Pagine Movimento Giovanile santa Giovanna Antida su Centroinforma

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6 Q Q uesto Capodanno, e lo scrivo con la C maiuscola perché merita considerazione, è stato così diverso dal solito! ... davvero un'esperienza che ha lasciato il segno. Tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di fare queste esperienze perché è solo stando "SEMPLICEMENTE INSIEME" che si diventa SEMPLICEMENTE SE STESSI e dunque... SEMPLICEMEN- TE QUALCUNO! La gioia e l'amore che derivano dalla condivisione e dallo scambio non si trovano da nessuna parte, in nessun libro … Non sono parole dette per fare retorica e sceneggiatura ma sono parole che dico col cuore in mano a chiunque leggerà, perché dopo una esperienza forte non è possibile non dire... parole forti! Mi sento PIENA, CARICA, FORTE, ENTUSIASTA e sento di poter ab- bracciare l'universo intero talmente è tanta la gioia che que- sta avventura ha lasciato in me! Chiara Maria S S EMPLICEMENTE INSIEME! Era esattamente il 6 dicembre 2011 quando suor Antonella mi ha detto: “hai già pensa- to qualcosa per capodanno?”. Io di preciso non avevo in men- te nulla e tranquillamente le ho risposto di no. Già da quel giorno è nato un presentimento in me: stavo per avere la pos- sibilità di partecipare ad un capodanno del tutto particolare. La proposta infatti era presentata con il nome “Capodanno alternativo” e prevedeva il trascorrere insieme l’ultimo giorno dell’anno a Senigallia con gli operatori della Caritas diocesana e alcune Suore della Carità all’insegna dello stare “semplicemente insieme”. Mi era data la possibilità di tra- scorrere un capodanno offrendomi all'altro, in particolar mo- do, al povero, al solo e al sofferente. Avevo tempo fino al 10 di dicembre per pensarci e dare una risposta. Perché esclude- re questa proposta? Alla fine la voglia di partecipare, che cercavo con altri pensieri di nascondere, di far diminuire, ha prevalso. Il 10 dicembre, nel pomeriggio dopo un consulto finale con la mia famiglia, che voglio rin- graziare per avermi lasciato andare, ho chiamato suor Antonella e le ho detto che avrei partecipato. Subito la sua gioia, nata dalla mia risposta, mi ha travolto e la con- vinzione di aver fatto la scelta giusta è cre- sciuta giorno dopo giorno. Il giorno 30 arri- va in fretta e la mia avventura comincia! Sono stati cinque giorni intensi e ricchi di esperienze. Ognuno di esso è iniziato con un tempo di preghiera nella cappellina della comunità di Montemarciano e questo ci ha aiutato ad affrontare e vivere l’intera giornata nel migliore dei modi. Ad ogni giornata era riservata una determinata attività da svolgere. Il venerdì sera, dopo esserci incontrati, conosciuti e aver cenato assieme, ci siamo spostati presso il tendone riscaldato montato nella piazza di Senigallia per incominciare ad allestirlo e addobbar- lo per il cenone di fine anno. Da subito è stato bello vedere tanti volontari e anche stranieri, riuniti con un unico scopo. Questa semplice e spontanea collabora- zione tra le persone ha accompa- gnato tutte le attività. La giornata più impegnativa è stata sicura- mente il 31 che ci ha visto impe- gnati tutto il giorno. Il momento più significativo è stato quello del cenone, quando abbiamo dovuto servire circa 1000 persone. I vo- lontari sono stati organizzati e divisi in gruppi, ognuno aveva il proprio compito. Sono rimasta colpita dall'importanza di essere organizzati in maniera precisa. É importante che ognuno sap- pia cosa deve fare se si vuole ottenere una buona riuscita. Il primo giorno dell'anno lo abbiamo trascorso presso il Centro di Solidarietà insieme agli ospiti, abbiamo pranzato e cenato con loro e abbiamo avuto la possibilità di ascoltare la testi- monianza di un giovane afghano, sfuggito al reclutamento dei guerriglieri e arrivato in Italia, quattro anni fa. Il racconto è stato molto coinvolgente ed è proprio vero che fino a quan- do non vieni a contatto con queste situazioni non puoi render- ti conto di come è importante la presenza di associazioni che si prendono cura di loro. Nel pomeriggio di questo primo gior- no dell'anno ci è stata offerta la possibilità di venire a cono- scenza delle tante e diverse attività della Pastorale giovanile di Senigallia presso la “Casa della Gioventù” e il “Punto Gio- vane”, momento concluso con la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo presso il duomo di Senigallia. Il giorno prima della partenza è stato caratterizzato da due momenti di preghiera molto importanti: al mattino ci è stata data la possibilità di riflettere sul brano di Vangelo che rac- conta l'incontro di Gesù con la Samaritana. Quello che più mi ha colpito di que- sto brano è come la Samaritana, nonostante non conoscesse Gesù, non si è tirata indietro davanti alla sua proposta: ha accettato il dono dell’acqua viva. La fiducia è un valo- re importantissimo che sta alla base di una solida relazione umana. In questi giorni l’ho potuta leggere negli occhi delle persone che qui chiedono aiuto alla Caritas. Il secondo momento di preghiera è stato previsto presso la cappellina del “Punto giovani” dove vi è uno splendido mosaico che rappresenta la pagina del Vangelo meditata. CAPODANNO ALTERNATIVO A SENIGALLIA CAPODANNO ALTERNATIVO A SENIGALLIA CAPODANNO ALTERNATIVO A SENIGALLIA 30 dicembre 2011 30 dicembre 2011 30 dicembre 2011- 2 gennaio 2012 2 gennaio 2012 2 gennaio 2012

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Testimonianze Movimento Giovanisgat su Centroinforma Sdc

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QQ uesto Capodanno, e lo scrivo con la C maiuscola perché merita considerazione, è stato così diverso dal solito! ...

davvero un'esperienza che ha lasciato il segno. Tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di fare queste esperienze perché è solo stando "SEMPLICEMENTE INSIEME" che si diventa SEMPLICEMENTE SE STESSI e dunque... SEMPLICEMEN-TE QUALCUNO! La gioia e l'amore che derivano dalla condivisione e dallo scambio non si trovano da nessuna parte, in nessun libro … Non sono parole dette per fare retorica e sceneggiatura ma sono parole che dico col cuore in mano a chiunque leggerà, perché dopo una esperienza forte non è possibile non dire... parole forti! Mi sento PIENA, CARICA, FORTE, ENTUSIASTA e sento di poter ab-bracciare l'universo intero talmente è tanta la gioia che que-sta avventura ha lasciato in me!

Chiara Maria

SS EMPLICEMENTE INSIEME! Era esattamente il 6 dicembre 2011 quando suor Antonella mi ha detto: “hai già pensa-

to qualcosa per capodanno?”. Io di preciso non avevo in men-te nulla e tranquillamente le ho risposto di no. Già da quel giorno è nato un presentimento in me: stavo per avere la pos-sibilità di partecipare ad un capodanno del tutto particolare. La proposta infatti era presentata con il nome “Capodanno alternativo” e prevedeva il trascorrere insieme l’ultimo giorno dell’anno a Senigallia con gli operatori della Caritas diocesana e alcune Suore della Carità all’insegna dello stare “semplicemente insieme”. Mi era data la possibilità di tra-scorrere un capodanno offrendomi all'altro, in particolar mo-do, al povero, al solo e al sofferente. Avevo tempo fino al 10 di dicembre per pensarci e dare una risposta. Perché esclude-re questa proposta? Alla fine la voglia di partecipare, che cercavo con altri pensieri di nascondere, di far diminuire, ha prevalso. Il 10 dicembre, nel pomeriggio dopo un consulto finale con la mia famiglia, che voglio rin-graziare per avermi lasciato andare, ho chiamato suor Antonella e le ho detto che avrei partecipato. Subito la sua gioia, nata dalla mia risposta, mi ha travolto e la con-vinzione di aver fatto la scelta giusta è cre-sciuta giorno dopo giorno. Il giorno 30 arri-va in fretta e la mia avventura comincia! Sono stati cinque giorni intensi e ricchi di esperienze. Ognuno di esso è iniziato con un tempo di preghiera nella cappellina della comunità di Montemarciano e questo ci ha aiutato ad affrontare e vivere l’intera giornata nel migliore dei modi. Ad ogni giornata era

riservata una determinata attività da svolgere. Il venerdì sera, dopo esserci incontrati, conosciuti e aver cenato assieme, ci siamo spostati presso il tendone riscaldato montato nella piazza di Senigallia per incominciare ad allestirlo e addobbar-lo per il cenone di fine anno. Da subito è stato bello vedere

tanti volontari e anche stranieri, riuniti con un unico scopo. Questa semplice e spontanea collabora-zione tra le persone ha accompa-gnato tutte le attività. La giornata più impegnativa è stata sicura-mente il 31 che ci ha visto impe-gnati tutto il giorno. Il momento più significativo è stato quello del cenone, quando abbiamo dovuto servire circa 1000 persone. I vo-lontari sono stati organizzati e divisi in gruppi, ognuno aveva il proprio compito. Sono rimasta colpita dall'importanza di essere

organizzati in maniera precisa. É importante che ognuno sap-pia cosa deve fare se si vuole ottenere una buona riuscita. Il primo giorno dell'anno lo abbiamo trascorso presso il Centro di Solidarietà insieme agli ospiti, abbiamo pranzato e cenato con loro e abbiamo avuto la possibilità di ascoltare la testi-monianza di un giovane afghano, sfuggito al reclutamento dei guerriglieri e arrivato in Italia, quattro anni fa. Il racconto è stato molto coinvolgente ed è proprio vero che fino a quan-do non vieni a contatto con queste situazioni non puoi render-ti conto di come è importante la presenza di associazioni che si prendono cura di loro. Nel pomeriggio di questo primo gior-no dell'anno ci è stata offerta la possibilità di venire a cono-scenza delle tante e diverse attività della Pastorale giovanile di Senigallia presso la “Casa della Gioventù” e il “Punto Gio-vane”, momento concluso con la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo presso il duomo di Senigallia. Il giorno prima della partenza è stato caratterizzato da due momenti di preghiera molto importanti: al mattino ci è stata data la possibilità di riflettere sul brano di Vangelo che rac-conta l'incontro di Gesù con la Samaritana.

Quello che più mi ha colpito di que-sto brano è come la Samaritana, nonostante non conoscesse Gesù, non si è tirata indietro davanti alla sua proposta: ha accettato il dono dell’acqua viva. La fiducia è un valo-re importantissimo che sta alla base di una solida relazione umana. In questi giorni l’ho potuta leggere negli occhi delle persone che qui chiedono aiuto alla Caritas. Il secondo momento di preghiera è stato previsto presso la cappellina del “Punto giovani” dove vi è uno splendido mosaico che rappresenta la pagina del Vangelo meditata.

CAPODANNO ALTERNATIVO A SENIGALLIA CAPODANNO ALTERNATIVO A SENIGALLIA CAPODANNO ALTERNATIVO A SENIGALLIA 30 dicembre 201130 dicembre 201130 dicembre 2011--- 2 gennaio 20122 gennaio 20122 gennaio 2012

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É stato un momento molto intenso dove ciascuno di noi ha potuto esprimere il suo grazie e condivi-dere quanto si porta a casa dopo questa esperienza. Sono stata molto contenta di aver partecipato e la cosa che più mi ha colpito è la complicità, la sintonia che da subito hanno contraddistinto il nostro grup-po. Non ci conoscevamo e venivamo da tutta Italia, eppure l'aver scelto di essere a Senigallia, per un’esperienza di volon-tariato per l'ultimo giorno dell'anno, ci accumunava tutti. Non dimenticherò mai questa esperienza e porterò con me gli sguardi, i volti, i sorrisi, le parole di tutte le persone che ho avuto la fortuna di conoscere. Ognuno di noi è un dono e solo

l'incontro con l'altro per-mette uno scambio reci-proco di valori, idee ed esperienze. Da questa avventura ho potuto capire come a volte per colmare una solitudine particolare bisogna trovare il corag-gio di fare delle scelte e andare incontro al nuo-vo. Un nuovo che, una

volta scoperto, entra a fare parte di te e ti accompagna per il resto della vita. Un grazie particolare alle Suore della Carità che ci hanno ac-compagnato in questi cinque giorni, che si sono impegnate per la realizzazione di questo progetto.

Jessica

LL 'esperienza del “Capodanno alter-nativo” a Senigallia è stata davve-

ro forte. Oltre a conoscere e a venire direttamente in contatto con realtà che sentiamo lontane da noi, abbia-mo imparato anche a "vivere insie-me". Infatti, pur venendo tutti da di-verse parti d'Italia, ci siamo subito conosciuti e uniti, collaborando insie-me. È certamente un'esperienza che lascia il segno, un'esperienza che con-siglio di vivere a chi non era con noi e soprattutto… un'esperienza che rifa-

rei! Elena MM i sono stupita di come siete

stati capaci di conoscermi, di come, in così poco tempo, siete riusci-

ti a scongelare la lastra di ghiaccio che solitamente mi isola dall'esterno… Vi ringrazio tutti perché mi avete di-mostrato quanto amore vi possa esse-re nella semplicità di un sorriso, senza ricorrere a grandi gesti, a troppe pa-role; mi avete fatto trovare il coraggio di aprire il mio cuore agli altri e mi avete fatto ritrovare quella tanto no-minata speranza, totalmente inatte-sa, per un futuro migliore, un futuro con gli altri. Vi stringo forte oltre le distanze …

Veronica

NN el pomeriggio di domenica 30 Ottobre, presso il Liceo San Vincenzo de’ Paoli di Bologna, si è tenuto un incon-

tro di formazione rivolto alla pasto-rale giovanile. Diversi i temi affron-tati e tante le cose che ognuno si è portato a casa. Tutti radicati in un unico comune denominatore: per le Suore della Carità la missione edu-cativa con i giovani è irrinunciabile. Fa parte dello spirito che corrobora ogni giorno l’attività della Congre-gazione, nell’intima consapevolezza che la costruzione del futuro non può essere barattata con un presen-te vissuto all’insegna dell’effimero. Certo, il frutto del sudore riversato nel “seminare il campo” può tardare a maturare. Certo, i gro-vigli che si incontrano non si districano attenendosi a ricette che valgono per tutti. Certo, lo sconforto nel non riuscire sempre a toccare con mano i risultati del proprio lavoro può essere dietro l’angolo. Ma se questo è certo, è ancor più cer-to che i giovani sono la vita, e lavorare con la vita genera vita.

Per questo i ragazzi ravvivano sempre lo spirito di chi ha la fortuna di stare con loro. Per questo non meritano di essere

mandati allo sbaraglio in un mon-do talvolta ostile all’autenticità dell’ essere se stessi, ma hanno tutto il diritto di avere l’”equipaggiamento” appropriato per non essere stranieri “in casa loro”. Nessuno ha mai detto che il compito sia facile, ma neppure che non sia il più importante per ga-rantire una continuità generazio-nale fondata “sulla roccia”. In que-sto, le Suore della Carità, da sem-pre si impegnano, da oggi con un elemento in più: il coinvolgimento

sempre più diffuso della componente laica, chiamata a fare un passo avanti per testimoniare una presenza sempre più responsabile. Io ho già piantato i miei semi, consegnati a tutti i presenti da suor Sabrina. Attendo con pazienza che germo-glino.

Bardulla Gabriele Preside del Liceo

UNA MISSIONE IRRINUNCIABILE UNA MISSIONE IRRINUNCIABILE UNA MISSIONE IRRINUNCIABILE

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25 dicembre 2011: DIO BAMBINO nella comunità degli UOMINI

Il 7 giugno Konlawat, a scuola, è caduto dalla sedia a rotelle mentre si preparava ad andare in classe. Il colpo provoca una ferita alla testa e un coma di 3 giorni. I medici diagno-sticano anche una polmonite in at-to, con i polmoni quasi soffocati dal catarro, quindi la necessità di fare una tracheotomia per poter aspirare e facilitare la sua respirazione. Kon-lawat non ha accettato quel “buco in gola” e si ribella come può. Appe-na mi vede entrare in corsia, comin-cia a piangere e a scuotere la testa, poi dopo alcune carezze sulla fronte e parole di conforto e di promesse, si calma e mi fissa dritto negli occhi. D’ora in poi la sua comunicazione sarà solo di sguardi e suoni guttura-li. Poi ci si accorda: le palpebre chiu-se due volte, per dire “no”; una vol-ta, per dire ” si”. A mezzanotte del 17 giugno, ricevo una telefonata dall’ospedale che mi comunica l’ar-resto cardiaco di Konlawat per 3 minuti e ancora il coma. Alle prime luci dell’alba vado all’o-spedale e mi siedo accanto, guardo questo ‘Cristo’ intubato, pallido, calmo e abbandonato. Tutto è silenzio: si ode solo il trillo del respiratore quando stabilizza la pressione dell’ossigeno. Lo guardo e lo vedo, questo bimbo nato spa-stico in un villaggio sperduto nelle montagne della Thailandia, ab-bandonato a 6 anni dalla mamma e destinato a trascinarsi tra la polvere e i maiali, unico gioco le galline e i cani. Il papà incapace di accudire un piccolo ‘disabile’ mi chiede di sostenerlo in questo gravoso compito. Visite frequenti al villaggio per capire le sue capa-cità e scrutare possibilità future. Tentativi di inserimento nella scuola materna del villaggio, con grandissime difficoltà di trasporto. Il piccolo cresce e con lui la diffi-coltà dell’accudimento. Infine, grazie al contributo di un sostegno a distanza, la scelta d’iscriverlo in una scuola per disabili con il convitto, nel capoluogo di provincia a 200 km da casa! Che gioia il giorno che ini-ziò a circolare per la scuola con la carrozzina. Finalmente era indipen-

dente, saliva e scendeva dalla sedia da solo, si serviva dell’acqua dalla fontanella quando aveva sete, e poteva sedersi al tavolo e mangiare da solo. In classe era il primo, si im-pegnava e aveva imparato a scrivere il suo nome e a leggere qualche pa-rolina. I compagni a scuola l’amava-no per il suo animo gioviale, sereno e perché non diceva mai ‘no’ di fronte alle loro richieste, e lui si tro-vava sempre mancante di tutto l’oc-corrente perché gli altri si erano serviti delle sue cose. Nella tarda mattina di quel 18 giugno rientro al villaggio per avvisare il papà e con-durlo al capezzale del figlio. Resto in ospedale ancora due giorni per con-dividere con lui l’esperienza terribile di non poter fare nulla se non toc-carlo, accarezzarlo e parlagli, rac-contargli la vita qui fuori, perché si risvegli, perché sappia che qui c’è chi gli vuol bene e lo aspetta. La preghiera è il solo sostegno e la sola speranza. Il giorno dopo, prima del rientro a casa del papà, si decide di battezzarlo: San Sebastiano sia la tua forza e il tuo coraggio per lotta-

re contro il male. Il 22 giugno come al solito quando arrivo lo accarezzo in fronte e lo bacio, poi lo guardo “buongiorno bel giovanotto”... quel giorno i suoi occhi si schiudono in un sorriso, quasi a dire “eccomi qua”. Che sollievo! Chiamo il papà,

avverto le infermiere di turno; tutti davanti al letto ad accoglierlo e far-gli i complimenti, nonostante i segni evidenti della mancanza di ossigeno. Dopo circa un mese, i medici pensa-no di trasferirlo alla terapia intensi-va di Lampang, per riavvicinarlo a casa e facilitare l’assistenza. Il rico-vero accelera il suo leggero miglio-ramento. Dopo ancora un altro me-se i medici improvvisamente decido-no il trasferimento di Sebastiano Konlawat, al piccolo e inadeguato ospedale di Chae Hom. Comincio a capire che le spese per il suo mante-nimento sono molto alte e per que-sto affrettano le dimissioni, pensan-do che la famiglia inesistente possa prenderlo in cura. Come è possibile allestire una sala con aria condizio-nata, respiratore, igiene adeguata e un generatore elettrico; chi potreb-be assicurare un’assistenza profes-sionale in un villaggio di montagna lontano dall’ospedale 80 km? Pre-ghiamo allora per il miracolo e pre-ghiamo che Dio illumini tutti coloro che devono ‘decidere’ delle sue sorti. A Chae Hom trascorriamo due giorni di grande sofferenza, in quell’ospedale c’è solo una bombola di ossigeno, in una sala comune senza nemmeno un ventilatore fun-zionante. Lo trattano come fosse un malato ‘normale’; noi ci siamo come possiamo e la famiglia è assente. Sebastiano boccheggia come un pesce e mi guarda fisso… mi dice tutto, tanto. Insisto con la caposala perché lo rinviino a Lampang ma è impossibile, senza richiesta del me-dico, prima di lunedì mattina. Do-menica pomeriggio secondo arresto cardiaco (7 minuti); corsa a Lam-pang, di nuovo in terapia intensiva dove viene soccorso adeguatamen-te ma ormai è troppo tardi, la man-canza di ossigeno al cervello questa volta ha provocato gravi lesioni. Intubato e martoriato più di prima, esausto, non riceve più flebo o anti-biotici. Il volto, le mani e i piedi sono gonfi come dei palloncini, gli occhi quando sono aperti ruotano verso l’alto o il basso, i polmoni non fun-zionano in autonomia.

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I medici fanno chiamare il papà per firmare una dichiarazione in cui, in caso di arresto cardiaco non si pratichi il massaggio al cuore, rischio di provocare ulteriori sofferenze con incrina-tura della cassa toracica ed inoltre interruzione della sommi-nistrazione dei farmaci in caso di infezioni successive. Un dilemma non da poco. Come decidere fra amore e ragio-nevolezza? La sua vita nelle nostre mani? Come decidere, chi può decidere? Dure decisioni nel tentativo di alleviare l’ulti-mo periodo della vita del piccolo Sebastiano Konlawat. Interruzione dell’accanimento terapeutico e lui, ritorna bello come prima, il cuore è forte e continua a respirare con il re-spiratore. Nell’ultimo mese è stato trasferito più volte da un reparto all’altro; ora, in pediatria è il primo lettino, è lì sotto gli occhi delle infermiere e alla vista di chiunque passi, a po-chi metri dal corridoio che porta in bagno. Sebastiano Konla-wat è lì come Gesù nel Tabernacolo, esposto per tutti e da-vanti a tutti, chi sa riconoscere la Sua presenza e inginoc-

chiarsi, guardarLo e amarLo? Il suo letto di dolore è come una sorgente di carità, chi è capace di accorgersene? Chi ha il coraggio di lasciarsi amare?

Signore com’è difficile accettare la tua via Tu vieni a me come un bimbo fragile e dipendente

Tu vivi per me come uno fra tanti, Tu soffri per me nel silenzio,

Tu muori per me solo e sconosciuto. Come celebrare la Tua nascita ora che ci sei,

così presente e invisibile? Signore Gesù,

che il mio cuore sia la Tua mangiatoia che la mia povera vita sia il luogo dell’incontro con Te

che il mio servire sia veicolo d’Amore per tutti A Te la gloria! A Te la lode per sempre!

suor Anna Rita Micelli

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DD opo un’estate ricca di tante novità e tante iniziative che

hanno risvegliato il senso di fraterni-tà e di comunione, il Signore ci dona la grazia di giungere ancora una volta al tempo dell’Avvento. Tempo di at-tesa, di silenzio interiore e di ascolto di una Parola che si fa Carne e che viene ad abitare le nostre debolezze e fragilità. Con lo sguardo illuminato da questo mistero di amore, non possiamo che riconoscerlo così attua-le nella nostra quotidianità. Abbiamo riconosciuto il nostro Signo-re nel piccolo Berihu, figlio di una mamma sordomuta e mentalmen-te disturbata che lo “custodiva” gelosamente e possessivamente impedendogli addirittura ogni mo-vimento. Forse la sua impossibilità di sentirlo con le orecchie le richie-deva di poterlo “sentire” attraver-so il contatto. Questa stretta pos-sessiva gli impediva però di cresce-re e di svilupparsi. Con pazienza, ma anche con tanto desiderio di bene insieme allo staff della clini-ca, siamo riuscite a poco a poco a far camminare il nostro piccolo Berihu. È stato davvero segno di una rinascita, di un risollevarsi da una condizione ingiusta, inaccettabile! Ora il piccolo frequenta il nostro asi-lo: cammina, gioca, impara come e con tutti gli altri bambini, ma... non ha completamente cancellato il suo passato. La mamma, infatti, una volta visto che il piccolo camminava non è stata più in grado di seguirlo e di istruirlo, un po’ per la sua impossibili-tà a parlare e un po’ per la sua inca-pacità mentale e Berihu, è cresciuto così, come ha potuto, senza ben di-

stinguere ciò che era giusto e buono da ciò che era inadeguato alla sua condizione. Così per lui era cosa nor-male mangiare insieme alle galline raccogliendo quanto poteva trovare per terra: lo fa ancora! Quando è l’ora del pranzo cerca di finire in fret-ta ciò che ha, poi si aggira vicino agli altri bambini e raccoglie dal pavimen-to ciò che è caduto... E lo stringe ge-losamente quasi fosse il cibo miglio-re. La strada è lunga per sanare cer-te ferite, acquistare una piena consa-pevolezza ed avere la giusta dignità, ma… il miracolo avverrà, perché an-

che Dio si è fatto Bambino ed è venu-to a giacere in mezzo agli animali ... per salvare l’uomo! Abbiamo riconosciuto nostro Signore nel piccolo Yared e in suo fratello Ikalo. Figli di una mamma poverissi-ma, abbandonata dalla famiglia. Era-no abituati a vivere da soli per la stra-da perché la mamma, per poter dare loro da mangiare, lavorava come manovale nei cantieri. Un giorno è capitata anche nel cantiere del no-stro muro di cinta e per lunghi mesi l’abbiamo osservata lavorare lunghe

ore portando pesanti sacchi di ce-mento sulle spalle, oppure taniche di acqua o ogni altro tipo di peso. Ab-biamo avuto la bella opportunità di darle un lavoro meno faticoso e di aiutarla ad aprire un piccolissimo posto di ristoro per i pazienti della clinica e per i dipendenti. Con lei han-no iniziato a venire nella missione anche i due bimbi! Belli! Yared (3 anni) sempre molto vivace e allegro era già però segnato dallo stesso destino della mamma. Infatti era abituato a trascorrere le giornate estive aiutando la mamma a riempire

un grande e pesante innaffiatoio e a portarlo dal rubinetto dell’acqua fino al piccolo bar: la strada non era lunga, ma per lui era come kilometrica e richiedeva tante soste per il peso del trasporto. Quando ha visto che vi era anche un altro modo di passare il suo pomeriggio sembrava così sorpre-so e sbalordito! Tanti bambini, tanti giochi, tanti canti…. Cos’è tutto questo? Ha iniziato ad affac-ciarsi e poi a poco a poco ad inte-grarsi nel gruppo dell’oratorio.

Ora frequenta con grande profitto il nostro asilo ed è sempre sorridente! Ikalo invece, un po’ più grandino, faceva fatica ad adattarsi e rimaneva sempre lontano ad osservare, fug-gendo ad ogni approccio di chiunque e mascherandosi dietro risate nervo-se. Lo abbiamo seguito un po’ più da vicino e abbiamo scoperto che pur avendo 8 anni ed essendo iscritto alla classe seconda, non era nemmeno in grado di scrivere il suo nome corret-tamente e di contare sulle dita della mano. (CONTINUA)

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La mamma lo aveva iscritto misteriosa-mente alla scuola elementare serale per lavoratori! Abbiamo raggiunto un

accordo con i Padri Salesiani che lo hanno iscritto alla loro scuola. Ora sembra più sereno e in grado di stare con i bambini e giocare con loro… forse anche ora il miracolo si sta compiendo … dalla scuola serale alla scuola del giorno e … della luce! In fondo il nostro Dio è nato nel pieno della notte quando tutto era buio ed ha illuminato il mondo! Assistere a questi miracoli che sono anche espressioni della presenza di Dio nel nostro vivere quotidiano, ci aiuta a riscoprire la grazia del mistero dell’In-carnazione, che si ripete ogni giorno e

che ci aiuta a pronunciare con Maria: “Ecco, sono la serva del Signore”. Le tante situazioni gravi e nemmeno im-maginabili che così spesso siamo chia-mate ad affrontare, ci richiamano la nostra povertà: in essa desideriamo continuare a vivere perché solo lì pos-siamo veramente accogliere il nostro Bambino Gesù. In comunione profonda e insieme a tutti voi desideriamo ripetergli: “Vieni Signore Gesù e ripeti ancora oggi il miracolo del tuo amore”. Buon Natale e Buon Anno Nuovo!

sr Costanza, sr Linda, sr Maria Luisa

DD a anni (dal 1886) la casa “G. Antonelli” è stata nel terri-torio di Terracina e provincia di Latina una “riserva di

carità e di capacità educativa”, che ha contribuito a formare generazioni di persone aiutandole a crescere nella propria identità umana e cristiana. Nata come orfanotrofio per le bambine povere dei dintorni, trasformata in Istituto nel 1917, autorizzata al funzionamento di due Case famiglia nel 2002, oggi la casa “G. Antonelli” offre servizi diversi, sempre a favore dei minori in situazioni di forte disagio: casa fami-glia, servizio diurno e uno spazio di accoglienza per emer-genze di diverso tipo (questo è un servizio nuovo, che sta per essere attivato in collaborazione con la provincia di Lati-na). Circa cinque anni fa abbiamo fatto alcune scelte per qualifi-care ulteriormente il nostro servizio a livello professionale e come espressione visibile del carisma. Tra esse, la prima è stata la formazione dell’equipe educativa, formata da 5 suo-re (3 più direttamente a servizio dei minori, ma tutte e 5 impegnate a livello educativo), e 4 laiche, di cui una psicolo-ga-psicoterapeuta per la supervisione quindicinale dell’èqui-pe, una psicologa dell’età evolutiva, una pedagogista e una educatrice professionale. Per ora tutte donne, ma c’è in vi-sta l’inserimento di una figura maschile che già collabora con noi da qualche tempo. Come èquipe abbiamo iniziato insieme un cammino di for-mazione/trasformazione, che ci ha visto coinvolte ciascuna in prima persona; coinvolte e appassionate attorno al pro-getto “Prenditi cura di lui”, che si pone nella linea del Vange-lo e nello stile educativo di santa Giovanna Antida, coniuga-to ed espresso con le linee di una “sana” antropologia che si prefigge come obiettivo di mettere la persona al centro della propria vita e valorizzarla in modo da favorire una crescita consapevole, secondo le linee di una psicologia attenta a favorire lo sviluppo delle tappe evolutive nel rispetto dei tempi e dei ritmi personali, dei bisogni relazionali, del fun-zionamento dei processi cognitivi, della costruzione del mondo affettivo-emotivo. Ci siamo “accorte” che noi Suore della Carità abbiamo una ricchezza immensa tra le mani, il carisma, e, se lasciamo

“spandere all’esterno il suo profumo”, esso comincia a risve-gliare le coscienze, a toccare e coinvolgere tanti. Ha un pote-re trasformante e creativo. Una nostra amica di Roma ci ha detto un giorno: “Voi Suore della Carità avete una marcia in più ed è questo che fa fun-zionare le cose: è l’amore, quella carità che vi caratterizza. Posso dirlo dalla conoscenza che ho di tante di voi”. È stato come un restituirci qualcosa che ci appartiene, di cui noi a volte non ci rendiamo conto. E abbiamo comincia-to a guardare il nostro carisma in modo nuovo, come ad una ricchezza dinamica, che non appartiene solo a noi ma va fatta conoscere e messa a disposizione di tutti, comin-ciando da quelli con cui operiamo giorno dopo giorno. Allo-ra, i nostri programmi, i nostri incontri, i progetti che atti-viamo, sono stati rivisitati da questa categoria “nuova”: la carità. Stiamo cercando di liberare la carità da tutto quello che nella mentalità comune, e a volte perfino nella nostra, fa pensare all’assistenza, al buonismo, alla “compassione”, alle ”buone suore”… Stiamo cercando di liberarci dai vecchi schemi che impri-gionano a volte la carità in modalità espressive (verbali e operative) non più leggibili oggi dalla nostra gente. Abbia-mo cominciato a leggere situazioni, interventi, progetti, anche politici, secondo l’ottica della carità: la carità, in ef-fetti, è una chiave per interpretare ciò che succede nel nostro piccolo mondo e addirittura nella grande storia. La carità è una via, è uno sguardo nuovo su persone e situa-zioni. È creativa all’infinito! La carità, inoltre, rende audaci, umilmente audaci, e mette in crisi tutto ciò che in noi, nelle relazioni, nel sociale, nella politica…. è dettato dall’egoi-smo, non dalla ricerca del bene comune. Nel dialogo, nel reciproco scambio tra noi Suore e i laici, le educatrici prima di tutto, ma anche alcuni volontari, perso-naggi politici, giovani del Servizio civile, tirocinanti che pra-ticano la nostra casa, operatori del Servizio Sociale, insie-me stiamo trovando un modo nuovo di vivere a servizio dei bambini e delle ragazze nella Casa famiglia, a servizio delle tante persone che arrivano ogni giorno in questo “porto di mare”: la casa “Antonelli”.

Un modo nuovo che vuole esprimere qui, nel piccolo della nostra realtà, la “nuova diaconia della carità”. Riportiamo tre testimonianze: “Ciò che mi attira e sento mio – afferma Rachele, psicologa psicoterapeuta all’Antonelli- è il poter vivere insieme una carità non assistenzialistica, ma educativa, che promuove le persone e le fa crescere. È una carità attiva, dinamica, mirata, unita ad una capacità di analisi critica che tende ad educare l’altro. Vedo integra-zione tra più livelli: la parte umana, quella educativa, quella spirituale … e al passo con i tempi”. E Chiara, la nostra educatrice più giovane, dice: “Mi piace e condivido in pie-no, il mettersi al servizio dell’altro gratuitamente, sen-za pregiudizi e l’importanza che si dà alla relazione. Anco-ra, mi incanta la forte capaci-tà di avvicinare il mondo gio-vanile, perché si dà fiducia ai giovani, spazio, ascolto alle loro idee e iniziative, aiutandoli ad integrarle nel progetto educativo della casa. Vivo con gioia insieme a voi, la cura e il rispetto dato alla persona dei minori e a tutte le altre persone che entrano in questa casa. Qui la persona del minore è al centro, la si ascolta, viene coinvolta, sostenuta a prendersi le sue re-sponsabilità e a camminare verso la propria autonomia … non si decide per loro”. E Monica, pedagogista ed educatrice presso la nostra Casa famiglia da diversi anni, così si esprime: “Nel mio lavoro sono sempre a diretto contatto con bambi-ni, ragazzi, giovani e adulti e nella mia esperienza quotidia-na c’è un’attenzione particolare per ognuno di loro e il “prendermi cura” di ciascuno. Nel corso degli anni il modo di relazionarmi con l’altro è cambiato grazie a delle espe-

rienze formative, professionali e personali. Ma l’incontro con le Suore della Carità ha arricchito la mia vita con i valo-ri del loro carisma che emergono anche dal loro stile educa-tivo quali, ascolto e accoglienza dei più “piccoli”; attenzione ai bisogni dell’altro; dono della condivisione; rapporto in-tenso nella relazione e, soprattutto, gratuità del donarsi … sempre! In particolare, mi porto la valorizzazione dell’altro,

e il crescere reciproco nel rispetto della propria dignità umana”. Anche l’aspetto esterno della casa “G. Antonelli” sta diven-tando “nuovo”, grazie all’in-teressamento e al contributo concreto di Associazioni e strutture politiche. Due anni fa il Rotary club di Roma, Terracina-Fondi ha finanziato un primo progetto di ristrutturazione di parte della casa. Lo scorso anno la Provincia di Latina, ha stanziato fondi per continuare la ristrutturazione e rendere l’insieme più fun-

zionale alle esigenze di oggi e all’accoglienza di nuove po-vertà, sempre nell’ambito dei minori. Inoltre, sempre la provincia ci ha chiesto di attivare un cor-so di formazione per i dirigenti e gli operatori di alcune Case famiglia del territorio (Formia, Pontinia, Priverno, Terracina) sul tema “L’affido familiare … una risorsa”. Partendo dal “modello” di affido che l’Antonelli sta speri-mentando da qualche anno, l’obiettivo è quello di arrivare ad un protocollo di intesa sull’affidamento familiare comu-ne alle varie case, in accordo e in collaborazione stretta con i Servizi Sociali di riferimento. Piccoli passi per “contribuire, insieme ai laici, a porre germi di un’umanità sobria, solidale e fraterna”.

suor Rosella Basciani

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Sr Anselma Fiore da Roma “Policlinico” a Palestrina sr Cesira Frattarelli da Roma “Policlinico” a Palestrina sr Evarista Palerma da Isola del Liri ad Arpino sr Gerarda Iannacci da Roma “Policlinico” a Palestrina sr M. Antida Lombardi da Roma Casa provinciale a Roma Casa generalizia sr M. Assunta Caterino da Isola del Liri ad Arpino sr M. Assunta Del Gallo da Tagliacozzo a Roma Pratosmeraldo sr M. Dolores Ianiri da Roma “Policlinico” a Roma Casa provinciale sr M. Emilia Piantadosi da Isola del Liri ad Arpino sr M. Francesca Bassi da Roma “Policlinico” a Bologna “Zoni” sr M. Luisa Liguori da Roma “Policlinico” a Castel San Pietro sr Rosa M. Tronca da Fabriano a Civitavecchia sr Vincenza Giovanetti da Arpino a Isola del Liri

Trasferimenti di novembre/dicembre