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PARTE II DIRITTO E ORGANIZZAZIONE SANITARIA

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PARTE IIDIRITTO

E ORgANIzzAzIONESANITARIA

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CAPITOLO IPERSONALE

SEzIONE IIl rapporto di pubblico impiego

1. NOzIONI INTRODuTTIVE ED EVOLuzIONE NORMATIVA.Rinviando per uno studio ancora più approfondito alla Capitolo III della

Parte I – Diritto Amministrativo, del presente volume, occorre preliminar-mente affermare che il rapporto di lavoro di una persona fisica alle dipen-denze dello Stato o di un ente pubblico non economico, originariamente denominato rapporto di pubblico impiego, ha assunto nell’attuale assetto normativo natura privatistica ed è perciò assoggettato, a parte taluni aspetti di specialità, alla medesima disciplina di qualsiasi altro rapporto di lavoro dipendente.

Esso, pertanto, non si costituisce più con il provvedimento amministrativo unilaterale di nomina al quale accedeva, come condizione di efficacia, la vo-lontà dell’interessato di accettarlo, bensì mediante la stipula di un contratto individuale di lavoro dal quale derivano, per entrambe le parti, diritti e obblighi reciproci.

Si tratta, dunque, di un rapporto giuridico bilaterale che comporta, es-senzialmente, per il prestatore di lavoro l’obbligo di svolgere l’attività lavo-rativa e il corrispondente diritto alla retribuzione per il lavoro svolto, per il datore di lavoro lo speculare diritto alla prestazione lavorativa con il connes-so obbligo di corrispondere la retribuzione e di rispettare le altre statuizioni contrattuali.

In quanto lavoro dipendente, inoltre, quello alle dipendenze della P.A. si caratterizza per la relazione di subordinazione gerarchica, per cui il la-voratore è tenuto a svolgere la propria attività alle dipendenze e sotto la di-rezione del datore di lavoro, nonché per la relazione fiduciaria intercorrente tra dipendente e P.A., relazione che impone la personalità della prestazione dovendo l’ente fidarsi della specifica capacità intellettiva e tecnica di coloro cui affida la cura dei propri interessi.

I caratteri suddetti, tipici del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., connotavano in linea di massima anche il rapporto di pubblico impiego pri-ma della c.d. privatizzazione. La dottrina, infatti, qualificava il pubblico im-piego come un rapporto di servizio di diritto (perché costituito mediante un provvedimento di assunzione e non in via di mero fatto), volontario (a diffe-

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renza, ad esempio, del servizio militare che all’epoca aveva carattere coattivo) e professionale (in quanto la prestazione lavorativa doveva essere svolta non in via occasionale ma continuativamente).

Il carattere di volontarietà e bilateralità caratterizzava, dunque, anche il rapporto di pubblico impiego, pur non essendo esso costituito mediante la stipula di un contratto, poiché la volontà del prestatore di lavoro era comun-que essenziale - come si è detto - ai fini della produzione degli effetti del provvedimento di nomina.

Tuttavia, il rapporto di pubblico impiego era essenzialmente gestito dal-l’amministrazione datrice di lavoro mediante l’esercizio dei suoi poteri au-toritativi. Ciò, comunque, non impediva che dipendente pubblico e pubblica amministrazione vantassero l’uno nei confronti dell’altra, soprattutto sul piano economico, diritti soggettivi cui corrispondevano situazioni soggettive passive di obbligo.

Nel corso dell’ultimo secolo la disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è stata oggetto di radicali e profonde trasforma-zioni che hanno determinato più mutamenti della natura giuridica del rap-porto.

Infatti, mentre almeno fino a tutto l’Ottocento il rapporto di pubblico im-piego era considerato come rapporto di diritto privato, sebbene assoggettato ad una disciplina di diritto civile speciale, sin dai primi anni del XX secolo si verificò una progressiva accentuazione delle differenze tra lavoro pubblico e privato.

Si cominciò a ritenere che la natura pubblica del datore di lavoro fosse ostativa ad una equiparazione, anche solo nelle linee generali, del pubblico impiego al lavoro alle dipendenze di un privato.

Conseguentemente, per circa un secolo, fino cioè ai recenti interventi di privatizzazione, la disciplina del pubblico impiego è stata sottratta ai principi dell’ordinario rapporto privatistico di lavoro.

Il riconoscimento della natura pubblica del rapporto di pubblico impiego ha comportato che esso si differenziasse dai rapporti di lavoro privato per tre elementi essenziali:

a) l’unilateralità della disciplina del rapporto di lavoro, rimessa a fonti di diritto pubblico;

b) l’assenza della contrattazione collettiva;c) la natura autoritativa della maggior parte degli atti di gestione del rap-

porto.Nel rapporto di impiego con gli enti pubblici, dunque, la contrattazione

non aveva alcuno spazio né in ordine alla disciplina di esso (interamente ri-servata ad atti di natura legislativa e regolamentare e non alla contrattazione collettiva), né in ordine alla costituzione del rapporto medesimo (la cui na-scita derivava dal provvedimento amministrativo di nomina del dipendente piuttosto che da un contratto individuale); gli atti di gestione del rapporto,

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inoltre, erano assoggettati alla disciplina dei provvedimenti amministrativi. Essi, infatti, erano espressione non della autonomia negoziale del datore di lavoro ma della sua potestà pubblicistica, con la conseguenza che i dipen-denti vantavano un semplice interesse legittimo - azionabile quindi di fronte al giudice amministrativo - alla regolarità dei medesimi. Unica eccezione a detta configurazione pubblicistico-autoritativa era data dai c.d. atti paritetici, con i quali la P.A. gestiva i profili del rapporto regolati compiutamente dalla legge sì da riconoscere al dipendente, alla ricorrenza dei presupposti di legge, determinati diritti e da escludere la sussistenza di profili autoritativi e di su-premazia (si pensi all’adempimento di obblighi economici). A fronte di detti atti residuava un diritto soggettivo azionabile nel termine di prescrizione.

Tutti gli aspetti del pubblico impiego appena evidenziati, che consentono di desumerne il carattere autoritativo ed unilaterale nonché la forte connota-zione gerarchica, sono stati progressivamente modificati. Ben presto, infatti, gli interpreti hanno rinvenuto proprio nel regime pubblicistico del rapporto di pubblico impiego la causa primaria delle disfunzioni dell’organizzazione e dell’attività amministrativa. L’esigenza di recuperare una produttività della pubblica amministrazione almeno pari a quella delle imprese pri-vate ha, pertanto, dato la stura ad una progressiva e graduale assimilazione del rapporto di pubblico impiego al rapporto di lavoro privato. Ma una spinta importante verso la privatizzazione è venuta anche dall’esigenza di dare atto, nel disciplinare i rapporti di lavoro intercorrenti con la P.A., della progressiva dismissione da parte della stessa dei panni autoritativi e della assunzione della veste di struttura erogatrice di servizi pubblici (con la conseguente ne-cessità di non differenziare la P.A. datrice di lavoro dai datori privati).

Già a partire dal T.U. degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) si è provveduto ad attenuare la valenza gerarchica del rapporto rispetto al precedente modello, mentre il tradizionale assunto della sostan-ziale irresponsabilità dei pubblici dipendenti è stato superato mediante l’in-troduzione, con la L. 11 luglio 1980, n. 312, del dovere di produttività degli stessi.

Ma si trattava di interventi isolati, tendenti a correggere le storture del regime sopra delineato senza mettere in discussione la natura pubblicistica del rapporto di pubblico impiego, e pertanto inidonei, di per sé soli, a col-mare il divario tra esso e il lavoro privato e, dunque, a soddisfare le esigenze suddette.

Neanche la legge quadro 29 marzo 1983, n. 93 che, pur riservando alla legge la disciplina degli aspetti strategici del rapporto (ad esempio quelli or-ganizzativi), ha introdotto il principio di contrattualizzazione del pubblico impiego, è riuscita nell’intento di eguagliare il pubblico impiego al lavoro privato. Il legislatore del 1983, infatti, ha sì scelto di affidare la gestione del rapporto di lavoro pubblico, ed in particolare la disciplina del suo profilo economico, alle statuizioni di un contratto collettivo stipulato tra le parti, ma

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ha subordinato l’efficacia di esse ad un atto unilaterale di recepimento della P.A. di natura regolamentare. Il ruolo svolto dalla amministrazione datrice di lavoro era dunque sempre preminente nella regolamentazione del rapporto.

L’esigenza sempre più pregnante di ridurre le distanze tra lavoro pub-blico e privato, insoddisfatta come visto dagli interventi pregressi, ha indot-to il legislatore ad imboccare una via nuova rispetto a quella della correzione della disciplina esistente, in precedenza percorsa, ossia quella della riforma integrale del pubblico impiego.

Così, in attuazione della delega conferita con la L. 23 ottobre 1992 n. 421, è stato emanato il D.Lgs. n. 3 febbraio 1993 n. 29 recante “Norme in ma-teria di razionalizzazione dell’organizzazione dell’amministrazione e revisione della disciplina del pubblico impiego”. La portata innovativa di tale decreto è stata tale che con esso è stato inaugurato il vero e proprio primo processo di privatizzazione del pubblico impiego: solo nel 1993, infatti, è stato superato l’assunto secondo cui il carattere soggettivamente pubblico di una delle parti del rapporto implica necessariamente la natura pubblicistica di esso.

Dal riconoscimento della natura privatistica del rapporto di pubblico im-piego sono derivate essenzialmente quattro conseguenze fondamentali:

1) la P.A. datrice di lavoro ha perso il tradizionale ruolo autoritativo che rivestiva nei rapporti con i propri dipendenti e la sua posizione è stata assi-milata a quella dei datori di lavoro privati: essa esercita la propria potestà di auto-organizzazione come ogni soggetto dotato di capacità imprenditoriale;

2) gli atti di gestione del lavoro sono stati equiparati a quelli con i quali il privato datore di lavoro organizza la propria attività produttiva e la posizione giuridica vantata dai privati a fronte di essi ha conseguentemente perso la natura d’interesse legittimo, con la naturale conseguenza della devoluzione delle relative controversie al giudice ordinario;

3) tra le fonti del rapporto di pubblico impiego privatizzato sono state in-cluse le disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro pri-vato nell’impresa nonché, per le materie non riservate alla legge, i contratti collettivi stipulati tra le parti;

4) la genesi del rapporto individuale è stata individuata non più in un prov-vedimento pubblicistico di nomina ma in un contratto individuale di diritto privato.

La riforma attuata dal D.Lgs. n. 29/1993 è stata completata con il D.Lgs. n. 80/1998 (c.d. seconda privatizzazione) che ha accelerato la devoluzione del contenzioso al giudice ordinario e ha esteso la privatizzazione anche ai dirigenti generali categoria che, assieme alle altre ancora oggi escluse dalla privatizzazione (art. 3 D.Lgs. n. 165/2001), restava assoggettata ad una disci-plina pubblicistica.

L’originaria struttura del D.Lgs. n. 29/1993 ha continuato ad essere modi-ficata anche dopo il 1998 per effetto di numerosi altri interventi legislativi: è stata, pertanto, avvertita la stringente necessità di coordinare tutte le disposi-

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zioni succedutesi relativamente alla nuova disciplina del pubblico impiego.Il progetto originario, contenuto nella L. n. 50/2000, era quello di racco-

gliere in un Testo Unico la complessità delle disposizioni sui rapporti di lavo-ro privatizzati ulteriori al codice civile e alle norme sul lavoro privato. Ma tale progetto, principalmente per la forte opposizione sindacale, è naufragato e al posto dell’auspicato Testo Unico è stato emanato il D.Lgs. n. 165/2001.

Il decreto del 2001 ha sostituito quello del 1993 prendendo atto delle modi-fiche ad esso apportate e dando conto, altresì, delle abrogazioni e cessazioni di efficacia delle norme non sopravvissute alla privatizzazione.

La L. n. 145/2002, che ha apportato rilevanti modifiche alla dirigenza pub-blica, si pone sulla scia dell’assimilazione del rapporto di pubblico impiego al lavoro privato.

Appare pertanto più corretto, alla luce della privatizzazione e della conse-guente abolizione del “diritto amministrativo del lavoro”, qualificare il rap-porto dei dipendenti pubblici non più come pubblico impiego, bensì come rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., in guisa da mettere in risalto che di pubblico rimane solo il soggetto datore non più il regime del rapporto di lavoro.

Con la legge delega 4 marzo 2009, n. 15, il legislatore ha attribuito un’am-pia delega al governo per riformare, anche mediante modifiche al D.Lgs. n. 165/2001, vari aspetti della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con particolare attenzione all’implementa-zione dei sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strut-ture amministrative. Tra gli obiettivi dichiarati, quello di garantire la conver-genza del mercato del lavoro pubblico con quello del lavoro privato. Tuttavia, il legislatore sembra voler ripristinare un assetto delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. basato sulla primazia della fonte legislativa rispetto alla contrattazione collettiva operando una parziale in-versione di rotta rispetto alle tendenze degli anni novanta di privatizzazione normativa del pubblico impiego.

A distanza di pochi mesi è stato emanato il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizza-zione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. La riforma ha l’obiettivo di migliorare l’organizzazione del lavoro pubblico e la qualità delle prestazioni erogate, adeguare i livelli di produttività e riconoscere finalmente i meriti e i demeriti dei dipendenti e dei dirigenti pubblici.

I punti focali del provvedimento possono essere così sintetizzati:a) principio di trasparenza. È il principio ispiratore della riforma, la tra-

sparenza intesa come accessibilità totale a tutte le informazioni concernenti l’organizzazione, gli andamenti gestionali, l’utilizzo delle risorse per il perse-guimento delle funzioni istituzionali e dei risultati, l’attività di misurazione e valutazione, per consentire forme diffuse di controllo interno ed esterno

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(anche da parte del cittadino). A tal fine, ogni amministrazione adotta un programma triennale per la trasparenza della performance e per la integrità e prevede una apposita pagina web sul programma di trasparenza e integrità;

b) premiare il merito. L’asse della riforma è l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, in modo da premiare i capaci e i meritevoli, invertendo la generale tendenza alla distribuzione “a pioggia” dei benefici che da decenni si verifica nella pubblica amministrazione. Il decreto fissa in materia una serie di principi nuovi: non più di un quarto dei dipendenti di ciascuna amministrazione potrà beneficiare del trattamento accessorio nella misura massima prevista dal contratto, non più della metà potrà goderne in misura ridotta al cinquanta per cento, mentre ai lavoratori meno meritevoli non sarà corrisposto alcun incentivo. La distribuzione tra le varie fasce può essere derogata dalla contrattazione collettiva integrativa entro limiti prede-terminati. Inoltre vengono previste forme di incentivazione aggiuntive per le performances di eccellenza e per i progetti innovativi; criteri meritocratici per le progressioni economiche; l’accesso dei dipendenti migliori a percorsi di alta formazione;

c) valutazione della performance. Il decreto realizza il passaggio dal-la cultura di mezzi (input) a quella di risultati (output ed outcome) al fine di produrre un tangibile miglioramento della performance delle ammini-strazioni pubbliche. Per facilitare questo passaggio il legislatore mette il cittadino-cliente al centro della programmazione degli obiettivi, grazie alla customer satisfaction, alla trasparenza e alla rendicontazione; si rafforza il collegamento tra retribuzione e performance. Per rafforzare la cultura della valutazione e della trasparenza nelle Amministrazioni vengono istituiti una apposita Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità e Organismi indipendenti di valutazione, in ciascuna amministrazione. La Commissione predispone ogni anno una graduatoria di performance delle singole amministrazioni statali in base alla quale la contrattazione collettiva nazionale ripartirà le risorse premiando le migliori strutture e alimentando una sana competizione;

d) contrattazione collettiva nazionale ed integrativa: riforma del-l’ARAN. Il decreto si propone di dare vita a un processo di convergenza con il settore privato prevedendo che il dirigente sia, quale rappresentante del da-tore di lavoro pubblico (identificato in modo ampio nei cittadini utenti e nei contribuenti), il responsabile della gestione delle risorse umane e della qua-lità e quantità del prodotto delle pubbliche amministrazioni. Di particolare rilievo è anche il principio della inderogabilità della legge da parte della contrattazione, a meno di specifica indicazione della legge stessa, posto dal legislatore in apertura della legge n. 15/2009 cui viene data puntuale attua-zione nel decreto legislativo in ragione della peculiarità della parte datoriale pubblica. Le nuove disposizioni creano un legame forte tra contrattazione decentrata, valutazione e premialità: in particolare, viene rafforzato, in coe-

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renza con il settore privato, il condizionamento della contrattazione decen-trata, e quindi della retribuzione accessoria, all’effettivo conseguimento di ri-sultati programmati e di risparmi di gestione. L’ARAN stessa viene rafforzata prevedendo che il Presidente sia nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previo favorevole parere delle competenti Commissioni parla-mentari. Il Presidente rappresenta l’Agenzia e coordina il Comitato di indiriz-zo e controllo, composto da quattro esperti di riconosciuta competenza, con il compito di coordinare la strategia negoziale e di assicurarne l’omogeneità, verificando che le trattative si svolgano in coerenza con le direttive contenute negli atti di indirizzo;

e) dirigenti. I dirigenti sono i veri responsabili dell’attribuzione dei trat-tamenti economici accessori in quanto ad essi compete la valutazione della performance individuale di ciascun dipendente, secondo criteri certificati dal sistema di valutazione. La nuova normativa valorizza dunque la figura del dirigente, il quale avrà a disposizione reali e concreti strumenti per operare e sarà sanzionato, anche economicamente, qualora non svolga efficacemente il proprio lavoro. Viene promossa la mobilità, sia nazionale che internazio-nale, dei dirigenti e si prevede che i periodi lavorativi svolti saranno tenuti in considerazione ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali. Vengono infine fissate nuove procedure per l’accesso alla dirigenza: in particolare, si prevede che l’accesso alla qualifica di dirigente di prima fascia nelle am-ministrazioni statali e negli enti pubblici non economici avviene per concor-so pubblico per titoli ed esami, indetto dalle singole amministrazioni per il cinquanta per cento dei posti disponibili annualmente, e che i vincitori del concorso saranno tenuti a compiere un periodo di formazione presso uffici amministrativi di uno Stato dell’Unione europea o di un organismo comuni-tario o internazionale;

f) sanzioni e procedimento disciplinare. In materia di disciplina, il de-creto determina, in primo luogo, una semplificazione dei procedimenti ed un incremento della loro funzionalità, soprattutto attraverso l’estensione dei poteri del dirigente della struttura in cui il dipendente lavora, la riduzione e la perentorietà dei termini, il potenziamento dell’istruttoria, l’abolizione dei collegi arbitrali di impugnazione e la previsione della validità della pubblica-zione del codice disciplinare sul sito telematico dell’amministrazione. Viene poi disciplinato in modo innovativo il rapporto fra procedimento disci-plinare e procedimento penale; per i casi di false attestazioni di presenze o di falsi certificati medici sono introdotte sanzioni molto incisive, anche di carattere penale, non soltanto nei confronti del dipendente, ma altresì del medico eventualmente corresponsabile. Per esigenze di certezza e di omoge-neità di trattamento viene definito un catalogo di infrazioni particolarmente gravi assoggettate al licenziamento, che potrà essere ampliato, ma non dimi-nuito, dalla contrattazione collettiva. Sono confermate le misure relative al controllo delle assenze:

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- obbligo di certificazione da parte di un medico del SSN;- invio telematico della certificazione dal medico all’INPS;- controlli a domicilio anche per un solo giorno di assenza.Definizione di ulteriori infrazioni che comportano il licenziamento:- protrazione o ripetizione di assenze ingiustificate;- ingiustificato rifiuto di trasferimento;- falsità documentali o dichiarative per l’assunzione o per la progressione

in carriera;- reiterazione di condotte aggressive, moleste o offensive;- condanna per reati contro la p.a. o per altri reati gravi;- prolungato insufficiente rendimento.Ipotesi di responsabilità nei confronti dell’amministrazione:- il dipendente è assoggettato a sanzione disciplinare se determina la con-

danna della p.a. al risarcimento del danno;- il dipendente è collocato in disponibilità se cagiona grave danno all’ufficio

di appartenenza per inefficienza o incompetenza professionale;- il dirigente o il funzionario che determina per colpa la decadenza del-

l’azione disciplinare è assoggettato a sanzione disciplinare.Limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare:- in relazione all’esercizio dell’azione disciplinare, la responsabilità civile

del dirigente è limitata ai casi di dolo o colpa grave.Ricapitolando, in attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge 4 marzo 2009,

n. 15, le disposizioni del decreto 150/2009 recano una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, intervenendo in particolare in materia di contrattazione collet-tiva, di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pub-bliche, di valorizzazione del merito, di promozione delle pari opportunità, di dirigenza pubblica e di responsabilità disciplinare. Le disposizioni introdotte dal D.Lgs. 150/2009 assicurano una migliore organizzazione del lavoro, il ri-spetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei ser-vizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità.

Per quanto concerne gli Enti territoriali e il Servizio Sanitario Naziona-le, il “decreto Brunetta” stabilisce che le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi relativi al merito ed ai premi

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(contenuti negli articoli 17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26 e 27, comma 1).

Le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali, nell’esercizio delle rispettive potestà normative, prevedono che una quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale venga attribuita al personale dipendente e dirigente che si colloca nella fascia di merito alta e che le fasce di merito siano comunque non inferiori a tre.

Per premiare il merito e la professionalità, le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali, oltre a quanto autonomamente stabilito, nei limiti delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa, utilizzano gli strumenti all’uopo predisposti (le progressioni economiche; le progressioni di carriera; l’attri-buzione di incarichi e responsabilità; l’accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale, in ambito nazionale e internazionale), nonché, adattandoli alla specificità dei propri ordinamenti, il bonus annuale delle ec-cellenze e il premio annuale per l’innovazione. Gli incentivi sono riconosciuti a valere sulle risorse disponibili per la contrattazione collettiva integrativa.

Quasi in contemporanea è stato approvato il decreto legislativo 20 dicem-bre 2009, n. 198 sulla class action contro la P.A. che rientra nel sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. L’organizzazione della pubblica amministrazione infatti, così come si è defini-ta negli anni, non ha consentito una verifica dei risultati raggiunti attraverso un confronto con i cittadini fruitori dei servizi. Il provvedimento mira al re-cupero di efficienza dell’apparato pubblico e, da un punto di vista economi-co, mira ad un forte recupero di produttività. Il provvedimento garantisce la tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard di riferimento, prevedendo una tipologia di ricorsi diversa dall’azione collettiva introdotta nel nostro ordinamento dalla legge finanziaria per il 2008, che riguarda le lesioni dei diritti di consumatori e utenti in ambito contrattuale e per certi ambiti ex-tracontrattuale, ma non il rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni o concessionari in relazione alla natura pubblica del servizio erogato.

L’introduzione della class action ha il fine di:- assicurare elevati standard qualitativi ed economici dell’intero procedi-

mento di produzione del servizio reso all’utenza tramite la valorizzazione del risultato ottenuto dalle singole strutture;

- prevedere mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati o che violano le norme prepo-ste al loro operato;

- prevedere l’obbligo per le amministrazioni, i cui indicatori di efficienza o produttività si discostino in misura significativa, secondo parametri deliberati

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dall’organismo centrale, dai valori medi dei medesimi indicatori rilevati tra le amministrazioni omologhe di fissare ai propri dirigenti, tra gli obiettivi anche quello di allineamento entro un termine ragionevole ai parametri deliberati dall’organismo centrale di valutazione;

- prevedere l’attivazione di canali di comunicazione diretta utilizzabili dai cittadini per la segnalazione di disfunzioni di qualsiasi natura nelle ammini-strazioni pubbliche.

2. IL RAPPORTO DI IMPIEgO PuBBLICO: FONTI E DISCIPLINA.Rinviando a quanto detto al paragrafo precedente, il rapporto di impiego

pubblico è regolato e disciplinato dalle norme e principi contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Le disposizioni del citato decreto disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pub-bliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell’articolo 97, comma primo, della Costi-tuzione, al fine di:

a) accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa com-plessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pub-blica;

c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei di-pendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e ap-plicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato.

Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istitu-zioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissa-ti da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organiz-zativi secondo i rispettivi ordinamenti:

- le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; - individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della

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titolarità dei medesimi; - determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel persegui-

mento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni ope-

rative e gestionali;c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comuni-

cazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;

d) garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrati-va, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione europea.

I criteri di organizzazione sono attuati nel rispetto della disciplina in ma-teria di trattamento dei dati personali.

I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel T.U.. Eventuali disposizioni di legge, re-golamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge.

I rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente mentre i contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste dal D.Lgs. n. 165/2001.

L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente me-diante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti indivi-duali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribui-scono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.

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3. I CONTRATTI COLLETTIVI.L’art. 40 T.U. 165/2001, nel testo modificato dall’art. 54, D.Lgs. 150/2009,

recepisce a pieno le indicazioni stabilite nella legge delega (L. 15/2009).La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamen-

te pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle rela-zioni sindacali e in coerenza con il settore privato, disciplina la strut-tura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. La sua durata è stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e quella economica.

Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie:- attinenti all’organizzazione degli uffici:- oggetto di partecipazione sindacale;- afferenti alle prerogative dirigenziali, la materia del conferimento e della

revoca degli incarichi dirigenziali,- afferenti le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nel-

l’espletamento di procedure amministrative; gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; i princìpi fondamentali di orga-nizzazione degli uffici; i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consisten-za complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale; la garanzia della libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scienti-fica e di ricerca; la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici.

Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle pre-stazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobili-tà e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.

Mediante appositi accordi tra l’ARAN e le Confederazioni rappresentative, secondo le apposite procedure (v. artt. 41, comma 5, e 47 T.U.), senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corri-spondono non più di quattro separate aree per la dirigenza. Una apposita sezione contrattuale di un’area dirigenziale riguarda la dirigenza del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale. Nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità.

Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto di quelle amministrazioni pubbliche che non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese e dei vincoli di bilancio risultanti dagli

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strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna ammini-strazione.

La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di effi-cienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance. A tale fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazio-nali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere àmbito territoriale e riguardare più amministrazioni. I con-tratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata. Alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prero-gative e libertà di iniziativa e decisione.

Al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, qualora non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un con-tratto collettivo integrativo, l’amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successi-va sottoscrizione. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dall’applicazione delle norme di legge, con particolare riferi-mento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corre-sponsione dei trattamenti accessori (v. art. 40-bis T.U.).

La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (istituita dall’articolo 13 del D.Lgs. 150/2009), in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di ef-ficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, fornisce all’ARAN, entro il 31 maggio di ogni anno, una graduatoria di performance delle am-ministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.

Tale graduatoria raggruppa le singole amministrazioni, per settori, su al-meno tre livelli di merito, in funzione dei risultati di performance ottenuti.

La contrattazione collettiva nazionale:- definisce le modalità di ripartizione delle risorse per la contrattazione

decentrata tra i diversi livelli di merito assicurando l’invarianza complessiva dei relativi oneri nel comparto o nell’area di contrattazione;

- dispone, per le amministrazioni, le modalità di utilizzo delle risorse, in-dividuando i criteri e i limiti finanziari entro i quali si deve svolgere la con-trattazione integrativa.

Le regioni, per quanto concerne le proprie amministrazioni, e gli enti locali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti del contenimento della spesa. Lo stanziamento delle risorse aggiuntive per

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la contrattazione integrativa è correlato all’affettivo rispetto dei principi in materia di misurazione, valutazione e trasparenza della performance e in materia di merito e premi applicabili alle regioni e agli enti locali, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e tra-sparenza delle pubbliche amministrazioni.

Le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che com-portano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e plu-riennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.

In caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze è fatto altresì obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva.

Tali disposizioni trovano applicazione a decorrere dai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 150/2009, ovvero dal 15 novembre 2009.

A corredo di ogni contratto integrativo le pubbliche amministrazioni, redigono una relazione tecnico-finanziaria ed una relazione illustrativa, utilizzando gli schemi appositamente predisposti e resi disponibili tramite i rispettivi siti istituzionali dal Ministero dell’economia e delle finanze di intesa con il Dipartimento della funzione pubblica. Le relazioni vengono certificate dagli appositi organi di controllo.

Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i con-tratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.

L’art. 46 del T.U., nel testo modificato dall’art. 58, D.Lgs. 150/2009, sancisce che le pubbliche amministrazioni sono legalmente rappresentate dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche ammini-strazioni - ARAN, agli effetti della contrattazione collettiva nazionale.

L’ARAN ha personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia organiz-zativa e contabile nei limiti del proprio bilancio, definisce con propri regola-menti le norme concernenti l’organizzazione interna, il funzionamento e la gestione finanziaria.

Esercita a livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni sinda-cali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pub-bliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi e sottopone alla valutazione della commissione di garanzia dell’at-tuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (L. 12 giu-

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gno 1990, n. 146), gli accordi nazionali sulle prestazioni indispensabili.Le amministrazioni pubbliche possono avvalersi dell’assistenza dell’ARAN

ai fini della contrattazione integrativa e sulla base di apposite intese, questa può essere assicurata anche collettivamente ad amministrazioni dello stesso tipo o ubicate nello stesso ambito territoriale. Su richiesta dei comitati di settore, in relazione all’articolazione della contrattazione collettiva integrati-va nel comparto ed alle specifiche esigenze delle pubbliche amministrazioni interessate, possono essere costituite, anche per periodi determinati, delega-zioni dell’ARAN su base regionale o pluriregionale.

In dettaglio l’ARAN:- cura le attività di studio, monitoraggio e documentazione necessarie al-

l’esercizio della contrattazione collettiva;- predispone a cadenza semestrale, ed invia al Governo, ai comitati di

settore dei comparti regioni e autonomie locali e sanità e alle commissioni parlamentari competenti, un rapporto sull’evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti. A tale fine l’ARAN si avvale della collaborazione dell’ISTAT per l’acquisizione di informazioni statistiche e per la formulazio-ne di modelli statistici di rilevazione oltre alla collaborazione del Ministero dell’economia e delle finanze che garantisce l’accesso ai dati raccolti in sede di predisposizione del bilancio dello Stato, del conto annuale del personale e del monitoraggio dei flussi di cassa e relativi agli aspetti riguardanti il costo del lavoro pubblico;

- effettua il monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al Dipar-timento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l’effettività e la con-gruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di com-petenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione col-lettiva nazionale ed integrativa.

Sono organi dell’ARAN:a) il Presidente;b) il Collegio di indirizzo e controllo.Non possono far parte del collegio di indirizzo e controllo né ricoprire

funzioni di presidente, persone che rivestano incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici ovvero che ricoprano o abbiano ricoperto nei cinque anni precedenti alla nomina cariche in organizzazioni sindacali. L’incompatibilità si intende estesa a qualsiasi rapporto di carattere profes-sionale o di consulenza con le predette organizzazioni sindacali o politiche. L’assenza delle predette cause di incompatibilità costituisce presupposto ne-cessario per l’affidamento degli incarichi dirigenziali nell’agenzia.

Per la sua attività, l’ARAN si avvale:a) delle risorse derivanti da contributi posti a carico delle singole am-

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ministrazioni dei vari comparti, corrisposti in misura fissa per dipendente in servizio. La misura annua del contributo individuale è definita, sentita l’ARAN, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione, d’intesa con la Conferenza unificata ed è riferita a ciascun triennio contrattuale;

b) di quote per l’assistenza alla contrattazione integrativa e per le altre prestazioni eventualmente richieste, poste a carico dei soggetti che se ne av-valgano.

La riscossione dei contributi è effettuata:a) per le amministrazioni dello Stato mediante l’assegnazione di risorse

pari all’ammontare dei contributi che si prevedono dovuti nell’esercizio di riferimento. L’assegnazione è effettuata annualmente sulla base della quota prevista dalla normativa vigente, con la legge annuale di bilancio, con impu-tazione alla pertinente unità previsionale di base dello stato di previsione del ministero dell’economia e finanze;

b) per le amministrazioni diverse dallo Stato, mediante un sistema di tra-sferimenti da definirsi tramite decreti del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e, a seconda del comparto, dei Ministri competenti, nonché, per gli aspetti di interesse regionale e locale, previa intesa espressa dalla Confe-renza unificata Stato-regioni e Stato-città.

Il ruolo del personale dipendente dell’ARAN è definito in base ai regolamenti ed alla copertura dei relativi posti si provvede nell’ambito delle disponibilità di bilancio tramite concorsi pubblici, ovvero mediante assunzioni con contratto di lavoro a tempo determinato, regolati dalle norme di diritto privato.

L’ARAN può altresì:- avvalersi di un contingente di personale, anche di qualifica dirigen-

ziale, proveniente dalle pubbliche amministrazioni rappresentate, in posizione di comando o fuori ruolo in base ai regolamenti che defini-scono l’organizzazione interna;

- utilizzare, sulla base di apposite intese, anche personale direttamente messo a disposizione dalle amministrazioni e dagli enti rappresentati, con oneri a carico di questi oltre che di esperti e collaboratori esterni.

Le regioni a statuto speciale e le province autonome possono avvalersi, per la contrattazione collettiva di loro competenza, di agenzie tecniche istituite con legge regionale o provinciale ovvero dell’assistenza dell’ARAN.