PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 30 giugno 1988, n. 743 (Gazzetta...
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sentenza 30 giugno 1988, n. 743 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 luglio 1988, n. 27);Pres. Saja, Est. Corasaniti; Regione Veneto (Avv. Benvenuti, Schiller, Sorrentino) c. Pres. cons.ministri (Avv. dello Stato Azzariti); interv. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. dello StatoAzzariti) e Provincia autonoma di Trento (Avv. Panunzio). Conflitto di attribuzioniAuthor(s): Emanuele RossiSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3181/3182-3191/3192Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181522 .
Accessed: 24/06/2014 21:59
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 giugno 1988, n. 743
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 luglio 1988, n. 27); Pres.
Saja, Est. Corasaniti; Regione Veneto (Aw. Benvenuti, Schil
ler, Sorrentino) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Az
zariti); interv. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. dello Stato
Azzariti) e Provincia autonoma di Trento (Avv. Panunzio). Conflitto di attribuzioni.
Regione — Veneto — Conflitto di attribuzioni tra Stato e regione — Contestazione circa la determinazione di confini comunali
incidenti sul territorio regionale — Spettanza allo Stato (Cost., art. 131, 132, 134; r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u. della legge comunale e provinciale, art. 267).
Spetta allo Stato, in sede di decisione su ricorso straordinario, la decisione in ordine alla contestazione di confini tra comuni
anche allorché essa incida sulla definizione dei confini regiona li: va, pertanto, respinto il ricorso proposto per conflitto di
attribuzioni dalla regione Veneto nei confronti del d.p.r. 29
maggio 1982 relativamente ai confini tra i comuni di Canazei e Rocca Pietore. (1)
(1) I. - Su questa vicenda, v., da ultimo, Trib. Belluno 7 aprile 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Comune e provincia, n. 119, commentata da
Lupacchini, in Giust. civ., 1987, I, 1282 ss. In precedenza, v. T.A.R. Veneto 26 agosto 1975, n. 434, Foro it., Rep. 1976, voce cit., n. 59.
Relativamente al presente giudizio la Corte costituzionale, con una pro pria ordinanza (29 aprile 1983, n. 124, id., Rep. 1983, voce Regione, n. 196) aveva preso atto della rinuncia alla richiesta di sospensione del
provvedimento impugnato.
II. - Dei due pareri del Consiglio di Stato formulati ai fini della solu zione della presente controversia, il primo, relativo alla spettanza del po tere del capo dello Stato di decidere in ordine alla contestazione dei confini
(sez. I 17 ottobre 1975, n. 1457) leggesi in Cons. Stato, 1976, I, 975; il secondo (sez. I 7 marzo 1980, n. 18), riguardante i profili di merito, è riportato qui di seguito:
«Considerato: Per risolvere l'annosa controversia relativa alla delimita zione dei confini territoriali fra il comune di Canazei e quello di Rocca
Pietore, nella zona del ghiacciaio della Marmolada, è necessario aver chiaro
l'oggetto del giudizio, al fine di stabilire con esattezza il critrerio risoluti vo e gli elementi ai quali si deve fare riferimento per la soluzione.
L'azione di contestazione di confini prevista dall'art. 267 del t.u. della
legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383, ha contenuto analogo all'acro finium regundorum del diritto privato e come questa tende non tanto a modificare l'estensione del dominio, quanto a rilevare un dato, che si assume mancante o mal rilevato, vale a dire il termine confinario. Il giudizio ha quindi un contenuto essenzialmente ricognitorio, anche se si riconosce al giudice un marginale potere di rettifica, al fine di stabilire un confine chiaro, tale da evitare future contestazioni (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 1958, n. 15, Foro it., 1958, III, 89).
Dato questo suo oggetto, il giudizio deve fare riferimento anzitutto
agli atti che stabiliscono il diritto sul territorio e, soltanto in via subordi
nata, cioè surrogatoria, in difetto di una chiara indicazione del titolo, si potrebbe fare riferimento al fatto del possesso che risultasse antico, univoco e pacifico (cfr. parere di questa sezione 11 giugno 1957, n. 1017).
Nella specie, il confine fra i due comuni contendenti è coinciso in pas sato col confine fra Stati (cosi come ora coincide con quello fra regioni) e quindi gli atti e le contestazioni sorte in proposito riguardavano la deli mitazione di sovranità statali. Questo non esclude la rilevanza di quegli atti sulla questione in esame, perché l'eminente diritto sovrano dello Sta to sul territorio necessariamente include il diritto degli enti territoriali
minori, cosi che la fissazione dei confini statali si riflette immediatamente e necessariamente sui confini dei comuni appartenenti a ciascuno degli Stati contendenti; e l'atto internazionale implica una determinazione rela tiva al demanio, corrispondente a quella che forma oggetto del presente procedimento.
Ciò premesso, si debbono prendere in considerazione i tre atti menzio nati in narrativa, concernenti i confini contestati fra il comune di Canazei e il comune di Rocca Pietore e fra gli Stati dei quali quei comuni faceva no parte, in momenti storici diversi e lontani nel tempo.
Per quanto attiene al primo di essi («mappa confinaria» del 3 agosto 1778 fra la Repubblica di Venezia, alla quale apparteneva l'attuale
comune di Rocca Pietore, ed il Principato vescovile di Bressanone, cui apparteneva il comune di Canazei) e prescindendo dalla contestazio ne effettuata dal resistente comune di Rocca Pietore in ordine alla tesi di Canazei che su tale mappa il confine fra i due comuni stessi correva lungo il crinale del massiccio dolomitico della Marmolada, va osservato che tale atto, in quanto poi non recepito o riprodotto, nelle sue determinazioni confinarie, da alcuna documentazione ufficiale del nostro ordinamento unitario, può essere considerato solo nella sua por tata storico-politica, senza diretta rilevanza giuridica al fine in causa e senza
Il Foro Italiano — 1988.
Diritto. — 1. - L'intervento dell'ente per il turismo di Belluno,
soggetto diverso da quelli legittimati a promuovere il conflitto
ed a resistervi, deve, secondo la costante giurisprudenza di questa corte (cfr. sentenze nn. 8, 17, 18 del 1957, Foro it., 1957, I,
511, 339, 336; ordinanze 2 aprile 1958, 22 aprile 1975, 3 giugno 1976, 23 febbraio 1977; ord. n. 240 del 1988), ritenersi inammis
sibile. 2. - La regione Veneto propone conflitto di attribuzione «con
tro» il presidente del consiglio dei ministri e «nei confronti» sia
della regione Trentino-Alto Adige sia ancora della provincia di
che esso possa, altresì', rappresentatare un documento costitutivo del confine.
Né rilevanza specifica e determinante può riservarsi al secondo degli indicati documenti, e cioè all'«Atto finale di confinazione fra l'Italia e l'Austria» sottoscritto il 22 dicembre 1967 dall'apposita commissione mi litare istituita ai sensi dell'art. 4 del trattato di Vienna del 3 ottobre 1866.
Invero, come da rilievo della resistente parte veneta, non risulta affatto documentalmente che i lavori della suddetta confinazione riguardarono tutta la frontiera, ma soltanto alcuni punti tra i quali non era compresa la Marmolada.
Vero è, invece, che una indicazione del confine di cui trattasi, nel senso di un'aderenza a quello risultante dalla mappa catastale di Canazei (con fine, cioè, avente una linea di demarcazione corrente lungo le creste) è ricavabile solo da una carta allegata all'«Atto finale»; carta avente un indubbio carattere indicativo ma non certo costitutivo del confine me desimo.
Decisivo, invece, per l'esatta e costitutiva determinazione della zona confinaria in contestazione può ritenersi il terzo atto precitato, e precisa mente quello concernente la deliberazione presa il 4 ottobre 1911 dall'ap posita commissione internazionale italo-austriaca incaricata della migliore demarcazione del confine tra l'Italia e l'Austria-Ungheria; deliberazione
concernente, fra gli altri, anche il tratto compreso tra la linea del monte Marmolada ed il passo Fedaia, tratto per il quale, per concorde ammis sione dei due Stati, sussistevano non contestazioni, ma diversificazioni
cartografiche e segnaletiche. E invero, come si evince dalla ducumentazione istruttoria in atti forni
ta in ordine alla controversia in esame dal richiesto ministero degli affari
esteri, l'anzidetta commissione di delimitazione del confine italo-austriaco fu costituita nel 1911 proprio con il mandato specifico e con istruzioni concordate fra i due governi, «di proporre la risoluzione delle varie sin
gole controversie relative a quei punti di confine dichiarati tuttora litigio si nei protocolli finali delle precedenti commissioni internazionali, nonché nella corrispondenza scambiata fra i due governi, e per i quali siano sorte ultimamente contestazioni non ancora risolute», e fra tali punti, come da istruzioni ministeriali al presidente dell'anzidetta commissione (nota in atti n. 22 del 19 agosto 1911), venivano comprese proprio le esistenti
«discrepanze fra le nostre carte topografiche e quelle austriache di recen te edizione, circa la linea di confine tra monte Marmolada e passo Fe
daia», con l'invito al presidente stesso «a voler tener presente la accennata
circostanza, per procedere, a suo tempo, alla regolarizzazione delle carte italiane ed austriache, secondo che risulterà dalla definitiva delimitazione attualmente in corso.
È interessante notare che, secondo la volontà espressa dalle altre parti, la commissione istituita nel 1911 doveva dare soluzione concordata alla stessa questione che si pone in questa sede contenziosa, doveva cioè prov vedere a una più precisa rilevazione dei confini.
Infatti, concludendo i propri lavori, la suddetta commissione, con la deliberazione del 4 ottobre 1911, decise proprio sul punto in controver
sia, concordando che «per quanto riguarda il tratto dal cippo n. 10 a sud del passo di Fedaia a punta Marmolada, il confine debba segnare quello indicato dalla mappa catastale austriaca, deliberando che vengono di conseguenza rettificate le carte e le mappe catastali dei due Stati».
Di detta deliberazione, come esposto nelle premesse, la parte veneta contesta la validità e l'operatività, sul rilievo che la revisione confinaria in essa contenuta, se considerata come verifica, avrebbe scarso valore
per omesso interpello dei comuni frontalieri; e se ritenuta come rettifica, non avrebbe del pari alcuna validità per omessa pronuncia in merito del
parlamento, competente a pronunciarsi in merito ai sensi dell'art. 5 dello statuto albertino.
Questa impostazione è basata su una deformazione del carattere essen zialmente ricognitorio dell'operazione decisa dai governi italiano e au striaco nel 1911 (e corrispondente sul piano amministrativo all'azione
prevista dall'art. 267 del t.u. n. 383 del 1934), operazione che non impli cava nessuna sostanziale modificazione del territorio statuale e rientrava
quindi nella potestà costituzionale del governo. Secondo le risultanze della documentazione storica sul punto fornito
dal richiesto ministero degli affari esteri, «tutti i dicasteri che furono
rappresentati dalla commissione internazionale del 1911 per la delimita zione del confine italo-austriaco hanno approvato il protocollo finale del la commissione stessa in data 28 ottobre 1911» e che «detto protocollo si intende parimenti approvato dal governo del re» (nota del ministero
degli affari esteri n. 991 del 21 agosto 1912), con ratifica da parte del
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3183 PARTE PRIMA 3184
Trento in relazione al decreto del presidente della repubblica in
data 2 maggio 1982 che, in accoglimento di ricorso del comune
di Canazei, proposto ai sensi dell'art. 267 r.d. 3 marzo 1934 n.
383 (t.u. della legge comunale e provinciale), ha deciso sulla con
testazione di confini fra il detto comune ed il comune di Rocca
Pietore, appartenenti rispettivamente alla regione Trentino-Alto
Adige e alla regione Veneto.
La regione ricorrente deduce violazione delle sue attribuzioni
per quel che attiene alla sfera territoriale delle medesime, innanzi
governo austriaco (nota ambasciata d'Austria, al governo d'Italia del 20
dicembre 1912). A ciò aggiungasi che, come da condividibile parere fornito istruttoria
mente sul punto dal richiesto ministero degli affari esteri (nota del 27
febbraio 1979 del servizio del contenzioso, di trattati e degli affari legisla
tivi): a) la sottoposizione a ratifica da parte dei due governi deliberata
della suddetta commissione per la demarcazione del confine italo-austriaco
non comportava di per sé alcuna esigenza dell'assenso delle camere ri
chiesto dall'art. 5 dello statuto albertino in caso di variazione del territo
rio dello Stato», e ciò quanto i poteri della commissione di demarcazione
citata — e la parola demarcazione lo mette in rilievo — erano esclusiva
mente limitati all'apposizione del termine di confine in alcuni punti con
troversi, laddove peraltro il confine era stato stabilito dall'atto di
confinazione (richiamato) del 1967 (sottoposto quest'ultimo ad assenso
delle camere ex art. 5 citato), ed alla individuazione del modo più agevole da fissarli sul terreno; b) «il processo verbale del 1911 di cui trattasi, risultando recepito nelle forme volute dall'ordinamento italiano, deve ri
tenersi perfezionato ed operante nell'ordinamento italiano».
Le citate risultanze documentali attestano la regolarità e quindi la vali
dità della ricognizione del confine compiuta dalla commissione interna
zionale del 1911. Non ha pregio il rilievo del comune di Rocca Pietore, che alle opera
zioni di ricognizione confinarie sia mancata la necessaria partecipazione dei rappresentanti dei comuni della zona. Nella conclusione della conven
zione internazionale il solo soggetto legittimato era lo Stato, senza possi bilità di intervento da parte degli enti territoriali minori, ma ciò non esclude
che l'atto conseguente spiegasse effetto anche sul piano amministrativo, come si è rilevato.
Dal 1913 a dopo la riunione del Trentino-Alto Adige alla madre patria, non risultano assunti altri «protocolli finali», cioè intervenuti altri atti
modificatori dell'indicazione del confine politico quale appare delineato
dalla richiamata commissione mista. Quindi è fondata la tesi del ricorren
te comune di Canazei che tale confine sia venuto a trasformarsi, con
ciò stesso, in confine amministrativo sia di regione, sia di provincia, sia
infine di comune. La individuata esistenza di un documento ufficiale di determinazione
del confine controverso ed il carattere per esso da riconoscere di docu
mento decisivo e fondamentale allo scopo, rende ininfluente — come giu stamente osserva la riferente amministrazione — tutti gli altri atti e fatti
citati dalla controparte veneta, che, non avendo tale oggetto, sono inido
nei a determinare ed approvare la vera linea di demarcazione, nel tratto
in causa, fra i due comuni contermini di Canazei e di Rocca Pietore.
Tali possono considerarsi le carte geografiche e catastali (carte che evi
dentemente continuano a riprodurre la confinazione pretesa dalla delega zione italiana, ma non accolta nell'atto conclusivo del 1911), con la loro
funzione essenzialmente descrittiva, e tali sono da ritenere le conferme
apposte dai podestà e sindaci sui piani topografici, concernenti materia
di censimenti. Per quanto in particolare riguarda, poi, la cartografia confinaria di
zona dell'Istituto geografico militare è da osservare: a) che, come dalla
stessa relazione della commissione interministeriale richiamata, costituita con d.m. 2 febbraio 1978 per l'esame dell'epigrafato ricorso, non è stato
possibile acquisire dall'istituto gli elementi certi e decisivi di legittimazio ne della effettuata indicazione cartografica; b) che l'ufficialità riconosciu
ta dalla 1. 2 febbraio 1960 n. 68, alle carte edite dall'Istituto geografico
militare, ai fini del loro utilizzo da parte degli organi statali e delle pub bliche amministrazioni non comporta che esse, in presenza di documenta
zioni ufficiali diverse di determinazione di confine, possano anche ritenersi
espressione esterna decisionale di una potestà amministrativa volta alla
costituzione o all'accertamento dei confini stessi; potestà per la quale l'or
dinamento prevede altre sedi.
Le stesse esposte considerazioni valgono anche per le prove dell'effet
tuato esercizio di un potere di imperio o di disposizione nella zona conte
stata, dedotte da parte veneta. Come si è rilevato, il prolungato possesso può essere assunto come
elemento determinante della delimitazione territoriale soltanto in man
canza di atti convenzionali o deliberativi, atti che nella specie sussistono.
D'altra parte, l'esercizio del possesso nella specie non è antico, perché soltanto di recente il progresso tecnico ha consentito il compimento di
atti dispositivi di valorizzazione della zona; e non è pacifico, perché, in
contrasto con la pretesa del comune di Rocca Pietore di disporre in modo
esclusivo del territorio controverso, anche il comune di Canazei ha assun
to iniziative per disporre del luogo e questi atti hanno dato luogo
Il Foro Italiano — 1988.
tutto per la ragione che una questione di determinazione dei con
fini, avente diretta rilevanza costituzionale (art. 131 Cost.), è sta
ta decisa al di fuori dei procedimenti in proposito previsti dalla
Costituzione; al di fuori cioè della particolare ed aggravata pro
cedura legislativa prevista per la modifica del territorio regionale
(art. 132, ultimo comma, Cost.) e del procedimento innanzi alla
Corte costituzionale per le controversie sulle attribuzioni regiona
li (art. 134 Cost.). Deduce poi la ingiustizia, nel merito, della pronunzia del capo
a controversie ancora in corso in sede giurisdizionale. Infine il possesso vantato dal comune di Rocca Pietore non si può considerare neppure
univoco, perché il verbale di consegna al comune di Canazei dei docu
menti relativi al diritto demaniale sulla zona, compiuto dall'intendenza
di finanza di Trento e non contestato dal comune residente, considerato
nella sua realtà fattuale, qualunque ne sia l'efficacia e la validità giuridi
ca, è fatto idoneo a togliere univocità al possesso. Per queste considerazioni la sezione esprime l'avviso che il ricorso sia
da accogliere e che il tracciato confinario fra i due comuni contendenti
nella zona controversa debba essere fissato in aderenza alle deliberazioni
della commissione internazionale del 1911.
L'amministrazione riferente esprime ancora il dubbio se sia possibile la correzione della cartografia presentata dal comune di Canazei e sostan
zialmente corrispondente alla deliberazione della commissione internazio
nale, per consentire un più conveniente allineamento del confine con il
crinale montano. Questa operazione correttiva rientra, come si è detto, nell'azione prevista dall'art. 267 del t.u. n. 383 del 1934 (come nella cor
rispondente actio finium regundorum) ed è riconosciuta dalla giurispru denza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 dicembre 1962, n. 1095, id., Rep.
1962, voce Comune, n. 41). L'amministrazione potrà dunque esercitare
questo potere, tenendo presenti anche i precedenti storici (in particolare la convenzione del 1778) e raccogliendo opportunamente, ove sia possibi
le, l'avviso dei comuni interessati.
Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto nei termini di cui
in motivazione».
III. - Sulla delimitazione dei confini regionali, v. Pedrazza Gorlero, Le variazioni territoriali delle regioni, Padova, 1979.
Per i profili, soprattutto di ordine processuale, inerenti alla decisione
si rinvia alla nota di E. Rossi che segue.
* * *
I giuristi alla conquista della Marmolada.
1. - La presente decisione si riferisce ad un conflitto di attribuzioni
sollevato dalla regione Veneto in ordine alla definizione dei confini tra
i comuni di Canazei e Rocca Pietore. Per comprendere l'importanza, pur sempre relativa, della contesa, oc
corre chiarire che i comuni suddetti risultano essere confinanti delle ri
spettive province (Trento e Belluno) e perciò anche delle rispettive regioni
(Trentino-Alto Adige e Veneto), e che tra i loro territori sorge la Marmo
lada, il monte più prestigioso delle Dolomiti e sede di un ghiacciaio che
ospita piste da sci sia nel periodo estivo che in quello invernale: da qui i riflessi economici della contesa e gli appetiti che su di essa si concentrano.
La questione è annosa: la linea di confine oggi in contestazione era
un tempo il confine nazionale tra Italia e Austria-Ungheria e la sua indi
viduazione era determinata sulla base di una carta topografica militare
austriaca; ma con la fine della guerra e il passaggio di tutto il territorio
all'Italia il problema venne per alcuni anni accantonato. Esso tornò inve
ce di grande attualità a seguito della costruzione di alcuni impianti di
risalita sul versante nord (quello oggetto di conflitto) della Marmolada.
La disputa, alimentata come detto da evidenti ragioni economiche, tro
va però la propria causa nell'effettiva incertezza e nelle contraddittorie
indicazioni che si possono rinvenire. Di queste non è qui possibile dar
conto in modo esauriente (1), se non con riferimento ai due dati in qual che misura principali: da una parte (quella veneta) ci si appella alle carte
topografiche dell'Istituto geografico militare, le quali hanno sempre po sto il confine in corrispondenza alla linea retta che unisce la vetta più alta della Marmolada (punta Penia) con il passo Fedaia, così tagliando
diagonalmente il ghiacciaio e dividendolo in due parti disuguali e netta
mente differenziate, di cui la più estesa di competenza del bacino dell'A
visio (oggi Trentino) e l'altra del bacino del Cordevole (oggi Veneto). A sostegno di questa posizione la parte veneta porta anche il fatto che
tutte le manifestazioni del potere esecutivo e giudiziario della zona con troversa sono sempre promanate da autorità con competenza sul territo
rio di Rocca Pietore. Sull'altro versante, invece, si fa leva sui lavori di
una commissione militare mista italo-austriaca che nel 1912 approvò un
(1) Esse possono ricavarsi comunque dall'articolata motivazione in fat to contenuta nella decisione Trib. Belluno 7 aprile 1986, Giust. civ., 1987, I, 1282 ss.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dello Stato, perché fondata su elementi (lavori della commissione
italo-austriaca del 1911) di valore non decisivo e senza adeguata
considerazione di ulteriori elementi (tradizione amministrativa, atti
del Centro geografico militare, leggi del Trentino-Alto Adige, ri
salenti consuetudini di uso collettivo ed altri) di significato con
trario.
3. - Il conflitto della regione Veneto deve intendersi promosso
contro lo Stato, in quanto è rivolto contro il presidente del consi
glio dei ministri ed è diretto a impugnare un atto emesso dal
protocollo (peraltro ratificato solo dai ministri interessati e non con legge del parlamento, come invece avrebbe richiesto l'art. 5 dello statuto alber
ano), con il quale veniva valorizzata la linea di cresta della Marmolada, e cioè la linea che collega idealmente punta Penìa alla punta Serauta, cosi da includere tutto il ghiacciaio in territorio trentino. Per ironia della
sorte, il ghiacciaio in questione era stato denominato il «ghiacciaio del
l'Alleanza» allorché, a seguito di un sopralluogo comune svolto nel 1874, i soci del club alpino di Agordo e quelli della società alpinistica tridentina
di Trento si erano accordati per la costruzione di un rifugio nella zona
oggi oggetto del conflitto. (2) Le ultime vicende giudiziarie della disputa confinaria hanno in questi
ultimi anni formato oggetto di un contenzioso assolutamente impensabi
le, a quanto pare ancora lontano dall'epilogo. Per ricordare solo alcune delle controversie cui la vicenda ha dato ori
gine si può ricordare la sentenza T.A.R. Veneto 26 agosto 1975, n. 434 (3), con la quale il giudice amministrativo ha dichiarato illegittime le ordinan
ze con le quali il sindaco di rocca Pietore aveva prima sospeso, poi diffir
dato a demolire ed infine ordinato la demolizione di un impianto di ski-lift costruito nel territorio conteso e per il quale la società costruttrice aveva
ottenuto licenza dal comune di Canazei anziché da quello di Rocca Pieto
re. Il T.A.R. motivava la propria decisione sulla base dell'assunto che
la particella fondiaria contesa doveva considerarsi ricompresa in territo
rio trentino, essendo il confine segnato dalla linea di cresta anziché da
quella diagonale al ghiacciaio. Parallelamente a questo processo amministrativo, un altro era stato
intentato in sede penale, nei confronti della medesima società costruttri
ce, di fronte al Pretore di Agordo, nel quale il comune di Rocca Pietore
si costituiva parte civile: il pretore, con sentenza 3 maggio 1976 condan
nava gli imputati, mentre sucessivamente il Tribunale di Belluno, su gra vame dei condannati, confermava con sentenza 30 marzo 1977 la decisione
del giudice di primo grado. Altri processi penali furono poi intentati contro esponenti di una socie
tà costruttrice di opere per conto della s.p.a. Marmolada e priva di licen
za edilizia da parte del comune di Canazei (processi svolti davanti al Pretore
di Cavalese e, in appello, davanti al Tribunale di Trento); mentre un
ulteriore processo fu promosso davanti al Tribunale di Trento ad opera della provincia autonoma trentina per far dichiarare la proprietà dema
niale della zona di ghiacciaio contestata, con relativa acquisizione all'ente
provinciale delle opere eseguite dalla s.p.a. Marmolada sul territorio con
teso: tale ultimo giudizio risulta attualmente sospeso a seguito di regola mento preventivo di giurisdizione pendente davanti alla Corte di cassazione.
Per non lasciare intentata nessuna via, il comune di Rocca Pietore si
era rivolto anche alla giurisdizione civile, citando davanti al Tribunale
di Belluno il comune di Canazei per far dichiarare la «proprietà e spet tanza del comune di Rocca Pietore con tutti i diritti e poteri inerenti
e ciò anche per possesso ab immemorabili, il territorio, terreno e zona
contraddistinto al mn. 2 del fo. 18 del comune di Rocca Pietore, il tutto
cosi come individuato dalle citate risultanze catastali e dal confine trac
ciato dall'Istituto geografico militare» e perciò la competenza del comune
di Rocca Pietore ad «ogni diritto al territorio ed ogni diritto territoriale
sul medesimo ambito sopra espresso». In data 7 aprile 1986 il Tribunale di Belluno ha dichiarato il proprio
difetto di giurisdizione sulla materia, in quanto inerente ad un regola mento di confini fra comuni (4).
Sull'altro versante, e cioè da parte del comune di Canazei, aveva intan
to preso avvio il procedimento che ha portato all'attuale sentenza della
Corte costituzionale.
In data 10 agosto 1973, infatti, il comune trentino aveva inoltrato ri
corso al capo dello Stato ex art. 267 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, per far
dichiarare in via definitiva l'inclusione del ghiacciaio della Marmolada
nel proprio territorio e la definitiva risoluzione della controversia.
Il Consiglio di Stato, cui era stato richiesto il necessario parere, ricono
sceva la sussistenza del potere il cui esercizio era richiesto al capo dello
(2) Su questo episodio e su altri portati a dimostrare la validità della
tesi «veneta», v. Pelleorinon, Marmolada, Bologna, 1979, 397 ss. Che
la linea diagonale al ghiacciaio fosse quella del confine tra Italia e Au
stria si ricava anche dagli episodi narrati in Andreoletti-Viazzi, Con
gli alpini sulla Marmolada, Milano, 1977, 25-27.
(3) In Foro amm., 1975, I, 2, 1386-1387.
(4) Trib. Belluno 7 aprile 1986, cit.
Il Foro Italiano — 1988.
presidente della repubblica su parere del Consiglio di Stato, che,
ai sensi dell'art. 267 r.d. n. 383 del 1934, ha deciso su una conte
stazione di confini fra il comune di Canazei e il comune di Rocca
Pietore appartenenti rispettivamente alla regione Trentino-Alto
Adige e alla regione Veneto, e in quanto è primariamente conte
stato radicibus un potere dello Stato.
Si tratta, peraltro, di potere fondato su norma di rango legisla
tivo (appunto l'art. 267 r.d. n. 383 del 1934) che è (come la corte
può e deve accertare in questa sede di conflitto di attribuzione)
ancora in vigore.
Stato (5), e questi, con un proprio decreto in data 29 maggio 1982, acco
glieva il ricorso proposto stabilendo che il confine tra i comuni in que stione doveva intendersi quello segnato dalla linea di cresta della Marmolada
anziché dalla linea diagonale al ghiacciaio. Cosi facendo, il d.p.r. confer
mava le conclusioni del protocollo italo-austriaco del 1912 assegnando al comune di Canazei e perciò alla regione Trentino-Alto Adige il territo
rio in cui è ricompreso l'intero ghiacciaio della Marmolada.
A questo punto inizia l'ultima parte della vicenda, quella cui si riferisce
la presente sentenza. La regione Veneto impugna l'atto del capo dello
Stato in sede di conflitto di attribuzione «contro il presidente del consi
glio dei ministri nei confronti della regione Trentino-Alto Adige e della
provincia di Trento», in quanto l'atto statale modifica il territorio regio
nale, e perciò incide sull'integrità della tutela accordata dall'art. 131 Cost., inoltre tale modifica richiederebbe un procedimento ex art. 132 Cost, o
una pronuncia della Corte costituzionale in sede di risoluzione di conflit
to di attribuzione. Avendo la regione ricorrente rinunciato alla richiesta di sospensiva del
l'esecuzione dell'atto impugnato precedentemente formulata, ed essendo
detta richiesta stata accolta dalla presidenza del consiglio, dalla regione Trentino-Aldo Adige e dalla provincia autonoma di Trento, la Corte co
stituzionale, con ordinanza 29 aprile 1983, n. 124 (6), prendeva atto della
rinuncia all'istanza di sospensione. Al di là del merito della controversia, il cui modesto rilievo costituzio
nale non pretenderebbe in verità eccessiva attenzione, merita invece sotto
lineare alcuni spunti, specie di ordine processuale, contenuti nella decisione
della corte e che paiono interessanti relativamente ai profili sistematici
del processo costituzionale su conflitto di attribuzioni.
2. - Una prima considerazione sembra necessaria in ordine al profilo
soggettivo del conflitto. Come già ricordato, il ricorso era stato proposto dalla regione Veneto
contro lo Stato e nei confronti di altra regione (Trentino-Alto Adige) e di provincia autonoma (Trento). In ordine a ciò va sottolineata l'origi nalità di tale prospettazione, che può essere interpretata, ci pare, in due
modi alternativi: o come proposizione di un ricorso collettivo proposto dalla regione contro più soggetti, cosi da intentare contemporaneamente sia un conflitto contro lo Stato che un conflitto contro altra regione e
provincia autonoma; oppure come ricorso contro un'unica parte (lo Sta
to) ma in cui fosse già individuato il contro-interessato. Fuori da queste due ipotesi non ci sembra rinvenibile altra soluzione.
La decisione della corte sembrerebbe propendere per la seconda ipote si: essa infatti, nel ritenere ammissibile il conflitto cosi come prospettato,
precisa che il ricorso deve intendersi contro lo Stato. Si tratterebbe per
tanto di un conflitto tra regione (Veneto) e Stato (nella persona del presi dente del consiglio dei ministri).
Contemporaneamente però, la corte non dichiara inammissibile l'inter
vento della regione Trentino-Alto Adige e della provincia di Trento, co
me viceversa fa nei riguardi dell'ente per il turismo di Belluno («in quanto
soggetto diverso da quelli legittimati a promuovere il conflitto e a resi
stervi»), viceversa accettandone la costituzione ed il relativo intervento.
La conseguenza che sembra doversi ricavare da ciò è relativa al ruolo
che questi ultimi enti vengono a ricoprire nel conflitto vertente tra sogget ti da loro diversi: e cioè il ruolo di contro-interessati, che pare l'unico
in grado di giustificare la loro presenza in un conflitto che la corte ha
dichiarato riguardare la regione Veneto da una parte e lo Stato dall'altra.
L'intervento della regione Trentino-Alto Adige e della provincia di Tren
to sarebbe pertanto un intervento adesivo ad adiuvandum a sostegno del
le ragioni del soggetto resistente (lo Stato). Così ricostruita la decisione quanto al profilo soggettivo, essa sembra
segnare una svolta importante nella giurisprudenza costituzionale in tema
di conflitti di attribuzione.
Fino ad oggi, infatti, l'ammissibilità di soggetti contro-interessati in
sede di conflitto fra enti, pur sostenuta unanimemente in dottrina (7),
(5) Cons. Stato, sez. I, 17 ottobre 1975, n. 1457, Cons. Stato, 1976,
I, 975 ss.
(6) In Giur. costit., 1983, I, 536.
(7) Pizzorusso, Conflitto, voce del Novissimo digesto, appendice, 1981,
V, 21 dell'estratto e in nota 45 richiami alla precedente dottrina; Volpe, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma,
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3187 PARTE PRIMA 3188
Non sembra, infatti, che la norma in questione possa ritenersi
abrogata ad opera delle norme di trasferimento alle regioni delle
funzioni relative, fra l'altro, alla contestazione di confini tra co
muni (art. 1, lett. d, d.p.r. 14 gennaio 1972 n. 1; cfr. anche art.
16 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616), norme che esattamente il parere del Consiglio di Stato acquisito nel corso del procedimento di
cui si tratta riferisce alle sole decisioni di contestazione di confini
fra comuni appartenenti alla medesima regione, né ad opera delle
è invece sempre stata respinta dalla corte (8): anche se va detto che le decisioni cui tale giurisprudenza si riferisce riguardavano l'ammissibilità
come contro-interessati di soggetti diversi dallo Stato e dalle regioni (o
province autonome). In un solo caso (9) si trattava della costituzione di
una regione intervenuta ad adiuvandum in un conflitto sollevato da altre
regioni nei confronti dello Stato: in quel caso la corte aveva dichiarato, con separata ordinanza emessa nell'udienza di trattazione, l'inammissibi
lità di tale intervento. Una significativa apertura, segnalata in dottrina, si era avuta in tre
decisioni ravvicinate (10) con cui la corte, pur dichiarando inammissibili
per altri motivi alcuni interventi proposti, aveva tenuto a precisare, quasi testualmente nelle tre ipotesi, che tale decisione doveva ritenersi assunta «senza pregiudizio in ordine alla più generale questione della ammissibili tà di interventi nel giudizio costituzionale e, in particolare, in quello avente
ad oggetto conflitti di attribuzione». Tale affermazione sembra aver trovato con la decisione in epigrafe un
chiarimento significativo senz'altro da condividere, in quanto permette la partecipazione al giudizio di soggetti che possono essere investiti del
l'efficacia ultrattiva della pronuncia della corte (11), e per i quali non vi sarebbe altro mezzo per sostenere la legittimità del provvedimento im
pugnato (12). Questo riconoscimento sembra altresì' necessario a seguito dell'attuale configurazione del conflitto di attribuzione, che avendo perso le proprie caratteristiche esclusive di vindicatio potestatis ha progressiva mente allargato i suoi presupposti oggettivi, fino a coinvolgere soggetti ulteriori rispetto a quelli principali (13).
Ancora lungo sembra il passo per il riconoscimento dell'ammissibilità di interventi da parte di soggetti contro-interessati diversi da quelli previ sti dall'art. 134 Cost.: ma forse l'introduzione del principio richiamato
potrà consentire in futuro ulteriori aperture del processo costituzionale.
3. - Nel merito della decisione assunta, poi, la sentenza in rassegna, nonostante la sua apparente semplicità, investe profili particolarmente complessi, la cui ricostruzione, anche al fine di comprendere l'orienta mento assunto dalla corte, è piuttosto problematica.
Sarà opportuno pertanto procedere analiticamente. Il ricorso proposto dalla regione Veneto si appuntava su due motivi
principali: il primo investiva un profilo di competenza nell'assunzione
dell'atto impugnato, in quanto adottato «al di fuori dei procedimenti in proposito previsti dalla Costituzione»; l'altro profilo invece atteneva
al merito del d.p.r. impugnato, perché fondato «su elementi di valore non decisivo e senza adeguata considerazione di ulteriori elementi (...) di significato contrario». Nella motivazione della sentenza la corte prende in considerazione soltanto il primo dei due profili, rigettandolo poi nel
dispositivo con l'affermare la spettanza allo Stato del potere in conte stazione.
Un'osservazione preliminare sembra necessaria in riferimento al fatto
che, stante la natura costituzionale del conflitto di attribuzione e perciò la necessità che le attribuzioni di cui si assume la violazione siano previste da norme costituzionali (14), e visto che la corte adotta nel caso
1981, 405, sub art. 137; Tarchi, Questioni processuali e sostanziali in tema di conflitto fra Stato e regione, in Foro it., 1986, I, 1801; Grassi, Il giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione tra Stato e regioni e tra regioni, Milano, 1985, 368; Zagrebelsky, Processo costituzionale, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1987, XXXVI, 689 ss.
(8) Corte cost. n. 6/57, Foro it., 1957, I, 195; n. 8/57, id., 1958, I, 1974; n. 17/57, id., 1957, I, 339; n. 18/57, ibid., 336; n. 44/58, id., 1958, I, 1577; n. 82/58, id., 1959, I, 1; n. 21/66, id., 1966, I, 545; n.
101/70, id., 1970, I, 2030; n. 206/75, id., 1976, I, 23; n. 111/75, id., 1975, I, 1914; n. 42/85, id., 1985, I, 2865; n. 70/85, id., 1986, I, 58; n. 286/85, ibid., 1800.
(9) Corte cost. 21 maggio 1975, n. Ili, Foro it., 1976, I, 34.
(10) Corte cost. 5 febbraio 1975, Regioni, 1977, 133, con nota di Che li; 3 giugno 1976, Giur. costit., 1976, I, 1405; 14 luglio 1976, n. 175, Foro it., 1976, I, 2760.
Sottolinea questa «apertura» Grassi, op. cit., 245-246. Secondo D'O razio, Soggetto privato e processo costituzionale italiano, 1988, 205, no ta 11, si potrebbe ipotizzare, sulla base di opportuna modifica delle norme
integrative del 1956, la possibilità per la corte di riconoscere alle regioni non ricorrenti la facoltà di presentare «memorie illustrative» qualora sus sista un interesse (qualificato) delle stesse all'oggetto del giudizio.
(11) Cosi Cheli, in Regioni, 1977, 134
(12) Pizzorusso, op. cit., 21
(13) Tarchi, op. cit., 1801-1802.
(14) Su questo carattere indefettibile del processo costituzionale per con flitto di attribuzioni, v., da ultimo, Zagrebelsky, op. cit., 683; Sorrenti
II Foro Italiano — 1988.
norme costituzionali invocate dalla ricorrente (art. 131, 132, 134
Cost.), le quali nulla dispongono per quel che concerne l'ipotesi di contestazione di confini.
L'eventuale contrasto fra l'art. 267 ed un principio co
stituzionale desumibile dal complesso delle norme costituzio
nali suindicate non potrebbe quindi esser valutato se non
in termini di legittimità costituzionale. La regione Veneto
ha invero prospettato in udienza la configurabilità di una
di specie non una decisione di inammissibilità ma di merito, sembra da
ciò ricavarsi che il territorio (regionale) è attribuzione costituzionale delle
regioni, la cui violazione integra gli estremi di una violazione delle rispet tive competenze costituzionali. Tale conclusione, del resto accolta dalla
dottrina (15), pare senz'altro da condividere, pur con alcune considera
zioni su cui torneremo più avanti. Venendo al primo motivo di ricorso, è da notare che con esso la regio
ne Veneto si doleva del fatto che l'atto lesivo della propria competenza fosse stato adottato da un organo (il capo dello Stato) diverso da quelli ai quali tale potere spetterebbe ex art. 131, 132 e 134 Cost, (parlamento e Corte costituzionale).
Sotto questo profilo il ricorso sembra per lo meno anomalo. È vero che da tempo si ritiene ammissibile il conflitto in presenza di
un atto adottato da un organo incompetente, senza che l'incompetenza
implichi necesariamente la rivendicazione da parte regionale a prendere
parte alla decisione (16), cosi risolvendosi il motivo della doglianza in
un interesse del ricorrente all'adozione dell'atto da parte del soggetto a
ciò legittimato. Ma occorre sottolineare come tali vizi siano idonei a de
terminare il conflitto solo quando comportino indirettamente conseguen ze sulla configurazione delle rispettive posizioni costituzionali, e non quando si risolvano in vizi di competenza puramente interni all'ordinamento
statale (17). Nel caso di specie va ulteriormente sottolineato come, secondo la cor
retta impostazione data dalla corte, ciò che la regione pone in discussione
non è la legittimità dell'atto, bensì la sua costituzionalità, vale a dire
la rispondenza dell'atto amministrativo ai principi costituzionali i quali richiederebbero, a parere della ricorrente, una diversa ripartizione delle
competenze fra organi dello Stato. Giustamente pertanto la corte afferma
che «l'eventuale contrasto fra l'art. 267 ed un principio costituzionale desumibile dal complesso delle norme costituzionali suindicate non po trebbe quindi essere valutato se non in sede di legittimità costituzionale».
Cosi ricostruito, parrebbe che il conflitto di attribuzione avesse un'uni ca ragion d'essere, o, meglio, un presupposto essenziale: la dichiarazione
di incostituzionalità dell'art. 267 r.d. 3 marzo 1934 n. 383. Soltanto at
traverso questa decisione sarebbe stato possibile alla regione ricorrente
ottenere la dichiarazione di illegittimità dell'atto impugnato (ovviamente secondo il motivo di ricorso di cui si discute).
Di fronte alla corte sembrava cosi porsi un'alternativa: o dichiarare l'inammissibilità del ricorso, come ha fatto altre volte sulla base dell'as
sunto per il quale la decisione sul conflitto di attribuzioni non può esau
rirsi nella decisione sulla questione di legittimità costituzionale (18) ovvero, anche in considerazione del fatto che il proposto conflitto non poteva essere concepito come un tentativo di trasformare l'incidente di costitu zionalità in uno strumento di aggiramento dei termini di decadenza stabi liti per ricorrere in via principale (19), sollevare come giudice a quo
questione di costituzionalità dell'art. 267, sospendendo il conflitto e ri
prendendolo una volta deciso l'incidente di legittimità costituzionale (20).
no, La giurisprudenza della Corte costituzionale nei conflitti tra Stato e regioni, in Regioni, 1986, 965 ss.; Id., I rapporti tra lo Stato e le regio ni nella giurisprudenza della Corte costituzionale sui conflitti di attribu
zione, in Quaderni regionali, 1987, 401 ss. Sottolineano il carattere (anche) materiale della nozione di costituzio
nalità relativa alle attribuzioni in contestazione, tra gli altri, Volpe, op. cit., 383; Pizzorusso, op. cit., 30.
(15) V., ad esempio, Bartole, in Commentario della Costituzione, cit., 1985, 12-14, sub art. 114; Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Pado
va, 1976, II, 890 ss. Sulle problematiche relative alla definizione territoriale delle regioni,
v., complessivamente, Pedrazza Gorlero, Le variazioni territoriali delle
regioni, Padova, 1979.
(16) V., ad es., Zagrebelsky, Giustizia costituzionale, Bologna, 1977, 198.
(17) Zagrebelsky, Processo costituzionale, cit., 678.
(18) Corte cost. 27 giugno 1972, n. 112, Foro it., 1972, I, 2743; 15
luglio 1975, n. 206, id., 1976, I, 23.
(19) Ipotesi in cui potrebbe risultare più problematico affermare la sol levabilità della questione di costituzionalità: cfr. Volpe, op. cit., 426. Il problema ovviamente non si pone nel caso di specie, trattandosi di norma contenuta in un r.d. del 1934.
(20) La possibilità che la corte sollevi, in quanto giudice a quo, que stione di costituzionalità davanti a sé è, comunemente accolta sia in dot trina che in giurisprudenza; v. per tutti, Grassi, op. cit., 124,
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3189 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 3190
questione di legittimità costituzionale dell'art. 267 r.d. n. 383
del 1934, da intendere peraltro nei termini precisati con il
ricorso introduttivo del conflitto, vale a dire nel senso che
tale norma sarebbe illegittima, in relazione agli art. 131, 132, 134 Cost., perché spetterebbe al parlamento o alla Corte costi
tuzionale la competenza a decidere, nelle varie ipotesi configu
rabili, in ordine ai confini regionali. Ma in questi termini la questione, venendo a concernere un ipotetico conflitto tra
regioni, ed essendo posta in riferimento ai suddetti
La prima soluzione è respinta dalla corte che, come detto, non dichiara l'inammissibilità del conflitto: anche questa pare una significativa inno
vazione, che merita di essere segnalata. La corte invece, scegliendo evidentemente l'altra via, prende in consi
derazione l'eventualità di sollevare davanti a sé questione di costituziona
lità, cosa peraltro necessaria anche a seguito della presentazione in udienza di relativa istanza da parte della regione ricorrente. E proprio sulle argo mentazioni addotte per respingere l'istanza di autoinvestitura della que stione si concentrano le principali perplessità suscitate dalla decisione in
rassegna. Secondo i normali principi del processo costituzionale in ordine agli
incidenti di costituzionalità, la corte avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sussistenza nel caso di specie della rilevanza e della non manifesta infon datezza della questione: requisiti che non sembrano qui in discussione.
Quanto alla non manifesta infondatezza, infatti, l'avvento della Costi
tuzione, con il conseguente mutato assetto dei rapporti tra gli organi co
stituzionali, porta a prendere in seria considerazione la legittimità di norme attributive di determinate funzioni al potere esecutivo — essendo il ricor so straordinario, secondo la stessa giurisprudenza della corte (21), un pro cedimento amministrativo risolto con tipico atto governativo — previste all'interno di un ordinamento caratterizzato dal principio della separazio ne dei poteri (con uno sbilanciamento peraltro a favore dell'esecutivo), e perciò non facilmente riferibili al potere esecutivo in una forma di go verno caratterizzata invece in senso parlamentare monista. A conferma e sostegno di ciò stanno, oltre alle disposizioni costituzionali richiamate dalla regione ricorrente (ed in particolare gli art. 131 e 132, nonché il
133), anche le modificazioni normative intervenute relativamente alla ma teria in oggetto, e che hanno portato a restrizioni sostanziali del campo di applicazione dell'art. 267; l'art. 1 d.p.r. 14 gennaio 1972 n. 1 dispone infatti il trasferimento alle regioni a statuto ordinario di «tutte le funzio ni esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di circoscrizioni comunali» ed in particolare (lett. d) della «determinazione, rettifica e contestazione di confini»; mentre l'art. 16 d.p.r. 616/77 fa rientrare tra le materie trasferite alle regioni «la definizione dei rapporti fra comuni conseguenti a variazioni territoriali». Tali disposizioni pur applicandosi, giusta l'interpretazione data dal Consiglio di Stato ed ac colta dalla corte, soltanto alle controversie tra comuni appartenenti alla medesima regione, pongono tuttavia un principio generale per il quale le regioni non possono essere escluse dal procedimento relativo alla defi nizione dei rispettivi confini, pena il venir meno di un'adeguata garanzia ad un loro elemento costitutivo che la stessa corte dichiara supportato da specifica tutela costituzionale.
Tanto più che lo stesso parere del Consiglio di Stato, cui la corte fa
specifico riferimento, pur ritenendo applicabile ancora l'art. 267 al caso di specie, ne suggeriva un'interpretazione di tipo «additivo», affermando «non può prescindersi dal considerare che la decisione (ex art. 267) se
non comporta una modificazione delle circoscrizioni comunali e, quindi, un mutamento del territorio delle regioni alle quali i comuni appartengo no, incide anche su interessi regionali: in particolare, la determinazione dei confini comunali cui provvede la decisione si risolve, implicitamente, anche nella determinazione dei confini delle regioni»; e che pertanto «ai fini della decisione della contestazione sembra siano da acquisire anche le deduzioni degli enti regionali interessati» (22). Un problema di costitu zionalità della norma in esame potrebbe poi porsi anche in riferimento all'art. 134 Cost., dato che ad esempio paradigmatico dei possibili motivi di conflitto di attribuzioni fra regioni vengono proprio comunemente portate le «vertenze confinarie o comunque inerenti al limite territoriale dell'atti
vità delle regioni e province» (23). Circa il requisito della rilevanza, poi, pare anch'esso presente nella fat
tispecie in oggetto, dato che anche a parere della corte è fuori discussione il fondamento sull'art. 267 del potere contestato, la cui eventuale dichia
razione di incostituzionalità, pertanto, non potrebbe non incidere sull'og
getto del conflitto rendendo viziato d'illegittimità l'atto impugnato. La conclusione che ci sarebbe parsa corretta, allora, una volta scelta
la strada dell'ammissibilità del conflitto, avrebbe dovuto indurre la corte
nota 138, 212, note 143-145, 273, nota 322. Su questi problemi v., con riferimento all'esperienza austriaca, Caravita, Corte «giudice a quo» e
introduzione del giudizio sulle leggi, Padova, 1985, I.
(21) V. in tal senso, da ultimo ed in modo particolarmente efficace, Corte cost. 31 dicembre 1986, n. 298, Foro it., 1987, I, 674.
(22) Cons. Stato, sez. I, 17 ottobre 1975, n. 1457, cit.
(23) Pizzorusso, op. cit., 19.
Il Foro Italiano — 1988.
parametri considerati come distinti, ed anzi come alternativi, non
è rilevante nel presente giudizio. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spetta
allo Stato decidere con il decreto del presidente della repubblica 29 maggio 1982 in ordine alla contestazione di confini proposta dal comune di Canazei ed ai sensi dell'art. 267 r.d. 3 marzo 1934
n. 383, recante «testo unico della legge comunale e provinciale»,
a sollevare questione di costituzionalità dell'art. 267 r.d. 383/34, accerta tane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, ed a sospendere il pro cesso per conflitto per riprenderlo una volta risolto l'incidente di costituzionalità.
La corte, invece, esclude in motivazione tale possibilità, sulla base di
argomentazioni che meritano di essere analizzate. Essa afferma infatti che nei termini prospettati dalla ricorrente la que
stione di costituzionalità dell'art. 267 in riferimento agli art. 131, 132 e 134 Cost., «venendo a concernere un ipotetico conflitto tra regioni ed essendo posta in riferimento ai suddetti parametri considerati come di
stinti, ed anzi come alternativi, non è rilevante nel presente giudizio». Non è facile cogliere il senso di queste affermazioni.
Quello che sembra ricavarsi, preliminarmente, è che la corte, postasi il problema della possibilità di sollevare davanti a sé questione di costitu zionalità dell'art. 267, lo respinge sulla base della (presunta) irrilevanza della norma stessa, motivando questo sotto due profili distinti: il fatto che essa riguarda «un ipotetico conflitto tra regioni» ed il fatto che essa è posta (dalla regione ricorrente, sembra doversi supporre) «in riferimen to ai suddetti parametri considerati come distinti ed anzi come alternativi».
La prima osservazione, che sorge immediata, è che nessuno dei due motivi sembra attenere al requisito della rilevanza: non certamente il se
condo, relativo ad una difettosa prospettazione dell'istanza di parte; ma
neppure il primo, peraltro poco comprensibile in generale, ma sicuramen te incapace di revocare in dubbio la necessità di applicare nella fattispecie in esame la norma da impugnare. Verrebbe addirittura da pensare che con questa motivazione la corte voglia aprire un nuovo capitolo della storia peraltro già abbastanza travagliata del requisito della rilevanza: ma sembra un'ipotesi difficile da sostenere.
Un tentativo di giustificare la motivazione in esame va peraltro opera to: ed a tal fine è opportuno considerare separatamente i due motivi ad dotti dalla corte.
Iniziando dal secondo (il riferimento ai parametri costituzionali consi derati come distinti ed anzi alternativi), esso sembrerebbe rispondere a
quei requisiti sulla base dei quali la corte dichiara frequentemente l'inam missibilità della questione nel corso di un giudizio di legittimità costitu zionale per inesatta o difettosa individuazione del thema decidendi (24). Ora, pur con tutte le perplessità che un tale atteggiamento ha provocato e provoca, ben potendo la corte sopperire essa stessa all'inesatta indivi duazione dei parametri costituzionali (25), esso potrebbe tuttavia ritenersi ammissibile nel caso dell'ipotesi considerata: e cioè se la corte stesse svol
gendo un giudizio di legittimità costituzionale e si trovasse a giudicare una questione sollevata, e perciò delimitata sia quanto al petitum che al thema decidendi, dal giudice a quo.
Ma nel caso di specie la situazione è diversa, essendo la corte chiamata a giudicare non su una questione di costituzionalità già sollevata, quanto piuttosto su un conflitto di attribuzioni in cui sorgeva l'incidente di costi tuzionalità spettando perciò ad essa in quanto giudice a quo delimitare la questione sia relativamente alla norma da impugnare che alle presunte disposizioni costituzionali violate. La motivazione addotta dalla corte sul
punto, pertanto, non sembra idonea né a far ritenere la questione irrile
vante, né ad essere utilizzata per dichiararne l'inammissibilità a meno di non voler estendere questa categoria di pregiudizialità dal campo del
rapporto ordinanza di rimessione-giudizio della corte a quello istanza del la parte-giudice a quo (il che ci parrebbe francamente troppo).
Anche l'altro argomento su cui si basa la decisione sul punto suscita
perplessità. La questione di costituzionalità dell'art. 267 in riferimento
agli art. 131, 132, 134 Cost., nella parte in cui attribuiscono al capo dello Stato anziché al parlamento o alla Corte costituzionale la compe tenza a giudicare in ordine ai confini regionali, va ritenuta irrilevante «venendo a concernere un ipotetico conflitto tra regioni». Con ciò la
corte parrebbe ritenere che la questione cosi prospettata avrebbe dovuto
essere sollevata non all'interno di un conflitto di attribuzioni fra Stato
e regioni (come essa stessa ha dichiarato essere il presente) quanto piutto sto di un conflitto di attribuzioni fra regioni. Ma questo pare discutibile. In primo luogo, perché un atto del capo dello Stato c'è stato, ed è ad
esso che si deve l'attuale regolamentazione dei confini; per cui, come
già detto, la questione di costituzionalità dell'art. 267 non può che essere
(24) V. i richiami contenuti in Romboli, Le ipotesi di convocazione della Corte costituzionale in camera di consiglio, in Giur. it., 1987, IV, 14 dell'estratto.
(25) Pizzorusso, in Commentario della Costituzione, cit., 265, sub art. 137.
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3191 PARTE PRIMA 3192
nella permanenza in vigore di tale norma e, per l'effetto, rigetta il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla regione Ve neto contro lo Stato e nei confronti della regione Trentino-Alto
Adige, nonché della provincia di Trento con atto notificato il 19 gennaio 1983.
rilevante nel presente giudizio. Ed inoltre, perché se davvero cosi' fosse, non si vede perché la corte non abbia a dichiarare l'inammissibilità del conflitto come prospettato. Delle due l'una: o il conflitto è ammissibile e riguarda la delimitazione delle competenze tra lo Stato e la regione, e allora la questione è necessariamente rilevante; oppure esso attiene ad un «ipotetico conflitto fra regioni», e allora doveva essere dichiarato inam missibile il conflitto fra regione (Veneto) e Stato.
Analizzando poi ulteriormente il merito di questa affermazione della
corte, essa sembra presupporre, in senso contrario a quanto affermato dal Consiglio di Stato nel parere da essa accolto, che la delimitazione territoriale delle regioni sia problema che attiene ai rapporti tra le regioni interessate, senza coinvolgimento dello Stato: che è invece principio radi calmente escluso sia dall'art. 132 Cost., che richiede addirittura una leg ge costituzionale per modificare i confini regionali, sia a fortiori ex art. 133, disposizione che prevede la necessità di una legge della repubblica anche per modificare le circoscrizioni provinciali all'interno di una stessa
regione. Da tali norme sembra ricavarsi invece il principio che il territorio
regionale è sottratto alla disponibilità dei rispettivi enti regionali ed affi dato invece, quanto alla sua delimitazione, all'istanza più alta della so vranità nazionale (26).
A seguito di queste considerazioni ci pare di dover affermare che, una volta scelta la via dell'ammissibilità del conflitto, la corte non avrebbe
potuto sottrarsi alla necessità di sollevare questione di costituzionalità o che, perlomeno, non avrebbe potuto farlo sulla base delle motivazioni suddette.
Quanto infine all'altro motivo contenuto nel ricorso, esso non viene
preso in considerazione dalla decisione, né in sede di motivazione né in sede di dispositivo, dove anzi si rigetta il ricorso proprio con riferimento alla permanenza in vigore dell'art. 267.
Il dispositivo conferma che la decisione della corte si fonda esclusiva mente sul presupposto della legittimità costituzionale dell'atto (in quanto adottato correttamente in riferimento a norme di cui si afferma di fatto la costituzionalità), e non piuttosto sul profilo dell'invasione (o meno) della competenza costituzionalmente attribuita alla regione ricorrente. Il che prova ulteriormente l'anomalia di questo conflitto sia nei suoi pre supposti sia per le conclusioni cui la corte perviene.
Emanuele Rossi
(26) Secondo G. Bozzi, in Commento al decreto 616 (a cura di Capaccioli-Satta), Milano, 1980, 349, il mutamento delle circoscrizioni di comuni appartenenti a regioni diverse è compito da affidare al parla mento, quale organo super partes, attraverso lo strumento della legge ordinaria. Anche secondo Bartole, op. cit., 12, «spetta al legislatore ordinario la disciplina del rapporto tra gli enti enumerati e il territorio». In tal senso, specificamente in relazione al caso di specie, v. anche Lu pacchini, Sul potere del parlamento di risolvere i conflitti territoriali fra comuni appartenenti a diverse regioni, in Giust. civ., 1987, I, 1294.
In materia, cfr. anche Pedrazza Gorlero, La consultazione delle «po polazioni interessate» nel procedimento di variazione territoriale dei co muni, in Regioni, 1983, 1000 ss.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 giugno 1988, n. 740 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 luglio 1988, n. 27); Pres.
Saja, Est. Corasaniti; Regione Lombardia (Aw. Pototschnig) c. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Laporta). Conflitto di attribuzioni.
Regione — Polizia locale — Consorzio intercomunale — Funzio ni di organizzazione dei servizi — Spettanza — Atto di appro vazione — Legittimità (Cost., art. 117, 118; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, art. 17, 18, 19).
È illegittima la deliberazione della commissione di controllo sulla
amministrazione regionale con cui è stato annullato il provve dimento della regione Lombardia concernente la costituzione di un consorzio intercomunale per il servizio di polizia munici
pale e amministrativa, in quanto trattasi di materia rientrante
Il Foro Italiano — 1988.
nelle potestà di secondo grado regionali relative alle funzioni comunali di organizzazione delle attività di polizia locale, ai
sensi degli art. 117 e 118 Cost, e 17, 18 e 19 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616. (1)
Diritto. — 1. - La regione Lombardia ha proposto conflitto di attribuzioni nei confronti dello Stato relativamente alla delibe
razione di annullamento, da parte della commissione di controllo
sugli atti regionali, del provvedimento (9 dicembre 1980, n. 2720) con il quale la giunta regionale aveva approvato la costituzione,
e, con modificazioni, lo statuto di un consorzio fra comuni (Chia venna, Prata Camportaccio ed altri) per servizi di polizia muni
cipale. Sostiene la regione che la commissione di controllo abbia leso
le competenze ad essa costituzionalmente garantite dall'art. 118 in riferimento all'art. 117 Cost.:
a) per aver affermato, al fine di ritenere illegittimo e di annul
lare l'atto regionale, che le funzioni di secondo grado attribuite alla regione dall'art. 18 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, in tema di «polizia locale urbana e rurale», non concernono (funzioni di primo grado e) attività di polizia nelle materie oggetto di com
petenza comunale ai sensi dell'art. 19 del detto d.p.r.;
b) per aver fatto carico, sempre al fine suindicato, alla regione di aver modificato lo statuto del consorzio, pur non avendo in cluso tale addebito nei chiarimenti preventivamente chiesti alla stessa giunta;
c) per aver ritenuto che la regione non avesse comunque il po tere di modificare lo statuto del consorzio.
2. - Va premesso che, come risulta dallo statuto, scopo del consorzio è quello di garantire «i servizi di polizia municipale, stradale e amministrativa ai comuni partecipanti, fornendo altresì' ai medesimi adeguata consulenza e assistenza tecnica in materia di circolazione e di traffico, nonché di viabilità e vigilanza in generale di interesse comunale, tenuto conto anche delle numero se funzioni e dei maggiori compiti demandati ai comuni ai sensi del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616», e va premesso altresì che le
motivazioni dell'atto impugnato corrispondono sostanzialmente a quelle denunciate con l'impugnazione. Poiché la ricorrente non contesta radicibus il potere di controllo della commissione, ma la validità delle ragioni poste a base dell'annullamento sostanzia le che l'adozione di esse incida sulle competenze regionali in tema di polizia locale, è sufficiente verificare la portata delle dette com
petenze regionali, e quindi il rapporto fra polizia locale e polizia amministrativa nel sistema del richiamato d.p.r. n. 616 del 1977,
rapporto del quale si discute fra le parti. 3. - Gli art. 17 e 18 d.p.r. n. 616 del 1977 prevedono il trasferi
mento alle regioni di funzioni statali, e quindi di funzioni di se condo grado, in materia di polizia locale, vale a dire aventi per oggetto le funzioni esercitate in primo grado mediante la regola mentazione e l'organizzazione di attività di polizia da svolgere nel territorio comunale (con esclusione di quelle riservate allo Stato: cfr. art. 4 stesso d.p.r.).
Il contenuto delle funzioni di primo grado comunali, cui si ri feriscono le funzioni di secondo grado cosi attribuite alla regio ne, non si esaurisce nell'emanazione dei regolamenti, detti appunto di polizia locale urbana e rurale, previsti, secondo un'ottica tra
dizionale, dagli art. 109 e 110 del regolamento di esecuzione della
legge comunale e provinciale approvato con r.d. 12 febbraio 1911 n. 297, per l'esercizio del commercio annonario, per l'uso dei beni pubblici o per l'uso pubblico di beni privati e particolarmen te delle strade all'interno degli abitati e nelle campagne, per l'or
dinato e corretto svolgimento di attività materiali dei singoli o delle popolazioni suscettive di incidere negativamente sull'integri tà o sulla buona conservazione di beni pubblici o privati. Esso si estende alla previsione di compiti, da espletare nell'ambito del
(1) Per ogni riferimento sulle attribuzioni degli enti locali in materia di attività di polizia, v. la nota di richiami a Corte cost. 27 marzo 1987, n. 77, Foro it., 1987, I, 2308, cui adde, in termini con la decisione in epigrafe circa la potestà dei comuni di porre norme regolamentari per l'esercizio delle funzioni di «polizia amministrativa», Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 1987, n. 556, id., Rep. 1987, voce Comune, n. 242.
Per altri riferimenti di carattere generale sull'esercizio da parte degli enti locali delle funzioni amministrative delegate dallo Stato, v. Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 187, id., 1988, I, 2460, con nota di richiami.
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