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322 Fra i tratti caratteristici del cantiere romano del- la seconda metà del Cinquecento vanno annove- rate la graduale regolamentazione dei processi edilizi e la definizione, anche in chiave giuridi- ca, dei rapporti tra committenza e impresa. La tendenza, verificabile anche in altri stati della penisola, appare legata a diversi fattori, in primo luogo al rinnovamento urbano persegui- to dai pontefici post-tridentini. La bolla “Quae publice utilia”, promulgata nel 1574 da Grego- rio XIII, incoraggiava l’accorpamento di pro- prietà immobiliari in vista di nuove e più deco- rose costruzioni; si offriva così un forte impulso all’edilizia, ma anche alla regolamentazione dei meccanismi di stima e di compravendita. Anche le grandi realizzazioni di Sisto V, affidate di preferenza al ‘costruttore’ Domenico Fontana piuttosto che ad architetti di formazione tradi- zionale, favoriscono il riordino della produzio- ne edilizia che porterà, nel Seicento, alla stesu- ra di prezziari per le istituzioni pubbliche o al- l’emissione di regolamenti, ad esempio sull’atti- vità delle fornaci. Ma un altro fattore di rinnovamento è certa- mente rappresentato dall’attività dei maestri ti- cinesi e lombardi. La loro presenza non è certo una novità a Roma, come in molte altre regioni d’Italia, ma il pronto assorbimento della lezio- ne dei maestri – Sangallo il Giovane, ma anche Vignola, fino allo stesso Michelangelo – e le spiccate capacità imprenditoriali li pongono al- la guida del rinnovamento edilizio e dell’elabo- razione di un nuovo linguaggio architettonico 1 . È con i maestri lombardi e ticinesi, spesso riu- niti in vere dinastie, come quella che lega Do- menico Fontana a Carlo Maderno e a France- sco Borromini, che la pratica del costruire assu- me i connotati di una vera impresa, fondata su un pragmatismo aperto e flessibile, lontano da tendenze estetizzanti; una strada, va notato, di- stinta e in qualche modo contrapposta a quella dell’Accademia di S. Luca, in cui l’impostazio- ne neoplatonica è dominante. Gli stessi con- temporanei avvertirono il ruolo secondario at- tribuito dai maestri lombardi all’esercizio pura- mente speculativo del disegno e della pittura, come testimoniano le parole del Baglione a conclusione della biografia di Maderno: “me- ritò degna lode; benché egli fusse poco amico della pittura, e troppo partiale de gli stucchi, ne’ quali si era allevato” 2 . È comunque con i capomastri lombardi e ti- cinesi che l’artigiano assume l’importanza di un imprenditore, con un proprio capitale da far fruttare; diventa quindi necessario definire i ruoli nei rapporti con la committenza. Sia i “ca- pitoli e patti”, sia molto spesso le “misure e sti- me” dei lavori effettuati diventano veri e propri Claudio Varagnoli Eredità cinquecentesca e apertura al nuovo nella costruzione di palazzo Mattei di Giove a Roma 1. Il palazzo di Alessandro Mattei, poi Caetani in via delle Botteghe Oscure (da P. Ferrerio, Palazzi di Roma de’ più celebri architetti, Roma 1680). 2. P. Letarouilly, sezione del palazzo di Alessandro Mattei, poi Caetani, prima della sopraelevazione del loggiato di chiusura, visibile a destra della corte.

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Fra i tratti caratteristici del cantiere romano del-la seconda metà del Cinquecento vanno annove-rate la graduale regolamentazione dei processiedilizi e la definizione, anche in chiave giuridi-ca, dei rapporti tra committenza e impresa.

La tendenza, verificabile anche in altri statidella penisola, appare legata a diversi fattori, inprimo luogo al rinnovamento urbano persegui-

to dai pontefici post-tridentini. La bolla “Quaepublice utilia”, promulgata nel 1574 da Grego-rio XIII, incoraggiava l’accorpamento di pro-prietà immobiliari in vista di nuove e più deco-rose costruzioni; si offriva così un forte impulsoall’edilizia, ma anche alla regolamentazione deimeccanismi di stima e di compravendita. Anchele grandi realizzazioni di Sisto V, affidate dipreferenza al ‘costruttore’ Domenico Fontanapiuttosto che ad architetti di formazione tradi-zionale, favoriscono il riordino della produzio-ne edilizia che porterà, nel Seicento, alla stesu-ra di prezziari per le istituzioni pubbliche o al-l’emissione di regolamenti, ad esempio sull’atti-vità delle fornaci.

Ma un altro fattore di rinnovamento è certa-mente rappresentato dall’attività dei maestri ti-cinesi e lombardi. La loro presenza non è certouna novità a Roma, come in molte altre regionid’Italia, ma il pronto assorbimento della lezio-ne dei maestri – Sangallo il Giovane, ma ancheVignola, fino allo stesso Michelangelo – e lespiccate capacità imprenditoriali li pongono al-la guida del rinnovamento edilizio e dell’elabo-razione di un nuovo linguaggio architettonico1.È con i maestri lombardi e ticinesi, spesso riu-niti in vere dinastie, come quella che lega Do-menico Fontana a Carlo Maderno e a France-sco Borromini, che la pratica del costruire assu-me i connotati di una vera impresa, fondata suun pragmatismo aperto e flessibile, lontano datendenze estetizzanti; una strada, va notato, di-stinta e in qualche modo contrapposta a quelladell’Accademia di S. Luca, in cui l’impostazio-ne neoplatonica è dominante. Gli stessi con-temporanei avvertirono il ruolo secondario at-tribuito dai maestri lombardi all’esercizio pura-mente speculativo del disegno e della pittura,come testimoniano le parole del Baglione aconclusione della biografia di Maderno: “me-ritò degna lode; benché egli fusse poco amicodella pittura, e troppo partiale de gli stucchi, ne’quali si era allevato”2.

È comunque con i capomastri lombardi e ti-cinesi che l’artigiano assume l’importanza di unimprenditore, con un proprio capitale da farfruttare; diventa quindi necessario definire iruoli nei rapporti con la committenza. Sia i “ca-pitoli e patti”, sia molto spesso le “misure e sti-me” dei lavori effettuati diventano veri e propri

Claudio Varagnoli Eredità cinquecentesca e apertura al nuovo nella costruzione di palazzo Mattei di Giove a Roma

1. Il palazzo di Alessandro Mattei, poi Caetani in via delle Botteghe Oscure (da P. Ferrerio, Palazzi di Roma de’ piùcelebri architetti, Roma 1680).

2. P. Letarouilly, sezione del palazzo di Alessandro Mattei, poi Caetani, primadella sopraelevazione del loggiato di chiusura, visibile a destra della corte.

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atti notarili, stipulati spesso in presenza dell’ar-chitetto; resta in ombra invece il ruolo del pro-getto, quasi mai allegato all’atto e nominato disfuggita. Tuttavia, come in Lombardia, anche aRoma il capomastro non è un puro appaltatore,ma un personaggio capace di interpretare lescelte compositive dell’architetto e di rielabo-rarle e integrarle autonomamente3.

Tale situazione mostra tangenze significativecon quanto accade in campo progettuale. L’em-pirismo delle maestranze ticinesi e lombarde simostra consentaneo alla tendenza semplificatri-ce che si sviluppa in Roma tra i pontificati diGregorio XIII e quello di Paolo V. Di qui lamessa in secondo piano dell’intonazione ar-cheologica del progetto, la riduzione del ruolodegli ordini classici, l’adesione alle “convenien-ze” architettoniche che chiedono di subordina-re le scelte progettuali ad altre esigenze, siano

3. L’isola dei Mattei a Roma; è evidenziato nell’angolo sud-est il palazzo Mattei diGiove (da G. Spagnesi (a cura di), PalazzoMattei di Paganica e l’Enciclopedia Italiana, Roma 1996).

esse liturgiche, sociali o urbane4.L’edificio che il ticinese Carlo Maderno co-

struì per Asdrubale Mattei, marchese di Giove,ben esemplifica questa situazione, tanto da es-sere recepito come modello esecutivo dai con-temporanei5. Malgrado cospicue preesistenze, ilcantiere, iniziato nel 1598/99 e concluso nel gi-ro di venti anni, ebbe uno svolgimento abba-stanza lineare, a differenza di tanti palazzi ro-mani segnati da vicende travagliate.

L’antica casata dei Mattei si distingueva perle antiche origini e un patrimonio fondato, findal Medioevo, sullo sfruttamento di consistentipossedimenti terrieri6. A partire dagli anni Set-tanta del Quattrocento, gli insediamenti dellafamiglia si concentrarono nel rione Sant’Ange-lo, in un isolato sorto a ridosso dei resti dell’an-tico teatro di Balbo. Dal loro ingresso nell’“iso-la”, i Mattei iniziarono una successione di ac-quisti che li portò, grosso modo nel giro di set-tanta anni, alla proprietà di tutti i lotti compre-si nel perimetro.

Grazie alle floride condizioni economiche,nel Cinquecento la famiglia diede vita ad unaprofonda trasformazione edilizia del patrimonioimmobiliare, mediante l’innesto di nuove tipo-logie sul nucleo ancora medievale. Dopo la do-mus con fondaco del capostipite Ludovico I rea-lizzata alla fine del Quattrocento, ancora arcaicanell’organizzazione tipologica, il primo esempiodi tale mutamento è dato dal palazzo di Ludovi-co II Mattei, duca di Paganica, iniziato nel 1537,forse su un progetto iniziale di Giovanni Man-gone, poi completato probabilmente da Nannidi Baccio Bigio7: l’inserimento del nuovo mo-dello palaziale si rafforza con l’espulsione delleattività commerciali, botteghe e fondaci, a tuttovantaggio delle esigenze di rappresentanza.

Ancor più decisa l’adozione della tipologiasangallesca nel palazzo di Alessandro Mattei al-le Botteghe Oscure, poi Caetani (ill. 1, 2), po-steriore al 1548, edificio già attribuito ad Am-mannati, ma recentemente assegnato a Nannidi Baccio Bigio8. A questi esempi andrebbe ag-giunto il palazzo che Muzio Mattei si fece co-struire alla fine degli anni ’80, al quadrivio del-le Quattro Fontane, forse su progetto di Do-menico Fontana9.

Dei figli di Alessandro, Ciriaco (1545-1614)pose la sua residenza nel palazzo paterno e co-struì per sé la grande villa al Celio, Girolamo(1546-1603), cardinale, occupò probabilmenteparte della vecchia casa tardo-quattrocentesca,mentre Asdrubale (1556-1638) iniziò la costru-zione del nuovo palazzo destinato a chiuderel’angolo sud-est della cittadella dei Mattei, masolo dopo aver preso possesso dei beni dello zioPaolo (ill. 3). La sua solida posizione sociale furafforzata con l’acquisto del feudo di Giove, inUmbria, nel 1597, a cui fece seguito l’acquisi-

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zione di altre terre nel Lazio. Il matrimonio conCostanza Gonzaga assicurò infine al Matteiun’estesa rete di parentele che giungeva finoagli Asburgo.

Dall’inventario redatto alla morte di PaoloMattei, nel 1592, possiamo trarre alcune indica-zioni – purtroppo solo generiche – sulla distri-buzione delle proprietà preesistenti alla costru-zione del palazzo10. Nell’angolo sud-orientaledell’isolato si trovava la casa di Paolo, a quantosembra in una configurazione ancora medieva-le, con cortile e scala esterna; più a nord, forseseparato da costruzioni secondarie, il palazzo diAlessandro, in cui vivevano Ciriaco e Asdruba-le; a ovest, lungo la via dei Funari, due case piùpiccole già inglobate nella residenza di Paolo –fra cui una torre medievale nota alle fonti cometurris salitulae e ancor oggi riconoscibile – eun’ala della vecchia domus quattrocentesca divi-sa con Girolamo.

La situazione preesistente forniva al proget-tista vincoli, ma anche indicazioni preziose peril proprio lavoro. Innanzitutto la posizione an-golare dovette esercitare una notevole influenzasull’impostazione dell’edificio. In secondo luo-

go, la presenza dell’antica domus di Ludovico Irappresentò un limite costruito da rispettare,forse per espressa volontà del committente, tan-to da definire uno dei lati della corte del nuovopalazzo. Infine, la dislocazione stessa delle pro-prietà ereditate da Asdrubale finì per condizio-nare l’andamento del cantiere.

All’esterno, il palazzo si dà come una molescabra e chiusa, con i pieni predominanti suivuoti e la rigorosa disposizione dei finestrati,del tutto in linea con l’architettura civile con-temporanea. Il tono severo e sommesso sembragiustificare, ad un primo approccio, lo scarsoentusiasmo manifestato da studiosi come Hein-rich Wöllflin e, più recentemente, HowardHibbard, che non riconobbero nel palazzo diAsdrubale Mattei le brillanti capacità creative dicui Maderno diede prova nella contemporaneafacciata di Santa Susanna11.

In questa sua architettura civile, Maderno sivolge, più che allo stesso Domenico Fontana, al-la ricerca progettuale di Giacomo della Porta:dell’architetto di Sisto V resta tuttavia la ten-denza a leggere l’organismo per parti autonomee quasi indifferenti alla legge complessiva12. In

4. Palazzo Mattei di Giove, prospetto su via M. Caetani (elaborazione di M.Bertoldi, M.C. Marinozzi, L. Scolari, C. Varagnoli, 1982, sulla base del rilievo di M. Governale e S. Ranellucci; si nota ilcorpo della galleria (a destra) distinto dalpalazzo.

5. Palazzo Mattei di Giove, prospetto su via dei Funari (elaborazione di M. Bertoldi, M.C. Marinozzi, L. Scolari, C. Varagnoli, 1982, sulla base del rilievo di M. Governale e S. Ranellucci; a sinistrala turris salitulae inglobata nell’edificio.

6. Palazzo Mattei di Giove, sezione sull’andito d’ingresso e sulla corte (elaborazione di M. Bertoldi, M.C. Marinozzi, L. Scolari, C. Varagnoli, 1982,sulla base del rilievo di M. Governale e S. Ranellucci).

7. Palazzo Mattei di Giove, sezione sul salone a piano nobile (elaborazione diM. Bertoldi, M.C. Marinozzi, L. Scolari,C. Varagnoli, 1982, sulla base del rilievo diM. Governale e S. Ranellucci).

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pianta l’edificio sembra seguire il modello delpalazzo tradizionale, con un cortile principaleseparato dal giardino posteriore tramite un log-giato di un solo livello. L’edificio rivela quindiun inatteso schema aperto, a suggerire tangenzecon il modello della villa; la corte è porticata so-lo su un lato, e con l’ultimo piano tamponato.Tuttavia lo schema tipologico non è affatto uni-tario, né dichiarato all’esterno: infatti, dell’im-pianto a U, l’ala ovest è ricavata dal vecchio pa-lazzo di Ludovico I, mentre la porzione angola-re realizzata da Asdrubale è articolata in due fac-ciate pressoché ortogonali, più un’aggiunta deltutto estranea alla composizione, la “galleria”,che congiunge l’edificio al palazzo di Alessan-dro13 (ill. 3).

Ma il tono sommesso dell’edificio può anche

8. Palazzo Mattei di Giove, la nicchia che traguarda la veduta dal prospetto suvia M. Caetani.

9. Veduta della corte, lato ovest.

essere stato suggerito dal desiderio di adeguarsial modello del palazzo di Alessandro Mattei, dicui la nuova residenza rispetta in parte le altez-ze e la tipologia. Ciò spiegherebbe la geometriadell’impianto, collegato all’analoga e simmetri-ca organizzazione del palazzo di Alessandro, el’impaginazione del prospetto principale, strut-turato, come nel modello, su nove assi senza va-riazione delle campate; ciò vale anche per lascansione dei livelli con marcadavanzali e mar-capiano al piano nobile e con un semplice mar-capiano al piano superiore: anche in dettaglio,le asole ricavate nei davanzali del piano nobileritornano nel palazzo di Asdrubale (ill. 12) peraerare quegli ambienti dei mezzanini che ri-marrebbero privi di aperture. Ma le somiglian-ze si fermano qui. Nell’organizzazione dei livel-li, il riferimento è soprattutto a Giacomo DellaPorta, che aveva tolto i mezzanini dal piano no-bile per confinarli all’ultimo livello – si veda so-prattutto il caso di palazzo Serlupi Crescenzi –facendo emergere gerarchicamente il piano no-bile14. Dalle larghe stesure murarie dell’edificiorisalta pertanto quella decorazione di sole fine-stre registrata da una guida settecentesca comecarattere saliente del palazzo15. Se Madernosemplifica il disegno delle aperture, abbando-nando rispetto a Della Porta le soluzioni timpa-nate, introduce forti chiaroscuri con l’aumentodegli aggetti e la ribattitura di tutte le membra-ture; fanno eccezione i portali, decisamente sot-tomessi alla logica compositiva dei prospetti16.

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In alcune situazioni, Maderno sembra segui-re con poca convinzione la strada indicata daDella Porta, come nel caso della articolazionepulsante delle campate17. Per la sua posizioneangolare, palazzo Mattei ha due accessi e dueprospetti sostanzialmente paritetici: quello indi-cato come il principale, verso la chiesa di SantaCaterina su via dei Funari, difeso da alcuni gra-dini e in origine da un poggiolo; l’altro sullastretta via dei Funari, con l’accesso carrozzabile.Tranne che per l’estensione, nove assi nel primocaso, undici nel secondo, le due facciate sonougualmente connotate, ma con significative va-riazioni nella spaziatura delle campate. La primafacciata presenta un ritmo sostanzialmente re-golare delle finestre; nella seconda, invece, i dueinterassi estremi si dilatano, peraltro non sim-

10. Il loggiato di separazione tra corte e giardino.

11. Ottaviano Mascarino, pianta di palazzo Ginnasi, 1585 con i due androni d’ingressofra loro ortogonali (da J. Wassermann, Ottaviano Mascarino and his Drawingsin the Accademia di San Luca, Roma1966).

metricamente, introducendo un’accelerazionesolo parziale del ritmo verso il portale centrale(ill. 4, 5). Una soluzione poco sentita, che lasciaintendere come in quest’opera Maderno nonsviluppi consequenzialmente le ricerche dei suoipredecessori, ma si applichi ad un’elaborazionemolto più cauta, volta a ricapitolare più che a su-perare le posizioni tradizionali.

Tuttavia, anche all’interno di un sistemacontrollato, l’edificio presenta elementi che di-namizzano l’impianto consueto, senza beninte-so portarlo a rottura. I due ingressi al palazzodovevano offrire prospettive apparentementesimili, ma differentemente sviluppate. Dall’ac-cesso carrozzabile, a sud, si inquadra il loggiatodi fondo della corte (ill. 10), in origine chiusonella campata centrale da una nicchia, poi de-molita, ma di cui resta traccia nella documenta-zione e nell’arcata oggi visibile. L’ingresso a est,invece, corrisponde al pianerottolo d’inizio del-lo scalone (ill. 8), segnato da un arcone strom-bato e da una ulteriore nicchia contenente inorigine una statua di Ercole18. Entrambi questitraguardi prospettici, proseguendo l’accesso alpalazzo, lasciano il posto ad altre vedute; nelprimo caso alla scoperta, tramite le aperture la-terali alla fontana, del giardino; nel secondo, al-la inattesa posizione dello scalone, il cui avvionon è infatti percepibile dall’esterno. Questainsistita doppia focalità dell’impianto apparecome il tratto distintivo della prova madernia-na, in cui è forse da ravvisare un ritorno a certesperimentazioni del primo Cinquecento19 o larimeditazione di uno spunto tratto dal palazzoGinnasi, progettato da Mascarino attorno al1585 (ill. 11), frontistante l’isolato dei Matteilungo la strada delle Botteghe Oscure20.

Possiamo ricostruire agevolmente l’anda-mento del cantiere del palazzo di Asdrubale,poiché nell’archivio della famiglia sono conser-vati i contratti e la contabilità scrupolosamentetenuta dallo stesso proprietario, attento alla ge-stione del proprio danaro, ma anche uomo dicultura, committente di pittori come Domeni-chino, Lanfranco, Paul Bril, Pietro da Cortonae certamente capace di dialogare con compe-tenza anche tecnica con architetti e capomastri.

La costruzione venne avviata ugualmenteanche se i terreni edificabili non erano tutti di-sponibili. Secondo una prassi assolutamentecorrente, ciascuna delle tre fasi di costruzione21

non corrisponde ad un’edificazione estesa a tut-ta l’area del palazzo, quanto ad una realizzazio-ne per trance verticali, dalle fondazioni al tetto,ciascuna delle quali pensata organicamente allefasi successive, ma suscettibile di essere vissuta,almeno in parte, autonomamente22.

La prima trancia costruita, tra il 1598-99 e il1601 è il cantone a est, verso la chiesa di S. Ca-terina. In questo settore, realizzato completan-

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do le decorazioni interne, è già stabilita l’altez-za dei solai, l’organizzazione dei finestrati, il ti-po di trattamento delle superfici.

Una seconda fase, tra il 1604 e il 1611, siestende dal portale carrozzabile lungo via deiFunari all’attacco con la parte più antica dell’i-solato, la domus di Ludovico I e la turris salitu-lae, che fu lasciata e assorbita nella distribuzio-ne dell’edificio. Dopo le demolizioni delle casegià inglobate nella residenza di Paolo Mattei,l’opera di muratura fu eseguita tra marzo 1604e dicembre 1605; i lavori di stucco, compren-denti la scala monumentale, iniziarono alla finedel 1605, contemporaneamente al lavoro degliscalpellini.

La terza fase, dal 1613 al 1616, comprendegli ultimi tre interassi della facciata sulla via di S.Caterina e la galleria, sull’area di alcune pro-prietà di Ciriaco e Asdrubale contigue al vecchiopalazzo paterno. La realizzazione di questa par-te rivela quanto Maderno abbia assorbito la ten-denza a disarticolare l’organismo già presentenello zio Domenico Fontana. Com’è consueto,la galleria conclude la sequenza di camere di cuisi compone il piano nobile, ma all’esterno, ilcorpo edilizio realizzato assume una connotazio-ne minimalista, del tutto diversa dal resto del pa-lazzo. Con estrema disinvoltura, nel momentoin cui si rende necessaria l’aggiunta della galleria– ormai indispensabile nella residenza patriziadell’epoca – Maderno, per non squilibrare ilprospetto con un prolungamento laterale, ag-giunge un corpo estraneo figurativamente, madistributivamente collegato al resto dell’edificio.

Dopo il 1616, furono completate le decora-zioni del giardino, della corte e della loggia sco-perta, fino a ridisegnare le aperture della vecchiadomus quattrocentesca (ill. 6, 9); la complessa de-corazione della galleria ebbe invece termine nel1624. La decorazione del cortile con il ciclo de-gli imperatori risale al 1634-36, quando il can-tiere è diretto da Gaspare de Vecchi; sempre al-

la fase conclusiva risale il completamento delgiardino, oggi molto alterato, con una fonte for-se in una piccola grotta lungo la loggia scopertae un’altra fontana sul lato nord23.

All’avvio di ogni trancia, e già dal 1598, Ma-derno fornisce i disegni della parte da realizzarecon un procedimento che certamente consenti-va modifiche e ripensamenti. Maderno vienepagato con un compenso annuale in qualità diarchitetto della fabbrica, ma anche di volta involta per i disegni forniti al cantiere24; in quan-to responsabile della fabbrica, soprintende an-che alle operazioni di misura e stima, spessoeseguite dal suo assistente Filippo Breccioli.

L’abbandono del cantiere, nel 1599, da partedel primo capomastro, con il quale non era sta-to definito un contratto, convince il committen-te della necessità della stipula notarile, poi siste-maticamente sottoscritta all’avvio di ogni fase25.Le opere per le quali sono redatti veri e propricapitolati sono quelle del muratore, dello scal-pellino, del falegname e carpentiere; un postoparticolare, come vedremo, è riservato allo stuc-catore, mentre solo nella fase finale compaiononote di pagamento separate anche per gli am-mattonatori, evidentemente distinti dai genericimuratori. Per le altre opere, quelle del vetraro,del doratore e del ferraro, il committente sem-bra ancora servirsi di accordi privati.

Va segnalato che nei documenti ai muratori èfatto espresso divieto di affidare a cottimo alcu-ne opere da eseguirsi, per imporre l’uso di lavo-ranti pagati a giornata. Si tratta di una diffiden-za condivisa nell’ambiente romano, di cui si faràinterprete lo stesso Bernini, nei confronti di untipo di contratto che invece fu largamente usatodalle maestranze lombarde26. Comunque, a par-tire dal 1599, certo dietro consiglio di Maderno,i capomastri chiamati da Asdrubale sono gli stes-si presenti anche in altri cantieri controllati dal-l’architetto ticinese, a confermare la stabilità delrapporto tra progettisti e imprese27.

12. Palazzo Mattei di Giove, apertura di aerazione dei mezzanini, ricavata neldavanzale della finestra a piano nobile.

13. Palazzo Mattei di Giove, muro di tegolozza: si nota l’arco di scarico soprastante la finestra (foto M. Bertoldi,M.C. Marinozzi, L. Scolari, C. Varagnoli,1982).

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Per quanto riguarda i lavori da muratore, leopere previste dalla documentazione compren-dono il “muro di tevolozza”, il più economico a50 baiocchi la canna; quello di pietra, a 55 b.; lacortina di “mattoni arrotati e stuccati” a 80 b. Aimuratori spetta inoltre la realizzazione dei mat-tonati “ordinari arrotati” e quelli con mattoni“tali bianchi come rossi”.

La “tevolozza” o “tegolozza” è dizione gene-rica che indica i laterizi ricavati dalla demolizio-ne di edifici preesistenti, quindi di dimensionidisomogenee; si selezionavano, mediante la “ca-patura”28, mattoni piuttosto sottili o tegole – dacui il nome – già collaudati dall’uso e quindipiuttosto resistenti, tanto da essere impiegatinelle parti più sollecitate dei nuclei murari, co-me, a palazzo Mattei, nelle piattabande, nellespallette o negli archi di scarico soprastanti leaperture, i cosiddetti “sordini” (ill. 13). Di nor-ma, il muro di tevolozza, per la sua irregolarità,è sempre rivestito dall’intonaco o dalla cortinalaterizia.

Il “muro di pietra”, con spezzoni di tufo ir-regolari legati da malta abbondante, è impiega-to nel corpo della muratura e, ancor più della“tevolozza”, necessita di un rivestimento che lorafforzi e ne uniformi le superfici; l’ordine digrandezza non è specificato nella documenta-zione, ma in altri cantieri si prescrive che nondebba oltrepassare il palmo29. Questa tecnicadoveva costituire un punto di forza del cantiereromano, se Bernini, nel suo viaggio a Parigi del1665, critica l’apparecchio a conci squadrati deifrancesi, sostenendo che era meglio costruire,sull’esempio degli antichi, con pietre piccole omolto grandi. Nella gara tra muratori italiani efrancesi, allestita sotto gli occhi di Colbert, iprimi realizzarono appunto due muri e una vol-ta di spezzoni non lavorati e accuratamente ba-gnati, contrariamente all’uso francese, per favo-rire la presa con la malta; naturalmente, secon-do Bernini era indispensabile usare la pozzola-

na30. Il “muro di pietra” sembra così richiamar-si esplicitamente alla concezione strutturale de-gli antichi, circostanza che rende più compren-sibile il ruolo di rivestimento affidato al para-mento di mattoni.

In palazzo Mattei, l’uso della cortina lateri-zia, o “fodera”, connota fortemente l’immagineesterna, a sottolineare il gusto per un’architet-tura severa e priva di sovrastrutture decorative(ill. 14). Dopo l’impiego di cortine regolari eperfettamente arrotate nel primo Cinquecento,il laterizio a faccia vista aveva conosciuto uncerto declino nell’architettura civile, per essererimpiazzato gradualmente dall’intonaco31. Lecostruzioni che emulavano il magistero murarioantico perseguivano un paramento tendenzial-mente monolitico, realizzato con pianelle omattoni arrotati e tagliati, affinché, come asse-risce Valadier “nell’esterna superficie non appa-risca né la porosità dei mattoni, né grossezza al-cuna di calce”; dopo la costruzione della fodera,si procedeva ad una seconda arrotatura in opera“con un mattone poco cotto, perché tolga ognipiccola posposizione, e resti la superficie doveappariscano appena le commissure dei mattoni,e ben piana come se fosse un marmo”32. A que-sto tipo, appartiene il paramento della scala dipalazzo Mattei (ill. 17), benché realizzato conlaterizi piuttosto spessi, destinato a reggere ilconfronto con i marmi antichi e gli stucchi di-sposti lungo il percorso33.

Rispetto a questi esempi antichizzanti, il se-condo Cinquecento vede la diffusione di un ti-po più economico, la cortina “arrotata, stuccatae segnata” o, ancor meno costosa, “stuccata esegnata” (ill. 15). Applicazioni frequenti riguar-davano le fabbriche di conventi e collegi o lefiancate delle chiese, da S. Giovanni dei Fioren-tini a S. Andrea della Valle, fino a quella S. Ca-terina dei Funari (1564) prospiciente il palazzodi Asdrubale34. Il suo impiego nell’architetturacivile appare legato certamente a necessità eco-

14. Cortina esterna in corrispondenza delle finestre del terzo livello. Le diversitàdi esecuzione sono dovute a fasi costruttivedifferenti.

15. Palazzo Mattei di Giove, cortina apiano terra.

16. Palazzo Mattei di Giove, cortina delterzo livello illuminata a luce radente.

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nomiche, dato che si trattava di rivestire ampiesuperfici e non più le ristrette campiture dei pa-lazzi primo-cinquecenteschi; agisce, tuttavia,anche l’esigenza di ottenere stesure vibratili, incui il sottile gioco dei chiaroscuri faccia emer-gere il carattere materico del prospetto, sinto-mo di un passaggio, come nella pittura, dalla vi-sione ottica rinascimentale a quella tattile ba-rocca (ill. 16).

Quella del palazzo Mattei è una cortina ot-tenuta con mattoni ordinari, la classe dimensio-nale più frequente, con uno spessore attorno ai3,5 cm (massimo 4 cm), taglio attorno ai 26,5cm. e testa di 13 cm. Va notato che, rispetto adaltre aree geografiche, il mattone a Roma, al-meno nel periodo considerato, assume spessorisempre piuttosto sottili35: troviamo dimensionisimili a Napoli (26,4 ´ 13,3 ´ 3,3) in occasionedi una sorta di rinascita dell’architettura in late-rizio, ma significativamente nei cantieri di pro-fessionisti formati a Roma, come DomenicoFontana e i suoi collaboratori36. Anche il colore,raramente assume il tono rossastro tipico di al-tre regioni, per attestarsi su sfumature giallo-paglierino, o giallo-rosato, naturalmente dipen-dente dalle qualità di argilla impiegata e dellacottura.

L’esecuzione di una cortina “arrotata, stuc-cata e segnata” è ben descritta ancora da Vala-dier agli inizi dell’Ottocento. I mattoni veniva-

no arrotati a pie’ d’opera solo su una costa, la-sciando il resto a rustico per favorire l’aderenzadella malta. Dopo la posa in opera, le commes-sure venivano stuccate con malta più sottile (de-finita da Valadier “colla passata”), segnando,con la costa della cazzuola e con l’ausilio di unregolo, un solco, generalmente solo orizzontaleper ribadire visivamente la regolarità dell’appa-recchio. Dopo un simile trattamento, il matto-ne risulta uniformato dalla malta, con un esitonon dissimile da certe cortine medievali (fineXI-XII secolo), che già all’epoca cercavano, co-me è noto, di recuperare la regolarità dei para-menti classici37.

Nei capitolati dei muratori sono frequentiprescrizioni per la posa in opera, come la giàmenzionata bagnatura dei mattoni, raccoman-data anche dai trattatisti, per evitare l’eccessivoassorbimento di acqua dalla malta38. Particolareattenzione è riservata alle “legature”, cioè alleammorsature destinate a collegare le fodere alnucleo, prescritte dalla letteratura per evidentiragioni statiche, ma fondamentalmente disatte-se nella pratica di cantiere per l’incremento deicosti; l’impiego di mattoni di testa aumentavainfatti inevitabilmente il numero dei laterizi im-piegati. Ciò spiega la presenza irrilevante, nellatradizione romana, di apparecchi che preveda-no un uso regolare di mattoni di testa e invecela diffusione di fodere con assoluta prevalenza

17. Il paramento laterizio dello scalone, perfettamente arrotato in opera.

18. E.E. Viollet-le-Duc, la costruzione di volte “sopra terra” nelle fondazioni (da Histoire d’une maison, Paris, 1873).

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di laterizi disposti di taglio. Probabilmente, sifaceva affidamento, forse non a torto, sulla buo-na tenuta della malta, tradizionalmente semprea base di calce e pozzolana, per il collegamentofra cortina e nucleo.

Altra lavorazione caratteristica dei muratoriè la realizzazione di volte, che in palazzo Matteicostituiscono la totalità delle coperture a pianoterra e a piano nobile (ill. 7); i solai rimangonoconfinati nei mezzanini e negli ambienti supe-riori e di servizio. Gli ambienti di rappresentan-za sono generalmente voltati a padiglione o inmisura minore con volte lunettate; agli spaziserventi (androne, loggia, scale) sono riservatebotti o crociere.

Dal punto di vista costruttivo si hanno due ti-pi di volte: quelle ordinarie “sopra terra” sono lepiù economiche e a palazzo Mattei raggiungonouno spessore in chiave di un palmo e mezzo (cir-ca 33,5 cm)39. È molto probabile che fossero co-struite tra i muri appena spiccati, sagomando laterra non ancora scavata per realizzare una sortadi centina su cui disporre, presumibilmente, unconglomerato con spezzoni di tufo40; dopo lapresa, si poteva asportare il terreno da aperturepraticate nei muri d’ambito. Si tratterebbe diuna modalità diffusa anche in altre aree geogra-fiche, per esempio a Bologna e a Napoli41; dellevolte “sopra terra”, costruite però in conci dipietra, potrebbero essere quelle raffigurate –inaspettatamente, si direbbe – in una tavola dise-

gnata da Viollet-le-Duc per illustrare la sua Hi-stoire d’une maison42 (ill. 18). Le volte su armatu-ra, realizzate in tevolozza o mattoni, avevano in-vece un costo doppio rispetto alle precedenti;erano valutate convenzionalmente come un mu-ro di tre teste, ma la realizzazione poteva esserediversificata secondo la geometria della volta. Adesempio, la volta del “salotto” di palazzo Mattei,a padiglione, fu costruita con “due teste di mat-toni sino al terzo et il resto de una testa con unmattone sopra in piano”.

Fra le opere accessorie, i capitolati attribui-scono ai muratori la posa in opera delle parti intravertino, delle travi lignee e di altre partistrutturali di solai e tetti; è prevista inoltre larealizzazione dei condotti in terracotta per losmaltimento di “necessari e sciacquatori”, al-l’interno dei muri in costruzione o, ad un costomolto maggiore, in apposita traccia ricavata damuri esistenti.

Per quanto riguarda le opere in travertino, ladocumentazione registra un ampliamento dellelavorazioni, rispetto a quanto noto della tradi-zione cinquecentesca codificata da Vasari. Il tra-vertino può infatti essere trattato “a pelle piana”per le parti semplicemente squadrate e prive dimodanature (circa 7 baiocchi al palmo, al 1630);a “pelle rustica”, cioè appena sbozzata per esse-re poi ricoperta o esibita come tale nei bugnati;a “pelle scorniciata” (9 baiocchi al palmo) neglielementi modanati (cornici, cimase, balaustre);

19. Palazzo Mattei di Giove, veduta dello scalone.

20. Reimpiego della fronte di sarcofago con Marte e Rhea Silvia (cfr. L. Guerrini,F. Carinci, Rassegna topografica dei monumenti del palazzo, in L. Guerrini(a c. di), Palazzo Mattei di Giove. Leantichità, Roma 1982) nella decorazionedello scalone.

21. Lavorazione del travertino, nicchia del secondo pianerottolo dello scalone: il fondo è in stucco segnato con la gradina.

22. Lavorazione del travertino in un portale lungo lo scalone, piano nobile.

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o, infine, con lavori “d’intaglio”, come nellarealizzazione di stemmi e capitelli, lavorazionepiù cara e pagata a stima di un perito43. La mi-surazione e valutazione in “palmi quadrati inpelle ad uso di Roma” era effettuata partendodal maggior aggetto, senza considerare laprofondità dei conci, che è stabilita alla quotastandard di un palmo e mezzo44.

Dalle indicazioni contenute nei documenti,emerge che i conci erano lavorati a pie’ d’opera,dove venivano in genere misurati prima di esse-re montati. Nella messa in opera, doveva esserericorrente, ma non costante, la collocazione de-gli elementi di travertino con le falde in piano,cioè con le venature in senso perpendicolare ri-spetto alle sollecitazioni, così come frequente-mente richiamato dalla trattatistica. La buonaesecuzione delle opere lapidee del palazzo è te-stimoniata inoltre dalla pezzatura degli elemen-ti in travertino, che rispetta lo schema trilitico:architravi e stipiti sono realizzati in pochi pezzi,spesso in uno solo, e con rari tasselli. Ma lapreoccupazione principale è, nei contratti “atutta robba”, cioè con la fornitura del materialea carico dell’impresa, che non ci siano pezzi “atradimento”, molto probabilmente, cioè, dispessore talmente ridotto e limitato alla solaparte scolpita, da non consentire una buona am-morsatura nel muro45: nel caso di stipiti e archi-travi, la posa in opera di pezzi “a tradimento”,privi pertanto di un’adeguata resistenza alle sol-lecitazioni, comportava il dimezzamento delcompenso.

Scarse invece le informazioni sulle lavora-zioni e gli strumenti usati: in genere, le prescri-zioni si riferiscono ad una lavorazione diligente,con le superfici “minutamente picchiate”, dovel’espressione, registrata anche nell’area milane-se46, fa pensare ad uno strumento a percussionediretta, come la martellina, passata più voltesulla superficie. Non sembrano evidenti le trac-ce di gradina, che invece compaiono sulle partistuccate destinate ad imitare i travertini: adesempio nel fondo delle nicchie e in alcune par-ti delle trabeazioni interne.

In linea con gli orientamenti artistici deltempo, la lavorazione è tesa ad esaltare il carat-tere irregolare del travertino, lontano dalla po-litezza classica del marmo. La finitura prevedesempre l’uso del riquadro d’anatirosi, di normarifinito a scalpello, ma generalmente mai trop-po distinguibile dal resto, quasi evitando, specieall’esterno, di rimarcare la geometria del pezzo.Nelle modanature, le parti piane sono lavorate,in quasi tutti i casi, parallelamente alla dimen-sione minore, mentre in quelle curve le tracce siallineano alla retta generatrice (ill. 20, 21).

La valutazione del lavoro eseguito dovevaessere effettuata soprattutto a vista. Ad esempio,erano ammessi tasselli, ma solo uno per pezzo e

in parti non visibili; il controllo della qualitàdell’esecuzione, inoltre, andava effettuato primache si passasse il “color bianco solito di darsi allavoro”, forse uno scialbo atto a rendere omo-genee le superfici.

La massa esterna del palazzo contrasta conambienti interni particolarmente sontuosi, incui la rievocazione della classicità, nella corte enello scalone, prepara la visione delle scene del-l’Antico Testamento che decorano l’apparta-mento a piano nobile. È certamente lo stucco agiocare un ruolo essenziale nella configurazionedi questi ambienti, quasi riesumando la ricchez-za decorativa del primo Rinascimento.

Ancora agli inizi della costruzione, l’operadello stuccatore non sembra aver acquisito unadecisa autonomia professionale, poiché rientrasostanzialmente nelle competenze del murato-re. Ciò è forse dovuto all’impiego esteso dellamodellazione a stampo, eseguibile anche damaestranze non specializzate. Nella prima fasedei lavori, infatti, ai muratori è delegata anchel’esecuzione degli stucchi di decorazione dellestanze e la realizzazione di un elemento decisi-vo come il cornicione, eseguito, secondo unaprassi corrente47, in stucco lavorato con stampisu mensole di travertino.

La situazione muta nella seconda fase, quan-do deve essere realizzata la scala monumentale(ill. 19), per la quale non sono più utilizzabili deisemplici muratori. Per le nuove opere in stucco,Asdrubale Mattei stipula un accordo privato conDonato Mazzi, già attivo nel cantiere con i mu-ratori; si stabilisce che il pagamento avvengadopo la stima di un esperto – nel caso specifico,Carlo Maderno, formatosi proprio come stuc-catore e certo non estraneo alla formatività del-lo scalone e delle altre parti decorative – decur-tata di un dieci per cento, con la possibilità peril committente di rifiutare il lavoro eseguito.Ciò attesta un ruolo difficilmente inquadrabiledello stuccatore, più vicino ai pittori e agli scul-tori, la cui opera infatti risulta sempre pagatadopo un’apposita stima48.

Le opere in stucco a palazzo Mattei contem-plano tutta la gamma espressiva del materiale(ill. 22, 24). Si va infatti dal modellato libero,soprattutto nelle cupole della scala, sempre tut-tavia compreso nei limiti delle partizioni archi-tettoniche, alla modellazione mediante stampi,largamente usata nella decorazione seriale e mi-nuta. Quest’ultima si individua, dalla presenzadi fori guida lasciati nella figura o dalle linee dipressione che circondano i rilievi (ill. 23). An-che nella decorazione in stucco non si assiste al-la riproposizione delle complesse partizioni diorigine manierista presenti nella contempora-nea architettura religiosa. A ragione quindi, ilrapporto equilibrato che si stabilisce tra le figu-re e la geometria delle volte ha suggerito a Ni-

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na Caflisch un parallelo con lo scalone del pa-lazzo dei Conservatori, episodio a sua volta an-cora legato all’età aurea dello stucco, quella diGiovanni da Udine49.

Secondo una prassi consolidata a Roma, lostucco compare inoltre per reintegrare i fram-menti antichi esposti nella corte (ill. 25). Ladocumentazione rivela che Asdrubale stessocommissionò molti dei restauri delle scultureantiche che andava comperando, ma alcunestatue provenivano in realtà dalla collezione diPaolo Mattei ed erano già state restaurate nelsecolo precedente. Dalla schedatura delle ope-re ancor oggi presenti nel palazzo, dopo levendite massicce iniziate sul finire del XVIIIsecolo, sembra che i restauri cinquecenteschiabbiano inciso prevalentemente sull’iconogra-fia delle statue, trasformando ad esempio inimperatori le preesistenti figure virili; i restau-ratori dell’età di Asdrubale invece utilizzanoanche integrazioni in stucco che assicurino laleggibilità dei frammenti scultorei, spesso pro-venienti da sarcofagi, e destinati ad essere ap-prezzati come rilievi autonomi50. Nella mag-gior parte dei casi, lo stucco si limita a sottoli-neare la presentazione quasi museale, didasca-lica del pezzo antico (ill. 22), incastonato in un

contesto che ne renda meno sensibile l’aspettoframmentario, ma senza stravolgimenti deisuoi significati; siamo ancora lontani, pertanto,dai pastiches di statue antiche che renderannocelebri molti scultori del pieno Seicento comeOrfeo Boselli51.

Il riferimento alla cultura antiquaria e laqualità formale delle opere in stucco ricondu-cono ancora una volta all’eredità del primo Ri-nascimento e sembrano contrastare con l’im-magine di primo architetto barocco attribuitanel passato a Carlo Maderno. Il palazzo diAsdrubale Mattei non sembra in effetti collo-carsi su una linea di consequenziale sviluppoverso le forme pienamente barocche, ammessoche tale linea esista. Piuttosto rivela un Mader-no che sperimenta forme, tipologie e materialidiversi, quasi alla ricerca di un superamento de-gli schemi tardocinquecenteschi, superamentoche resta però di là da venire52. Una ricerca checonsente a Carlo Maderno il dispiegamento diun ampio bagaglio professionale, in cui tecno-logie e lavorazioni ereditate dal passato sonoportate ad un elevato grado di affinamento;sarà la temperie barocca a raccogliere e poten-ziare questa cultura progettuale e tecnica perfornire risposte nuove ai vecchi problemi.

1. Sulla presenza di lombardi e ticinesi aRoma esiste una cospicua bibliografia: ri-mando al recente G. Curcio, L. Spezza-ferro (a cura di), Fabbriche e architetti tici-nesi nella Roma barocca con una scelta di an-tiche stampe, Milano 1989, pp. 64-65 e al-le relative indicazioni bibliografiche. Peri dati principali relativi al cantiere roma-no, cfr. C.P. Scavizzi, Edilizia nei secoliXVII e XVIII a Roma. Ricerca per una sto-ria delle tecniche, Roma 1983.

2. Giovanni Baglione, Le Vite de’ pittoriscultori et architetti. Dal Pontificato di Gre-gorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di Pa-pa Urbano ottavo nel 1642, Roma 1642,ed. a cura di J. Hess e H. Röttgen, Città

del Vaticano 1995, I vol., pp. 307-309.Non troppo diverso nella sostanza il pro-filo di Maderno tracciato da L. Pascoli,Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moder-ni, Perugia 1730-36, ed. con introduzio-ne di A. Marabottini, Perugia 1992, pp.959-970 (Di Carlo Maderno, a cura di E.Longo).

3. D. Sella, Salari e lavoro nell’edilizia lom-barda durante il secolo XVII, Pavia 1968, p.37-42, distingue tra mastri muratori ca-paci di investire somme di denaro e quin-di attivi anche come imprenditori, e altriimpegnati solo come prestatori d’opera;cfr. L. Giordano, I maestri muratori lom-bardi. Lavoro e remunerazione, in J. Guil-

laume (a cura di), Les chantiers de la Re-naissance, Actes du Colloque tenu à Toursen 1983-84, Paris 1991, pp. 165-173, map.166. Entrambe le categorie sono co-munque in grado di operare autonomescelte progettuali e non limitate al soloruolo di imprenditori; cfr. S. Della Torre,La costruzione: ruoli, relazioni e contesti delprocesso produttivo, in S. Della Torre, R.Schofield, Pellegrino Tibaldi architetto e ilS. Fedele di Milano. Invenzione e costruzio-ne di una chiesa esemplare, Como 1994,pp. 193-220, ma p. 198. Anche le formetipiche di appalto, “a tutta robba” o “amanifattura” sono rintracciabili in arealombarda; cfr. L. Giordano, I maestrilombardi..., cit. in questa nota; A. Scotti,

Architetti e cantieri a Milano a metà delCinquecento, in ibidem, pp. 239-246. Sulruolo dei capomastri a Roma, v. Scavizzi,Edilizia nei secoli XVII e XVIII..., cit. [cfr.nota 1], pp. 63-65.

4. Cfr. S. Benedetti, Fuori dal classicismo.Sintetismo, Tipologia, Ragione nell’architet-tura del Cinquecento, Roma 1984.

5. Questo contributo sintetizza e integraquanto già esposto in M. Bertoldi, M.C.Marinozzi, L. Scolari, C. Varagnoli, Pa-lazzo Mattei di Giove: le fasi della costruzio-ne e l’individuazione delle lavorazioni carat-teristiche, in “Ricerche di storia dell’arte”,20, 1983, pp. 65-76; M. Bertoldi, M.C.

23. Lavorazione a stampo degli stucchi nei pannelli decorativi dello scalone.

24. Fregio in “sgraffito” nell’androne.

25. Reintegrazione in stucco di un’ara antica reimpiegata come piedistallo nella corte.

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Marinozzi, L. Scolari, C. Varagnoli, Letecniche edilizie e le lavorazioni più notevolinel cantiere romano della prima metà delSeicento, in “Ricerche...” cit., pp. 77-124.I documenti relativi alla costruzione e al-la decorazione del palazzo, provenientidall’archivio Antici Mattei a Recanati so-no pubblicati in G. Panofsky-Soergel,Zur Geschichte des Palazzo Mattei di Giove,in “Römisches Jahrbuch für Kunstge-schichte”, XI, 1967-68, pp. 111-188; aquesti contributi si fa riferimento perogni indicazione documentaria nonespressamente citata nel prosieguo. Labibliografia sul palazzo è piuttosto nutri-ta; fra i testi principali, cfr.: E. Paribeni,Il palazzo Antici-Mattei in Roma e le sueopere d’arte, Roma 1932; N. Caflisch,Carlo Maderno. Ein beitrag zur Geschichteder römischen Barockarchitektur, München1934, pp. 83-89; U. Donati, Carlo Ma-derno, architetto ticinese a Roma, Lugano1957, p. 41 sgg.; H. Hibbard, Carlo Ma-derno and Roman Architecture 1580-1630,London 1971, pp. 44-47 e pp. 127-129;E. Schröter, Ein Zeichnungskabinett imPalazzo Mattei di Giove in Rom, in An-tikensammlungen in 18. Jahrhundert, Ber-lin 1981, pp. 35-72; L. Guerrini (a curadi), Palazzo Mattei di Giove. Le antichità,Roma 1982; G. Curcio, Carlo Maderno.Palazzo Mattei di Giove (1598-1618), inCurcio, Spezzaferro, Fabbriche e architet-ti..., cit. [cfr. nota 1], pp. 64-65; F. Cap-pelletti, La committenza di Asdrubale Mat-tei e la creazione della galleria nel palazzoMattei di Giove a Roma, in “Storia dell’ar-te”, 1992, 76, pp. 256-297; F. Cappellet-ti, L. Testa, Il trattenimento di Virtuosi. Lecollezioni secentesche di quadri nei palazziMattei di Roma, Roma 1994. Un rilievodell’edificio è in S. Ranellucci, Restauro emuseografia. Centralità della storia, Roma1990, figg. 22-27.

6. G. Antici Mattei, Cenni storici sulle no-bili e antiche famiglie Antici, Mattei e Anti-ci Mattei, in “Rivista del Collegio Araldi-co”, XXXIX, dic. 1941, pp. 433-458; XL,mar.-apr. 1942, pp. 75-85 e nov.-dic.1942, pp. 249-262. Fra gli studi più re-centi, cfr. E. Mac Dougall, A circus, a wildman and a dragon: family history and theVilla Mattei, in “Journal of the Society ofArchitectural Historians”, 42, 1983, pp.121-130; S. Finocchi Vitale, R. Samperi,Nuovi contributi sull’insediamento dei Mat-tei nel rione S. Angelo e sulla costruzione delpalazzo Mattei Paganica, in “Storia Archi-tettura”, VIII, 1-2, 1985, pp. 19-36;Cappelletti, Testa, Il trattenimento di Vir-tuosi...., cit. [cfr. nota 5]; M. Calvesi, Mi-chelangelo da Caravaggio: il suo rapporto coni Mattei e con altri collezionisti a Roma inCaravaggio e la collezione Mattei, catalogodella mostra (Roma 4 aprile-30 maggio1995), Roma 1995, pp. 17-28; F. Cappel-letti, Gli affanni e l’orgoglio del collezioni-sta. La storia della raccolta Mattei e l’am-biente artistico romano dal Seicento all’Otto-cento, in ibidem, pp. 39-54; L. Testa, Lacollezione di quadri di Ciriaco Mattei, in ibi-dem, pp. 29-38; C. Varagnoli, I palazzi deiMattei: il rapporto con la città, in G. Spa-gnesi (a cura di), Palazzo Mattei di Paga-nica e l’Enciclopedia Italiana, Roma 1996,pp. 135-189 (aggiornato al 1991).

7. R. Samperi, Il palazzo di Ludovico Mat-tei nel Cinquecento, in Spagnesi (a cura di),Palazzo Mattei di Paganica..., cit. [cfr. no-ta 6], pp. 191-216, ma pp. 208-211.

8. G. De Angelis d’Ossat, Congedo e risor-genza di Antonio da Sangallo il Giovane, inG. Spagnesi (a cura di), Antonio da Sangal-lo il Giovane. La vita e l’opera, Atti del XXIIcongresso di Storia dell’architettura, Ro-ma 1986, pp. 35-40; cfr. S. Benedetti, I pa-lazzi romani di Giacomo Della Porta, in Ro-ma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cul-tura dal Quattro al Seicento, atti del conve-gno (Roma, 7-10 giugno 1989), Roma1992, pp. 441-470, ma p. 448.

9. L’edificio costituisce l’angolo est dellosnodo sistino delle Quattro Fontane.L’attribuzione a Domenico Fontana ri-posa su un’annotazione di Bellori confer-mata da Martinelli; cfr. A. Blunt, Guide toBaroque Rome, Rome-London 1982, p.158; lo stesso Sisto V ordinò a Domeni-co Fontana di consegnare a Muzio Mat-tei “pezzi cinque di peperino di quelliche ne sono levati dal Settizonio quali lidoniamo per servirsene alle sue fontanein Strada Felice”; cfr. A. Bertolotti, Arti-sti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI,XVII, Milano 1881, I, p. 91.

10. Archivio di Stato di Roma (d’ora inpoi ASR), Collegio dei Notai Capitolini,L.A. Butius, vol. 308, cc. 1v. - 14r.; un al-tro inventario, conservato nell’archivioAntici-Mattei (Recanati) è pubblicato inPanofsky-Soergel, Zur Geschichte..., cit.[cfr. nota 5], pp. 167-168; cfr. Varagnoli,I palazzi dei Mattei..., cit. [cfr. nota 6], pp.154-155.

11. H. Wöllflin, Renaissance und Barock,1888, cit. in Caflisch, Carlo Maderno...,cit. [cfr. nota 5], nota 166: “Sembra im-possibile che lo stesso Maderno che ave-va costruito S. Susanna, allo stesso tem-po lavorasse a palazzo Mattei, una co-struzione che attraverso l’orizzontalità,triste e pesante, fa un’impressione auste-ra e quasi tetra” (trad. dell’A.); cfr. Hib-bard, Carlo Maderno..., cit. [cfr. nota 5],pp. 44-47, in part. pp. 45-46: “But theexterior of the Palazzo Mattei is infini-tely less novel and adventurous than thatof Santa Susanna - the façade could be byalmost anybody, and it hardly shows anadvance on its models, which were, firstand most distantly, the Palazzo Farnese,and then the Fontana palaces on whichMaderno had doubtless learned his craft.By comparison, even the Palazzo Giusti-niani seems progressive”.

12. Cfr. le interpretazioni offerte, da di-verse angolature, da L. Spezzaferro, Dal-la macchinazione alla macchina, in Curcio,Spezzaferro, Fabbriche e architetti..., cit.,[cfr. nota 1], pp. IX-XXVII; S. Benedet-ti, L’architettura di Domenico Fontana, inM. Fagiolo, M.L. Madonna, Sisto V. I.Roma e il Lazio, atti del convegno, Roma1992, pp. 397-417.

13. La distribuzione degli ambienti nelbraccio interamente nuovo, svela l’inten-zione di creare due appartamenti, forseper ragioni climatiche, con stanze grandia est, concluse dalla galleria, e stanze piùpiccole a ovest; cfr. P. Waddy, Seven-teenth-Century Roman Palaces. Use and theArt of the Plan, Cambridge (Mass.)-Lon-don 1990, pp. 17-18.

14. Sull’uso dei mezzanini, cfr. H. Hib-bard, The Architecture of the Palazzo Bor-ghese, Roma 1962, pp. 17-21; va notatoche anche nel palazzo di Muzio Mattei

alle Quattro Fontane il piano nobile as-sume una importanza preponderante. Supalazzo Serlupi Crescenzi, cfr. B. Azzaro,Palazzo Serlupi Crescenzi, in “Storia Ar-chitettura”, 1-2, 1987, pp. 89-108.

15. D. Magnan, La città di Roma, ovverobreve descrizione di questa superba città,1778, trad. it. Roma 1779, t. IV, p. 22: “ilvasto Palazzo Mattei, da Carlo Madernonel recinto del Circo Flaminio fabbrica-to. La sua decorazione, consiste sola-mente in finestre; ma l’architettura e laparti ancora sono pure.”

16. Sul rapporto tra i portali e l’organiz-zazione dei prospetti, cfr. A. Roca DeAmicis, Studi su città e architettura nellaRoma di Paolo V Borghese (1605-1621), in“Bollettino del Centro di Studi per laStoria dell’architettura”, 31, 1984, num.mon., pp. 43-53. Un disegno del portalein via dei Funari è in S. Jacob (a cura di),Italienische Zeichnungen der Kunstbi-bliothek Berlin. Architektur und Dekoration16. bis 18. Jahrhunderts, Berlin 1975, n.217; la presenza di due aquile scolpite,non realizzate, fa pensare ad un disegnodella cerchia di Maderno, tratto da unprogetto.

17. Benedetti, I palazzi romani di GiacomoDella Porta, cit. [cfr. nota 8]; cfr. ancheW. Arslan, Forme architettoniche civili diGiacomo Della Porta, in “Bollettino d’ar-te”, VI, 1926-27, I, pp. 509-528. Sul ca-so, per molti versi analogo a palazzoMattei, del palazzo Maffei-Marescotti,cfr. A. Bedon, I Maffei e il loro palazzo invia della Pigna, in “Quaderni dell’Istitutodi Storia dell’architettura”, n.s., fasc. 12,1988, pp. 45-64.

18. La statua è stata poi sostituita dal cra-tere oggi visibile; cfr. L. Guerrini, F. Ca-rinci, Rassegna topografica dei monumentidel palazzo, in Guerrini, Palazzo Mattei.Le antichità, cit. [cfr. nota 5], pp. 15-34,ma p. 21. La statua è visibile in un dise-gno per un apparato festivo settecente-sco, in cui emerge il forte impianto pro-spettico della sequenza portale-androne-scala; cfr. Jacob (a cura di), ItalienischeZeichnungen..., cit., [cfr. nota 16], n. 814.

19. Vedi, ad esempio, la soluzione analo-ga dell’impianto d’angolo in palazzo Ba-lami-Galitzin (1519-20) attribuito a Gio-vanfrancesco da Sangallo nella ricostru-zione di Ch. L. Frommel, Giovanfrancescoda Sangallo, architetto di palazzo Balami-Galitzin, in Spagnesi, Antonio da Sangal-lo..., cit. [cfr nota 8], pp. 63-69.

20. J. Wassermann, Ottaviano Mascarinoand his Drawings in the Accademia di SanLuca, Roma 1966, pp. 26-35 e pp. 108-109. Secondo H. Hibbard, Carlo Mader-no..., cit. [cfr. nota] 5, p. 46, la loggia sco-perta di palazzo Mattei sarebbe successi-va al celebre fondale di palazzo Borghe-se; tuttavia, l’impianto a due assi di que-st’ultimo, con la costruzione di una nuo-va facciata, inizia nel 1605, quando il pa-lazzo di Asdrubale si trova nella secondafase di costruzione, con entrambi i pro-spetti quasi completi; id., The Architectu-re of the Palazzo Borghese..., cit. [cfr. nota14], pp. 54-58.

21. Panofski Soergel, Zur Geschichte desPalazzo Mattei..., cit. [cfr. nota 5], pp.116-129, divide la costruzione del palaz-

zo in tre fasi, di cui le ultime due senzareale soluzione di continuità: soltantodue le fasi secondo Hibbard, The architec-ture of Carlo Maderno..., cit. [cfr. nota 5],pp. 127-129.

22. Già nel 1599, ad esempio, Adsrubalestipula un contratto con il carpentiereVittorio Ronconi per la realizzazione diporte e finestre degli ambienti ultimati;cfr. ASR, Archivio dei Trenta Notai Capito-lini, not. O. Saravezzi, vol. 42, c. 621, 6giugno 1599.

23. Panofski-Soergel, Zur Geschichte desPalazzo Mattei..., cit. [cfr. nota 5], pp.163-164.

24. I documenti mostrano che, oltre allesagome delle cornici, Maderno fornì mo-delli per altri dettagli, come le bugne: cfr.Panofski-Soergel, Zur Geschichte..., cit[cfr. nota 5], p. 116, n. 28 “Il modello èuna bugna piana, e una rustica fatto dams. Carlo Materno”.

25. Il capomastro Marcello Del Fico“piantò il lavoro all’improvviso sotto li23 de Gen[na]ro e questo per non esser-si fatto instromento”, ibid., p. 118. Eranoinfatti stati sottoscritti dei capitolati, manon davanti ad un notaio.

26. Vedi il capitolato con S. Castelli inASR, 30 Notai Capitolini, not. A. Righet-ti, vol. 68, cc. 826-842, cap. 12°: “Che ilsopradetto m[aest]ro Simone non potràsollocare ne tutta ne parte della pr[esen-te] fabrica o lavoro ne darlo a cottimo adaltri maestri acciò il lavoro non venghi[malamente] fatto, ma che tutto debbafare da propri suoi lavoranti da lui con-dotti a giornate”; si stabilisce inoltre chesiano esclusi dal novero dei lavoranti i ra-gazzi; il pagamento è da effettuarsi ognisettimana o quindici giorni a 40 baiocchia lavorante. Nei suoi colloqui con Col-bert per il cantiere del Louvre, Berniniricordava che a Roma si lavorava “a gior-nate, a cottimo, overo stima”, sostenen-do che il primo appalto è il migliore e diaver richiesto espressamente al ponteficetale modalità nel cantiere di S. Pietro;Colbert si mostrava invece più scetticosul lavoro “a giornate” poiché “il y peutavoir de grandes tromperies, à cause dupeu de fidélité”; cfr. P. Fréart De Chan-telou, Journal du voyage du Cavalier Ber-nin en France, ed. a cura di L. Lalanne,J.P. Guibbert, Aix-en-Provence 1981, p.143 ss. (30 agosto) e pp. 159-163 (6 set-tembre). Anche nella fabbrica del duomodi Milano, l’operaio era pagato a cotti-mo, cioè in base all’opera compiuta per-sonalmente o da altri lavoratori alle suedipendenze, o a tempo, cioè a giornata;cfr. Sella, Salari e lavoro..., cit. [cfr. nota3], p. 76. Lo stesso emerge dall’attivitàdelle maestranze lombarde all’estero:M.L. Mutschlechner, Imprese e maestran-ze lombarde nella Boemia del XVII secolo, inM. Casciato, S. Mornati (a cura di), Ilmodo di costruire, atti del I seminario in-ternazionale Roma 6-8 giugno 1988),Roma 1990, pp. 123-134.

27. È così ad esempio, nella prima fasedei lavori, per Matteo Canevale da Co-mo, capomastro muratore in S. Andreadella Valle, e Francesco de Rossi, scalpel-lino attivo fin dal 1582 in S. Giovanni deiFiorentini. Nella seconda trancia delcantiere, a Francesco de Rossi si affianca

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Matteo Castelli, ticinese, professionistadotato di una propria capacità creativa,non a caso chiamato alla corte polacca inqualità di architetto dal 1614. Alla par-tenza di Matteo, il cantiere sarà affidato aSimone Castelli, che porterà a termine laterza trancia del palazzo. Cfr. Panofsky-Soergel, Zur Geschichte des Palazzo..., cit.[cfr. nota 5]; Bertoldi, Marinozzi, Scola-ri, Varagnoli, Palazzo Mattei di Giove...,cit. [cfr. nota 5].

28. Si veda l’analoga operazione della“derlatura” in ambito lombardo in I.Giustina, Problemi di lessico tecnico nelladocumentazione relativa a cantieri ricchinia-ni, in S. Della Torre (a cura di), Storia del-le tecniche murarie e tutela del costruito.Esperienze e questioni di metodo, atti delconvegno (Brescia, 6-7 aprile 1995), Mi-lano 1996, pp. 205-231, ma p. 218.

29. V. il capitolato tra i PP. di S. Mariasopra Minerva e il capomastro F. Cara-bella in ASR, Ospedale di S. Spirito in Sas-sia, reg. 48, cc. 23-26, s.d. (anni ‘40 delSeicento): nel riempire i fondamenti “vistia sempre dentro la calce e l’aqua inabondanza ad effetto che li muri si fac-ciano bona presa e siano ben murati, e lisassi spezzati che non sieno più d’un pal-mo grossi”. Cfr. ASR, Congregazioni Reli-giose Maschili, Teatini in S. Andrea dellaValle, b. 2119, capitolato per i lavori dimuro (anteriore al 1591), c. 39 ss., cap. 2:“Promette [il capomastro] fare tutte lesorte di muri di pietra di manifattura,tanto sotto terra, quanto sopra terra [...]et la pietra spezzata, che non eccedi lamisura d’un pugno d’huomo, et per taleeffetto sia tenuto fare spezzare et rompe-re la pietra in terra prima che si porti inalto ad uso della fabrica”.

30. Fréart De Chantelou, Journal duvoyage..., cit. [cfr. nota 26], p. 146 (30agosto) e pp. 159-163 (6 settembre). Ber-nini sostiene senza mezzi termini che ilmodo di costruire francese non è corret-to, per la mancanza di pozzolana e per-ché non si usa bagnare i muri - evidente-mente per l’impiego di malte aeree -aspetto su cui ritornerà spesso nel suosoggiorno parigino; altro difetto è legatoal cattivo spegnimento della calce. La“gara” è descritta anche da un osservato-re certo non equanime nei confronti diBernini come Perrault, nei Mémoirs (ibid.p. 146), che osserva esterrefatto i mura-teurs italiani usare il pezzame di pietra(moëllons) non squadrato, nella convin-zione che “jeté à l’aventure il fait unemeilleure liaison avec le mortier”. Natu-ralmente, nella narrazione di Perrault, ilmuro “alla francese” resistette a lungo,mentre quello degli italiani crollò allaprima gelata.

31. Si rimanda alle recenti tesi sostenutein A. Forcellino, Il problema delle cortinelaterizie nell’architettura della prima metàdel Cinquecento, in “Ricerche di Storiadell’arte”, 41-42, 1990, pp. 53-75 e la re-censione di P.N. Pagliara in “Roma nelRinascimento. Bibliografia e note”,1991, pp. 168-179.

32. G. Valadier, L’architettura pratica det-tata nella Scuola e Cattedra dell’insigne Ac-cademia di S. Luca, I, Roma 1832, sez. XV,p. 254, dove si descrivono le cortine “ro-tate e tagliate a tutto taglio” cioè su tuttele facce. Su questi argomenti, cfr. E. Pal-

lottino, “Incrostature” romane tra Cinque-cento e Seicento, in “Ricerche di Storiadell’arte”, 41-42, 1990, pp. 77-108; ead.,Il vero e il falso XVI secolo nei rivestimentidei palazzi romani. Esempi di valutazione enuove interpretazioni tra Sette e Ottocento,in Saggi in onore di Renato Bonelli, II,“Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Ar-chitettura”, fasc. 15-20, 1990-92, pp.799-812.

33. Nel caso specifico, i mattoni sono dispessore elevato (attorno ai 4 cm.), in ge-nere non destinati al taglio, per il quale siutilizzavano laterizi sottili o pianelle. Ilparamento in questione ricorda la sagra-matura bolognese, una levigatura dellacortina che produceva una sorta di legge-ro intonachino tale che il muro “quasi unaspetto di laterizio omogeneo e monoli-tico, pur esibendo in trasparenza il tenuereticolo dei mattoni”: cfr. L. Marinelli, P.Scarpellini, L’arte muraria in Bologna nel-l’età pontificia, Bologna 1992, pp. 154-155; un espediente affine, durante questoconvegno, è stato citato da Mario Pianaper il cantiere veneziano.

34. Pallottino, “Incrostature” romane...,cit. [cfr. nota 32], cortina ordinaria conmattoni “arrotati a secco e stuccati poicon diligenza”, arriva alla conclusioneche tale cortina non era destinata ad es-sere rivestita: per analoghe considerazio-ni cfr. C. Varagnoli, Le cortine laterizie, inBertoldi, Marinozzi, Scolari, Varagnoli,Le tecniche edilizie..., cit. [cfr. nota 5].Tracce di patina ad ossalato, interpretatecome residui di interventi manutentivisuccessivi al cantiere di costruzione, sonostate rilevate sulla facciata laterizia di S.Atanasio dei Greci: cfr. C. Gratziu, Inda-gini petrografiche della facciata, in La chiesadi S. Atanasio dei Greci: il restauro della fac-ciata, in “Bollettino d’arte”, 66, 1991,LXXVI, s. VI, pp. 104-108.

35. Vedi ora L. Giustini, Fornaci e lateri-zi a Roma dal XV al XIX secolo, Roma1997, pp. 69-77.

36. L. Guerriero, Note sulle cortine laterizienapoletane dell’età moderna, in Della Torre(a cura di), Storia delle tecniche murarie e tu-tela del costruito..., cit. [cfr. nota 28].

37. Sul valore ideologico del recuperodella cortina laterizia, vedi le considera-zioni di J. Connors, Borromini e l’Oratorioromano. Stile e società, (ed. orig. Borrominiand the Roman Oratory. Style and Society1980), Torino 1989, pp. 46-49 e tabella anota 45; cfr. Pallottino, “Incrostature” ro-mane..., cit. [cfr. nota 32].

38. La ricorrenza nei capitolati romanidell’epoca è quasi ossessiva; la stessa co-stante preoccupazione mostra, come si èaccennato, Bernini nell’impostare il can-tiere del Louvre (cfr. nota 30). Natural-mente, l’usanza era diffusa anche in altriambiti; cfr. Giustina, Problemi di lessicotecnico..., cit. [cfr. nota 28], p. 209, nota17. Secondo E.E. Viollet-le-Duc, Histoi-re d’une maison, Paris 1873, rist. Bruxel-les-Liège 1979, pp. 119-124 la bagnaturaconsente di sciogliere le scorie derivantidalla cottura di impurità calcaree conte-nute nell’argilla, permettendo così di in-dividuare i laterizi inadatti alla costruzio-ne.

39. ASR, 30 Notai Capitolini, not. V. Su-

sanna, vol. 25, cc. 38-39, capitoli stabiliticon M. Canevale, 6 gennaio 1604, n. 18:“Volte supra terra ord[inari]e alte in cimaun palmo e mezzo”; n. 19 “Volte supraarmatura [...] da misurarsi per tre muri”mentre per le volte su armatura sonosempre specificati i materiali, non altret-tanto avviene per le volte su terra, ap-punto forse di conglomerato. Cfr. F.Scoppola, Palazzo Altemps. Indagini per ilrestauro della fabbrica Riario, Soderini, Al-temps, Roma 1987, pp. 276-277, capitola-to con i muratori, 3 dicembre 1577: “Levolte delle cantine che andaranno voltatesopra terra si misureranno in piano perun muro e mezzo e di grossezza di unpalmo e 1/4 fino a un palmo e mezzo[..]Le volte che andaranno fatte sopra l’ar-matura di legname... di grossezza di unpalmo e mezzo fino a un palmo e 3/4 incima si misureranno in piano per duemuri e mezzo[...]”; cfr. Scavizzi, Edilizianei secoli..., cit. [cfr. nota 1], p. 20.

40. Sulle volte “sopra terra” cfr. M. Bo-navia, Volte, in P. Marconi, F. Giovanetti,E. Pallottino, Manuale del recupero del Co-mune di Roma, Roma 1989, pp. 83-88.Laddove non sia diversamente specifica-to, si può presumere che le volte sianoeseguite in conglomerato, secondo unatecnica antica, rimasta in vita a Roma an-che durante il Medioevo: cfr. P.N. Pa-gliara, Eredità medievali in pratiche costrut-tive e concezioni strutturali del Rinascimen-to, in G. Simoncini (a cura di), Presenzemedievali nell’architettura di età moderna econtemporanea, atti del XXV Congressodi Storia dell’Architettura (Roma, 7-9giugno 1995), Roma 1997, pp. 32-48; id.,Le tecniche di costruzione nel XVI secolo, inM.E. Tittoni (a cura di), Il palazzo deiConservatori e il palazzo Nuovo in Campi-doglio. Momenti di un grande restauro a Ro-ma, Ospedaletto (Pisa) 1997, pp. 59-66.

41. Sugli usi del cantiere bolognese, vediMarinelli, Scarpellini, L’arte muraria...,cit. [cfr. nota 33], p. 116 e p. 120. Per l’a-rea napoletana, vedi G. Fiengo, Organiz-zazione e produzione edilizia a Napoli al-l’avvento di Carlo di Borbone, Napoli 1983,pp. 59-69, ma p. 64.

42. Viollet-le-Duc, Historie d’une mai-son..., cit. [cfr. nota 38], cap. XIII, fig. 35.

43. C. Marinozzi, Le opere in travertino,in Bertoldi, Marinozzi, Scolari, Varagno-li, Le tecniche edilizie..., cit. [cfr. nota 5],pp. 90-97.

44. In tutti i capitolati della fabbrica sispecifica che i conci, stipiti o architravi,debbano essere tutti di un solo pezzo.Cfr. ASR, 30 Notai Capitolini, not. Asca-nio Righetti, vol. 68, cc. 826 e 842, n. 14:“Che non possi il detto m[aest]ro Simone[Castelli da Melide] far pezzo che non va-di murato oltre gli aggetti per più di pal-mi uno e mezzo in due nel muro senzaespressa licenza...”. Dai documenti sievince che gli scalpellini lavoravano in ef-fetti “a pie’ d’opera” o comunque eranotenuti a consegnare il lavoro nei pressi delcantiere: ibidem, [il capomastro] “abbia dadare a spese sue tutti i lavori terminati,che saranno contigui alla fabbrica e nondiscosto più di 12 canne”. Sull’importan-za della profondità dei conci, che comun-que non doveva essere eccessiva, cfr. le vi-cende relative ai travertini utilizzati nellefabbriche di Campidoglio in P. Pecchiai,

Il Campidoglio nel Cinquecento sulla scortadei documenti, Roma 1950, pp. 258-273,lettere di Giacomo Della Porta e MartinoLonghi al capomastro A. Fenizi.

45. Marinozzi, Le opere in travertino, cit.[cfr. nota 5]; Pagliara, Le tecniche di co-struzione..., cit. [cfr. nota 40], p. 62.

46. Della Torre, La costruzione: ruoli, rela-zioni..., cit. [cfr. nota 3], p. 214 segnala chenel cantiere di S. Fedele era prescritto chele colonne fossero “ben battute con la pri-ma mano della martellina” all’uscita dellacava e che ai lustratori spettava poi il com-pito di “ribatter le dette colonne de minu-to”, probabilmente con altre due passatedi martellina. Cfr. Capitolato per S. Pie-tro, 1610, in ASR, Uff. 38, P. Roverius,vol. 7, c. 76 ss., “lavori di trevertino lavo-rati con ogni diligenza, e minutamentepicchiati con li suoi letti ben spianati equadrature ben drizzate in modo, che tral’uno e l’altro pezzo non resti vano perminimo che sia, ma congiungano benel’uno con l’altro e posino in falda”.

47. Si veda il caso di palazzo Altemps, ca-pitolato con i muratori, 1577, dove si sta-bilisce che i modiglioni (“modelli”) ditravertino per il cornicione “si darrannofatti [...] che non se habbi da fare altroche coprirlo di stucco”; cfr. Scoppola,Palazzo Altemps..., cit. [cfr. nota 39], p.277.

48. L. Scolari, Le opere in stucco, in Ber-toldi, Marinozzi, Scolari, Varagnoli, Letecniche edilizie..., cit. [cfr. nota 5], pp. 97-104.

49. Caflisch, Carlo Maderno..., cit [cfr.nota 5]. Ma già A. Muñoz, Carlo Mader-no, Roma s.d. [1922], p. 8, parlava addi-rittura di ispirazione classica, tratta damonumenti antichi, per la decorazionedello scalone. Un disegno di una cupolaellittica pubblicato in Jacob (a cura di),Italienische Zeichnungen..., cit. [cfr. nota16], n. 883, giudicato riferibile allo scalo-ne di palazzo Mattei, appare invece so-stanzialmente estraneo da quanto realiz-zato, per la presenza di quadri riportati eper la sovrapposizione della partizionegeometrica al modellato sottostante, diderivazione manierista.

50. Guerrini, Carinci, Rassegna topogra-fica..., cit. [cfr. nota 18]. Fra i restauricommissionati da Asdrubale, ad esem-pio dei rilievi lungo la scala e nel corti-le, si vedano i due grandi sarcofagi conscene di caccia lungo lo scalone, l’altarefunerario di supporto ad una delle sta-tue del cortile (cat. n. 42), o il rilievocon la testa di barbaro sopra la loggiascoperta (cat. n. 31).

51. Su Boselli: Ph. Dent Weil (a cura di),Osservazioni della scultura antica, Corsi-niana Vetus ms., Firenze 1978; cfr. ilclassico M. Cagiano de Azevedo, Il gustonel restauro delle opere d’arte antiche, Roma1948, pp. 28-30; A. Melucco Vaccaro,Archeologia e restauro. Tradizione e attua-lità, Milano 1989, pp. 137-141.

52. H. Hibbard, Maderno, Michelangeloand Cinquecento Tradition, in Stil undÜberlieferung in der Kunst des Abendlandes,Akten des 21. Internationalen Kongres-ses für Kunstgeschichte (Bonn 1964),Berlin 1967, II, pp. 33-41.