Pagine da bovi tutti in acqua

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CAP 1 L’educazione questa… “sconosciuta”: un bisogno antico, una scoperta recente Giuseppe e Fabio BOVI 19 Pur tra le incertezze del nostro tempo assistiamo ad una pressante domanda di educazione e formazione da parte di una società sem- pre più preoccupata che il bambino piuttosto che un fine venga considerato un semplice mezzo dato che in molte situazioni, nelle quali interpreta un ruolo di primo piano, si presta poca atten- zione alla sua identità come persona. Anche se la ricerca pedagogica sembra battere il passo su temi che pur le appartengono, non si può sottacere che a partire dagli anni ‘70, con notevole, progressiva, accelerazione il profilo pedagogico ha via via assunto nuovi connotati. Questo rinnovato fronte di interessi tende ad allargare i suoi confini oltre la scuola, espandendosi a dismisura nel campo dell’extra-scuola nel quale, con pieno diritto, può e deve an- noverarsi il nostro mondo: quello delle piscine. È questo il momento in cui si avverte la necessità, non più rinviabile, di arricchire l’attività acquatica riguardante l’infanzia prendendo in più seria considerazione gli aspetti metodologici e psico-pedagogici ad essa legati. Lo scopo appare di grande rilievo e significato e ci coinvolge diretta- mente in quanto il nostro ambiente può aiutare grandemente a ca- pire i problemi del bambino. Può offrire ampie possibilità di interpretazione dei suoi autentici bi- sogni attraverso la sollecitazione delle molteplici e differenziate po- tenzialità che ognuno di loro possiede. È opportuno non sottovalutare che nelle nostre piscine confluiscono diverse migliaia di fanciulli sem- pre più piccoli. Per essi, il termine educazione non può essere negoziabile, sebbene persista il sospetto che il bambino sia, ancora, all’inizio del terzo mil- lennio, un “soggetto misterioso” in gran parte sconosciuto per molti adulti. Infatti, l’esperienza maturata in piscina ci ha consentito di no- tare come non sia pienamente acquisita la consapevolezza della spe- cificità del mondo infantile. Va riconosciuto, tuttavia, che la Federazione Italiana Nuoto, organo sportivo deputato per eccellenza alla organizzazione dell’attività ac- quatica, nell’intento di rivedere e migliorare i propri schemi che non rispondevano più alle esigenze del fanciullo, ha rivisto più volte la propria metodologia, ha adattato la propria didattica a favore di un vero e proprio progetto educativo sostenendo e promuovendo l’ini- ziativa e la spontaneità dell’allievo. Avvalendosi di esperti in vari set- tori ha promosso numerosi corsi di aggiornamento e specializzazione, ha ampliato i suoi interventi, rendendoli sempre più qualificati e per- tinenti. ... il nostro ambiente può aiutare grandemente a capire i problemi del bambino.

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Tutti in acqua! Ed è subito magia. G.Bovi, F.Bovi http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/tutti-in-acqua-ed-e-subito-magia

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CAP 1 L’educazione questa… “sconosciuta”: un bisogno antico, una scoperta recente

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Pur tra le incertezze del nostro tempo assistiamo ad una pressantedomanda di educazione e formazione da parte di una società sem-pre più preoccupata che il bambino piuttosto che un fine vengaconsiderato un semplice mezzo dato che in molte situazioni,nelle quali interpreta un ruolo di primo piano, si presta poca atten-zione alla sua identità come persona.Anche se la ricerca pedagogica sembra battere il passo su temi chepur le appartengono, non si può sottacere che a partire dagli anni ‘70,con notevole, progressiva, accelerazione il profilo pedagogico ha viavia assunto nuovi connotati. Questo rinnovato fronte di interessi tendead allargare i suoi confini oltre la scuola, espandendosi a dismisuranel campo dell’extra-scuola nel quale, con pieno diritto, può e deve an-noverarsi il nostro mondo: quello delle piscine. È questo il momentoin cui si avverte la necessità, non più rinviabile, di arricchire l’attivitàacquatica riguardante l’infanzia prendendo in più seria considerazionegli aspetti metodologici e psico-pedagogici ad essa legati. Lo scopo appare di grande rilievo e significato e ci coinvolge diretta-mente in quanto il nostro ambiente può aiutare grandemente a ca-pire i problemi del bambino.

Può offrire ampie possibilità di interpretazione dei suoi autentici bi-sogni attraverso la sollecitazione delle molteplici e differenziate po-tenzialità che ognuno di loro possiede. È opportuno non sottovalutareche nelle nostre piscine confluiscono diverse migliaia di fanciulli sem-pre più piccoli.Per essi, il termine educazione non può essere negoziabile, sebbenepersista il sospetto che il bambino sia, ancora, all’inizio del terzo mil-lennio, un “soggetto misterioso” in gran parte sconosciuto per moltiadulti. Infatti, l’esperienza maturata in piscina ci ha consentito di no-tare come non sia pienamente acquisita la consapevolezza della spe-cificità del mondo infantile.Va riconosciuto, tuttavia, che la Federazione Italiana Nuoto, organosportivo deputato per eccellenza alla organizzazione dell’attività ac-quatica, nell’intento di rivedere e migliorare i propri schemi che nonrispondevano più alle esigenze del fanciullo, ha rivisto più volte lapropria metodologia, ha adattato la propria didattica a favore di unvero e proprio progetto educativo sostenendo e promuovendo l’ini-ziativa e la spontaneità dell’allievo. Avvalendosi di esperti in vari set-tori ha promosso numerosi corsi di aggiornamento e specializzazione,ha ampliato i suoi interventi, rendendoli sempre più qualificati e per-tinenti.

... il nostroambiente puòaiutare

grandemente acapire i problemidel bambino.

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CAP 2 Costruire una educazione acquatica di qualità

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avvertono più di ogni altra cosa la necessità di unriconoscimento come singoli individui.

... in una scuola dinuoto tradizionaledove prevale

l’apprendimento ilpiù veloce possibiledelle tecniche... 

“Io lo so come ti chiami… me lo ha detto la mia mamma! “Ah… sì,…ri-spondo” “Sì ti chiami Professore”. Una breve pausa e poi, conti-nuando, “mi sai dire perché la tua mamma ti ha messo un nome…così strano?”

Questo dialogo è uno dei tanti che intercorrono tra i fanciulli e il sot-toscritto e dà la misura, se ancora ce ne fosse bisogno, di qualespontaneità, di quale candore, di quale ricchezza interiore essi dis-pongano.Che meraviglia, che stupore il loro mondo! “Paolino” non sa galleggiare, non conosce la profondità, non muovele gambe come dovrebbe, ma è capace di “far salpare” per mari sco-nosciuti, dal porto della sua fantasia, la piccola barchetta che stringetra le mani.

Quando sale “in groppa” ad un tubo flessibile conosce tutte le evo-luzioni acquatiche del cavalluccio marino; sa scansare con delica-tezza, senza far loro del male, tutti “quei pesciolini” che gli rendonodifficoltoso il passaggio e che riempiono ogni angolo della sua im-maginazione.

Un quadro, quest’ultimo, molto diverso da ciò che si verifica in unascuola di nuoto tradizionale dove prevale l’apprendimento il più ve-loce possibile delle tecniche di galleggiamento, del movimento digambe e braccia, e l’insegnamento della respirazione.Eccoli qua invece i nostri cosiddetti…utenti, descritti nei loro atteg-giamenti più veri!Paolino, Marcellino, Chiara, Valeria… sono loro i destinatari delle no-stre attenzioni!Essi non si pongono di certo il problema nuoto, ma condizionatidalla frenesia, dall’affanno di un mondo sempre più ansioso e pre-tenzioso,

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Nell’accingerci ad affrontare un tema così impegnativo, così densodi interrogativi, così complesso, non è possibile non tornare indietronegli anni per riesaminare le caratteristiche del piano di lezione rite-nuto la chiave di volta nello svolgimento di ogni argomento. Il ri-spetto dei suoi contenuti era, a qualsiasi livello d’insegnamento, lacondizione unica, la stella polare che consentisse una trattazioneefficace del compito affidato. Anche all’ I.S.E.F. è stato per decennil’incontrastato e irrinunciabile punto focale definito…“a denti stretti”,da molti studenti, un buco nero nella loro carriera universitaria e giu-dicato con altrettanta perplessità da numerosi docenti.

Pur essendo la procedura ufficialmente riconosciuta per lo svolgi-mento della lezione, poneva l’insegnante quantomeno in un atteg-giamento di distacco e di riflessione in quanto nascondeval’inquietante conflitto tra la rassicurante seduzione delle tecniche e laproblematica, difficile arte di educare. L’istruttore, infatti, da un latodoveva “tirar fuori” dal fanciullo e da sé prospettive, proposte, pro-getti, emozioni; dall’altro doveva confrontarsi con la scelta di ciò cheandava favorito, privilegiato e ritenuto la regola di condotta più lo-gica.Infine, doveva interrogarsi per constatare se il tutto potesse es-sere giusto, adeguato, e conveniente.

Nel nostro ambiente specifico il piano di lezione trova ancor oggicompleta e assoluta identificazione con l’organizzazione didatticadella singola lezione di scuola – nuoto che, mantenendo le sue abi-tuali caratteristiche, si articola a grandi linee nella seguente riparti-zione:

1) Fase introduttiva: è la fase che nello svolgimento dellasingola lezione corrisponde al cosiddetto avviamento e ri-scaldamento. Si basa su esercizi già conosciuti e sperimen-tati dagli allievi; esercizi che vengono proposti quasi semprein progressione ( dal più semplice al più complesso ) adot-tando spesso una didattica meccanica e ripetitiva.

2) Fase di consolidamento: è la fase in cui si fa leva sulle abi-lità apprese nelle lezioni precedenti. Si cerca, in particolare,di stimolare l’attenzione dei protagonisti insistendo sugliaspetti tecnico – didattici degli esercizi che rivestono mag-giore difficoltà.

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In qualsiasi processo di insegnamento, la fase di apprendimento di-viene quella essenziale, quella significativa, quella nella quale l’inse-gnante mette in gioco un suo aspetto vitale: la professionalità.Anche nelle nostre piscine non si rincorre più come un tempo un attodell’apprendere impegnato “sul che cosa” e “sul come” si insegna, mail problema vero, grazie alla rinnovata trasformazione pedagogicadella didattica tradizionale, è diventato un altro: capire come crearele condizioni affinché ciascun allievo, secondo le proprie caratteristi-che, possa essere capace di costruire competenze.A simili prospettive così nuove ed incisive, e nello stesso tempo cosìparticolari, si può dare risposta solo se gli istruttori optano per unascelta di responsabilità. È loro compito esclusivo assumersi la libertàdi mediare, di distribuire, organizzare gli obiettivi specifici di appren-dimento assegnando ad essi significati e priorità che scaturisconodalla loro comprovata sensibilità ed esperienza.Se questo intento assume un ruolo di spicco, di preminenza, rispettoad altri sistemi, il modo con cui si insegna l’educazione acquaticanella scuola per l’infanzia non può che essere la derivazione di una“trasposizione didattica”.Per meglio chiarire il concetto, intendiamo far notare la necessità cheprenda forma un vero e proprio processo di scambio per mezzo delquale l’istruttore trasforma un sapere tecnico - didattico fortementeimpersonale in un sapere “da insegnare”, un sapere più adeguatoalla portata reale dei singoli allievi che si hanno di fronte.D’ altronde, l’insegnante professionista consapevole non improvvisa;prima valuta la situazione, e poi decide che tipo di operazione com-piere. Dopo, solo dopo, partendo dalla centralità del fanciullo, si av-vale di una strategia didattica che ritiene possa avere successo.

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“Ti insegnerò a nuotarecosì il mare saprà chi sei

quando l’abbracci”

POVIA

... l’insegnanteprofessionistaconsapevole nonimprovvisa.

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Per ognuno dei protagonisti una pluralità di sollecitazionicosì concepita agevola non solo la riuscita delle situa-

zioni–stimolo che si presentano e il conseguente successoche ne deriva, ma permette anche di controllare

con maggiore precisione, e più a fondo, qualsiasi gestoche si intraprende in acqua.

A) Concetto di multilateralità

Le fasi di ambientamento in acqua, la confidenza con l’acqua e conl’ambiente si ottengono, come più volte ribadito, affinando le capa-cità senso-percettive che esercitano un ruolo tanto importante nellaricerca di autonomia da parte del fanciullo. L’acquisizione di autono-mia rappresenta la chiave di volta su cui si innesta lo sviluppo dellecapacità coordinative speciali che, come sappiamo, costituiscono ipresupposti irrinunciabili del movimento. Far lavorare l’allievo affin-ché si costruisca i prerequisiti necessari alla sua maturazione, pergiunta in una età (5 - 11 anni) definita un arco di “tempo magico” aifini del loro apprendimento, sottintende la realizzazione di interventiessenzialmente interdisciplinari.L’esperienza insegna che la capacitàdi apprendimento tende ad affievolirsi se al centro della attività ven-gono a mancare gli stimoli ad apprendere sempre qualcosa di nuovo.La comparsa del tipico “Plateau” di rendimento con relativa stasi nelprocesso di apprendimento rappresenta il segnale inequivocabile diun mancato ricorso al rinnovo di un vasto repertorio di movimenti.In linea con tale teoria, padroneggiare il proprio corpo in acquacon disinvoltura, con la massima serenità, senza turbamenti e ap-prensioni rimane il primo, vero, grande obiettivo. L’azione, dunque,non può che essere polivalente. Deve investire tutti gli schemi mo-tori di base e non, tutte le parti del corpo, sperimentando atteggia-menti e posizioni tra le più inconsuete e originali perseguendo tuttigli obiettivi educativi.Il lavoro acquatico è sempre indirizzato verso l’apprendimento deglistili natatori, ma la strada per raggiungere tale meta va modificata,integrata, arricchita, resa più motivante. Le cosiddette “parti difficili”dei movimenti vanno apprese in modi differenti, in condizioni non ri-gidamente standardizzate, facendo ricorso a varie combinazioni ten-denti a favorire, più di ogni altra cosa, la scoperta personale per ognisingolo fanciullo.

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Vale a dire che sembra inutile prefissare obiettivi, strate-gie didattiche, metodologie miracolose se prima non si

favorisce la ricerca della qualità che si trova nello strettorapporto con le relazioni educative che si stabiliscono tra

i fanciulli e i loro istruttori.

... famiglia e scuoladevono muoversiin direzione di una

comuneresponsabilità...

Uno studio particolarmente scrupoloso di tutti gli innumerevoli que-siti che suscita l’incontro del fanciullo con la scuola-nuoto ci condi-zionerebbe fino al punto che dare inizio ad un simile propositopotrebbe sembrare un atto di pura presunzione. A nostro parere, tut-tavia, nel rapporto fanciullo/scuola-nuoto non si può prescindere daun punto di partenza preciso che si presenta come sostanziale primadi ogni azione ulteriore: una ferma adesione agli orientamenti valo-riali. Ciò significa che, prima di tutto, va rispettata la insopprimibileesigenza di conferire ad ogni attività (la nostra, non fa eccezione)una prioritaria finalizzazione educativa.

È proprio da questa considerazione che nasce il bisogno di una col-laborazione genitori-istruttori che, se avviene nel rispetto della di-gnità del soggetto protagonista, è tutt’altro che formale.Gli allievi devono avvertire di essere amati in quanto persone e sco-prire tutte le indicazioni utili che servono per la loro crescita, aiutatidagli adulti a vivere la loro età come un percorso in continua esplo-razione. Per raggiungere un simile obiettivo, la comune responsabi-lità educativa di genitori e insegnanti deve mirare a rimuovere esuperare l’idea di utenza che da sempre ha caratterizzato il rapportobambino/scuola-nuoto.Capita spesso che la famiglia si comporti da utente delegando la so-cietà sportiva prescelta a far fronte a compiti educativi particolari cheappartengono esclusivamente al padre e alla madre. Di rimando,anche la nostra scuola è chiamata ad accogliere, integrare, educareil fanciullo come destinatario di ogni cura ed interesse e non pre-sentarsi unicamente come centro di erogazione di servizi e presta-zioni. Forse, famiglia e scuola devono muoversi in direzione di unacomune responsabilità e recuperare una capacità di dialogo maisfruttata interamente.

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Solo facendosi carico direttamente di tutti gli aspetti funzionali inerenti all’impianto natatorio, egli è in grado di

rendere operativi in maniera più pertinente gli aspetti didattici, progettuali, pedagogici del servizio.

La specificità di questa nuova funzione nell’ambito delle scuole-nuotodel nostro paese ha dato adito a numerosi interrogativi circa l’irri-nunciabile competenza di tipo psico-pedagogico che tali persone de-vono possedere in quanto responsabili del coordinamento di serviziparticolari rivolti all’infanzia.Tale qualità assume una funzione preminente rispetto alle altre,anche se il compito viene esercitato con metodologie differenti dauna città all’altra e condotto con responsabilità e poteri a volte moltodissimili. Il ruolo di mediazione tra esigenze diverse appartiene a que-sta figura e contraddistingue in maniera inequivocabile la sua azioneche, se inserita in un contesto educativo, non dovrebbe esserelimitata a dirigere e prescrivere, ma soprattutto a sostenere epromuovere.Non è facile comprendere come si combinino le molteplicità dei com-piti a cui il coordinatore è chiamato a rispondere durante il propriolavoro quotidiano, ma è indispensabile che egli possegga la neces-saria conoscenza di ciò che unisce il teorico al pratico per far sì chel’attività a cui è destinato funzioni nel migliore dei modi.In termini più chiari, il coordinatore deve conoscere non solo ciò chesta facendo il singolo istruttore, ma anche le operazioni di segrete-ria, nonché l’attività del personale di assistenza, oltre a sapere ciò che“bolle” nell’amministrazione generale dei servizi.

Per un simile professionista, lavorare contemporaneamente sugliaspetti gestionali, sugli aspetti tecnici, e sul coordinamento pedago-gico comporta un impegno piuttosto elevato e un dispendio di ener-gie considerevole ma, in compenso, aumenta il prestigio del suoruolo, e l’incidenza della sua opera.La funzione di sostegno al personale educativo rimane comun-que il suo compito fondamentale.Non è di poco conto far sentire il gruppo degli istruttori come il veroprotagonista del progetto educativo sostenendone gli intenti, facili-

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