PARROCCHIA DEL CORPUS DOMINI · EDITORIALE 1 Esci e vivi con Cristo i tuoi affetti Vivere con...

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www.corpusdominiferrara.wordpress.com PARROCCHIA DEL CORPUS DOMINI Via Torboli, 17 - FERRARA (tel.053291253) FEBBRAIO 2015 in questo numero: Esci e vivi con Cristo i tuoi affetti Pollicino L'incanto dell'incontro - Genitori e figli: narrai loro della mano del mio Dio - Le apparizioni di Maria: XX secolo (1961) - Missioni: Andiamo e annunciamo - Alcune parole da una conversazione - Catechismo: le mamme raccontano I bambini imparano ciò che vivono EDITORIALE SPIRITUALITA' EVANGELIZZAZIONE DAL MONDO DALLA PARROCCHIA "RAGGI DI LUCE" Nato e morto per noi Guido Reni - Gesù Bambino dormiente sulla croce Dio ci è padre e madre Rembrandt - Il ritorno del figliol prodigo (particolare delle mani: una maschile e l’altra femminile)

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PARROCCHIA DEL CORPUS DOMINIVia Torboli, 17 - FERRARA (tel.053291253)

FEBBRAIO

2015

in questo numero:Esci e vivi con Cristo i tuoi affetti

Pollicino

L'incanto dell'incontro - Genitori e figli: narrai loro della mano del mio Dio

- Le apparizioni di Maria: XX secolo (1961)

- Missioni: Andiamo e annunciamo

- Alcune parole da una conversazione

- Catechismo: le mamme raccontano

I bambini imparano ciò che vivono

EDITORIALESPIRITUALITA'EVANGELIZZAZIONEDAL MONDO

DALLA PARROCCHIA

"RAGGI DI LUCE"

Nato e morto per noiGuido Reni - Gesù Bambino dormiente sulla croce

Dio ci è padre e madre

Rembrandt - Il ritorno del figliol prodigo (particolare delle mani: una maschile e l’altra femminile)

EDITORIALE

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Esci e vivi con Cristo i tuoi affetti

Vivere con Cristo i nostri affetti. Ne abbiamo bisogno. L’esperienza affettiva è così bella! E così delicata, a causa delle tante fragilità della nostra umanità… Vivere con Cristo la nostra affettività vuol dire almeno due cose: anzitutto che Lui ‘dimora’ in noi e suscita dal di dentro del nostro cuore (con il suo Spirito) pensieri e sentimenti e atteggiamenti buoni verso gli altri; e poi che Lui si è posto come esempio da imitare. La spiritualità cristiana è sempre questione di ‘personalizzazione dell’oggettivo’: l’oggettività della maturità di Gesù è da guardare e conoscere per farla diventare (con il suo aiuto) stile di maturità personale. E dell’affettività di Gesù sono pieni i vangeli! Che bella l’umanità di Gesù! Che bello diventare come lui! Tra le righe, traspare abbondantemente la sua maturità nell’amare. Vale la pena di ricordare qualche scena del vangelo per vedere in presa diretta il Signore e il suo stupendo equilibrio affettivo. Gesù non nasconde mai i suoi affetti: li vive e li manifesta con grande serenità e semplicità. Sa impostare tutte le sue relazioni con un amore concreto, adeguato alle situazioni. Sa offrire dei legami veri, profondi e palpitanti, carichi di rispetto e insieme di affetto. Con i suoi genitori vive la semplicità dell’essere figlio. E anche se sa che deve occuparsi delle cose del Padre suo, non si fa problema a stare sottomesso a Maria e a Giuseppe. Con la gente vive sempre una apertura e una disponibilità che stupiscono. Non esita a passare delle giornate intere assieme a tutti, non rimanda mai nessuno a casa. E se anche ha davanti delle folle, è capace di far sentire ciascuno personalmente accolto. Più volte, poi, gli evangelisti annotano che l’intimo di Gesù si riempiva di compassione guardando le folle, che erano come pecore senza pastore. Un tratto distintivo spesso ricordato dai vangeli è lo sguardo di Gesù: attento osservatore e capace di guardare attorno e di guardare ‘dentro’ le persone. Incrociare gli occhi di Gesù doveva essere una esperienza trasformante. Ne sa qualcosa Zaccheo, il pubblicano perdonato; ne sa qualcosa Pietro, il discepolo che, appena dopo averlo rinnegato, si sente addosso lo sguardo misericordioso del Signore incatenato e scoppia in pianto, Anche con i bambini Gesù ci sa fare: li accoglie, li abbraccia e li benedice. E sgrida i discepoli che si vogliono sbarazzare di loro. È stupendo, poi, l’affetto di Gesù per i suoi amici Marta, Maria e Lazzaro, presso i quali era di casa. Anche qui vediamo che l’intensità dell’affetto in Gesù è sempre accompagnata alla

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passione educativa: alla morte di Lazzaro, Gesù si commuove fino alle lacrime parlando con le due sorelle (tanto che i giudei riconoscono quanto gli voleva bene) ma la sua commozione è espressione del dispiacere per il fatto che non credono ancora pienamente che lui è la risurrezione e la vita, e pazientemente approfitta di questa situazione per far crescere la loro fede. Ed è impressionante l’affetto di Gesù per le persone che gli sono ostili: parla sempre con grande preoccupazione agli scribi e ai farisei, anche quando deve usare parole dure per scuoterli dalle loro logiche. Sulla croce chiede al Padre di perdonare i suoi aguzzini. Muore in un modo così carico di amore da sconcertare il centurione che, vedendolo, lo riconosce come Figlio di Dio. Sono innumerevoli, poi, le testimonianze evangeliche dell’affetto che segnava il rapporto di Gesù con i suoi discepoli. Li chiama a sè, li ascolta sempre con pazienza, ripete tante volte le cose perchè loro non capiscono. È premuroso verso di loro quando sono stanchi e li invita a riposarsi. Li difende e li preserva nel pericolo. Addirittura, chiama ‘amico’ Giuda che lo sta consegnando alle guardie del tempio. Da risorto, si presenta con forza e affabilità, preparando per loro un pasto sulla riva del lago e chiedendo a Pietro di volergli bene. Ancora, dobbiamo ammirare la ‘maschilità esemplare’ di Gesù nel suo rapporto con le donne. Egli è infinitamente libero, e si pone in relazione con loro senza nessuna ambiguità, anche se gli altri sono perplessi. Vive con loro un affetto senza secondi fini, senza disordini, tutto concentrato ad offrire un rapporto di vero rispetto, di autentica stima e fiducia, di servizio senza freddezza. Dialoga con la samaritana al pozzo facendola sentire conosciuta ed amata. Accoglie le premure della peccatrice che in casa di Simone il fariseo gli bagna i piedi con le lacrime, li asciuga con i capelli e li bacia. Non condanna l’adultera che stava per essere lapidata. Si lascia servire da alcune donne che seguivano lui e i suoi discepoli nell’itinerario missionario. L’origine di tutto è il suo rapporto con il Padre, nello Spirito Santo. Quando parla del Padre, Gesù scoppia di gioia e di amore caloroso. Lo ringrazia continuamente, vive l’unione e il dialogo con lui rinunciando al sonno, si preoccupa solo di fare la volontà del Padre. Al Padre si abbandona pieno di fiducia nel Getsèmani e sulla croce. La sua missione si potrebbe riassumere nel desiderio di fare gli uomini partecipi della comunione che c’è tra lui e il Padre, della gioia che si vive dentro alla Trinità, del fuoco d’amore che lega le tre persone divine. È lì la nostra origine: nella comunione della Trinità. Lì il Signore ci vuole ‘costringere’ ad entrare. Lì siamo chiamati a vivere per sempre.

Don Michele Zecchin

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Pollicino

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“Ma che bel bambino”. Vedendolo, tutti sorridevano con quell’aria un pò scema che si riserva ai bambini. “Che occhioni!”, “Che nasino!”, “Che boccuccia graziosa!”. Mamma e papà lo portavano in braccio come un trofeo, felici di mostrarlo a tutti. Per non parlare delle nonne che si scioglievano come burro dimenticato accanto alla fiamma del gas. Insomma, la vita era partita nel migliore dei modi per il piccolo Fabio. I problemi arrivarono poco dopo. Perché passavano i mesi e il bellissimo Fabio rimaneva un piccolo adorabile bambino. Mamma e papà dovettero arrendersi all’evidenza: il loro piccolo non si decideva a crescere. Intrapresero subito il pellegrinaggio negli studi dei più importanti professoroni in materia di crescita. Tutti misuravano, pesavano, auscultavano, si facevano pagare un bel po’ e poi dicevano con aria solenne: “Bah!”. Le nonne, che la sapevano lunga, dicevano che era soltanto un problema di alimentazione e incominciarono la loro cura. Il povero Fabio doveva ingurgitare spinaci, carote, bistecche alla fiorentina frullate, banane e budini al cioccolato. Ma Fabio faceva solo delle grandi indigestioni e non si allungava né si allargava, né tantomeno cresceva di un millimetro. La sera del primo compleanno di Fabio, però, il papà prese una decisione: “Piccolo o no, andiamo tutti a mangiare all’Oca Ciuca!”. L’Oca Ciuca è una pizzeria che ha dei bellissimi seggioloni per bambini piccoli agganciati al tavolo dei grandi. In uno di questi fu sistemato Fabio. Mamma e papà ordinarono la pizza con le acciughe che era la loro preferita, e mentre aspettavano guardarono il loro bambino che pareva ancora più piccolo nel seggiolone. Il papà si intenerì e disse: “Fabiuccio mio, in ogni caso sei la cosa più bella che ho!”, “Sono proprio felice di averti”, aggiunse la mamma. POF! Lì per lì nessuno se ne accorse, ma successe qualcosa di strano. Nel frattempo erano arrivate le pizze e mamma ne aveva preso un pezzetto minuscolo per metterlo in bocca a Fabio, ma non la centrò. La bocca era più in alto di dove se l’aspettava. “Ahi!”, fece la mamma. Fabio aveva due denti! E poco prima non c’erano. Il bambino gorgogliò felice. “Ma com’è bravo il mio campione!”, disse papà. POF! Successe di nuovo. Le gambe paffute di Fabio uscirono dal seggiolone. Questa volta Fabio rideva e borbottò: “Pappa!”. “Miracolo!”, gridarono insieme mamma e papà, richiamando l’attenzione di tutti. “È ora che gli compriate un vestito un pò più grande”, bofonchiò la cameriera che era accorsa preoccupata. Fabio infatti aveva letteralmente squarciato la sua tutina da poppante. La mamma lo prese in braccio e lo strinse forte. “Bambini mio, grazie, grazie, grazie…”, piangeva e rideva di gioia. POF! Fabio crebbe di altre due dita. Il papà, che guardava a bocca aperta,, sentenziò: “Ho capito! Sono le nostre parole che lo fanno crescere. Eravamo così preoccupati di tutto il resto che ci eravamo dimenticati di parlare con lui.” “Caro, caro Fabiuccio mio!”, fece la mamma, coprendolo di baci. “Calma cara, calma”, intervenne il papà. “Altrimenti arriverà a due metri”.

Se mi vuoi bene, dimmi qualcosa di gentile. Le persone che amiamo e che dovremmo aiutare di più sono molto spesso quelle alle quali diciamo ben poco. È un vero peccato!

(Da “Ci sarà sempre un altro giorno” di Bruno Ferrero)

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L'INCANTO DELL'INCONTRO

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Febbraio 2015

Genitori e figli: narrai loro della mano del mio Dio

Tre sono le esperienze comuni a tutti gli uomini del mondo e di tutti i tempi: nascere, amare, morire.

Della terza esperienza si ha umanamente paura, se persino Gesù ha chiesto che il calice venisse allontanato da lui.Della seconda l’umanità parla da millenni e, a furia di parlarne, ha finito in qualche occasione per equivocare un po’.La prima è quella che ci unisce tutti, ma proprio tutti.

Nessuno escluso, la nostra storia comincia con qualcuno che ci dà la vita e poi le cure e le attenzioni necessarie per mantenerla.

La nostra esperienza esistenziale, secondo la psicologia di Winnicott, ha inizio con le due esperienze fondamentali dell’essere tenuti saldamente (holding) e dell’essere toccati e mossi con cura (handling).Per tutta la vita noi continueremo a ricercare la forza di una mano che ci tiene e la dolcezza di una mano che ci cura.

È tanto profondo e necessario, questo bisogno di avere una mano che ci tocca amorevolmente, che chi da bambino non l’ha ricevuta adeguatamente ne soffre poi per tutta la vita.

Essere genitori e figli si riduce a questo: una mano che tiene saldamente, una mano che accarezza e incoraggia.

In questi termini, anche l’espressione “figli di Dio”, come quella, speculare, “Dio padre”, (che troppo spesso corriamo il rischio di usare quasi fossero frasi retoriche, dimenticandone realtà e concretezza) rivelano nuove sfumature di significato.

Dio – che chiamiamo “Padre” almeno una volta al giorno, nella recita della preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato – si manifesta a noi rendendo salda la nostra vita (la mano che tiene) e incoraggiandoci pazientemente e continuamente a migliorare (la mano che cura).Non servono grandi discorsi: le mani di Dio sono un’esperienza, non una dimostrazione filosofica.

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Nella Bibbia, un breve libro racconta la storia di Neemia, coppiere del Re, che viene chiamato

a prendersi cura di Gerusalemme che è stata devastata. Quando Neemia raggiunge la città per la

prima volta, si trova nella necessità di spiegare ai potenti la sua missione. La frase che usa per

farlo è bellissima, nella sua incisività: «Narrai loro della mano del mio Dio, che era benefica su

di me» (Ne 2, 18).

La fede di Neemia, la sua vocazione, la sua stessa vita, sono raccolte in un’immagine che non

ha bisogno di spiegazioni: una mano che fa il bene.

Nella stessa immagine è racchiusa anche la nostra vocazione di genitori (sia di chi ha il dono dei

figli, sia di chi “si fa genitore” in tanti modi verso il prossimo). Essere genitori significa porgere

quotidianamente la mano che sostiene e la mano che cura.

Qualcuno, anni fa, lo ha fatto per noi.

Oggi, a nostra volta, lo facciamo quotidianamente per i nostri figli, cercando in questo modo di

rendere presenti per loro le mani di Dio.

Giorgio Maghini

Riportiamo la controversa apparizione a Rosa Quattrini, in seguito chiamata Mamma Rosa, a San Damiano (Piacenza) nel 1961. Il Magistero della Chiesa chiuse forse troppo frettolosamente l’analisi dei fatti, nonostante la presa di posizione positiva del vicario parrocchiale don Edgardo Pellacani.

San Damiano (Emilia Romagna) – San Damiano è una frazione di 150 abitanti nel comune di San Giorgio a circa venti chilometri a sud di Piacenza. Quest'ultima è uno dei capoluoghi di provincia della regione Emilia Romagna situata nell'Italia settentrionale. San Damiano è situato nella pianura del fiume Po vicino al torrente Nure tra campi di pomodori, granoturco, barbabietole, grano e prati. Mamma Rosa, madre di tre figli, aveva dovuto ricorrere al taglio cesareo per ogni suo parto; nell'ultimo del 1952, quando nacque Pier Giorgio, la situazione era inoltre complicata da una peritonite perforante che richiese un intervento chirurgico di 4 ore e mezzo.

Per nove anni, Rosa fece la spola tra la sua casa e gli ospedali, perché le sue piaghe non si rimarginavano. Il 24 settembre 1961 si decise di rimandarla a casa raccomandandola alle cure della zia Adele. Umanamente parlando, era finita. Per colmo di sventura, Giuseppe, il marito, doveva essere operato per ernia. Il 29 settembre 1961, festa di San Michele Arcangelo, sul mezzogiorno, una

Donna sconosciuta entrò in casa Quattrini. Vestiva il costume della Regione: gonna e blusa di vari colori, un grembiule nero e, sul capo, un fazzoletto azzurro.La zia Adele dice che la Signora sconosciuta le chiese mille lire per offrire un cero alla cappella di Padre Pio, ma la cappella di Padre Pio é alla distanza di circa ottocento chilometri da San Damiano. Ma ciò non turba la zia Adele che ha ben altro motivo per declinare la sollecitazione: in quel momento, in casa, si hanno, in tutto e per tutto, mille lire imprestate! Inoltre, il marito é ammalato e Rosa lo é ancor di più. La bella straniera insiste, con tanto garbo, che la zia Adele le dà cinquecento lire. Lei accetta e chiede di vedere l’ammalata che giace nella camera accanto. La zia ve la conduce.La straniera prende la mano di Mamma Rosa e le dice : "Su, alzati!" – “Non posso!” ris- ponde la povera inferma. – “Dammi la mano ! Alzati!” – “Non posso !” – “Dammi anche l’altra mano”, ordina la Signora. Mamma Rosa la porge – “Alzati!” ripete la Signora. E Mamma Rosa si alza avvertendo un benessere improvviso ed eccezionale. Rico- nosce allora la Celeste Visitatrice che le fa segno di tacere. Suona mezzogiorno: "Reci- tiamo l’Angelus" ordina la Signora. Poi aggiunge cinque Pater, Ave e Gloria secondo le intenzioni di Padre Pio, in onore delle cinque Piaghe di Nostro Signore. Durante questo tempo, Ella tocca con le Sue Mani le piaghe di Rosa ed esse si chiudono

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Le apparizioni di Maria

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immediatamente. Poi ordina a Rosa di recarsi da Padre Pio: - “Non ho denaro né abiti, obietta Rosa”. – “Avrai quanto ti occorre”, dice la Signora, e se ne va. Intanto Giuseppe era andato a raccogliere castagne per assicurare ai suoi i mezzi per sfamarsi durante il suo soggiorno all’ospedale. Qualche giorno dopo, Rosa riceveva dalla cassa di beneficenza di Padre Pio il denaro per il viaggio e trovava nella "casina", o rimessa, due abiti da contadina esattamente della sua misura, senza cenno di provenienza.

Nella primavera del 1962 Mamma Rosa va a San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, all’estremità sud dell’Italia. Questo paese, dove allora viveva Padre Pio deceduto il 23 settembre 1968, si trova ai piedi del monte Gargano, dove apparve San Michele Arcangelo. Il sabato mattina, mentre recitava il Rosario con una compagna, sulla piazza della Chiesa, Mamma Rosa avverte una chiamata improvvisa : "Rosa ! Rosa !" Si gira e vede la Signora dal fazzoletto azzurro : - “Mi conosci?” chiede la Signora. – “Si”, risponde Rosa, “voi siete la Madonna, che non ha voluto che lo dicessi”. – “Io sono la Madre della Consolazione e degli afflitti. Dillo, dunque, a San Damiano e al professore che non ha voluto credere alla tua guarigione. Dopo la Messa, ci troveremo presso la Sacra Mensa e Io ti accompagnerò da Padre Pio”. Cosi fu. Giunte da Padre Pio, la Signora scompare senza lasciare alcuna traccia. Padre Pio ne ha vedute altre. Senza alterarsi per un

tale intervento e per tale scomparsa, egli riceve Mamma Rosa e le ingiunge di andare ad assistere, sopra tutto spiritualmente, gli ammalati, per due anni. Si immagini la perplessità della povera contadina. Ritornata a casa obbedendo all’ordine ricevuto, si presenta a un ospedale, dove viene ricevuta senza alcuna difficoltà. Vi rimane un po’, meno di due anni, perché la zia Adele si ammala e reclama la presenza della nipote. Rosa scrive a Padre Pio, che le permette di ritornare a casa. Cura sua zia ed essa guarisce. Il 16 ottobre 1964, mentre Mamma Rosa recitava l’Angelus di mezzogiorno, senti dall’esterno una voce che la chiamava: "vieni! vieni, ti aspetto!" Siccome Rosa esitava, chiedendosi se si trattasse di un’illusione, la voce si fece sentire una seconda volta : " Vieni! Vieni qui, ti aspetto!". Allora diffidente, chiedendosi se fosse il demonio che le giocasse qualche tiro, Rosa usci tenendo in mano la sua corona: vede in cielo una nube d’oro e d’argento circondata da molte stelle e da rose di svariati colori. Dalla nube, ecco uscire una specie di sfera rossa e posarsi su un piccolo pero, vicino alla casa. Ne esce la Santissima Vergine, circonfusa di viva luce. Mamma Rosa racconta quanto segue : Mi ha detto : " Figliola Mia, vengo da molto lontano. Annunzia al mondo che tutti devono pregare, perché Gesù non può più portare la croce. Io voglio che tutti si salvino, buoni e cattivi. Sono la Madre dell’Amore, la Madre di tutti : siete tutti miei figli. Per questo voglio che

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tutti si salvino, per questo sono venuta : per condurre il mondo alla preghiera, perché i castighi sono vicini. Ritornerò ogni venerdì e ti darò dei messaggi che devi far conoscere al mondo". " Ma - obiettò Rosa - non mi crederanno ; non sono che una povera contadina ignorante. Mi metteranno in prigione!". Ella rispose: "Si, ti crederanno perché, andandomene, Io ti lascerò un segno, quest’albero fiorirà."La Santissima Vergine scomparve e, in quel 16 ottobre 1964, il pero fiorì. Il giorno dopo fiori anche un ramo del susino che sorgeva accanto al pero, il ramo che Lei aveva sfiorato. Per tre settimane, migliaia di persone poterono ammirare i due alberi in fiore, nonostante le abbondanti piogge autunnali. Inoltre, il pero fiorito era ancora carico di pere (una cesta e mezzo) che la zia Adele raccolse. Nel 1967, acquistando corone da Rosario in un negozio di Piacenza, la venditrice mi assicurò di aver visto personalmente il pero fiorito. Ma si mantenne tanto bene il silenzio sui fatti di San Damiano, che lei non ne aveva più sentito parlare. In seguito, tutti i venerdì, a mezzogiorno, e in ogni giorno delle feste Mariane, la Madre di Dio appare a Mamma Rosa. I Messaggi che si succedettero, di settimana in settimana, furono sovente accompagnati da fenomeni inesplicabili, come quello del sole che ruota su se stesso.Il parroco del villaggio, don Edgardo Pellacani, dal 1960 vicario parrocchiale a

San Damiano, depose una testimonianza a favore di Mamma Rosa; inoltre, poiché conosceva la veggente fin dai tempi della sua malattia e dell’improvvisa guarigione, l’accompagnò da Padre Pio e fu presente all’apparizione del 16 ottobre 1964 e all’improvviso fiorire del pero. Nell’aprile del 1965 il religioso accompagnò di nuovo la veggente da Padre Pio e poté constatare come veniva trattata da quest’uomo di Dio.Mamma Rosa si spense il 5 settembre 1981. Alle sue esequie presero parte oltre diecimila persone e nell’omelia di sepoltura non si fece alcun riferimento agli avvenimenti soprannaturali.Gli uffici ecclesiastici competenti non hanno mai proceduto all’esame dei carismi dei singoli fenomeni, dei miracoli e dei segni prodigiosi. Rosa Quattrini e il parroco non furono mai interrogati a proposito. La decisione contro le apparizioni di San Damiano fu presa in eccessiva fretta e l’indagine chiusa senza concrete motivazioni da parte del Magistero della Chiesa. Si può solo sperare che un giorno il procedimento venga riaperto.

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Suor Loreta Beccia scrive da San Lorenzo (Equador)

Carissimi amici, Vorrei raccontarvi qualcosa di questo mondo (l’Equador) nel quale da un mese mi ritrovo a vivere. Dopo essere arriva-ta a Quito e aver trascorso 2 mesi lì, mi hanno inviata a San Lorenzo, una comunità al confi-ne con la Colombia (poco più di un’ora in macchina!)... sono qui da circa un mese. Sono in una terra spettacolare, con una natura sorprendente, alle volte penso di essere in paradiso... altre volte però mi sembra di essere all’inferno. Sono in una terra abitata da neri, sembra l’Africa, e mi fermo a pensa-re a come tanti anni fa per colpa della schia-vitù gli africani sono stati trasportati con la forza e la violenza qui per lavorare, e penso a quante schiavitù oggi costringono ancora tanta gente a “trasferirsi” per lavorare, per cercare dignità ed invece trovano solo offesa, sofferenza, abbandono e sfruttamento. Penso che sono miei fratelli e sorelle... penso...

Sono in una terra piena di bambini (grande dono di Dio) e mi fermo a pensare a queste famiglie molto diverse dalla mia, forse chia-marle famiglie é addirittura esagerato. Un giorno ho conosciuto una signora, 24 anni: 7 figli, ognuno avuto con un uomo diverso, i figli non conoscono i loro padri, lei va a lavo-rare la mattina presto, torna tardi la sera, nessuno si prende cura di questi bambini, forse qualcuno dovrebbe prendersi cura di lei. I bambini suonano alla nostra porta chie-dendoci “un pezzo di pane”, non vanno a

scuola o ci vanno solo quando ne hanno voglia. Penso alle nostre famiglie e penso alle donne e alla loro dignità persa, al loro corpo sfruttato e penso ai bambini, ai loro diritti non rispettati... e penso...

Sono in una terra ricca, poi però mi ritrovo in case di legno, povere, molto povere. Da una parte sono arrabbiata: perché questa povertà, perché questa ingiustizia? Dall’altra ringra-zio il Signore perché questa esperienza di povertà mi sta aiutando a comprendere che si può vivere con molto meno di quello che abbiamo nelle nostre case in Europa. Sono in una terra dove vivono persone capaci di prendere in mano la loro vita, che potreb-bero essere protagonisti del loro futuro e vivo però in un mondo dove per anni abbiamo abituato la gente a chiedere, ad essere dipen-denti da noi, e penso quando ci dicono che (noi giovani suore) siamo suore “senza velo e senza soldi”...”perché le sorelle di una volta avevano denaro... e tu?”. E penso che forse c’é qualcosa da cambiare nel nostro stile di missione, penso che la gente qui può cammi-nare sulle sue proprie gambe, penso che noi dovremmo smettere di essere protagoniste e cominciare ad essere compagne di cammino di una umanità straordinaria, se solo lascias-simo esplodere la vita che ha dentro perché contagi anche la nostra. Penso che sarebbe bello se questa gente cominciasse a capire che sì, vengo dall’Europa dove di soldi ce ne sono fin troppi...ma che la scelta più bella della mia vita, quella che l’ha cambiata

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Andiamo e annunciamo

davvero (la mia vita) è stato decidere di lasciare tutto e mettermi in cammino con Gesù povero... che ora già non possiedo niente o meglio, che l’unica cosa che ancora possiedo (in parte) è la mia vita e questa sono decisa a spenderla tutta, completamente, per gli ultimi... per i miei fratelli e le mie sorel-le... per e con le persone che incontro sul mio cammino. Comboni diceva: “Far causa comune!” Penso che questa non é la ricchez-za che interessa alla maggior parte del le persone, però penso che é l’unica vera ricchezza che ciascuno di noi ha e che sareb-be un gran investimento metterla al servi-zio... penso...

Sono in una terra dove quello che per me é il suono dello scoppio di un petardo tipico di una festa patronale o della fine dell’anno, é in realtà qui per la gente uno sparo. Erano le 4 del mattino in una comunità del campo a 3 ore di macchina fra ponti di legno instabili e fiumi da attraversare, io ero lì con una sorel-la, sentiamo un rumore e lei senza pensarci mi dice: “uno sparo”, io ingenuamente dico: ”No, solo un petardo”. Meno male questa volta avevo ragione io, ma non sempre é così. E penso a quanta gente é colpita da questi spari e per colpa di questi muore e penso ad Anna che in Centrafrica sente questi spari giorno e notte e sa bene che non é ne la fine dell’anno ne la celebrazione della festa patronale lì (come qui!) di festivo c’é rimasto poco e penso a

come siamo stupidi, penso a come continuia-mo ad ammazzarci, penso alla brutalità della guerra fra fratelli e sorelle figli dello stesso Padre, penso che la guerra é un continuo insulto alla vita... continuo a pensare...

Sono in un terra ricca di vegetazione: é una terra meravigliosa...foreste, alberi da frutto. Una volta ciascuno aveva il suo pezzetto di terra con il quale poteva sopravvivere, poi sono arrivati gli europei e gli americani. I “nuovi colonizzatori” vogliono comprare la terra dei poveri per piantare “palme africa-ne”. La gente ignara di ciò che si sta facendo vende il fazzoletto di terra, unica risorsa per vivere; lo vende perché ne ha un guadagno immediato (la situazione qui é difficile. Poi, per un po’ di tempo, lavora in queste grandi piantagioni di palme africane, fanno lavori “sporchi” lavori che uccidono perché com-promettono la salute. Noi cerchiamo di far capire alla gente che questo non é un bene, che questa é una ingiustizia. I nuovi coloniz-zatori vengono a piantare qui perché qui c’é posto, perché qui la terra é ancora fertile, ma non dicono che con la distruzione delle fore-ste a favore delle piantagioni che fra 40 anni ci sarà la desertificazione del terreno. I colo-nizzatori se ne andranno e quelli che reste-ranno qui moriranno di fame perché non avranno più nulla.

Sapete a cosa servono tutte queste palme africane? Queste palme producono cocco piccolo, che non si mangia ma si usa per

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realizzare prodotti di bellezza che tanto piac-ciono a noi dall’altra parte del mondo, e penso a come il mondo é ingiusto: quello che a noi serve per avere un buon profumo e un bel aspetto é causa di fame e di morte per la gente che vive qui e penso che questo non é quello che voleva Dio quando ci consegnò la terra perché ce ne prendessimo cura, e penso che questa é una brutta realtà che dobbiamo cambiare e penso che alla fine “la primavera spunterà” davvero e la terra tornerà a fiorire... e penso...

Penso cosa significa per me oggi essere qui. Cosa significa per me oggi essere missionaria comboniana. Che significa consacrare la mia vita a Dio e ai fratelli e sorelle. Che significa-no le parole di Gesù “andate e annunciate”, penso a come io oggi posso annunciare questa Buona Notizia in una terra così marto-riata. Penso a cosa avrebbe fatto Gesù. Penso al senso della mia vita... penso...

Penso che è veramente giunto il momento non più di pensare, ma quello di mettersi in piedi per aiutare altri a mettersi in piedi e camminare insieme verso un Regno nuovo, quello della giustizia, della pace, dell’onestà, della libertà. Il Regno dove davvero si potrà vivere come famiglia, come creatura di un Dio che ci ha messi al mondo per e con amore. E allora basta pensare... mettiamoci in cammino “Andiamo e annunciamo” con la certezza che “Lui è con noi fino alla fine... per sempre”.

Con questa certezza io sono tranquilla e non mi lascerò spaventare o intimorire: Lui è con me!

Vi abbraccio con affetto, suor Loreta

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Come ormai tutti sanno, alla domenica, nella nostra Parrocchia, si incontrano gruppi di

genitori dei bambini del Catechismo: si mangia qualcosa e poi ci si prende un po' di tempo

per parlare tra amici, assieme ai nostri sacerdoti.

Il tema di cui si parla in questi incontri è di quelli che, talvolta, può fare un po' paura, per

quanto è grande e importante: il nostro essere genitori e credenti, impegnati nel mondo, e

radicati nella comunità cristiana. Uomini e donne che chiedono a Gesù di accompagnarli

nel loro essere coppie e genitori.

A un tema così alto fa da contrappeso la semplicità dell'esperienza: si discute, si ride, si

racconta, ci si fa coraggio reciprocamente.

Ognuno porta un pezzo della sua storia.

Parliamo di noi, condividiamo pezzi della nostra vita.

Conversiamo.

“Conversare” è una parola molto ricca e bella.

Per scoprire quanto, proviamo a pensare a quando, per strada, camminiamo (di solito

frettolosamente) e incrociamo decine di persone delle quali, a sera, non ricorderemo nem-

meno un volto.

Ecco: conversare è l’esatto contrario di quell’esperienza: etimologicamente sta a signifi-

care l’atto di volgere il viso verso il viso dell’altro. Un’esperienza bellissima che, purtrop-

po – a causa delle vite che ci troviamo a fare – è sempre più rara.

Conversare. Ovvero: voltarsi per incrociare lo sguardo dell’altro.

E' in questo senso che nei gruppi di genitori si “conversa”.

Mettiamo in comune il nostro seguire Gesù, ogni giorno, nell'ordinarietà, nel nostro

inebriante e faticoso lavoro di cristiani, sposi, genitori.

La conversazione di domenica 11 gennaio scorso è stata aiutata da alcuni spunti preparati

da don Michele e don Enrico.

Ci proponevano, i nostri “don”, di riflettere sul nostro stile educativo.

Uno stile che, nel limite delle nostre capacità e delle nostre incoerenze, deve riflettere

l'amore e la pazienza di Dio: siamo consapevoli - ci veniva chiesto - che attraverso l'amore

Alcune parole da una conversazioneIncontro con i genitori dei bambini di Seconda elementare(11 gennaio 2015)

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familiare si rende presente l'amore di Dio?

Che le nostre scelte educative sono anche scelte di fede?

Che educare in Cristo è lo strumento per sviluppare armonicamente e pienamente la

personalità dei miei figli?

Che, come genitore, sono chiamato a limare ogni giorno il mio carattere per diventare

sempre più simile a Cristo educatore?

Domande forti, come si vede bene.

Domande che ci chiedevano di fare i conti con noi stessi, di rinnovare la forza e la decisio-

ne della nostra scelta di Gesù e, allo stesso tempo, di diventare consapevoli delle nostre

incogruenze e contraddizioni.

Non sarebbe possibile restituire la ricchezza della conversazione che è nata in seguito a

queste proposte di riflessione. Si può provare, al più, a riportare alla mente qualche parola,

per rievocare quel bel clima di fratelli che mettono in comune quanto hanno di più caro...

La prima parola che torna in mente è “educazione” (ricevuta e da donare).

Oggi siamo genitori, ma siamo stati, prima, figli. L'educazione che vogliamo dare non

può prescindere da quella che abbiamo ricevuto. Dobbiamo essere grati per quanto di

buono ci è stato dato, e capaci di perdonare se i nostri genitori sono stati (può, purtroppo,

succedere. Succede.) duri o in difficoltà nel dialogo, tra loro e con noi.

La seconda è “conflitto”. Quanto “conflitto” può esserci nelle nostre famiglie!

Quanto possono pesare le nostre differenze di uomini e donne, le stanchezze, le forti

contrapposizioni dei figli... occorre, di fronte a ciò, cercare di assomigliare a Gesù, che

quando ha incontrato il conflitto ha saputo trasformarlo in occasione di crescita, senza

schiacciare col peso della verità ma, al contrario, facendo sentire l'interlocutore più amato

e importante.

La terza parola è “ammettere le proprie difficoltà”.

È, questo, uno degli aspetti più belli del “gruppo dei genitori”: sentirsi liberi di dire che

non è facile, che talvolta ce la si mette tutta ma poi si cade in errore...

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Ci sono tornate alla mente le parole di San Paolo, così ricche di umanità: «…in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.» (lettera ai Romani 7, 18-19).Non è il ritratto preciso della splendida fatica di essere genitore? Ammettere la nostra limitatezza e il nostro bisogno di aiuto è il primo passo per crescere come genitori, sposi, cristiani.Ma non si creda che alla profondità dei temi corrispondesse la pesantezza della discussio-ne.

Anzi. Chi ci avesse visto da fuori avrebbe potuto pensare: ma cos'avranno quelli lì da ridere e divertirsi?

Eravamo contenti.Come fratelli che, con la scusa di mangiare qualcosa, si prendono il tempo di guardarsi negli occhi.Che “con-versano”.

Giorgio Maghini

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Domenica 18 gennaio 2015 si è tenuto il secondo incontro con le famiglie dei bambini

di III elementare che frequentano il catechismo.

Dopo la S. Messa delle ore 11:00, ci siamo ritrovati nel salone parrocchiale per condivi-

dere il pranzo, durante il quale è stato possibile gustare specialità salate e dolci preparate

dalle singole famiglie (bimbi compresi). Questa volta ha fatto un grande successo la

“salamina da sugo” con il purè. Dopo un corroborante caffè (anche corretto, per chi lo

desiderava), genitori e figli, separatamente, hanno potuto riflettere con l’aiuto dei sacer-

doti e dei catechisti su un argomento del cammino pastorale della nostra comunità: esci

e vivi con Cristo i tuoi affetti.

Don Michele e don Enrico ci hanno aiutato ad approfondire alcuni aspetti della nostra

vita di mamme e papà:

− vivere la consapevolezza che attraverso il nostro affetto per i figli passa l’affetto di

Dio

− decidere con Dio nella preghiera come vivere l’affetto educativo verso i figli

− essere attenti a tutti gli aspetti della personalità dei figli

− vivere ed educare alla comunione con Gesù che è promozionale per la persona dei

figli

− limare il nostro carattere per renderlo sempre più simile allo stile educativo di Gesù.

Ci siamo chiesti se diamo troppo affetto ai nostri figli, se li viziamo. Il lavoro ci impegna

molto ed in quel poco tempo che condividiamo con loro li “soffochiamo” di affetto e/o di

cose?

Viviamo questa dicotomia: abbiamo gioia nel donare anche solo un ovetto di cioccolata,

perché privarci di questa gioia? Don Michele ci ha ricordato che Dio prova la stessa gioia

nel donarci le “sue” cose: l’amore, la grazia, la vita, l’Eucaristia.

Educare alla comunione con Gesù non è sempre facile poiché alcuni di noi hanno ricevuto

un’educazione in base alla quale questo è compito dei sacerdoti e della Chiesa, ma la

Chiesa siamo noi.

Catechismo: le mamme raccontanoIncontro con i genitori dei bambini di Terza elementare(18 gennaio 2015)

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Abbiamo così capito che è necessario crescere insieme ai figli per scoprire, accettare e

valorizzare il grande dono che Dio ci ha fatto rendendoci pro-creatori cioè collaboratori

di Dio nel dare la vita e nell’educare i “nostri” figli.

Mamma di Luigi e mamma di Huyen

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Questa poesia della scrittrice Dorothy Law Nolte è stata ed è tuttora un vademecum pedagogico per i genitori di tutto il mondo. È vero i bambini imparano ciò che vivono. A maggior ragione i genitori cristiani hanno il dovere di far vivere i loro figli in un ambito familiare che faccia loro apprezzare la grandezza, la bellezza e la gioia della vita vissuta nell’amore di Dio.

I bambini imparano ciò che vivono

Se un bambino vive con le critiche, impara a condannare.

Se un bambino vive con l'ostilità, impara ad aggredire.

Se un bambino vive con il timore, impara ad essere apprensivo.

Se un bambino vive con la pietà, impara a commiserarsi.

Se un bambino vive con lo scherno, impara ad essere timido.

Se un bambino vive con la gelosia, impara cos'è l'invidia.

Se un bambino vive con la vergogna, impara a sentirsi in colpa.

Se un bambino vive con l'incoraggiamento, impara ad essere sicuro di sé.

Se un bambino vive con la tolleranza, impara ad essere paziente.

Se un bambino vive con la lode, impara ad apprezzare.

Se un bambino vive con l'accettazione, impara ad amare.

Se un bambino vive con l'approvazione, impara a piacersi.

Se un bambino vive con il riconoscimento, impara che è bene avere un obiettivo.

Se un bambino vive con la condivisione, impara la generosità.

Se un bambino vive con l'onestà e la lealtà, impara cosa sono la verità e la giustizia.

Se un bambino vive con la sicurezza, impara ad avere fiducia in se stesso e in coloro che lo circondano.

Se un bambino vive con la benevolenza, impara che il mondo è un bel posto in cui vivere.

Se vivi con serenità, il tuo bambino vivrà con la pace dello spirito.

Con che cosa sta vivendo il tuo bambino?

Dorothy Law Nolte