Pagine da inganno della perfezione corporea

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14 Francesco Riccardo CAP I TOLO 1 S CHEM A CO R PORE O E IM M A G I NE CO R P O R E A Il concetto di schema corporeo nasce all’interno della neurologia, per spie- gare alcuni disturbi singolari e di difficile comprensione, almeno per la neu- rologia associazionistica e localizzatrice dell’800. Alla fine dell’Ottocento, infatti, alcuni autori propongono che a partire dalle varie sensazioni ce- nestesiche, o di altro genere, si costituisce lo schema unitario del nostro corpo: schema che può essere alterato in particolari condizioni patolo- giche come l’arto fantasma, la somatoagnosia, eccetera. Questo vissuto del proprio corpo riceverà nomi diversi, a secondo delle diverse con- cezioni che rimangono fondamentalmente neurologiche. Pick lo chia- merà autotopognosia; Head modello o schema posturale; Von Bogaert immagine di Sé; Lhermitte immagine corporea, fino alla fortunata for- mulazione di Schilder di schema corporeo. Lo schema corporeo è una vera e propria “costruzione” che il sog- getto fa di sé stesso, attraverso la rappresentazione che ha del pro- prio corpo. Esso dipende dalle sensazioni tattili, visive, cenestesiche, per arrivare alla componente sociale, ovvero al confronto fra la pro- pria immagine corporea e le immagini corporee degli altri. In psicologia, afferma Lhermitte, «per immagine si intende la rivivi- scenza di una percezione, di un ricordo. Ora ciò che si intende per im- magine corporea, appare chiaramente come percezione, vale a dire una immagine attuale legata alle varie afferenze sensoriali, cioè una immagine-ricordo. E ciò che si intende per immagine corporea com- prende ad un tempo una percezione ed una rappresentazione» (Lhermitte M. J., 1942). Negli anni Venti, P. Schilder elaborò delle teorie sullo schema corporeo che ebbero grande successo, in quanto propone- vano una visione interdisciplinare che superava la dicotomia cartesiana fra res extensa e res cogitans, ovvero il dualismo soma-psiche.

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L'inganno della perfezione corporea

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Riccardo

CAPITOLO 1

SCHEMA CORPOREO

E IMMAGINE CORPOREA

Il concetto di schema corporeo nasce all’interno della neurologia, per spie-gare alcuni disturbi singolari e di difficile comprensione, almeno per la neu-rologia associazionistica e localizzatrice dell’800. Alla fine dell’Ottocento,infatti, alcuni autori propongono che a partire dalle varie sensazioni ce-nestesiche, o di altro genere, si costituisce lo schema unitario del nostrocorpo: schema che può essere alterato in particolari condizioni patolo-giche come l’arto fantasma, la somatoagnosia, eccetera. Questo vissutodel proprio corpo riceverà nomi diversi, a secondo delle diverse con-cezioni che rimangono fondamentalmente neurologiche. Pick lo chia-merà autotopognosia; Head modello o schema posturale; Von Bogaertimmagine di Sé; Lhermitte immagine corporea, fino alla fortunata for-mulazione di Schilder di schema corporeo.

Lo schema corporeo è una vera e propria “costruzione” che il sog-getto fa di sé stesso, attraverso la rappresentazione che ha del pro-prio corpo. Esso dipende dalle sensazioni tattili, visive, cenestesiche,per arrivare alla componente sociale, ovvero al confronto fra la pro-pria immagine corporea e le immagini corporee degli altri.

In psicologia, afferma Lhermitte, «per immagine si intende la rivivi-scenza di una percezione, di un ricordo. Ora ciò che si intende per im-magine corporea, appare chiaramente come percezione, vale a direuna immagine attuale legata alle varie afferenze sensoriali, cioè unaimmagine-ricordo. E ciò che si intende per immagine corporea com-prende ad un tempo una percezione ed una rappresentazione»(Lhermitte M. J., 1942).

Negli anni Venti, P. Schilder elaborò delle teorie sullo schemacorporeo che ebbero grande successo, in quanto propone-vano una visione interdisciplinare che superava la dicotomiacartesiana fra res extensa e res cogitans, ovvero il dualismosoma-psiche.

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Riccardo

CAPITOLO 2

APPARENZA FISICA E

IMMAGINE CORPOREA

Bisogna saper distinguere l’apparenza dalla sostanza: quando si muore di sete, è inutile cercare un calice d’oro.

Orazio

Negli ultimi 30 anni le donne e via via anche gli uomini hanno sviluppatouna crescente preoccupazione rispetto al proprio corpo. Sfortunata-mente però questo esame meticoloso del corpo non ha portato le per-sone a vedersi in modo più chiaro, a “sentirsi corpo”, fino al punto chel’insoddisfazione corporea è la norma. La magrezza è diventata il sim-bolo universale della felicità personale a fronte di una crescente obe-sità nella popolazione. Sfortunatamente il contrasto tra biologia ecultura ha penalizzato le donne che, come mai in passato, sono in-soddisfatte del loro corpo e lo combattono duramente attraverso ladieta e l’esercizio fisico. La ricerca indica che la dieta fatta per perderepeso e la paura dell’essere grassi sono comuni tra le ragazze di noveanni e crescono drammaticamente durante l’adolescenza. All’in-terno della nostra cultura le donne che sono esposte ad una mag-giore pressione rispetto alla dieta sono a più alto rischio disviluppare un disturbo del comportamento alimentare.

Un’indagine fatta da Psychology Today (Gennaio-Febbraio, 1997),ha documentato la diffusa insoddisfazione corporea presente trale donne e gli uomini. Circa 4000 persone hanno risposto (l’86%del campione era costituito da donne). Più della metà delledonne si sono dichiarate insoddisfatte del loro aspetto (55%).

I punti del corpo maggiormente discriminati sono stati l’addome(71%), il peso corporeo (66%), i fianchi (60%) e il tono mu-scolare (58%). Gli uomini invece si mostravano insoddisfattidel loro tono muscolare, addome, dei pettorali, del loroaspetto fisico in generale e del peso.

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Riccardo

CAPITOLO 3

CENNI DI PSICOPATOLOGIA

3.1 Disturbo di Dismorfismo Corporeo (BDD, Body Dysmorphic Disorder)

L’interesse sociale nei confronti del Disturbo di Dismorfismo Corporeo(BDD) è cresciuto solo recentemente nonostante sia stato documentatoper la prima volta nel 1886 dal ricercatore italiano Morselli sotto la de-nominazione “Dismorfofobia”.

Una delle fonti di descrizione più complete è senza dubbio il “Manualeper la diagnosi dei disturbi mentali” (DSM-IV TR), secondo il quale esi-stono almeno tre criteri necessari ad effettuare una diagnosi di BDD:

✓ Criterio A: la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico, ilquale può essere immaginario, oppure, se è presente una piccolaanomalia fisica, la preoccupazione del soggetto è di gran lunga ec-cessiva.

✓ Criterio B: la preoccupazione deve causare disagio significativoo menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, oppure inaltre importanti aree di funzionamento dell’individuo.

✓ Criterio C: la preoccupazione non è meglio attribuibile ad unaltro disturbo mentale (per es. l’insoddisfazione per la forma e lemisure corporee nei Disturbi del Comportamento Alimentare).

La caratteristica essenziale del Disturbo di Dismorfismo Cor-poreo è la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico. Ildifetto può essere immaginario, oppure, se è presente una pic-cola anomalia fisica, la preoccupazione del soggetto è di granlunga eccessiva.

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CAPITOLO 4

COMUNICAZIONE

Le relazioni umane sono costituite da varie forme di comunicazione. Dallacapacità degli interlocutori di scambiarsi adeguatamente le informazioni di-pende il rapporto interpersonale, l’efficacia della comunicazione e la pro-babilità che venga raggiunto l’obiettivo comune.

Ogni messaggio non è mai neutro, porta sempre un contenuto che ècaratteristico della personalità che lo ha emesso. Allo stesso modo, chilo riceve lo integrerà con la propria personalità e struttura una rispo-sta.

Affinché la comunicazione sia andata a buon fine, bisogna essere sicuriche questi messaggi siano stati recepiti dal nostro interlocutore cosìcome sono stati pensati da colui che li ha emessi, senza fraintendi-menti di sorta, onde evitare conflittualità tra comunicazione verbale(CV) e comunicazione non verbale (CNV). È importante altresì ac-certarsi che il nostro interlocutore abbia capito e di conseguenzaformulato una risposta in sintonia col messaggio ricevuto e deci-frato (meccanismo del feedback). Per essere sicuri di tutto ciò, bi-sogna monitorare costantemente la propria ed altrui CV e CNV.

Il termine comunicare è storicamente collegato alla parola comune,che deriva dal verbo latino communicare (“condividere”, “renderecomune”); la radice latina del verbo pone in risalto la “profon-dità” del comunicare qualcosa, diversamente dalla superficialità diinformare qualcuno su qualcosa.

Per Anolli la comunicazione è “...uno scambio interattivo osserva-bile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciprocae di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividereun determinato significato sulla base di sistemi simbolici e con-venzionali di significazione e di segnalazione secondo la culturadi riferimento”.

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Riccardo

CAPITOLO 5

PERSONALIT¤

Il più antico precursore dello studio della personalità fu Ippocrate che de-finì quattro tipi personalità, in base all’umore di base presente nel suocorpo:

il collerico, il sanguigno, il melanconico, il flemmatico.

Cicerone definì la “personalitate” come l’aspetto e la dignità di un essereumano, oppure, in un’altra definizione, quella parte che si recita nellavita, e non a caso “per-sona” rappresentava la maschera indossata dagliattori, attraverso (per) la quale usciva la voce amplificata (sona) dell’at-tore.

Alla soglia del XX secolo si affermò la convinzione che la perso-nalità del soggetto si rispecchia nel modo in cui la realtà gli apparee nelle idee che esprime. Questo modello, che in Kurt Lewin eKurt Koffa ebbe i suoi migliori esponenti, venne definito “feno-menologico”.

Lo psicologo anglo-tedesco Hans Eysenck (1916-1997), stu-dioso della struttura della personalità, nella sua opera “The struc-ture of Human Personality” afferma che: « La personalità è la piùo meno stabile e durevole organizzazione del , del , dell’ e del diuna persona: organizzazione che determina il suo adattamentototale all’ambiente.»

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