talvolta anche alla diffusione di “buone pratiche” che avevano assicurato, almeno per alcuni aspetti, l’affermazione e l’esercizio dei diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Per il loro carattere di progetto, che si conclude con l’introduzione di una innovazione o con la realizzazione di un evento, queste iniziative hanno avuto inevitabilmente il carattere dell’intervento esemplare, ripetibile, ma tutto sommato episodico.Ora si sente la necessità di passare dall’iniziativa isolata, che è ancora eccezione rispetto alla pratica consueta, alla quotidianità della relazione educativa. L’organizzazione e la conduzione della vita scolastica, le scelte metodologiche e la gestione delle risorse, devono creare un contesto educativo in cui la pratica dei diritti sia consuetudine e stile di vita. L’educazione non è quindi mero addestramento della norma, ma interiorizzazione dei principi e dei valori che i diritti formalmente esprimono.

l’accoglienza come primo passo È convinzione comune che la prima condizione da realizzare per mettere tutte le bambine, i bambini e gli adolescenti nelle condizioni di sviluppare nel modo più completo la propria personalità, le proprie facoltà e attitudini, sia la costruzione di un clima culturale e di un ambiente di relazioni basati sul principio dell’accoglienza e della non discriminazione.Una scuola che accolga le differenze, le diversità di cultura e di genere, una scuola che sappia accogliere la singolarità che ogni bambino rappresenta, attenta al problema dell’accoglienza tra bambino e bambino, avvia di fatto la realizzazione degli altri aspetti considerati dai “Nove Passi” descritti nelle precedenti pubblicazioni; d’altra parte, a ben vedere, con l’attuazione di tali passi si conseguono finalità e obiettivi che connotano una scuola accogliente.Una scuola accogliente prende in considerazione le opinioni dei bambini e dei ragazzi e favorisce la loro partecipazione attiva. In una scuola accogliente

la dirigenza, il personale docente e non docente, le famiglie e tutta la comunità interagiscono per creare un contesto formativo ed educativo in cui gli alunni vivano pienamente la loro infanzia e adolescenza.Nel terzo capitolo di questa pubblicazione viene evidenziata in modo dettagliato la fitta rete di connessioni, riferimenti e relazioni che in generale

legano l’esercizio di un diritto all’attuazione di altri diritti.In particolare viene messo in evidenza come l’esercizio del diritto all’accoglienza si possa realizzare solo se agli alunni di diverse abilità e di diverse culture viene data la possibilità di essere protagonisti del loro apprendimento, se i tempi della scuola sono rispettosi dei ritmi di ciascuno e se l’organizzazione degli spazi è adeguata allo sviluppo psicofisico di tutti gli alunni, nessuno escluso.Nello stesso capitolo viene inoltre posto in evidenza come il problema dell’accoglienza delle differenze interessi il patto formativo con le famiglie, e possa richiedere che venga messo in discussione il rapporto con la città e infine chiami in causa la capacità di progettazione della scuola.

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procedere tenendo conto delle recenti esperienze Con la presente pubblicazione si vuol favorire quel processo di condivisione e di accumulazione di esperienze che è sempre stato uno degli obiettivi del Programma “Scuola Amica”.Le osservazioni raccolte in occasione di incontri, seminari, convegni tenuti nell’ambito del nostro Programma e la documentazione di diverse esperienze, che definiamo come “buone pratiche”, permettono di offrire al mondo della scuola indicazioni di cui si possa tener conto nella progettazione delle nuove esperienze educative.Le esperienze passate mettono in luce la necessità di porre il tema dell’accoglienza al centro dell’anno scolastico, sia perché la presenza sempre più massiccia di alunni provenienti da paesi con culture, lingue e tradizioni diverse, pone obiettive difficoltà di relazione, sia perché ci sembra che in molti casi il tema dell’accoglienza non sia stato affrontato in modo adeguato: molte volte si è pensato di risolverlo adottando procedure formali, che, se hanno facilitato il primo impatto degli alunni con il mondo scolastico, non hanno però inciso nel processo di apprendimento/insegnamento e l’accoglienza non è diventata uno stile di vita nella scuola.Vi è perciò la necessità di richiamare l’attenzione delle scuole e dei docenti sulle possibili azioni da

intraprendere per creare un clima di relazioni che sia effettivamente accogliente. Nel secondo capitolo di questa pubblicazione, richiamando le pubblicazioni precedenti, si sono volute dare precise indicazioni di azioni che, se portate a termine, potrebbero rendere accoglienti tutti i luoghi e i momenti del processo formativo.Ci si rende ben conto che per il pieno inserimento nel tessuto sociale di bambini e bambine recentemente immigrati, e anche di bambini e bambine che per diversità di vario tipo richiedono particolari attenzioni, non sono sufficienti sensibilità, competenze e modalità educative nuove, ma sono necessari interventi di carattere sociale per garantire forme di convivenza che eliminino i rischi dell’esclu sione e della disgregazione sociale. Assumere iniziative a favore di questi interventi, che riguardano il territorio nel suo complesso e non solo la scuola, è un compito da cui ovviamente l’UNICEF non può esimersi.Con lo stesso scopo, e nello stesso spirito, più avanti vengono riportati esempi di “buone pratiche”, che propongono alcune indicazioni metodologiche che possono essere utili per dare, ad alcune delle attività che si ritengono particolarmente significative, il carattere di “buona pratica” e per renderle “trasferibili” in altre situazioni.

un cammino non conclusoné conclusivo

In una Scuola Amica gli edifici, le recinzioni e i cancelli servono a proteggere i bambini e i ragazzi che vivono al suo interno, non ad escluderli. Tantomeno ad escludere il resto del mondo. Che senso avrebbe apprendere, senza utilizzare quanto si è appreso per migliorare la vita propria e di tutti? Conoscenza ed esperienza, in questo senso, sono fondamenta dell’apprendere. La "Scuola Amica" è dunque una scuola ospitale, accogliente, in cui i ragazzi imparano a coniugare ciò che apprendono con l’amicizia che vivono al suo interno. Ogni scuola ha ovviamente il suo modo di essere accogliente, a seconda della sua storia e delle sue caratteristiche, ma anche a seconda dei problemi e delle speranze che vi entrano insieme ai ragazzi. Una scuola di periferia sarà quindi diversa da una del centro o da una scuola rurale o di un contesto industriale e, nonostante la globalizzazione dei consumi le abbia attenuate, queste differenze spesso permangono e caratterizzano le diverse esperienze

scolastiche. L’accoglienza è etimologicamente legata alla cordialità e quindi all’attenzione, cura, affetto: tutte espressioni che connotano il sentire e l’agire dell’uomo. Esiste una materia che non fa parte del curricolo scolastico, ma lo trascende, ed è quella dell’economia delle relazioni, ossia la capacità di intendere l'altro e interagire positivamente con lui. Se la scuola riesce a rendere le conoscenze che offre ai suoi ragazzi uno strumento di relazione e di crescita comune, allora riesce ad essere una buona scuola e un luogo non solo fisico, ma anche mentale, in cui i ragazzi si sentono accolti e disponibili ad accogliere. E questo non solo per il periodo della loro permanenza fisica in quel luogo, ma anche per il resto della loro vita. È importante quindi che venga avviato questo processo e che vengano valorizzate tutte quelle qualità proprie a ciascuna scuola, che possono dare spessore e carattere all’accoglienza, evitando, per quanto possibile, i luoghi comuni e le soluzioni facili.

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Coinvolgere tutta la scuola senza eccezioni comporta coinvolgere soprattutto i ragazzi. Lavorare con i ragazzi sull’accoglienza serve anche a dare al lavoro quel respiro “quotidiano”, di ogni giorno e non solo del “primo”, che una vera accoglienza scolastica richiede. Una scuola è, infatti, accogliente non solo il primo giorno, ma tutti i giorni dell’anno e promuove il concetto e la pratica dell’accoglienza non solo al suo interno, ma con tutte le realtà con le quali entra in contatto: le amministrazioni locali, le organizzazioni e associazioni che si occupano del tempo libero e delle attività culturali dei ragazzi, in una parola con tutta la Comunità educativa cui la scuola fa territorialmente riferimento. L’accoglienza dovrebbe quindi diventare una pratica attiva e continua nel tempo che individui e tenda ad eliminare situazioni di esclusione e di emarginazione, più in generale di malessere, all’interno della scuola. Il monitoraggio deve essere esercitato da tutta la scuola nel suo complesso e non da professionisti che, per quanto competenti, non possono assumere il ruolo che la scuola ha nella socializzazione e integrazione dei ragazzi. Di tutti i ragazzi.Naturalmente questo tipo di lavoro sull’accoglienza intrapreso dalla scuola può comportare delle difficoltà, non ultima quella di stabilire una serie di priorità e un rullino di marcia per raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissati. Proviamo allora ad elencare dei punti significativi per mettere a fuoco alcuni obiettivi da raggiungere:• il coinvolgimento della scuola sul tema della

accoglienza, sviluppando un’azione di progettazione partecipata che coinvolga in primo luogo i ragazzi;

• un’efficace procedura di accoglienza dei nuovi alunni;

• l’uso di strumenti di comunicazione e di linguaggi non verbali che favoriscono la comunicazione fra persone di lingua e cultura diverse;

• iniziative su episodi di intolleranza e di violenza;• la modifica dei curricoli disciplinari in una

prospettiva di educazione interculturale;• la possibilità del coinvolgimento di alunni

diversamente abili nella progettazione, utilizzando le loro abilità;

• lo sviluppo di una strategia cittadina che coinvolga il territorio.

La progettazione partecipata parte dal presupposto che tutti possono collaborare al perseguimento di obiettivi comuni e che non esistono soggetti incapaci di mettere le proprie capacità e abilità al servizio di tutti gli altri. Va da sé che debbano essere messe in campo regole del gioco che consentano la non discriminazione e la libera espressione di tutti i partecipanti.La progettazione partecipata perché sia efficace deve:• essere svolta nel contesto del laboratorio, luogo

fisico, mentale e relazionale in cui vengono coinvolti attivamente tutti i partecipanti;

• avere le regole del lavoro esplicitate, perché siano accettate, discusse e condivise;

• definire il ruolo e le responsabilità di ognuno;• offrire una sensazione di accoglienza che favorisca

la libera espressione e la partecipazione, che saranno tanto più piene quanto maggiore sarà la possibilità di orientare i processi decisionali e monitorarne le ricadute.

Per avviare un’attività di progettazione partecipata che funga da strumento per l’indagine, ma anche da modello per vivere concretamente, si può partire dalla percezione di alcuni diritti collegabili con il tema dell’accoglienza. Per far questo possono servire momenti di discussione che nascano da spunti come letture, esercitazioni e laboratori, in cui vengono coinvolti attivamente i ragazzi.Nella pubblicazione “Percorsi di Lavoro Verso una Scuola Amica” è proposto lo strumento del “quadro degli indicatori”, che molte scuole stanno utilizzando per “fotografare” la realtà scolastica e per individuare l’ambito in cui è più necessario intervenire per migliorare l’attuazione dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Il "quadro degli indicatori" consente di formulare delle definizioni operative sotto forma di domande alle quali è possibile rispondere in modo non ambiguo. Le domande a risposta chiusa indirizzano a decisioni che riguardano aspetti specifici della scuola, che riguardano scelte organizzative e scelte di metodo.Le risposte non possono essere usate per esprimere giudizi in quanto descrivono le situazioni, ma non indagano le cause che le hanno determinate.La proposta di applicare gli indicatori deve essere considerata soprattutto per il suo valore

di sensibilizzazione alle tematiche proposte dal "Programma Scuola Amica". Il quadro degli indicatori deve pertanto essere considerato non come definitivo, ma come base di partenza per successive integrazioni e modifiche fatte sulla base delle esperienze di tutti.

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Primo Passo: la scuola delle differenze e della solidarietà: accoglienza e qualità delle relazioni sono al centro della vita scolastica

Una Scuola Amica è una scuola dove la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è conosciuta nei suoi contenuti, ma dove soprattutto è messa in pratica e vissuta quotidianamente, e per questo bambini e ragazzi ne diventano protagonisti.Per intraprendere il percorso “Verso una Scuola Amica” sono stati individuati "Nove Passi", tappe fondamentali per il raggiungimento del nostro obiettivo. Ciascun passo traduce i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nella realtà scolastica, prendendo in considerazione molteplici ambiti di intervento, come la qualità delle relazioni e la qualità della partecipazione degli alunni.

Dal significato che diamo al termine accoglienza dipende il modo con cui vengono realizzati aspetti che si legano ad altri passi. Quando parliamo di una scuola accogliente dobbiamo quindi pensare ad un luogo nel quale ciascun bambino possa essere conosciuto e riconosciuto nella sua identità personale e dove venga garantito il suo diritto ad apprendere. Un’accoglienza che non deve tradursi in atti formali ma diventa parte integrante dell’azione educativa e didattica che accompagna i bambini e i ragazzi durante il loro percorso formativo.Nel percorso "Nove Passi verso una Scuola Amica" il primo passo, relativo all’accoglienza, viene proposto come contesto nel quale possono trovare riconoscimento il rispetto dei diritti di ogni bambino/a e ragazzo/a senza distinzioni di sesso, etnia, nazionalità, religione, opinioni politiche, condizioni personali, sociali ed economiche.Ma i "Nove Passi", pur pensati con una logica

l’accoglienza: premessa e avvio per un itinerario verso gli altri passi

consequenziale, possono essere compiuti prescindendo dalla loro collocazione formale nel percorso; così come può essere necessario intraprendere più passi aggregandoli in combinazioni diverse per rispondere ai bisogni della realtà nella quale andiamo ad operare.Un esempio concreto: una scuola che voglia attuare un’azione, un’attività o un progetto sul tema dell’accoglienza, non potrà non prendere in considerazione il coinvolgimento dei genitori, attraverso un patto formativo con le famiglie (passo 5); richiedere un ripensamento dei tempi e degli spazi scolastici (passo 4); richiedere un reale coinvolgimento dei bambini e dei ragazzi (passo 2); coinvolgere Istituzioni, Enti, associazioni che operano sul territorio (passo 6).Tale interconnessione esplicita la natura stessa della Convenzione, dove i diritti non sono presentati come valori separati ma si inseriscono all’interno di un più ampio quadro etico che è in parte descritto nell’art. 29 (diritto all’educazione) e nel suo preambolo.

“Gli Stati parti convengono che l’educazione del bambino/ragazzo deve avere come finalità:

a) favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità;

b) sviluppare nel bambino/ragazzo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite;

c) sviluppare nel bambino/ragazzo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua;

d) preparare il bambino/ragazzo ad assumere le responsabilità della sua vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona;

e) sviluppare nel bambino/ragazzo il rispetto dell’ambiente naturale.

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le buone pratiche

Definire una buona pratica non è compito facile. Nel provare a identificare cosa è una buona pratica è necessario porsi alcune domande: chi sono i destinatari di tali azioni? In che contesto si realizzano? Quali obiettivi intendono raggiungere? E attraverso quali metodologie?Tali domande ci aiutano a dare una definizione di “buona pratica” nell’ambito del Programma “Verso una Scuola Amica dei bambini e dei ragazzi”.Quando parliamo di buone pratiche quindi non ci riferiamo a buone azioni o ad azioni ideali, ma ci riferiamo a situazioni e/o esperienze realizzate in un determinato contesto, che hanno dato dei risultati positivi o aiutato nella soluzione di problemi particolari. Se vogliamo tradurre tale definizione nell’ambito del "Programma Scuola Amica" possiamo definire una buona pratica quell’azione che contribuisce a realizzare esperienze educative, a creare ambienti di apprendimento che favoriscano la realizzazione dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Se proviamo a individuare delle caratteristiche comuni

a cogliere alcune costanti che devono caratterizzare tali pratiche (azioni) troviamo: la collaborazione, la concretezza, il coinvolgimento degli alunni, l’apprendimento cooperativo, l’attenzione alla pluralità dei soggetti e alle loro diverse abilità, lo sviluppo comune della pratica e la documentazione.

Quando e perché un’azione diventa una buona praticaUna buona pratica può quindi realizzarsi sia in attività curricolari che in attività attinenti a progetti specifici volti a realizzare un prodotto (spettacolo, video, mostra, ecc.), una modifica del contesto (un orto biologico, un percorso pedonale, l’arredamento di un’aula, ecc.). Il processo attraverso cui si realizzano rispetta le caratteristiche di seguito descritte.

collaborazione Alla base troviamo sempre una forte collaborazione e una condivisione delle scelte fra insegnanti. Ma una buona pratica non ha bisogno solo di specialisti:

coinvolge tutti i soggetti interessati e quindi, oltre al gruppo degli insegnanti, il personale non docente, le famiglie e gli alunni.

concretezza Da questa collaborazione si elabora un progetto concreto che abbia un obiettivo e una finalità precisi e che riguardi la realtà vissuta dagli alunni e dalla comunità della quale fanno parte; la pratica diventerà buona quando i risultati raggiunti avranno cambiato il modo di fare o l’organizzazione del contesto dove sono nati.

coinvolgimento degli alunniNella buona pratica non esistono soggetti passivi, tutti sono coinvolti a partire dagli alunni che non sono considerati recipienti vuoti nei quali inserire nozioni e conoscenze ma soggetti attivi che costruiscono il loro apprendimento consapevolmente. L’insegnante non è soltanto una guida che li aiuta nel percorso di costruzione delle loro conoscenze e competenze, ma apprende insieme agli alunni mano a mano che il progetto segue il suo percorso di realizzazione.Ogni alunno ha conoscenze, saperi pregressi acquisiti in esperienze fatte nell'ambito del proprio ambiente sociale e familiare, che devono essere valorizzate per rendere significativa, per lui l’esperienza scolastica, per favorire la formazione della sua identità di alunno, di persona, di cittadino.La partecipazione di un alunno ad una progettazione collettiva rende possibile dare un contributo personale al progetto comune favorendo così il senso di appartenenza alla comunità.Gli alunni potranno:

• decidere insieme ai docenti e ai compagni, con l’eventuale intervento di tecnici degli enti locali, esperti di associazioni culturali e genitori:1. il tema della ricerca; 2. il problema da affrontare; 3. gli obiettivi da raggiungere;

• concordare, con docenti ed esperti, i tempi, i luoghi, le modalità di collaborazione per realizzare gli obiettivi stabiliti;

• organizzare, con l'aiuto dei docenti, le attività di studio, di ricerca e di intervento, tenendo conto che: 1. le decisioni e le attività sono collettive e concordate; 2. ognuno ha il suo compito; 3. i ruoli sono provvisori ma definiti; 4. le responsabilità sono individuali.

Agli alunni può essere richiesta una auto-valutazione del proprio comportamento durante lo svolgimento delle attività, un’auto-valutazione delle conoscenze, delle abilità e delle competenze acquisite sia nell’ambito disciplinare che interdisciplinare. A tale scopo vengono previsti momenti di discussione in cui ogni alunno riflette su ciò che ha saputo far bene e su ciò in cui si è trovato in difficoltà, sui suoi personali punti di forza e di criticità.

apprendimento cooperativoL’apprendimento cooperativo non è soltanto una modalità di lavoro in piccoli gruppi fra compagni di classe ma è anche una risposta ai bisogni e alle necessità di chi si trova indietro in una materia o non possiede alcune competenze, poiché queste

Ci sono due modi di passeggiare in un bosco. Nel primo modo ci si muove per tentare una o molte strade (per uscire al più presto o per riuscire a raggiungere la casa della Nonna, o di Pollicino, o di Hansel e Gretel); nel secondo modo ci si muove per capire come sia fatto il bosco e perché certi sentieri siano accessibili ed altri no”

(U. Eco Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1994)

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carenze possono essere integrate da altri compagni valorizzando così le abilità di ciascuno.L’apprendimento cooperativo si realizza:• quando l’attività disciplinare, o il lavoro richiesto per

la realizzazione di un progetto, vengono organizzati in attività di piccoli gruppi integrati tra loro;

• quando ad ogni alunno è assegnato un compito specifico di cui è responsabile nei confronti dei docenti e del gruppo;

• quando il lavoro è realizzato attraverso un processo che richiede l’esercizio del saper collaborare, del saper essere autonomi, del saper comunicare, del saper auto-valutarsi;

• quando è prevista una rotazione di ruoli per fornire al gruppo il contributo delle proprie conoscenze e delle proprie abilità;

• quando gli alunni sono chiamati a dare il proprio aiuto ai compagni in difficoltà.

sviluppo comune della praticaSu questo argomento riportiamo i risultati di una ricerca condotta dal Center for Educational Innovation dell’Università del Sussex nell’ambito del progetto finanziato dal Department for Education and Skills del Regno Unito.La ricerca ha inteso studiare e descrivere i fattori che facilitano o contrastano il trasferimento di una buona pratica tra scuole. La ricerca ha analizzato il processo di trasferimento di una buona pratica sia dal punto di vista dell’istituzione scolastica o dell’insegnante che la ha originata, sia da quello del destinatario.Al termine dell’indagine gli autori sono giunti a

sostenere che per una corretta interpretazione del fenomeno in oggetto, l’espressione sviluppo comune della pratica risulta più appropriata di termini quali trasferimento della pratica o trasferimento di buone pratiche. Queste ultime espressioni rischiano infatti di essere fuorvianti poiché trascurano la reciprocità del processo e non mettono adeguatamente in luce l’importanza di sviluppare la collaborazione tra i soggetti coinvolti.Questo cambiamento di terminologia intende porre in primo piano l’azione reale degli insegnanti nei processi di trasferimento: per coloro che devono adattare una pratica “esterna” al proprio contesto, si tratta di fare propri nuovi modi di agire e di lavorare, mentre coloro che hanno prodotto la “versione originaria” della pratica sono chiamati a supportare attivamente i colleghi di altre scuole, collaborando con loro alla reinvenzione della pratica in questione, sulla base delle esigenze del nuovo contesto di applicazione.In questo processo collaborativo, sia gli uni sia gli altri sviluppano modalità di lavoro creative ed affrontano il difficile compito di mettere in discussione le proprie azioni professionali per condividerle con altri.

documentazione e presentazione del risultato raggiuntoRiteniamo importante, per lo sviluppo e l’ampliamento delle nostre iniziative, che venga favorita la diffusione di quelle esperienze che assumono il carattere di “buone pratiche”, nel senso

descritto più avanti. Per questo scopo è necessario che di tali esperienze venga documentato non solo il risultato conseguito, ma anche il processo seguito per raggiungere quel risultato. La documentazione del processo, cioè delle singole tappe del percorso fatto, delle azioni richieste dai singoli passaggi, delle risorse utilizzate, delle forme organizzative adottate, dei metodi seguiti, delle difficoltà incontrate, delle innovazioni introdotte a seguito delle attività svolte, dovrà essere esposta in modo da rendere possibile riprodurre l’esperienza, a chi volesse ripeterla. Ovviamente i docenti dell’istituto in cui si voglia riprodurre l’esperienza fatta in un’altra scuola dovranno adeguare le indicazioni ricevute alle condizioni del proprio contesto, forse dovranno fare propri nuovi modi di pensare, di agire e di lavorare. La descrizione dell’esperienza della scuola originaria del progetto non vuole essere solo un quadro di indicazioni da attuare a cura della scuola ricevente, ma dovrebbe avere il carattere di una proposta per l’avvio di un reciproco scambio di esperienze, per l’inizio di una nuova comune attività avente, almeno per alcuni aspetti, un carattere cooperativo che leghi le scuole in una rete in cui si realizza uno sviluppo comune di buone pratiche che, prodotte da esperienze passate, proseguono in contesti diversi, mettendo alla prova la propria validità.

lo schema: guida per la conduzione delle attività e traccia per il raccontoQuante volte ci siamo trovati a leggere la documentazione relativa ad una buona pratica e ci siamo accorti di non avere quelle notizie e quelle informazioni utili per “adattare” quell’azione al nostro contesto?Con la scheda che riportiamo qui di seguito vogliamo fornire uno strumento che sia ad un tempo una guida per determinare la procedura da seguire nelle fasi di impostazione e di attuazione del progetto/attività e una traccia per “raccontare” una buona pratica in modo tale che il “racconto” ne faciliti la riproducibilità.Come si noterà, più volte nella scheda viene fatto riferimento al coinvolgimento degli alunni non solo nell’attività del progetto, ma anche nei momenti di realizzazione della documentazione e della presentazione dei risultati raggiunti. Si ritiene che il loro coinvolgimento sia importante perché favorisce la consapevolezza della propria partecipazione alle attività, accresce l’autostima e fa maturare il senso di appartenenza alla comunità scolastica e alla comunità cittadina. Nella colonna a sinistra abbiamo riportato uno SCHEMA GENERALE che permette di definire la procedura da seguire per realizzare il progetto. Lo schema può essere utilizzato come traccia del racconto dell’esperienza. La colonna a destra è vuota. In essa potrete costruire IL VOSTRO SCHEMA che riporterà il percorso della vostra esperienza e vi troverete una traccia da seguire per ”raccontarla”.

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schema generico il vostro schema

1. Titolo dell’attività/progetto (nel titolo vengono indicati il campo di intervento, le finalità, l’obiettivo)

2. Durata dell’attività/progetto

3. Come sono stati sostenuti gli eventuali costi?

4. Gli spazi e i materiali (ovvero i laboratori utilizzati per attuare i progetti, il materiale di facile consumo, beni durevoli di cui si è potuto far uso)

5. Il coinvolgimento dell’istituto e di altri soggetti (il numero di classi, di docenti, di esperti e altri istituti/organizzazioni coinvolti)

6. Come è nata l’idea dell’attività/progetto? (un fatto accaduto a scuola o visto in TV, una richiesta da parte di qualcuno, l’utilizzo del quadro degli indicatori, ecc.)

7. Quale situazione si voleva migliorare?

8. Quale era l’obiettivo delle attività /del progetto? (il problema viene affrontato per realizzare obiettivi specifici, per raggiungere risultati attesi concreti, valutabili)

9. La descrizione delle azioni intraprese e attuate per la realizzazione delle attività/del progetto (le fasi preparatorie, gli interventi, la verifica degli esiti, la valutazione dell’intervento rispetto alla situazione iniziale)

10. Come si è organizzata la classe/scuola? (quali spazi e quali tempi sono stati dedicati all’attività/progetto?)

11. Quali strumenti metodologici sono stati utilizzati? (progettazione partecipata, lavoro di gruppo, cooperative learning, ecc.)

12. Quale è stato il contributo delle singole discipline?

13. Quale è stato il ruolo degli alunni? (quali compiti hanno svolto e come sono stati definiti; l’elaborazione del progetto è collettiva e prevede la partecipazione degli alunni, i quali devono percepire che si tiene conto delle loro osservazioni e delle loro richieste)

14. Quali abilità/conoscenze/competenze degli alunni sono state valorizzate e quali apprese ex novo nell’attuazione del progetto?

schema generico il vostro schema

15. Quale è stato il ruolo degli altri soggetti partecipanti all’attività/progetto?

16. Monitoraggio in itinere (sono stati stabiliti fin dall’inizio modalità e momenti in cui la classe, durante lo svolgimento delle attività/progetto “si ferma” per verificare come stanno procedendo le attività per far sì che “tutti siano a conoscenza di quello che si sta realizzando” e per apportare eventuali aggiustamenti? All’attività di monitoraggio hanno partecipato anche gli alunni?)

17. Valutazione finale (l’obiettivo prefissato per l’attività/progetto è stato raggiunto? Sono stati individuati i punti di criticità e i punti di eccellenza del processo seguito, dei metodi adottati, dell’organizzazione delle relazioni? Sono state valutate le ricadute dell’attività/progetto sui curricoli degli alunni, sulle competenze degli insegnanti, sull’organizzazione interna della scuola, sui rapporti con altri enti e altre istituzioni? L’auto-valutazione degli alunni ha analizzato: a. che cosa di ciò che hanno appreso a casa, a scuola, sui campi sportivi, da insegnanti, parenti, amici è servito loro per realizzare il progetto; b. che cosa hanno imparato di nuovo?)

18. A conclusione del progetto c’è stata una presentazione del percorso realizzato e dei risultati ottenuti? Gli alunni sono stati coinvolti nell’attività di valutazione?

19. La pubblicizzazione (i risultati ottenuti e il processo seguito per ottenerli vengono pubblicizzati per i destinatari interessati al problema affrontato genitori, collegio docenti, istituti culturali, associazioni, autorità locali, ecc.? I risultati e il prodotto del progetto vengono utilizzati da parte del territorio Ente locale, associazioni, ecc., come contributo per risolvere il problema affrontato?)

20. La riproducibilità dell’esperienza (la documentazione dell’esperienza viene realizzata in modo da poter essere utilizzata per riproporre altrove il progetto?)

N.B. La dizione “buone pratiche” può riferirsi a:

• attività educative e didattiche unitarie che si propongono di realizzare uno o più obiettivi formativi tra loro integrati adottando metodi, soluzioni organizzative e modalità di verifica dei livelli delle conoscenze e delle abilità acquisite e delle competenze adeguate al raggiungimento degli obiettivi formativi formulati;

• un progetto, cioè un complesso di attività correlate tra loro, organizzate secondo prefissati criteri di esecuzione, finalizzate a creare un prodotto (una pubblicazione, una mostra, un’iniziativa culturale, un intervento per modificare l’ambiente, ecc.)

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Le buone praticheQuesta parte della pubblicazione è dedicata alla presentazione di buone pratiche realizzate da alcune scuole.Le attività che proponiamo sono raccontate seguendo lo schema proposto in questa pubblicazione e sono il risultato di un grosso impegno da parte di dirigenti scolastici, docenti, alunni, famiglie, volontari UNICEF.Ringraziamo vivamente le scuole che hanno accolto il nostro invito perché lavorare insieme è stato anche per noi, operatori dell’UNICEF, un’esperienza coinvolgente e formativa.Un particolare ringraziamento va alle persone che hanno redatto insieme a noi le buone pratiche qui di seguito presentate: la dirigente Caterina Scaracia e le insegnanti Anna Rita Alba e Pinuccia Macculi dell’Istituto Comprensivo Nociglia-Surano; Laura Simonetti del Comitato UNICEF di Pistoia; la classe III/Ap (a.s. 2009/2010) dell’Istituto G. Pascoli di Firenze;

la classe IV/Ap (a.s. 2010/2011) del Liceo Laura Bassi di Bologna; la classe IV/Ap (a.s. 2010/2011) del Liceo Alessandro Manzoni di Latina; Elisabetta Loi del Comitato UNICEF di Roma.Lavorare insieme ci ha confermato quanto sia importante integrare saperi e competenze diverse che possono generare nuovi saperi e nuove competenze. L’UNICEF e il mondo della scuola hanno saputo realizzare tutto questo e i risultati sono stati sorprendenti.Riteniamo che il lavoro delle scuole presentato in questa pubblicazione possa favorire la raccolta di altre buone pratiche realizzate nell’ambito del "Programma Verso una Scuola Amica dei bambini e dei ragazzi", che è nostra intenzione valorizzare e pubblicare all’interno di nuovi materiali che andremo a realizzare.Vi auguriamo una buona lettura …

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“io sono l’altro per l’altro”istituto comprensivo di nociglia e di surano (lecce)

Il titolo del Progetto contiene in modo esplicito il campo d’intervento: la conoscenza di sé, l’acquisizione di essere l’altro per l’altro, l’apertura e l’accoglienza quotidiana, il superamento di pregiudizi e luoghi comuni, per diventare cittadini attivi e responsabili del benessere individuale e sociale, anche in società multietniche.All’interno del gruppo operativo si voleva riscontrare, al termine del percorso, un sostanziale miglioramento delle relazioni tra bambini, tra adulti e tra bambini e adulti. Di fatto l’accoglienza continua è il fulcro del nostro POF al di là di ogni progetto.Il progetto biennale ha previsto tre fasi di lavoro che hanno impegnato gli alunni in orario curricolare e in rientri extra di due ore settimanali per complessive 30 ore.

I fase (settembre 2009 - gennaio 2010): ideazione, stesura del progetto esecutivo e pubblicizzazione dello stesso sul territorio e in sedi istituzionali.

II fase (febbraio 2010-maggio 2011): analisi del contesto, tabulazione dei dati, progettazione partecipata, realizzazione del piano, autovalutazione e valutazione del processo in itinere e finale.

III fase (maggio 2011): divulgazione del progetto, dei risultati e dei prodotti realizzati attraverso varie modalità.

Con Determinazione del Dirigente del Servizio Scuola Università e Ricerca n. 203 del 30 novembre 2009 è stato approvato il progetto presentato dall’Istituto Comprensivo di Nociglia “Io sono l’altro per l’altro” e con comunicazione successiva è stato trasmesso l’ordinativo del pagamento del contributo concesso di € 3.000. In data 16 dicembre 2009 il Consiglio d’Istituto ha preso atto del contributo relativo al progetto per l’elaborazione del programma annuale ed ha disposto l’utilizzo di ulteriori € 2.000 dall’avanzato di Amministrazione dell’anno scolastico

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percorso educativo-didattico e ha richiesto il loro supporto per la realizzazione dello stesso.

• Il quadro programmatico entro il quale il progetto si è svolto: il progetto, tenendo presenti le linee programmatiche del Progetto Pilota “Verso una Scuola Amica”, approvato con delibera dal Collegio dei Docenti, ha tenuto conto dei bisogni formativi e dei suggerimenti degli alunni. È nato così il progetto “Io sono l’altro per l’altro”.

• Le funzioni dei partecipanti: la Funzione strumentale, che cura la progettualità della Scuola, ha illustrato il Progetto al Collegio dei docenti e successivamente lo stesso è stato presentato alla Regione Puglia nell’ambito della L.R. “Contributi in materia di Diritto allo Studio …”La Referente UNICEF dell’Istituto, dopo la costituzione degli Organi Collegiali, nel primo consiglio di interclasse, ha illustrato ampiamente il documento.

• Nel mese di gennaio, in una pubblica assemblea, alla presenza dei Sindaci di Nociglia e Surano, del Sindaco dei ragazzi, dei genitori e di rappresentanti di alcune associazioni del territorio, la Scuola ha illustrato finalità, obiettivi e risultati attesi del percorso educativo-didattico e ha chiesto il supporto di tutti, tenendo presenti ruoli e competenze.

ii fase: attuazione del progettoA febbraio 2010 i docenti hanno avviato i rientri organizzando una festa “Ognuno un colore, tutti nella bellezza dell’Arlecchino”Tutto, infatti, ha avuto inizio da una grande scatola-

sorpresa. Un foglio di carta pacco con la sagoma di Arlecchino, pennarelli e tessere di un puzzle sono venuti fuori a suon di musica. Dopo balli e canti ogni alunno ha avuto una tessera del puzzle, ha scelto un colore e si è rappresentato. Alla fine tutte le tessere hanno formato l’Arlecchino che non era altro che l’insieme di tutti loro. Li rappresentava tutti e non poteva avere un solo nome.Nei tre incontri successivi, ognuno di loro, prima nel grande, poi nel piccolo gruppo, ha raccontato se stesso, a volte conoscendosi meglio attraverso i compagni, con descrizioni fisiche e caratteriali, confidenze su emozioni e preferenze, disegni, racconto di esperienze, confronto tra profili soggettivi e oggettivi e rivalutazione di sé.Nel successivo incontro, gli alunni nel macro gruppo hanno deciso di raccontare la storia di un bambino venuto dal Marocco e hanno tracciato a maglie larghe il racconto sulla base delle esperienze vissute dai compagni venuti da lontano.La storia andava scritta ed illustrata e pertanto si sono costituiti quattro piccoli gruppi: uno per la produzione letteraria, due per le illustrazioni ed il quarto per la ricerca sul Web di elementi caratteristici del territorio e della cultura araba; i risultati della ricerca venivano veicolati continuamente ai gruppi impegnati nella produzione e nella illustrazione del testo.Ogni alunno ha scelto liberamente in quale gruppo collocarsi in base alle proprie attitudini.Le diversità delle identità emergenti hanno sollecitato

2009-2010, per complessivi € 5.000.Nel curricolare le tre classi hanno lavorato generalmente nelle rispettive sedi e, per momenti di riflessione comune e per l’ideazione e la realizzazione di coreografie, nella sede della Scuola Primaria di Nociglia.Il gruppo, nei rientri, ha lavorato presso l’edificio della Scuola Secondaria di I grado di Surano.Gli alunni, organizzati in macro gruppo e micro-gruppi, omogenei e/o eterogenei, hanno utilizzato aule, atri interni, aula multimediale e sala polivalente a seconda dei laboratori effettuati, utilizzando materiale di risulta e non e strumenti in dotazione della Scuola o reperiti fuori.Il progetto ha coinvolto un gruppo di 56 alunni della Scuola Primaria di Nociglia e Surano, appartenenti a classi diverse (una classe II a Nociglia e una a Surano, una classe IV a Surano).Il progetto ha richiesto anche l’apporto di soggetti esterni alla Scuola: l’esperta e il volontario UNICEF, la mediatrice culturale, l'esperta informatica, l'esperto di danza, i genitori e i nonni. L’idea è nata nei primi giorni di scuola in una classe seconda: riflettendo su alcuni versi di una filastrocca di Gianni Rodari, gli alunni hanno preso consapevolezza che “… dalla finestra della propria classe entra il mondo …”: Reda dal Marocco, Eugenio dall’Ucraina, Letizia dall’Ungheria… Anche in altre classi il mondo entrava con Ayoub, Annetta, Fatime, Hamide …Il progetto intendeva migliorare l’accoglienza della

diversità e la valorizzazione dell’alterità. Obiettivo del Progetto era la reciproca conoscenza dei bambini di diverse culture tramite:1. autobiografia degli alunni; 2. produzione di un racconto; 3. conoscenze geografiche sull’Italia e il Marocco; 4. analogie e differenze di religione; 5. giochi comuni; 6. fiabe comuni nelle versioni italiana e araba; 7. danze e canti tipici; 8. tavole imbandite; 9. lavori artigianali tradizionali.

i fase: ideazione, stesura del progetto esecutivo e pubblicazione dello stesso• Il punto di partenza: una filastrocca di Gianni Rodari.• Il coinvolgimento di altri alunni: gli alunni della

classe II di Surano, riferendosi all’insegnante di religione che interviene anche sulla Scuola Primaria di Nociglia, hanno indagato sulla presenza di altri alunni di origine straniera in altre classi. Sulla base dei risultati ottenuti hanno deciso di coinvolgere i compagni della classe II di Nociglia e della classe IV di Surano. Supportati dal Dirigente Scolastico e dai docenti hanno invitato i compagni di pomeriggio presso la Sala polivalente di Surano.

• La definizione dell’obiettivo: dall’incontro è nata la voglia di conoscersi meglio e di approfondire la conoscenza della cultura araba, lavorando insieme nella stessa sede, anche di pomeriggio.La Scuola (alunni, docenti, dirigente) ha invitato i genitori degli alunni per far conoscere loro il

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funzionali ai diversi scopi del lavoro. All’interno di ogni piccolo gruppo, specifici momenti di autovalutazione hanno evidenziato le priorità di intervento utili alla progressiva rimodulazione dei compiti.I docenti, attenti osservatori, hanno rilevato il grado di partecipazione e di coinvolgimento di ciascun alunno. In particolare un docente, a turno, con funzione di moderatore, ha cercato di ottimizzare i tempi, lasciando liberi gli alunni di esprimere idee, riflessioni, intuizioni, emozioni, mentre un altro docente ha registrato insieme ad un gruppo ristretto di alunni i vari interventi.Complessivamente la valutazione ha coinvolto anche i genitori e si è svolta su un piano paritario per alunni e docenti.È stato realizzato un laboratorio interculturale centrato sulle emozioni: ascolto, racconto, introspezione, confronto, espressione della creatività soggettiva che hanno sollecitato l’elaborazione del racconto “La Storia di Gosiè Uppè”, un bambino del Marocco trasferito nel Salento. Copia del libro è stata donata a ciascun bambino, ai reparti pediatrici di alcuni ospedali salentini e all’Istituto Comprensivo di Ruffano dove c’è una considerevole presenza di alunni del Marocco.Le attività laboratoriali si sono basate sull’espressione di sé, sul confronto, la condivisione dei significati, la negoziazione di idee, la ricerca, il problem solving, prevalentemente nel lavoro collettivo, di gruppo e di cooperative learning che hanno portato

all’apprendimento significativo.Le diversità di identità culturali emergenti hanno sollecitato curiosità e interesse nell’apprendimento della cultura italiana e araba per scoprire analogie e differenze. Gli approfondimenti delle conoscenze sono stati i risultati di ricerche su testi e sul Web, ascolto di testimonianze e di fiabe, esperienze pratiche guidate di arte culinaria e degustazione di piatti tipici (vd. sito http://sites.google.com/site/sitogosie/ le sezioni: i protagonisti; Italia, il territorio; Marocco, il territorio; giochi in comune; fiabe; cibo; tavole di apprendimento).Tutte le discipline hanno dato il loro contributo al progetto e sono stati presi in considerazione tutti i tipi di linguaggio.Nella storia sono stati riconosciuti gli apporti e i valori autonomi delle due culture, per liberarsi da rigide impostazioni a carattere etnocentrico o eurocentrico (il ruolo dei giochi, delle tradizioni religiose, la funzione delle narrazioni autobiografiche e fiabesche, i canti). L'insegnamento dell'italiano ha consentito una considerazione interculturale delle vicende della lingua italiana ed araba e una riflessione sui loro rapporti (il confronto degli alfabeti, in ambito sia di ascolto che di lettura; i campi semantici e le relative pregnanze di significato, utilizzate in sede di produzione scritta del racconto). L’educazione all’immagine ha consentito una codifica nel linguaggio iconico dei diversi ambienti di appartenenza (passaggio dai segni tipici del paesaggio salentino alle

curiosità e interesse all’approfondimento della cultura italiana e di quella araba, soprattutto, per scoprire analogie e differenze. Quindi nell’ottavo incontro gli alunni hanno individuato i campi di approfondimento: territorio, lingua, religione, fiabe, giochi, danze, canti e alimentazione.Negli incontri successivi si è dato largo spazio a ricerche su testi e sul Web, all’ascolto di testimonianze, di fiabe e di canti di genitori arabi e ad esperienze pratiche di arte culinaria guidate da nonni ed insegnanti. Mediatori, in questa fase, sono stati sia la mediatrice in senso stretto, sia Ajoub, il bambino marocchino residente a Surano (LE) da ben cinque anni.Nell’ultimo incontro gli alunni, aiutati dagli insegnanti e dai genitori, hanno imbandito una tavola con piatti tipici: couscous e orecchiette, pane arabo e pane di grano duro, dolci e frutta, ampiamente degustati nella “convivialità delle differenze”.Nell’a.s. 2010-2011, allo scopo di implementare ulteriormente le relazioni tra pari, risultato un punto fragile del processo solo per il 30% degli alunni, il progetto si è rivolto ancor di più al territorio, in una logica di “cultura dell’integrazione di rete”. Infatti, nel percorso “I turismi dialogano a scuola” è stato privilegiato lo studio della tessitura secondo le tradizioni locali e si è quindi proceduto ad un confronto con lo stesso settore artigianale del mondo arabo. In questa fase il ruolo di “facilitatore” è stato svolto dalla madre di un alunno marocchino e dalla mediatrice culturale presente nella scuola

per un sostegno nell’ambito del curricolo ordinario. Infatti la tematica è divenuta trasversale a tutte le discipline, connaturandosi come un filone educativo portante del POF d’Istituto. Un ulteriore rafforzamento delle relazioni è avvenuto in un percorso di educazione motoria ed educazione alla musica, esplicitamente chiesto dagli alunni tramite questionario, in cui sono state scelte musiche tipiche salentine ed arabe. Sulle loro basi musicali gli studenti, i docenti e la coreografa, in qualità di esperta esterna, hanno ideato e realizzato balli ed apposite coreografie.

iii fase: socializzazione del percorsoIl 28 maggio 2011, in un incontro aperto alla cittadinanza, si è socializzato il percorso.Sono stati stabiliti tempi e spazi: 15 rientri pomeridiani di due ore ciascuno da febbraio a maggio presso la Scuola Secondaria di I grado di Surano.Nel corso dei rientri gli alunni, in particolare nei macro-gruppi, hanno ricostruito i percorsi curricolari e non, autovalutando il lavoro personale e di gruppo, fornendo suggerimenti per il prosieguo delle attività e rimodulando i micro-gruppi. Nello specifico, il macrogruppo, formato da 56 alunni, dopo l’accoglienza e la ricostruzione di quanto già effettuato, ha proceduto ad organizzare il lavoro nel dettaglio, costituendo 4 micro-gruppi mobili,

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Il progetto ha richiesto l’apporto di soggetti esterni alla scuola che hanno avuto rispettivamente i seguenti ruoli: l’esperta e il volontario UNICEF hanno approfondito tematiche interculturali e potenziato l’azione partecipata; la mediatrice culturale ha facilitato l’interazione culturale e la comunicazione fra gli alunni e fra gli alunni e le famiglie; l’esperta informatica ha supportato gli alunni nell’utilizzo di mezzi informatici e ha curato la produzione del CD e l’apertura del sito; l’esperta di danza ha supportato l’ideazione e la realizzazione delle coreografie; i genitori e i nonni hanno “testimoniato”, anche praticamente, tradizioni culturali e valori.Questi ultimi, infatti, hanno raccontato fiabe, ripreso argomentazioni religiose musulmane e cristiane, descritto situazioni geografiche, produttive, lavorative e sociali, ma hanno anche collaborato operativamente insegnando ai ragazzi la realizzazione di piatti tipici. Nell’ambito del percorso “I turismi dialogano a scuola” è stato allestito un expo presso l’IPSIA “Lanoce” di Maglie, in collaborazione con numerosi altri Istituti Comprensivi della Provincia di Lecce. In tale ambito è stato fondamentale l’apporto dell’Amministrazione Comunale, sia in fase progettuale che in quella operativa in senso stretto.Il monitoraggio in itinere è stato realizzato costantemente da parte dei docenti, anche come osservatori esterni, con il supporto della Dirigente Scolastica. Gli alunni hanno risposto a questionari e hanno collaborato alla tabulazione dei dati e

sono stati coinvolti nella riflessione dei risultati e su eventuali aggiustamenti del percorso affinché entusiasmo, gioia e creatività non venissero meno in nessuno di loro.Gli obiettivi prefissati in sede di progetto sono stati senz’altro raggiunti.

Da una valutazione complessiva sono emersi i seguenti punti di criticità e di eccellenza.Criticità:• gestione dei tempi di lavoro, che avrebbero dovuto

essere ottimizzati ancora meglio rispetto ai bisogni emersi in corso d’opera.

Eccellenza:• utilizzo di metodi problematizzanti, funzionali alla

valorizzazione del protagonismo dei bambini;• coinvolgimento degli alunni in tutte le fasi

valutative;• condivisione del lavoro con genitori, nonni ed

esperti esterni;• disponibilità dei docenti al di là delle ore retribuite.

Le ricadute si sono verificate, in particolare, su alcune discipline del curricolo ordinario: italiano, storia, religione, che hanno avviato una rilettura dei contenuti anche sulla base del filone dell’intercultura. Contemporaneamente, le competenze dei docenti si sono affinate sul versante della progettazione partecipata e della capacità di costruire relazioni significative anche con attori diversi dagli operatori scolastici. Inoltre, l’esperienza

caratteristiche dell’ambiente arabo) e l'educazione musicale ha permesso la scoperta di strumenti comuni di produzione del suono (vedi tamburello). La geografia ha presentato una forte valenza interculturale per la progressiva apertura dal vicino al lontano e, quindi, dalla realtà locale a quella marocchina. L’habitus mentale del ragionamento critico ha favorito il confronto di idee e la problematizzazione delle varie fasi del progetto.Ovviamente, tale impostazione ha consentito forti interrelazioni tra storia e religione.Il progetto ha valorizzato le abilità dei bambini di esprimersi mediante l’uso dei linguaggi più rispondenti alle proprie potenzialità, anche attraverso la ripetuta rimodulazione dei piccoli gruppi. A conclusione del progetto gli alunni hanno migliorato la capacità di ascolto, di immedesimazione, di autovalutazione, di collaborazione responsabile e proficua, di valorizzazione dell’alterità riconoscendola anche in se stessi. In sintesi, gli alunni sono stati protagonisti attivi di tutte le fasi, attraverso un’autovalutazione continua del lavoro, rispetto alla quale i docenti hanno svolto un ruolo di “regia nascosta”.

Sono state valorizzate le seguenti competenze cognitive:• saper ascoltare e comprendere messaggi verbali e

non;• saper produrre testi, anche di tipo multimediale;• saper confrontare e valutare situazioni

problematiche diverse;• saper confrontare punti di vista diversi; • saper rielaborare quanto appreso in contesti

comunicativi differenti, potenziando l’utilizzo di strategie personali e creative;

• saper utilizzare i diversi tipi di linguaggio per favorire i vari stili di apprendimento;

• saper ricostruire i diversi step del processo di lavoro.

Sono state valorizzate le seguenti competenze socio-affettive e psico-relazionali:• saper comunicare nel piccolo e grande gruppo in

modo costruttivo e funzionale all’accettazione dei diversi punti di vista;

• saper esercitare modalità socialmente efficaci di espressione delle proprie emozioni e della propria affettività;

• saper promuovere la consapevolezza del valore del contributo di ciascuno per il raggiungimento di un obiettivo comune, anche in situazioni di collaborazione con il territorio.

Sono state promosse ex novo le seguenti competenze:• saper progettare in modo partecipato per la

costruzione attiva del proprio sapere e per la scoperta di domini conoscitivi nuovi;

• saper gestire il lavoro di gruppo in modo responsabile e funzionale allo sviluppo del compito.

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ordinarie azioni di sistema già da anni avviate.Si sta ancora lavorando sulla documentazione ragionata dell’esperienza, funzionale sia alla ricostruzione di ogni fase del progetto sia alla trasferibilità dell’esperienza in altre situazioni.

ha avviato una prima riflessione in merito alla rimodulazione dell’organizzazione interna della scuola, da inserire come punto di forza nel POF. Si intende in particolare dare maggiore spazio al lavoro per classi aperte, sia di plesso che d’interplesso, estendendo tale logica all’organizzazione extracurricolare e all’impianto dei PON (Fondi FSE 2007-2013). È naturale che tutto ciò implichi un rafforzamento della progettazione partecipata.In sede di valutazione finale, è stato anche deciso di valorizzare ulteriormente il protocollo di accoglienza, che si è rivelato utile e funzionale e, quindi, trasferibile alle situazioni scolastiche ordinarie.A conclusione del percorso si respirava un’atmosfera di maggiore rispetto e fratellanza nella reciproca ed amichevole conoscenza, che ha portato tutti, bambini ed adulti, a proiettarsi al di fuori di sé per immedesimarsi nell’altro. La presentazione del percorso è stata preceduta da un breve lavoro di ricapitolazione dei due anni di attività/progetto. In tre giorni tutto il gruppo, guidato da un volontario UNICEF, ha lavorato nella palestra della Scuola Primaria di Nociglia, mettendo su carta tutto il percorso effettuato attraverso una mappa mentale.La socializzazione è avvenuta il 28 maggio 2011 in uno spazio esterno alla scuola, alla presenza della Dirigente Scolastica, dei Sindaci, dei rappresentanti dei Comuni, dei docenti dei tre ordini di scuola, dei genitori, dei nonni e degli amici.Importante anche l’impegno dell’Ente Comunale,

della Protezione Civile e dell’UNICEF. Lo spettacolo finale è stato condotto dallo stesso volontario UNICEF, che ha supportato gli alunni nell’esposizione del loro percorso e dei risultati ottenuti, facendo da costante tramite tra i vari momenti che si sono susseguiti in un mix di balli, musiche e canti arabi e salentini, che hanno visto anche la presentazione del CD e del sito.Coinvolgenti tutti i momenti, in particolare la lettura del libro “La storia di Gosiè Uppè” scritto in italiano e in arabo, grazie al contributo del papà di uno dei bambini marocchini. La lettura si è svolta in maniera alternata tra una maestra e una mamma araba.Una spontanea verifica finale del buon esito del progetto è avvenuta direttamente sotto gli occhi di tutti quando uno dei due ragazzi arabi, dovendo partire per tre mesi in Marocco, prima ha salutato in modo piuttosto formale, poi dopo essersi allontanato, è ritornato di corsa per riabbracciare tutti i suoi compagni e i maestri, ad uno ad uno, bloccando lo spettacolo.Si è toccato così con mano la positività del percorso: c’era solo un unico GRUPPO! La socializzazione di cui al punto precedente ha rappresentato una prima forma di pubblicizzazione.Inoltre, è stato creato un apposito sito e il libro pubblicato sulla storia di Gosiè Uppè, insieme all’allegato CD, oltre ad essere donato agli alunni, è stato offerto a 5 ospedali pediatrici del Salento.I rappresentanti degli Enti Locali hanno apprezzato il lavoro ed espresso la volontà di continuare le

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“progettiamo l’accoglienza” scuola secondaria di i grado “l andreotti” di pescia (pistoia)

Il Progetto era finalizzato allo studio approfondito della realtà vissuta dagli studenti per quanto riguarda il diritto all’accoglienza, per riuscire a realizzare una progettazione partecipata di spazi, modalità e tempi della vita scolastica.L’obiettivo indicato era: riuscire a creare ipotesi che migliorassero l’attuazione di questo diritto, partendo dal vissuto dei ragazzi e attivando in loro il desiderio di progettare metodologie che andassero a migliorare la situazione di partenza.Il Progetto si è svolto nell’arco di un anno scolastico.I costi per il progetto non sono stati rilevanti; l’operatrice UNICEF ha garantito la presenza sia in fase di programmazione che di realizzazione dei laboratori e il costo del materiale è stato ripartito tra il Comitato Provinciale UNICEF e le singole scuole aderenti.Sia la fase di programmazione che di realizzazione si è svolta per il 90% presso la scuola; si è quindi potuto fare uso dei laboratori di informatica per

la rilevazione dei dati raccolti dai ragazzi in fase di analisi e del materiale messo a disposizione dalla scuola per attività varie.È stato fondamentale l’utilizzo della connessione internet presso la scuola, soprattutto per la realizzazione dell’elaborato con il quale i ragazzi illustravano lo svolgersi delle fasi del progetto, i risultati delle loro indagini e le proposte ideate. Per il restante 10 % del tempo invece i ragazzi hanno indagato il luogo esterno all’edificio scuola; percorrendo e analizzando i vari percorsi che ogni giorno, con diversi mezzi di trasporto, li conducevano a scuola e da scuola a casa.Le classi coinvolte sono state 6, tutte classi seconde, ma suddivise per 3 diverse sedi.Questo elemento è stato particolarmente interessante per lo svolgimento del progetto; essendo infatti un laboratorio legato alla situazione strettamente territoriale dei ragazzi, essere appartenenti a tre diverse sedi dello stesso Istituto ha delineato

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e indagini, in modo da riuscire a condividere nel gruppo classe ciò che era emerso dai singoli piccoli gruppi.In questa occasione, sia l’insegnante che l’operatrice UNICEF, hanno invitato i ragazzi a riflettere su quello che avevano riportato e a creare una sintesi che ben rispecchiasse la situazione della scuola analizzata.Grazie a questa sintesi è stato ottenuto il punto di partenza per l’intervento; i ragazzi, divisi in gruppi di progettazione, hanno elaborato delle proposte per migliorare e arricchire la “sensazione” di accoglienza nella scuola.Ogni gruppo ha esposto le proprie ipotesi alla classe, agli insegnanti e alla referente UNICEF, in modo da poter parlare ed esprimere opinioni e riflessioni sulle proposte di tutti.A termine di questa fase di condivisione i ragazzi hanno isolato un mini-intervento da attuare all’interno della propria scuola.

Dal momento che si trattava di tre sedi diverse, gli interventi ipotizzati erano veramente diversi tra loro; in un caso è stato deciso dai ragazzi l’allestimento di un’aula video-conferenze dove gli stessi alunni potessero proporre la programmazione di film e conferenze, in modo da partecipare alla vita scolastica facendo leva sugli stessi interessi dei compagni.Un’altra ipotesi di mini-intervento invece si proponeva di risolvere l’esistenza di episodi di bullismo fuori dalla scuola prima dell’inizio delle lezioni; in questo caso, grazie alla proposta del comitato genitori,

alcuni nonni ex vigili municipali si sono proposti per essere presenti e garantire la sicurezza dei ragazzi sia all’entrata che all’uscita della scuola. Il terzo progetto elaborato dall’ultima sede aveva come finalità quella di far conoscere il più possibile ai ragazzi la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell'adolescenza. I ragazzi a questo punto hanno realizzato uno spazio all’interno del sito della loro scuola sul quale si raccoglievano riflessioni e commenti sui diritti negati e garantiti, sottoforma di Blog.

Il progetto si è svolto in orario scolastico; l’operatrice UNICEF ha svolto in ciascuna classe due laboratori di due ore per evidenziare l’aspetto dell’accoglienza e per recuperare le indagini dei ragazzi; la progettazione è stata invece realizzata completamente con gli insegnanti durante le ore di lezione messe a disposizione.Per la prima fase introduttiva è stato utilizzato sia il focus group che il brainstorming per delineare insieme il significato della parola “accoglienza”.Per la seconda fase di indagine i ragazzi hanno scelto di suddividere le diverse modalità di recupero dati attraverso sottogruppi.La fase della progettazione è avvenuta attraverso un dibattito comune con le insegnanti.Fondamentale il contributo delle insegnanti di lettere (referenti per ciascuna classe del progetto), dei docenti di informatica (per la fase di eleborazione dati raccolti) e di arte e immagine e tecnica (per la fase di elaborazione strategie).

divergenze sia di problematiche, sia di soluzioni legate all’accoglienza.I ragazzi che hanno partecipato sono stati 130, tutti di età compresa fra i 12 e i 13 anni. I docenti coinvolti sono stati 12; in ognuno delle sei classi era presente un docente con il ruolo di referente del progetto.L’idea è nata da una riflessione legata ai risultati del quadro degli indicatori somministrati a tutti i ragazzi e a tutti i docenti coinvolti (vedi pubblicazione UNICEF “Percorsi di lavoro Verso una Scuola Amica”); oltre a questo l’operatrice ha ritenuto utile dedicarsi alla problematica dell’accoglienza seguendo le linee guida proposte dall’UNICEF per l’A.S. 2010-2011.La situazione che si cercava di migliorare era quella della reale partecipazione dei ragazzi, su richiesta degli insegnanti.L’obiettivo era duplice: la prima fase mirava a rendere i ragazzi portavoce dell’accoglienza all’interno della scuola, attraverso una indagine particolareggiata delle opinioni di compagni, insegnanti e personale.La seconda fase invece, aveva lo scopo di progettare interventi attraverso i quali i ragazzi ritenevano di ottenere dei miglioramenti per la situazione iniziale che avevano fotografato.Lo svolgimento del progetto ha preso inizio dalla fase di somministrazione degli indicatori a studenti, insegnanti e personale vario della scuola.Come già spiegato, le classi facevano parte di tre diverse sedi, quindi anche i risultati degli indicatori hanno tracciato diverse situazioni da indagare.

La prima fase ha visto gli studenti impegnati nel delineare insieme il concetto di “accoglienza”.Questo è avvenuto attraverso un laboratorio gestito dalla referente UNICEF la quale chiedeva ai ragazzi di dare una valutazione a diversi ambienti (casa, scuola, sport, piazza, internet…) in base al grado di accoglienza che vi ritrovavano.Dall’esame di queste valutazioni la mediatrice ha cercato di raggiungere una definizione comune e partecipata del concetto di “accoglienza” facendo in modo che i ragazzi spiegassero sia le motivazioni delle loro valutazioni, sia i loro desideri di miglioramento nei vari ambienti.Al termine del laboratorio è stato proposto loro di indagare più da vicino uno di questi luoghi: la scuola.Attraverso modalità scelte da loro (interviste, blog, fotografie, disegni) ogni classe ha delineato un’indagine volta alla scoperta degli aspetti più o meno accoglienti della scuola, intendendo per “scuola” sia il concetto di “edificio” che di “momento nella sua completezza”.Grazie a una discussione in classe sui risultati di questi rilevamenti, ogni classe ha scelto quale fosse l’aspetto più problematico sul quale proporre un intervento.L’ultima fase del progetto consisteva nella progettazione partecipata di questi interventi con l’aiuto di insegnanti, referente UNICEF e genitori.Questa si è svolta attraverso un dibattito iniziale nel quale i ragazzi esponevano e confrontavano il materiale raccolto con le loro interviste, reportage

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le insegnanti, cosa che è avvenuta quasi per tutte le classi, ad eccezione di un caso dove l’insegnante ha esposto la sua difficoltà ad adeguarsi a un metodo che non sentiva proprio e che non riusciva ad attuare con i suoi ragazzi.

Il 21 gennaio 2011, tutti i ragazzi delle 6 classi coinvolte hanno partecipato ad un incontro-dibattito con le principali Istituzioni del territorio e con il Prof. F. Farina, consulente UNICEF per i progetti con le Scuole, durante il quale hanno esposto i loro lavori di indagine e le loro proposte.In questa occasione alunni, insegnanti, istituzioni e società civile hanno potuto condividere e approfondire sia i risultati che il percorso; dando la parola ai ragazzi, questi si sono sentiti chiamati a spiegare e motivare scelte e progetti; tutto ciò è stato realizzato con grande facilità proprio perché si sono fatti portavoce di idee veramente nate da loro stessi.Attraverso il Consiglio Comunale dei Ragazzi anche i risultati ottenuti sono stati portati alla attenzione sia dei Collegi dei Docenti che dell’Ufficio Scolastico provinciale e dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione. Le Istituzioni hanno potuto conoscere le attività svolte nelle scuole e sul sito dell’Istituto Comprensivo è stato riportato il risultato del progetto.La documentazione del progetto è realizzata in maniera molto dettagliata.I ragazzi hanno realizzato dei power-point delucidativi su ciascuna fase dell’iniziativa.

Il ruolo degli alunni è stato centrale per tutte le fasi del progetto. Referente e docenti si sono limitati a strutturare le tempistiche della raccolta dati e della formulazione di ipotesi, mentre lo svolgimento delle immagini e dell’elaborazione delle proposte sono stai completamente gestiti dagli alunni.Loro stessi hanno scelto quale fosse la metodologia più appropriata con cui svolgere l’analisi e quale fosse l’aspetto su cui investire per il miglioramento della realtà di fatto del diritto all’accoglienza.È stata valorizzata la loro capacità di autogestione, di lavorare in gruppo condividendo i fini delle attività e di progettazione autonoma.Ex novo i ragazzi hanno appreso che nessun intervento è progettabile sulla base di quello che riteniamo utile in quanto singoli; è stato utile per loro arrivare alla fase di progettazione solo alla fine, ovvero dopo aver fotografato la realtà di partenza, aver domandato le opinioni ai loro compagni e aver infine decretato quale fosse la strategia migliore.Tutti gli alunni e i docenti della scuola insieme al personale A.T.A. sono stati coinvolti nella fase di indagine e si sono sentiti così facenti parte di un progetto unitario anche se diviso nelle varie sedi.I docenti referenti hanno contribuito sia nella fase di programmazione con la referente UNICEF sia in quella di realizzazione, attraverso un sostegno continuo alle attività svolte dai ragazzi.

Un momento importante di monitoraggio è avvenuto a metà progetto (gennaio 2011) quando le classi si

sono incontrate e hanno condiviso i risultati delle ricerche svolte.Oltre che una esposizione rivolta ai compagni, questo momento è risultato un vero e proprio “dibattito pubblico” anche con i vari rappresentanti delle Istituzioni che si occupano dell’Istruzione e della tutela dei ragazzi in genere (Assessore, Sindaco, Capitano dei Vigili del Fuoco, Questore, Prefetto).L’obiettivo prefissato per il progetto è stato raggiunto proprio perché tutti i ragazzi si sono sentiti chiamati a portare il proprio contributo alla progettazione di interventi che migliorassero la loro scuola.Naturalmente aver imparato la progettazione partecipata è solo un momento del percorso “Verso una Scuola Amica”, utile e imprescindibile per affrontare tutte le altre attività richieste a una scuola “amica dei bambini”.Grazie però a questa acquisizione il lavoro dei prossimi anni partirà già dalla consapevolezza che qualunque cosa venga proposta non può prescindere da una precisa valutazione della situazione, e da un percorso di condivisione di intenti, modi e riflessioni.

Al termine del lavoro sono stati isolati come punti di eccellenza alcuni elementi:• grande interesse dei ragazzi nei confronti della

tematica;• estremo coinvolgimento dei ragazzi in ogni fase del

progetto.Questo naturalmente è stato possibile grazie a una importante condivisione di finalità e modalità con

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“i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” classe iii/ap, istituto g pascoli di firenze

Il progetto ha avuto durata annuale: a.s. 2009-2010. I costi per materiale di consumo e i costi generali sono stati tutti a carico dell’Istituto.Per la realizzazione del progetto è stata utilizzata l’aula della classe. La scuola ha inoltre messo a disposizione le necessarie attrezzature. Il progetto è stato portato avanti dalla classe III/Ap. La supervisione e il coordinamento del progetto sono state curate dal consulente UNICEF Prof. Franco Farina.Al progetto hanno partecipato l’Istituto degli Innocenti di Firenze e la Scuola Primaria di Croce a Varliano (Bagno a Ripoli). L’idea di realizzare il progetto è scaturita dalla proposta avanzata dal consulente UNICEF.

Il progetto intendeva:• elaborare metodologie più efficaci per educare gli

alunni delle scuole primarie all’esercizio dei “diritti dei bambini e delle bambine”;

• sperimentare il metodo scelto in una scuola primaria per migliorare la collaborazione tra istituto pedagogico e scuola primaria.

Obiettivo del progetto era:• realizzare una trascrizione del testo della

Convenzione che fosse comprensibile per gli alunni di una scuola primaria;

• ideare attività ludiche, giochi, rappresentazioni teatrali, testi, immagini, attraverso i quali introdurre e presentare i diritti dei bambini;

• sperimentare la realizzazione delle attività in una scuola primaria.

Nel mese di dicembre, in orario scolastico, si è svolto un incontro presso l’Istituto tra la classe III/Ap e il consulente UNICEF. Riportiamo qui di seguito il primo dei "verbali" redatti dai ragazzi, che raccontano il percorso realizzato.

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professori, l’amicizia, i compagni; la classe, divisa in 5 gruppi composti da 4/5 persone, ha scelto l’argomento sul quale costruire la sua piccola “poesia” (l’apprendimento, il rispetto, ecc.): ogni gruppo ha scritto sul proprio foglio la prima frase – secondo il tema scelto – passando poi al gruppo successivo che doveva trovare una rima baciata, e così via di seguito fino a che ogni gruppo al sesto passaggio si ritrovava il testo iniziato, da terminare con l’ultima frase; sono venute così fuori 5 poesie, da interpretare secondo la modalità che ogni gruppo andava a scegliere: canzone, scenetta, dialogo, lettura di gruppo;

• è stato quindi portato avanti il lavoro per la definizione di unità didattiche con giochi e proposte operative per la presentazione dei diritti dei bambini alla scuola primaria; il racconto, precedentemente scelto come strumento, è stato successivamente messo in discussione;

• i ragazzi, ciascuno per proprio conto, ha portato avanti una ricerca per individuare lo schema su cui costruire le proposte; questi i risultati: obiettivi (why?), metodologia (how?), attività didattica (what?), materiale (by), luogo (where?), tempi (when?) verifica (how did it go?);

• si è arrivati quindi alla definizione di “unità didattica”: il lavoro che i bambini devono fare per conoscere i loro diritti; per i tempi i ragazzi hanno deciso di definire sia quelli di preparazione, di svolgimento delle attività, di discussione; per il numero di classi, trattandosi di una piccola scuola,

sono state tutte coinvolte (7); per la documentazione è stato deciso di realizzare dei verbali redatti dai ragazzi stessi per raccontare l’intero percorso realizzato;

• elaborazione degli articoli della Convenzione in forma semplificata: tale attività si è svolta in due fasi: dopo una prima stesura gli articoli sono stati ulteriormente semplificati, utilizzando un linguaggio diretto e “colloquiale”;

• elaborazione del progetto operativo: ogni classe è stata coinvolta in una discussione

iniziale, nelle singole aule, per definire insieme ai bambini che cosa intendessero per diritti: che cosa è un diritto? quali sono i tuoi diritti? (l’incontro è stato verbalizzato da uno studente del gruppo);

• suddivisi in gruppo i ragazzi dell’Istituto Pascoli hanno iniziato a questo punto a lavorare con le singole classi della scuola primaria, tenendo sempre presente lo schema precedentemente individuato (why?, how?, what?, by, where?, when?, how did it go?) e dopo aver suddiviso, per ciascuna classe, gli articoli della Convenzione sui quali lavorare;

• sono state così realizzate le 5 diverse unità didattiche precedentemente elaborate, successivamente chiamate “unità di apprendimento”, “perché, secondo i ragazzi, le stiamo realizzando concretamente insieme e tutti – anche i professori – stiamo imparando insieme"; le unità di apprendimento comprendevano: l’attività con i Burattini, Il gioco dell’oca (psicomotorio), Il gioco dell’oca (a tavolino), Il Gioco delle rime, Le

Verbale incontro 1 dicembre 2009: l’incontro si è svolto dalle ore 11.05 alle ore 12.00 e ha avuto come oggetto di approfondimento la storia dell’UNICEF, dalla sua fondazione ad oggi.Alla domanda: quali sono i diritti di un adolescente nel campo dello studio?, i ragazzi hanno elencato quei diritti che ritenevano importanti nel loro contesto scolastico.La successiva domanda è stata: come facciamo a far capire questi concetti ad un bambino di scuola primaria?

Dopo aver aperto una discussione il consulente UNICEF ha dato alcuni compiti da svolgere:• fare una ricerca sull’UNICEF e sulle sue attività

e sulla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza;

• tradurre i 54 articoli della Convenzione con un linguaggio adeguato per i bambini.

La classe è stata suddivisa in gruppi (ogni gruppo era composto massimo da tre persone). Ogni gruppo aveva il compito di semplificare 9 articoli. Il consulente aveva invece il compito di ricercare gli articoli della Convenzione più adatti da far analizzare alla classe.

Nei successivi 7 verbali, sempre redatti dalla classe III/Ap, vengono riportate le attività realizzate: • la classe è stata suddivisa in sottogruppi per

semplificare gli articoli della Convenzione;• è seguita una discussione per individuare i metodi

da adottare affinchè gli articoli risultassero comprensibili ai bambini e coinvolgenti (come analizzare ciascun articolo; attraverso quali strumenti; come rendere efficace e non dispersiva tale operazione; quanto deve essere lungo il testo di ciascun articolo, ecc.);

• si è avviata quindi una discussione per individuare lo strumento più efficace (si è deciso di individuare alcuni articoli collegabili tra loro per la creazione di un racconto);

• si è passati successivamente alla definizione della parola “benessere” (sono state individuate 3 definizioni: serenità, cooperazione, creatività) e si è quindi discusso su come si potesse misurarlo;

• si è passati quindi ad individuare quale racconto potesse essere abbinato agli articoli della Convenzione e quali giochi (Babe il maialino, Ratatouille, Il pesciolino rosso; da Giochi linguistici di Gianni Rodari “La grammatica della fantasia”; dal sito de “La bottega dei Ragazzi” del Comune di Firenze: Il gioco dell’oca (sul tema della legalità), Presentiamoci giocando (alla ricerca dell’identità);

• si è arrivati alla individuazione del “Gioco linguistico di gruppo” (Gianni Rodari) per inventare poesie su un tema stabilito: Il diritto allo studio;

• la classe, divisa in 5 gruppi, ha proseguito il progetto attraverso il “gioco delle rime”, precedentemente scelto, dopo aver individuato gli argomenti da trattare, partendo dalla domanda “quali sono le cose o le persone che ti stanno più a cuore della scuola?”. I risultati sono stati: l’apprendimento, il rispetto, i

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• sono stati organizzati momenti di incontro con varie attività per la presentazione della Convenzione e dei diritti in essa contenuti;

• un elemento di criticità è stata l’integrazione del progetto nella programmazione curricolare, spesso sembravano estranee l’una l’altra;

• elemento di eccellenza è stata la collaborazione tra istituti diversi, l’apertura culturale di tutti coloro che hanno collaborato al progetto (dirigenti, docenti, ecc...);

• l’attuazione del progetto è stata un’occasione per presentare agli studenti concetti e metodologie;

• l’organizzazione del progetto ha dato modo di sperimentare relazioni esistenti tra le diverse istituzioni coinvolte;

• i verbali finali documentano come gli allievi abbiano analizzato e valutato la propria esperienza, i propri apprendimenti, le difficoltà incontrate, le relazioni di collaborazione vissute durante le varie fasi del lavoro.

A conclusione del progetto gli studenti dell’Istituto hanno elaborato i verbali conclusivi sull’attività svolta nelle singole classi. I risultati ottenuti e il processo seguito per ottenerli verranno pubblicati e diffusi nell’Istituto, nella scuola primaria coinvolta, presso l’Istituto degli Innocenti e nel sito dell’UNICEF.La possibilità di riprodurre l’esperienza è offerta dalla seguente documentazione: • il percorso di lavoro ricostruito attraverso i verbali

degli incontri;• il progetto operativo inviato ai docenti della Scuola

Primaria coinvolta.

Scenette. Ciascuna attività prevedeva uno o più osservatori e la realizzazione di almeno 4 fotografie per la documentazione; al termine delle singole attività ogni classe di scuola primaria si ritrovava in circle time con gli studenti-tutor per riflettere sull’esperienza; anche questo incontro veniva verbalizzato da uno studente del gruppo;

• ciascuna unità didattica prevedeva tra gli obiettivi: la CONOSCENZA di alcuni articoli della Convenzione, la COMPRENSIONE del significato e dell’applicazione, la RIFLESSIONE relativa alla propria esperienza.

Le attività si sono svolte nell’aula di classe e negli spazi della scuola primaria (spazi al chiuso e all’aperto) in ore destinate alla disciplina “Scienze della formazione”.Come risulta dai verbali e dal progetto operativo inviato alla scuola, la classe si è organizzata in gruppi di lavoro in cui erano ben definiti ruoli, compiti, responsabilità.Il consulente UNICEF ha dato indicazioni metodologiche relative all’attuazione del progetto e ha fornito informazioni relative al programma UNICEF.L’ambito disciplinare in cui si è svolto il progetto è stato quello delle scienze della formazione: il contributo teorico e metodologico è stato assicurato dalla docente di questa disciplina. Ha collaborato anche la docente di lingua inglese.Il compito degli alunni è stato: interpretare e

trascrivere il testo degli articoli della Convenzione; organizzare la presentazione degli articoli nella Scuola Primaria; realizzare le attività nelle classi della Scuola Primaria; documentare tutte le fasi di realizzazione del progetto.L’attuazione del progetto ha permesso agli alunni di questa classe di sperimentare nuove metodologie di organizzazione del lavoro laboratoriale, di verificare in esperienze concrete le proposte teoriche presentate nel corso dell’anno.

Il ruolo degli altri soggetti: l’UNICEF ha fornito la documentazione sulla Convenzione e le indicazioni metodologiche per realizzare il progetto; la scuola primaria ha permesso di sperimentare le proposte didattiche dell’Istituto Pascoli nelle proprie classi;l’Istituto degli Innocenti ha fornito occasioni per approfondire la storia dei diritti dell’infanzia.Il monitoraggio delle attività è stato fatto nei momenti in cui sono stati organizzati gli incontri documentati dai verbali riportati, in forma sintetica, in questa parte della pubblicazione: in questi incontri veniva discusso lo stato dell’opera, venivano valutati progressi ed errori e venivano fissati i successivi passi da compiere.

Gli obiettivi inizialmente individuati sono stati sostanzialmente raggiunti:• gli studenti hanno realizzato la riscrittura

semplificata degli articoli della Convenzione ed è stata presentata agli alunni della Scuola Primaria;

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“verso una scuola amica dei bambini e dei ragazzi” classe iv-a del liceo laura bassi di bologna e classe iv-ap del liceo a manzoni di latinaIl progetto è stato inserito nella programmazione di stage di due classi di due istituti superiori: il Liceo Laura Bassi di Bologna (classe IV-A) e il Liceo Alessandro Manzoni di Latina (classi IV-A/p). Lo stage è stato strutturato in due fasi: • un percorso di formazione sul tema dei diritti

dell’infanzia e dell’adolescenza, con una particolare attenzione al diritto all’educazione, all’ascolto e alla partecipazione che rappresentano il cuore del "Programma Verso una Scuola Amica";

• costruzione di un’attività di laboratorio da realizzare con bambini di una scuola primaria sul tema dei diritti, sul concetto di cura e sull’assunzione di responsabilità.

Il progetto ha previsto inizialmente una settimana di formazione, più il tempo necessario per organizzare i laboratori con i bambini della scuola primaria (una settimana) e per i laboratori stessi (ogni laboratorio si è svolto nel corso di una mattinata).I costi del progetto sono stati sostenuti dai fondi

previsti dalle rispettive scuole per gli stage.L’idea di promuovere la conoscenza e l’attuazione dei diritti contenuti nella Convenzione e il percorso "Verso una Scuola Amica" ha ispirato l’elaborazione dell’intero progetto.Per ambedue le scuole è stato molto importante il lavoro di coordinamento svolto da un docente responsabile dell’attività di tirocinio, con il quale è stato possibile condividere gli obiettivi del progetto e strutturare le varie attività.L’idea del progetto è nata dalla volontà dei docenti e dei ragazzi stessi di realizzare il tirocinio sul tema dei diritti; offrire un’opportunità di conoscenza del mondo del lavoro; favorire fondamentali apprendimenti; sperimentare la lettura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso un’attività sulla quale venivano formati e che potevano essi stessi organizzare e gestire. L’articolo 29 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza stabilisce, tra le finalità dell’educazione, quella di

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Primo incontro:• laboratorio di apertura;• breve presentazione del programma di formazione

per condividere gli obiettivi e le finalità del progetto; • parliamo di diritti: presentazione della Convenzione

sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza come strumento di lavoro e dei 4 principi che l’hanno ispirata. La proiezione di un video dell’UNICEF sulla condizione di vita di bambini e ragazzi che vivono in alcuni paesi in via di sviluppo è stata di supporto per far meglio comprendere come la Convenzione sia rivolta a tutti i bambini e ragazzi del mondo, senza alcuna distinzione.

Secondo incontro:• il secondo incontro ha avuto come argomento

centrale il diritto all’educazione. Per rendere i ragazzi più consapevoli del valore dell’educazione e delle sue finalità è stato presentato il Commento Generale n. 2 sulle finalità dell’educazione. Il commento è stato elaborato dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia istituito dalla stessa Convenzione del 1989 per assistere gli Stati, le organizzazioni internazionali e le agenzie specializzate nella piena realizzazione dei diritti riconosciuti nella Convenzione stessa.

• a seguire è stato presentato il laboratorio Diamante. Questo laboratorio ha come scopo quello di promuovere una discussione sulla Convenzione, nello specifico su quei diritti che riguardano il contesto scolastico. Il messaggio che si vuole trasmettere è quello di comprendere quanto la

Convenzione sia uno strumento utile non solo per individuare le criticità ma anche azioni e strategie da sviluppare per implementare la diffusione della Convenzione e il suo rispetto. I ragazzi sono stati divisi in gruppi; ad ogni gruppo sono state consegnate 9 carte (su ciascuna delle quali è riportato un diritto) insieme ad un tabellone, pennarelli e gommini adesivi. Obiettivo del laboratorio è riportare su uno schema a piramide le carte in ordine di importanza. È necessario ribadire che il posizionamento delle carte deve avvenire partendo dalla propria esperienza e non da considerazioni generali. I ragazzi devono cioè riportare sullo schema a piramide i diritti più o meno riconosciuti nel loro contesto scolastico. I ragazzi hanno 25 minuti di tempo per discutere in gruppo e condividere il posizionamento delle carte. Di seguito un rappresentante per ciascun gruppo presenta il proprio lavoro esplicitandone le motivazioni.

Terzo incontro:l’incontro ha previsto la presentazione del "Programma Verso una Scuola Amica dei bambini e dei ragazzi" attraverso un power point e la visione di un video sul tema dei diritti.

Quarto e quinto incontro:i due incontri sono stati dedicati alla presentazione del lavoro da realizzare con i bambini della scuola primaria. Inizialmente è stato presentato, da parte di Susanna Mattiangeli, autrice dei testi, il libro

porre il bambino nelle condizioni di sviluppare le sue attitudini, la capacità di apprendimento, la dignità umana, l’autostima e la fiducia in sé stesso. L’educazione va quindi al di là dell’istruzione formale per includere una vasta gamma di esperienze di vita e processi di apprendimento che permettono al bambino, individualmente o collettivamente, di sviluppare la propria personalità, le proprie capacità e le proprie attitudini e di vivere una vita piena e soddisfacente all’interno della società. Il diritto del bambino all’educazione non è quindi solo una questione di accesso all’istruzione ma riguarda anche i contenuti e i processi attraverso i quali il diritto all’educazione deve essere promosso. Il "Programma Verso una Scuola Amica" traduce tali indicazioni in un percorso di qualità e le sue azioni sono ispirate al principio secondo cui ci si educa alla pratica dei diritti vivendoli. Ma l’esercizio dei diritti si completa con l’educazione all’assunzione di responsabilità che l’esercizio dei diritti comporta.La prima fase, relativa all’attività di formazione, ha previsto le seguenti attività: • elaborazione del programma del progetto da parte

del personale UNICEF (finalità del percorso, attività, materiali, risultati attesi), tenendo sempre presente l’obiettivo generale del tirocinio.

A seguito della presentazione del programma la scuola ha aderito alla proposta e ha organizzato, insieme ai ragazzi, una ricerca sull’UNICEF e sulle sue attività. A questo punto il personale UNICEF ha provveduto a raccogliere i materiali necessari per

l’attività di formazione: il testo della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il Commento generale n. 2 sulle finalità dell’educazione, le pubblicazioni “Percorsi di lavoro verso una Scuola Amica” e “Dieci cose che devo fare”, materiali per i laboratori. La documentazione è stata quindi distribuita agli studenti per poter dare loro tutte le informazioni necessarie per partecipare concretamente al progetto. Il diritto alla partecipazione dei bambini e dei ragazzi è strettamente collegato al diritto all’informazione. È necessario quindi far conoscere loro le motivazioni e gli obiettivi del processo o dell’iniziativa e fare in modo che siano consapevoli del loro ruolo; è necessario inoltre far conoscere loro i “rapporti di potere” e rendere chiare ed esplicite le strutture decisionali; è importante inoltre che gli adulti valorizzino la presenza dei bambini e dei ragazzi, con il giusto rispetto e considerazione.L’attività di formazione realizzata con il Liceo Laura Bassi di Bologna si è svolta presso la sede nazionale dell’UNICEF e ha previsto 4 incontri di 3 ore ciascuno, di pomeriggio. Per l’Istituto Manzoni di Latina si sono organizzati 5 incontri di 3 ore ciascuno, fuori orario scolastico, presso la sede della scuola.La formazione ha previsto l’approfondimento dei temi relativi ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la realizzazione di due laboratori, più uno ad apertura delle attività per conoscersi e creare un clima accogliente.Questo il dettaglio:

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è stata prestata per garantire il protagonismo dei ragazzi. Anche nelle attività informative e formative si è sempre cercato di guidare i ragazzi garantendo tempi e spazi idonei affinchè i ragazzi stessi potessero riflettere, fare delle ipotesi e organizzarsi.Garantire il loro protagonismo è stato sin dall’inizio un obiettivo del progetto: agli studenti è stata offerta la possibilità di scegliere fra diversi tirocini e di vagliare quello più in linea con il loro curricolo scolastico, i loro progetti e/o interessi personali.Sia la fase di formazione che le attività di laboratorio sono state impostate sulla base di questa grande responsabilizzazione che ha prodotto nei ragazzi un buon coinvolgimento nelle attività proposte e allo stesso tempo ha sviluppato un senso di “gruppo” fra loro che ha influito positivamente sullo svolgimento del tirocinio. Particolarmente apprezzata dai ragazzi è stata anche la flessibilità dimostrata dal coordinamento dello stage che ha raccolto le loro indicazioni e i loro suggerimenti in itinere.È stato inoltre importante il ruolo svolto dai ragazzi nell’attività di ricerca e nei momenti di confronto e di condivisione.Il Progetto ha permesso di valorizzare le competenze rielaborative, espressivo-linguistiche e metacognitive.Tutti gli altri soggetti partecipanti al Progetto hanno avuto un ruolo di sostegno, guida e incoraggiamento.Particolare attenzione è stata data al passaggio fra la parte teorica e pratica dell’esperienza. Il monitoraggio si è svolto dopo la parte teorica con l’insegnante in classe e ha facilitato la parte pratica che è consistita

nella preparazione dei poster ed altro materiale didattico operativo utilizzato nella seconda fase. Il monitoraggio ha coperto 15 ore suddivise in diverse giornate.Il progetto è stato un’esperienza assolutamente interessante e formativa che ha fornito ai partecipanti un’opportunità di apprendimento alto e di condivisione delle conoscenze e di abilità di ciascuno. Particolare rilievo va dato alle capacità relazionali, comunicative ed espressive. Questa esperienza ha sicuramente contribuito alla loro crescita intellettiva e sociale.Anche nella fase di presentazione del percorso realizzato i ragazzi sono stati i veri protagonisti. Per il Liceo Laura Bassi di Bologna i ragazzi hanno deciso di riportare la loro esperienza e i risultati raggiunti in un’assemblea d’Istituto, alla presenza quindi dell’intera comunità scolastica, dei docenti e del dirigente scolastico. Per il Liceo A. Manzoni di Latina gli studenti partecipanti al Progetto, attraverso un power point, hanno riportato la loro esperienza in occasione di un Convegno Regionale rivolto agli studenti della Regione Lazio, alla presenza dei presidenti UNICEF dei Comitati provinciali del Lazio e del Garante per l’infanzia della Regione Lazio.Ambedue gli Istituti hanno riportato in un power point e sul sito del proprio istituto una dettagliata documentazione del Progetto.

“Dieci cose che devo fare”. Il volume è un dialogo tra i bambini di ieri (gli adulti) e i bambini di oggi, per affrontare argomenti importanti e seri come i “diritti” e i “doveri”. Il riconoscimento dei diritti non può infatti avvenire se non attraverso l’assunzione di responsabilità che l’esercizio dei diritti comporta, in una relazione armoniosa con noi stessi e con gli altri. Educare i bambini all’assunzione di responsabilità richiede impegno e capacità di saper orientare senza essere impositivi e direttivi; comporta il rispetto dei tempi per non compromettere la capacità dei bambini di scegliere.Il laboratorio, rivolto ai bambini della scuola primaria, è pensato per avviare un percorso dove tutti possano partecipare pienamente. Ogni fase del laboratorio è spiegata e motivata. Viene quindi presentato un soggetto attraverso un disegno riportato su un cartellone o una lavagna: per i bambini più piccoli un cagnolino, per i bambini del secondo ciclo di scuola primaria un parco giochi abbandonato. A questo punto i ragazzi (che simulano di essere bambini) vengono divisi in gruppo; a ciascun gruppo vengono distribuiti dei fogli e dei pennarelli e viene chiesto loro di spiegare con un disegno cosa farebbero per “aver cura” del cagnolino o per rendere il parco più bello e accessibile ai bambini. Il tutto avviene attraverso il linguaggio ludico e pittorico. Per la seconda situazione ogni gruppo rappresenta una professione: giornalista, fotografo, amministratore locale, artigiano, lavoratore edile, ecc. Ciascun gruppo, partendo dalla propria professione, deve spiegare attraverso un disegno

cosa farebbe per migliorare quella situazione e per averne cura. A conclusione del laboratorio le proposte dei ragazzi (e quindi dei bambini) vengono riportate sul tabellone centrale. A questo punto si apre la discussione per decidere insieme quali sono, tra tutte le proposte, le tre “cose” più importanti, che sentono più vicine, oltre a quelle da loro stessi disegnate. È molto importante a questo punto lasciare loro il tempo necessario per questa scelta. Si arriva quindi a realizzare una scheda/griglia che aiuta a prendersi cura di un cagnolino, un parco, ecc. Questa attività si può adattare ad altre situazioni: prendersi cura di uno spazio, di una biblioteca di classe, ecc. e serve a spiegare come ci si deve organizzare per prendersi cura di qualcosa in modo che si conservi bene, che non si rovini, che tutti la possano usare, che a nessuno sia impedito di usufruirne. Al laboratorio può seguire un’attività di progettazione partecipata; i bambini, insieme all’insegnante, possono decidere chi sono i responsabili, di che cosa sono responsabili, come prendono le decisioni, come si dividono i compiti, come si organizzano i tempi, come si riordina, come si comunica con gli altri alunni, i docenti, i genitori per parlare dell’attività e dei problemi che potrebbero sorgere. L’esperienza ha favorito il raccordo interdisciplinare sia delle materie umanistiche che scientifiche. In particolare il maggior contributo è stato dato dalle materie di area filosofica e di indirizzo sia pedagogico che psicologico.Nel corso dell’intero percorso grande attenzione

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UNICEF, Idee e materiali per l’anno scolastico 2011/2012, Comitato Italiano per l’UNICEF Onlus, 2011

UNICEF, Percorsi di lavoro Verso una Scuola Amica, Comitato Italiano per l'UNICEF Onlus, 2008

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UNICEF, Nessuno escluso, Comitato Italiano per l’UNICEF Onlus, 2005

Page 27: passo dopo passo - UNICEF · classe iv-a del liceo laura bassi di bologna e classe iv-ap del liceo a manzoni di latina 43 bibliografia 48 indice. 2 3 Nel presentare questa nuova pubblicazione

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