Pagine da Motore muscolare

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10 CAPITOLO I MUSCOLI E MOVIMENTI Muscoli e Movimenti Il movimento umano, come fenomeno fi - sico-fisiologico, avviene sempre per uno scontro di forze interne, prodoe dalla contrazione muscolare, contro quelle ester- ne provenien dall’ambiente circostante, tra le quali la forza di gravità è la più rappresen- tava. Se le forze muscolari superano per intensità quelle esterne, il movimento è po- sivo, altrimen sarà negavo; nel caso esse si equivalgano, il movimento è nullo (bilan- cio delle forze). In ogni caso l’avità musco- lare sussiste sempre - in regime superante, cedente o isometrico per effeo anche invo- lontario - per guidare il movimento. Il conceo fisico di forza differisce da quello fisiologico: mentre la forza in fisica si espri- me in forma veoriale, caraerizzata, oltre che dal modulo, da un punto di applicazione, direzione e verso, in ambito fisiologico viene indicata con varie denominazioni, spesso non univoche, come forza massima, veloce, esplosiva, reava. Ques termini stanno ad indicare le modalità con le quali vanno ad avarsi processi temporali ed energeci dei muscoli. Per la fisica, infa, la forza non è né veloce né esplosiva, ma len e veloci sono soltan- to i mo dei corpi a essa assoggea. Per la prima legge del moto di Newton, un corpo in quiete rimane in quiete e un corpo in moto resta in moto (e connuerà a muoversi inde- finitamente in linea rea e a velocità costan- te) finché non interverrà una forza esterna a mutare lo stato di quiete o di moto. Una for- za esterna ha, quindi, come risultato quello di variare la velocità. Ma una variazione di velocità è una accelerazione (posiva o ne- gava): perciò l’effeo di una forza esterna è di produrre un’accelerazione. (fig. 1.1) Si può concludere che l’accelerazione, a, è inversamente proporzionale alla massa ac- celerata: a= F=m . a da cui F m L’unità di misura della forza adoata nel Sistema Internazionale (SI) è il Newton, N, mentre nella praca il kg peso presso a poco equivalente a 9,8 N (peso di un corpo di massa 1 kg). Quale è la differenza? Il Newton, N, viene definito come quella forza che applicata ad un corpo avente mas- sa 1 kg imprime una accelerazione, a, di 1m/ sec2 nella direzione e verso della forza appli- cata esprimibile soo forma di equazione: 1N = 1kg . 1m sec 2 Il kg peso è la forza con cui un corpo aven- te massa 1kg è arao dalla terra con una accelerazione di gravità, g = 9,81 m/sec, al livello del mare ed alla latudine di 45°. Il kg peso è, dunque, l’intensità della forza che applicata ad un corpo di una massa di 1 kg imprime una accelerazione di 9,81 m/ sec e cioè: 1 kg p = 1 kg . 9,81 m/sec per cui 1 kg p = 9,81 N Il newton perciò rappresenta la forza neces- saria per imprimere alla massa di 1 kg l’acce- lerazione di 1 m/sec 2. (fig. 1.2). Nel muscolo scheletrico la forza è prodoa dalle fibre muscolari che lo compongono, Fig. 1.1 – Velocità di un corridore

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Pagine da Motore muscolare di Andrea Vivian

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CAPITOLO I

MUSCOLI E MOVIMENTI

Muscoli e Movimenti

Il movimento umano, come fenomeno fi-sico-fisiologico, avviene sempre per uno scontro di forze interne, prodotte dalla contrazione muscolare, contro quelle ester-ne provenienti dall’ambiente circostante, tra le quali la forza di gravità è la più rappresen-tativa. Se le forze muscolari superano per intensità quelle esterne, il movimento è po-sitivo, altrimenti sarà negativo; nel caso esse si equivalgano, il movimento è nullo (bilan-cio delle forze). In ogni caso l’attività musco-lare sussiste sempre - in regime superante, cedente o isometrico per effetto anche invo-lontario - per guidare il movimento.Il concetto fisico di forza differisce da quello fisiologico: mentre la forza in fisica si espri-me in forma vettoriale, caratterizzata, oltre che dal modulo, da un punto di applicazione, direzione e verso, in ambito fisiologico viene indicata con varie denominazioni, spesso non univoche, come forza massima, veloce, esplosiva, reattiva. Questi termini stanno ad indicare le modalità con le quali vanno ad attivarsi processi temporali ed energetici dei muscoli.Per la fisica, infatti, la forza non è né veloce né esplosiva, ma lenti e veloci sono soltan-to i moti dei corpi a essa assoggettati. Per la prima legge del moto di Newton, un corpo in quiete rimane in quiete e un corpo in moto resta in moto (e continuerà a muoversi inde-finitamente in linea retta e a velocità costan-te) finché non interverrà una forza esterna a mutare lo stato di quiete o di moto. Una for-za esterna ha, quindi, come risultato quello di variare la velocità. Ma una variazione di velocità è una accelerazione (positiva o ne-gativa): perciò l’effetto di una forza esterna è di produrre un’accelerazione. (fig. 1.1)Si può concludere che l’accelerazione, a, è inversamente proporzionale alla massa ac-celerata:

a= F=m. ada cuiFm

L’unità di misura della forza adottata nel Sistema Internazionale (SI) è il Newton, N, mentre nella pratica il kg peso presso a poco equivalente a 9,8 N (peso di un corpo di massa 1 kg).Quale è la differenza?Il Newton, N, viene definito come quella forza che applicata ad un corpo avente mas-sa 1 kg imprime una accelerazione, a, di 1m/sec2 nella direzione e verso della forza appli-cata esprimibile sotto forma di equazione:

1N = 1kg . 1m

sec2

Il kg peso è la forza con cui un corpo aven-te massa 1kg è attratto dalla terra con una accelerazione di gravità, g = 9,81 m/sec, al livello del mare ed alla latitudine di 45°.Il kg peso è, dunque, l’intensità della forza che applicata ad un corpo di una massa di 1 kg imprime una accelerazione di 9,81 m/sec e cioè:

1 kgp = 1 kg . 9,81 m/sec per cui

1 kgp = 9,81 N

Il newton perciò rappresenta la forza neces-saria per imprimere alla massa di 1 kg l’acce-lerazione di 1 m/sec2. (fig. 1.2).Nel muscolo scheletrico la forza è prodotta dalle fibre muscolari che lo compongono,

Fig. 1.1 – Velocità di un corridore

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CAPITOLO II

IL MODELLO MECCANICO DEL MUSCOLO

Il modello meccanico del muscolo

I muscoli costituiscono unità contrattili nor-malmente distinti in tre generi:

1. muscoli striati o scheletrici governati volontariamente dal sistema nervoso centrale;

2. muscoli lisci o involontari governati dal sistema nervoso vegetativo;

3. muscoli cardiaci che, sebbene involon-tari, si presentano striati.

I muscoli veri e propri sono quelli scheletri-ci, predisposti ad esercitare forze di trazione per muovere, stabilizzare un’articolazione ed agire così sulla struttura portante ossea. Questi si presentano come un insieme di fibre che si accollano le une alle altre e ciascuna

fibra appare come una fusione di cellule (sincizi) di diametro 1/1000 di millimetro e di una lunghezza fino a 10 centimetri.Ogni muscolo è formato da migliaia di fibre e ogni fibra annovera migliaia di miofibrille ca-ratterizzate dalla alternanza di bande chiare e bande scure, nel cui interno, in un fluido viscoso, scorrono tra loro filamenti spessi detti miosina e filamenti sottili detti actina, veri responsabili della contrazione. Questi fi-lamenti terminano longitudinalmente nelle linee Z, M, Z. In sezione trasversa si presen-tano in forme esagonali e definiscono una unità funzionale: il sarcomero (fig. 2.1).Oltre all’actina e alla miosina, la funzionalità del sarcomero è assicurata da altri filamenti, ponti trasversali; per esempio la titina, che ha il compito di mantenere i due filamenti prima citati al centro tra la linee Z, M, Z.

Fig. 2.1 – Rappresentazione schematica delle componenti contrattili del muscolo scheletrico

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CAPITOLO IX

CONSIDERAZIONI SULLA “FORZA DINAMICA”

Le osservazioni di L. Jesper e coll., condotte presso il “Centro di Ricerca dei Muscoli” dell’ Università di Copenaghen, riferiscono di sog-getti che nel quadricipite era presente solo il 19% di fibre lente e di altri che, invece, ne pos-siedono fino al 95%.Così non soltanto non è possibile un coinvol-gimento simultaneo di tutte le unità motorie disponibili, ma nemmeno impedire l’effetto frenante delle fibre a contrazione lenta rispet-to a quelle rapide (fig. 9.2). Perciò per quanto immediata e violenta possa essere l’azione mu-scolare, meccanismi specifici sovrintendono alla salvaguardia del sistema muscolo schele-trico. La determinazione della cosiddetta forza massima presenta notevoli difficoltà interpre-tative fra i tre tipi di contrazione isometrica, concentrica, eccentrica–concentrica.Rispetto a P0, quella concentrica può essere inferiore del 20% mentre quelle eccentrico–concentrica superiore del 10/30%. Queste differenze sono dovute allo stato di eccitazione iniziale del muscolo, che rende conto della sua “storia” precedente, ma anche dell’angolo articolare, ovvero della lunghezza del muscolo alla quale la misurazione fa rife-rimento.

Considerazioni sulla “forza dinamica”

Se P0 fornisce una base più esatta di valu-tazione rispetto alle altre espressioni della forza, per contro i tempi più lunghi di atti-vazione, da 3/5 sec, finiscono per non asse-gnare ad essa un valore caratteristico. Per questo gli esercizi specifici scarsamente compaiono nei programmi d’allenamento degli atleti, se non in quelli della ginnasti-ca maschile. Infatti in azioni di tipo esplo-sivo balistico, i tempi di realizzazione sono estremamente brevi, circa 100/200ms, e quindi solo una parte della Fmax isometrica è utilizzabile.La curva forza-tempo, espressa come fun-zione crescente della forza, F = fc (t), illu-stra la relazione con la quale si sviluppa la forza nel tempo, strettamente legata alle diverse tipologie di fibre (fig. 9.1).Va da sé che prestazioni in cui è possibile sviluppare tutta la forza, come nelle fasi di contatto dei salti, non risentono di un “tut-to e subito”. Fino ad un certo punto però, perché gli agganci tra i filamenti di actina e miosina hanno durata limitata diversa tra le singole fibre muscolari; così, mentre alcuni filamenti si agganciano, altri si sganciano. I motoneuroni più piccoli FL, a più bassa so-glia, scaricano per più lunghi periodi di tem-po mentre quelli a più alta soglia, innervati da fibre veloci, vengono attivati per scari-che di breve durata, ma ad alta frequenza di scarica. Cosicché contrazioni massimali sono prodotte dalla scarica sincrona delle diverse unità motorie, mentre il prolungarsi della contrazione, ad una scarica asincrona. Un coinvolgimento simultaneo appare per-ciò impossibile, poiché richiederebbe un unico tipo di fibre mai osservate.Nell’adulto “medio”, la distribuzione tra uni-tà lente e veloci è di circa il 50%, ma negli esseri umani esiste una grande variabilità.

TEMPO (ms) -›

I TIPO

II TIPO A

II TIPO B

FORZ

A (N

) -›

Fig. 9.1 – Comportamento contrattile dei diversi tipi di fibre

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CAPITOLO XI

DISPOSIZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI E FUNZIONALITÀ

Disposizione delle fibre muscolari e funzionalità

L’angolo di pennazione delle fibre assume un ruolo importante sulla funzionalità del muscolo rispetto all’asse di direzione della forza, in funzione della lunghezza/velocità, e della forza.Le fibre muscolari, che si estendono tra le due inserzioni tendinee, prossimale e dista-le, si dispongono diversamente in fascicoli tra i vari muscoli con differenze anche indi-viduali.In generale è possibile distinguere tre tipi principali di pennazione:

• muscoli con disposizione delle fibre orientate parallelamente alla linea di forza del tendine (fig. 11.1);

• muscoli con orientamento obliquo

alla linea di forza, con angolo unico di pennazione, muscoli unipennati;

• muscoli composti con fibre a più angoli rispetto alla linee di forza, definiti mul-tipennati.

La forza che i muscoli trasmettono effettiva-mente al tendine è rappresentata dal coseno dell’angolo di pennazione per la forza eserci-tata. Per un angolo pari a zero, il coseno è uguale a 1 e perciò tutta la forza viene tra-smessa al tendine. A seconda dell’aumenta-re dell’angolo di pennazione, il coseno avrà un valore inferiore ad 1 e perciò solo una parte della forza è trasmessa al tendine. Per cos α = 0, la forza sarebbe nulla, perciò nei muscoli umani quest’angolo è sempre com-preso tra 0 e 30 gradi e tende ad aumentare con l’ampiezza del movimento, permetten-do la contrazione in uno spazio minore di elementi contrattili (fig. 11.2).

Fig. 11.1 – Nello schema sono mostrati due tipi di disposizione delle fibre muscolari sia a riposo che in con-trazione. (A) Disposizione delle fibre pennate a riposo. I tendini sono rappresentati dalle linee di prolunga-mento dei due lati del parallelogramma. (B) Lo stesso muscolo al massimo accorciamento. Le fibre muscolari si sono accorciate di un terzo della loro lunghezza di riposo lungo il loro asse come indicato dalla freccia sottile. Il muscolo in toto si accorcia meno (freccia spessa) di quanto si accorcino le singole fibre che lo compongono. Tale differenza dipende dall’angolo tra le direzioni di accorciamento delle fibre e quella del muscolo. (C) Fibre di un muscolo fusiforme a riposo. Le linee che si irradiano dalla base del rettangolo e si portano ad un punto rappresentano i tendini. (D) Lo stesso muscolo al massimo accorciamento. Le fibre muscolari e il muscolo in toto si sono accorciati di un terzo in quanto direzione di trazione sui tendini e direzione di accorciamento delle fibre coincidono. Così benché le fibre in A e in C abbiano uguale lunghezza, l’accorciamento in B è minore di quello in D.

A b c d

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CAPITOLO XIII

MUSCOLI E DIFFERENZE DI GENERE

Supererebbe i limiti di questo lavoro un ap-profondimento circa le modificazioni che si determinano in età evolutiva nei due ses-si, sotto la spinta di un controllo genetico programmato e sotto l’influenza dei fattori ambientali. Perciò queste note si riferiranno sinteticamente e strettamente alla forza mu-scolare. Dunque se non esistono differenze tra maschi e femmine nelle fasi preadole-scenziali successivamente queste si mani-festano per assumere una connotazione assimilabile come carattere sessuale secon-dario. A che cosa è dovuto tutto ciò?Se si considera il problema da un punto di vista anatomico-fisiologico, si può rimanere delusi in prima istanza, poiché la forza eser-citata per unità di area della sezione trasver-sa di uno stesso muscolo nei due sessi è la stessa per capacità di contrazione e qualità delle fibre (fig. 13.2). Nei maschi, però, la massa muscolare è molto maggiore, soprattutto nel busto, to-race, braccia, e minore come differenza ne-gli arti inferiori rispetto alla femmine. Se si guardano le prestazioni sportive di salto o comunque con prevalente impegno degli arti inferiori, nei due sessi, si evince che

Muscoli e differenze di genere

È di comunemente noto che la forza muscola-re nei maschi è molto superiore a quella delle femmine e ciò ha indotto, soprattutto nel pas-sato, a proporre procedure di allenamento sostanzialmente differenti.In età prepuberale non esistono apprezzabili differenze di forza nei due sessi, per mancan-za degli ormoni sessuali maschili nei maschi, ma in età puberale la loro graduale compar-sa, associata alla evoluzione antropometrica–somatica evolverà verso uno sviluppo della forza fino ai 18–20 anni (fig. 13.1).Però, a causa delle continue variazioni dei processi di crescita e di sviluppo, questa evo-luzione può presentare periodi di stasi e an-che delle regressioni che possono durare fino ai sei mesi, secondo Tanner (1980).L’aumento della massa muscolare e della for-za è direttamente correlata alla sintesi di te-stosterone endogeno, sicchè la sua efficacia anabolica è dovuta ai livelli ematici dello stes-so organismo nonché all’insieme dei diversi fattori che si accompagnano nell’evoluzione verso l’età adulta.

Fig. 13.1 – Evoluzione e sviluppo della forza in ma-schi e femmine (Hettinger, 1973)

4

20

40

60

80

100%

(a)

6 8 10 12 14 16 18 20Fig. 13.2 – Forza dei flessori del braccio in relazione alla sezione trasversa in maschi e femmine (Fox e Mathews, 1981)

00

5

5

10

10

AREA DELLA SEZIONE TRASVERSA (cm2)

FORZ

A D

EI F

LESS

ORI

DEL

BRA

CCIO

(kg)

maschifemmine

15

15

20

20

25

25

30

30

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CAPITOLO XV

FORZA MUSCOLARE E MOMENTI DI FORZA

mibile, che dipendono in maniera determi-nante dalla struttura scheletrica sulla quale il muscolo agisce. Le diverse costituzioni fi-siche, biotipie, rappresentano un punto di partenza nell’indirizzo alle discipline sporti-ve. Le leve che compongono il corpo umano si presentano nei tre generi di varietà (fig. 15.1):

• di primo genere, o interfissa, in cui il fulcro è situato tra i punti di applica-zione di Fm e Fr

, per esempio nelle articolazioni del capo;

• di secondo genere, in cui la Fr è situata

tra il fulcro e il punto di applicazione delle Fm , per esempio nell’articolazio-ne del piede;

• di terzo genere, quando la Fm è situata tra il fulcro e la Fr

, per esempio nell’articolazione del gomito.

Più è lungo il braccio della Fmrispetto a quello della resistenza, tanto più la leva è vantaggiosa; di contro, il movimento sarà più limitato per escursione e velocità.In meccanica le leve sono considerate mac-chine semplici, nel corpo umano esse sono quasi tutte di terzo genere e cioè svantag-giose al fine di vincere elevate resistenze e

Forza muscolare e momenti di forza

Il sistema scheletrico sul quale agiscono le forze, interne ed esterne, può essere consi-derato, come in meccanica, un sistema arti-colato di segmenti rigidi, connesso da mol-teplici cerniere, le articolazioni.Ciascun segmento costituisce una leva, che può ruotare attorno ad un punto fisso, il fulcro. I muscoli, contraendosi, esercitano momenti di forza, dati dalla forza esercitata per il braccio, b, la minima distanza intercor-rente tra il fulcro e la forza motrice, Fm , e la forza resistente Fr.Il sistema è in equilibrio quando i due mo-menti Fm

. b = Fr . b, hanno somma alge-brica nulla (bilancio delle forze). Nel mante-nimento posturale, nelle posizioni statiche, devono essere considerati più i momenti dati dai segmenti corporei con somma alge-brica uguale a zero Sm = Sm1.Il movimento è negativo o positivo quando uno dei due momenti prevale sull’altro.Il braccio, b, assume perciò un ruolo essen-ziale ai fini della velocità e della forza espri-

Fig. 15.1 – Da sinistra a destra: articolazione del capo (a 1° genere), articolazione del piede (b 2° genere), articolazione del gomito (c 3° genere).

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CAPITOLO XVIII

CENNI SULLO SVILUPPO DELLE COMPONENTI DI CONTRAZIONE

Metodi isometriciIl modo migliore attraverso il quale un mu-scolo può esplicare la sua forza massima è dato dalla somma dell’attività contrattile delle diverse fibre reclutate dalla stimolazio-ne nervosa.Questa situazione viene a verificarsi di fron-te a una resistenza invincibile. Nonostante la tensione indotta volontariamente il muscolo è costretto a conservare il suo stato dimen-sionale, sebbene il componente contrattile si accorci a spese degli elementi elastici.Il presupposto più impostante consiste nella volontà di impegnarsi nello sforzo, indispen-sabile ai fini di stimolare e mobilitare ogni singola fibra.Le prime configurazioni metodologiche, che risalgono agli ormai lontani anni Sessanta, si devono ad Hettinger e furono studiate per soggetti posti in immobilizzazione coatta.Il sistema riscosse tanto successo per i risul-tati immediati sulla forza da essere esteso anche in ambito sportivo. Ma, successiva-mente, estreme forzature che nemmeno tenevano in conto la velocità di salita della forza, relegarono il metodo isometrico sem-pre più ai fini terapeutici e riabilitativi. Forse troppo presto, Schmidtbleicher (1983) riten-ne che la velocità di reclutamento nella de-terminazione della massima tensione fosse molto più importante della tensione stessa.Un impianto concettuale a partire proprio dalla velocità di salita della forza, può con-figurarsi:

• prestabilendo innanzitutto le condizio-ni iniziali di lunghezza del muscolo, ov-vero l’angolo articolare (per esempio nel bicipite, a 160°, 90°, 60°, 30°).

- l’intensità della tensione da sviluppare - la durata della tensione - la frequenza di allenamento.

L’angolo articolare di partenza deve essere scelto in rapporto con il movimento tecnico, nei punti più critici quali: il mantenimento posturale, le fasi di puntello o di opposizione

Cenni sullo sviluppo delle componenti di contrazione

Le espressioni della forza muscolare ven-gono regolate da un insieme di molteplici fattori, principalmente dalla componente neuronale, dalla materia contrattile, dagli elementi elastici in serie e in parallelo.Congiuntamente rappresentano un ampio campo di studi ed in letteratura esistono moltissimi ed esaurienti trattazioni sulle metodologie d’allenamento, che in questo lavoro non si potranno però ripercorrere. Tuttavia, sembra utile per completezza for-nire un quadro generale con la convinzione che precise indicazioni siano riferibili soltan-to all’ambito di una prestazione fisica.Anche se non è possibile separare netta-mente il ruolo svolto dalle tre principali componenti, si propone un approccio che tenga conto, sempre molto sinteticamente di:

1) metodi per lo sviluppo della compo-nente neuronale;

2) metodi per il miglioramento dell’ela-sticità muscolare;

3) metodi per l’aumento della massa muscolare.

I metodi diretti al miglioramento della com-ponente energetica a elevata intensità di ca-rico riguardano più gli aspetti metabolici im-plicati nella ricarica dei substrati energetici e nella eliminazione dei metaboliti che non le caratteristiche contrattili e per questo non vengono affrontati.

Tra i metodi neuronali per lo sviluppo della forza possono essere annoverati:

a) metodi isometrici;b) metodi eccentrici; c) metodi sul principio della vibrazione.

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CAPITOLO XIX

L’ENERGIA DEL MOTORE MUSCOLARE

del settore, rimangono numerosi interroga-tivi sui quali si possono fare soltanto suppo-sizioni.Le informazioni che si riportano tengono conto di conoscenze normalmente accettate e proposte in forma semplificata.

Bioenergetica della contrazione muscolareCome già detto, qualsiasi attività cellulare -e principalmente la contrazione- avviene mediante l’utilizzazione di una sostanza chiamata ATP, che ne costituisce l’elemento indispensabile continuamente ricomposto.La rottura del legame che unisce i gruppi chimici che compongono tale sostanza for-nisce ai muscoli l’energia di cui essi hanno bisogno per poter funzionare.I due gruppi chimici che formano l’ATP sono quelli detti «fosforici beta e gamma» dell’adenosintrifosfato.I muscoli, veri motori a combustione inter-na, utilizzano per la contrazione l’energia liberata dall’idrolisi del legame anidrico se-condo la reazione:A – Pα – Pβ – Pγ → A – P – P + P

Questo acido, insieme con altre sostanze, glicidi, lipidi, protidi, e con l’intervento di alcuni enzimi catalizzatori, dà origine alla complessa reazione capace di tradurre l’energia chimica in energia meccanica.II fenomeno di trasformazione comporta l’accorciamento dell’unità di base, il sarco-mero, grazie al relativo movimento dell’ac-tina e della miosina, e la decontrazione, necessaria per ripristinare le condizioni per un nuovo impulso nervoso.Però la disponibilità presente nelle cellule di ATP è piuttosto scarsa e altrettanto minime risultano le quantità di creatinfosfato, che costituisce una riserva appena sufficiente per sostenere lavori massimali per la durata di qualche secondo.Appare così chiaro che, per il prolungarsi dell’attività muscolare, l’ATP debba essere

L’energia del motore muscolareIl motore muscolare, per essere messo in moto e funzionare, ha bisogno di energia da trasformare in lavoro meccanico.Questa energia viene fornita principalmente dalla demolizione di una molecola, l’ATP, già presente nel muscolo, la quale necessita di essere continuamente resintetizzata al fine di svolgere qualsiasi attività cellulare non soltanto muscolare

(1) .

Ciò comporta l’attivazione di meccanismi molto complessi, che diversamente inter-vengono durante l’attività fisica quando questa viene condotta in forma blanda o alla massima intensità possibile. Le modalità attraverso le quali avvengono questi processi sono rappresentate da:

• Meccanismi aerobici• Meccanismi anaerobici

L’energia prodotta viene normalmente in-dicata sotto forma di kilocalorie (Kcal) per unità di tempo; però, in base a nuovi accordi internazionali, è stata adottata la misura del Joule (J).I primi studi sui sistemi energetici dell’uomo risalgono ai primi decenni del secolo scorso, quando Krogh e Linhard, nel 1923, defini-rono il debito di ossigeno e Hill il massimo consumo di ossigeno. Nel 1927 quest’ulti-mo, studiando i fenomeni integrativi tra le diverse fonti energetiche disponibili dell’or-ganismo, fu il primo a dimostrare, per la cor-sa, una maggiore economicità mediante un ritmo costante di conduzione (fig.19.1).Da allora è trascorso molto tempo e, malgra-do gli sforzi di numerosi ricercatori, studiosi

(1) La sintesi dl sostanze specifiche; che concorrono alla costituzione dell’organismo, viene indicata con il termine di anabolismo, mentre per catabolismo si intende la degrada¬zione di queste che prendo-no parte alla costituzione dell’organismo oppure di sostanze provenienti da alimenti. Per il metabolismo generale vengono impiegati prevalentemente i lipidi ed i carboi¬drati mentre le proteine giocano un ruolo principalmente per la sintesi di costituenti strutturali dei tessuti a scopi elastici.

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CAPITOLO XX

EVOLUZIONE E SVILUPPO DELLA TEORIA DELL’ALLENAMENTO

da rientrare nei limiti di tollerabilità dell’indi-viduo stesso. L’aspetto genetico rappresenta un punto di partenza imprescindibile, che da sé spiega come dagli stessi allenamenti soggetti diversi non ottengano gli stessi ri-sultati. Quest’individualità è il primo motivo che impedisce di trarre conclusioni preci-se sull’efficacia degli stimoli che l’esercizio strutturato comporta nell’organismo, se non in linea generale, anche se gli studi portati sui gemelli (soggetti identici) possono forni-re ulteriori ragguaglio. Stimoli molto blandi o occasionali non producono effetti d’adat-tamento nell’organismo, così come stimoli troppo intensi. Sono le leggi della natura, le stesse che hanno consentito l’evoluzione e la scomparsa di tutte le specie viventi quando l’ambiente è cambiato troppo bruscamente. C’è da aggiungere che la pressione ambien-tale esterna è di importanza fondamentale per la vita; in assenza di questa, è possibile osservare una riduzione funzionale e strut-turale che, senza eccezione alcuna, investe tutti gli organi e apparati.Ma come funziona questo meccanismo?Detto molto sinteticamente: allo stato di ri-poso, i diversi sistemi biologici si stabilizzano in una condizione di equilibrio definito “equi-librio omeostatico”, la cui rottura, dovuta allo sforzo fisico e ad agenti esterni, determina uno stato definito di “eterostasi”. In ragione dell’intensità, della durata e del complesso delle azioni agenti, molti parametri fisiolo-gici si innalzano, mentre altri si abbassano. Fattore di rilievo che alcuni di questi pos-sono sussistere in un “range” molto ampio -come la frequenza cardiaca che può andare da 40 pulsazioni al minuto a oltre 200- e altri in uno più ridotto, come il lattato ematico. Il ritorno alla normalità avviene però in tempi molto differenti, che dipendono dallo stato di adattamento del soggetto, da pochi minu-ti come nella frequenza cardiaca, a più giorni come per le proteine reattive (CRP) e la crea-tinchinasi (CK) o poche ore come per gli acidi

Evoluzione e sviluppo della teoria dell’allenamento

Il funzionamento del motore muscolare è do-vuto alla risultante di un sistema complesso, in cui i vari organi si trovano partecipanti in diversa misura nell’attuare un lavoro ester-no. Nello sport, l’aumento del potenziale motorio costituisce l’obiettivo principale; su questo tema esiste una vasta letteratura, con elementi di indirizzo non sempre univoci.Allo stato attuale abbiamo ancora frammen-tarie testimonianze scientifiche sulla logica delle leggi che regolano i processi dell’adat-tamento fisico all’esercizio intensivo. La preparazione verso alti risultati, in qualsiasi disciplina sportiva, appare oggi più che mai come un’organizzazione di stimoli specifici diretti non soltanto all’incremento del po-tenziale bioenergetico di prestazione, ma anche alle capacità di utilizzazione di questo stesso potenziale. Ora per tale utilizzazione bisogna mettere in conto una molteplicità di altri fattori, altrettanto specifici, che han-no la loro ricaduta su abilità speciali, sulla tecnica, sulla salute, sulla personaòlità. Ma più elementi intervengono nella definizione di un problema, più diventa difficile perve-nire ad un quadro concettuale univoco ed esauriente. La spinta alla ricerca scientifica negli ultimi decenni è, nella storia degli stu-di in questione, senza precedenti e spazia dall’ambito fisiologico a quello meccanico, da quello psicologico a quello sociale ed esi-stono, naturalmente, più scuole di pensiero le quali, pur non disconoscendo i dati incon-testabili della ricerca, assegnano agli stessi una diversa contestualizzazione.Ma a che punto siamo?Abbiamo oggi l’idea corretta che l’organizza-zione dell’allenamento fondi le sue leggi sul-la proprietà della materia vivente di adattarsi agli stimoli esterni, se questi hanno modo di agire secondo dinamiche complesse, ma tali