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finanziato con il Fondo Sociale Europeo. Avviso Prot.n. AOODGAI/4462 del 31/03/2011 Autorizzazione Piani Integrati - Annualità 2011/2012 Prot. n: AOODGAI-10673 del 27/09/2011 Codice Nazionale C-1-FSE-2011-366; F-2-FSE-2011-22; G-1-FSE-2011-93 ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "ANTONINO PANELLA" 89128 REGGIO CALABRIA P.O.N. ”Competenze per lo sviluppo”. Piano Integrato di Istituto – annualità 2011/2012. Progetto F-2-FSE-2011-22: “IL COLORE DELL’ACQUA” aspetti ambientali, chimici, sociali di un bene essenziale PARTE I Interfenze delle opere antropiche su IL CICLO DELL’ACQUA Sbarramenti, dissesti idrogeologici, acquedotti, diga del Menta

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finanziato con il Fondo Sociale Europeo. Avviso Prot.n. AOODGAI/4462 del 31/03/2011 Autorizzazione Piani Integrati - Annualità 2011/2012 Prot. n: AOODGAI-10673 del 27/09/2011 Codice Nazionale C-1-FSE-2011-366; F-2-FSE-2011-22; G-1-FSE-2011-93

ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "ANTONINO PANELLA"

89128 REGGIO CALABRIA

P.O.N. ”Competenze per lo sviluppo”. Piano Integrato di Istituto – annualità 2011/2012. Progetto F-2-FSE-2011-22:

“IL COLORE DELL’ACQUA” aspetti ambientali, chimici, sociali di un bene essenziale

PARTE I

Interfenze delle opere antropiche su

IL CICLO DELL’ACQUA Sbarramenti, dissesti idrogeologici, acquedotti, diga del Menta

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Ciclo dell'acqua

Il movimento dell'acqua intorno, al di sopra e attraverso la Terra è chiamato ciclo dell'acqua.

Il ciclo dell'acqua — conosciuto tecnicamente come ciclo idrologico — consiste nella circolazione

dell'acqua all'interno dell'idrosfera terrestre, includendo i cambiamenti di stato fisico dell'acqua tra

la fase liquida, solida e gassosa. Il ciclo idrologico si riferisce ai continui scambi di massa idrica tra

l'atmosfera, la terra, le acque superficiali, le acque sotterranee e gli organismi. Oltre all'accumulo in

varie zone (come gli oceani che sono le più grandi zone di accumulo idrico), i molteplici cicli che

compie l'acqua terrestre includono i seguenti processi fisici: evaporazione, condensazione,

precipitazione, infiltrazione, scorrimento e flusso sotterraneo. La scienza che studia il ciclo

dell'acqua è l'idrologia.

Non c'è un inizio o una fine nel ciclo idrologico: le molecole d'acqua si muovono in continuazione

tra differenti compartimenti, o riserve, dell'idrosfera terrestre mediante processi fisici. L'acqua

evapora dagli oceani, forma le nuvole dalle quali l'acqua torna alla terra. Non è detto, tuttavia, che

l'acqua segua il ciclo nell'ordine: prima di raggiungere gli oceani l'acqua può evaporare, condensare,

precipitare e scorrere molte volte.

• L'evaporazione è il trasferimento dell'acqua da corpi idrici superficiali nell'atmosfera. Questo

trasferimento implica un passaggio di stato dalla fase liquida alla fase vapore. Nell'evaporazione

viene inclusa anche la traspirazione delle piante; in tal modo ci si riferisce a questo

trasferimento come evapotraspirazione. Il 99% dell'acqua atmosferica proviene

dall'evaporazione, mentre il rimanente 1% dalla traspirazione.

• La precipitazione è costituita da vapore acqueo che si è prima condensato sotto forma di nuvole

(cambio dalla fase gassosa alla fase liquida o solida) e che cade sulla superficie terrestre. Questo

avviene soprattutto sotto forma di pioggia, ma anche di neve, grandine o nebbia.

• L'infiltrazione è la transizione dall'acqua dalla superficie alle acque sotterranee. L'aliquota di

infiltrazione dipende dalla permeabilità del suolo o della roccia e da altri fattori. Le acque

sotterranee tendono a muoversi molto lentamente, così l'acqua può ritornare alla superficie dopo

l'accumulo in un acquifero in un lasso di tempo che può arrivare al migliaio di anni in alcuni

casi. L'acqua ritorna alla superficie ad altezza inferiore a quella del punto di infiltrazione, sotto

l'azione della forza di gravità e delle pressioni da essa indotta.

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• Lo scorrimento include tutti i modi in cui l'acqua superficiale si muove in pendenza verso il

mare. L'acqua che scorre nei torrenti e nei fiumi può stazionare nei laghi per un certo tempo.

Non tutta l'acqua ritorna al mare per scorrimento; gran parte evapora prima di raggiungere il

mare o un acquifero.

• Il flusso sotterraneo include il movimento dell'acqua all'interno della terra sia nelle zone

insature che negli acquiferi. Dopo l'infiltrazione l'acqua superficiale può ritornare alla superficie

o scaricarsi in mare.

Bilancio idrico globale

La massa totale d'acqua del ciclo rimane essenzialmente costante, così come l'ammontare d'acqua in

ciascuna riserva, quindi, in media, la quantità d'acqua che lascia una riserva è pari a quella che

ritorna ad essa.

Nella tabella a lato sono mostrati i valori del bilancio globale; ad una prima osservazione si nota

un'eccedenza del flusso evaporativo degli oceani rispetto alle precipitazioni, mentre sulla terra la

proporzione è invertita. La differenza tra precipitazione ed evaporazione nel complesso, pari a

36 · 103 km³/anno, dà luogo al deflusso superficiale delle acque, il che riequilibra il bilancio di

massa.

Poiché evaporazione e precipitazione costituiscono un flusso di 505 · 103 km³/anno e il volume

d'acqua totale è di 15,5 · 103 km³, ne consegue che il contenuto d'acqua nell'atmosfera viene

rinnovato circa 30 volte l'anno; in altri termini, il tempo medio di residenza dell'acqua

nell'atmosfera è di circa 12 giorni.

Riserve e tempo di residenza

Nel contesto del ciclo idrologico una riserva rappresenta l'acqua contenuta in uno dei differenti

passi del ciclo. La riserva più grande è rappresentata dagli oceani, che raccolgono il 97% dell'acqua

del pianeta; quindi c'è l'acqua in forma solida dei ghiacciai. L'acqua contenuta negli organismi

rappresenta la riserva più piccola.

Volume d'acqua conservato

nelle riserve del ciclo idrologico

Riserva Volume

(106 km³)

Percentuale

del totale

Oceani 1370 97,25

Ghiacciai 29 2,05

Acque sotterranee 9,5 0,68

Laghi 0,125 0,01

Umidità del suolo 0,065 0,005

Atmosfera 0,013 0,001

Corsi d'acqua 0,0017 0,0001

Biosfera 0,0006 0,00004

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Il volume nelle riserve d'acqua fresca, particolarmente quelle disponibili per l'impiego da parte

dell'uomo, costituisce le importanti risorse idriche.

Il tempo di residenza è il tempo medio nel quale le molecole d'acqua si trovano in una riserva; è una

misura dell'età media dell'acqua nella riserva anche se una parte vi si trattiene per un tempo

inferiore, un'altra parte per un tempo superiore. Le acque sotterranee possono trascorrere oltre

10 000 anni sotto la superficie; l'acqua che trascorre in questa riserva tempi particolarmente lunghi è

denominata acqua fossile. L'acqua conservata nel suolo vi rimane brevemente, perché è distribuita

in uno strato sottile per tutta la Terra e viene rapidamente perduta per evaporazione, traspirazione,

flussi d'acqua corrente o per infiltrazioni nella falda freatica. Dopo l'evaporazione l'acqua rimane

nell'atmosfera mediamente per 12 giorni prima di precipitare di nuovo al suolo.

Regolazione del clima

Il ciclo dell'acqua riceve energia dal Sole. L'86% dell'evaporazione globale ha luogo negli oceani,

riducendo la loro temperatura per evaporazione. Senza l'effetto di raffreddamento così generato

l'effetto serra porterebbe la temperatura superficiale a 67 °C, e ad un pianeta più caldo.

La maggior parte dell'energia solare riscalda i mari tropicali. Dopo l'evaporazione, il vapor d'acqua

si innalza nell'atmosfera ed è allontanato dai tropici dai venti. La maggior parte del vapore condensa

nella Zona di convergenza equatoriale, rilasciando il calore latente che riscalda l'aria; questo

fenomeno, a sua volta, fornisce energia alla circolazione atmosferica.

Durante il secolo scorso il ciclo dell'acqua è diventato più intenso, con l'incremento dei tassi di

evaporazione e precipitazione. Ciò è quanto gli scienziati si aspettano a causa del riscaldamento

globale, dato che le temperature più alte aumentano il tasso dell'evaporazione.

La ritirata dei ghiacciai è anch'essa un esempio del cambiamento in atto, dato che l'apporto d'acqua

ai ghiacciai non è sufficiente a compensare la perdita per scioglimento e sublimazione. A partire dal

1850, anno in cui terminò la piccola era glaciale iniziata nel XIV secolo, il ritiro dei ghiacci è stato

notevole.

Anche le seguenti attività umane possono influire nell'alterare il ciclo idrologico.

• Agricoltura

• Alterazione della composizione chimica dell'atmosfera (inquinamento atmosferico)

• Costruzione di dighe

• Deforestazione e riforestazione

• Estrazione dell'acqua dalla falda freatica mediante pozzi

• Sottrazione d'acqua dai fiumi

• Urbanizzazione

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Dissesto idrogeologico

Il dissesto idrogeologico è l'insieme dei processi morfologici che hanno un'azione fortemente

distruttiva in termini di degradazione del suolo e quindi indirettamente nei confronti dei manufatti.

Esso comprende tutti quei processi a partire dall'erosione superficiale e sottosuperficiale fino agli

eventi più catastrofici quali frane e alluvioni.

Il rischio di dissesto idrogeologico

Secondo l'analisi effettuata da David J. Varnes in un rapporto dell'UNESCO del 1984 il rischio

totale relativo al dissesto idrogeologico può essere espresso dalla relazione:

dove:

• : Rischio totale, cioè il numero aspettato di danni relativi ad un evento catastrofico in

termini di vite umane, persone ferite, danni alle proprietà ed alle attività economiche;

• : Elementi a rischio, cioè la popolazione, le proprietà e le attività economiche

potenzialmente in pericolo con riferimento a un dato fenomeno catastrofico;

• : Rischio specifico, che rappresenta il grado atteso di perdite legato ad un particolare

fenomeno, espresso dal prodotto di H per V;

• : Pericolosità naturale, cioè la probabilità che un dato evento possa verificarsi in una data

area in un certo periodo;

• : Vulnerabilità, che rappresenta il grado di danno atteso nei confronti di un elemento o di

un insieme di elementi, espresso con una scala da 0 (nessun danno) a 1 (distruzione

totale);[1]

Le azioni da attuare in presenza di un dissesto idrogeologico sono:

• Descrizione dello stato di natura, che consiste nella raccolta delle informazioni relative ad

un dato fenomeno catastrofico potenziale, con riferimento anche alle informazioni storiche;

• Valutazione dell'intensità, cioè la valutazione del grado di distruttività che il fenomeno in

analisi può assumere. In generale si può procedere considerando uno o più parametri legati

all'intensità e valutarli oppure considerando anche gli effetti del fenomeno, quindi attuando

anche un'implicita valutazione del valore e della vulnerabilità degli oggetti a rischio;

• Valutazione della pericolosità, che consiste nella valutazione della probabilità che un dato

evento avvenga in un certo periodo; in questa analisi ci si basa su metodi euristici (con

valutazioni soggettive e qualitative), statistici (basati sullo studio del fenomeno nel passato)

o deterministici (con riferimento a leggi fisico-matematiche);

• Valutazione del rischio inteso come sintesi del lavoro di individuazione e attribuzione di un

valore degli elementi a rischio e della loro vulnerablità;

• Gestione del rischio, cioè la serie di interventi atti a diminuire l'effetto del fenomeno su

ambiente, manufatti e popolazione.

Le azioni da attuare in presenza di un dissesto idrogeologico sono:

• Descrizione dello stato di natura, che consiste nella raccolta delle informazioni relative ad

un dato fenomeno catastrofico potenziale, con riferimento anche alle informazioni storiche;

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• Valutazione dell'intensità, cioè la valutazione del grado di distruttività che il fenomeno in

analisi può assumere. In generale si può procedere considerando uno o più parametri legati

all'intensità e valutarli oppure considerando anche gli effetti del fenomeno, quindi attuando

anche un'implicita valutazione del valore e della vulnerabilità degli oggetti a rischio;

• Valutazione della pericolosità, che consiste nella valutazione della probabilità che un dato

evento avvenga in un certo periodo; in questa analisi ci si basa su metodi euristici (con

valutazioni soggettive e qualitative), statistici (basati sullo studio del fenomeno nel passato)

o deterministici (con riferimento a leggi fisico-matematiche);

• Valutazione del rischio inteso come sintesi del lavoro di individuazione e attribuzione di un

valore degli elementi a rischio e della loro vulnerablità;

• Gestione del rischio, cioè la serie di interventi atti a diminuire l'effetto del fenomeno su

ambiente, manufatti e popolazione.

Contromisure

Le azioni attuabili in relazione a questo rischio sono fondamentalmente la previsione, la

prevenzione e la mitigazione degli effetti.

La previsione, secondo l'articolo 3 comma 2 della legge n.225 del 1992, consiste nelle attività

dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione

dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi.[2]

La prevenzione, secondo l'articolo 3 comma 3 della stessa legge, consiste nelle attività volte ad

evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui

all'articolo 2 anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione.[2]

La mitigazione degli effetti distruttivi consiste nella serie di azioni attuate al fine di ridurre il rischio

a persone, manufatti e ambiente.

In Italia è stimato che basterebbero 4,1 miliardi di euro per mettere in sicurezza il paese con

un’adeguata pianificazione che gestisca la fase di intervento e stabilisca i piani di manutenzione[3]

.

Rischio di Frana

Con il termine frana si indicano tutti i fenomeni di movimento o caduta di materiale roccioso o

sciolto dovuti alla rottura dell'equilibrio statico preesistente ovvero all'effetto della forza di gravità

che, agendo su di esso, supera le forze opposte di coesione del terreno.

Le frane possono dare luogo a profonde trasformazioni della superficie terrestre, e a causa della loro

alta pericolosità, in alcune aree abitate, devono essere oggetto di attenti studi e monitoraggi. Lo

scopo dello studio delle frane è quello di essere in grado di prevedere un loro movimento o

comunque se non fosse possibile bloccare la caduta del materiale tentare di deviarne o rallentarne la

corsa tramite l'utilizzo di particolari strutture di ingegneria naturalistica, oppure, nei casi

"inoperabili", approntare Piani di Protezione Civile finalizzati a sgombero preventivo, temporaneo o

definitivo.

Per frana o dissesto è ..da intendersi qualsiasi situazione di equilibrio instabile del suolo, del

sottosuolo o di entrambi, compreso fenomeni di intensa erosione superficiale, o fenomeni franosi

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che interessano i pendii in profondità, tali movimenti sono controllati dalla gravità. I fattori o le

cause che producono una frana o un movimento di massa sono molteplici si distinguono in tre tipi:

• cause predisponenti (ovvero proprie dell'ambiente naturale): natura del terreno, litologia,

giacitura, andamento topografico, acclività dei versanti, clima, precipitazioni, escursioni

termiche, idrogeologia ecc.;

• cause preparatrici: disboscamento, piovosità, erosione delle acque, variazione del contenuto

d’acqua, azioni antropiche ecc;

• cause provocatrici: abbondanti piogge, erosione delle acque, terremoti, scavi e tagli ecc;

Spesso movimenti franosi sono conseguenza di situazioni di alto rischio idrogeologico se non di

conclamato dissesto idrogeologico che combinano insieme fattori meteorologico-climatici,

geologici e antropici.

Parti di una frana

In genere una frana è caratterizzata da due parti:

• nicchia di distacco;

• alveo o pendio di frana;

L'alveo o pendio di frana è quella zona in cui il materiale coinvolto nella frana si trova ad una quota

inferiore rispetto alla superficie originaria del pendio. La zona di accumulo è quella zona in cui il

materiale si trova ad una quota superiore rispetto al versante originario. Una ulteriore divisione

prevede di considerare:

• corona: parte di materiale non coinvolta dal fenomeno immediatamente adiacente alla parte

più alta del pendio di frana;

• testata: parte superiore del terreno franato;

• scarpate secondarie: superfici ripide all'interno della frana, sintomatiche di movimenti

differenziali all'interno del materiale;

• fratture secondarie: fratture in senso longitudinale o trasversale nel materiale franato.

• superficie di separazione: superficie che divide il materiale spostato da quello inalterato

sottostante;

La massa di terreno coinvolta dal fenomeno viene chiamata materiale mobilizzato e viene

comunemente suddiviso in corpo principale (parte del materiale che in seguito al movimento resta

nell'alveo della frana) e piede della frana (materiale che si attesta nella zona di accumulo).

Classificazione

Per classificare i vari tipi di frane generalmente ci si riferisce al tipo di materiale movimentato (che

può essere suddiviso in materiale roccioso, detrito di falda e terreno sciolto) ed al tipo di movimento

che il materiale segue. Queste due caratteristiche principali vengono poi integrate considerando

anche altri aspetti come la velocità, l'entità del movimento e il contenuto d'acqua.

Una delle classificazioni più usate è quella proposta da Varnes nel 1978 e successivamente integrata

da Cruden nel 1996. Questa classificazione suddivide le frane secondo 5 tipi di movimento e 3

classi di materiali.

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• Frane di crollo: consistono nel distacco improvviso di grosse masse di roccia disposte su

pareti molto ripide o scarpate; il movimento iniziale ha come componente principale la

caduta verticale verso il basso, finché il materiale non raggiunge il versante ed avere dopo

l'impatto rimbalzi e/o rotolamenti. Il crollo si attua quando la resistenza al taglio del

materiale lungo una superficie diventa minore del peso proprio del blocco di roccia o terreno

identificato da tale superficie. Questi tipi di frane sono caratterizzati da un'estrema rapidità.

Il deposito conseguente alla frana è un accumulo al piede del pendio di materiale di diversa

dimensione e in funzione delle caratteristiche fisiche del versante si può verificare anche che

blocchi di maggiori dimensioni si trovino a notevole distanza dal luogo del distacco. Causa

predisponente è l'esistenza di sistemi di fratturazione o scistosità. Cause innescanti sono gli

scuotimenti tellurici (terremoti), il "crioclastismo" (ghiaccio nelle fessure), la pioggia, lo

sviluppo vegetale di apparati radicolari, lo scalzamento del piede del versante ad opera

dell'uomo o naturale (erosione).

• Frane di ribaltamento: sono denominate ribaltamenti quelle frane in cui la forza di gravità,

la pressione dell'acqua o la spinta dei blocchi adiacenti generino nel terreno o nella roccia un

movimento rotazionale secondo un centro di rotazione posto al di sotto del baricentro della

massa. Il tipo di deposito che genera molto simile a quello dei crolli.

• Frane di scivolamento: si dividono in base alle caratteristiche geometriche della superficie

di scorrimento in movimenti per scivolamento planare o rotazionale:

• nel movimento planare avvengono principalmente su delle superfici discontinue già

inclinate (superfici di strato in successione sedimentaria, di fratturazione o scistosità in rocce

metamorfiche) e prevalentemente si verificano su pendii a franapoggio quando gli strati non

si riescono a sostenere tramite l'attrito tra le due superfici;

• nel movimento rotazionale si verificano lungo superfici curve, concave verso l'alto, in

materiali coerenti o pseudocoerenti, quando viene superata la resistenza al taglio degli stessi

materiali.

• Frane per espandimento laterale: queste frane si realizzano in terreni dal particolare assetto

geologico in cui materiali caratterizzati da un comportamento rigido sono sovrapposti a

materiali dal comportamento plastico. L'espansione laterale è generata dal flusso del

materiale plastico sottostante che provoca la progressiva fratturazione del materiale rigido

sovrastante.

• Frane per colamento: si definiscono colamenti quelle frane in cui la deformazione del

materiale è continua lungo tutta la massa in movimento. Nel caso di colamenti in rocce non

si può avere una visione immediata della superficie di frana, e oltretutto questi movimenti

sono generalmente molto lenti e caratterizzati da processi di creep. I colamenti in terreni

sciolti o detriti (earth flows) sono generalmente molto più facili da vedere in quanto la

massa franata assume un aspetto molto simile a quello di un fluido ad alta viscosità. Queste

frane si hanno in presenza di saturazione e successiva fluidificazione di masse siltoso-

argillose in terreni di alterazione ad opera dell'acqua, la massa fangosa può anche

coinvolgere nel suo movimento blocchi rocciosi di altra natura.

• Collaterali a questa famiglia sono gli episodi di "colamento veloce, o rapido", o più

correttamente "frane per saturazione e fuidificazione dei terreni detrici superficiali" (soil

slips). Si attivano in genere durante eventi piovosi intensi, con altezze di precipitazione (es.)

oltre i 100 mm/ora. In tal caso si presentano in numero elevato, sino a centinaia per km².

(valle d'Ossola 08/1978, Langhe piemontesi 11/1994). (Vedi sotto in: Colate rapide di

fango)

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• Smottamenti, si parla di piccole frane di tipo superficiale, composte principalmente di

materiali incoerenti o resi tali dall'effetto dell'acqua.

Deformazioni gravitative profonde di versante", o DGPV, sono particolari fenomeni dei quali si è

presa esatta coscienza solo negli ultimi decenni

Colate rapide di fango

Le frane da scorrimento-colata rapida di fango avvengono durante prolungati periodi piovosi e si

attivano, infine, in concomitanza di eventi meteorici record, è un tipo di frana molto liquida, ed ha

origine all’interno del manto di copertura piroclastica (a)o comunque detritica giacente su substrato

roccioso (b). a) I terreni piroclastici (etimologia: fuoco - detrito) si sono depositati nel corso dei

secoli durante eruzioni vulcaniche, e in genere sono ancora giacenti su fianchi di apparato

vulcanico. Lo scioglimento repentino delle nevi di quota - a causa di imminente eruzione - oppure

piogge intense o prolungate, mobilizzano la coltre piroclastica creando un flusso "autoalimentante"

che scorre verso valle a grande velocità, avendo massa molto densa fortemente erosiva. Sono

famose le colate che si verificano su vulcani giapponesi, ma, soprattutto, su quelli centro americani.

(vedi Ecuador, Indonesia, Giappone, vulcano Monte sant'Elena, 1980, USA). Oppure si attivano in

terreni vulcanici antichi ove siano presenti valli e fianchi vallivi. (in Italia, vedi Frane di Sarno,

Irpinia, 1998) b) Altri tipi di substrato possono essere i più vari: molto "produttivi sono - in

Italia - i terreni terziari e quaternari di origine sedimentaria, meno competenti e più facilmente

alterabili in superficie. In assenza di piogge prolungate o ripetitive, o di periodi storici piovosi, la

coltre di alterazione si imposta in loco approfondendo verso il basso, a scapito degli strati

superficiali "rocciosi" sottostanti. In Italia le colate di fango - meglio chiamate "Frane per

saturazione e fluidificazione dei terreni detritici superficiali" sono normali nei versanti ad alta

pendenza di Appennini e Alpi. (vedi Valle d'Ossola, 1978, Langhe piemontesi, 1994 - Pubblicazioni

Servizio Geologico Regionale Piemonte) In genere la frana inizia con un piccolo smottamento più a

monte in corrispondenza di punti deboli (balze rocciose, strade, etc) che impatta sul versante di

terreni saturi d’acqua che si mobilizzano e "scorrono" a valle con notevole energia. In genere la

zona di "colata", a valle della nicchia di distacco, si imposta sulla superficie topografica naturale

preesistente che funge da "piano di flusso". Quando la frazione liquida è predominate su quella

solida il pendio attraversato si conserva integro con copertura erbosa intatta. In questi casi, e stante

l'esistenza di condizioni geometriche ottimali, quali una sensibile lunghezza e pendenza del

versante, la lunghezza totale della frana può essere di molte unità (5 - 10)superiore alla sua

larghezza. La zona di accumulo, alla base del versante, è tipicamente in forma di ventaglio.

Cause dei movimenti di versante I movimenti di versante avvengono a causa dei fenomeni in grado di modificare le forze interne ed

esterne agenti sul terreno o sull'ammasso roccioso. I fattori si possono dividere in condizionanti o

scatenanti. I primi sono la forma del rilievo, la natura e la struttura del terreno, i secondi sono

fattori esterni che influenzano la stabilità. Tra i fattori condizionanti troviamo quindi la geometria

del rilievo, la litologia, la struttura geologica e l'assetto strutturale, le proprietà meccaniche e il

grado di alterazione dei materiali ed infine la presenza di vegetazione. Tra i fattori scatenanti

troviamo le precipitazioni e i cambiamenti delle condizioni idrologiche, la variazione dei carichi

statici o dinamici, la variazione della geometria dei pendii, l'erosione e l'azione climatica.

In ogni caso la rottura del materiale secondo una data superficie indica che lungo quella superficie

gli sforzi agenti, che tendono a far muovere la massa, sono maggiori degli sforzi reagenti, che

invece tendono a bloccarla. Di conseguenza è possibile suddividere le cause delle frane in fattori

che aumentano gli sforzi agenti e fattori che diminuiscono quelli reagenti.

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I fattori che determinano un aumento degli sforzi agenti possono essere suddivisi in:

• fattori che asportano il materiale (erosione al piede, attività di scavo al piede, rimozione di

opere di sostegno al piede):

• fattori che creano un aumento di carico (saturazione ad opera di piogge intense, sovraccarico

alla sommità, aumento della pressione dell'acqua);

• fattori che riducono il supporto sotterraneo (dissoluzione chimica di rocce sotterranee,

attività mineraria);

• fattori che esercitano sforzi transitori sul terreno (attività sismica o vulcanica, esplosioni,

sovraccarico dovuto al traffico stradale).

I fattori che generano una ridotta capacità portante del materiale si suddividono in:

• fattori intrinseci (natura dei terreni, disposizione e rotondità dei granuli, caratteristiche

geometriche di eventuali piani di discontinuità, orientazione del pendio);

• fattori esterni (sollecitazioni transitorie, alterazione chimico-fisica dei materiali, variazioni

del contenuto d'acqua).

Interventi di prevenzione

Per evitare di innescare i movimenti franosi è necessario porre attenzione alle aree a rischio ed

osservare alcuni accorgimenti:

• evitare costruzioni sul coronamento del corpo di frana o comunque nella sua parte superiore,

in quanto questo appesantisce il terreno sottostante e lo rende instabile facilitandone lo

scivolamento;

• evitare di effettuare sbancamenti o scavi nella parte inferiore del corpo della frana perché

questo elimina una parte consistente del terreno resistente alla frana.

In ogni caso all'atto della progettazione di un'opera in prossimità di un pendio è necessaria la

valutazione della stabilità globale del pendio stesso.

Uno dei metodi utilizzato per proteggere le strutture e la popolazione a valle di un pendio roccioso a

rischio di frana sono reti, rilevati e barriere paramassi, interventi passivi in grado di frenare i blocchi

in movimento ed evitare che questi raggiungano le strutture sottostanti.

Per aumentare il fattore di sicurezza in un'area a rischio frana si possono progettare interventi attivi

di vario tipo. Fondamentalmente si distinguono questi interventi in interventi che diminuiscono gli

sforzi di taglio che il materiale deve mobilitare per mantenersi in equilibrio ed interventi che

aumentino le caratteristiche di resistenza al taglio del materiale.

Interventi per la riduzione della resistenza a taglio mobilitata

Gli interventi principali per ridurre la resistenza a taglio mobilitata, e quindi per far sì che ci sia

sempre una differenza accettabile tra questi e la resistenza a taglio massima del materiale, sono:

• Sbancamenti: opere di scavo eseguite a monte della massa di terreno a rischio; in fase di

progettazione e decisione di questi interventi bisogna sempre tenere in considerazione che uno

sbancamento se da un lato aumenta il fattore di sicurezza a valle dell'intervento lo diminuisce a

monte;

• Riprofilature: riduzione dell'inclinazione del pendio per mezzo dell'allontanamento di materiale

e quindi costruendone artificialmente il profilo (che può essere con angolazione costante o a

gradoni);

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Progetto PON: “Il colore dell’acqua” Pagina 11 di 20

• Allontanamento di massi pericolanti: si può pensare di intervenire su un versante

allontanandone le parti più pericolose e più difficilmente stabilizzabili, come dei blocchi

pericolanti, facendo però attenzione che l'intervento per rimuoverli non sia di danno al resto del

versante (come può avvenire facilmente ad esempio utilizzando dell'esplosivo);

• Riduzione dell'erosione al piede del versante da parte dei corsi d'acqua: questi interventi sono

finalizzati a ridurre l'effetto dannoso che ha l'erosione nei confronti della stabilità del pendio;

tali interventi possono essere:

• opere longitudinali, cioè scogliere lungo le rive del fiume che rinforzano il piede del pendio

rinforzandolo e diminuendone l'erosione progressiva;

• opere trasversali, cioè perpendicolari al flusso dell'acqua, in grado di allontanare il flusso della

corrente dal piede del versante (repellenti), diminuire la velocità della corrente in prossimità

della zona a rischio (briglie di consolidamento e soglie), arrestare il materiale trasportato dalla

corrente al piede del pendio (briglie di trattenuta) o diminuire l'attività erosiva sul fondo

dell'alveo (cunette di fondo);

• Opere di sostegno al piede del versante, cioè la costruzione di rilevati in grado di sorreggere il

pendio sovrastante; questi rilevati possono essere rigidi o flessibili a seconda del

comportamento che hanno in relazione alle deformazioni;

• Sistemazioni idraulico-forestali, che si dividono in:

• rimboschimento: dal momento che gli apparati radicali delle piante sono in grado di conferire al

terreno maggiore coesione e resistenza agli sforzi di taglio, è possibile utilizzare questa tecnica

per prevenire fenomeni franosi;

• opere di drenaggio superficiale, cioè quelle opere in grado di allontanare l'acqua piovana che

andrebbe ad erodere il terreno; alcuni esempi sono le canalette superficiali (canali disposti lungo

la linea di massima pendenza sul corpo della frana) e i fossi di guardia (fossi longitudinali alla

frana posti immediatamente sopra la parte superiore);

• opere di drenaggio profondo, in grado di allontanare l'acqua nel sottosuolo; interventi di questo

tipo sono trincee, pozzi e gallerie drenanti.

In caso di terreni rocciosi si può intervenire anche con tiranti, bulloni o chiodi infissi nella roccia

che quindi possano sostenere la massa.

Interventi per migliorare la resistenza del materiale

Esistono degli interventi in grado di migliorare la resistenza intrinseca di un materiale agli sforzi

esterni. Questi interventi sono:

• Iniezioni di miscele consolidanti, le quali danno al materiale un'ulteriore coesione derivante

dalla cementazione;

• Stabilizzazione chimica, anche se in fase sperimentale, permette di cambiare le caratteristiche

del materiale (ad esempio inserendo cloruro di potassio in alcune argille);

• Elettroosmosi ed elettrosilicatazione, che consistono nell'allontanamento dell'acqua tramite il

passaggio di corrente elettrica nel terreno preceduta, solo nel caso dell'elettrosilicatazione,

dell'introduzione di una soluzione di silicato di sodio; questa tecnica però presenta costi elevati;

• Congelamento, in grado di avere un'azione di cementazione temporanea; viene effettuata con

azoto liquido.

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Progetto PON: “Il colore dell’acqua” Pagina 12 di 20

Inondazione

Una inondazione è un fenomeno riguardante l'allagamento in tempi brevi (da ore a giorni) di

un'area ben definita e abitualmente subaerea[1]

, da parte di una massa d'acqua.

Si può trattare di un fenomeno naturale come lo straripamento dei corsi d'acqua, dal loro letto o

bacino usuale, in maniera violenta e devastante, o allagamenti per azione combinata di alta marea e

tifoni in aree costiere, l'arrivo di uno tsunami su di una costa, o anche per improvvisi scioglimenti di

nevai o ghiacciai per cause naturali (tipici quelli ad opera di eruzioni vulcaniche subglaciali in

Islanda). Quando l'inondazione è causata dalla tracimazione di corsi d'acqua ingrossati per piogge

elevate si parla anche di alluvione, a cui possono essere connessi anche fenomeni di erosione e

variazione della morfologia delle aree interessate dal fenomeno.

Tempo di ritorno

Caratteristica fondamentale della valutazione del rischio esondativo/alluvionale è il cosiddetto

tempo di ritorno o di ritorno, ovvero la frequenza statistica con cui un evento esondativo di data

intensità si ripresenta nel tempo.

La stima del tempo di ritorno (che dipende da fattori geomorfologici, climatologici, idrologici e,

sempre di più, antropici) viene effettuata attraverso l'analisi delle serie storiche degli eventi

alluvionali (possibilmente su un arco di secoli), integrata con la completa valutazione geografica e

geomorfologica del territorio su cui insistono l'asta fluviale o il bacino idrografico di riferimento

(dati pluviometrici, assetto degli alvei, stato e struttura delle arginature, presenza di eventuali casse

di compensazione, presenza e funzionalità di eventuali dighe, etc.). Il tempo di ritorno viene

espresso in "Y range": ad esempio, un tempo di ritorno Y<20 (Years<20) significa che il rischio

esondativo in quel dato tratto (alluvionabilità dell'area) è inferiore a 20 anni, ovvero che - in media

- più di una volta ogni 20 anni l'area può essere inondata (rischio maggiore di 5%/anno).

Per eventi di magnitudine crescente, ovviamente l'Y range si estende; ad Y crescenti corrispondono

quindi fenomeni più ampi e potenzialmente distruttivi. Un evento Y500 o Y1000 rappresenta ad

esempio un evento esondativo di una magnitudine tale da potersi presentare - statisticamente - solo

una volta ogni 500 o 1000 anni (rischio di 0,2% o 0,1%/anno).

Il dato del tempo di ritorno è utile sia a livello ingegneristico, che a livello attuariale-assicurativo: a

livello ingegneristico, le costruzioni effettuate in aree alluvionali con Y inferiori a certi parametri

(di solito 20 o 50, o nella aree golenali di un fiume) devono rispettare una serie di parametri di

sicurezza molto più stringenti; a livello assicurativo, inoltre, vengono solitamente richiesti premi

assicurativi contro il rischio esondativo che sono molto più alti nelle aree Y50 o Y100; in alcuni

casi, le assicurazioni non assicurano nemmeno le case in aree Y<20 (o chiedono premi elevatissimi

per farlo).

Il termine inondazione o allagamento è spesso usato anche nel caso del fenomeno dell'acqua alta a

Venezia, dove è provocato dall'effetto combinato di particolare alta marea e bassa pressione

atmosferica. A scala minore, alcune città sviluppatesi sul bordo di laghi possono essere soggette a

piccole inondazioni per debordamento delle acque lacustri in seguito ad un'eccessiva alimentazione

del lago quando il suo immissario è ingrossato da forti piogge, come accade spesso a Como.

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Progetto PON: “Il colore dell’acqua” Pagina 13 di 20

In tempi geologici vi sono testimonianze di alcune improvvise inondazioni di vaste aree, rimaste

aride al di sotto del livello del mare a causa dell'evoluzione geologica della regione; un esempio è il

colmamento del Mediterraneo alla fine della Crisi di salinità del Messiniano.

Vi sono anche episodi di inondazioni causate volutamente dall'uomo, come l'allagamento delle terre

Olandesi, messo in atto per rallentare l'avanzata delle armate tedesche; e l'inondazione, o

allagamento, di vallate a monte della realizzazione di dighe.

Si noti che in alcune lingue, come la lingua inglese, esiste un unico termine per indicare inondazioni

e alluvioni (Flood), mentre altre le distinguono, come la lingua spagnola.

Cause

Molti fiumi che scorrono su terre relativamente pianeggianti attraversano vaste pianure alluvionali.

Quando pesanti piogge o lo scioglimento delle nevi causa l'aumento della portata del fiume, l'acqua

supera le rive e vasti tratti di acqua poco profonda coprono il territorio del bacino fluviale. Il

depositarsi di sedimenti fertili in questo processo aumenta la fertilità del territorio.

Inondazioni dal mare, per effetto (anche combinato) di tempeste o maree, o causate da uno tsunami,

possono travolgere le difese naturali o artificiali dei litorali, quali dune o dighe costruite dall'uomo.

Queste rappresentano la maggiore minaccia per le popolazioni che vivono vicino alla costa,

specialmente se il territorio può essere facilmente inondato perché posto allo stesso livello o più in

basso del livello dei flutti.

Durante la storia umana, un suolo fertile e una via di comunicazione navigabile hanno attratto

l'agricoltura e altre attività umane. Per difendere città e fattorie da alcuni fiumi predisposti alle

inondazioni, sono stati studiati vasti ed elaborati sistemi di dighe e canali lungo le coste e attorno

alle città. Sfortunatamente, contenendo grandi quantità d'acqua, le dighe possono creare inondazioni

maggiori (o alluvioni) nel caso dovessero cedere. Un altro motivo per costruire barriere artificiali ai

flutti è il desiderio umano di sottrarre terre al mare, come è avvenuto nei Paesi Bassi e nella

Louisiana.

Ci possono essere anche inondazioni causate dall'uomo, anche se per gli eventi su scala più piccola

— in genere non traumatici — si parla più appropriatamente di allagamenti.

• Nei Paesi Bassi si è fatto ricorso alle inondazioni per ritardare o fermare del tutto l'avanzata

di truppe nemiche; l'ultima volta avvenne nel 1944, quando gli occupanti tedeschi

utilizzarono questa tattica per bloccare l'avanzata alleata.

• Durante il Regno sabaudo l'allagamento delle terre adiacenti alle risaie sulla strada del

nemico ha portato a consistenti vantaggi tattici.

• Dopo che si è costruita una diga, una valle o un territorio anche più vasto può essere

completamente riempito dall'acqua trattenuta nel bacino artificiale. Le dighe sono costruite

in questo caso per garantire delle riserve d'acqua o per la generazione di energia

idroelettrica.

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Progetto PON: “Il colore dell’acqua” Pagina 14 di 20

Storia

Nell'antichità molte civiltà si adoperarono per cercare di attutire gli effetti delle inondazioni e

utilizzarle a loro favore. Primi tra tutti furono i popoli stanziati nei pressi del Tigri e dell'Eufrate

(noti nell'antichità con il nome di Idiglat e Purattu), come i Sumeri, che crearono una rete di canali

volti all'irrigazione artificiale e al contenimento delle piene dei due fiumi.

Un'altra popolazione che si cimentò in questa opera fu quella egizia, che cercò di canalizzare le

terre attorno al fiume Nilo. Il Nilo ogni anno, a seguito delle grandi piogge stagionali nell'area del

suo bacino meridionale, era caratterizzato da una piena, che gli egiziani credevano fosse di origine

divina, con conseguente tracimazione delle acque ed allagamento dei campi coltivati lungo il suo

corso in terra egiziana. Durante il ritiro delle acque dai terreni allagati, il fiume depositava sul

terreno il limo, che permise all'Egitto ricchi raccolti per millenni grazie ad una fertilità leggendaria.

La costruzione della diga di Assuan con la conseguente regolazione idrica del corso d'acqua, ha

bloccato il ripetersi di questo fenomeno naturale.

Prevenzione

Nei paesi occidentali i fiumi che hanno maggior probabilità di provocare inondazioni o alluvioni

sono gestiti con attenzione. Sono usate delle difese come terrapieni, contenimenti, bacini e chiuse

per evitare che il fiume superi le rive. Le alluvioni costiere sono state gestite in Europa con le difese

costiere, come le dighe marine e la difesa delle spiagge erose dal mare.

• Londra è protetta dalle alluvioni da una grande barriera meccanica che attraversa il Tamigi,

barriera che viene sollevata quando il livello del mare raggiunge un certo punto (vedi anche

la Barriera del Tamigi).

• Venezia ha protezioni simili, sebbene esse non siano in grado di proteggere la laguna di

Venezia da onde alte, e che diventeranno sempre meno adeguate se avrà luogo l'anticipato

innalzamento del livello del mare.

• Le difese più grandi e più elaborate possono essere trovate nei Paesi Bassi, dove sono

chiamate Piano Delta, con la Diga dell'Oosterschelde come coronamento dell'opera. Questi

lavori furono avviati in risposta all'alluvione del Mare del Nord del 1953 che colpì la parte

sud-occidentale del paese. Gli olandesi avevano già costruito una delle più grandi dighe al

mondo nel nord del paese, la Afsluitdijk, terminata nel 1932, in risposta ad una precedente

inondazione nel 1916.

Le aree soggette alle inondazioni sono tipicamente le stesse ad alta densità abitativa, come parti dei

Paesi Basi, dell'Inghilterra, di New Orleans e del delta del Mississippi. Delle leggi locali sono state

emanate per prevenire la costruzione di edifici nelle aree soggette a inondazioni; in alcuni casi la

pressione dei costruttori ha causato l'erosione dei controlli, con un crescente numero di nuove aree

che necessitano la protezione di difese artificiali.

Il Bangladesh non è stato più soggetto ad alluvioni marine dal 1995, ma la nazione si appoggia

pesantemente al supporto e alla tecnologia straniera per prevenire nuove catastrofi. Gli Stati Uniti

d'America hanno fornito rifugi contro gli uragani, e l'India fornisce al governo previsioni

meteorologiche per consentire la pianificazione delle risposte ai cicloni tropicali. Durante gli anni

piccoli culti hanno formato le cosiddette "pattuglie dell'alluvione", composte principalmente di

giovani che percorrono le strade rurali alla ricerca del prossimo canale o palude da attraversare. Essi

portano indietro a rischio della vita alcune delle migliori fotografie disponibili sulle alluvioni.

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Inondazioni catastrofiche in tempi moderni (cause naturali)

Spesso una inondazione rompe gli argini, ossia quelle barriere costruite dall'uomo per difendersi

dalle inondazioni, provocando gravi danni. Nel seguito sono riportate le inondazioni catastrofiche

che hanno suscitato maggiore risonanza nei media.

Non bisogna però dimenticare che fenomeni atmosferici con ciclo stagionale, quali i monsoni e i

cicloni — chiamati uragani nei Caraibi, — provocano ogni anno inondazioni su scala inferiore, che

non infrequentemente provocano vittime, anche per l'elevata densità della popolazione nelle regioni

colpite.

Africa

• L'alluvione del Mozambico del 2000, causata da pesanti piogge che seguirono un ciclone,

colpì la maggior parte del paese per tre settimane, uccidendo migliaia di persone e lasciando

l'area devastata.

Asia

• 1931: le alluvioni causate dallo straripamento del Fiume Giallo provocarono in Cina tra

800 000 e 4 000 000 di morti.

• Nel 1975 il tifone Nina distrusse oltre sessanta dighe in Cina, nella provincia di Henan,

causando oltre 200 000 morti.

• Nel luglio 2005, in India, nello stato di Maharashtra, pesanti piogge causarono oltre 750

vittime.

• Nel novembre 2005, in India, negli stati del Tamil Nadu e Andhra Pradesh, molti villaggi

furono trasformati in isole a causa delle pesanti piogge cadute nel mese.

America

• L'8 settembre 1900 un uragano uccise quasi 8 000 persone a Galveston, in Texas.

• La Grande inondazione del Mississippi del 1927, provocata dalle abbondantissime piogge

dell'estate precedente, ebbe luogo all'inizio del nuovo anno e uccise 246 persone.

• 1965: l'uragano Betsy allagò vaste aree di New Orleans.

• 1972: l'uragano Agnes provocò 122 morti, soprattutto per lo straripamento di corsi d'acqua,

nello Stato di New York e in Pennsylvania.

• La Grande inondazione americana del 1993 è stata una delle peggiori inondazioni degli

USA; colpì gli stati lungo i fiumi Mississippi e Missouri.

• 1995: alluvione di New Orleans.

• In aprile e maggio 1997 lo straripamento del Red river provocò gravi danni in North Dakota,

Minnesota e Manitoba.

• Nel giugno 2005 per oltre tre settimane vennero allagate alcune delle maggiori aree

metropolitane del Canada, tra cui Calgary. Il bilancio delle vittime fu di 72 morti.

• Nell'agosto 2005 fu allagato l'80% di New Orleans, in Louisiana, a seguito dell'Uragano

Katrina.

• Dal 25 giugno al 6 luglio 2006 furono colpiti gli stati americani dallo Stato di New York alla

Carolina del Nord. Oltre a ingenti danni, ci furono 16 vittime.

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Australia

• Inondazioone di Clermont del 1916: 61 morti a seguito di un ciclone.

• Le alluvioni della Hunter Valley nel 1955, Nuovo Galles del Sud, distrussero oltre 100

abitazioni e causarono l'evacuazione oltre 45,000 persone.

Europa

• Nel gennaio del 1916: gravi danni a seguito della inondazione del golfo di Zuider Zee nei

Paesi Bassi.

• L'inondazione del Mare del Nord del 1953 causò oltre 2,000 morti nei Paesi Bassi e nel

Regno Unito e portò alla costruzione delle difese del Piano Delta e della Barriera del

Tamigi.

• Nel 1982, in Spagna, il fiume Jucar provocò lo straripamento del bacino di Tous.

• Nel 2002: Gravi alluvioni in Germania, nella Repubblica Ceca e in Polonia. Furono

particolarmente colpite Praga e Dresda. Per approfondimenti, si veda Alluvione Europea del

2002.

• Nel 2010 (il 15 di giugno) il Dipartimento francese della Varo subisce gravi inondazioni

Italia

• 3 novembre 1844, alluvione di Firenze, che colpì anche diverse zone del contado per

l'inondazione causata dall'Arno, dalla Sieve e da fossi minori.

• 1º ottobre 1949, nubifragio del 1949, (Campania). Numerosi straripamenti causarono vittime

soprattutto nella zona di Benevento.

• 22 ottobre 1951, alluvione in Calabria. In seguito a piogge torrenziali si verificano numerose

frane che causano un centinaio di morti.

• 14 novembre 1951[2]

, alluvione del Polesine in Emilia-Romagna. A seguito di una rotta del

Crostolo, affluente del Po, si verificò uno straripamento dello stesso.

• 4 novembre 1966, alluvione di Firenze. Il fiume Arno esondò devastando la città.

• Novembre 1968, alluvione in Piemonte

• 7-8 Ottobre 1970. Alluvione a Genova. Esondano il Leira, il Bisagno e altri torrenti minori.

44 vittime.

• 1973, alluvione in Calabria.

• Estate 1987, alluvione della Valtellina. Il fiume Adda straripò devastando la Valtellina.

• 6 novembre 1994, alluvione del Tanaro in Piemonte.

• 19 giugno 1996, alluvione della Versilia.

• 5 maggio 1998, tragedia di Sarno (Campania). La frana a Sarno fece 160 vittime.

• 9 settembre 2000, alluvione di Soverato (Calabria). Un'alluvione distrusse un campeggio

provocando 12 morti e 1 disperso.

• 13-16 ottobre 2000, alluvione in Piemonte. L'evento interessò il fiume Po e gran parte dei

suoi affluenti in Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria e Lombardia: 23 morti, 11 dispersi, 40.000

sfollati.

• 29 agosto 2003, alluvione del Fella. In totale le abitazioni danneggiate sono state più di 260

e gli sfollati più di 300

• 30 aprile 2006, Frana di Ischia del 2006. La frana è avvenuta nella frazione Pilastri del

Comune di Ischia alle 7,30, uccidendo 4 persone; nove persone rimasero ferite e si decise di

far evacuare una cinquantina di famiglie dalla zona, allestendo una tendopoli nel campo

sportivo del comune di Ischia.

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• 22 ottobre 2008, Cagliari Nubifragio nel settore di Capoterra e dell’hinterland cagliaritano.

Gravi allagamenti a Capoterra (Poggio dei Pini, Su Loi), Pirri e Monserrato. Allagamenti

anche nelle campagne di Sestu ed Elmas. Vittime a Capoterra e Sestu[3]

.

• 1 ottobre 2009, Alluvione e colata di detrito a Messina, dovuta a forti piogge e dissesto idro-

geologico, 36 morti, 96 feriti.

• 10 novembre 2009, Frana di Ischia del 2009. A distanza di tre anni e mezzo dalla frana del

2006, una nuova frana sull'isola di Ischia, stavoltà a Casamicciola, provoca un morto e 30

feriti. A perdere la vita una ragazza di 15 anni, trascinata in mare dalla corrente: nei polmoni

i medici han trovato acqua e sabbia.[4][5]

• 15 febbraio 2010, Frana di Maierato (Vibo Valentia), dovuta a piogge, disboscamento e

grave dissesto idro-geologico: si stacca un costone della montagna del comune Maierato;

durante la giornata ci sono state più di 200 frane, ma nessun morto. La frana è stata ripresa

in diretta e il video choc è stato mandato su tutti i telegiornali facendo in poche ore il giro

del mondo.[6][6]

• 15 febbraio 2010: Frana e smottamento di San Fratello (Messina), dovuto a piogge e

dissesto idro-geologico: l'intero paese di San Fratello è quasi "scivolato" a valle con gli

smottamenti continui del 15 febbraio. Nessun morto.

• 4 Novembre 2011. Alluvione a Genova. Esondano il Bisagno, lo Sturla e il Fereggiano(che

causa 6 vittime nell'omonima via)

Inondazioni catastrofiche in tempi moderni (cause antropiche)

Inondazioni catastrofiche possono anche essere provocate direttamente o indirettamente da

interventi dell'uomo sull'ambiente. La rottura degli argini di un fiume o di una diga di sbarramento

può provocare inondazioni catastrofiche per la vita e le opere dell'uomo.

America

• La Grande inondazione del 1889 provocò la morte di oltre 2 200 persone a Johnstown, in

Pennsylvania, a causa della rottura di una diga.

• Il 6 novembre 1977 si ruppe la diga di Kelly Barnes, vicino a Toccoa in Georgia; morirono

39 persone.

Europa

Italia

• 9 ottobre 1963, strage del Vajont. I morti furono 1 917, causati da una frana che riempì gran

parte dell'invaso di un diga idroelettrica, con conseguente tracimamento in massa dell'acqua

del bacino sopra il coronamento della diga.

• 18 luglio 1985, Catastrofe della Val di Stava il cedimento di una diga del bacino artificiale

di una miniera in Trentino provocò una inondazione catastrofica, che causò la morte di 268

persone.

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Erosione costiera

L'ambiente costiero è un sistema altamente dinamico dove i fenomeni di erosione, e quindi di

arretramento, o di avanzamento della linea di costa sono controllati da numerosi fattori

meteoclimatici, geologici, biologici ed antropici. Sebbene in generale il "clima" sia da considerarsi

come il principale motore degli agenti modificatori, localmente ciascuno degli altri parametri può

assumere una prevalenza significativa.

Si può in particolare pensare a:

• subsidenza naturale o indotta da estrazioni di fluidi dal sottosuolo;

• ruolo di difesa delle piane costiere da parte dei sistemi dunali;

• mancato apporto di sedimenti verso costa causato dall'alterazione dei cicli sedimentari per

intervento antropico nei bacini idrografici (sbarramenti fluviali, regimazioni idrauliche,

estrazioni di materiali alluvionali);

• influenza sulla dinamica litoranea dei sedimenti intercettati dalle opere marittime (opere

portuali e di difesa) e delle infrastrutture viarie e urbanistiche costiere.

Un'adeguata conoscenza delle molteplici fenomenologie che caratterizzano i litorali è

indispensabile per procedere alla realizzazione di interventi strutturali che producano risultati

soddisfacenti nella difesa dall'erosione, determinando impatti ambientali sostenibili nel medio-

lungo periodo. A tal fine è necessario un approccio metodologico integrato tra dati geologici e

storici, osservazioni sperimentali e modelli teorico-numerici, tenendo opportunamente conto delle

indicazioni empiriche fornite dagli interventi già realizzati in situazioni simili.

Manufatti aree costiere

Per manufatti in aree costiere si intendono tutti quegli interventi di tipo ingegneristico che

interagiscono con le tendenze evolutive della fascia costiera, sia di tipo naturale sia indotte da altre

opere. Una prima suddivisione si pone tra le opere finalizzate all’utilizzo della fascia costiera (per

esempio, bonifiche, porti, villaggi turistici) e quelle finalizzate al controllo dei fenomeni dannosi

per tali manufatti o per l'ambiente antropizzato nel suo complesso (in primo luogo erosione o

eccesso di sedimentazione).

L'origine di tali fenomeni può essere sia naturale sia indotta dai manufatti stessi per le modifiche

determinate dall’insufficiente comprensione delle dinamiche naturali nel loro complesso. Tra queste

opere, dette di difesa costiera, vi sono le scogliere frangiflutti, le difese radenti, i pennelli etc. In

generale, questi interventi mirano a ridurre l’energia delle correnti litoranee e del moto ondoso,

favorendo così localmente la deposizione dei sedimenti e quindi limitando l'arretramento della linea

di riva o addirittura favorendone l'avanzamento.

Infine, tra gli interventi possono essere inclusi anche i ripascimenti (prelievo di sabbia da fondali

profondi e sua ridistribuzione sui litorali in erosione) e i dragaggi nelle aree portuali. Questi ultimi

sono effettuati periodicamente per garantire il movimento delle imbarcazioni nelle aree di manovra,

ma sono frequentemente ostacolati o comunque resi molto onerosi dal contenuto d'inquinanti

accumulati nei fanghi da rimuovere.

La scelta e la realizzazione delle opere marittime idonee a integrarsi opportunamente con i processi

evolutivi del litorale, e quindi capaci di limitare al minimo il degrado dell'ambiente costiero, non

possono prescindere dall'individuazione della dinamica del trasporto solido litorale e delle tendenze

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evolutive naturali (clima, variabilità del livello del mare, movimenti isostatici, subsidenza).

Va tenuto presente, inoltre, che qualunque opera realizzata a mare costituisce un ostacolo al libero

propagarsi delle correnti e delle onde e pertanto interagisce con esse, dando luogo a effetti di vario

genere che possono risentirsi anche a grandi distanze. Ad esempio, un'opera di protezione limitata a

un breve tratto di una linea di riva in erosione può aggravare i fenomeni erosivi in atto o addirittura

innescarne di nuovi sulle rive adiacenti non protette. Da qui la necessità di non limitare la

programmazione degli interventi alle singole opere, bensì di includere in essa elementi conoscitivi e

previsionali tipici della modellistica idrodinamica. Tali elementi permettono la messa a punto di un

sistema di difesa più accuratamente studiato e progettato, che consenta un bilancio nel complesso

positivo sia per l'uomo che per l'ecosistema lungo l'intera fascia litoranea coinvolta.

Aspetti non trascurabili nella fascia litorale sono anche quelli ecologici, per l'impatto delle opere

sull'ecosistema, e di conseguenza anche sul turismo e sulla pesca. Tra i tanti esempi possibili,

ricordiamo il noto fenomeno dell'eutrofizzazione, facilitato dal ristagno d'acqua intrappolata tra le

scogliere frangiflutti e la linea di riva, soprattutto in occasione di sorgenti trofiche nelle vicinanze

(per esempio, sbocchi di corsi d'acqua e caL’invaso sul Torrente Menta

Nell’ambito del “Progetto speciale 26” la Cassa per il Mezzogiorno, ricercando nuove fonti di

approvvigionamento idrico, ha deciso, dopo la valutazione di siti alternativi, di costruire un invaso

per la regolazione delle acque dell’alto corso del Torrente Amendolea e bacini limitrofi sul Torrente

Menta. L’invaso è situato nel cuore dell’Aspromonte, quattro chilometri a Sud di Montalto, a quota

1350 m s.l.m..

Il sistema imperniato sull’invaso situato sul Menta prevede tre fasi; in un primo momento si avrà la

regolazione dei deflussi provenienti dal bacino “diretto” del torrente stesso (13.3 km2) mediante la

costruzione di un’opera di sbarramento a quota 1350 m Lo sbarramento permette la realizzazione di

un invaso della capacità di 18 Mm3 ed avente una superficie di 0.73 km2; l’opera principale è

costituita da una diga in materiale sciolto lunga 460 m ed alta al massimo 90 m. E’ inoltre prevista

la costruzione di una presa sul Torrente Catacino per addurre, direttamente in galleria, i deflussi

provenienti dal bacino di questo torrente (3,2 km2). La seconda fase prevede l’utilizzo dei deflussi

provenienti dai bacini limitrofi ed esattamente dai torrenti Amendolea, Aposcipo e Ferraina a quote

superiori a 1426 m, captati e trasportati a gravità al serbatoio principale sul Menta mediante prese e

gallerie di adduzione. La terza fase è la più complessa e prevede la captazione dei deflussi

provenienti dai torrenti Amendolea, Aposcipo e Ferraina e dal Torrente San Leo a quote comprese

fra 1426 m e 1300 m ed il loro trasporto mediante pompaggio al serbatoio principale sul Menta.

Tutto ciò comporta la realizzazione di due sbarramenti rispettivamente sul Torrente Ferraina per

una capacità di 0,7 Mm3 e sul torrente Amendolea per una capacità per di 1.3 Mm3; si devono

inoltre costruire le gallerie tra il serbatoio sul Ferraina e quello sull’Amendolea e fra quest’ultimo e

il Menta. Nelle immediate vicinanze dello sbarramento sull’Amendolea si prevede di ubicare una

centrale di pompaggio.

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Progetto PON: “Il colore dell’acqua” Pagina 20 di 20

Fase 2 (5.68 km2) Prese:

Amendolea 1 Amendolea 2

Ferraina

Fase 2 (3.70 km2) Prese:

Aposcipo 1 Aposcipo 2

Fase 3 (5.53 km2) Prese:

Aposcipo 3 Aposcipo 4 San Leo 1 San Leo 2

Fase 3 (7.54 km2) Prese:

Bacini diretti Amendolea e

Ferraina

Fase 1 (13.3 + 3.2 km2) Bacino diretto Fiume Menta e Presa Catacino

Per sollevamento A gravità

Sfioro

Sfioro

Sfioro

A gravità A gravità

Fasi di realizzazione del progetto dell’invaso sul Torrente Menta

Il progetto esecutivo ha ricevuto l’approvazione da parte del “Consiglio Superiore dei Lavori

Pubblici -IV Sezione- Servizio Dighe” il 22 Aprile 1982 e da parte del “Consiglio di

Amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno“ il 2 Dicembre 1982. I lavori vengono svolti in

gestione diretta da parte della ”Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno” tramite

il “Dipartimento Regione Calabria - Ufficio Tecnico Lavori di Reggio Calabria”. La consegna dei

lavori è avvenuta in data 11 Marzo 1985. I lavori sono stati sospesi nel 1990 dal Ministero

dell’Ambiente e poi ripresi, l’ ultimazione della prima fase è avvenuta nel 1997, nel 2003 è stata

completata la galleria di adduzione e successivamente sono iniziati i lavori di realizzazione

dell’acquedotto che sono attualmente sospesi per motivi economici.