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PAIDEIA Pratiche didattiche e percorsi interculturali

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PAIDEIA

Pratiche didattiche e percorsi interculturali

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Direttori

Michele LSocietà Filosofica Italiana

Michele D CSocietà Filosofica Italiana

Comitato scientifico

Francesco VSocietà Filosofica Italiana

Carla PSocietà Filosofica Italiana

Pierangelo CSocietà Filosofica Italiana

Mario D PSocietà Filosofica Italiana

Mario S †Università del Salento

Giangiorgio PUniversità degli Studi di Padova

Adone BUniversità degli Studi di Padova

Pedro Francisco MUniversità degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Comitato di redazione

Carlo CYlenia D’ABrian VMarco R

Logo ed artworks della presente collana:© Andrea R A, Ground Plane Antenna

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PAIDEIA

Pratiche didattiche e percorsi interculturali

Questa collana, finalizzata alla promozione di una nuova didatticadelle scienze umane e, ancor più, allo sviluppo di un autentico dialogointerculturale, ha le sue radici nella consapevolezza dei problemifondamentali dell’epoca attuale.Se, in una immaginaria “linea di displuvio storico”, le alternative sonoo lo scontro delle civiltà oppure il confronto interculturale, qualeunica soluzione possibile per la costruzione di un futuro comune, ènecessario che quest’ultimo percorso venga intrapreso alla luce dellecategorie della reciprocità, dell’empatia e della conoscenza dell’altro:occorre, quindi, iniziare a costruire tale itinerario storico–valorialeattraverso la rivisitazione, destrutturazione e costruzione di nuovemacro–categorie, dalla concezione finalmente plurale della storia, allafondazione di una nuova razionalità, non più rigida e discriminante,alla proposta di una nuova etica razionale e universale.A questo compito fondamentale, con spirito di umiltà, ma anchecon sentita motivazione e convinta determinazione, si accinge questacollana di ricerca e di pubblicazioni.

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Volume pubblicato con il contributo della Società Filosofica Italiana,Sezione Vicentina.

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L’altra metà del cielo

Il femminile nella storia del pensiero

a cura di

Ylenia D’AutiliaMichele Di CintioMichele Lucivero

Prefazione diLidia Zocche

Contributi diYlenia D’Autilia

Michela Di CintioMichele Di Cintio

Stefano GuglielminMichele Lucivero

Lorenzo MeneghiniCarla Poncina

Tatiana Rubini

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I edizione: febbraio

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Alle nostre donne, madri, mogli, figlie, che ci sostengono con le loro parole,

ci sorreggono con le loro braccia, ci perdonano con i loro grandi cuori

e non ci fanno mai mancare l’appoggio.

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Per capire qualcosa occorre sbriciolare il mito come ci è stato tramandato

e scavare fuori dalle macerie le storie vive.

Quelle che nessuno ha raccontato. Le asce da disseppellire.

Wu Ming, Vitaliano Ravagli, Asce di guerra, 2005.

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Per capire qualcosa occorre sbriciolare il mito come ci è stato tramandato

e scavare fuori dalle macerie le storie vive.

Quelle che nessuno ha raccontato. Le asce da disseppellire.

Wu Ming, Vitaliano Ravagli, Asce di guerra, 2005.

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Indice 13 Prefazione

Lidia Zocche 15 La condizione della donna nella storia della civiltà

occidentale Michele Di Cintio 49 La condizione della donna nella civiltà orientale tra

realtà storica e rappresentazione ideale Ylenia D’Autilia 71 Le declinazioni del corpo nella poesia italiana

femminile contemporanea Stefano Guglielmin

95 La scienza e le donne

Lorenzo Meneghini 123 La donna nel mondo classico Michela Di Cintio 137 Figure femminili tra Medioevo e Rinascimento:

mistiche, filosofe, poetesse Carla Poncina 157 Sante e streghe nella storia occidentale Michele Lucivero 227 Il paradiso giace ai piedi delle madri Tatiana Rubini 239 Gli autori

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Prefazione

LIDIA ZOCCHE Da qualche anno a Schio lanciamo un bando che propone

agli operatori culturali di progettare la loro attività su un tema definito, che per il 2013 è stato “L’altra metà del cielo”.

Un tema denso di significato e di urgente attualità. L’antico proverbio cinese recitava “Le donne sostengono

l’altra metà del cielo”, poi sintetizzato, più prosaicamente, da Mao in “Le donne sono l’altra metà del cielo”.

Ma che cos’è quel cielo che le donne contribuiscono a soste-nere? A me piace intenderlo quale copertura, luogo da cui pio-vono le cose più inaspettate e auspicate, luogo metaforico della completezza, pienezza, armonia, luogo dell’immaginifico, della parità delle Anime e dei generi, nel pieno rispetto delle diffe-renze.

La Società Filosofica Italiana, con il ciclo di incontri che ha organizzato e raccolto in questo volume, ha saputo scandagliare in profondità il tema dato. E questo è far cultura.

Chi ha partecipato anche solo ad uno di questi incontri, è tornato a casa arricchito, con qualche conoscenza e con molte domande in più.

Nel corso dei secoli le donne hanno subito ingiustizie, so-prusi e perfino persecuzioni; sono state tenute ai margini della conoscenza, della cultura, della politica, della vita sociale, ma ciononostante qualcuna è riuscita ad emergere, lasciando un se-gno nella storia.

E oggi? Come ci riportano le cronache, le donne, anche italiane, rag-

giungono importanti traguardi, anche in campi considerati pret-tamente maschili, pensiamo all’astronauta Samantha Cristofo-retti, alla scienziata Fabiola Gianotti, al premio Nobel per la

L’altra metà del cieloISBN 978-88-548-9100-5DOI 10.4399/97888548910051pp. 13-14 (febbraio 2016)

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Prefazione 14

medicina Rita Levi Montalcini, alla pedagoga Maria Montesso-ri, ma purtroppo assai sovente sono protagoniste della cronaca nera.

Sembra, quasi, che si sia scatenata una sorta di guerra fra le due metà del cielo, e spesso accade che ci si tappi gli occhi di fronte a questo conflitto, all’orrore di bambine, ragazze, donne adulte “uccise” due volte, la seconda dall’indifferenza.

E se nei paesi cosiddetti sviluppati l’universo femminile rie-sce, seppure con un po’ di fatica, ad affermare la propria indi-pendenza e dignità, in tanti altri Stati la parola donna significa solo sfruttamento, emarginazione, schiavitù e violenza.

Come mamma di un maschio mi sento una grande responsa-bilità, quella di educarlo al profondo e autentico rispetto della donna: e c’è da lavorare quotidianamente, poiché lo stereotipo della donna oggetto proposta dai media è difficile da contrasta-re.

Per me essere donna oggi significa abbattere i pregiudizi e i luoghi comuni che ci stiamo portando dietro da anni, significa comprendere che la diversità tra uomo e donna non è inferiorità di quest’ultima, ma rispetto della reciproca dignità, nella consa-pevolezza che la felicità non deriva dall’arrivismo competitivo, dalla superiorità o inferiorità, ma dalla generosa e naturale complementarietà.

Lidia Zocche Responsabile Servizio Cultura

Comune di Schio

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Prefazione 14

medicina Rita Levi Montalcini, alla pedagoga Maria Montesso-ri, ma purtroppo assai sovente sono protagoniste della cronaca nera.

Sembra, quasi, che si sia scatenata una sorta di guerra fra le due metà del cielo, e spesso accade che ci si tappi gli occhi di fronte a questo conflitto, all’orrore di bambine, ragazze, donne adulte “uccise” due volte, la seconda dall’indifferenza.

E se nei paesi cosiddetti sviluppati l’universo femminile rie-sce, seppure con un po’ di fatica, ad affermare la propria indi-pendenza e dignità, in tanti altri Stati la parola donna significa solo sfruttamento, emarginazione, schiavitù e violenza.

Come mamma di un maschio mi sento una grande responsa-bilità, quella di educarlo al profondo e autentico rispetto della donna: e c’è da lavorare quotidianamente, poiché lo stereotipo della donna oggetto proposta dai media è difficile da contrasta-re.

Per me essere donna oggi significa abbattere i pregiudizi e i luoghi comuni che ci stiamo portando dietro da anni, significa comprendere che la diversità tra uomo e donna non è inferiorità di quest’ultima, ma rispetto della reciproca dignità, nella consa-pevolezza che la felicità non deriva dall’arrivismo competitivo, dalla superiorità o inferiorità, ma dalla generosa e naturale complementarietà.

Lidia Zocche Responsabile Servizio Cultura

Comune di Schio

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La condizione della donna nella storia della civiltà occidentale

MICHELE DI CINTIO

In principio era la Dea

Con questa frase, posta come titolo del paragrafo, si potrebbe sintetizzare la complessa e ampia analisi che Robert Graves compie in riferimento all’intrecciarsi delle concezioni mitico-filosofiche non solo nel bacino del Mediterraneo, ma anche nell’Europa settentrionale, nella fase che vede l’avvicendarsi di varie migrazioni di popoli nel nostro continente e che, di solito, vengono raggruppate, semplicisticamente, sotto la denomina-zione di popoli del mare.

Il riferimento a Graves costituisce l’occasione di una rifles-sione su un aspetto fondamentale, senza il quale una successiva analisi dell’evolversi o, più spesso, involversi della condizione della donna nella storia dell’Occidente rischierebbe di essere in-ficiata già nella sua impostazione.

Un’idea molto diffusa, ancora oggi, riguardo il rapporto so-cio-culturale fra uomini e donne è quella che estrapola questa interrelazione dal contesto storico per circoscriverla, quale fon-damento indiscutibile ed incontrovertibile, nell’ambito naturale.

In altri termini la natura ha reso l’uomo e la donna sicura-mente diversi, con un’accezione talmente ampia da comprende-re anche la sfera psichica ed intellettiva, ragion per cui le diffe-renze sociali, politiche e culturali che sussistono nel contesto storico non sono altro che la necessaria derivazione di tale con-dizione originaria.

È quasi superfluo sottolineare che queste differenze sono state affermate e concretamente realizzate sul terreno della sto-ria pressoché ad esclusivo vantaggio della componente maschi-le, per cui, esprimendo un’ovvietà, si può dire che la storia della

L’altra metà del cieloISBN 978-88-548-9100-5DOI 10.4399/97888548910052pp. 15-48 (febbraio 2016)

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civiltà occidentale si configura come un percorso, variegato sì, ma costantemente incentrato sulla supremazia maschile, spesso ai limiti della vera e propria sopraffazione, e su un crudele as-servimento.

È chiaro come, impostando la questione in termini a-storici, si può pervenire a posizioni dogmatiche, non confrontabili e, a volte (è il caso del Cristianesimo come dell’Islam, ad esempio), persino facendo ascendere tale fondamento alla esplicita volon-tà creatrice di Dio: la creazione di Eva da una costola di Adamo potrebbe essere considerata paradigmatica.

Nel momento in cui ci si sottrae alla dimensione storica si può sfuggire, evidentemente, al confronto, all’argomentazione ed alla confutazione.

Una riflessione sulla genesi storica della società patriarcale e, per converso, sulla preesistenza di grandi tradizioni matriar-cali, così come di concezioni religiose, incentrate sulla supre-mazia di divinità femminili, ha, in questo caso, una duplice fun-zione. In primo luogo ribadire, una volta per tutte, che l’uomo è storia e che nessuna manifestazione del suo esistere e divenire può essere concepita al di fuori della condizione di storicità: ciò vale anche per la sua realtà fisico-biologica, in quanto questa non solo non può essere concepita al di fuori del tempo, bensì è sempre in relazione con il contesto ambientale, perciò è, nel di-spiegarsi stesso del processo di ominazione un fatto culturale, quindi storico1.

In secondo luogo individuare, appunto nella contestualità storica, le origini e le cause dell’affermazione delle società pa-triarcali, riconoscendo così la precedente sussistenza di organiz-zazioni sociali ad impianto matriarcale: ne consegue che, se ci sono stati dei cambiamenti storici, questi, in senso contrario o diverso, possono nuovamente verificarsi e, di conseguenza, la presunta superiorità dell’uomo sulla donna è un percorso stori-

1 In riferimento al processo di ominazione si vedano le efficacissime pagine, che K.

O. APEL vi dedica nel suo Etica della comunicazione, Jaka Book, Milano 1992, con la distinzione, sulla scia della tesi di Von Üexkull, tra mondo di osservazione (contesto animale, basato sul nesso stimolo-risposta) e mondo di incidenza, che è quello umano, come modificazione irreversibile dell’ambiente.

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civiltà occidentale si configura come un percorso, variegato sì, ma costantemente incentrato sulla supremazia maschile, spesso ai limiti della vera e propria sopraffazione, e su un crudele as-servimento.

È chiaro come, impostando la questione in termini a-storici, si può pervenire a posizioni dogmatiche, non confrontabili e, a volte (è il caso del Cristianesimo come dell’Islam, ad esempio), persino facendo ascendere tale fondamento alla esplicita volon-tà creatrice di Dio: la creazione di Eva da una costola di Adamo potrebbe essere considerata paradigmatica.

Nel momento in cui ci si sottrae alla dimensione storica si può sfuggire, evidentemente, al confronto, all’argomentazione ed alla confutazione.

Una riflessione sulla genesi storica della società patriarcale e, per converso, sulla preesistenza di grandi tradizioni matriar-cali, così come di concezioni religiose, incentrate sulla supre-mazia di divinità femminili, ha, in questo caso, una duplice fun-zione. In primo luogo ribadire, una volta per tutte, che l’uomo è storia e che nessuna manifestazione del suo esistere e divenire può essere concepita al di fuori della condizione di storicità: ciò vale anche per la sua realtà fisico-biologica, in quanto questa non solo non può essere concepita al di fuori del tempo, bensì è sempre in relazione con il contesto ambientale, perciò è, nel di-spiegarsi stesso del processo di ominazione un fatto culturale, quindi storico1.

In secondo luogo individuare, appunto nella contestualità storica, le origini e le cause dell’affermazione delle società pa-triarcali, riconoscendo così la precedente sussistenza di organiz-zazioni sociali ad impianto matriarcale: ne consegue che, se ci sono stati dei cambiamenti storici, questi, in senso contrario o diverso, possono nuovamente verificarsi e, di conseguenza, la presunta superiorità dell’uomo sulla donna è un percorso stori-

1 In riferimento al processo di ominazione si vedano le efficacissime pagine, che K.

O. APEL vi dedica nel suo Etica della comunicazione, Jaka Book, Milano 1992, con la distinzione, sulla scia della tesi di Von Üexkull, tra mondo di osservazione (contesto animale, basato sul nesso stimolo-risposta) e mondo di incidenza, che è quello umano, come modificazione irreversibile dell’ambiente.

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co, lungo fin che si vuole, ma, comunque, circoscritto nel tempo e nello spazio, per tanto modificabile come ogni realtà umana.

Fra le tesi di Graves, ricche dell’immensa erudizione di quello studioso, emerge quella specificatamente incentrata sul culto della Dea Bianca, quale milieu religioso, diffuso nel Medi-terraneo e non solo, ma che ha costituito anche la matrice di un’evoluzione religiosa successiva apparentemente slegata da quella e persino opposta:

La mia interpretazione dei fatti è che in diversi periodi del secondo millennio a.C. una confederazione di tribù dedite al commercio, chia-mate in Egitto “il popolo del mare”, venne allontanata dall’area dell’Egeo da invasori provenienti da nord-est e da sud-est. Alcuni di questi profughi si spinsero a nord, lungo rotte commerciali più conso-lidate e raggiunsero infine la Britannia e l’Irlanda; altri si diressero a ovest, anch’essi lungo rotte familiari, e alcuni di loro raggiunsero l’Irlanda passando dall’Africa settentrionale e dalla Spagna. Altri an-cora, tra i quali i Filistei, invasero la Siria e Canaan e si impadroniro-no del santuario di Ebron nella Giudea meridionale, strappandola al clan edomita di Caleb. Ma i Calebiti (“uomini-cane”), alleati della tri-bù israelita di Giuda, lo riconquistarono circa due secoli dopo, assu-mendo contemporaneamente il controllo di gran parte della regione fi-listea. Alla fine questi scambi si armonizzarono nel Pentateuco dando luogo a un corpus di miti semitici indoeuropei e asiatici che costituì la tradizione religiosa della confederazione mista israelitica. E dunque ciò che accomuna i miti più remoti degli Ebrei, dei Greci e dei Celti è il fatto che tutte e tre le razze furono civilizzate da quella popolazione che essi vinsero e assimilarono. L’interesse della cosa non è puramen-te antiquario, perché l’attrazione popolare del cattolicesimo moderno, nonostante la presenza patriarcale della Trinità e il carattere esclusi-vamente maschile del sacerdozio, si fonda in realtà assai più sul culto tradizionale egeo della Madre e del Figlio, cui ha gradatamente fatto ritorno, che su quello del “Dio-guerriero” di origine aramaica o in-doeuropea.2 Questa interessante pagina di Graves, al di là dell’adesione o

meno alle sue tesi, che non è oggetto di questo lavoro, pone in luce, comunque, un intreccio, complesso, tra tradizioni più anti-che, relative al culto della Dea Madre con tutte le sue derivazio-

2 R. GRAVES, La Dea Bianca, Adelphi, Milano 1992, p.71.

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ni e l’avvento, connesso soprattutto alle varie ondate di invasio-ni indoeuropee, di divinità maschili predominanti.

L’intricato evolversi di queste interrelazioni e, spesso, so-vrapposizioni delinea, tuttavia, la preesistenza, non solo nel ba-cino del Mediterraneo, ma nell’intero contesto continentale eu-ropeo, di culti ancestrali, quasi tutti di carattere ctonio, legati a società prevalentemente matriarcali. Va chiarito subito, comun-que, che riferirsi al matriarcato non vuol dire, tout court, indica-re una struttura sociale, in cui il ruolo femminile sia totalmente dominante (anche, magari, sul piano della gestione del potere), bensì una varietà di costumi ed istituzioni sociali quasi sempre orientati a privilegiare l’asse ereditario matrilineare (il che, pe-rò, vuol dire che si eredita dal fratello della madre) o in grado di esaltare le figure femminili anziane come riferimenti sapienziali ed anche decisionali3.

Ne consegue che la schematizzazione, ormai da tempo con-siderata semplicistica, del Bachofen, che identificava il passag-gio dalle società matriarcali a quelle patriarcali con la transizio-ne da comunità di cacciatori-raccoglitori ad aggregati stanziali, basati sull’agricoltura, va rivista alla luce di un’interazione di culture, come di risultanze economico-sociali, molto più artico-late e molto più diluite nel tempo.

Da questo punto di vista le tesi di Marija Gimbutas, grande archeologa americana di origini lituane, sono illuminanti e trac-ciano un percorso interpretativo denso di novità e di suggestio-ni.

In sintesi la sua teoria, ampiamente espressa nel volume po-stumo Le Dee viventi4, anticipa di almeno due millenni la storia dell’Europa (considerata dalle isole britanniche a Malta, dai Pi-renei al Caucaso ecc.), introducendo il concetto di Europa anti-ca, nella quale dominava il culto della grande dea, che sovrin-tendeva, insieme, alla morte ed alla rigenerazione. Tale doppio ruolo di seminatrice e di mietitrice, esprimendo le credenze più

3 Un esempio di tal genere era dato, in tempi molto più recenti, dalla Confederazio-ne irochese, nella quale i membri maschili del consiglio delle cinque tribù erano desi-gnati dalle donne anziane dei villaggi di provenienza.

4 M. GIMBUNTAS, Le Dee viventi, Medusa, Milano 2005.

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ni e l’avvento, connesso soprattutto alle varie ondate di invasio-ni indoeuropee, di divinità maschili predominanti.

L’intricato evolversi di queste interrelazioni e, spesso, so-vrapposizioni delinea, tuttavia, la preesistenza, non solo nel ba-cino del Mediterraneo, ma nell’intero contesto continentale eu-ropeo, di culti ancestrali, quasi tutti di carattere ctonio, legati a società prevalentemente matriarcali. Va chiarito subito, comun-que, che riferirsi al matriarcato non vuol dire, tout court, indica-re una struttura sociale, in cui il ruolo femminile sia totalmente dominante (anche, magari, sul piano della gestione del potere), bensì una varietà di costumi ed istituzioni sociali quasi sempre orientati a privilegiare l’asse ereditario matrilineare (il che, pe-rò, vuol dire che si eredita dal fratello della madre) o in grado di esaltare le figure femminili anziane come riferimenti sapienziali ed anche decisionali3.

Ne consegue che la schematizzazione, ormai da tempo con-siderata semplicistica, del Bachofen, che identificava il passag-gio dalle società matriarcali a quelle patriarcali con la transizio-ne da comunità di cacciatori-raccoglitori ad aggregati stanziali, basati sull’agricoltura, va rivista alla luce di un’interazione di culture, come di risultanze economico-sociali, molto più artico-late e molto più diluite nel tempo.

Da questo punto di vista le tesi di Marija Gimbutas, grande archeologa americana di origini lituane, sono illuminanti e trac-ciano un percorso interpretativo denso di novità e di suggestio-ni.

In sintesi la sua teoria, ampiamente espressa nel volume po-stumo Le Dee viventi4, anticipa di almeno due millenni la storia dell’Europa (considerata dalle isole britanniche a Malta, dai Pi-renei al Caucaso ecc.), introducendo il concetto di Europa anti-ca, nella quale dominava il culto della grande dea, che sovrin-tendeva, insieme, alla morte ed alla rigenerazione. Tale doppio ruolo di seminatrice e di mietitrice, esprimendo le credenze più

3 Un esempio di tal genere era dato, in tempi molto più recenti, dalla Confederazio-ne irochese, nella quale i membri maschili del consiglio delle cinque tribù erano desi-gnati dalle donne anziane dei villaggi di provenienza.

4 M. GIMBUNTAS, Le Dee viventi, Medusa, Milano 2005.

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ancestrali e primigenie intorno alla vita e alla morte, accomuna-va, seppure in una miriade di rivoli mitici ed in un proliferare di sfaccettature rituali, tutto il continente.

Anche la Gimbutas, poi, identifica nel succedersi delle due grandi ondate di invasioni indoeuropee (tra 4000 e 3000 a.C.), quindi ben prima dei cosiddetti popoli del mare, di cui parla Graves, l’elemento chiave per comprendere il passaggio, anche traumatico, dalla divinità madre alla costellazione di divinità indoeuropee, con figure maschili sempre più dominanti; eviden-temente questi terremoti inerenti alla strutturazione del pan-theon di quel periodo hanno trovato corrispondenza in una tra-sformazione socio-politico-economica tale da determinare, in modo altamente strutturato, anche culturalmente, le società pa-triarcali. Ovviamente tale passaggio non può e non è stato né immediato né indolore.

Se Marija Gimbutas, da un lato, identifica nella civiltà dei Kurgan5 la matrice dei nuovi costumi patriarcali, che, attraverso le invasioni, verranno a sostituire la tradizione del culto della progenitrice del clan (il cui corpo, quasi sempre, era sepolto sot-to la capanna famigliare) con divinità e riti nuovi e prevalente-mente maschili, d’altra parte sottolinea come questa intricata tradizione sia stata dilatata nel tempo e come conservi, a lungo le tracce della precedente supremazia delle divinità femminili (e, quindi, del ruolo sociale della donna).

Basti pensare che la maggior parte delle divinità femminili del pantheon greco arcaico non sono, chiaramente, di deriva-zione indoeuropea, bensì medio-orientale quanto meno: Deme-tra, Proserpina, Afrodite e, soprattutto, la stessa Era, sono dee orientali, mutuate nel contesto olimpico greco e, spesso, violen-tate da quelli che diventeranno i loro partner maschili (basti pensare al mito di Era, violata da Zeus e a quello di Proserpina rapita da Ade); non è difficile operare una trasposizione di que-

5 Termine con cui si designano le sepolture dei sovrani e dei guerrieri illustri degli

antichissimi popoli delle steppe, da cui provengono le invasioni indoeuropee. La Gim-butas estende il termine a indicare le stesse popolazioni

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sti miti nei cambiamenti profondi, che le società greche conob-bero.

D’altronde non va dimenticato, come rileva sempre Marija Gimbutas, che l’influenza sul primigenio mondo greco esercita-ta dalla civiltà minoica, da quella hurrita, da quella egizia fino alla fenicia si è tradotta in un complesso mitologico, nel quale si evidenziano le tracce profonde di culti e di ruoli sociali e rituali femminili duri a morire. Per fare solo qualche esempio, ci si po-trebbe riferire al ruolo di Penelope, regina di Itaca, che, con il suo matrimonio legittimerebbe l’ascesa al trono di un preten-dente (il che, in una società definitivamente patriarcale, non avrebbe senso in presenza di un erede maschio legittimo come Telemaco): sembrerebbe che si stia ricalcando il rituale faraoni-co, in cui il matrimonio con consanguinee garantiva la purezza del sangue reale o, comunque, legittimava l’ascesa al potere.

Un altro episodio dell’Odissea è illuminante: quando Nausi-caa rientra in città, raccomanda ad Odisseo, una volta entrato nella reggia, di gettarsi, innanzitutto, ai piedi della regina ed a lei implorare ospitalità e protezione. Sono indicatori, chiari, di una società che, pure orientata ormai verso il predominio pa-triarcale, conserva tracce profonde e significative di ruoli sociali e rituali femminili importanti.

Nell’Europa del Neolitico e in Asia Minore (antica Anatolia) - nell’arco di tempo tra il 7000 e il 3000 a.C.- la devozione religiosa si rivolgeva alla ruota della vita e alla sua ciclica rotazione. Questa è l’area geografica e la cornice cronologica che io definisco Europa an-tica. Nell’Europa antica, il punto focale della religione comprendeva nascita, matrimonio, crescita, morte e rigenerazione, parallelamente alla coltivazione delle messi e all’allevamento degli animali. I popoli di questa area ritenevano imponderabili le forze naturali, così come piante e cicli animali e adoravano molte dee, o forse una sola dea in molte forme. La dea manifestava le sue innumerevoli forme attraverso varie fasi cicliche che vigilavano sul buon andamento di ogni cosa; molti erano i modi in cui si rivelava, nei mille accadimenti della vita: le sue raffigurazioni sono caratterizzate da un simbolismo molto com-plesso. 6

6 M. GIMBUTAS, Le Dee Viventi, cit., p.33.