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Matematica finanziaria classica Ogni disciplina scientifica identifica come proprio oggetto di studio alcune quantità fondamentali: la meccanica classica, ad esempio, misura e studia il movimento; la medicina fa lo stesso con l'essere umano; la matematica (questo è davvero complicato da dire), i "numeri". Ora, l'economia di che cosa si occupa? Non ho idea di quanto questa definizione sia precisa, ma penso che, in prima approssimazione, sia lecito rispondere che l'economia si occupa di studiare il "valore" delle cose. Questa parola, valore, non è da intendersi in senso assoluto: ogni bene viene richiesto da un certo numero di persone, disposte a pagare un certo prezzo per ottenerlo. Un diverso (a priori) numero di persone desidera invece vendere lo stesso bene, anche qui richiedendo prezzi ipoteticamente diversi tra di loro. Quando le richieste di compratore e venditore si incontrano, avviene una transazione:in un istante T, il signor A cede al signor B il bene X al prezzo Y. Quest'ultima frase mostra esplicitamente quanto poco di oggettivo ci sia nel concetto di valore di un bene, o meglio, quanto poco senso abbia parlare di valore di un bene senza parlare di chi, come, perchè e soprattutto quando viene trattato lo scambio di quel bene. Proprio a riguardo del “quando”, uno dei primi argomenti che vengono solitamente trattati in finanza classica è il tempo. Il tempo infatti è un bene di consumo allo stesso modo del petrolio o delle arance: a ben pensarci, un rapporto di lavoro non è altro che una compravendita del bene “tempo” tra due controparti, il datore di lavoro e l’impiegato. Certamente si potrebbe obbiettare che questo esempio non è calzante: infatti, se un rapporto di lavoro si limitasse a una compravendita di tempo, la retribuzione oraria dovrebbe essere la stessa per ogni impiegato, mentre invece gli stipendi sono strutturati in base ad esperienza, abilità, etc. Un esempio più calzante è quello del prestito: supponiamo di cedere a qualcuno un importo di ! euro per un certo lasso di tempo. Abbiamo la garanzia assoluta che al termine di questo lasso di tempo il nostro capitale " ci verrà restituito del tutto. D’altra parte, da oggi fino alla data di scadenza del prestito non potremmo disporre del capitale #: non potendo prevedere il futuro, non possiamo sapere quali possibilità di investimento e quindi di guadagno si presenteranno da oggi fino alla scadenza. Sappiamo però che, nel caso tali opportunità si presentino, noi non potremo sfruttarle, visto che non disponiamo di denaro da investire. Vediamo quindi come, anche nel caso di certezza assoluta di restituzione del capitale, il soggetto ricevente il prestito deve in qualche modo rimborsarci per queste opportunità mancate. Inoltre, più la durata del prestito è lunga, più il campo delle possibili opportunità a cui rinunciamo aumenta: quindi un indennizzo “equo” dovrà essere in qualche modo proporzionale al tempo dell’operazione. In altre parole, il ricevente il prestito sta pagando il prezzo di un tempo. Questo semplice esempio dovrebbe fornire qualche ragione a favore di un assioma della matematica finanziaria classica, noto come Assioma di De Finetti: tale assioma afferma semplicemente che il tempo ha valore positivo. Chiamiamo interesse su un certo periodo di tempo il prezzo del suddetto periodo. Ritorniamo all’esempio di prima, questa volta più in dettaglio. Supponiamo che l’investitore A necessiti di denaro oggi, al tempo $ % . Chiede quindi all’investitore B un importo di, ammettiamo, & euro. A restituirà euro al tempo ( ) , ossia la scadenza del prestito. B, accettando di finanziare A, si vede quindi privato della possibilità di investire * euro nel tempo che va da + , a - . . Pertanto, richiederà ad A un importo maggiore di / euro al tempo 0 1 , diciamo pari a 2 + 3 . Questo 4 è l’interesse, il prezzo di un investimento differito. L’esempio è stupido, ma può essere molto istruttivo. A priori, 5 è un numero determinato da: 1) L’entità del prestito richiesto (6 euro). 2) Il tempo in cui il denaro viene consegnato (7 8 ) 3) Il tempo in cui il denaro viene restituito (9 : ) 4) Il richiedente del denaro (A) 5) Il fornitore del prestito (B) Idealmente, cambiando ciascuna di queste ipotesi, l’interesse richiesto su un prestito potrebbe variare di conseguenza. Cominciamo allora a semplificare ulteriormente le cose: tornando all’esempio di prima, rilassiamo 1) come segue: se A vuole 1 euro, dovrà ridare 1+ ;, se vuole 2 euro ridarà 2 < (1 + =) euro, etc In sostanza stiamo dicendo che l’interesse ha una relazione moltiplicativa con l’entità dell’importo prestato: se > è l’entità del prestito, alla fine del periodo A paga

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Matematica finanziaria classica Ogni disciplina scientifica identifica come proprio oggetto di studio alcune quantità fondamentali: la meccanica classica, ad esempio, misura e studia il movimento; la medicina fa lo stesso con l'essere umano; la matematica (questo è davvero complicato da dire), i "numeri". Ora, l'economia di che cosa si occupa? Non ho idea di quanto questa definizione sia precisa, ma penso che, in prima approssimazione, sia lecito rispondere che l'economia si occupa di studiare il "valore" delle cose. Questa parola, valore, non è da intendersi in senso assoluto: ogni bene viene richiesto da un certo numero di persone, disposte a pagare un certo prezzo per ottenerlo. Un diverso (a priori) numero di persone desidera invece vendere lo stesso bene, anche qui richiedendo prezzi ipoteticamente diversi tra di loro. Quando le richieste di compratore e venditore si incontrano, avviene una transazione:in un istante T, il signor A cede al signor B il bene X al prezzo Y. Quest'ultima frase mostra esplicitamente quanto poco di oggettivo ci sia nel concetto di valore di un bene, o meglio, quanto poco senso abbia parlare di valore di un bene senza parlare di chi, come, perchè e soprattutto quando viene trattato lo scambio di quel bene. Proprio a riguardo del “quando”, uno dei primi argomenti che vengono solitamente trattati in finanza classica è il tempo. Il tempo infatti è un bene di consumo allo stesso modo del petrolio o delle arance: a ben pensarci, un rapporto di lavoro non è altro che una compravendita del bene “tempo” tra due controparti, il datore di lavoro e l’impiegato. Certamente si potrebbe obbiettare che questo esempio non è calzante: infatti, se un rapporto di lavoro si limitasse a una compravendita di tempo, la retribuzione oraria dovrebbe essere la stessa per ogni impiegato, mentre invece gli stipendi sono strutturati in base ad esperienza, abilità, etc. Un esempio più calzante è quello del prestito: supponiamo di cedere a qualcuno un importo di ! euro per un certo lasso di tempo. Abbiamo la garanzia assoluta che al termine di questo lasso di tempo il nostro capitale " ci verrà restituito del tutto. D’altra parte, da oggi fino alla data di scadenza del prestito non potremmo disporre del capitale #: non potendo prevedere il futuro, non possiamo sapere quali possibilità di investimento e quindi di guadagno si presenteranno da oggi fino alla scadenza. Sappiamo però che, nel caso tali opportunità si presentino, noi non potremo sfruttarle, visto che non disponiamo di denaro da investire. Vediamo quindi come, anche nel caso di certezza assoluta di restituzione del capitale, il soggetto ricevente il prestito deve in qualche modo rimborsarci per queste opportunità mancate. Inoltre, più la durata del prestito è lunga, più il campo delle possibili opportunità a cui rinunciamo aumenta: quindi un indennizzo “equo” dovrà essere in qualche modo proporzionale al tempo dell’operazione. In altre parole, il ricevente il prestito sta pagando il prezzo di un tempo. Questo semplice esempio dovrebbe fornire qualche ragione a favore di un assioma della matematica finanziaria classica, noto come Assioma di De Finetti: tale assioma afferma semplicemente che il tempo ha valore positivo. Chiamiamo interesse su un certo periodo di tempo il prezzo del suddetto periodo. Ritorniamo all’esempio di prima, questa volta più in dettaglio. Supponiamo che l’investitore A necessiti di denaro oggi, al tempo $% . Chiede quindi all’investitore B un importo di, ammettiamo, & euro. A restituirà ' euro al tempo () , ossia la scadenza del prestito. B, accettando di finanziare A, si vede quindi privato della possibilità di investire * euro nel tempo che va da +, a -. . Pertanto, richiederà ad A un importo maggiore di / euro al tempo 01 , diciamo pari a 2 + 3. Questo 4 è l’interesse, il prezzo di un investimento differito. L’esempio è stupido, ma può essere molto istruttivo. A priori, 5 è un numero determinato da:

1) L’entità del prestito richiesto (6 euro). 2) Il tempo in cui il denaro viene consegnato (78) 3) Il tempo in cui il denaro viene restituito (9:) 4) Il richiedente del denaro (A) 5) Il fornitore del prestito (B)

Idealmente, cambiando ciascuna di queste ipotesi, l’interesse richiesto su un prestito potrebbe variare di conseguenza. Cominciamo allora a semplificare ulteriormente le cose: tornando all’esempio di prima, rilassiamo 1) come segue: se A vuole 1 euro, dovrà ridare 1 + ;, se vuole 2 euro ridarà 2 < (1 + =) euro, etc In sostanza stiamo dicendo che l’interesse ha una relazione moltiplicativa con l’entità dell’importo prestato: se > è l’entità del prestito, alla fine del periodo A paga

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? < (1 + @(A,B, CD , EF))

Mettiamo anche un’altra assunzione semplificativa: l’affidabilità del creditore e le esigenze del debitore non sono tenute in conto (abb vero per la seconda, molto semplificativo per la prima), ossia G diventa

H(IJ, KL)

Quasi ci siamo per poter trattare elementarmente qualche strumento finanziario. Supponiamo che A chieda lo stesso importo in prestito a B per un periodo MN a 2 < OP Quanto sarà richiesto ad A per indennizzare B delle opportunità perdute durante tale periodo? Naturalmente l’importo dovuto in QR = 2 < ST sarà

U < (1 + V(WX, YZ))

Supporremo anche che [(\0, ]2) = 2 < ^(_0, `1)

Questa ipotesi è abbastanza intuitiva: in sostanza, richiediamo che l’interesse abbia una dipendenza moltiplicativa rispetto alla durata del prestito. Formalmente, ciò equivale a richiedere che la funzione a(bc, de) sia del tipo f(gh , ij) = k < (lm n op) con q costante positiva (per l’assioma di de finetti). In parole povere, il costo di un investimento posticipato di un anno è doppio rispetto al costo di un investimento posticipato sei mesi. A questo punto possiamo formalizzare i ragionamenti esposti in precedenza. L’investitore A richiede all’investitore B l’importo X al tempo rs

tu: v L’investitore A restituirà al tempo wx l’importo:

yz: { < |1 + } < (~� n �!)" Questo esempio non illustra solamente lo scambio di flussi tra due agenti in un contratto finanziario, ma stabilisce anche una caratteristica peculiare della moneta, alla quale abbiamo già fatto riferimento in precedenza: un importo di moneta non è completamente determinato se non viene caratterizzato da una precisa collocazione temporale. Non ha senso parlare di 10, 100 o 100000 Euro. Ha senso parlare di 10 euro oggi, 100 euro ieri, 100000 euro domani. Alla luce di quanto esposto, l’operazione descritta nell’esempio non è altro che uno scambio di importi equivalenti: l’investitore B possiede # euro in $% e accetta di scambiarli con euro & < '1 + ( < ()* n +,)- in ./ . In altri termini, l’importo

01: 2 È equivalente all’importo

34: 5 < 61 + 7 < (89 n :;)< Per riassumere, possiamo quindi dire che:

1. gli importi monetari sono completamente determinati solamente se vengono associati alla loro collocazione temporale, ossia alla data in cui diventano esigibili.

2. Esiste una relazione di equivalenza tra importi collocati in diversi istanti temporali, e il tramite di questa relazione è l’interesse

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TASSI DI INTERESSE Si è detto che l’interesse è il costo di un investimento posticipato, ossia la somma dovuta come compenso per poter disporre di un certo capitale. In questa sezione cercheremo di dare qualche informazione in più riguardo al calcolo effettivo di questa somma. Nell’esempio precedente abbiamo utilizzato in maniera implicita una di queste modalità di calcolo dell’interesse, ovvero il cosiddetto interesse semplice: il costo dell’investimento posticipato si accumula linearmente con il tempo. In sostanza, la somma dovuta a scadenza del prestito cresce di una frazione dell’importo prestato (nel nostro caso tale frazione è =) in maniera lineare nel tempo. In un ottica di importi equivalenti possiamo quindi scrivere che un importo

>?: @ è pari all’importo

AB: C < D1 + E < (FG n HI)J Solitamente, viene fissata una unità di misura del tempo, in modo tale da esprimere la quantità (KL n MN) come un multiplo di tale unità. La scelta più praticata è quella dell’anno (vedremo in seguito che la misurazione del tempo nei mercati finanziari avviene in maniera diversa dalla misurazione del tempo fisico; per il momento, possiamo proseguire il nostro ragionamento misurando il tempo come tempo fisico). Pertanto, l’importo

OP: Q < R1 + S < (TU n VW)X Viene riscritto come

YZ: [ < \1 + ] < _` ,ab dove

• cd è il tasso di interesse semplice annuo • ef ,g è il tempo trascorso tra hi e jk misurato in anni.

Abbiamo altre due definizioni importanti: come si è detto, l’interesse è il mezzo che ci permette di traslare nel tempo importi equivalenti. Per trasportare l’importo l da mn a op abbiamo moltiplicato q per r1 + st < uv,wx. L’operazione di trasportare importi presenti avanti nel tempo mantenendo la relazione di equivalenza di cui abbiamo parlato si chiama capitalizzazione (compounding) Definiamo allora

y1 + !" < #$,%& fattore di capitalizzazione semplice dal tempo '( al tempo )*. In maniera analoga, l’esempio di prima mostra anche come trasportare indietro nel tempo importi monetari lasciando invariata la relazione di equivalenza. Se l’importo

+,: - < .1 + /0 < 12 ,34 equivale all’importo

56: 7 segue che per trasportate da 89 a :; l’importo < < =1 + >? < @A ,BC è sufficiente moltiplicare per D

EFGHI <JK,LM. Definiamo

allora

1N1 + OP < QR,ST

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fattore di attualizzazione semplice dal tempo UV al tempo WX. Consideriamo adesso la seguente situazione: supponiamo che nell’esempio precedente YZ sia oggi e che [\ sia pari a due anni. L’investitore A richiede quindi ] euro in prestito oggi, restituendo tra due anni ^ < (1 + _ < 2) euro. Supponiamo invece che lo stesso investitore A richieda lo stesso importo di a euro, ma con scadenza a un anno. Alla scadenza dell’anno, l’investitore A dovrà restituire b < (1 + cd). In alternativa, A può decidere di posticipare di un altro anno il suo debito, chiedendo in sostanza un altro prestito, questa volta di e < f1 + ghi, da estinguere l’anno dopo, ossia in jk = 2. Questa volta però l’importo da restituire sarà pari a:

lm: n < o1 + pqr < s1 + tuv = w < x1 + yz{!

In questo esempio, l’investitore A ha ottenuto un prestito di " euro per due anni, ma l’interesse dovuto a scadenza non viene calcolato sull’importo nominale prestato (pari a #), bensì sulla somma di importo nominale e interesse maturati. Per questo motivo, questa modalità di calcolo dell’interessa è detta interesse composto. Continuando a prendere spunto dall’esempio, possiamo dire che, in regime di interesse composto (annuo), un importo

$% = 0 & ' è equivalente agli importi

() = 1 & * < +1 + ,-.

/0 = 2 & 1 < 21 + 3456

78 = 3 & 9 < :1 + ;<=

>

?@ = 4 & A < B1 + CDE

F

Più in generale, è vero che, in regime di interesse composto annuo, l’importo attuale

GH & I È equivalente all’importo

JK & L < M1 + NOPQR,S

Dove

• TU è il tasso di interesse composto annuo • VW ,X è il tempo trascorso tra YZ e [\ misurato in anni.

In analogia con quanto detto prima, definiamo inoltre

]1 + _`ab,c

fattore di capitalizzazione composto dal tempo de al tempo fg. E definiamo

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h1 + ijklmn,o =

1

p1 + qrstu,v

fattore di attualizzazione composto dal tempo wx al tempo yz. Pur essendo banale, vale la pena sottolineare che tasso di interesse composto e tasso di interesse semplice NON SONO LA STESSA COSA. Dovere restituire dopo due anni un importo di un euro con tasso semplice pari al 5% implica restituire

1 < (1 + 2 < 5%) = 1,1 Alla scadenza del secondo anno. Se l’interesse del 5% è invece composto, l’investitore restituirà

1 < (1 + 5%){ = 1,1025 Ossia un importo maggiore. Infatti, l’investitore dovrà restituire anche gli interessi sugli interessi del primo anno! Introduciamo infine l’ultimo metodo di calcolo dell’interesse, ovvero l’interesse composto continuo, estendendo l’esempio che ci ha permesso di introdurre l’interesse composto. Prima di tutto, va sottolineato il fatto che, in queste righe, ci siamo sempre soffermati su interessi (semplici e composti) annui. Nulla vieta però di parlare di interessi semestrali, trimestrali , mensili o giornalieri. Il passaggio da interesse annuo a, ad esempio, semestrale, è immediato: basta esprimere le unità di tempo nella stessa unità di misura e risolvere un’equazione di primo grado. Se |} è l’interesse semplice annuo e ~��! è l’interesse semplice semestrale, allora deve valere

" < #1 + $%& = ' < (1 + 2 < ()*+) Infatti, LHS è l’importo tra un anno equivalente ad , euro oggi misurando il tempo trascorso in anni, mentre RHS è l’importo tra un anno equivalente ad - euro oggi misurando il tempo trascorso in semestri. Eguagliando le due equazioni segue che

./01 =232

Ossia l’interesse semplice annuo è pari al doppio dell’interesse semplice semestrale. In generale, è immediato vedere che l’interesse semplice relativo a un 4-esimo di anno è pari a

567

=89:

Precisato questo possiamo introdurre il concetto di interesse composto continuo. Come dice il nome stesso, l’interesse composto continuo è una estensione dell’interesse composto. Si è detto che, in regime di interesse composto, l’interesse dovuto a scadenza è calcolato su capitale e interessi maturati nel periodo di riferimento (nel nostro esempio precedente, l’anno). L’interesse composto continuo si ottiene “restringendo” sempre di più il periodo di riferimento, ossia calcolando gli “interessi sugli interessi” in intervalli di tempo sempre “più piccoli”. Utilizziamo ancora una volta un esempio per chiarire il concetto. Prestare ; euro oggi con scadenza a un anno in regime di interesse semplice annuo implica ricevere tra un anno

< < =1 + >?@ Se il regime è quello di interesse composto semestrale, supponendo di utilizzare il tasso semestrale semplice otteremo invece

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A < (1 + BCDE) < (1 + FGHI) = J < (1 + KLMN)O = P < Q1 +RS2TU

Supponiamo invece di essere in regime di interesse composto trimestrale. Otterremo allora a scadenza

V < (1 + WXY) < (1 + Z[\) < (1 + ] _) < (1 + ab)= c < d1 + efg h

i

Passando al limite per intervalli sempre più piccoli otteniamo il limite notevole

j < klm Anche in questo ultimo esempio possiamo definire fattori di sconto e attualizzazione che ci permettono di muoverci nel tempo in una classe di importi equivalenti tramite opportune moltiplicazioni: al solito, l’importo attuale

no & p È equivalente all’importo

qr & s < tuv<wx,y Dove

• z{ è il tasso di interesse composto continuo annuo • !" ,# è il tempo trascorso tra $% e &' misurato in anni.

In analogia con quanto detto prima, definiamo inoltre

()*<+,,- fattore di capitalizzazione continuo dal tempo ./ al tempo 01. E definiamo

2345<67,8 =1

9:; <<=,> fattore di attualizzazione continuo dal tempo ?@ al tempo AB. NOTA Come accennato sopra, il tempo finanziario si misura in maniera diversa dal tempo fisico. Convenzioni di mercato hanno portato allo sviluppo di calendari standard per ovviare alle disomogeneità tra i diversi mesi e tra gli anni bisestili e non. In sostanza, il fatto che gli interessi maturino nel tempo ha reso necessario lo sviluppo di metodi di misurazione comuni a tutti i partecipanti del mercato finanziario. Per tali motivi si comprende l’utilizzo delle cosiddette day-count conventions, ovvero di regole standard per misurare il tempo finanziario. Due tra le più diffuse day count conventions sono la CDEFGH e la IJ

KLM . Nella prima, si assume che l’anno sia sempre di 360 giorni. Secondo questa convenzione ad esempio il tempo trascorso tra le date 30 marzo 2010 e 30 marzo 2011 è 1,013889 anni. La seconda assume invece che ogni mese sia composto da 30 giorni esatti, quindi lo

stesso intervallo di tempo in NOPQR è pari a 1 anno.

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OBBLIGAZIONI

Una volta introdotto il concetto di tasso di interesse, fattore di sconto e fattore di attualizzazione siamo pronti a prezzare alcune strumenti finanziari. Prima di ogni altra cosa però è forse meglio precisare cosa si intende per “prezzare” un contratto finanziario. Un contratto finanziario è un accordo scritto tra due controparti che si impegnano a scambiare, in una o più date future, degli importi di denaro (cashflows) che possono essere deterministici ( ossia già noti “oggi”, alla data di stipula del contratto) o da determinare (ossia legati all’esito di eventi che devono ancora verificarsi). Nel capitolo precedente abbiamo visto come trasportare importi futuri in importi equivalenti presenti utilizzando il fattore di sconto. Prezzare un contratto significa per l’appunto calcolare il valore attuale di tali importi futuri. Il primo contratto che viene affrontato è di solito l’obbligazione a tasso fisso (fixed rate bond): un’obbligazione è un contratto finanziario che attribuisce al possessore il diritto di ricevere a scadenza del contratto stesso un ammontare di denaro ( il nominale), più gli interessi maturati tra la data di emissione e la scadenza. Le obbligazioni nascono sostanzialmente per raccogliere capitale: un ente che pianifica un investimento può infatti avere bisogno di liquidità ma preferire non rivolgersi a una banca per un prestito. Una delle scelte possibili (vedremo in seguito almeno un altro tipo di soluzione) è quella di emettere obbligazioni: alla data di emissione, l’acquirente dell’obbligazione “presta” denaro alla ditta per ricevere a scadenza dell’obbligazione il denaro prestato più gli interessi maturati. I fixed rate bond possono essere raggruppati in due categorie principali: nella prima troviamo i cosiddetti zero coupon bond (o bullet bond), nella seconda i coupon bond. ZERO COUPON BOND Uno zero coupon bound (zcb) è un contratto finanziario stipulato tra due controparti contraddistinto dalle seguenti quantità:

• N = ammontare nominale o face value • S = scadenza o maturity del contratto

Acquistando uno zcb, il compratore acquista il diritto di ricevere alla maturity del contratto un importo pari all’ammontare nominale. Per garantire questo diritto, il compratore paga a colui che emette il bond un prezzo, che chiameremo p. Per prezzare un contratto di questo tipo basta ricordare quanto detto in precedenza sugli importi equivalenti: trovare il prezzo p di un contratto vuol dire calcolare il valore attuale dei flussi di cassa futuri garantiti dal contratto stesso. Utilizzando la notazione precedente, il prezzo p di uno zcb è quell’importo attuale

T = 0 (oggi) & U Che risulta equivalente all’importo

V = W (maturity) : N

Se il tasso di interesse composto continuo annuo è pari a XY, segue subito che

Z = N < [\] <_ In altre parole, il prezzo di uno zero coupon bond non è altro che il valore scontato del nominale pagato a scadenza.

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(FIXED) COUPON BOND Un coupon bound (zcb) è un contratto finanziario stipulato tra due controparti contraddistinto dalle seguenti quantità:

• N = ammontare nominale o face value • ` = scadenza o maturity del contratto • a = tasso cedolare o coupon rate, solitamente annuo • bcde = frequenza delle cedole o coupon frequency

Acquistando un fixed cb, il compratore acquista il diritto di ricevere alla maturity del contratto un importo pari all’ammontare nominale. Inoltre, il compratore riceverà anche il pagamento di importi aggiuntivi, detti cedole, corrisposti a intervalli di tempo regolari (di solito annuali, semestrali o trimestrali, raramente mensili). Le cedole corrisposte sono pari all’interesse maturato sull’ammontare nominale tra una data di pagamento cedola e la successiva, ad un tasso di interesse fisso pari al tasso cedolare f. In questo caso, non abbiamo più un unico importo futuro da “trasportare” ad oggi, bensì un flusso di importi futuri. A scadenza avremo infatti :

g = h (maturity) : N

Se le cedole sono pagate alle date ij, kl , … , mnop, qr = s avremo gli importi

t = uv & N < w < xy,! " = #$ & N < % < &',( ) = *+ & N < , < -. ,/

… … … … … … … 0 = 12 = 3 & N < 4 < 5678,9

Per stabilire il prezzo p il compratore deve corrispondere all’emittente basta osservare che un fixed coupon bond non è altro che la somma di : zero coupon bond. Rifacendoci alla formula di prima segue che, se il tasso di interesse composto continuo annuo è pari a ;< , avremo1 = = >N < ? < @A,BC < DEFG<HI + (N < J < KL,M) < NOPQ <RS + ( N < T < UV,W) < XYZ[<\] + … … + (N+1) < ^ < _`ab,c < defg <h

1 Nella formula appaiono le quantità ij ,!, "#,$ etc.., ossia le distanze temporali , espresse nella stessa unità di tempo utilizzata dall’interesse cedolare, tra una cedola e l’altra. Un contratto fixed coupon bond specifica anche quale sistema di misura temporale finanziaria utilizzare (vedi nota precedente).

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IL PRINCIPIO DI NON ARBITRAGGIO E I TASSI FORWARD Nelle pagine precedenti abbiamo visto come prezzare due titoli obbligazionari. In entrambi i casi, una caratteristica del contratto semplificava enormemente il lavoro; tutti i cashflows futuri erano già noti all’emissione del contratto. Ovviamente i due contratti da noi studiati sono casi particolari. Esistono comunemente (comunissimamente direi…) contratti finanziari dove le due controparti si accordano oggi per scambiarsi flussi di denaro futuri il cui importo è stabilito in date future. Facciamo subito un esempio pratico. Si è detto in precedenza che l’interesse è il prezzo di un investimento differito, ossia in parole povere il prezzo del tempo. Come precisato nell’introduzione, il prezzo non è una costante assoluta, una quantità immutabile nel tempo: il prezzo di un libro 10 anni fa è diverso dal prezzo odierno, similmente accade per il tempo. A seconda dello scenario che si presenta, gli investitori possono attribuire un valore diverso, giorno dopo giorno, a un investimento differito. Così come il libro, il prezzo di un tempo varia con il ….passare del tempo! In altre parole, i tassi di interesse vengono continuamente ri-quotati dagli investitori giorno dopo giorno. Alcuni giornali o siti internet riportano le quotazioni di tali tassi su alcune scadenze standard (ad es 1gg, 1 sett 1 mese 1 anno) giorno per giorno: i valori riportati non sono altro che il prezzo delle rispettive quantità di tempo. Questi data provider riportano quindi il costo corrente di giorni, mesi e anni: il prezzo di ieri di un investimento differito per un certo lasso di tempo è diverso da quello di oggi. E’ opportuno ricordare infine che tali prezzi vengono “raggiunti” quando il prezzo di offerta del tempo (ossia il tasso di interesse al quale si è disposti a prestare denaro) scende fino a incontrare quello di domanda (ossia il tasso di interesse al quale si è disposti a farsi prestare denaro). Questo tipo di ragionamento è alla base del cosiddetto principio di non arbitraggio, un principio prettamente empirico (che può comunque essere rigorosamente formalizzato) che si rivela molto utile per prezzare flussi futuri ad oggi sconosciuti. Per introdurre tale principio consideriamo il seguente esempio. Supponiamo che ad oggi il prezzo di un’arancia sia pari a un euro: questo vuol dire che i venditori di arance accettano di vendere a prezzi >= 1 euro e i compratori a prezzi <= di un euro. Supponiamo infine che un investitore riesca a comprare ( o a produrre, in generale a mettere sul mercato) arance al costo di 0.80 euro ciascuna. Che cosa succede? Tale investitore ovviamente paga 0.80 euro e rivende l’arancia a un euro, realizzando un profitto di 0.20 centesimi. Tale guadagno realizzato presenta una caratteristica importante: è certo. Qualsiasi scenario si presenti, il guadagno verrà realizzato, indipendente da qualsiasi altro fattore esterno. Il principio di non arbitraggio stabilisce che, sotto opportune condizioni2, tali opportunità non possono presentarsi. La motivazione di questo fatto è chiara: subito dopo l’immissione sul mercato di questo bene a questo prezzo, gli altri agenti dovranno riequilibrare le loro curve di offerta e di domanda per continuare a essere competitivi. Inoltre, il bene immesso sul mercato “sottocosto”, sotto ipotesi di risorse limitate, andrà ad esaurirsi, diventando più “raro”, e quindi richiedendo un prezzo maggiore. Da un punto di vista pratico, possiamo dire che il principio di non arbitraggio non nega in senso stretto la possibilità di un guadagno certo, piuttosto afferma che tale possibilità, sotto ipotesi di “equilibrio”, non possa durare abbastanza per essere sfruttata.

2 Tra queste ipotesi una in particolare merita di essere enunciata, risultando utile nelle prossime lezioni: gli investitori che agiscono sul mercato possiedono lo stesso livello di informazione.

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Tenendo a mente il principio di non arbitraggio, introduciamo il concetto di tassi forward. Il tasso di interesse forward è il costo stabilito oggi di un investimento differito a partire da una data futura S fino a un’altra data futura T (con ovviamente T>S). Se la definizione formale può sembrare uno scioglilingua, usiamo un esempio per spiegare meglio. Supponiamo allora che due investitori A e B decidano oggi (% = 0) di entrare nella seguente transazione

• Al tempo & = '( l’investitore B consegnerà all’investitore A un certo ammontare di denaro, diciamo ). • Al tempo * = +, l’investitore A restituirà a B l’ammontare -, comprensivo degli interessi maturati durante

il lasso temporale nel quale l’investitore B non ha potuto disporre del capitale . dato a prestito. Tale periodo è quindi uguale al tempo trascorso tra /0e 12.

La domanda da fare è la seguente: quale è il tasso di interesse da applicare in questa transazione? A e B concordano i dettagli del contratto finanziario in questione oggi: in altre parole, essi concordano oggi un prezzo per un lasso di tempo futuro. A rigor di logica, il tasso di interesse cercato è quello che, rilevato al tempo 34, verrà applicato fino al tempo 56 . L’unico problema è che questa quantità, ad oggi ( 7 = 0 ), non è ancora nota. Chiamiamo 8(9, :; , <=) il tasso di interesse incognito che esclude ogni possibilità di arbitraggio e cerchiamo di stabilire il suo valore. Il ragionamento che segue è molto comune in matematica finanziaria (in forme più o meno complicate) ed è quindi bene spiegarne in dettaglio la logica sottostante. Il metodo è molto simile al ragionamento per ansatz:

1. Si formula un valore ipotetico > per il tasso incognito; 2. Si prova che, nel caso in cui ?(@, AB, CD) > E, esistono possibilità di arbitraggio; 3. Si prova che, nel caso in cui F(G, HI, JK) < L, esistono possibilità di arbitraggio;3

Procediamo come descritto sopra: la nostra ansatz si può ricavare dalla seguente relazione4:

M1 + N < OP,QR < S1 + T(U, VW , XY) < Z[ ,\] = ^1 + _ < `a,bc Da cui segue che:

d(e, fg , hi) =1jk,l

< m1 + n < op ,q1 + r < st ,u

n 1v

Proseguendo nel ragionamento di non arbitraggio, supponiamo che venga invece applicato un tasso di interesse pari a w > x(y, z{, !"). Proviamo quindi che esiste una strategia che permette all’investitore B di realizzare un profitto certo. B può infatti:

• Entrare oggi nel contratto per un importo # = 1 + $ < %& ,'; • Comprare oggi un bond con scadenza in () per un importo nominale di 1 + * < +,,- ; • Vendere oggi un bond con scadenza in ./ per un nominale pari a 1 + 0 < 12,3 ;

Applicando questa strategia, i flussi di cassa (corrisposti o ricevuti) relativi a B oggi saranno:

4 = 0 (oggi) & n1 + 5 < 67,81 + 9 < :;,<

+ 1 + = < >?,@1 + A < BC,D

= 0

3 Un matematico integerrimo storce il naso davanti a questo ragionamento: infatti, chi ci dice che un prezzo E per il quale vengano escluse possibilità

di arbitraggio esista? La rigorosa formalizzazione di questi concetti (un riferimento è “Asset Pricing” di J.Cochrane) richiede infatti anche una ipotesi più sottile, ovverosia la completezza dei mercati.

4 Relazione in caso di tassi semplici. Analoghe relazioni si possono ricavare per tassi composti e composti continui

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Tali flussi corrispondono al costo di acquisto del bond con scadenza in FG per un importo nominale di 1 + H < IJ,K e al guadagno di vendita di un bond con scadenza in LM per un nominale pari a 1 + N < OP,Q. Al tempo RS il bond acquistato da B sarà maturato e B riceverà 1 + T < UV,W. B cederà ad A tale quantità, rispettando gli obblighi del contratto. Al tempo XY A restituirà a B l’importo pattuito secondo il contratto, e B pagherà il nominale e gli interessi sul bond che aveva acquistato in Z = 0. Sommando tali flussi otteniamo

[1 + \ < ]^,_` < a1 + b < cd,efn g1 + h < ij,kl > 0

In conclusione, B realizzerà un profitto certo al tempo mn, violando il principio di non arbitraggio. Tale strategia ha costo iniziale netto pari a zero: il guadagno di B è sicuro e gratuito. Supponendo un tasso di interesse forward pari a o < p(q, rs, !"), è facile ricavare una simile violazione del principio di non arbitraggio da parte dell’investitore A. In conclusione, abbiamo dimostrato che il costo stabilito in # (oggi) di un investimento differito a partire da una data futura $% fino a un’altra data futura &' è pari a

((), *+ , ,-) =1./,0

< 11 + 2 < 34 ,51 + 6 < 78 ,9

n 1:

FLOATING RATE NOTES e FRA Un contratto finanziario di tipo FRA (forward rate agreement) è sostanzialmente identico al contratto dell’esempio precedente. Un FRA è caratterizzato da

• N = ammontare nominale o face value • ; = scadenza o maturity del contratto • < = data di reset o reset date • = = tasso contrattuale

Il contratto non prevede scambi di denaro alla data di stipula (ossia “oggi”). Le controparti A e B si accordano per scambiare alla data > i seguenti importi: L’”acquirente” del FRA (posizione FRA long) cederà alla controparte il nominale ? più gli interessi maturati tra @ e A ad un tasso concordato oggi B. Pertanto, l’importo complessivo ceduto sarà:

C < D1 + H < EF,GH

In cambio, la posizione long FRA riceverà dalla controparte (venditore del FRA, o short FRA) l’importo

I < J1 + K(L, M) < NO,PQ

dove R(S,T) indica il tasso di interesse rilevato in S a scadenza T.

La domanda è ancora una volta: quale è il tasso U tale da escludere possibilità di arbitraggio per le controparti impegnate nel contratto? Il compratore del FRA corrisponderà alla controparte un importo stabilito oggi, mentre il venditore cederà un importo determinato in una data futura V = W: alla luce di quanto detto prima sui forward rate, è facile vedere (solito ragionamento di non arbitraggio, provare per credere) che il tasso cercato X è proprio il tasso forward stabilito oggi (in Y) e applicabile tra le date future Z e [.

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Il contratto FRA è utile anche per presentare il concetto di forward rate sotto un’ottica abbastanza particolare, che risulterà più familiare dalla prossima lezione (ossia dopo aver collocato il pricing di contratti finanziari in un ambito probabilistico). In un FRA, il tasso di interesse corrisposto dalla controparte long è noto sin dalla data di stipula, mentre il tasso pagato dalla posizione short lo sarà solo in una data futura. Se il contratto risulta equo, ossia se sono escluse possibilità di arbitraggio (e quindi il tasso pagato da chi è long è il tasso forward), il tasso corrisposto dal long dovrebbe essere una buona “previsione” del tasso di interesse futuro pagato dallo short..

Più formalmente, il tasso di interesse che verrà rilevato in futuro è una possibile realizzazione di una variabile aleatoria, e il valore atteso di tale variabile aleatoria è proprio il tasso forward5. Una buona “rule of thumb” per trattare tassi di interesse che verranno stabiliti in date future è pertanto quella di “sostituire” questi tassi con i loro valori attesi, ossia i tassi forward.

Facciamo un esempio a riguardo. All’inizio del nostro discorso abbiamo considerato diversi tipi di bond, accomunati però dalla caratteristica di essere a tasso fisso: l’interesse utilizzato per calcolare i coupons dovuti era costante e fissato alla data di stipula. Esistono comunemente strumenti obbligazionari che non hanno tasso fisso, ma variabile: le cedole future non sono note alla data odierna, ma verranno stabilite in corrispondenza delle date di pagamento del coupon future. Il più semplice esempio di questo tipo di contratti è la floating rate note, o obbligazione a tasso variabile.

Tale contrato è caratterizzato dalle seguenti quantità:

• N = ammontare nominale o face value • \ = scadenza o maturity del contratto • ]^_` = frequenza delle cedole o coupon frequency

Acquistando un floating rate bond, il compratore acquista il diritto di ricevere alla maturity del contratto un importo pari all’ammontare nominale. Inoltre, il compratore riceverà anche il pagamento di importi aggiuntivi, detti cedole, corrisposti a intervalli di tempo regolari, come specificato da frequenza contrattuale. Le cedole corrisposte sono pari all’interesse maturato sull’ammontare nominale tra una data di pagamento cedola e la successiva, secondo il tasso di interesse rilevato per il periodo cedolare corrente. La successione di importi corrisposti al compratore è quindi questa: a scadenza avremo

a = b (maturity) : N

Se le cedole sono pagate alle date cd, ef , … , ghij, kl = m avremo gli importi

n = op & N < q(rs , tu) < vw,x y = z! & N < "(#$ , %&) < '(,) * = +, & N < -(./ , 01) < 23,4

… … … … … … … 5 = 67 = 8 & N < 9(:;<=, >?) < @ABC,D

Per stabilire il prezzo del FRN, trasportiamo i flussi di cassa descritti sopra nei loro equivalenti ad oggi. Sia EF il tasso di interesse semplice annuo. Il ripagamento del nominale a scadenza corrisponde ad un importo presente di

G < H 11 + IJ,K < LM

5 Anche qui il matematico rigoroso inorridisce….ma ancora una volta è colpa mia Infatti non ha senso parlare di valore atteso per una variabile aleatoria senza specificare quale misura si considera. Vedremo in seguito che la misura scelta è proprio l’unica misura tale da garantire l’assenza di possibilità di arbitraggio (misura risk-free).

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Teniamo ora a mente quanto detto rispetto ai tassi forward, ossia che tali tassi sono il valore atteso dei tassi di interesse che verranno rilevati in futuro. Procediamo quindi a prezzare le cedole. La cedola corrisposta in NO corrisponde al pagamento degli interessi maturati tra PQ (oggi) e RS al tasso rilevato tra queste due dati. Pertanto, il primo tasso di interesse (pari a TU) risulta quindi noto. Per prezzare la cedola in VW è quindi sufficiente scontarla fino a XY: quindi l’importo

Z = [\ & N < ] < ^_,`

È equivalente all’importo

a = bc(oggi) & dN < e < fg,hi<j1

1 + k < lm ,no

Le altre cedole non sono ancora note ad oggi. Abbiamo però detto che il loro valore atteso è proprio il corrispettivo tasso forward. Per prezzare questo tipo di importi futuri è quindi necessario:

• Sostituire il tasso di interesse rilevato in data futura (ad oggi incognito) con il suo corrispettivo forward (ossia con il suo valore atteso).

• Scontare la cedola risultante moltiplicando per il corrispettivo fattore di sconto. Procedendo come descritto, segue che il valore atteso degli importi futuri

p = qr & N < s(!" , #$) < %&,' ( = )* & N < +(,- , ./) < 01,2

… … … … … … … 3 = 45 = 6 & N < 7(89:;, <=) < >?@A,B

È pari a

C = DE & N < F(G, HI , JK) < LM ,N O = PQ & N < R(S, TU , VW) < XY ,Z

… … … … … … … [ = \] = ^ & N < _(`, abcd , ef) < ghij,k

Scontando ad oggi tali flussi otteniamo l’importo equivalente

l = mn(oggi) & o 11 + p < qr ,s

t + ! N < "(#, $% , &') < (),*+ ,1

1 + - < ./,01+…+ 2 N < 3(4, 5678, 9:) < ;<=>,?@ < A

11 + B < CD,E

F

Ricordando che

GHI, JK , LMN =1OP ,Q

< R1 + S < TU ,V1 + W < XY ,Z

n 1[

Segue che

\]^, _`, abc < de ,f < g1

1 + h < ij ,kl = m1 + n < op,q

1 + r < st,!n 1" < # 1

1 + $ < %&,'( =

11 + ) < *+ ,,

n 11 + - < ./,0

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Semplificando l’espressione relativa al valore attuale delle cedole future incognite otteniamo la somma telescopica

1 = 23(oggi) & 4 < 56 11 + 7 < 89 ,:

n 11 + ; < <=,>

? + @ 11 + A < BC ,D

n 11 + E < FG,H

I + JK 11 + L < MN,OPQ

n 11 + R < ST ,U

VW Che si riduce a

X = YZ(oggi) & [ < \ 11 + ] < ^_,`

n 1

1 + a < bc,de

Per ottenere il valore attuale del contratto FRN dobbiamo sommare i valori attualizzati dei due flussi di cassa considerati precedentemente, ossia il ripagamento del nominale a scadenza e il pagamento della prima cedola ad oggi nota. Sommando otteniamo l’importo attuale

f = gh(oggi) & i < j 11 + k < lm,n

n 1

1 + o < pq ,rs+ !N < " < #$,%&<'

11 + ( < )* ,+

,+ - < . 11 + / < 01 ,2

3 = 4

Abbiamo quindi dimostrato che il prezzo di un contratto FRN (quale che sia l’importo nominale, la frequenza cedolare o la maturity) è pari al valore del nominale previsto da contratto.

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IL MERCATO AZIONARIO

Nella lezione precedente abbiamo prezzato alcuni semplici esempi di titoli obbligazionari, come i fixed rate bond e i floating rate bond. Introducendo tali strumenti, si è detto che l’operazione di emettere obbligazioni permette a un ente (sia esso una società, un ente pubblico o uno stato) di racimolare capitali necessari all’operatività finanziaria dell’ente stesso: un’obbligazione non è altro che un “prestito” concesso all’ente da un gruppo di investitori, che vengono ripagati tramite i cosiddetti coupon (ossia i pagamenti della quota interessi di cui abbiamo parlato prima).

Da un punto di vista prettamente contabile, l’emissione di obbligazioni al fine di procurare capitale presenta un vantaggio importante: gli interessi pagati agli investitori sono deducibili dal bilancio contabile, ossia l’ente in questione non paga tasse sui “soldi” che dovrà restituire agli investitori come quota interessi.

D’altra parte, un’obbligazione “obbliga” la controparte emittente a rispettare determinati impegni, quali il pagamento di interessi e nominale, a date stabilite. Nel caso in cui l’ente non sia nella condizione di corrispondere agli acquirenti gli importi dovuti, i titolari dei bond sono i “primi” creditori a dover essere soddisfatti. Questo significa che, in caso di “failure to pay”, i titolari di bond possono teoricamente intraprendere vie legali e costringere l’ente emittente a (s)vendere asset (macchinari, edifici, proprietà finanziarie) per onorare il proprio debito ( i crac finanziari di Parmalat o Enron mostrano come la teoria sia spesso diversa dalla pratica…). L’emissione di obbligazioni è quindi una possibile soluzione al problema del capitale, che presenta però sia svantaggi che vantaggi.

L’altra strategia esistente per ottenere capitali è l’emissione di azioni. Un’azione (stock) è una quota del valore dell’ente emittente. In seguito all’annuncio di un emissione di titoli azionari, il compratore di tali titoli corrisponde all’ente emittente un importo di denaro. Tale importo viene utilizzato dall’ente emittente per la sua operatività finanziaria. In cambio, l’acquirente diventa azionista dell’ente emittente, ossia “compra” una quota del valore della ditta e acquista potere decisionale riguardo all’amministrazione effettiva dell’ente.

Precisiamo meglio questo concetto. A differenza di un’obbligazione, non esiste “nessun” impegno di natura legale tra azionista e ente emittente. In particolare, l’ente emittente non è tenuta a pagare alcun tipo di importo all’azionista, ma può decidere di farlo tramite i cosiddetti “dividendi”, pagamenti che vengono corrisposti ai titolari di azioni, solitamente in corrispondenza della chiusura del bilancio semestrale o annuale. L’importo ( e il pagamento stesso) di tali dividendi è completamente arbitrario, e dipende solamente dalla scelte del consiglio di amministrazione dell’ente emittente. Inoltre, in caso di fallimento dell’ente stesso, i titolari di azioni sono i creditori più “deboli”, ossia sono gli ultimi ad essere soddisfatti.

Come fa allora l’investitore azionario a preferire un’ azione a un titolo obbligazionario? Ancora una volta, la risposta a tale domanda va cercata nella legge di domanda e offerta. In seguito all’emissione dei titoli azionari da parte dell’ente (mercato primario), tali titoli vengono ancora attivamente scambiati tra investitori sul cosiddetto mercato secondario. Il prezzo a cui le azioni vengono scambiate dipenderà da diversi fattori, tra cui la percezione della performance dell’emittente, la visione macroeconomica del mercato, la situazione politica attuale e via dicendo. In generale, un’emittente “virtuoso” vedrà il valore delle proprie azioni salire: questo vuol dire che gli investitori sono disposti a scommettere sulla performance futura dell’emittente, che le loro richieste di finanziare l’ente stesso sono in aumento e che quindi il costo di tale finanziamento è in aumento. Ciò può accadere ad esempio in coincidenza di una chiusura di bilancio in positivo, di una fusione/acquisizione “ben vista” dal mercato, di una variazione delle norme legislative riguardanti il business dell’emittente o in infinite altre situazioni diverse.

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Similmente, un ente meno virtuoso vedrà il valore unitario delle proprie azioni scendere, in coincidenza della versione “negativa” degli stessi eventi descritti prima.

La dinamica del mercato azionario è il vero motivo che spinge un investitore a scegliere tale tipologia di investimento: se l’investitore, tramite informazioni ottenute in maniera più o meno lecita, è convinto della performance di una certa società in un determinato lasso di tempo, acquisterà azioni di quella società, aspettando che il prezzo di mercato di tali azioni si alzi (in risposta alle “buone notizie” future che la riguardano), per poi vendere quando lo riterrà più opportuno e realizzare un guadagno. Inoltre, come accennato prima, le azioni remunerano i loro possessori con i dividendi: è perciò comune trovare sul mercato azionario investitori che acquistano titoli azionari nella convinzione di poter realizzare un guadagno in seguito ad un imminente pagamento di dividendi.1

Questa brevissima introduzione trascura moltissimi aspetti rilevanti del mercato azionario (Come si comprano in pratica le azioni? Chi può vendere azioni? Che costi affronta un investitore in azioni?) ma dovrebbe comunque riuscire a rendere l’idea delle difficoltà che si incontrano nel costruire un modello per “simulare” (nota bene: non prevedere) uno stock. Un esempio pratico dovrebbe essere sufficiente a far capire la difficoltà di realizzare un modello “sensato”: nella figura che segue è riportato il prezzo di chiusura delle azioni AT&T dal 04/01/2010 al 04/03/2010 (i primi tre mesi dell’anno).

Nel prossimo grafico è invece riportato il prezzo di chiusura delle stesse azioni per i tre mesi successivi.

1 A voler essere precisi, le date di pagamento dei dividendi non sono “totalmente” arbitrarie: solitamente, un ente decide di pagare dividendi in seguito alla pubblicazione del bilancio semestrale / annuale. E’ bene precisare che anche i dividendi sono una “quota” del valore dell’emittente. Proprio per questo motivo, in seguito ad un pagamento di dividendi, il prezzo delle azioni corrispondenti scende di un importo “pari” al dividendo pagato: il valore dell’ente resta lo stesso, ma viene parzialmente distribuito agli investitori in denaro (ad es. un’azione a quota 2 € che paga un dividendo di 0.30 € scenderà all’incirca a quota 1.70 €.

22

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04/01/2010 04/02/2010 04/03/2010

AT&T INC

AT&T INC

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Ovviamente un singolo esempio non permette di trarre conclusioni di nessun tipo: se però ripetiamo la stessa procedura con altri titoli e con altri periodi, la difficoltà di trovare un modello per uno stock diventa sempre più evidente. In particolare, l’evidenza empirica dei dati mostra come non sia possibile trovare una funzione deterministica di un certo numero di parametri tale da poter descrivere con sufficiente precisione la dinamica di uno stock.

Per questi motivi un approccio sensato all’equity modeling passa necessariamente per una descrizione probabilistica: in sostanza, ogni prezzo rilevato a fine giornata è la realizzazione di una determinata variabile aleatoria. Il modello non si occupa di spiegare perché il prezzo di un certo stock al tempo ! è pari a un certo valore, ma stabilisce quali relazioni intercorrono tra la variabile aleatoria “prezzo dello stock in "” e, ad esempio, la variabile "prezzo dello stock in # $ 1 “. L’approccio è quindi totalmente differente: nessun modello azionario ha la pretesa di stabilire quale sarà il livello di uno stock domani, sapendo quale è il livello oggi. Viceversa, ogni modello “sensato” cercherà di descrivere un legame tra la varibaile aleatoria “prezzo domani” e la variabile “prezzo oggi”, di cui è nota una (l’unica…) realizzazione.

22,5

23

23,5

24

24,5

25

25,5

26

26,5

27

30/03/2010 30/04/2010 31/05/2010 30/06/2010

AT&T INC

AT&T INC

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PREREQUISITI DI TEORIA DELLA MISURA

Prima di descrivere alcuni modelli per la dinamica di uno stock, è conveniente richiamare qualche definizione utile in seguito.

Def: !-algebra

Sia ! un insieme non vuoto e % una famiglia di sottoinsiemi di ! (ovvero un sottoinsieme dell’insieme delle

parti di !). Diremo che & è una "-algebra su ! se:

1. l'insieme vuoto appartiene ad ' : ( ) *.

2. Se un insieme A è in , allora il suo complementare è in +: , ) - ./0 A1 ) 2 . 3. Se gli elementi Ai di una famiglia numerabile di insiemi {34}5)6 sono in 7, allora la loro unione è

in 8: 9: ) ; < = ) > ?/@ A BC D)E ) F

La coppia (!, G) è detta spazio misurabile.

Def: misura

Dato uno spazio misurabile (!, H), una misura è una funzione di insieme I J K L R che risulta sigma

additiva, ossia

MN ) O , PQ R ST = ( < U V W, X, Y ) Z [/\ ](A ^_ `)a ) = b cd)e (fg)

Una misura di probabilità è una misura positiva e tale che h(i) = 1. La terna (!, j, k) è detta spazio di probabilità.

Def: funzione misurabile

Siano (!, l) e (#, m) due spazi misurabili e sia n J o p/q r una funzione. s si dice misurabile se

tuv(w) ) x < y ) z

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Def: Misura assolutamente continua

Siano { J | L R e } J ~ L R due misure di probabilità su (!, �) . � si dice assolutamente continua

rispetto a !, e si scrive " # $, se vale la seguente relazione

< % ) & , '(() = 0 )/* +(,) = 0

Teo: Radon Nikodym

Siano - J . L R e / J 0 L R due misure di probabilità su (!, 1) e sia 2 assolutamente continua

rispetto a 3. Allora esiste 4 ) 56(o,7,8) tale che:

9(:) = E;[ < = 1>]

e più in generale vale

E?[ @ ] = EA[ B = C ] < D ) E1(o,F, G)

La funzione H è detta densità di I rispetto a J e si indica con K = LMNO

Def: : !-algebre, eventi e funzioni indipendenti

Siano PQ, RS, … ,TU "-algebre su o e sia V J W L R una probabilità tale che X Y Z[ < \ ) ]. Tali "-algebre si dicono indipendenti se per ogni numero finito di insiemi

^_ ) a , bc ) de , … , fg ) hi

vale la seguente relazione

j (kl R mn R … R op) = q(rs) = t(uv) = … = w(xy)

Dati insiemi z misurabili !" ,#$ , … ,%& diremo che tali insiemi sono indipendenti se le sigma algebre da loro generate sono indipendenti. Stessa definizione nel caso di funzioni misurabili.

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Def: Valore atteso condizionato (o Teorema di Kolmogoroff)

Siano ' Y ( due "-algebre su ! e sia ) J o */+R una funzione , ) -.(o,/, 0).

Esiste un’unica funzione 1 J o 2/3R tale che

• 4 ) 56(o,7, 0) • < 8 ) 9 vale :[ ; = 1< ] = =[ > = 1? ]

Tale funzione è detta valore atteso condizionato di @ rispetto alla sigma algebra A e viene solitamente indicata con la notazione B[ C | D].

Il valore atteso condizionato di una variabile aleatoria corrisponde alla migliore approssimazione possibile della suddetta variabile, data l’”informazione” contenuta nella sigma algebra E.

Si può infatti provare che, così come il valore atteso di una variabile aleatoria è la costante che minimizza lo scarto quadratico medio (qualora F sia in GH(o,I, 0) ), il valore atteso condizionato è la funzione J che minimizza il valore di

K[ (L $ M)N]

dove O è una funzione P – misurabile.

Ad esempio, se la sigma algebra Q è banale, è immediato vedere che R[ S | T] = U[ V ], ossia il valore atteso condizionato si riduce al valore atteso della variabile W. Questa situazione corrisponde al caso di “minima informazione”: l’approssimazione cercata deve infatti essere misurabile rispetto alla sigma algebra banale, quindi costante. Viceversa, quando X = Y , siamo nel caso di “massima informazione” possibile: pertanto è facile vedere che Z[ [ | \] = ].

Il valore atteso condizionato presenta alcune proprietà notevoli:

• Se ^ è _ misurabile, `[ a | b] = c; • Se d e e sono indipendenti, f[ g | h] = i[ j ]; • klm[ n | o]p = q[ r ]

• s[ t = u + v = w | x] = y = ![ " | #] + $ = %[ & | ']; • Se ( ) 0 quasi ovunque, allora *[ + | ,] ) 0 quasi ovunque.

• Il valore atteso condizionato è stabile per convergenza monotona e convergenza dominata.

• Il valore atteso condizionato rispetta il lemma di Fatou;

• Siano - Y . Y / "-algebre su !. Vale la cosiddetta “proprietà della torre” 0[1[ 2 | 3 ] | 4] = 5[ 6 | 7]

• Sia 8 una funzione 9 misurabile e supponiamo che : = ; ) <=(o,>, 0). Allora

?[ @ = A | B] = C[ D | E] = F

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Introduciamo ora un concetto strettamente legato alla modellizzazione di uno stock, cioè quello di filtrazione e di processo stocastico.

Def: Filtrazione

Dato uno spazio misurabile (!, G) e un insieme di indici H , sia F = ( IJ )K ) L una famiglia di "-algebre su

o . Diciamo che tale famiglia è una filtrazione se vale la seguente relazione

MN O PQ O R < S T U

Date due filtrazioni F = ( VW )X ) Y e G = ( Z[ )\ ) ] diremo che F O G se vale

_ O `a < b ) c

Def: Processo stocastico

Dato uno spazio misurabile (!, d) e un insieme di indici e , un processo stocastico è una famiglia di

variabili aleatorie S = ( fg )h ) i tali che jk è l$ misurabile per ogni m ) n.

Def: Processo stocastico adattato

Dato un processo stocastico S = ( op )q ) r e una filtrazione F = ( st )u ) v , diremo che il processo

stocastico S è adattato alla filtrazione F se

wx J ! L R è yz – misurabile < ! ) "

Dato un processo stocastico S = ( #$ )% ) & , la filtrazione generata da S è la più piccola filtrazione per la

quale il processo risulta adattato

Queste ultime tre definizioni introducono il tipo di modello che vogliamo costruire: come già anticipato, l’idea è quella di descrivere l’evoluzione temporale di uno stock come una successione di variabili aleatorie indicizzate sul tempo. I prezzi osservati durante un certo arco temporale non sono altro che singole realizzazioni di tali variabili aleatorie. Più formalmente, se indicizziamo un processo stocastico

S = ( '( )) ) * secondo un intervallo di tempo [ 0, + +) otteniamo una mappa

,: i × [ 0, + +) L R

(-, .) L /(0, 1) = 23(4)

In altre parole, quella che viene osservata non è altro che una traiettoria del processo, ossia un successione

di valori 5(67, 8) con 9 ) [ 0, + +).

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Il concetto di filtrazione serve a descrivere un’altra caratteristica degli stock. Vogliamo sintetizzare in maniera formale il seguente fatto: supponendo di essere nell’istante temporale :, abbiamo già osservato una possibile realizzazione del prezzo dell’azione alle date ; T <, ma non abbiamo alcuna informazione riguardo le variabili => con ? > @. L’idea è quella di sostituire la parola “informazione” con “"-algebra”: infatti, poiché quest’ultima non è altro che un insieme di sottoinsiemi di un (insieme) “universo”, una "-algebra è un ottimo modo per formalizzare il concetto di “flusso informativo disponibile”. Con il passare del tempo, la quantità di informazione disponibile aumenta, in quanto l’investitore ha modo di osservare l’evoluzione del mercato. Quindi l’informazione è una “funzione crescente” del tempo, che può modellizzarsi propriamente come una successione di "-algebre crescenti.

Se l’oggetto di studio del nostro modello è l’evoluzione nel tempo di una o più variabili aleatorie, il requisito minimo che possiamo chiedere per avere informazioni riguardo tale successione di funzioni è la loro misurabilità: richiediamo quindi che le variabili che hanno generato realizzazioni passate del prezzo dell’azione siano misurabili rispetto al set informativo disponibile ad oggi, e che variabili “future”, a priori, non lo siano. Quindi, la filtrazione è un concetto efficiente per descrivere l’aumento del flusso informativo disponibile con il passare del tempo.

Def: Martingala

Sia (o,A, 0) uno spazio di probabilità e sia F = ( BC )D ) E una filtrazione per F . Un processo stocastico

S = ( GH )I ) J è detto F -martingala se valgono le seguenti tre proprietà:

• S è adattato alla flitrazione F; • KL ) MN(o,O, 0) < P ) Q;

• R[ ST | UV] = WX < s T t

La definizione di martingala è utile per tradurre un altro concetto che si rivela spesso utile in finanza. Mentre la seconda condizione è di natura puramente formale (e la prima è già stata discussa sopra), la terza è più sottile: illustriamola con un esempio.

Siano YZ,[\, … ,]^, … variabili indipendenti e supponiamo che siano in _ (o,a, 0) . Sia inoltre b[cd] = 0.

Definiamo ef = b ghijkl per ogni m > 0 e sia no = 0;

Definiamo infine la filtrazione naturale F = ( pq )r ) s con tu = v(wx,yz, … ,{|) e

}! = {(,o}.

E’ facile provare che il processo stocastico adattato ("#)$ )% è una F –martingala. Supponiamo ora che le

variabili aleatorie &' rappresentino gli esiti di un gioco tipo “testa o croce” , dove lo scommettitore vincente realizza un guadagno di +1 e quello perdente una perdita di -1. Se la moneta è equa, il guadagno medio da questo tipo di gioco è 0 (([)*] = 0). Le variabili +, rappresentano quindi il guadagno totale dello scommettitore alla - - esima scommessa. Per ipotesi inoltre gli incrementi

./= 01 $ 2345

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Risultano indipendenti e a media nulla. Quindi, tramite il concetto di martingala, stiamo formalizzando il seguente fatto: il guadagno medio totale dell’investitore non è correlato al numero di scommesse fatte, ed è sempre pari al capitale iniziale con cui era partito (nel nostro caso pari a 67 = 0).

Nell’esempio precedente, come scritto sopra, abbiamo costruito un processo di tipo martingala, ma abbiamo anche provato una ulteriore caratteristica (che non vale in generale per tutte le martingale): gli incrementi del processo risultavano indipendenti. In altre parole, la variazione del processo stocastico in analisi tra il tempo 8 e il tempo 9 + 1 non dipende da ciò che accaduto prima di :. Questo fatto risulta particolarmente utile nella modellizzazione della dinamica dei titoli azionari, in quanto l’evidenza empirica prova che la correlazione tra la variazione giornaliera di prezzo “oggi” e quelle di “ieri” è molto bassa. Definiamo ora un oggetto che presenta questa desiderabile proprietà .

Def: Moto Browniano

Sia (;<)=)> un processo stocastico in ?@(o,A, 0) e sia F = ( BC )D ) E con FG = H(IJ < K T L) la sua

filtrazione naturale.

Diciamo che (MN)O)P è un moto Browniano se

• QR $ST è indipendente da UV $WX < Y, Z,[, \ tali che ] > ^ ) _ > `;

• ab $cd ~ e(0, f $ g);

• Le traiettorie h L ij(k7) sono continue < l7 ) o;

• mn = 0

Quindi un moto browniano è un processo stocastico a incrementi indipendenti e normalmente distribuiti.

ESEMPIO: Provare che op = qrst=u

v=!"#=$% è martingala

Prima di introdurre l’ultimo fondamentale concetto, ovvero quello di integrale di Ito, spieghiamo brevemente le ragioni che motivano il suo impiego nell’ambito della modellistica finanziaria. Come detto all’inizio, il nostro obbiettivo è quello di trovar un modello appropriato per descrivere la dinamica di un prezzo di un’azione. Se provassimo a modellizzare direttamente la variabile “prezzo”, incontreremmo però grosse difficoltà, dovute principalmente al fatto che il prezzo di un’azione è dipendente dai prezzi realizzati in precedenza: l’approccio migliore è invece quello di trovare un modello per le variazioni nel prezzo dello stock, precisamente per variazioni di prezzo in un istante infinitesimo. Una volta descritte tali variazioni, il prezzo finale dello stock si potrà ottenere “sommando” tutte queste quantità.

Usando una terminologia più familiare, ci proponiamo di ricavare qualcosa di simile a un’equazione differenziale per il prezzo di un’azione, ossia un legame funzionale tra una variabile &' (variazione infinitesima di prezzo al tempo () e altre variabili. Come già precisato, l’evidenza empirica prova che non è possibile descrivere uno stock tramite una funzione deterministica: vorremmo pertanto scrivere un’equazione differenziale che imponga una relazione tra )* e una o più variabili aleatorie. Ad esempio, potremmo provare a scrivere qualcosa come:

+,-./

= 0 = 12 + 3 = 456

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La relazione precedente (che per ora non ha alcun significato formale) afferma ad esempio che, considerando intervalli di tempo molto brevi, la variazione percentuale di prezzo è pari a un termine costante (7 = 89) più un termine stocastico, precisamente pari all’incremento di un moto browniano (moltiplicato per una costante). Ragionando ancora empiricamente, il modello proposto potrebbe essere valido:

• Descrivendo incrementi percentuali, eliminiamo la dipendenza dai livelli dello stock (non avrebbe senso modellizzare incrementi assoluti, in quanto le azioni sono quotate in diverse valute: un incremento di +1, di per sé, non significa nulla);

• Descrivendo incrementi percentuali introduciamo una relazione di tipo moltiplicativo tra lo stock al tempo : e lo stock al tempo iniziale 0. Questo sembra indicare che un oggetto descrivibile come sopra non possa mai risultare negativo (come infatti accade per i prezzi di azioni). Se descrivessimo incrementi assoluti, dovremmo imporre qualche vincolo in modo da ottenere prezzi positivi, vincolo che non sembra necessario in questo caso;

• La dinamica proposta è abbastanza flessibile: il termine deterministico potrebbe infatti rappresentare un qualcosa di comune ad ogni azione, una sorta di “andamento globale” del mercato, o meglio, un tasso di crescita percentuale “globale”. Tramite la costante ; potremmo invece misurare la volatilità degli incrementi di quel preciso stock, ossia quanto i rendimenti di quell’azione tendono a oscillare intorno al tasso di crescita globale.

Ci proponiamo quindi nel seguito di formalizzare in qualche modo una relazione come quella appena descritta, ossia quella di equazione differenziale stocastica. L’ultimo strumento formale di cui abbiamo bisogno è il concetto di integrale di Ito. Infatti, per dare un senso formale a un’equazione differenziale stocastica… basta definire cosa si intende per “soluzione” di tale equazione. Vogliamo quindi dare un senso a un concetto di integrale stocastico.

L’integrale di Ito è una estensione del classico integrale di Riemann in ambito stocastico. Il processo che porta alla sua definizione è abbastanza simile a quello impiegato per definire l’integrale di Stieltjes:

Def: Funzione a variazione limitata

Data una funzione f J [0, <] L R diremo che è a variazione limitata su [0, =] se esiste finito il limite

>[?,@](A) = limBLCD

EFGHIJK $ LMNOPQRST

UVW

Dove XY = 0, Z[ = \, ] = _` = a

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Def: Integrale di Stieltjes

Data f J [0, b] L R a variazione limitata su [0, c] e g J [0, d] L R continua definiamo integrale di Stieltjes di g su f la quantità

e f(g)hi =j

klim

lLmnop(qrst) = uvw!"# $ $%&'()*+,

-./

Supponiamo ora di avere due processi stocastici ( 0)1)2 , (34)5)6 su (o,7, 0) con 8 = [0, 9] e sia F = ( :s )s ) ; filtrazione su tale spazio. Se fissiamo < ) o , possiamo definire le stesse quantità di sopra: in

particolare, se le traiettorie di (=>)?)@ risultano continue e quelle di (AB)C)D risultano a variazione limitata, possiamo definire un Integrale di Stieltjes E FG H pari a

I JK(L) MNO(P) =Q

Rlim

SLTUVWXYZ[\](^) = _`abcd(e) $ fghijkl(m)no

pqr

Cosa succede se proviamo ad applicare la definizione di Integrale di Stieltjes s tu v con (wx)y)! = ("#)$)% moto browniano? E’ facile provare che il limite precedente non risulta definito, in quanto le traiettorie di un moto browniano sono continue ma non sono a variazione limitata. Per provarlo, basta ricordare il seguente lemma:

Lemma

Data una funzione f J [0, &] L R a variazione limitata su [0, '] allora

([),*]+ (,) J= lim

-L./0123456 $ 789:;<=>

?@

ABC= 0

Dove DE = 0, FG = H, IJ = KL = M

Proviamo allora che, fissato N ) o, limOLPQ b RSTUVW(X) $YZ[\]^_(`)abc

def V 0. Definiamo

.ghijk = lmnop $qrstuvw

Vale quindi che :

• !" .#$%&'(=0;

• )*+,.-./012 = 3 4.56789:; = <=>?;

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Definiamo allora

@AB C DE.FGHIJKL

M

NOP

Segue che

• Q[ RST] = U ; • VWX[ YZ[] = b \]^ _.`abcd

efghij

Ma ricordando che, se k~ l(0,mn) , opq[rs] = 2 = t[uv]w , segue che

xyz[ !"#] = $%&' (.)*+,-./

0

123= 2 =45 6.789:;

<=>

?@A= 2 = BCDE

F= G

Quindi abbiamo che

limHLIJ

K[ LMN] = O; limPLQR

STU[ VWX] = 0;

Quindi YZ[ converge a \ in ]^(o,_, 0). Sappiamo allora che esiste una sottosuccessione che converge puntualmente quasi ovunque, da cui segue che

lim`Lab

cde(f) = limgLhi

jklmnop(q) $rstuvw!(")#$

%

&'(= ) quasi ovunque

Violando il lemma, abbiamo provato che il moto browniano non possiede traiettorie a variazione limitata.

Abbiamo altresì provato che, definendo la variabile aleatoria * L + ,-./(0)12 34 dove definiamo

5 6789(:);< J= =

>lim

?L@ABCD(E) = lim

FLGHIJKLMNO(P) $QRSTUVW(X)Y

Z[

\]^

Vale che + (_ a)b = c quasi ovunquede .

I ragionamenti fatti fino ad ora provano che non è possibile definire un integrale stocastico di tipo f by g su un moto browniano. Abbiamo però detto che, per ottenere un modello “sensato” di un’azione, dobbiamo dare un senso teorico all’azione di “integrare” su un moto browniano. La soluzione a questo problema viene fornita dall’Integrale di Ito.

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Def: processo stocastico semplice

Sia (hi)j)k un processo stocastico adattato alla filtrazione generata da un moto Browniano in (o,l, 0) . Diciamo che il processo (mn)o)p è semplice su [0, q] se esitono

rs = 0, tu , vw, … , xy = z ) [0, {]

!",!#, … ,!$ variabili aleatorie in (o,%, 0)

Tali che

&'(() = !)(*) quasi ovunque < + tali che ,-./ T 0 T 12

Def: Integrale di Ito per funzioni semplici

Se (34)5)6 è semplice, definiamo Integrale di Ito del processo ( 7)8)9 la variabile aleatoria :; , dove :

<=(>) C ? @A(B) = CD =E

FGHI(J) = KLMN(O) $PQRST(U)VW

XYZ

L’integrale di Ito per funzioni semplici presenta alcune buone proprietà:

• Considerando la filtrazione naturale indotta da ( [)\)] ,Il processo stocastico ( _)`)a è una martingala;

• Vale l’Isometria di Ito

b cde fg = hij

klmn = o p[qrs] = tu

v

!

Proviamo brevemente solo la seconda proprietà, nel caso in cui " = 2 . In tal caso l’integrale di Ito diventa

#$(%) = &'(() = )*+,(-)$./0(1)2 + 34(5) = 6789(:) $;<=(>)?

Quindi vale @[ABC] = D EFGH = IJKL $MNOP+ QR = STUV $WXYZ[\] =

^ _ ab = cdef $ghij

k + lmn = opqr $stuvw + 2 = xy = !" = #$%& $'()* = +,-. $/0123

L’ultimo addendo vale zero per definizione di moto Browniano, mentre i primi due valgono (ricordando che, vista la definizione di processo semplice, 45 è 67 misurabile e 89 è :; misurabile, e quindi possiamo spezzare il valore atteso del prodotto in prodotto dei valori attesi grazie alla proprietà di martingala del moto browniano):

= <[=>?] = (@A $ BC) + D[EFG] = (HI $ JK)

Che è la scrittura per esteso di + L[MNO] = PQRS .

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ESEMPIO Integrare il processo costante pari ad 1 / integrare il processo (TU)V)W dove XY = Z([)

A questo punto ciò che segue è abbastanza standard: una volta definito qualcosa su funzioni semplici (o, in questo caso , processi) l’idea è sempre quella di approssimare tramite tali funzioni il processo desiderato e definire l’integrale di Ito per tale processo tramite un passaggio al limite. L’unica accortezza riguarda l’Isometria di Ito: trattando di valori attesi di quadrati di funzioni, è facile capire che l’ambito giusto per una formalizzazione rigorosa di questa teoria è \](o, ^,0).

Descriviamo brevemente i risultati necessari

Def: Integrale di Ito in _`

Sia (ab)c)d un processo stocastico in ef(o,g, 0) adattato alla filtrazione generata da un moto Browniano, ossia

hi jk(l)m = no < ++ <p (4 by 4q

r)

Si può provare che esiste una sequenza di processi semplici st con uv J= (w!")#)$ tali che:

% &'()(*) $ +,(-)./01 2L345///67

80 quasi ovunque <9

Trattandosi di processi semplici possiamo definire la funzione :; misurabile

<=> J= ? @AB CDE F

G

Si può infine provare che tale successione di variabili in HI converge a un elemento JK di LM(o,N, 0). Definiamo allora Integrale di Ito del processo (OP)Q)R la variabile S:

TU J= V WX YZ[ \

]

L’Integrale di Ito in forma generale possiede le stesse proprietà dell’integrale di Ito per processi semplici:

• (^_)`)aè una martingala;

• Vale l’Isometria di Ito:

b cde fghijk

lmno = p q[rs]t uv

w

x

Anche in questo caso, l’Isometria di Ito stabilisce l’uguaglianza tra un integrale stocastico e un integrale deterministico.

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Possiamo ora dare un senso al concetto di equazione differenziale stocastica che abbiamo introdotto in maniera informale qualche pagina prima.

Dato un processo stocastico (yz)!)" in #$(o,%, 0) e date due funzioni

&,' J ( × R L R

(),*) L +(,, -)

(., /) L 0(1, 2)

Diremo che il processo (34)5)6 è soluzione dell’equazione differenziale stocastica

789 = :(;,<=) >? + @(A,BC) DEF

Se e solo se vale la seguente relazione:

GH $ IJ = K L(M,NO)P

QRS + T U(V,WX) YZ[

\

]

Mentre il primo addendo del RHS è un integrale _` a, il secondo è un integrale stocastico.

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Una volta definito il concetto di integrale di Ito, possiamo sviluppare una teoria del calcolo differenziale e integrale in ambito stocastico. Ad esempio, esiste un risultato analogo al teorema fondamentale del calcolo integrale che fornisce una rappresentazione in forma integrale (di Ito) per ogni processo di tipo martingala in bc(o,d, 0).

Nella pratica risulta invece molto utile un altro risultato, che è l’analogo della formula di derivazione della funzione composta. Supponiamo ad esempio di avere un processo stocastico (ef)g)h e una funzione

i J j × R L R

(k,l) L m(n, o)

Supponiamo anche che p sia di classe qr,s . La domanda è: esiste un legame tra la dinamica del processo (tu)v)w e il processo xy(z,{!)"#)$ ? La risposta è fornita dalla cosiddetta formula di Ito.

Def: Formula di Ito per il moto Browniano

Sia % una funzione di classe &',( come sopra e sia ()*)+), moto Browniano. Allora vale

-.(/,01) = 2345 (6,78) = 9: + ;<

=>?(@,AB) = CDE + 1

2 =FGHIJK

L (M,NO) = PQ

Ossia, in forma integrale,

R(S,TU)$ V(0,WX) = Y Z[\]^ (_, a) + 12 =

bcdefg

h (i,jk)l m

nop + q rstuv

(w,xy) z!"#

$

Questo risultato permette di risolvere alcune semplici equazioni differenziali stocastiche. Consideriamo ad esempio l’equazione

%&' = ( )* + + ,-. /,0 ) R Proviamo che la soluzione di tale equazione è data dal processo

12 J= 3 = 4 + 5 =67

Dove 89 è un moto Browniano. Definendo infatti :(;, <) = = = > + ? = @ si vede subito che

ABCD = E, FGHIJ

= K, LMN

OPQR = 0

Quindi segue che, applicando la formula di Ito alla funzione S(T, U) , otteniamo

VW(X,YZ) = [ = \] + ^ = _ a

La formula di Ito è quindi una sorta di analogo della legge di derivazione della funzione composta, dove l’addendo relativo alla derivata seconda della funzione b va integrato c de f e non come integrale stocastico. La dimostrazione di questo risultato consiste in pratica in uno sviluppo di Taylor della differenza

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g(h,ij)$ k(0,lm) , opportunamente riscritta come somma di incrementi infinitesimi. Il termine

no =pqrstu

v (w,x!) = "# appare al posto del termine $% =&'()*+

, (-,./) = 0123 in quanto, come provato sopra, vale

la relazione + (456)7 = 8 9:

L’incremento quadratico nel moto browniano viene quindi sostituito da un incremento semplice nel tempo.

La formula di Ito per processi semplici può essere utilizzata solamente quando il processo stocastico sottostante è un moto browniano. Nelle applicazioni può essere utile avere una formula per esprimere la

dinamica di ;<(=,>?)@A)B nel caso in cui (CD)E)F non sia un moto browniano, bensì un processo stocastico

generale

Def: Formula di Ito

Sia (GH)I)J un processo stocastico tale che

KLM = N(O,PQ) RS + T(U,VW) XYZ

Con [,\ funzioni continue tali che

],^ J _ × R L R

(`,a) L b(c, d)

(e, f) L g(h, i)

Sia poi j una funzione di classe kl,m tale che

n J o × R L R

(p,q) L r(s, t)

Allora vale la seguente relazione

uv(w,xy) = z{!" (#,$%) = &' + ()

*+,(-,./) = 012 + 12 =

3456789

(:,;<) = (=>?)@

Dove (ABC)D = EF(G,HI) = JK. Sostituendo il valore di LMN nella formula sopra otteniamo

OP(Q,RS) = TUVWX (Y,Z[) + \]^_`

(a,bc) = d(e,fg) + hi =

jklmnop

(q,rs) = tu(v,wx)y = z! + " #$%&' ((,)*) = +(,,-.)/ = 012

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Che in forma integrale diventa

3(4,56)$ 7(0,89)

= : ;<=>? (@,AB) + CDEFG

(H,IJ) = K(L,MN) + 12 =

OPQRSTU

(V,WX) = YZ([,\])^ _

`ab

+ c d efghi(j,kl) = m(n,op)q rst

u

v

Alla luce di quanto appena descritto, riconsideriamo il modello “prototipo” per i rendimenti azionari con il quale avevamo introdotto il nostro discorso, ossia

wxy!"

= # = $% + & = '()

Ora possiamo dare un senso a tale scrittura: sappiamo infatti che un processo stocastico (*+),)- è soluzione di tale equazione differenziale stocastico se realizza l’uguaglianza

./ $ 01 = 2 3 = 456

789 + : ; = <= >?@

A

B

Utilizzando il Lemma di Ito, è facile provare che il processo

CD = EF = exp (G = H $ 12 = I

J = K + L =MN)

Soddisfa l’equazione differenziale precedente. Il modello così costruito è dovuto a Black e Scholes e rappresenta il modello base per la dinamica degli stock.

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Derivati su azioni

In questo capitolo introduciamo i principali tipi di strumenti derivati su azioni e ne discutiamo le caratteristiche.

In generale, uno strumento derivato è un particolare contratto finanziario il cui valore dipende da una o più variabili sottostanti. Queste variabili possono essere dei tipi più disparati: dal prezzo di un’azione all’andamento di un indice, dal costo delle costolette di maiale (non è uno scherzo) al prezzo delle arance fino ai millimetri di pioggia caduti in una determinata regione geografica.

I più semplici strumenti derivati sono i contratti forward, i contratti future e le opzioni. Analizziamo brevemente ciascuno di essi per poi soffermarci più attentamente sulle opzioni.

Forward contracts

Un contratto forward è un derivato dalla forma molto semplice: in sostanza, un forward è un accordo tra due controparti per comprare o vendere un certo bene in una certa data futura a un certo prezzo stabilito oggi. La controparte che acquista il diritto di comprare è detta long forward, la parte che ha il diritto di vendere è detta short forward.

I contratti forward sono quindi caratterizzati dalle seguenti quantità:

• ! , ovvero il bene sottostante;

• ", ovvero la scadenza o maturity del contratto;

• #, ovvero il prezzo stabilito oggi, o strike price.

Il sottostante di un contratto forward può essere dei tipi più disparati: esistono forward su azioni, forward su beni di consumo (dal petrolio al grano), ma i contratti più attivamente scambiati sono probabilmente i forward su tassi di cambio (contratti per acquistare o vendere in una data futura un determinato importo di valuta straniera a un prezzo fissato ad oggi).

Nessuna delle due controparti è obbligata a possedere materialmente il bene sottostante il contratto forward: in particolare, la posizione short non deve necessariamente possedere il sottostante alla data di stipula del contratto. Nel caso in cui, alla scadenza $ del contratto, la parte short sia sprovvista del sottostante, dovrà semplicemente acquistarlo per poi cederlo alla parte long.

Alla sua sottoscrizione il contratto forward non prevede lo scambio di importi tra le controparti, ossia nessuno paga niente per entrare in un forward. Se indichiamo con %& il prezzo del bene sottostante il contratto forward, a scadenza l’investitore long (ossia colui che ha il diritto di comprare al prezzo strike ') riceverà ( o dovrà corrispondere) il seguente flusso di cassa:

( = ) *+ , -

Ossia la differenza tra il prezzo pagato per acquistare il bene sottostante (lo strike price .) e il valore realizzato del bene sottostante (ossia /0). Quindi la funzione di payoff alla maturity è lineare nel prezzo del sottostante, e si può rappresentare tramite il seguente grafico:

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Nel grafico di sopra lo strike è pari a 5: se a scadenza il sottostante (asse x) ha un prezzo maggiore o uguale di 5, la parte long realizza un guadagno, se accade il contrario subisce una perdita.

I contratti forward sono utilizzati principalmente per scopi di hedging, ossia di “bilanciamento”: una compagnia di volo che teme un aumento dei prezzi del combustibile può ad esempio decidere di comprare forward un certo numero di barili di petrolio per una data futura, in modo da “bloccare” (lock in) il prezzo del carburante ad oggi. Esistono altresì investitori (i cosiddetti speculatori) che sottoscrivono questo tipo di contratti senza alcuna necessità specifica del bene sottostante, ma solamente perché credono che il prezzo futuro del sottostante aumenterà (per investitori long) o diminuirà (per investitori short).

Il prezzaggio di questo tipo di contratto consiste nel trovare lo strike price che esclude ogni possibilità di arbitraggio, detto forward price del sottostante. Questo prezzaggio dipende fortemente dal tipo di sottostante sul quale il contratto stesso è scritto: distinguiamo due tipi di asset (beni) sottostanti, ossia investment assets e consumption assets (o commodities). I primi sono beni che sono posseduti principalmente a scopo di investimento, come le azioni o le obbligazioni; i secondi sono invece, come dice il nome stesso, beni di consumo. Tratteremo i beni di investimento e spiegheremo quali caratteristiche diversificano il loro prezzaggio da quello dei forward su beni di consumo

Per trovare il forward price applicheremo il ragionamento di non arbitraggio già impiegato nella prima lezione: formuleremo un forward price “test” e proveremo che per strike maggiori o minori di tale strike esistono possibilità di arbitraggio, ossia esistono strategie che portano una delle due controparti a un guadagno certo. E’ bene anticipare una caratteristica di alcune di queste strategie di arbitraggio che verranno descritte, ossia il cosiddetto shortselling. Fare shortselling di un bene significa venderlo senza possederlo: in sostanza un investitore “prende in prestito” un asset da un altro investitore, e può decidere di mantenere la posizione short per quanto tempo lo desidera. Quando decide di chiudere tale posizione, l’investitore ricompra sul mercato il bene preso in prestito e lo restituisce al proprietario (assieme ad eventuali cashflows pagati dall’asset durante il periodo di prestito, come dividendi o coupon)1 .

1 In realtà la dinamica di queste transazioni è motlo più complicata e coinvolge la figura del broker. Per approfondire, vedere “Option, Futures and other Derivatives” di J. Hull, 5 ed, pg 42.

-5

-4

-3

-2

-1

0

1

2

3

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5

6

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Payoffs

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Consideriamo quindi un contratto forward stipulato oggi, al tempo 1 = 23, su un bene di investimento, ad esempio un’azione 4. Sia 56 il prezzo di oggi di questa azione, 7 la maturity del contratto (o meglio , la durata in anni del contratto) e 8 il tasso di interesse annuo. Per semplicità supporremo da ora in poi di misurare i tassi di sconto e capitalizzazione in regime composto continuo. Supponiamo infine che il bene sottostante 9 non paghi alcun dividendo durante la vita del contratto forward, ossia tra :; e <.

Vogliamo provare che il forward price di questo contratto è pari a

=> ? @A?B

Ossia al valore capitalizzato a scadenza del prezzo attuale dell’azione.

Supponiamo infatti che le due controparti si accordino per uno strike pari a C > DE ? FG?H : la parte short, ossia chi ha il diritto di vendere al prezzo I a scadenza, può applicare la seguente strategia in J = KL:

• Richiedere un prestito per un importo pari a MN con scadenza O;

• Comprare l’azione P pagando un importo QR ;

• Entrare nel contratto forward in posizione short;

Complessivamente quindi i flussi di cassa relativi alla parte short sono pari a zero.

A scadenza S l’investitore short dovrà rispettare gli obblighi sottoscritti, ossia:

• Restituire il capitale preso a prestito più gli interessi maturati;

• Cedere alla controparte long l’azione T in cambio di un importo U;

I flussi di cassa totali relativi all’investitore short saranno quindi pari a

,VW ? XY?Z + [ > 0

Violando quindi il principio di non arbitraggio (guadagno futuro certo)

Allo stesso modo, supponendo che \ < ]^ ? _`?a , la parte long può applicare la seguente strategia in b =cd:

• Prestare denaro per un importo pari a ef con scadenza g;

• Shortare l’azione h ricevendo un importo ij ;

• Entrare nel contratto forward in posizione long;

Complessivamente quindi i flussi di cassa relativi alla parte long in k = lm sono pari a zero.

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A scadenza n l’investitore long dovrà rispettare gli obblighi sottoscritti, ossia:

• Ricevere il capitale prestato più gli interessi maturati;

• Comprare dalla controparte short l’azione o in cambio di un importo

• Restituire lo stock shortato2;

I flussi di cassa totali relativi all’investitore short saranno quindi pari a

+ pq ? rs?t , u > 0

Violando ancora il principio di non arbitraggio (guadagno futuro certo)

Un interessante esercizio può essere quello di derivare il forward rate nel caso di un contratto forward su beni di investimento che pagano un dividendo noto pari a v tra w = xy e z.

Il ragionamento per contratti forward su beni di consumo è invece più complesso: ripercorrendo il ragionamento di non arbitraggio nel caso di una commodity { possiamo utilizzare la stessa strategia di arbitraggio descritta sopra nel caso in cui | > }~ ? ��?! . Possiamo quindi concludere che , sicuramente,

" # $% ? &'?(

Se però proseguiamo nel ragionamento, cercando di ripercorrere la strategia di arbitraggio nel caso si

verifichi ) < *+ ? ,-?. ci troviamo di fronte a un problema “pratico”: non esiste possibilità di shortselling nel caso di beni di consumo. Infatti, i beni di consumo sono per definizione posseduti principalmente per essere immediatamente utilizzati: quindi , nessun investitore sarà disposto a prestarci un bene di consumo per un certo periodo di tempo. Ad esempio, non è possibile trovare sul mercato un investitore disposto a prestarci una tonnellata di grano o un milione di arance: chi possiede tali beni molto probabilmente deve utilizzarli in un processo di produzione e non può rinunciarvi.

Quindi, nel caso di beni di consumo, l’unica relazione che possiamo dimostrare è3

/ # 01 ? 23?4

2 Qui si capisce dove entra l’ipotesi di zero dividendi: se l’azione avesse pagato un dividendo 5 nel periodo tra 67 e 8, l’investitore avrebbe dovuto restituire anche tale importo. 3 In realtà, non abbiamo menzionato un altro aspetto di cui tener conto, ossia il costo di stoccaggio di un bene di consumo: nella prima strategia di arbitraggio l’investitore short mantiene il bene sottostante per tutta la durata del contratto. Se mantenere per un mese 1 mil di euro di azioni non ha alcun costo (si tratta solitamente di un migliaio di fogli) , mantener il corrispettivo della stessa cifra in arance, barili di petrolio o maiali ha sicuramente un costo positivo.

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Future contracts

I contratti future sono molto simili ai contratti forward: anche per tali strumenti due controparti si accordano in data di stipula su un prezzo futuro relativamente a un certo bene sottostante. La dinamica dei pagamenti a scadenza e il pricing sono quindi identici a quelli dei contratti forward. L’unica differenza “pratica” è che i contratti forward non sono regolamentati, mentre i future sono scambiati sui mercati ufficiali. In linea di principio, i titoli derivati possono essere sottoscritti e scambiati su due tipi di mercato: il primo è il mercato regolamentato (derivati exchange traded), il secondo è il mercato non regolamentato (derivati over the counter, OTC).

Il mercato regolamentato è un luogo fisico dove gli investitori si incontrano in orari stabiliti e concordano un prezzo per i derivati che vogliono scambiarsi. La correttezza delle operazioni di contrattazione e, in una certa misura, la garanzia di poter far fronte agli obblighi previsti dai contratti per ciascuno dei sottoscrittori sono garantite da un’autorità di vigilanza.

Il mercato OTC non è un luogo fisico: un derivato OTC è semplicemente un contratto dove le due controparti si accordano senza bisogno di nessun altro intermediario in merito all’acquisto o vendita di un titolo derivato, solitamente tramite telefono (registrando le conversazioni) o internet. Quindi, per un contratto OTC non è prevista nessuna copertura dal rischio di controparte, ossia il rischio che il sottoscrittore del contratto derivato non riesca/voglia far fronte agli obblighi previsti

Pur non offrendo alcuna copertura sul rischio di controparte, i derivati OTC sono attivamente sottoscritti per un semplice motivo: mentre i derivati Exchange traded sono standardizzati, quelli OTC possono essere definiti in base alle esigenze delle controparti. Più precisamente, un derivato OTC può essere scritto potenzialmente su qualsiasi cosa, a qualsiasi scadenza e per qualsiasi importo, non ci sono restrizioni di alcun tipo. I derivati Exchange traded esistono invece solamente per alcune Securities, solamente per alcune maturity e via dicendo.

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Options

Un’opzione è un contratto derivato che garantisce al possessore il diritto a comprare o vendere in una data futura un certo bene sottostante a un prezzo fissato precedentemente. A seconda del diritto del possessore, esistono due tipi di opzioni: le call, contratti che garantiscono al titolare il diritto ad acquistare, e le put, contratti che invece garantiscono il diritto a vendere. Così come i forward, le opzioni sono caratterizzate dalle seguenti quantità:

• 9 , ovvero il bene sottostante;

• :, ovvero la scadenza o maturity del contratto;

• ;, ovvero il prezzo stabilito oggi, o strike price.

• Il tipo di opzione, ossia call o put

A differenza dei contratti forward o dei futures, un contratto di opzione prevede un pagamento iniziale: l’acquirente dell’opzione si garantisce il diritto a comprare (call) o a vendere (put) in una data futura fornendo alla controparte un importo di denaro. L’acquirente di un’opzione è anche chiamato posizione long mentre il venditore è detto posizione short.

Facciamo subito un esempio: oggi, in data < = => , l’investitore ? compra dall’investitore @ un’opzione call su uno stock A con scadenza in B e strike pari a C. Questo vuol dire che D acquisice il diritto a comprare l’azione E a scadenza a un prezzo pari a F. In quale occasione G eserciterà tale diritto?

Supponiamo che al tempo H = I il valore dell’azione sottostante sia pari a JK > L. Allora l’investitore M ha il diritto di comprare lo stock a un prezzo minore di quello di mercato: quindi N eserciterà questo diritto e realizzerà un guadagno pari a :

O = P: QR , S se TU > V

Viceversa, supponiamo che a scadenza il prezzo dell’azione W risulti minore di X. L’investitore A possiede il diritto di acquistare l’azione a un prezzo maggiore di quello di mercato, pertanto non eserciterà tale diritto .

Y = Z: 0 se [\ # ]

L’esempio mostra chiaramente quale sia la differenza tra un contratto forward e un’opzione: nel caso in cui il valore ^_ risulti più basso dello strike ` , la controparte long forward è obbligata a comprare a un prezzo superiore a quello di mercato, perdendo denaro. Il detentore dell’opzione call invece può scegliere se comprare o meno a scadenza, e quindi non effettuerà operazioni che risultino per lui svantaggiose.

In sostanza, il payoff derivante da un’opzione call ammette la seguente rappresentazione funzionale:

a = b: (cd , e)f

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Il grafico riporta i payoff finali per un’opzione call con strike g = 5: possiamo perciò dire che i payoff di una call sono la parte positiva dei payoff su un forward.

Analogamente, i payoff a scadenza per un’opzione put con maturity h e strike i saranno

j = k: (l , mn)o

Supponiamo che un’opzione sia stata sottoscritta in data p = qr e che abbia scadenza pario a s = t. Sia u = v! una data intermedia tra "#e $.

Diremo che l’opzione call è:

• In the money (ITM) se il valore dell’azione al tempo %&, che indichiamo con '(, è maggiore dello strike ) (*+ > ,);

• At the money (ATM) se il valore dell’azione al tempo -., che indichiamo con /0, è pari allo strike 1 (23 = 4);

• Out of the money (OTM) se il valore dell’azione al tempo 56, che indichiamo con 78, è inferiore allo strike 9 (:; < <);

Le opzioni, come i contratti forward, possono essere utilizzate da investitori hedgers e investitori speculators. Ad esempio, una posizione long su una call con strike = garantisce all’investitore una protezione da eventuali innalzamenti del prezzo dello stock: una compagnia aerea può decidere di comprare opzioni su petrolio, in modo tale da “bloccare” il prezzo del combustibile sotto una certa soglia, oppure un’industria di componenti elettronici può bloccare il prezzo di materie prime come argento o oro.

I contratti di opzione permettono alla posizione long di esercitare o meno il diritto di comprare alla data di scadenza: i prezzi >? con @ < A non influiscono quindi sul valore finale del derivato. Esistono invece opzioni che permettono al titolare del contratto (posizione long) di esercitare il diritto di acquisto (call) o di vendita (put) in qualsiasi data antecedente la maturity. Tali opzioni vengono chiamate opzioni americane (e storicamente sono i primi tipi di opzioni sviluppatisi negli anni). Per contrasto, le opzioni di cui abbiamo parlato fino ad ora, dove il diritto di acquisto o vendita può esercitarsi solo alla maturity, sono dette opzioni

0

1

2

3

4

5

6

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Payoffs

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europee o opzioni plain vanilla. Nel seguito, tranne dove diversamente specificato, parleremo esclusivamente di opzioni europee.

Iniziamo ora a parlare dell’argomento principale di questa “puntata”: come si prezza un’opzione?

Facciamo prima alcune considerazioni di carattere generale: intanto, a differenza di un contratto forward, la controparte long sull’opzione può solamente avere payoff positivi a scadenza. Proprio per questo motivo, quando due investitori sottoscrivono un contratto opzione la parte long paga un prezzo a quella short, in cambio dei (possibili) flussi di cassa futuri. Prezzare un’opzione significa quindi stabilire il suddetto prezzo.

In secondo luogo, dobbiamo decidere quale tipo di opzione vogliamo prezzare: una call o una put? Si può provare che il prezzo di una call e quello di una put sono legati da una relazione chiamata put call parity, che permette di ricavare il prezzo di una in base a quello dell’altra. Vediamo nel dettaglio questa relazione.

Sia B il tasso di interesse attuale, C una costante positiva e D una data futura. Consideriamo un investitore che al tempo E = FG possiede il seguente portafoglio, che chiameremo H:

• Un’obbligazione con valore nominale I ? JKL?M e scadenza N;

• Una opzione call europea scritta su uno stock O con scadenza P e strike Q.

Alla scadenza R, il bond ripagherà interessi più nominale, per un importo totale di

S = T U (V ? WXY?Z) ? [\?] = ^

I payoff derivanti dall’opzione saranno invece

_ = `: (ab , c)d

Per un totale di

e = f: (gh , i)j + k = max(lm,n)

Consideriamo ora il portafoglio o in data p = qr, dove s è composto da:

• Una opzione put europea scritta su uno stock t con scadenza u e strike v;

• Una azione w;

Alla scadenza x = ! l’azione avrà un valore (ad oggi incognito) pari a "#, mentre l’opzione pagherà ($ , %&)'. Il payoff totale sarà quindi

( = ): (* , +,)- + ./ = max(01,2)

Pertanto i due portafogli a scadenza hanno lo stesso valore. Per non arbitraggio, anche il loro valore attuale, ossia in data 3 = 45, deve coincidere. Se indichiamo con 6 e 7 i prezzi rispettivi dell’opzione call e put otteniamo la put call parity

8 ? 9:;?< + = = > + ?@

Da questa relazione possiamo ricavare il prezzo di una call in funzione dl prezzo di una put e viceversa.

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Passiamo allora al pricing vero e proprio di un’opzione. Grazie alla put call parity, possiamo concentrare la nostra attenzione su un tipo specifico di opzione, ad esempio una call. Il primo metodo di prezzaggio che presentiamo è il cosiddetto albero binomiale.

Alberi binomiali4

Supponiamo di voler prezzare una call su uno stock con strike price pari a 21€ e scadenza in tre mesi da oggi (ossia A = 0,25, un quarto di anno). Supponiamo inoltre che il tasso di interesse annuo attuale sia 12% e che il prezzo attuale del nostro stock sia BC = 20. Siamo interessato a trovare il prezzo D dell’opzione che esclude possibilità di arbitraggio.

Iniziamo con una assunzione molto semplificativa: supponiamo che il prezzo tra tre mesi dell’azione possa assumere solamente due valori, ossia 22 oppure 18 Euro. Questo implica che la nostra opzione call potrà valere a scadenza

(22 , 21)E = 1 se FG = 22;

(18 , 21)H = 0 se IJ = 18;

Un approccio che potrebbe venire in mente per prezzare l’opzione in questo “mondo semplificato” potrebbe essere il seguente: pesare i possibili payoff finali del derivato per le probabilità degli eventi KL = 22 e MN = 18 e scontare ad oggi i valori pesati così ottenuti. Anche se disponessimo delle probabilità reali dei movimenti futuri dello stock, questo approccio si rileverebbe errato. Un pricing corretto non si effettua secondo il metodo più ragionevole: l’unico requisito che si richiede è quello di eliminare possibilità di arbitraggio, cosa che non sembra seguire logicamente dal metodo descritto sopra (che è infatti scorretto).

Proviamo invece a seguire questa strategia. Consideriamo un portafoglio composto da O azioni P e da una posizione short su una opzione call descritta sopra, dove O è una quantità che verrà fissata in seguito. I payoff derivanti da questo portafoglio a scadenza saranno quindi

(22 , 21)Q , O ? 22 = 1 , O ? 22 se RS = 22;

(18 , 21)T , O ? 18 = 0 , O ? 18 se UV = 18;

Fissiamo ora O in modo tale che i payoff risultanti nei due stati del mondo in W = X siano uguali, ossia

1 , O ? 22 = ,O ? 18 Y O= 0,25

Per costruzione il portafoglio composto da una posizione long su O azioni e una posizione short su una call varrà alla data Z

,(22 , 21)[ + 0,25 ? 22 = 4,5 se \] = 22;

,(18 , 21)^ + 0,25 ? 18 = 4,5 se _` = 18;

4 Esempio preso da J.Hull “Option Futures and other Derivatives”

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Abbiamo quindi costruito un portafoglio che, in ogni stato del mondo, ripagherà a scadenza un importo pari a 4,5. Un tale portafoglio è detto riskless: il suo rendimento è certo, non influenzato da alcun parametro. Questo implica che il prezzo ad oggi di tale portafoglio deve essere uguale al valore scontato di 4,5, ossia

4,5 ? abcd%?e,fg = 4,367

Se così non fosse, esisterebbero infatti possibilità di arbitraggio. A questo punto possiamo ricavare facilmente il valore dell’opzione: ricordando che il portafogli è costituito da una posizione short sul derivato e una posizione long su O azioni, vale che:

4,367 = 20 ? O , h Y i = 0,633

Il metodo generale

Il metodo proposto nell’esempio può essere generalizzato a una qualsiasi call su un’azione. Chiamiamo j il prezzo di una opzione call su uno stock k con strike l e maturity m. Supponiamo ancora una volta che i possibili movimenti dello stock tra il tempo n = op e q = r siano di due tipi, up e down: quando lo stock cresce, chiameremo st il nuovo livello in u. In caso di declino del prezzo, indicheremo con v il prezzo finale dello stock. Analogamente, siano wx e y! i rispettivi valori assunti dalla call, ossia

"# = $% se &' = ();

*+ = ,- se ./ = 01;

Solitamente nella costruzione di un albero binomiale si usa esprimere i valori 23 e 45 in funzione del prezzo attuale dello stock 67 tramite un fattore moltiplicativo, ossia:

89 = :; ? < = > 0;

>? = @A ? B C > 0;

Consideriamo ancora un portafoglio composto da una posizione long in O azioni e una posizione short sul derivato, e calcoliamo il valore di O che rende il portafoglio riskless. Alla data D il nostro portafoglio varrà

EF ? G ? O, HI se JK

LM ? N ? O, OP se QRST

Imponendo l’uguaglianza otteniamo

O= UV , WXYZ ? [ , \] ? ^

Per tale valore di O il valore attuale del portafoglio sarà uguale al valore scontato

_`a?b(cd ? e ? O , fg)

Eguagliando il costo del portafoglio O ? hi , j alla quantità di prima, ricaviamo

k = O ? lm , no!?"(#$ ? % ? O + &')

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Sostituendo il valore di O e semplificando otteniamo la formula seguente:

( = )*+?, ? (-. ? /0 + 12 ? 34) dove 5 = 67?8 , 9: , ;

Questa formula è il nostro primo passo verso un modello di pricing coerente, sensato e soprattutto arbitrage free. Implicitamente possiamo vedere come l’idea iniziale di scontare il valore atteso dei payoff prodotti dal derivato sia parzialmente giusta: anche nella formula ricavata il valore del derivato è ottenuto come un valore atteso scontato. La grossa differenza risiede nelle probabilità che si usano per calcolare il valore atteso (le <= e >?): la formula di pricing coinvolge probabilità che non hanno nulla a che fare con le probabilità reali, ma sono ottenute semplicemente applicando il principio di non arbitraggio.

Possiamo anche fare un passo in avanti ulteriore: il semplice modello che abbiamo costruito implica l’esistenza di una misura di probabilità definita sull’insieme degli eventi del mondo reale. Infatti, i numeri @A e BC che abbiamo definito non sono altro che i valori assegnati da questa nuova funzione di probabilità agli eventi (sottoinsiemi) “stato up” e “stato down”. Chiamiamo allora misura risk free questa funzione di probabilità.

Alla luce di quanto detto, possiamo quindi concludere che il prezzo di un’opzione (ottenuto tramite il modello binomiale) è pari al valore atteso scontato dei cashflows generati dall’opzione stessa a scadenza, dove però il valore atteso è calcolato secondo la misura risk free.

Il modello binomiale descritto sopra è ovviamente semplificativo, perché limita a due i possibili prezzi dello stock a scadenza: in sostanza il nostro modello è descritto dal seguente albero

Un modello più realistico si può ottenere replicando l’albero binomiale one-step su più intervalli di tempo: l’orizzonte temporale tra D = EF e G = H viene suddiviso in I parti uguali, e la dinamica dello stock viene descritta ricorsivamente secondo le stesse modalità dell’esempio one step. Più precisamente:

• Si identificano J date di check KL :

MN = OP + (Q , RS)T ? U con V W {1,2, … ,X}

Y = Z[: \]

^ = _: `a ? b

c = d: ef ? g

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• Si suppone che, dato hi pari al prezzo dello stock al tempo jk , i prezzi possibili al tempo lmno siano

pq ? r (stato up) o st ? ! (stato down);

L’albero che descrive la dinamica dello stock presenterà quindi 2 possibili valori dello stock al tempo "#, 4 valori al tempo $%, 8 valori al tempo &', e in generale 2( valori al tempo )* = +. Per evitare problemi di

dimensione spesso si ricorre ad una assunzione, ponendo , = -. : in questo modo, il valore dello stock

dopo uno stato up ed un successivo stato down è lo stesso del livello di partenza. Pertanto, al tempo /0 avremo due possibili valori, al tempo 12 3 valori, al tempo 34 5 valori e in generale al tempo 56 = 7 avremo 2 ? 8 + 1 valori ammissibili. Questa diminuzione in dimensione risulta particolarmente utile nell’implementazione numerica del modello.

9 = :; < = => ? = @A B = CD

Una volta modellizzato il sottostante si procede al prezzaggio dell’opzione secondo una pratica detta backward recursion. Negli slot corrispondenti al tempo E (maturity) sono riportati i possibili livelli raggiunti dallo stock a scadenza. Tali livelli sono

FG ? HIJK ? LM dove N W {0,1,2, … , 2 ? O}

Ad ognuno di tali valori corrisponde un payoff finale del derivato. Nel caso di una call con strike P avremo ad esempio:

QRS ? TUVW ? XY , Z[\ dove ] W {0,1,2, … , 2 ? ^}

Per ogni nodo dell’albero al tempo _ = `abc procediamo quindi come nel caso one step: stimiamo il valore del derivato al nodo precedente come valore atteso scontato dei possibili cashflows, dove la probabilità è quella risk neutral. Per ogni time step si può replicare il ragionamento di non arbitraggio dell’esempio, ottenendo i valori di probabilità

de ? f

gh ? ij

kl

mn ? op

qr

st ? u

vw ? !

"# ? $%

&' ? (

)* ? +,

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- = ./?O0 , 12 , 3 dove O4= (5 , 67)

8 ;

Otteniamo in questo modo i valori del derivato al tempo 9 = :;<=. Il ragionamento può quindi essere riprodotto per il time step > = ?@AB utilizzando al posto dei payoff terminali i valori del derivato di cui prima. Il metodo perciò si può riassumere come segue:

• Calcolare i payoff terminali del derivato;

• Scontare i risultati con la probabilità risk neutral, ottenendo il valore del derivato uno step prima;

• Ripetere l’operazione C volte.

Il valore finale ottenuto (time step D = EF ossia oggi) corrisponde al prezzo cercato.

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Binomial trees: pros and cons, opzioni americane e calibrazione

I metodi di pricing basati su alberi binomiali sono indubbiamente grossolani, ma presentano comunque alcuni vantaggi.

Prima di tutto, un albero binomiale come quello descritto, se implementato efficientemente, è molto veloce: pertanto, può essere utilizzato per avere una stima rapida del valore del contratto. Inoltre, il metodo dell’albero binomiale è abbastanza flessibile: nonostante il derivato del nostro esempio fosse una opzione call, avremmo potuto applicare lo stesso tipo di strategia ad un qualsiasi derivato i cui payoff finali dipendessero esclusivamente dal prezzo GH rilevato a maturity. Nell’algoritmo di pricing è infatti unicamente richiesto di poter calcolare i flussi di cassa a scadenza dovuti al possessore del contratto.

In secondo luogo, un algoritmo ad albero binomiale può essere facilmente modificato per prezzare opzioni americane, ossia opzioni dove il diritto di vendita / acquisto può essere esercitato in qualsiasi data antecedente la maturity. La modifica è tanto semplice quanto efficace: come nel caso di opzioni europee, si simula lo stock sottostante con un modello ad albero ricombinante e si calcolano i payoff del derivato a scadenza (ossia al tempo IJ = K, usando la notazione dell’esempio precedente). Per ottenere il valore del derivato al tempo LMNO è sufficiente applicare la strategia che segue: ad ogni tempo PQ il valore dell’opzione

call americana è pari al massimo tra il valore dell’opzione europea e il valore di esercizio. Supponiamo ad esempio di trovarci al tempo RSTU e più precisamente nel nodo “più in alto” dell’albero. Siamo quindi nella posizione:

V = WXYZ [ = \] = ^

_` ? abcd

ef ? ghij

kl ? mn

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I payoff terminali dell’opzione saranno

o = pqrs t = uv = w

Pertanto, il valore al tempo xyz{ di un’opzione europea sarà dato da:

|}!"#$% = &'(?O) ? (*+ ? ,- + ./ ? 01) dove

2 = 34?5 , 67 , 8 , 9: = (;< ? => , ?)@, AB = (CD ? EFGH , I)J, OK= (L , MN)

O

Quale è il valore dell’opzione americana PQRSTU nel nodo suddetto? Un investitore razionale collocato in questo nodo confronterà il valore di esercizio immediato dell’opzione (al tempo V = WXYZ) con il valore intrinseco dell’opzione (il suo prezzo): se il valore di esercizio risulterà maggiore, l’investitore eserciterà il diritto di opzione e acquisterà il sottostante al prezzo [; viceversa, se il prezzo dell’opzione sarà maggiore, l’investitore manterrà il derivato fino al tempo \ = ]^ = _, ossia fino a scadenza. Quindi il valore dell’opzione americana nel nodo in analisi sarà pari a:

`abcde = max (fghijkl , mnop , q)

Iterando questo ragionamento su ogni nodo e su ogni tempo si ottiene il prezzo cercato al tempo r = s!.

Un albero binomiale presenta comunque diversi aspetti negativi: prima di tutto, è evidente che il metodo proposto è un’approssimazione, e quindi non permette di ottenere valutazioni precise.

Inoltre, il mondo dei derivati è incredibilmente vasto, e un metodo valido per prezzare un’opzione non risulta altrettanto efficace per altri tipi di contratto. In linea di massima, l’albero binomiale risulta inefficace nel prezzaggio di derivati multiname o path dependent.

"#$%

(&' ? ()*+ , ,)-

(./ ? 01 , 2)3

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Un derivato multiname è un contratto finanziario il cui valore dipende da più di un asset sottostante. Ad esempio, esistono derivati di tipo opzione con due azioni 45, 67 come sottostante che permettono di acquistare a scadenza lo stock più costoso al prezzo di quello meno costoso. Volendo applicare un albero binomiale in questa situazione, ad ogni nodo dovremo tener conto di quattro possibili biforcazioni, corrispondenti alle quattro possibilità (stock1 up;stock2 up) (stock1up;stock2 down) (stock1down;stock2 up) e (stock1 down; stock2 down). Se il numero di azioni coinvolte aumenta, lo schema si complica ancora di più, e risulta difficile mantenere la struttura ricombinante.

Un derivato path dependent garantisce al titolare dei payoff che dipendono dai valori assunti dal sottostante durante tutta la durata del contratto: ad esempio, le opzioni di tipo Asian pagano al titolare la media dei prezzi del sottostante rilevati in alcune date comprese tra la sottoscrizione e la maturity, mentre le opzioni lookback pagano il massimo (o il minimo) dei livelli raggiunti dallo stock tra la sottoscrizione e la maturity. Un metodo binomiale puro e semplice risulta in questi casi assolutamente inefficace.

Un ultimo punto da toccare è quello della calibrazione. Di quali quantità abbiamo bisogno per prezzare un derivato tramite un albero binomiale? Sicuramente, necessiteremo del valore dello stock ad oggi 89 , dello strike : e della maturity ; del contratto, tutti dati che possiamo reperire tramite info provider e tramite il

contratto del derivato. Le uniche quantità incognite sono < e = = >?. Di solito tali quantità vengono scelte in

modo da “approssimare” al meglio la dinamica dello stock: vedremo infatti nella prossima lezione che la dinamica risk neutral di uno stock può essere descritta tramite un’equazione differenziale. Risolta tale equazione, @ e A verranno scelte in modo da far combaciare il valore atteso e la varianza dello stock modellizzato con l’albero binomiale e con l’equazione differenziale.

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Il Modello di Black-Scholes

La scorsa lezione abbiamo introdotto gli strumenti derivati e abbiamo imparato una semplice strategia, l’albero binomiale, per ottenerne il prezzo. Discutendo i pregi e i difetti di questa strategia si è puntualizzato come il metodo proposto risulti molto veloce, ma spesso estremamente grossolano, come è lecito aspettarsi da un procedimento “ per approssimazione” quale il binomial tree.

La matematica finanziaria ha sviluppato negli ultimi 30 anni una teoria completa (o quasi) per ottenere il prezzo della quasi totalità dei titoli derivati scambiati: il mattone sul quale tutto questo complesso teorico è stato costruito è il modello proposto nel 1970 da Fischer Black e Myron Scholes, il cosiddetto “modello di Black e Scholes”, che valse ai due autori il Premio Nobel per l’economia nel 19971. In queste pagine cercheremo di descrivere il suddetto modello e le sue caratteristiche.

Rendimenti logaritmici

Come già anticipato nella seconda lezione, il modello di Black-Scholes descrive la dinamica di uno stock (!")#$% tramite un’equazione differenziale stocastica:

&'()*

= + , -. + / , 012

In sostanza, il modello di Black Scholes descrive le variazioni percentuali del prezzo di uno stock in un intervallo di tempo 34 come la somma di due contributi:

• Un contributo deterministico, pari ad un termine costante 5 moltiplicato per l’intervallo di tempo in questione;

• Un contributo stocastico, pari ad una costante 6 per l’incremento tra 7 e 8 + 9: di un moto browniano.

Questa descrizione cattura le seguenti caratteristiche “empiriche” degli stock prices:

• I rendimenti percentuali tra periodi successivi sono indipendenti

• Il processo (;<)=$> è di Markov: il prezzo dello stock domani dipende unicamente dal livello dello stock oggi, non dalla evoluzione del prezzo dello stock nel passato;

• La volatilità dei rendimenti percentuali non dipende dal livello dello stock;

Consideriamo ora un contratto derivato scritto sullo stock ?: dal momento che il valore di un derivato ad ogni tempo è determinato dall’andamento dell’asset sottostante, descriveremo tale strumento tramite una funzione a due variabili

@ A B × R C R

(D,E) C F(G, H)

1 In realtà, Fischer Black morì due anni prima, nel 1995, e quindi non ricevette mai il premio.

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Ad esempio, nel caso di un’opzione call con maturity I e strike J avremo

K(L, MN) = (OP Q R)S

Sia quindi T(UV , WX) il valore del derivato ad oggi (ricordiamo che che YZè un valore noto). Vogliamo trovare un metodo per ottenere tale prezzo. Un metodo che potrebbe essere impiegato consiste nello scrivere un’equazione differenziale stocastica per [ e poi risolverla, verificando esistenza / unicità di soluzioni.

Cominciamo allora a applicare la formula di Ito alla funzione \, ottenendo

] _ = `abc (d, ef) , gh + ij

klm(n, op) , qrs + 12 , t

uvwxyz

({, |}) , (~��)!

Sostituendo il valore di "#$ otteniamo

%&' = ()*+, (-, ./) + 01234

(5, 67) , 89 , : + 12 , ;

<=>?@A

(B, CD) , EFG , HIJ , KL + M NOPQR(S, TU) , VW , XY , Z[\

Imitando la costruzione proposta nella scorsa lezione, consideriamo un portafoglio ] composto al tempo ^ dai seguenti asset:

• Una posizione short sul derivato;

• Una posizione long su _`abc

(d, ef) di azioni

]g = Qh(i, jk) + lmnop

(q, rs) , tu

Vogliamo ora calcolare la “variazione” di valore del portafoglio: applichiamo quindi nuovamente Ito su ] ottenendo:

v!" = Q#$% + &'()*

(+, ,-) , ./0

= Q12345 (6, 78) + 9:;<=

(>, ?@) , AB , C + 12 , D

EFGHIJ

(K, LM) , NOP , QRS , TU Q V WXYZ[(\, ]^) , _` , ab , cde +

+ fghij

(k, lm) , no , (p , q! + " , #$%) =

= &Q'()* (+, ,-) Q 1

2 , ./0

1234(5, 67) , 89: , ;<= , >?

Notiamo subito che il differenziale stocastico @A è privo del termine nel moto browniano. Questo significa che tale quantità è deterministica: qualsiasi “evento” accada, la variazione di valore del portafoglio in un istante infinitesimo BC è sempre la stessa. Pertanto, la “rischiosità” del portafoglio è pari a zero: il detentore di ]D al tempo E sa esattamente quale sarà la il nuovo valore del portafogli al tempo F + GH.

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Chiediamoci allora: esiste un modo alternativo per esprimere la suddetta variazione? La risposta deriva immediatamente dall’applicazione del principio di non arbitraggio:se il valore del portafogli al tempo I è pari a ]J e se la variazione di valore tra K e L + MN è deterministica, allora il nuovo valore in O + PQ è il valore capitalizzato di ]R al tempo S + TU. Quindi la variazione VWX risulta anche pari a

YZ[ = \ , ]^ , _`

Il perché di questo fatto è semplice: per definizione, un asset che paga un importo fissato in tutti gli stati del mondo è risk-free, e il tasso di interesse a è la misura dell’apprezzamento percentuale annuo per tali asset .

Uguagliando le due espressioni per la variazione di valore del portafogli otteniamo:

bQcdef (g, hi) Q 1

2 , jkl

mnop(q, rs) , tuv , w!" , #$ = Q% , &(', ()) , *+ + , , -./01

(2, 34) , 56 , 78

Ricordando il significato integrale di questa espressione, è facile vedere che ciò implica

9:;< (=, >?) + 1

2 , @AB

CDEF(G, HI) , JKL , MN + O , PQRST

(U, VW) , XY = Z , [(\, ]^)

L’equazione differenziale che abbiamo ottenuto è detta equazione di Black Scholes, ed è indubbiamente lo strumento più potente di cui possiamo disporre per il pricing di un derivato. Infatti, non abbiamo messo limitazioni riguardo ad _, ma ci siamo limitati a supporre che il valore di ` dipendesse dallo stock sottostante. L’equazione di Black Scholes descrive quindi la dinamica di un qualsiasi derivato, non è un metodo ad hoc per una specifica classe di contratti. Viceversa, ogni derivato deve soddisfare tale equazione.

Inoltre, la derivazione stessa dell’equazione di Black Scholes impone che il prezzo finale a(bc , de) sia quel valore che garantisce l’assenza di possibilità di arbitraggio: nel procedimento sopra, il derivato è stato “replicato” da un portafoglio riskless, e si è imposto che il rendimento di tale portafoglio fosse pari al tasso di interesse corrente. Quindi, ogni soluzione dell’equazione di Black Scholes rappresenta il prezzo arbitrage free del corrispondente contratto.

E’ opportuno infine ricordare che l’equazione di Black Scholes è stata derivata fondandosi su alcune assunzioni:

1. La dinamica dell’azione sottostante è descritta da fghij= k , lm + n , opq ;

2. E’ possibile fare short selling (vedi lezione 3) 3. Non ci sono costi di transazioni e tutti i titoli commerciati sono infinitamente divisibili; 4. L’azione sottostante non paga dividendi; 5. Lo scambio di titoli avviene in modo continuo; 6. Non esistono possibilità di arbitraggio; 7. Il tasso di interesse r è unico per tutte le scadenze e costante nel tempo

Alcune delle ipotesi di sopra possono comunque essere rilassate (come la 4), mentre altre (come la 6 e 7) sono fondamentali.

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Si è detto che l’equazione di Black Scholes vale per tutti i contratti finanziari il cui valore dipende da uno stock sottostante, ossia tutti i derivati. A seconda delle condizioni al contorno che vengono imposte, le soluzioni forniscono il valore (prezzo) dei derivati in analisi.

Il setting delle condizioni al contorno è abbastanza delicato: sappiamo dalla teoria delle PDE che le boundary conditions condizionano esistenza e unicità delle equazioni differenziali. Senza entrare nel dettaglio tecnico, cerchiamo di procedere per analogia, utilizzando come paragone un’altra equazione differenziale dotate delle stesse caratteristiche di BS. L’equazione di Black Scholes è una PDE parabolica lineare, e la “classica” PDE parabolica è l’equazione del calore:

st!" = #$%

&'(

Per tale equazione si limita solitamente l’analisi all’insieme

)(*, +) $ R2| (,, -) $ [0, +.] × [0, /]0

In altre parole, la dimensione spaziale è finita e si considerano solo tempi positivi (si immagini ad esempio di voler descrivere la dinamica del calore all’interno di una sbarra collocata in 0 e lunga 1). Si procede quindi assegnando una configurazione iniziale di calore alla sbarra, ossia

2(0, 3) = 4(5) 6 7 $ [0, 8]

Infine si suppone che la temperatura agli estremi della sbarra sia, ad esempio, mantenuta costante nel tempo

9(:, 0) = ;(<, =) = 0 6 > $ [0, +.]

Quali condizioni al contorno possiamo utilizzare per descrivere ad esempio la dinamica di una opzione call? Prima di tutto è bene definire il dominio di soluzione: nel caso dell’equazione di Black Scholes, sia i prezzi dello stock sia la variabile temporale possono assumere solo valori positivi. Quindi il dominio sarà:

?(@, AB) $ R2| (C, DE) $ [0,F] × [0, +.]G

Per identificare univocamente il nostro contratto derivato, imporremo anche la condizione seguente:

H(I, JK) = (LM Q N)O

“Imitando” quanto descritto per l’equazione del calore, introduciamo anche due condizioni relative al valore del derivato nel caso di valori “estremi” per lo stock, ossia 0 e +.:

P(Q, 0) = 0 6 R $ [0, +.]

limSCTU

V(W, X) = +. 6 Y $ [0, +.]

La prima condizione segue dall’osservare che, nel caso lo stock sottostante raggiunga valore 0, resterà pari a zero per ogni tempo successivo: utilizzando il modello lognormale di Black Scholes

Z[\ = ]^ , (_ , `a + b , cde)

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è facile vedere che, se fg = 0, allora hi = 0 per ogni tempo j > k.

Riassumendo, il prezzo di una call option con strike l e maturity m si può ottenere risolvendo la il problema differenziale:

nopq (r, st) + 1

2 , uvw

xyz{(|, !") , #$% , &' + ( , )*+,-

(., /0) , 12 = 3 , 4(5, 67)

89(:, ;<) = (=> Q ?)@

A(B, 0) = 0 6 C $ [0, +.]lim

DCEFG(H, I) = +. 6 J $ [0, +.]

La soluzione di questo problema è data dalla seguente formula:

K(L, MN) = OP ,Q(RS) Q T , UVW,(XYZ) , [(\])

dove ^ è la funzione cumulativa di probabilità di una normale standard e la quantità _` ,ab sono fornite da

cd =ln efghi + jk + lm

2 n , (o Q p)q , rs Q t

!" =ln #$%&' + ()Q *+

2 , , (- Q .)/ , r0 Q 1 = 23 Q 4 , r5 Q 6

(Il valore di una put si ricava velocemente tramite la put call parity)

Derivazione alternativa della formula per opzioni europee: valutazione risk neutral

Sostituendo la funzione proposta nell’equazione di Black e Scholes si può verificare la correttezza della nostra ansatz. Tuttavia, questo procedimento non è”istruttivo”: la soluzione sembra caduta dal cielo, mentre invece può essere derivata con qualche ragionamento.

Ricordiamo insieme quanto detto per l’albero binomiale: calcolare il prezzo arbitrage free di un derivato vuole dire calcolarne il valore atteso dei payoff finali e scontare tale valore alla data presente. Inoltre, la misura secondo la quale si calcola il valore atteso è quella risk free, e non quella del mondo reale.

Proviamo allora ad applicare questo ragionamento, ma questa volta nel caso continuo: in altre parole, cerchiamo di capire che tipo di variabile aleatoria può descrivere i payoff a maturity del nostro derivato secondo la misura risk neutral. Intanto osserviamo che i payoff di una call con strike 7 e maturity 8 sono descritti da una funzione deterministica di 9: (ossia da (;< Q =)>). Quindi, una volta descritta la dinamica risk neutral della variabile aleatoria ?@, saremmo in grado di calcolare il valore atteso di (AB Q C)D.

La dinamica dello stock secondo la misura di probabilità del mondo reale è descritta dall’equazione

differenziale EFGHI

= J , KL + M , NOP. Come possiamo passare alla dinamica risk free? Un importante

risultato di teoria della misura, il teorema di Girsanov, permette di passare da una SDE secondo una misura

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di probabilità a un’altra SDE secondo una seconda probabilità (nel nostro caso, quella risk neutral). Operativamente, il Teorema di Girsanov afferma che, passando da misura real world a misura risk neutral l’equazione differenziale stocastica varia unicamente nel parametro Q, mantenendo intatta la struttura generale. La nuova dinamica si ottiene considerando l’equazione:

RSTUV

= W , XY + Z , [\]

dove ^ è il tasso di interesse annuo. Sfruttando quanto visto nella seconda lezione, sappiamo che la soluzione a tale SDE è:

_` = ab , exp (c , d Q 12 , ef , g + h ,ij)

Continuando come descritto precedentemente, calcoliamo il valore atteso dei payoff a maturity:

k[(lm Q n)o] = p !"#$ , exp %& , ' Q 12 , () , * + + ,,-.Q /0

12 =

= 34 , 56,7 ,8(9:) Q ; ,<(=>)

Scontando tramite il fattore ?@A,B otteniamo la formula di Black Scholes per una call.

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Metodi risolutivi per l’equazione di Black Scholes

Si è visto come, nel caso di derivati “semplici” come le opzioni europee, l’equazione differenziale di Black e Scholes possa essere risolta in forma esplicita. In generale, trovare una soluzione in forma chiusa per un qualsiasi set di condizioni al contorno è impossibile: pertanto la soluzione dell’equazione viene affrontata numericamente.

Gli approcci possibili sono solitamente due: utilizzare i cosiddetti metodi alle differenze finite oppure sfruttare tecniche di analisi di Fourier. Nel seguito vedremo brevemente due possibili soluzioni che appartengono alla prima categoria.

L’idea di fondo degli schemi a differenze finite è quella di trasformare le derivate parziali in una PDE in

rapporti incrementali sfruttando lo sviluppo di Taylor, ossia sostituire CDEF (G) con H(IJK)LM(N)

O .

Analogamente, possiamo approssimare l derivate di ordine superiore: ad esempio, è facile verificare che, sotto opportune condizioni di regolarità, vale che

PQR(S) = T(U + V) Q 2 , W(X) + Y(Z Q V)V[ + \(V])

Per applicare queste idee alla nostra equazione, è conveniente richiamare il dominio di soluzione, ossia

^ = _(`, ab) $ R2| (c, de) $ [0,f] × [0, +.]g

Dovendo implementare numericamente uno schema risolutivo, dobbiamo limitarci in pratica al dominio

h = i(j, kl) $ R2| (m, no) $ [0,p] × [0, qrst]!

dove "max è un valore molto maggiore del livello attuale dello stock #$. Procediamo quindi a discretizzare il

dominio di soluzione, considerando i punti % & ,'() appartenenti a * della forma

+,- , ./0 = (1 , 23, 4 , 56)

dove 78 e 9: sono “step” da fissarsi in seguito. Se definiamo poi

;<,= A= >(?@ , AB)

possiamo “tradurre” in differenze finite una qualsiasi equazione differenziale: ad esempio, l’equazione di Black Scholes diventa:

CDEF (G, HI) + J

K ,LMNOPQR

(S, TU) , VWX , YZ + [ , \]^_`

(a, bc) , de = f , g(h, ij)

kl,m Q nopq,rst + u , v , w! , "#,$%& Q '(,)*+

2 , ,- + 12 , ./ , 01 , 234 , 56,789 Q 2 , :;,< + =>,?@A

BCD = E , FG,H

Precisamente, la derivata prima nello spazio è approssimata con una differenza centrale ,mentre quella nel tempo è approssimata con una differenza backward.

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Impostato il problema, possiamo riscrivere

IJKL,M = NOP , QR,STU + VWP , XY,Z + [\P , ] ,_`a

bcP = 12 , de , (fghi Q j , k)

lmP = 1 Q no , (pqr! + ")

#$P = 12 , %& , ('()* + + , ,)

Abbiamo così espresso il valore del derivato al tempo -./0 in funzione del valore al tempo 12. Notiamo ora che le condizioni al contorno che dobbiamo soddisfare sono settate al tempo 3: a tale data, sappiamo quale è il valore del derivato (ossia semplicemente i suoi payoff). Pertanto, possiamo risolvere l’equazione di sopra in maniera ricorsiva partendo dal tempo 4, dove i valori di 5 sono noti.

Il metodo proposto è detto schema esplicito: ad ogni tempo 67 possiamo calcolare il valore del derivato in

funzione dei valori noti in 89:;. Il principale svantaggio di questo sistema di risoluzione è la non stabilità,

che descriviamo brevemente nel seguito.

Si è detto che i metodi alle differenze finite prendono origine dallo sviluppo di Taylor: sembra quindi lecito aspettarsi che, riducendo gli step <= e >?, la soluzione risulti sempre più precisa: in realtà, questo non accade, anzi, per particolari scelte degli step la soluzione trovata può “esplodere” divergendo a più infinito.

A tale proposito, qui sotto è riportato il grafico del valore di una call option contro il valore iniziale dello stock calcolato utilizzando il codice in appendice. Nell’esempio proposto, abbiamo settato @A = 50 , B = 40, C = 1, D = 0.01, E = 0.2, FGHI = 50.

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Dividendo l’intervallo di [0, JKLM] in 10, 50 o 100 parti, la soluzione risulta sempre più regolare; aumentando però la risoluzione con 200 step, il valore ottenuto diverge.

Questa caratteristica può essere studiata in modo rigoroso tramite la cosiddetta analisi di stabilità (se avanzerà tempo lo tratteremo brevemente). A noi basterà sapere che il metodo a schema esplicito è facile a spiegarsi, ma presenta complicazioni di natura applicativa che non lo rendono molto affidabile. Una possibile strategia per aggirare questa difficoltà è, contrariamente a quanto suggerirebbe l’intuizione, utilizzare uno schema implicito.

Lo schema esplicito esprime i valori della soluzione al tempo N Q 1 in funzione di quelli al tempo O, che sono noti in quanto il procedimento va applicato a partire dalla data di maturity per poi muoversi indietro nel tempo. Lo schema implicito esprime invece i valori al tempo P in funzione di quelli al tempo Q Q 1. Più precisamente, otteniamo uno schema completamente implicito approssimando la derivata prima temporale nell’equazione di Black e Scholes con un incremento forward, ossia

RSTU (V, WX) + Y

Z ,[\]^_`a

(b, cd) , efg , hi + j , klmno

(p, qr) , st = u , v(w, xy)

z!"#,$ Q %&,'() + * , + , ,- , ./,012 Q 34,567

2 , 89 + 12 , :; , <= , >?@ , AB,CDE Q 2 , FG,H + IJ,KLM

NOP = Q , RS,T

Otteniamo quindi la seguente relazione:

UV,WXY , Z[ + \],^ , _ + ab,cde , fg = hijk,l

dove le quantità mn, op, qr sono date da

s! = 12 , " , # , $% Q 1

2 , &' , () , *+

,- = 1 + ./ , 01 , 23 + 4 , 56

78 = Q12 , 9 , : , ;< Q 1

2 , => , ?@ , AB

Abbiamo quindi una relazione che lega tre incognite (ossia CD,EFG, HI,J e KL,MNO) ad un valore noto (ossia

PQRS,T) .

Siano U e V il numero di step in cui sono rispettivamente divisi gli intervalli [0,W] e [0, XYZ[]. Ricordando che il valore del derivato nei punti del tipo (\, 0) e (], ^_`a) è già fissato dalle condizioni al contorno, ad ogni time step b dovremo risolvere il seguente sistema lineare

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cdddddefg hijk lm no

pq !" #$% % %

&'() *+,- ./012345 6789:

;;;;;<

cdddde =>,?@A,BCC

DE,FGHIJ,KLM:

;;;;<

=

cdddde NOPQ,RSTUV,WCC

XYZ[,\]^_ab,cde:

;;;;<

Q

cdddde fg , hi,j

0CC0

klmn , op,q:;;;;<

La matrice dei coefficienti risulta tridiagonale, permettendo di applicare il metodo di fattorizzazione LU per migliorare l’efficienza del codice. Il principale vantaggio del metodo implicito, come si è detto, risiede nella sua stabilità: anche “stringendo” le reti della griglia, ossia diminuendo gli step temporali e spaziali, non si presentano i problemi che insorgono con il metodo esplicito.

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Appendice

r=0.01; sigma=0.2; T=1; S_max=100; S_0=50; K=40; N=500; M=200; delta_T=T/N; delta_x=S_max/M; effe=zeros(N,M); a=zeros(M,1); b=zeros(M,1); c=zeros(M,1); effe(N,:)=max(linspace(0,S_max,M)'-K,0); effe(:,1)=zeros(N,1); effe(:,M)=S_max-K*exp(-r*linspace(0,T,N)); for i=1:M a(i)=0.5*delta_T*(sigma^2*i^2-r*i); b(i)=1-delta_T*(sigma^2*i^2+r); c(i)=0.5*delta_T*(sigma^2*i^2+r*i); end for i=N:-1:2 for j=2:M-1 effe(i-1,j)=a(j)*effe(i,j-1)+b(j)*effe(i,j)+c(j)*effe(i,j+1); end end

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Metodi di tipo Monte Carlo

Durante le lezioni precedenti abbiamo più volte ripetuto che il prezzo arbitrage free di un titolo derivato corrisponde al valore atteso scontato, sotto la misura risk neutral, dei suoi payoff a scadenza. Sia allora !(", #$) la funzione che descrive i payoff terminali del contratto. Siamo interessati a calcolare

%[&(', ())]

dove il valore atteso dell’equazione precedente è appunto calcolato secondo la misura risk neutral.

Un utile strumento che è possibile utilizzare per calcolare valori attesi è il cosiddetto metodo Monte Carlo: supponiamo di avere interesse nel calcolare il valore atteso di una variabile aleatoria *. Sia allora (+,)-./ una successione di variabili aleatorie indipendenti e identicamente distribuite, e supponiamo inoltre che 01~2. La legge dei grandi numeri impone che, definendo:

34 = 15 6789

:

;<=

valga che

lim>?@A

BC = D[E] quasi ovunque

Il metodo Monte Carlo consiste quindi nel generare una successione di variabili aleatorie indipendenti caratterizzate dalla stessa distribuzione di probabilità della variabile oggetto di studio; fatto ciò, si calcola la media aritmetica della somma di F variabili generate, ottenendo così un’approssimazione del valore atteso cercato.

Supponiamo ad esempio di voler prezzare un’opzione europea con strike G = 30 e maturity H = 2. Il livello attuale dello stock è pari a IJ = 30, la volatilità dello stock è K = 20% e il tasso di interesse corrente è pari a L = 5%. Utilizzando la formula di Black e Scholes otteniamo un valore pari a :

[Call, Put] = blsprice(30, 30, 0.05, 2, 0.2)1

Call = 4.8380

Proviamo ad utilizzare un metodo Monte Carlo per ottenere il prezzo della stessa opzione. Grazie a quanto visto nelle lezioni precedenti sappiamo che la dinamica risk neutral di uno stock è definita dall’equzione differenziale stocastica:

MNOPQ

= R 6 ST + U 6 VWX

che ha come soluzione

YZ = [\ 6 ]^_`abc d6efg6hi

dove jk ~ lm0,nop. La variabile aleatoria che rappresenta i payoff a scadenza dell’opzione è quindi pari a

1 Qui viene utilizzata la formula di Matlab blsprice, vedi Help

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q = rst 6 uvwxyz{ |6}~�6�! "K#

$

Un semplice Monte Carlo per prezzare questo derivato si può ottenere tramite il seguente codice:

Price=30; Strike=30; Rate=0.05; Time=2; Volatility=0.20; MCsteps=500; X1=max((Price*exp((Rate-0.5*Volatility^2)*Time+Volatility*randn(MCsteps,1)*sqrt(Time))-Strike),0); MCprice1=mean(X1)*exp(-Rate*Time)

Nell’esempio di sopra abbiamo generato MCsteps=500 variabili aleatorie distribuite come la variabile % dell’equazione precedente. La variabile MCprice fornisce il prezzo ottenuto secondo questa metodologia,

che risulta pari a

MCprice1 =4.2304

Possiamo inoltre verificare l’effetto di una aumento del numero di ripetizioni. Ripetendo la procedura sopra descritta per MCsteps=1000 e MCsteps=5000 otteniamo i prezzi2

MCprice2 = 4.3491 MCprice3 = 4.8934

E’ facile vedere come un aumento nel numero di ripetizioni migliori il nostro risultato. D’altra parte, anche con 5000 ripetizioni il valore ottenuto (4.8934) è sensibilmente diverso da quello cercato (4.8380). Un utile strumento utilizzabile per calcolare la precisione dei risultati ottenuti tramite un metodo Monte Carlo è quello degli intervalli di confidenza. Richiamando le variabili i.i.d. (&')(.) dell’esempio precedente, definiamo la varianza campionaria *-esima come

+,- = 1. " 1 6/[01 " 23]4

5

678

Sia infine

9: ;=<= " >[?]@A

nBC

Il Teorema del Limite Centrale impone che

2 Lanciando il codice riportato sopra modificando solamente il numero di ripetizioni non si otterranno i risultati riportati (a meno di non chiudere e riavviare Matlab ogni volta): per poter confrontare due diversi risultati ottenuti tramite un metodo Monte Carlo è necessario resettare ad ogni ripetizione il generatore di numeri casuali di Matlab Il comando da inserire per ottenere questo effetto è randn('state',0);

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DE F GHIJ?KL

M(0,1)

Sia poi N un numero reale: consideriamo la seguente probabilità:

O( {– P < QR < S}) = T

U

VVW

XYZY[

– \ < ] " _[`]ab

ncd< e

fYgYh

i

jjk

=

= l m nop " q 6 rsnt

< u[v] < wx + y 6 z{n|

}~

Se ! risulta abbastanza grande, possiamo stimare questa probabilità sfruttando i quantili della distribuzione normale (che sono noti). Precisamente, sia "(#) la funzione cumulativa di probabilità di una variabile normale standard, ossia:

"($) = %( {&' < (})

Chiamiamo quantile p-esimo di una distribuzione normale standard quel numero reale ) che realizza

l’uguaglianza:

"*+,- = ./ 012 < 3456 = 7

Sfruttando la simmetria della distribuzione normale standard è facile vedere che

8( {– 9 < :; < <}) = = >H? @ = ABCDE

Possiamo allora concludere che

F G HIJ " KLMNO6 PQnR

< S[T] < UV + WXYZ[6 \]n^

_` a b

Gli intervalli di confidenza ci permettono quindi di stimare la probabilità che la media della variabile aleatoria oggetto della nostra analisi sia inclusa in un intervallo centrato nella media campionaria.

Qui sotto sono riportati gli intervalli di confidenza al 95% per le tre simulazioni di cui sopra. Si è inoltre riportato il rapporto tra l’ampiezza dell’intervallo e il risultato del Monte Carlo, per avere una misura relativa della variabilità della nostra stima:

MCprice1 = 4.2304 MCconInt1 = 3.6989 4.7620 perc1 = 0.2513

MCprice2 = 4.3491 MCconInt2 = 3.9757 4.7225 perc2 = 0.1717

MCprice3 = 4.8934 MCconInt3 = 4.7044 5.0824 perc3 = 0.0772

Dall’esempio appare chiaro come un maggior numero di ripetizioni permetta una maggiore accuratezza nei risultati. Notiamo inoltre come nelle prime due simulazioni il valore effettivo dell’opzione, pari a 4.8380, non sia compreso all’interno dell’intervallo di confidenza.

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Metodi di riduzione di varianza

Nel paragrafo precedente si è visto come un aumento del numero di ripetizioni permetta di ottenere una

maggiore precisione: infatti, se cd è la varianza di ciascuna variabile ef , la varianza del nostro stimatore Monte Carlo risulta pari a

ghi[jk] = lmn

Per fare diminuire questa varianza, possiamo naturalmente aumentare o come fatto in precedenza: questo approccio si rivela però spesso controproducente, principalmente a causa dell’elevato tempo di calcolo richiesto. Un approccio differente è quello di … tentare di ridurre p: l’idea di fondo è quella di sostituire la variabile q oggetto della nostra analisi con un’altra variabile r, tale che s[t] = u[v] ma wx > yz.

Nel seguito illustreremo alcune di queste tecniche di riduzione di varianza.

Antithetic Sampling

Sia { la variabile aleatoria della quale siamo interessati a calcolare il valore atteso, e supponiamo di avere 2| variabili aleatorie distribuite identicamente ad }:

~�,!, "#,$, %&,' , … ,(),*

+,,-, ./,0, 12,3 , … ,45,6

Tali variabili risultano inoltre indipendenti “orizzontalmente”, ossia 78,9 è indipendente da :;,< per = = 1,2

e per ogni valore di >, ? compreso tra 1 e @. Sia infine A la correlazione (costante) tra BC,D e EF,G.

Definiamo allora HI = JK,LM NO,PQ e consideriamo lo stimatore

RST = 1U 6VWX

Y

Z[\

Le variabili ] risultano ora i.i.d. e possiamo quindi applicare la Legge dei Grandi Numeri, provando così che

lim_?`a

bcT = d[e] quasi ovunque

Se fg è la varianza di h, lo stimatore avrà varianza pari a

ijk[lmT] = nop[qr]s =

tuv wxy,z + {|,}2 ~

� = !" + #$ + 2 6 %&'()*,+ ,,-,./4 6 0 = 12

2 6 3 6 (1 + 4)

Per ridurre la varianza del nostro stimatore possiamo imporre una correlazione negativa tra le variabili di tipo “1” e quelle rispettive di tipo “2”. Questo metodo, seppur elementare, fornisce buoni risultati: nel seguito abbiamo riportato il codice Matlab per applicare l’antithetic sampling al caso di un opzione europea di tipo call descritta sopra. Per poter comparare l’effetto della nostra strategia di variance reduction con un Monte Carlo puro, dobbiamo imporre lo stesso numero di ripetizioni. Se ad esempio MCsteps=500,

applicando il metodo di riduzione varianza precedentemente introdotto andremo a generare 250 variabili di tipo 1 e 250 variabili di tipo 2:

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randn('state',0); Price=30; Strike=30; Rate=0.05; Time=2; Volatility=0.20; MCsteps=250; a=randn(MCsteps,1); b=-a; antSamp_X1=0.5*(max((Price*exp((Rate-0.5*Volatility^2)*Time+Volatility*a*sqrt(Time))-Strike),0)+max((Price*exp((Rate-0.5*Volatility^2)*Time+Volatility*b*sqrt(Time))-Strike),0)); antSamp_Test1=antSamp_X1*exp(-Rate*Time); [antSamp_MCprice1,antSamp_MCvar1,antSamp_MCconInt1]=normfit(antSamp_Test1) perc1=(antSamp_MCconInt1(2)-antSamp_MCconInt1(1))/antSamp_MCprice1

Nell’esempio abbiamo costruito le variabili di tipo 2 imponendo che la normale 56,7 utilizzata nella formula

89,: = ;<= 6 >?@ABCD E6FGH6IJ,K "KL

M

fossero uguale a "NO,P : dal momento che la funzione Q ? RST 6 UVWXYZ[ \6]^_6` "Ka

bè monotona, la

correlazione negativa si preserva.3

I risultati ottenuti sono i seguenti

antSamp_MCprice1 = 4.6474 antSamp_MCconInt1 = 4.2475 5.0472 perc1 = 0.1721

MCprice1 = 4.2304 MCconInt1 = 3.6989 4.7620 perc1 = 0.2513

In questo caso il metodo si rivela particolarmente efficace, facendo diminuire sensibilmente l’ampiezza dell’intervallo di confidenza.

3 Possono presentarsi casi dove il payoff del derivato non è una funzione monotona del sottostante. In tali situazioni, imporre una correlazione negativa tra le variabili in gioco non è altrettanto semplice.

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Control Variates

Il metodo delle variabili di controllo è un’evoluzione dell’antithetic sampling: l’idea di fondo è sempre quella di indurre una correlazione tra variabili aleatorie, ragionando però in un modo più sottile.

Supponiamo di dover calcolare il valore atteso di una variabile aleatoria [c], e supponiamo inoltre che esita un’altra variabile aleatoria d, con valore atteso noto e[f] = g, che sia correlata con h. La variabile i è detta variabile di controllo, e ci permette di definire lo stimatore:

jk = l + m 6 (n " o)

Questa variabile aleatoria ha ovviamente lo stesso valore atteso di p; calcoliamone la varianza:

qrs(t!) = "#$(%) + &' 6 ()*(+) + 2 6 , 6 -./(0,1)

La formula di sopra suggerisce che la varianza del nostro stimatore possa essere ridotta con una scelta appropriata del parametro 2. Scegliendo

3T = "456(7,8)9:;(<)

Si ottiene il valore che minimizza la varianza di =.

Nella pratica accade spesso che sia la covarianza tra > e ? che la varianza @AB(C) non siano note, e debbano essere stimate con un set di simulazioni pilota.

Nel caso di una opzione call come quella finora utilizzata, una variabile di controllo “naturale” è il prezzo

dello stock, per il quale conosciamo la varianza (è la varianza di una variabile lognormale, pari a DEFGHI 6JKLM " 1N), ma non la covarianza con la variabile:

O = PQR6S TUV 6 WXYZ[\] ^6_`a6bc "Kd

e

Nel codice che segue si è scelto MCpilot=100 simulazioni per stimare tale covarianza e MCsteps=400 per il Monte Carlo vero e proprio: Price=30; Strike=30; Rate=0.05; Time=2; Volatility=0.20; MCsteps=10000; MCpilot=1000; Stock_Cov_estim=Price*(exp((Rate-0.5*Volatility^2)*Time+Volatility*sqrt(Time)*randn(MCpilot,1))); Opt_Cov_estim=exp(-Rate*Time)*max(Stock_Cov_estim-Strike,0); Varstock=Price^2*exp(2*Rate*Time)*(exp(Time*Volatility^2)-1); E_stock=Price*exp(Rate*Time); MatCov=cov(Stock_Cov_estim,Opt_Cov_estim); c=-MatCov(1,2)/Varstock; Stock_final=Price*(exp((Rate-0.5*Volatility^2)*Time+Volatility*sqrt(Time)*randn(MCsteps,1))); Opt_final=exp(-Rate*Time)*max(Stock_final-Strike,0); Controlled_variates=Opt_final+c*(Stock_final-E_stock);

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[ContVar_MCprice1,ContVar_MCvar1,ContVar_MCconInt1]=normfit(Controlled_variates) perc1=(ContVar_MCconInt1(2)-ContVar_MCconInt1(1))/ContVar_MCprice1 I risultati ottenuti provano che la varianza è stata effettivamente ridotta, e dimostrano un miglioramento rispetto all’antithetic sampling:

antSamp_MCprice1 = 4.6474 antSamp_MCconInt1 = 4.2475 5.0472 perc1 = 0.1721

MCprice1 = 4.2304 MCconInt1 = 3.6989 4.7620 perc1 = 0.2513

ContVar_MCprice1 = 4.8562 ContVar_MCconInt1 = 4.805 4.9067 perc1 = 0.0208

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Bibliografia

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• John Cochrane, “Asset Pricing”, Princeton University Press.

• Paolo Brandimarte, “Numerical methods in finance and economics: a MATLAB-based introduction”, 2nd Edition, John Wiley & Sons, New York.

• Paul Glasserman, “Monte Carlo Methods in Financial Engineering”, Springer.

• David Williams, “Probability with Martingales”, Cambridge Mathematical Textbooks.

• S. Shreve, “ Stochastic calculus for Finance”, Springer