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parte generale : G. NALIN ‘05 1 Appunti di arboricoltura (appunti in parte tratti dal libro: "Coltivazioni Arboree", di R. Valli, S. Schiavi Edagricole. Adattamento, aggiornamenti e integrazioni a cura di Giovanni Nalin PARTE GENERALE 1. APPARATO RADICALE 1.1. FUNZIONI E SVILUPPO Nelle cormofite la radice è la parte che si sviluppa sotto terra; generalmente è priva di gemme e gli apici radicali sono protetti dalla cosiddetta cuffia radicale. Nelle piante arboree assolve principalmente all'assorbimento dal terreno di acqua e sostanze minerali in essa disciolte (funzione trofica) e all'ancoraggio al suolo (funzione meccanica). Non bisogna però dimenticare che nelle radici sono immagazzinate notevoli quantità di sostanze di riserva e che esse sono parte del sistema di trasporto linfatico della pianta. In alcune CV, ad es. di melo, la funzione di sostegno è spesso affidata a tutori e fili, essendo impiegati portainnesti deboli, dagli apparati radicali superficiali. Le radici si sviluppano e si orientano nel terreno secondo le caratteristiche della specie e delle condizioni pedo- ambientali. L'orientamento delle radici rispetto alla verticale determina il cosiddetto "angolo geotropico", il quale può essere più o meno stretto o superficiale. In alcune specie, quali la Vitis rupestris du Lot, utilizzata come portainnesto e adatta ai terreni asciutti e ricchi di scheletro, l'apparato radicale si espande in profondità (angolo geotropico stretto), risultando sensibile all'asfissia radicale nei terreni più freschi. In altre piante, quali la Vitis riparia ed il cotogno con angolo geotropico largo, l'apparato radicale risulta più superficiale e perciò più resistente all'asfissia radicale.

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Appunti di arboricoltura (appunti in parte tratti dal libro: "Coltivazioni Arboree", di R. Valli, S. Schiavi – Edagricole.

Adattamento, aggiornamenti e integrazioni a cura di Giovanni Nalin PARTE GENERALE 1. APPARATO RADICALE 1.1. FUNZIONI E SVILUPPO

Nelle cormofite la radice è la parte che si sviluppa sotto terra; generalmente è priva di gemme e gli apici radicali sono protetti dalla cosiddetta cuffia radicale. Nelle piante arboree assolve principalmente all'assorbimento dal terreno di acqua e sostanze minerali in essa disciolte (funzione trofica) e all'ancoraggio al suolo (funzione meccanica). Non bisogna però dimenticare che nelle radici sono immagazzinate notevoli quantità di sostanze di riserva e che esse sono parte del sistema di trasporto linfatico della pianta. In alcune CV, ad es. di melo, la funzione di sostegno è spesso affidata a tutori e fili, essendo impiegati portainnesti deboli, dagli apparati radicali superficiali.

Le radici si sviluppano e si orientano nel terreno secondo le caratteristiche della specie e delle condizioni pedo-ambientali. L'orientamento delle radici rispetto alla verticale determina il cosiddetto "angolo geotropico", il quale può essere più o meno stretto o superficiale. In alcune specie, quali la Vitis rupestris du Lot, utilizzata come portainnesto e adatta ai terreni asciutti e ricchi di scheletro, l'apparato radicale si espande in profondità (angolo geotropico stretto), risultando sensibile all'asfissia radicale nei terreni più freschi. In altre piante, quali la Vitis riparia ed il cotogno con angolo geotropico largo, l'apparato radicale risulta più superficiale e perciò più resistente all'asfissia radicale.

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1.2. FISIONOMIA E PROFONDITA' La fisionomia dell'apparato radicale nelle piante giovani è diverso a seconda che la pianta sia stata ottenuta da seme o da propagazione vegetativa. Dal seme in germinazione esce una sola radichetta primaria che, accrescendosi verticalmente con andamento geotropico positivo, assume la forma di un esile fittone. Dalla radice primaria in seguito si originano nuove radichette laterali che, divenendo via via più numerose e sviluppate prevalgono sulla radice primaria. Quest'ultima col tempo blocca il proprio accrescimento e si atrofizza. Da questo momento nelle piantine ottenute da seme l'apparato radicale è del tutto simile a quello di piante propagate per via vegetativa (talea, ecc..), in cui le sole radici presenti sono radici avventizie. Le caratteristiche del terreno e le pratiche colturali influenzano l'approfondimento del sistema radicale. In linea generale si può osservare che: - le piante adulte hanno apparato radicale molto più espanso e superficiale; - le radici degli alberi tendono a svilupparsi in profondità nei terreni con limitate disponibilità idriche, lavorati in

profondità, eccessivamente sciolti, troppo caldi o freddi, o non razionalmente diserbati; - l'apparato radicale è tanto più superficiale quanto più il terreno è asfittico, argilloso, inerbito o quanto più è alta

la falda idrica o più affiorante la roccia. Pacciamatura, irrigazione a goccia e concimazione superficiale, infine, favoriscono la risalita della massa radicale.

1.3. PERIODICITA', VELOCITA' DI ACCRESCIMENTO E ANTAGONISMI RADICALI. Le caducifoglie hanno radici che crescono tutto l'anno, ma con diversa intensità. La velocità di accrescimento varia, infatti, in funzione della temperatura. L'accrescimento inizia generalmente ad una temperatura prossima ai 4 °C per arrestarsi a valori superiori ai 35 °C circa. Le radici sono molto sensibili al freddo e di questo bisogna tener conto nelle operazioni di trapianto ma anche nelle pratiche colturali. La messa a dimora di alberi e arbusti va eseguita di regola durante il riposo vegetativo, che per le latifoglie decidue coincide con il periodo invernale. In tale periodo si cercano di evitare giornate troppo rigide, e comunque, di esporre eccessivamente le radici che possono venire a contatto col terreno gelato. Pratiche quali la pacciamatura, eseguite con materiali plastici, cartoni o sostanza organica (cortecce, cippato, foglie, paglia, terricciati, ecc.), creano una ulteriore protezione dal gelo. Inoltre, l'uso di film plastici di colore scuro)provocano come nei terreni più scuri un maggiore assorbimento di radiazione solare, e quindi un maggiore riscaldamento del terreno, determinando condizioni più favorevoli anche per una maggiore attività ed una anticipata ripresa vegetativa.

Nelle zone temperate le radici si accrescono soprattutto in autunno, rallentano l'accrescimento durante l'inverno, per poi riprenderlo in primavera, raggiungendo la massima intensità in prossimità della fioritura. In seguito esso rallenta, fino ad arrivare a valori molto scarsi durante l'estate per riprendere in autunno. Di tali conoscenze si dovrà tener conto nelle pratiche agronomiche, quali le lavorazioni, le concimazioni, le rinzollature ed i trapianti. Le concimazioni, in particolare, vanno effettuate poco prima del massimo accrescimento radicale. Nelle sempreverdi il ritmo di accrescimento radicale è meno spiccato: anch'esse presentano un "picco" primaverile, seguito successivamente da picchi meno regolari, in relazione alla specie. Altri fattori che incidono sull'accrescimento radicale sono:

- l'umidità del terreno: eccessi di umidità o di siccità condizionano non poco l'accrescimento; - l'areazione del terreno: un corretto equilibrio fra micro e macroporosità, e quindi fra acqua e aria presenti nel

terreno, determinano il perfetto sviluppo radicale; - la nutrizione minerale: alcuni elementi sono fondamentali per l'accrescimento radicale (es.: N e P); - la diversa combinazione fra marza e portainnesto: può influenzare lo sviluppo e l'angolo geotropico.

Spesso l'apparato radicale non si espande regolarmente nel terreno a causa di competizioni di natura biochimica (allelopatia)esercitate, ad esempio, con la produzione di tossine radicali. Il pesco, ad esempio, libera una tossina chiamata "amigdalina". Il franco di melo elabora una tossina detta "phlorizina", ed il noce emette lo "juglone", tossico per le radici di altre specie. La presenza delle tossine è una delle principali cause che concorrono al fenomeno della "stanchezza del terreno". Forme di antagonismo possono esistere anche fra piante della stessa specie. Possono sussistere, poi, forme di neutralismo, in cui le radici di specie diverse si intersecano fra loro, come nei casi dell'ulivo con la vite, dell'olmo con la vite, del ciliegio con il ciliegio, ecc. In altri casi, infine, la consociazione di specie diverse produce vantaggi reciproci o per una delle specie; interazioni positive vi sono, ad esempio, fra specie azotofissatrici, quali la robinia o altre leguminose o gli ontani, con specie nitrofile.

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DOMANDE di VERIFICA 1. In quali casi le radici tendono a svilupparsi in profondità? 2. In quali casi le radici tendono a svilupparsi in superficie? 3. Da cosa dipende la velocità di accrescimento delle radici? 4. Quali funzioni principali svolgono le radici? 5. Cosa si intende per angolo geotropico? 6. Entro quali valori di temperatura si ha l'accrescimento radicale? 7. Quali fattori influiscono sull'accrescimento radicale? 8. Quando vanno effettuate le concimazioni sulle colture arboree tradizionali? 9. In quale momento va eseguito il trapianto nelle latifoglie decidue?

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2. CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA 2.1. PARTE AEREA: FUSTO,BRANCHE, RAMI.

Fusto: è organo di sostegno, conduzione e riserva. E' collegato alla radice tramite il colletto, zona situata a "filo di terra". Branche: costituiscono lo scheletro della chioma; sono permanenti e inserite sul fusto. Le branche primarie sono inserite direttamente sul fusto, e possono portare branche secondarie. Rami: dal germoglio, di consistenza erbacea e di età inferiore ad un anno si sviluppa il ramo, provvisto di gemme. Il ramo propriamente detto ha consistenza legnosa ed almeno un anno di età, i rami di due o più anni si dicono branche. Dalle gemme si sviluppano germogli, foglie, fiori; i rami sono pertanto sede della eventuale fruttificazione. Anche i polloni ed i succhioni sono rami; essi risultano indesiderati in frutticoltura e per questo costantemente eliminati. I succhioni sono rami vigorosi di rapido sviluppo, situati sul dorso della chioma; i polloni nascono, invece, dalle radici o dal pedale. Vengono utilizzati per il rinnovamento della chioma nelle piante governate a ceduo o, in campo ornamentale, per la riformazione della parte aerea di giovani piante malformate o danneggiate.

2.2. GEMME

Sono situate sui rami, all'ascella delle foglie, distribuite secondo l'indice fillotassico della specie. Si presentano protette da perule, nelle specie caducifoglie, mentre sono nude nelle sempreverdi. In base alla loro funzione si distinguono in:

- gemme a legno: hanno funzione vegetativa; danno origine a foglie e germogli che poi si evolvono in rami a legno;

- gemme a fiore: danno origine ad uno o più fiori; - gemme miste: sviluppandosi originano oltre a fiori o infiorescenze anche foglie e germogli; - gemme di controcchio o sottogemma: hanno funzioni suppletive; accompagnano le gemma principale e si

sviluppano solo in seguito ad eventi quali gelate tardive e grandinate che provocano la morte della gemma principale.

Le drupacee portano solamente gemme specializzate, a legno e a fiore; le gemme a fiore possono essere accompagnate (da gemme a legno).

In base al periodo di schiusura le gemme si possono distinguere in:

- gemme dormienti o normali o ibernanti: sono le più frequenti e si differenziano nell'arco di una anno circa. Si formano, a seconda della specie, tra la tarda primavera e l'estate, trascorrono l'inverno in stato di riposo e schiudono nella primavera successiva;

- gemme pronte: sono inserite all'ascella delle foglie sui germogli generati da gemme normali. Non svernano e danno origine a germogli esili e lunghi detti "rami anticipati" (o "femminelle" nella vite);

- gemme latenti: sono gemme particolari che si formano sul fusto o sui rami e che vengono inglobate dal legno in accrescimento; hanno un periodo di stasi superiore a due anni e il loro risveglio è stimolato da forti stress quali, ad es. drastiche potature (capitozzature), forti grandinate o traumi;

- gemme avventizie: si formano ex novo dal cambio nel tessuto cicatriziale delle ferite, non rispettando l'indice fillotassico. Ammassi di tali gemme si dicono "sferoblasti".

2.2.1. Differenziazione delle gemme Nei germogli all'ascella delle foglie, in primavera, il cambio genera una o più gemme ascellari (es.: una nelle pomacee, più nelle drupacee). Sono gemme indifferenziate (neutre), che tali rimangono finché il germoglio è giovane. Nell'autunno tali gemme si sono "differenziate", diventate cioè a legno, a fiore o miste. La "differenziazione" avviene per le caducifoglie tra metà maggio e metà agosto, in modo scalare fra le gemme dello stesso germoglio. Durante le fasi di differenziazione le gemme presentano varie caratteristiche e stadi in cui si originano gli abbozzi delle varie parti. Eventi sfavorevoli, che si verifichino nei primi stadi di formazione (periodo reversibile o di "predifferenziazione"), possono influire determinando la differenziazione a legno anziché a fiore.

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2.3. SVILUPPO DEI GERMOGLI E DOMINANZA APICALE Quando le gemme a legno si schiudono il germoglio abbozzato si distende, allungandosi; si formano nuove foglioline e nuove gemme ascellari. Pomacee e drupacee necessitano di temperature medie giornaliere di almeno +4 °C; la vite almeno di + 10 °C. In primavera l'allungamento del germoglio avviene inizialmente con maggiore intensità, successivamente decrescente fino a bloccarsi con la formazione definitiva della gemma terminale, verso luglio-agosto. L'accrescimento apicale è determinato da un processo ormonale che prende avvio dalle radici. Tale processo si può così schematizzare: le citochinine, elaborate dalle radici ed inviate ad apici vegetativi e giovani foglie attivano la sintesi delle auxine che, a loro volta, mobilitano le sostanze plastiche utilizzate per l'accrescimento; nelle giovani foglioline provocano la sintesi delle gibberelline che, insieme alle auxine, determinano la divisione e la distensione cellulare. Le foglie adulte, invece, elaborano l'acido abscissico che determina l'arresto dell'accrescimento vegetativo ed induce la dormienza nelle gemme. GRADIENTE DI VEGETAZIONE Le gemme a legno, dislocate lungo il ramo a diverse altezze secondo l'indice fillotassico, sono fra loro collegate da rapporti particolari. Indipendentemente dalla specie e dalla posizione sul ramo, il germogliamento inizia sempre dalle gemme apicali seguite dalle gemme mediane e quindi dalle basali. Tale controllo sulla schiusura delle gemme è dovuta a diversi fattori:

- la gemma apicale attrae maggiormente le sostanze nutritive; - il surplus di auxine elaborate dalla gemma terminale migra, attraverso il floema, verso le gemme sottostanti e

ne inibisce l'immediato sviluppo; Successivamente il graduale vigore dei germogli lungo l'asse del ramo dipende dall'habitus vegetativo tipico delle specie, che determinerà il cosiddetto "gradiente di vegetazione" , che può essere acrotono, mesotono o basitono (vedi tabella 1.2). Il gradiente di vegetazione può essere modificato con l'uso di ormoni antiauxinici o con pratiche di potatura (cimatura), curvatura, ecc. che consentono di ottenere più facilmente determinate forme di allevamento. DOMINANZA APICALE Le gemme situate lungo l'asse del germoglio in accrescimento, all'ascella delle nuove foglie, non sono normalmente in grado di schiudere nello stesso anno di formazione, in quanto devono dapprima superare la quiescenza invernale. Ad eccezione delle gemme pronte, le gemme dormienti sono inibite durante l'accrescimento del germoglio che le porta. L'inibizione è dovuta ad un meccanismo detto "dominanza apicale", esercitato su di esse dalla gemma terminale. Il meristema apicale in accrescimento elabora infatti, un surplus di auxine che migra verso la base attraverso i vasi cribrosi ed impedisce il germogliamento delle gemme sottostanti, appena formate. Qualsiasi causa che provochi l'inattivazione dell'apice (cimatura naturale, chimica o meccanica, traumi da grandine, attacchi parassitari, ecc.) favorisce l'immediato sviluppo di germogli anticipati.

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2.4. DORMIENZA, FABBISOGNO IN FREDDO E RESISTENZA AL GELO 2.4.1. Dormienza Le gemme appena formate non sono in grado di germogliare prontamente. Esse sono infatti in stato di "dormienza indotta" determinata dall'azione inibitrice dell'apice vegetativo e delle foglie. L'inibizione può cessare in seguito all'eliminazione dell'apice e alla totale defogliazione.

Alcune piante, come la vite e il pesco, esercitano una inibizione debole, per cui spesso si sviluppano rami anticipati.

La dormienza risulta regolata fisiologicamente dal foto e termo - periodo. I meccanismi enzimatici e ormonali della pianta sono modificati dalla progressiva abbreviazione di tali periodi. Le foglie adulte cessano l'elaborazione di enzimi ed aumentano la concentrazione di sostanze cianogenetiche (amigdalina e naringina) e di acido abscissico che, accumulandosi nelle gemme e nei tessuti ne impediscono il germogliamento. Le gemme entrano successivamente, in modo graduale nello stadio di dormienza invernale. 2.4.2. Fabbisogno in freddo La dormienza viene interrotta solo quando la pianta ha potuto usufruire per un certo numero di ore, di temperature inferiori a +7 °C. Tale periodo di freddo, richiesto dalle piante per poter germogliare regolarmente nella primavera successiva, è variabile da specie a specie e, nell'ambito di queste, da CV a CV. Le sempreverdi, di norma, non esigono un periodo di freddo per il germogliamento. L'esigenza in freddo di una pianta è legata al raggiungimento di un giusto rapporto fra ormoni inibitori e ormoni favorevoli al germogliamento. Quando il fabbisogno in freddo non è rispettato si verificano , a carico della pianta, vari fenomeni negativi quali: cascola delle gemme a fiore, ritardo della fioritura, dilazionamento del periodo di fioritura, fogliazione tardiva e stentata, scarsa allegagione. 2.4.3. Resistenza al gelo Le caducifoglie in stato di riposo sono in grado di sopportare temperature anche molto inferiori agli 0°C, senza subire danni. Il progressivo abbassamento di temperatura che si verifica in autunno - inverno determina nella pianta un "indurimento graduale" dei tessuti, dovuto a:

- una rapida disidratazione, determinata dalla perdita di acqua libera cristalloidale e parte dell'acqua colloidale, propria del plasma in fase di vita attiva;

- arresto dell'attività plasmatica (il plasma entra in una fase di vita latente); - modificazioni chimiche (idrolisi dell'amido, delle pectine e dei composti proteici nel plasma del succo cellulare

che ne determinano un aumento della concentrazione osmotica e pertanto un abbassamento del punto di congelamento dell'acqua residua).

Una pianta che entra presto in stato di dormienza è meno esposta al rischio di danni da gelo. Per questo, un prolungamento del periodo di vegetazione, favorito ad esempio da concimazioni azotate, risulta rischioso.

I danni da gelo sono tanto più deleteri quanto più gli abbassamenti di temperatura sono improvvisi e duraturi. Intense e improvvise gelate, sia precoci che tardive, provocano alle gemme danni di vario tipo:

- lesioni dirette: causate dalla pressione dei cristalli di ghiaccio sulle pareti cellulari; - disidratazione del plasma per passaggi di acqua da questo ai cristalli di ghiaccio; - flocculazione del plasma: esso rimane imbevuto di acqua libera e non colloidale, che diviene soggetta a rapida

evaporazione.

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2.5. FORMAZIONI FRUTTIFERE DELLE POMACEE E DELLE DRUPACEE 2.5.1. Pomacee Fruttificano solo su gemme miste. Le principali formazioni a frutto sono:

- DARDO O LAMBURDA VEGETATIVA: è un ramo di un anno lungo c.a cm 0,5 - 1; termina con una gemma a legno che darà una rosetta di 3 - 7 foglie. In alcune CV rustiche i dardi possono avere scorza liscia e terminare con una spina (dardo spinoso). E' in grado di trasformarsi in lamburda fiorifera nell'anno successivo, ma anche nell'anno stesso o dopo vari anni.

- LAMBURDA FIORIFERA: ramo di due anni, lungo c.a. cm 2, che deriva da un dardo; termina con una sola

gemma mista che darà una rosetta di 8 -12 foglie + fiori. Successivamente alla fruttificazione la lamburda si ingrossa e pende il nome di borsa.

- BORSA: ramo di 3 anni di c.a cm 2 - 3, che porta all'estremità la cicatrice del peduncolo del frutto. Sulla borsa

si possono originare dardi e brindilli, dando origine ad una formazione detta "zampa di gallo".

- ZAMPA DI GALLO (o di POLLO): vecchia formazione che da origine normalmente a frutti più dolci, ma più piccoli (per questo spesso viene asportata); può essere attiva per molti anni.

- BRINDILLO: ramo di 1 anno, esile e flessibile, lungo generalmente da 10 a33 cm; porta lungo l'asse solo

gemme a legno e in punta una gemma mista. Dopo la fruttificazione viene normalmente eliminato con la potatura (è la tipica formazione a frutto di varietà di però es.: Passacrassana).

- RAMO MISTO: è più lungo del brindillo ed è tipico di varietà di pero, melo, cotogno; porta in punta una gemma

a legno e lungo l'asse presenta in prevalenza gemme miste e qualche gemma a legno. 2.5.2. Drupacee. Fruttificano solo Su gemme a fiore. Le principali formazioni a frutto sono:

- DARDO FIORIFERO (o mazzetto di maggio): è un esile e breve rametto (1-2 cm c.a) che porta all'apice una gemma a legno circondata da una corona di gemme a fiore. Ogni anno si accresce di qualche millimetro e forma una nuova corona di gemme a fiore. Può produrre per 15-20 anni. Sono molto numerosi nelle piante adulte di albicocco, ciliegio, susino e mandorlo.

- BRINDILLO: ramo esile, lungo mediamente dai 15 ai 40 cm, che porta in punta una gemma a legno e lungo

l'asse prevalentemente gemme a fiore. Frequente nelle pesche-noci e nell'albicocco.

- RAMO MISTO: ramo di un anno, più lungo che nelle pomacee. L'apice termina con una gemma a legno accompagnata da alcune gemme a fiore. Lungo l'asse porta generalmente tre gemme accompagnate per ogni nodo. E' la tipica formazione a frutto della maggioranza delle drupacee e viene annualmente asportata dopo la fruttificazione.

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2.6. FIORITURA E' caratterizzata dalle seguenti tappe:

- apertura della corolla; - deiescenza delle antere; - recettività dello stigma.

La schiusura delle gemme a fiore avviene se avvenuto il soddisfacimento del fabbisogno in freddo, al raggiungimento della soglia termica sufficiente. La mancanza di tale soddisfacimento provoca la cascola pre - antesi. La lunghezza del periodo di fioritura varia a seconda di specie, CV e delle condizioni climatiche della zona (le varietà da fiore di molte rosacee ornamentali a fiore sterile, hanno fioritura più prolungata). Il periodo dell'antesi varia da specie a specie e nell'ambito di questa, da una cultivar all'altra. In una stessa pianta la fioritura non è mai simultanea, ma esiste sempre una certa scalarità fra parte alta e bassa, interna ed esterna della chioma.

La schiusura dei fiori può avvenire contemporaneamente, precedentemente o successivamente la fogliazione, a seconda della specie. La pianta si dice in piena fioritura quando il 50% dei fiori sono in antesi e cominciano a cadere i primi petali.

Nel pero si schiude prima il fiore basale; nel melo quello più alto; nella vite fioriscono prima i fiori situati nella parte mediana; sul ramo misto di pesco la schiusura delle gemme a fiore inizia dal tratto mediano.

2.7. Impollinazione. L'impollinazione consiste nel trasporto del polline maturo dalle antere agli stigmi recettivi. Può essere anemofila o entomofila. L'impollinazione incrociata migliora qualitativamente e quantitativamente la produzione, anche nelle CV autofertili. Perché possa avvenire debbono sussistere particolari strutture morfologiche dei fiori e verificarsi particolari condizioni ambientali. Nella moderna frutticoltura si fa affidamento sul servizio di impollinazione svolto dalle api domestiche in quanto l'agroecosistema, attualmente impoverito, scarseggia degli insetti pronubi selvatici (afidi, bombi, ditteri, sirfidi, lepidotteri, ecc.). L'elevata densità di impianto dei recenti frutteti, la quasi contemporanea fioritura di estese zone, la predilezione per eventuali altre specie con fiori più "appetibili", o condizioni climatiche avverse, rendono necessario il ricorso all'apicoltura. Di solito gli alveari sono portati negli arboreti quando circa il 25% dei fiori sono in antesi; ciò per impedire che le api vengano attratte da altri fiori presenti nelle vicinanze. In condizioni idonee un'ape visita, in un giorno, non meno di 700 fiori. Un alveare, popolato normalmente da milliaia di bottinatrici, attua giornalmente l'impollinazione di vari milioni di fiori.

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2.8. FECONDAZIONE, PARTENOCARPIA, APOMISSIA Fecondazione - Il polline, che costituisce il gametofito maschile, giunto sullo stigma recettivo, germina formando il budello pollinico che raggiunge il sacco embrionale. I due nuclei spermatici fecondano l'oosfera dando origine all'embrione, e il nucleo secondario formando l'endosperma. Questa doppia fecondazione avviene, normalmente, per ognuno degli ovuli contenuti nell'ovario. In seguito all'elaborazione di auxine e alla moltiplicazione cellulare avviene lo sviluppo delle pareti dell'ovario. Raggiunto tale stadio un fiore si dice "allegato". La % di allegagione, dipendente in primo luogo dalle caratteristiche di sp. e CV, e rappresenta il primo aspetto riguardante il controllo produttivo. Xenie - Sono effetti non ereditari che il polline esercita sui tessuti del frutto conferendogli caratteristiche particolari, come ad esempio la produzione di frutti già eduli alla raccolta di varietà di Kaki, impollinati da determinate CV. Partenocarpia - E' la formazione del frutto senza l'intervento della fecondazione o, addirittura, senza l'impollinazione. Essa da origine a frutti "apireni", cioè privi di semi. Apomissia - E' la formazione di embrioni senza che sia avvenuta la fecondazione che possiedono così l caratteristiche genetiche identiche a quelle della pianta madre. Tali embrioni spesso accompagnano quello originato dalla regolare fecondazione; pertanto da un unico seme si possono ottenere due piantine. 2.9. STERILITA' E' un complesso fenomeno che non consente il normale processo fecondativo. Può essere causato da:

condizioni ambientali sfavorevoli all'impollinazione ed alla successiva impollinazione, o a carenze nutrizionali;

caratteri genetici ereditari che consistono in caratteristiche morfologiche anormali del fiore (es.: eccessiva lunghezza del pistillo, degenerazione del polline, aborto dell'ovario); anomala meiosi (che origina corredi cromosomici anormali); presenza di particolari geni della sterilità, che ostacolano la normale germinabilità pollinica.

Tutti questi caratteri sono causa della "incompatibilità". Una CV si dice autoicompatibile quando è incapace a fecondare se stessa; in questo caso è indispensabile l'impollinazione incrociata mediante la presenza di piante impollinatrici appartenenti ad altre cultivar adatte. 2.10. ACCRESCIMENTO DEI FRUTTI E CASCOLA 2.10.1. Accrescimento dei frutti Dall'allegagione alla maturazione l'intensità di accrescimento del frutto è variabile a seconda della specie. I fenomeni che caratterizzano lo sviluppo del frutticino sono la divisione cellulare (determinata dalla stimolazione ormonale provocata dalle auxine che, insieme a citochinine e gibberelline sono attivamente interessate ai fenomeni mitotici e alla mobilitazione delle sostanze plastiche); e la distensione cellulare, stimolata dalla azione combinata di gibberelline e auxine. Il regolare accrescimento è condizionato dalla disponibilità di acqua ed elementi nutritivi (soprattutto N e P). E' altrettanto necessaria la presenza di una adeguata superficie fogliare rispetto ai frutti, per un sufficiente apporto di elaborati. 2.10.2. Colatura. E' la caduta dei fiori non allegati. Le cause possono essere attribuibili a fattori biologici, climatici, nutrizionali, parassitari, ecc. che, direttamente o indirettamente ostacolano impollinazione o fecondazione; o ad una anomala distribuzione degli elaborati (es.: in piante troppo vigorose le sostanze elaborate sono fortemente attratte dagli apici vegetativi in accrescimento).

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2.10.3. Cascola. E' la caduta naturale dei frutticini, la quale può avvenire in vari stadi di sviluppo. Come nella colatura dei fiori il distacco avviene in seguito alla comparsa di un setto di abscissione (strato sugheroso) alla base o all'inserzione del peduncolo. Ciò può essere conseguenza di un abbassamento del tasso auxinico dei frutti, provocato dall'aborto dell'embrione, dalla scarsità di semi o dalla loro limitata funzionalità, dal raggiungimento della maturazione o dall'azione "cascolante" di trattamenti con Ethrel. La cascola è inversamente proporzionale alla quantità di sostanze auxiniche presenti nel frutto ed elaborate dai semi. Entro certi limiti la cascola può essere limitata con trattamenti auxinici. La cascola si verifica in corrispondenza di determinate fasi di sviluppo dei frutti, così distinguibili in:

- cascola post - allegagione. Si manifesta 1 - 2 settimane dopo la fioritura ed interessa i frutticini partenocarpici o scarsamente fecondati (vi contribuiscono cause quali la competizione trofica fra i frutticini, l'azione di fitofagi, la scarsa o l'eccessiva vigoria, eventi climatici sfavorevoli, stati nutrizionali anomali, ecc.)

- cascola di giugno. Si può considerare un fenomeno fisiologico di autoregolazione della pianta. Si manifesta

fra la settima e l'ottava settimana dopo la piena fioritura. Può essere limitata da interventi colturali che migliorino le disponibilità nutrizionali per la pianta o da trattamenti auxinici. Per contro, carenze nutritive, concorrenze nutrizionali e abbassamento del livello auxinico favoriscono la cascola.

- Cascola pre - raccolta. Riguarda normalmente il melo, il pero, l'ulivo e le percoche e si manifesta a circa un

mese dalla raccolta. Può essere determinata da cause quali carenza o squilibrio auxinico, attacchi di parassiti che provocano una anticipata maturazione del frutto, forte vento, grandine, ecc.

2.11. CLIMATERIO E MATURAZIONE 2.11.1. Climaterio E' il periodo durante il quale certi frutti iniziano una serie di cambiamenti biochimici ad opera della produzione autocatalitica di etilene. Determina il passaggio dalla fase di crescita alla fase di senescenza del frutto, con successivo aumento della respirazione, e infine con la maturazione. Il periodo del climaterio è piuttosto lungo nelle pomacee, mentre è brevissimo in molte drupacee. I frutti di queste ultime si conservano male in quanto a maturazione avvenuta risulta difficile rallentare la respirazione.

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DOMANDE:

1. Quali condizioni possono favorire l'approfondimento del sistema radicale arboreo? 2. Elenca i diversi tipi di gemme presenti in una pianta arborea, distinti in base alla loro funzione. 3. Quali condizioni o eventi possono stimolare il risveglio delle gemme latenti e la formazione di gemme avventizie? 4. Spiega in che cosa consiste la cosiddetta "dominanza apicale". 5. In quale modo è possibile eliminare l'azione inibente dell'apice vegetativo? 6. Quali possono essere le conseguenze del mancato soddisfacimento del fabbisogno in freddo? 7. Quali condizioni o quali pratiche possono esporre maggiormente le piante ai danni da gelo? 8. Elenca i diversi esempi di formazioni a frutto delle pomacee. 9. Elenca i diversi tipi di formazione a frutto delle drupacee. 10. In che cosa consiste l'impollinazione e in quale modo può avvenire e quali vantaggi produce l'impollinazione

incrociata? 11. Quando un fiore si dice allegato? 12. Dai la definizione di partenocarpia e di apomissia. 13. Quali fattori possono causare la sterilità? 14. Quando una CV si dice autocompatibile? 15. Quali cause possono dar luogo alla cascola? 16. In quali momenti si verifica con maggiore incidenza? 17. Elenca i principali fattori che influenzano l'andamento della maturazione. 18. Quali cause inducono all'alternanza di fruttificazione? 19. Quali interventi possono prevenire l'alternanza di fruttificazione?

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(CAP. 3. PROPAGAZIONE DELLE PIANTE ARBOREE)

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4. IL VIVAIO

E' il terreno adibito alla propagazione delle piante arboree ed arbustive, e alle relative operazioni colturali prima della loro messa a dimora.

Vengono spesso chiamati vivai anche le strutture in cui si producono piantine (semenzali) di specie erbacee orticole, floricole o altro, ottenute da seme o da propagazione.

L'attività vivaistica rappresenta un settore altamente specializzato sia per aspetto tecnico - organizzativo che genetico - sanitario e pertanto di notevole interesse economico. Solo in quanto qualificato potrà offrire garanzie di qualità e sanità del materiale vivaistico. 4.1 CLIMA E TERRENO Le principali località italiane in cui è sviluppata l'attività vivaistica sono le seguenti:

Pistoia e pistoiese (con Pescia e altri centri minori) Saonara (e dintorni); Canneto sull'Olio (cannetese) Brianza (Lombardia zone dei laghi e alta pianura) San Benedetto del Tronto Ca' de Fabbri (Bologna) Lago Maggiore Non si possono dimenticare però zone importanti quali la Liguria e la Versilia (in particolare per i fiori), il trevigiano (in particolare le zone di Riese), il Ferrarese e la Romagna (per la frutticoltura in particolare), il Lazio (Torsanlorenzo, ecc.), la Sicilia (soprattutto per l'agrumicoltura).

Clima e terreno. Ognuna di queste zone deve la propria fortuna a particolari condizioni pedologiche o climatiche, o da particolari contesti economico - culturali che ne hanno favorito nel tempo lo sviluppo dell'attività vivaistica (basti pensare il trevigiano e il saonarese in relazione al diffondersi delle ville patrizie nella riviera del Brenta).

Le diverse zone vivaistiche si differenziano, oltre che per l'ubicazione geografica, anche per il sistema di allevamento, per le specie coltivate, per il mercato a cui si rivolgono, ecc. Vi sono, infatti vivai specializzati nella coltivazione di specie acidofile (zone dei laghi prealpini della Lombardia e del Piemonte), vivai specializzati per le piante da frutto (es: Saonara) o per le viti (Rauscedo), vivai forestali (es.: vivai forestali regionali o vivai dei Servizi Forestali), vivai specializzati nella produzione di rose (es.: Barni, Nino San Remo, Meilland, David Austin, ecc.), nella produzione di piante coprisuolo, erbacee perenni, aromatiche, piante in zolla, a radice nuda o in contenitore, floricole annuali, orticole, pioppi, ecc.

Le condizioni pedologiche e climatiche che, soprattutto in passato, hanno favorito l'attività vivaistica sono l'assenza di forti correnti d'aria o avversità climatiche sfavorevoli (come le frequenti grandinate, trombe d'aria prolungata siccità, ecc.), un clima possibilmente mite, senza eccessive escursioni termiche durante l'anno, la presenza di terreno sciolto profondo con sottofondo drenante (per piante allevate per la vendita a "radice nuda"), o terreni argillosi per le piante allevate in zolla.

Attualmente, dato il diffondersi della coltivazione in contenitore (vaso in plastica, "plant-plast", fitocelle, ecc.), la qualità del terreno non è più determinante in quanto il substrato di coltivazione viene appositamente prodotto sulla base delle effettive esigenze di ogni singola specie coltivata. E' da osservare che il vivaismo in vaso, se praticato in modo corretto e rispondente a caratteristiche ed esigenze di ogni specie, offre la possibilità di dilazionare notevolmente i periodi per la messa a dimora delle piante, aumentando di molto la percentuale di attecchimento.

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Ubicazione. Le superfici da adibire alla coltivazione è bene siano collocati in luoghi facilmente accessibili. E' da osservare poi che molti vivai fanno bella mostra di se (qualora siano ben tenuti), lungo le principali arterie stradali e autostradali, o in prossimità di centri commerciali, concorrendo a far conoscere ed apprezzare l'azienda. Esposizione: E' inutile ricordare che l'esposizione più favorevole (qualora il terreno non sia pianeggiante) è quella a sud, che consente al terreno di riscaldarsi di più e più a lungo, favorendo l'attività vegetativa delle piante. Altrettanto utile risultano ripari dai venti freddi, costituiti o da rilievi collinari o montuosi prossimi al vivaio, o da frangivento vivi o morti, quali sistemi di siepi, terrapieni, cannicciati, muri, ecc. Viabilità. La buona viabilità deve permettere la rapida circolazione delle macchine e rendere minimi i percorsi. La superficie deve essere pertanto divisa in appezzamenti regolari come, ad esempio, mediante un sistema di viali paralleli ed ortogonali. Ogni appezzamento può così venire numerato e contraddistinto con targhe che indichino le specie, i portainnesti o le varietà coltivate. Ogni azienda dovrà poi disporre di una mappa del vivaio corrispondente alla reale organizzazione degli spazi. Un'organizzazione chiara e semplice del vivaio favorisce gli operatori sia nelle attività di produzione che nella rapida evasione degli ordini al momento della vendita. 4.2. AVVICENDAMENTO.

La stanchezza del terreno costituisce uno dei più gravi problemi del vivaismo. Il fenomeno della stanchezza è determinato da varie cause concomitanti, quali: eccessivo impoverimento del suolo, accumulo di tossine secrete dalle radici, diffusione di patogeni e parassiti (nematodi in particolare). A questo fenomeno si può semplicemente ovviare con le rotazioni e lasciando a riposo i terreni o coltivando per alcuni anni colture erbacee da rinnovo. Data la situazione particolare delle principali zone vivaistiche, e in particolare, dato il valore elevato di tali superfici si ricorre molto più spesso a pratiche di disinfezione e disinfestazione artificiale del terreno, mediante l'uso di fumiganti (bromuro di metile, "basamid", ecc.). Per l'elevata tossicità dei prodotti chimici tradizionali la tendenza attuale prevede il ricorso a mezzi di minor impatto ambientale. Oltre alle tradizionali pratiche di avvicendamento e rotazione, utili si rivelano il riscaldamento, mediante l'iniezione di vapore. Altrettanto valida, in particolare per le zone a clima più caldo, è la solarizzazione, che consiste nel riscaldamento della parte più superficiale del terreno mediante la stesura di un film plastico sul terreno stesso, durante i mesi estivi. Una completa analisi del terreno potrà, comunque, mettervi in luce le caratteristiche e le eventuali carenze per poter provvedere al ripristino delle condizioni più idonee per la coltura.

4.3. IL VIVAIO IN PRATICA

I vivai specializzati devono disporre di particolari strutture e attrezzature quali:

- vivaio di piante madri da cui prelevare il materiale di propagazione; - serre, tunnel o strutture protette atte a facilitare la radicazione delle talee, o per l'acclimatazione (cassoni freddi

o riscaldati, impianti di nebulizzazione, ombrai, ecc.,); - capannoni per la conservazione, imballaggio e spedizione delle piante; - ricoveri per macchine ed attrezzi; - magazzino per concimi ed antiparassitari; - impianti di irrigazione (bacino di approvvigionamento o pozzo, vasche di raccolta e decantazione, sistemi di

filtraggio, strumenti o dosatori per la correzione, fertilizzazione; rete di distribuzione, ecc.); - fabbricati per il personale (tecnici ed operatori); - uffici amministrativi e di rappresentanza.

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4.3.1. L'impianto del vivaio Le pratiche agronomiche preliminari non sono diverse a quelle normalmente valide per l'impianto di un arboreto. Lavorazioni profonde avvantaggiano ovviamente le specie arboree con radici fittonanti o che devono permanere a lungo nel vivaio (esemplari). Le lavorazioni contribuiscono, inoltre, a creare le migliori condizioni , quali un giusto equilibrio fra acqua e aria nel terreno, favorendo l'assorbimento dell'acqua di pioggia o di irrigazione e la percolazione dell'eventuale acqua eccedente. E' da ricordare che tra le malattie più diffuse nei vivai e negli arboreti (giardini compresi), vi sono i marciumi radicali, favoriti proprio dal ristagno di umidità e da situazioni di asfissia. Le lavorazioni profonde, che un tempo consistevano in "arature a scasso", ora più razionalmente consistono in ripuntature profonde (60 cm o più, a seconda delle specie coltivate), abbinate a lavorazioni più superficiali di affinamento (con polivomeri, erpici, ecc. ). Durante queste fasi si provvede normalmente e opportunamente all'apporto dei fertilizzanti da interrare: concimi organici e minerali, correttivi, e ammendanti, sulla base delle indicazioni scaturite da un'apposita analisi del terreno. L'impianto delle colture arboree in vivaio avviene normalmente a fine inverno, nel caso di semenzaio o di barbatellaio, o da novembre a marzo evitando i periodi più freddi), nel caso di nestaio e piantonaio. 4.3.2. Cure colturali. Le operazioni colturali che seguono all'impianto consistono in

- sarchiature (per l'eliminazione delle infestanti e per aerare il terreno; - concimazioni complementari, azotate i particolare (evitando gli eccessi); - interventi antiparassitari (insetticidi, anticrittogamici, ecc.) - irrigazioni (senza eccessi per non indurre ad un eccessivo sviluppo e ad un ritardo della lignificazione).

4.3.3. Sezioni del vivaio. Il vivaio è costituito da varie sezioni che, a seconda dello scopo a cui sono destinate, si chiamano: semenzaio, barbatellaio, nestaio e piantonaio.

Il semenzaio è adibito alla riproduzione delle piante (portainnesti, varietà da seme, specie selvatiche per rimboschimento, ecc.), partendo dal seme. Per facilitarne la germinazione, soprattutto nelle zone più fredde, si fa spesso uso di letti caldi o semicaldi. Il comune semenzaio è costituito da parcelle di terreno, spesso delimitate da mattoni o assi in legno, di ampiezza e dimensioni adatte a consentire l'esecuzione dei lavori (normalmente non più larghi di 150 cm). In queste parcelle spesso è presente un sottofondo in materiale drenante (es.: ghiaia), su cui posa il substrato di coltivazione, generalmente costituito da sabbia di fiume o sabbia mista a terriccio. I semi delle piante legnose vengono precedentemente sottoposti a stratificazione e seminati quando mostrano già i primi stadi di germinazione. L'epoca varia a seconda della specie e della località. Nel Nord Italia la semina della maggior parte di essenze legnose avviene a fine inverno. La semina può avvenire a spaglio o a righe, con una densità che dipende dalla fittezza che si intende ottenere. I semi di alcune specie possono altresì venire seminate direttamente a dimora (specie a rapido accrescimento), oppure in contenitori alveolari. Sparso il seme lo si ricopre con un leggero strato di terriccio sabbioso, comprimendolo leggermente. Utili possono rivelarsi protezioni costituite da teli leggeri e permeabili, quali il "tessuto non tessuto". Quando i cotiledoni emergono, si iniziano le operazioni di diradamento, eliminazione delle infestanti, concimazioni, interventi antiparassitari. Durante la primavera le piantine più sviluppate potranno essere invasate in appositi contenitori, oppure rimanere nel semenzaio fino all'autunno in cui saranno pronte per la messa a dimora. Le piantine meno sviluppate o mal formate possono essere tagliate a pochi centimetri dal suolo per stimolare la crescita di un nuovo germoglio più vigoroso e regolare.

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Barbatellaio. E' la parte del vivaio che ospita le talee, che una volta radicate si chiameranno barbatelle. Può ospitare sia talee semplici che innesti - talea. Le talee vengono disposte in file semplici opportunamente distanziate. Le talee possono essere poste in cassoni, analogamente a quanto avviene nei semenzai, o in appositi contenitori (cassettine, vasetti, "pack", "multipot", fitocelle, ecc.). La piantagione delle talee avviene conficcando la loro parte basale nel terreno o substrato di radicazione. L'anno successivo le talee saranno trapiantate in nestaio o direttamente a dimora. Questa struttura è spesso dotata di sistema di climatizzazione o, quanto mento di un impianto di nebulizzazione e protezione dall'eccesso di evapotraspirazione e di luce, dal freddo e dagli sbalzi di temperatura. Nestaio. E' la parte del vivaio destinata ad accogliere le piantine (talee o piantine ottenute da seme) che devono essere innestate. Tra pianta e pianta deve esserci lo spazio necessario a consentire le operazioni di innesto. Piantonaio. Vi vengono poste le piantine provenienti dal semenzaio o dal barbatellaio o dal nestaio, in attesa di essere collocate a dimora. I giovani fruttiferi vengono lasciati nel piantonaio finché non avranno raggiunto un sufficiente sviluppo. Altre specie vi rimangono in attesa di essere coltivate in appositi contenitori o nel vivaio in piano campo per le successive fasi di allevamento.

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DOMANDE DI VERIFICA O RELAZIONI PROPOSTE 1 - Descrivi le principali tecniche di moltiplicazione adottati nella produzione di piante arboree ornamentali e da frutto. Svolgi un esauriente trattazione su vantaggi e svantaggi che ogni tecnica presenta. 2 - Descrivi l'organizzazione di un vivaio tipo e i diversi aspetti relativi alle condizioni pedo-climatiche che risultano vincolanti sulle scelte agronomiche e colturali. 3 - Aspetti e considerazioni che risultano fondamentali per una razionale scelta di specie e CV per un arboreto da frutto, nonché delle tecniche di impianto, di allevamento e di coltivazione.

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5. IMPIANTO DELL'ARBORETO 5.1. Generalità

Ogni scelta, riguardante l'impianto di un arboreto, qualsiasi siano le finalità, le specie, le varietà, i portainnesti, i cloni, le consociazioni, i sesti d'impianto, ecc., deve assolutamente essere conseguenza di analisi accurate e valutazioni ponderate. Oltre alle caratteristiche pedo - ambientali, che devono essere compatibili con le piante che si intendono coltivare, si dovranno tenere in considerazione anche i fattori economici, legati al mercato, all'esistenza di strutture di assistenza tecnica, centri di raccolta, stoccaggio, distribuzione dei prodotti finali. Inoltre, una attenta valutazione economica deve considerare i tempi necessari all'ammortamento delle spese d'impianto, la possibilità di meccanizzare le operazioni colturali, la necessità e la disponibilità di manodopera avventizia e molti altri aspetti che definiscono l'economicità dell'investimento. 5.2. Scelta della specie, delle cultivar e dei portainnesti.

La scelta della specie o delle specie, delle cultivar e dei portainnesti costituisce un momento delicato e determinante dell'impianto. Ciò anche per la rapidissima evoluzione delle esigenze del mercato. In frutticoltura specie e CV devono possedere requisiti ben precisi, quali:

- perfetta adattabilità all'ambiente pedo - climatico; - epoca di maturazione rispondente alle esigenze commerciali; - elevata produttività; - buona conservabilità; - spiccata resistenza ai trasporti ed alle avversità parassitarie;

Dato il crescente interesse per l'agricoltura biologica e la riscoperta di vecchie CV che appartengono alla tradizione, per quanto auspicabili, si dovrà considerare l'effettiva economicità, dato che queste CV spesso necessitano di situazioni ambientali notevolmente semplificate e di sistemi di allevamento non più economici. La scelta delle CV è connessa anche alla scelta delle loro migliori impollinatrici, nonché del loro più idoneo portainnesto. Per alcune specie o varietà, o per particolari finalità (es.: conservazione di antiche CV, o ripristini ambientali, forestazioni di pianura, ecc.), si devono valutare anche le opportunità di finanziamenti comunitari. La CV e il portainnesto condizionano la scelta della forma di allevamento e, conseguentemente, la distanza d'impianto. Nella scelta dei portainnesti gli aspetti da considerare sono:

- l'adattabilità alle condizioni pedoclimatiche; - l'affinità con la CV prescelta; - la capacità di conferire al nesto il grado di vigoria compatibile con una precoce messa a frutto, con una

soddisfacente fruttificazione e con uno sviluppo delle piante tale da favorire un'economica esecuzione delle principali operazioni colturali.

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5.3. IL CLIMA L'insieme dei fattori climatici rappresenta il cardine predominante su cui poggia la buona riuscita dell'arboreto, nonché il punto più difficilmente controllabile. I principali fattori climatici sono: 5.3.1 TEMPERATURA: oltre alla temperatura media rivestono particolare importanza le escursioni termiche. Improvvisi abbassamenti o innalzamenti di temperatura possono provocare gelate tardive o inopportuni risvegli vegetativi. Inclinazione ed esposizione del terreno, sono determinanti sull'incidenza dei raggi solari e quindi sulla radiazione ricevuta. La massima escursione giornaliera si ha in terreni poco inclinati ed esposti a sud. Generalmente la temperatura decresce di circa 0,5 °C ogni 100 metri di altitudine. Tuttavia, in seguito al fenomeno dell'inversione termica, gli strati d'aria più bassi possono presentarsi più freddi di quelli soprastanti. I pendii più inclinati sfuggono alle gelate in quanto l'aria gelida scende verso valle, spostando verso l'alto l'aria più calda. Di conseguenza i territori di fondovalle risultano maggiormente soggetti alle gelate. In un terreno piano l'aria più vicina al suolo (da 0 a 1,5 m), cedendo di notte per convenzione il proprio calore accumulato durante il giorno, risulta più fredda degli strati d'aria sovrastanti (inversione termica per irraggiamento). Il fenomeno è favorito da notti lunghe, serene e prive di vento. Per questo motivo i danni da gelo alle colture arboree si osservano soprattutto vicino al suolo. Le brinate primaverili sono molto dannose per i giovani organi della pianta. Esse sono favorite da repentini abbassamenti di temperatura, accompagnati da elevata umidità dell'aria. Pertanto, terreni umidi, presenza di vegetazione erbacea (inerbimento), recenti lavorazioni al suolo e piogge seguite da notti serene e prive di vento, favoriscono le brinate. Se la zona in oggetto è soggetta a brinate tardive è necessario coltivare specie e CV resistenti e a fioritura tardiva; inoltre, idonee esposizioni e potature ritardate possono contribuire a limitare l'incidenza delle brinate. In molte zone frutticole del veronese e del trentino si ricorre ad irrigazioni antibrina. Elevate temperature estive sono responsabili di un'intensa traspirazione e dell'eventuale conseguente appassimento dei vegetali, di alterazione dei frutti ed ustioni ai tessuti più sensibili ed esposti. Un'eccessiva insolazione può provocare la scottatura del colletto nelle giovani piante in semenzaio, scottature alla corteccia con conseguente morte del cambio in piante adulte reinnestate o defogliate da avversità o potature. L'imbianchimento del fusto, con latte di calce (vecchia pratica della frutticoltura domestica), aumentando l'albedo riduce l'incidenza dell'irraggiamento. 5.3.2. PRECIPITAZIONI In frutticoltura è importante conoscere sia la quantità che la frequenza, la distribuzione e il carattere delle precipitazioni. Nella moderna arboricoltura, soprattutto dove si ricorre a portainnesti deboli, ad apparato radicale superficiale, e ad impianti fitti, è d'obbligo l'adozione di adeguati sistemi di irrigazione. A prescindere dalle caratteristiche e dalle esigenze delle piante coltivate, nonché dalle precipitazioni della zona in oggetto, il ricorso all'irrigazione è inevitabile o indispensabile se si vuole ottenere una produzione quantitativamente e qualitativamente soddisfacente. Nel caso di arboreti da legno o di riforestazioni a fini ambientali, il ricorso all'irrigazione può essere evitato a patto di adottare determinati accorgimenti, quali la pacciamatura o l'impiego di giovani semenzali dotati di pane di terra e apparato radicale integro e ben sviluppato. Altrettanto si può dire nel caso di vigneti e di uliveti, qualora le precipitazioni siano sufficienti. In tali casi potranno essere necessari interventi occasionali al momento dell'impianto o nel primo anno di vegetazione, o in annate particolarmente siccitose. Anche adeguate sistemazioni idraulico - agrarie, atte ad ottimizzare la regimazione idrica, sono aspetti di non trascurabile importanza. E' da tenere presente che:

- una buona disponibilità idrica è indispensabile all'inizio del ciclo vegetativo, a cui corrisponde un'intensa attività radicale ed una notevole nutrizione minerale; inoltre, durante tutta l'estate, per mantenere attiva la fotosintesi;

- le piogge persistenti risultano dannose durante la fioritura, limitando l'attività dei pronubi e quindi l'impollinazione, causando infezioni fungine e rugginosità dell'epidermide di alcune CV; inoltre, possono essere dannose a fine estate se provocano un allungamento del ciclo vegetativo.

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5.3.3. La grandine. La grandine si forma nei cumulonembi a quote elevate. Quando il chicco di grandine raggiunge un peso superiore alla forza ascensionale delle correnti d'aria calda, inizia la caduta. La grandine cade in genere in un periodo compreso fra aprile e ottobre. E' impossibile prevederne la caduta se non pochissimo tempo prima, tramite radiosonde, satelliti meteorologici e radar che individuano i cumulonembi. La difesa dalla grandine può essere attiva o passiva (assicurazioni). La difesa attiva più razionale e diffusa consiste nell'uso di reti antigrandine (difesa diretta). La grandine può causare danni alla pianta e alla frutta, a seconda dell'entità della grandinata e del periodo in cui si verifica. Sulla frutta può causare ammaccature, incisioni, lacerazioni di diversa entità, che possono cicatrizzare ma che deprezzano, comunque, notevolmente il prodotto. Dalle ferite possono penetrare e diffondersi infezioni. Grandinate precoci possono provocare deformazione ai frutticini. Alle grandinate precoci, se di entità lieve si può in parte rimediare asportando i frutti (o i grappoli) più danneggiati, favorendo lo sviluppo di quelli sani. Le grandinate tardive risultano, invece, assai temibili. Nella vite provocano rapidi processi di marcescenza ai grappoli, conseguenti all'insediamento di Botrytis, con notevole deprezzamento del prodotto. La defogliazione provocata da intense grandinate è causa di una minore attività fotosintetica e di notevole impoverimento delle riserve, a cui la pianta deve ricorrere per compartimentare le ferite, far fronte alle infezioni e ripristinare la superficie fotosintetizzante. L'induzione delle gemme a fiore può esserne compromessa, in misura all'entità della grandinata e del momento in cui si verifica. Sui rami le ferite sono tanto più accentuate quanto più essi sono giovani e poco lignificati. Determinate CV risultano meno danneggiate rispetto ad altre in virtù della tomentosità dell'epidermide, della durezza della polpa o della forma del frutto. Anche la forma di allevamento può avere rilevanza: le forme appiattite sono maggiormente esposte. In seguito ad una grandinata è buona norma distribuire anticrittogamici allo scopo di prevenire o contenere le infezioni. 5.3.4. Il vento. Gli impianti in territori soggetti a intensa ventosità devono essere protetti da frangivento. Siepi appositamente studiate, utilizzando specie arboree e/o arbustive, risultano di grande efficacia e utili anche a ricreare la biodiversità che è premessa indispensabile per una agricoltura biologica o ecocompatibile. Ovviamente i frangivento devono essere già sviluppati al momento dell'impianto del frutteto. Le fasce frangivento devono essere poste ortogonalmente alla direzione dei venti dominanti. I migliori frangivento sono in grado non tanto di deviare il vento, quanto di ridurne l'intensità, senza creare depressioni o turbolenze. La zona protetta è pari a 15 - 20 volte l'altezza delle siepi, che devono perciò costituire un sistema o una rete frangivento. Riducendo la ventosità e quindi l'evapotraspirazione si riduce il fabbisogno idrico dei fruttiferi durante il periodo vegetativo. Nelle zone litoranee i sistemi frangivento sono necessari a limitare l'effetto caustico dell'aria salmastra proveniente dal mare. 5.4. IL TERRENO. Un appezzamento ampio, piano e regolare, in un unico corpo e facilmente accessibile offre indubbiamente notevoli vantaggi alle esigenze della meccanizzazione e non solo. In quanto alle caratteristiche fisico meccaniche del suolo si devono considerare:

a - la struttura: i terreni normalmente più adatti sono quelli di medio impasto con buon equilibrio fra micro e macro porosità. I terreni sabbiosi o ricchi in scheletro e quindi ben aerati sono meno soggetti a stanchezza, ma trattengono scarsamente l'acqua e si impoveriscono rapidamente di sostanza organica. Questi ultimi sono adatti a specie o CV sensibili all'asfissia e ai marciumi radicali, come l'ulivo, la vite in genere, le drupacee (pesco, albicocco e ciliegio, in particolare). Nei terreni argillosi, più freddi ed asfittici, i fruttiferi si sviluppano lentamente, producono tardivamente e sono soggetti a marciumi radicali.

b - la profondità: influenza il regolare sviluppo dell'apparato radicale. La falda idrica superficiale può rappresentare un impedimento allo sviluppo radicale; pericolose possono rivelarsi, poi, le oscillazioni a cui la falda può incorrere durante l'anno. Notevolmente avvantaggiati dalla falda superficiale sono i pioppi, i quali vengono piantati profondi proprio perché la possano raggiungere quanto prima.

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c - esposizione: gli arboreti orientati secondo la linea nord - sud godono di una migliore utilizzazione della luce. Effetti positivi si rilevano sia sulla precocità di maturazione che sulla qualità merceologica del prodotto. d - reazione: le diverse specie sono variamente esigenti in fatto di pH. E' risaputo che una reazione neutra favorisce un po' tutte le principali specie frutticole. Tuttavia sono tollerabili anche pH di poco inferiori o superiori alla neutralità. La reazione sub alcalina determina spesso sintomi di clorosi nel pesco, nel pero su cotogno, sugli agrumi e su alcuni vitigni. Anche la salinità della soluzione circolante del terreno può costituire un limite in quanto concentrazioni superiori al

2 sono difficilmente tollerati dalle piante. e - fertilità: la buona dotazione di macro e microelementi assume notevole importanza in quanto è premessa indispensabile a prevenire l'insorgere di carenze, che si possono manifestare in gravi alterazioni nelle piante. Anche la disponibilità di sostanza organica, che favorisce anche la presenza nel terreno di microrganismi utili, è una condizione favorevole all'equilibrio nutrizionale della pianta.

5.5. STANCHEZZA DEL TERRENO. E' il fenomeno per cui alcune specie non sono in grado di crescere e fruttificare normalmente su di un terreno che aveva ospitato precedentemente la medesima specie o specie affini. I sintomi possono essere sofferenza, deperimento, carenze, maggiore incidenza dei parassiti. Di norma occorrono parecchi anni perché la stanchezza del terreno si attenui. Le principali cause che inducono alla carenza sono:

- esaurimento delle sostanze nutrizionali (per asportazione o dilavamento); - accumulo di prodotti antiparassitari e diserbanti; - accumulo di nematodi, diffusori di virosi, e altri parassiti animali, batterici o fungini nella rizosfera; - accumulo di sostanze tossiche escrete dalle radici o derivate da residui di pianta.

I mezzi atti ad attenuare la stanchezza possono essere: - il ricorso a portainnesti che sostituiscano il "franco" e che presentino tolleranza alla stanchezza; - il riposo più o meno prolungato del terreno (con colture erbacee da foraggio); - la fumigazione del terreno prima del nuovo impianto (con prodotti chimici o con vapore);

5.6. MODALITA' D'IMPIANTO. 5.6.1. Sistemazioni superficiali ed idrauliche. Tali sistemazioni hanno come obiettivo principale l'ottimale regimazione idrica. Oltre alle esigenze di drenaggio si dovrà tener conto anche del sistema di irrigazione adottato. Troppo spesso si verificano nei frutteti danni irreversibili dovuti alla scarsa permeabilità del suolo. Diviene dunque indispensabile costituire un'efficiente rete di scolo mediante un'adeguata affossatura o l'installazione di dreni. In zone collinari è vantaggioso limitare le eccessive pendenze con interventi che non risultino però troppo impegnativi dal punto di vista economico. 5.6.2. Lo scasso. Le lavorazioni profonde hanno lo scopo di aumentare lo strato esplorabile dalle radici, creando un ambiente ad esse confacente. Le lavorazioni vanno eseguite preferibilmente durante l'estate, con terreno in tempera, badando a non portare in superficie strati inerti e a non interrare lo strato superficiale più fertile. Per tale motivo in alternativa all'aratura profonda, in voga in passato, si tende attualmente ad adottare la cosiddetta "lavorazione a due strati", che consiste in ripuntature profonde 50 - 60 cm, con successiva aratura superficiale di 20 - 30 cm (a seconda della coltura e della natura del terreno).

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Con i nuovi portainnesti clonali, caratterizzati da un apparato radicale piuttosto superficiale, non è necessario eseguire lo scasso: può essere sufficiente un'aratura poco più profonda di quelle normalmente eseguite per le colture erbacee. Seguono all'aratura lavorazioni più superficiali di affinamento e livellamento della superficie, come le erpicature. 5.6.3. Concimazione d'impianto. E' necessario dotare il terreno di una certa quantità di elementi minerali che nel tempo potranno fornire nutrimento per i fruttiferi. La concimazione d'impianto è detta anche concimazione di fondo, in quanto arricchisce di elementi nutritivi gli strati meno superficiali del terreno. All'impianto si distribuiscono normalmente concimi organici (es.: letame)e minerali (fosfopotassici). La attuale scarsa disponibilità di buon letame bovino maturo rende spesso necessarie alternative quali i concimi organici industriali, ( stallatico in pellet, pollina, compost, ecc.) di cui esistono in commercio vari prodotti, anche se non tutti di buona qualità o privi di residui che possono risultare dannosi per l'ambiente e per gli animali (es.: metalli pesanti). Esistono, poi, fertilizzanti definiti organo - minerali; in altre parole: concimi organici arricchiti di elementi minerali che presentano tra i

vantaggi quello di poter somministrare le sostanze necessarie in un unico passaggio. L'interramento dei concimi può avvenire sia contemporaneamente alle lavorazioni più profonde che con quelle successive, collocando le sostanze fertilizzanti ad una profondità di 25 - 50 cm. Le unità fertilizzanti per ettaro sono estremamente variabili, a seconda della coltura, della natura e dotazione del terreno, dell'investimento, ecc. Può risultare indicativa una concimazione all'impianto con: Kg/ Ha 50.000 - 70.000 di letame maturo; Kg/Ha 200 - 300 di P2O5; Kg/Ha 200 - 250 di K2O Sono fertilizzanti anche gli ammendanti e i correttivi utili in caso di terreni che presentino caratteristiche fisiche o chimiche convenientemente migliorabili. Ad esempio, può risultare di grande utilità la distribuzione di solfato di ferro, gesso o zolfo nel caso di terreni calcarei e con pH elevato. Nel caso di terreni eccessivamente acidi si potrà somministrare carbonato di calcio (calce). La sostanza organica costituisce un ammendante sia per i terreni troppo pesanti che per quelli troppo sciolti.

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5.6.4. SESTI D'IMPIANTO. Costituiscono la distribuzione delle piante nel frutteto. Possiamo distinguere:

a) sesto in quadrato. Le piante sono collocate agli angoli di un quadrato; la distanza tra le piante è uguale a quella tra i filari. Il numero di piante per ettaro è dato dalla formula:

n° = S/l2

(S = superficie; l = lato del quadrato). b) sesto in rettangolo. Le piante sono collocate agli angoli di un rettangolo. La distanza tra le file è diversa di quella

tra le piante.

N° = S/l1 x l2

c) Sesto a quinconce. Le piante sono collocate ai vertici di un triangolo isoscele. Si ottiene ponendo una pianta al

centro di un sesto in quadrato o in rettangolo.

N° = S/d2

(d = lato del triangolo isoscele) d) Sesto a settonce. Le piante sono collocate ai vertici di un triangolo equilatero. Si ottiene un esagono regolare con

una pianta al centro. e) La migliore scelta del sesto d'impianto è importante per i seguenti motivi:

- per un razionale sfruttamento della superficie, raggiungendo la massima produzione; - per consentire alla piante la giusta esposizione alla luce; - per permettere la migliore distribuzione e copertura degli interventi antiparassitari;

Ovviamente non si dovrà ignorare il massimo sviluppo raggiungibile dalle piante adulte.

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5.6.5. Squadratura dell'appezzamento. Si può eseguire con lo squadro agrimensorio o con cordelle metriche, dividendo l'appezzamento in rettangoli. L'allineamento principale (lato maggiore del rettangolo) deve avere possibilmente l'andamento nord - sud. Lungo tale allineamento si traccia quello ad esso ortogonale. Se le piante sono sufficientemente distanziate tra loro si pianteranno picchetti in corrispondenza delle future piante. 5.6.6. Altre pratiche d'impianto.

a) formazione delle buche: si eseguono meccanicamente o manualmente (a seconda dell'entità delle buche e del tipo di terreno). Le dimensioni delle buche sono in relazione alla pianta e allo sviluppo presente e futuro.

b) Messa a dimora: le specie caducifoglie si trapiantano a radice nuda o con pane di terra (a seconda della specie e delle disponibilità. E' sempre consigliabile l'impiego di giovani piante, integre, sane, con apparati radicali ben sviluppati. Al momento della messa a dimora (non si dice piantumazione!), le giovani piantine vengono sottoposte ad una pulizia, che consiste nell'eliminazione di radici rotte, accorciamento di altre eccessivamente sviluppate, ecc. Successivamente, per le piante a radice nuda si può provvedere all'inzafardatura, che consiste nell'immersione delle radici in una poltiglia costituita da fango, letame bovino e poltiglia bordolese. La profondità d'impianto deve essere la medesima che la piantina aveva in vivaio (rispettare il colletto). Solo i pioppi sopportano e si avvantaggiano di impianti profondi, mentre alcune specie sensibili all'asfissia radicale, gradiscono addirittura una collocazione leggermente più superficiale (ciliegio, pesco). Si possono questo momento impiegare fertilizzanti o ammendanti quali terricci, letame maturo e concimi minerali a elevato titolo di azoto. Per questi ultimi è indispensabile evitare il diretto contatto con le radici.

Epoca della messa a dimora. Nelle nostre zone la messa a dimora dei fruttiferi e della vite si compie durante il riposo vegetativo invernale, dopo la caduta delle foglie e prima della ripresa vegetativa primaverile. E' bene evitare i periodi di gelo. Anticipando l'impianto all'autunno si hanno evidenti vantaggi: le piante hanno la possibilità di fissarsi bene al terreno e di accrescere gli apparati radicali, risentono meno della "crisi da trapianto" e vegetano prontamente in primavera. Per le specie sempreverdi, soprattutto per quelle sensibili al freddo o alle gelate tardive (ulivo), è preferibile la messa a dimora primaverile. Durante il primo anno di impianto le giovani piantine abbisognano di frequenti cure che assicurino il corretto apporto idrico e nutrizionale, e limitino la competizione della flora infestante e i possibili danni di parassiti animali e crittogame.

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DISERBO, LAVORAZIONI ED INERBIMENTO 6.1. LA FLORA INFESTANTE

La poliannualità degli arboreti tende a favorire lo sviluppo di specie erbacee antagoniste annuali e biennali, che con l'andar del tempo vengono sostituite dalle perenni. La crescita della vegetazione spontanea annuale è più intensa nei mesi primaverili ed autunnali; molte specie perenni sviluppano, invece, anche in altri periodi dell'anno. 6.1.1. Controllo delle infestanti. La vegetazione erbacea spontanea esercita, nei confronti dei fruttiferi, una concorrenza di tipo trofico in quanto asporta dal terreno acqua ed elementi minerali. Il controllo della flora erbacea spontanea, oltre ad eliminare la loro azione competitiva, apporta indirettamente altri vantaggi:

a) limita la diffusione di malattie crittogamiche, da virus e da parassiti animali; b) incrementa lo sviluppo della flora terricola; c) riduce il rischio di gelate primaverili in quanto limita lo squilibrio fra temperatura notturna e diurna; d) evita l'eventuale azione negativa degli essudati radicali delle diverse infestanti verso gli apparati radicali delle specie

arboree; e) anticipa l'epoca di maturazione della frutta di una specie;

Questi vantaggi sono più evidenti nei terreni siccitosi e poveri. Il controllo della vegetazione spontanea si può effettuare con mezzi diretti e spesso concomitanti, come il diserbo meccanico e il diserbo chimico. Le macchine operatrici disponibili sul mercato rendono spesso pratico ed economico il diserbo meccanico. Le lavorazioni superficiali favoriscono, inoltre, l'approfondimento dell'apparato radicale ed un migliore equilibrio idrico. 6.2. IL DISERBO CHIMICO

La pratica del diserbo chimico necessita della conoscenza della flora infestante, dei prodotti chimici impiegabili e delle loro modalità d'impiego. Una insufficiente conoscenza di tali caratteristiche può essere causa di danni più o meno gravi alle colture, all'ambiente e all'uomo. Per contro il diserbo chimico, se correttamente praticato, rappresenta un ottimo strumento di controllo da affiancare al diserbo meccanico. In tal caso vanno considerati i seguenti fattori:

- il tipo di flora spontanea presente e i relativi periodi di germinazione; - la specie arborea e l'età dell'impianto; - meccanismi di azione e selettività dei prodotti erbicidi; - la natura del terreno e grado di umidità nel corso dell'anno; - possibilità e frequenza delle irrigazioni;

Dopo quest'esame preventivo è possibile procedere alla scelta del prodotto erbicida, alle dosi di impiego e all'elaborazione di un calendario completo degli interventi chimici e meccanici. La maggioranza degli erbicidi chimici impiegati in arboricoltura non presenta selettività fisiologica, e pertanto, richiedono nella loro distribuzione particolari avvertenze affinché non vengano a contatto con radici e parti verdi dei fruttiferi. Si possono distinguere:

- diserbanti ad azione residuale (Dichlobenil, Diuron, Simazina, Terbutylazina, Trifluralin, ecc.), selettivi per via stratigrafica; necessitano di distribuzione uniforme e di terreni umidi; si avvantaggiano di leggero interramento o di leggera irrigazione;

- Diserbanti ad azione fogliare: (di contatto o traslocabili), selettivi per posizione (MCPA, MCPA+Dicamba, Glyphosate, Picloran+2,4 D, ecc.), da impiegarsi preferibilmente in periodi di stasi vegetativa dei fruttiferi, con fusti ben lignificati e infestanti sviluppate; è da evitare il contatto con la parte aerea dei fruttiferi per evitare i possibili danni da fitotossicità.

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I diserbanti più volatili (Dichlobenil, MCPA, MCPA+Dicamba, ecc.), vanno distribuiti in assenza di vento e durante le ore meno calde della giornata, utilizzando attrezzature schermate ed ugelli a ventaglio. In particolari condizioni (es.: terreni in pendio), possono essere impiegati diserbanti in formulazione granulare (Dichlobeni, Chlorthiamide, ecc.), opportunamente interrati. Questi ultimi sono consigliati solo su impianti adulti.

6.2.1. Possibilità e limiti di applicazione. Il diserbo chimico trova idonea applicazione negli arboreti non caratterizzati da deficienza idrica estiva. Di norma nei terreni ben dotati di disponibilità idrica e di sostanze nutritive, una fascia libera da vegetazione spontanea è mantenuta soltanto lungo il filare; il manto erboso negli interfilari viene, invece, periodicamente sfalciato. L'applicazione di questo sistema "integrato" fra inerbimento controllato e trattamento diserbante localizzato nella fila d'impianto, origina, in alcune specie frutticole (es.: vite e pomacee), notevoli vantaggi sia sulla struttura del suolo che sulla produzione. Tuttavia nei terreni aridi, nei climi caldi e su particolari specie arboree (es. drupacee, vite, agrumi), l'adozione di tale pratica integrata è sconsigliata; così come pure l'applicazione dei diserbanti a tutta superficie. In tali condizioni il diserbo meccanico è senz'altro conveniente per eliminare, durante i mesi primaverili - estivi, la vegetazione che sviluppa negli interfilari.

Pratica interessante, anche se ancora poco diffusa, è il diserbo controllato. Consiste nel disseccare il cotico erboso dell'interfilare nel periodo estivo e mantenerlo sul posto come strato pacciamante. Trova buona applicazione nei terreni compatti, argillosi e mal drenati e nel verde pubblico estensivo, in cui le lavorazioni risultano onerose o, se incautamente eseguite, sono causa di danni al colletto delle piante. In questi terreni altre pratiche di diserbo potrebbero determinare costipamento, mentre l'inerbimento eserciterebbe eccessiva competizione. E' da rilevare che sorgono sempre più spesso problemi di accumulo di erbicidi nel terreno, nonché fenomeni di resistenza della flora infestante alle sostanze chimiche impiegate. Il tutto si traduce, altrettanto spesso, in una riduzione della fertilità dei terreni con ripercussioni sulla produzione. 6.2.2. Il diserbo dell'arboreto giovane. Durante i primi anni di impianto è consigliabile intervenire con le sole lavorazioni meccaniche o con l'applicazione di soli prodotti residuali dotati di buona selettività. Nei primi anni il diserbo chimico è diretto principalmente contro le infestanti annuali che sviluppano sulla fila, impiegando dosi ridotte di prodotti residuali. I disseccanti dipiridilici (Diquat e Paraquat), sono impiegabili solo su fruttiferi a fusto perfettamente lignificato; la loro applicazione, nonostante le indicazioni fornite in passato, va limitata data la tossicità manifestata anche nei confronto dei microrganismi terricoli, determinanti sulla fertilità. Anche il diserbo con Oxadiazon (Ronstar), in forma liquida o granulare, trova pratica applicazione e buona efficacia nei giovani impianti, così come nei vivai e nei giardini. 6.2.3. Il diserbo dell'arboreto adulto. L'arboreto in produzione richiede un idoneo programma di interventi atti a controllare sia le erbacee annuali che quelle perenni. Spesso si interviene in due tempi, con un trattamento "di base", diretto contro le infestanti annuali e alcune perenni, e un secondo "complementare", non sempre necessario, contro le perenni e le annuali eventualmente sfuggite. Nei confronti delle infestanti perenni, sia Monocotiledoni che Dicotiledoni, si interviene di preferenza con prodotti a prevalente azione fogliare. Il trattamento complementare, quando è richiesto, è localizzato alle sole chiazze inerbite.

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6.3. LAVORAZIONI. Le lavorazioni periodiche del terreno, tradizionalmente in uso negli arboreti specializzati, hanno lo scopo di conseguire i seguenti obiettivi:

- aumento della capacità di invaso idrico; - eliminazione della flora infestante presente con conseguente riduzione della competizione trofica; - devitalizzazione degli insetti ibernanti nel terreno (es. Ceratitis capitata, Contarina pirivora, Nepticula melella,

Rhagoletis cerasi, ecc.); - interramento di taluni diserbanti, di concimi chimici e organici, di foglie o residui di potatura; - interramento delle foglie con eliminazione di forme svernanti di crittogame e insetti; - miglioramento delle proprietà fisico-chimiche e microbiologiche del terreno; - approfondimento degli apparati radicali (utili nei terreni aridi).

Le lavorazioni possono, per contro, essere causa di effetti negativi, quali danni o ferite al fusto, al colletto a alle radici più superficiali; distruzione del capillizio assorbente nelle CV caratterizzate da apparati radicali superficiali. In questi casi è favorita la penetrazione di nematodi, batteri e funghi parassiti da ferita.

Nei terreni argillosi e limosi le lavorazioni praticate alla stessa profondità possono determinare la formazione di un crostone impermeabile ("suola di lavorazione"), che impedisce l'infiltrazione delle acque piovane o di irrigazione, riduce gli scambi gassosi, con conseguenti fenomeni di asfissia. L'impermeabilità del suolo è particolarmente concentrata nella zona centrale dell'interfila dove è maggiore la compattezza del suolo a causa dei frequenti passaggi delle macchine (in questo caso l'inerbimento interfilare e l'adozione per le macchine di pneumatici a bassa pressione limita notevolmente i danni). In zone in pendio o soggette ad intensa piovosità le lavorazioni possono facilitare l'erosione e la degradazione del suolo. In terreni sabbiosi ed aridi di regioni calde le lavorazioni superficiali possono favorire la rapida distruzione della sostanza organica (eremacausi). 6.4. INERBIMENTO.

L'inerbimento negli arboreti può essere (come si è visto), totale o parziale, cioè solamente negli interfilari. In quest'ultimo caso l'inerbimento può essere temporaneo o permanente. E' temporaneo quando è lasciato nel periodo primaverile - estivo, ed è adottato generalmente in quei terreni richiedenti sostanza organica. Con le lavorazioni autunnali la massa di vegetazione può, infatti, venire incorporata, eventualmente assieme a concimi minerali ed organici. L'inerbimento permanente è praticato in condizioni di disponibilità idrica, specie nei periodi estivi. Per tale scopo si usano normalmente non l'inerbimento spontaneo ma erbai adatti, costituiti da miscugli di graminacee e leguminose a taglia ridotta e con scarso fabbisogno idrico. Il cotico erboso viene mantenuto con periodici sfalci (green mulch), oppure interrato durante l'autunno. L'inerbimento parziale presenta notevoli vantaggi:

- possibilità di eseguire tempestivamente gli interventi antiparassitari senza costipare eccessivamente il terreno; - riduzione delle oscillazioni termiche e dei fenomeni di clorosi; - miglior sofficità ed aerazione negli strati superficiali; - favorisce lo sviluppo dell'apparato radicale facilitando l'assorbimento degli elementi minerali scarsamente

mobili; - miglioramento della sapidità e colorazione dei frutti (per attivo assorbimento di fosforo e potassio ed "effetto

lente" della rugiada).

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6.5 PACCIAMATURA (MULCH). E' una pratica ancora poco diffusa per il costo dei materiali pacciamanti, anche se economicamente vantaggiosa. Consiste nel coprire il terreno con materiale coibente in modo da limitare l'evaporazione e la crescita di erbacee spontanee. Può essere effettuata fatta utilizzando diversi materiali, come paglie, corteccia o cippato di specie arboree (di solito resinose), o più razionalmente con film plastici opachi. Il polietilene, il PVC e l'EVA sono tra i materiali plastici più impiegati, solitamente di colore nero. Hanno costi diversi, diversa durata e caratteristiche, tuttavia vengono lasciati solamente per i primi anni dall'impianto, finché le piante non sono in grado di esercitare una sufficiente concorrenza nei confronti della flora spontanea (divenuta nel frattempo prevalentemente di specie perenni, falciate periodicamente). I film plastici neri favoriscono, inoltre, l'anticipato riscaldamento del suolo in primavera, prolungando il periodo vegetativo e favorendo un maggior sviluppo della pianta. L'apparato radicale si sviluppa più superficialmente, esponendosi maggiormente alla siccità, ma meglio disponendo dei fertilizzanti eventualmente distribuiti e dell'irrigazione. Spesso si verificano inconvenienti in quanto la pacciamatura diviene rifugio per roditori e insetti. Nei terreni argillosi o asfittici limita ulteriormente gli scambi gassosi con l'atmosfera. Per tutti questi aspetti la pacciamatura diviene pratica razionale e sicuramente conveniente se abbinata all'irrigazione (localizzata), e se limitata ai primi 2 -4 anni dall'impianto.

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VERIFICA DI ARBORICOLTURA - DOMANDE

1. Scelta della specie e delle cultivar: quali sono i requisiti che esse generalmente devono possedere? 2. Quali aspetti sono da considerare nella scelta del portainnesto? 3. Determinare la quantità di piante necessarie per effettuare l'impianto 5000 mq di meleto, con file fra loro distanti 3

metri e piante sulla fila a 75 cm l'una dall'altra. 4. Quali sono le pratiche che si effettuano all'impianto di un frutteto e qual è il periodo migliore per la messa dimora di

spp. frutticole tradizionali, nei nostri ambienti di pianura? 5. Quali vantaggi offre l'inerbimento nell'interfila e quali la pacciamatura sulla fila con film plastici neri? TEMA Prendendo in considerazione la zona agricola in cui vivi, ipotizza l'impianto di un arboreto da frutto; esponi le tue considerazioni in relazione alla scelta di: specie, cultivar e portainnesto, sistema di allevamento, densità e sesto d'impianto. Descrivi fase per fase tutte le operazioni colturali previste per l'impianto e per i tempi immediatamente successivi, giustificandole tecnicamente e economicamente. DOMANDE:

1. In quali casi le radici delle piante arboree tendono a svilupparsi in profondità? 2. Elenca i diversi tipi di gemme presenti in una pianta arborea, distinti in base alla loro funzione. 3. Quali condizioni o eventi possono stimolare il risveglio delle gemme latenti e la formazione di gemme avventizie? 4. Spiega in che cosa consiste la cosiddetta "dominanza apicale". 5. Elenca i diversi esempi di formazioni a frutto delle pomacee. 6. In che cosa consiste l'impollinazione e in quale modo può avvenire e quali vantaggi produce l'impollinazione

incrociata? 7. Quali fattori possono causare la sterilità? 8. Quando una CV si dice autocompatibile? 9. Quali cause possono dar luogo alla cascola?