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RACCOLTA DI INTERVENTI SULLA LEADERSHIP FUTURA ITALIANA(IN ORDINE ALFABETICO)--- TESTI DI--- Gabriele Albertini, Magdi Cristiano Allam, Nelso Antolotti, Angelo Benedetti, Pierluigi Bernasconi, Marco Bizzarri, Dario Bonacorsi, Giovanni Bossi, Carlo Brunetti, Ruggero Brunori, Claudio Buja, Matteo Calise, Loris Casadei, Gabriele Centazzo, Marco Colatarci, Andrea Colombo, Gherardo Colombo, Patrick Colombo, Fabio Cusin, Filippo Antonio De Cecco, Giovanni Degli Antoni, Stefano Dominella, Sergio Dompé, Armando Alisei, Piero Fassino, Diego Fusaro, Giancarlo Galli, Vito Gamberale, Vladimiro Giacché, Giordano Bruno Guerri, Vincenzo Ilotte, Edoardo Imperiale, Giancarlo Innocenzi Botti, Simone Lenzi, Massimo Maccaferri, Maurizio Maggiani, Maurizio Marinella, Valentino Mercati, Paola Michelacci, Valerio Millefoglie, Francesco Mutti, Heiner Oberrauch, Massimo Panzeri, Laura Parigi, Giuseppe Pasini, Francesco Pesci, Marina Debra Pini, Giorgio Pisani, Massimo Pizzocri, Alessandro Politi, Cristiano Portas, Vittorio Prodi, Giulio Properzi, Vittorio Raschetti, Lidia Ravera, Giovanni Reale, Ivan Rizzi, Francesco Rezzi, Fabio Rossello, Carlo Salvatori, Giuseppe G. Santorsola, Giulio Sapelli, Massimo Scaccabarozzi, Andrée Ruth Shammah, Roberto Siagri, Alessandro Varisco, Elio Veltri, Michele Vinci, Andrea Vitullo, Eleonora Voltolina, Alberto Zanatta, Luigi Zoja

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Anticorpi antiautocratici

Gabriele Albertini

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Alla presentazione del volume che raccoglie riflessioni e ricordidi quasi un decennio da primo cittadino – Nella stanza del sindaco –mi affiancava un terzetto composto da Silvio Berlusconi, Fedele Con-falonieri e Cesare Romiti, rispettivamente l’artefice e gli ispiratori, ledue eminenze grigie, della mia candidatura. I due super-manager miavevano conosciuto in occasione del mio incarico in Confindustria.Romiti era presidente Fiat quando io ero presidente di Federmecca-nica, Confalonieri faceva invece parte del comitato di presidenza diAssolombarda di cui ero allora vice presidente. Ma come era statopossibile che un outsider estraneo alla politica di professione fossestato candidato a una poltrona così ambita e così simbolicamente im-portante, in un momento cruciale della Seconda Repubblica? Io stessomi ero stupito della mia candidatura a sindaco, non avevo maturato al-cuna esperienza politica. Ma il partito borghese non poteva accettareun burocrate di professione o l’ennesimo boiardo di Stato e auspicavapiuttosto un uomo proveniente dalla società civile e preferibilmente unimprenditore. L’antefatto era che la sinistra aveva candidato come sin-daco di Milano il presidente dei giovani industriali Aldo Fumagalli,spiazzando così il centro-destra: sembrava infatti paradossale che ilpartito di riferimento della classe imprenditoriale, che aspirava a rap-presentare il partito borghese di massa, non contrapponesse a sua voltala candidatura di una figura di estrazione imprenditoriale: così a to-tale mia insaputa, con il beneficio di una totale innocenza ai confinicon l’ingenuità, divenni il potenziale candidato nella strategia del Cen-trodestra. All’offerta di Berlusconi della candidatura, rifiutai con de-cisione per ben tre volte, la quarta volta addirittura per iscritto. Le ra-gioni del diniego erano motivate dall’impegno assunto come rappre-sentante del mondo confindustriale, dovendo affrontare questioniimportanti sul tema delle relazioni industriali e sui rapporti tra contrat-tazione nazionale e aziendale. Per convincermi a cambiare idea, Ber-lusconi mi disse: «Lei è un uomo di azienda, però non è solo un im-prenditore chiuso dentro i cancelli della fabbrica, ma è anche il pre-

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sidente della più importante federazione dell’industria con una granderilevanza simbolica e dialetticamente in stretto rapporto con la que-stione operaia. Ma nella sua visione e aspirazione non c’è solo il can-cello della fabbrica ma anche la volontà di propugnare, divulgare, rac-contare e far condividere i valori dell’impresa, di affermarli».

Io credevo con assoluta convinzione nei valori dell’impresa e in-tendevo testimoniarli: conservavo perfetta memoria degli anni Settanta,in cui a venir messo in discussione era stato il ruolo stesso dell’im-prenditore, la sua indispensabile funzione guida, la sua centralità nonsolo nel sistema produttivo, ma anche in quello della comunità socialein senso più ampio. Gli echi di una cultura ferocemente anti-industrialee di un’aspra conflittualità erano ancora troppo emotivamente viciniper non suscitare, dentro la mia coscienza dibattuta, un improvvisoscatto d’orgoglio identitario, una pulsione spontanea e reattiva del ca-rattere profondo. Due mondi antropologicamente sospettosi l’uno del-l’altro avevano combattuto, per tutti gli anni Settanta, una – a mio av-viso – inattuale guerra di classe, invece che cercare sinergie per difen-dere il ruolo centrale della cultura industriale nel Paese. Questo era ilmio background, la mia biografia di uomo dell’industria metalmecca-nica; Berlusconi evidentemente lo sapeva, e dopo avermi lusingato conla candidatura, di fronte al mio ostinato rifiuto, decise di giocare l’armadecisiva per convincermi andando a toccare il mio orgoglio piùprofondo, il mio senso di colpa unito al senso del dovere, incapace didisobbedire al richiamo all’impegno. Berlusconi impiegò tutto il suotalento maieutico: dopo aver fatto leva sulla mia vanità, cambiò im-provvisamente registro persuasivo facendo leva sul mio senso di colpa.Al mio ormai estremo tentativo di replica: «Non non sono un politico,avrò contrasti, certi meccanismi e bizantinismi della politica non siadattano al mio carattere, non smusserò gli angoli, avrò una linea de-terminata e intransigente», Berlusconi, perfettamente consapevole diaver ormai vinto la mia ritrosia, rispose con una stoccata finale: «Leiè anche umile, è proprio quello che ci vuole».

In questo episodio è racchiusa la genealogia e, in fondo, il sensodella mia esperienza di imprenditore prestato alla politica nella primagrande stagione dell’antipolitica. L’identikit del sindaco secondo i de-siderata dei milanesi di allora era: al primo posto l’onestà – si venivaimmediatamente dopo Tangentopoli – poi lo spirito di iniziativa, ilsaper fare, il rigore gestionale e la managerialità, la competenza e laconcretezza operativa. Tra gli ultimi valori c’era il carisma e l’espe-rienza politica. Da qui ha preso il via l’amministrazione più impren-ditoriale di tutta la storia politica di Milano. In nove anni abbiamo

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realizzato sei miliardi in opere pubbliche. Abbiamo provvisto all’os-sigeno finanziario con una decisiva manovra di liberalizzazioni, pri-vatizzando AEM, le farmacie comunali, la Centrale del Latte. Abbiamodato avvio a un processo radicale di trasformazione del volto architet-tonico della città con l’apertura di cantieri che hanno contribuito a ri-qualificare l’identità di Milano: una filosofia di modernizzazione esviluppo fondata su sinergie e partnership con il settore privato, sem-pre però riservando alla Pubblica Amministrazione le scelte fonda-mentali di indirizzo, pianificazione e regia politica. Abbiamo cercatodi creare le condizioni per rendere più appetibili gli investimenti in-ternazionali nell’area metropolitana di Milano favorendo l’afflusso dicapitali. Una politica di ottimizzazione e operosa ricerca di efficienzafondata su un approccio di tipo privatistico per le aziende controllatedal Comune che dal ’98 hanno ricominciato a generare utili. ATM ere-ditava un pesante passivo, ed è tornata in attivo senza bisogno di ricor-rere a un incremento del prezzo del biglietto. Noi abbiamo introdottoper primi nel nostro Paese la figura chiave del city manager. Comeesperienza amministrativa abbiamo puntato, da una parte, sulla capa-cità gestionale e organizzativa, sul rigore l’onestà e la trasparenza dal-l’altra, dopo la cesura epocale di Tangentopoli che ha visto Milanocome luogo determinante nella genesi del processo di transizioneverso la Seconda Repubblica. Io ho assunto personalmente l’onere ela responsabilità politica di selezionare direttamente lo staff dei mieicollaboratori, senza passare per il filtro della giunta o la mediazionecon il consiglio comunale. Si è trattato indubbiamente di una interpre-tazione poco politically correct della leadership che ha inteso contra-stare le logiche di tradizionale spartizione partitica e correntizia delpotere. Facevo valutazione rigorose in deroga alle normative ma assu-mendomi le responsabilità in prima persona senza nascondermi die-tro paludamenti, tattiche e concertazioni. Si è trattato di uno stilenuovo di leadership del sindaco, incentrato su un modello di decisionmaking diretto, focalizzato e intransigente, un metodo di decisioni po-larizzato e binario: fondato su un irriducibile “prendere o lasciare”con poco spazio ai compromessi e finalizzato alla realizzazione con-creta e tangibile di risultati invece che al mantenimento di un pru-dente e opportunistico equilibrio politico. La coerenza spinta fino al-l’ostinazione ha consentito di dare un’impronta di novità all’azione dileadership, determinando una risposta e un consenso politico moltoforte focalizzato sulla persona del sindaco.

Nessuna demonizzazione del capitale privato che rappresenta unarisorsa se viene ben gestito senza essere soverchiante sugli interessi

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pubblici, che devono in ogni caso sempre rimanere al centro dell’a-zione amministrativa per valutare le proposte in modo oggettivo, one-sto, imparziale e trasparente senza favorire nessuno. La presenza delprivato costituisce una risorsa quando si confronta con un’ammini-strazione autorevole e indipendente, con una leadership rigorosa e ca-pace di realizzare opere di utilità generale senza sottomettersi allepressioni di lobby e agli interessi di poteri più o meno forti. Il successodella formula dell’imprenditorialità al governo fatta di grande rigoremorale unita a efficienza amministrativa e capacità gestionale, ha cer-tamente pagato sul piano politico consentendo una riconferma del miomandato. Ho confermato il mandato con un largo margine anche sullamia lista e ciò ha significato un consenso più largo della coalizione edel partito. Un grande voto disgiunto significa la presenza di con-senso personale anche presso le file degli oppositori. L’elemento vin-cente è stato quello del rappresentare una politica di una destra macon una identità non populista, severa e rigorosa ma gentile. La me-ritocrazia, l’efficienza, la legalità sono valori di destra. Noi siamo piùmarcati su questi argomenti rispetto a quelli della giustizia sociale esulla distribuzione di ricchezza. Crediamo nel valore dell’individuo ri-spetto alla socialità. Crediamo nella libera iniziativa piuttosto che nelcontrollo dirigista dell’economia. Certamente smarrire il valore guidadella legalità assolutamente radicato nella mappa dei valori della mag-gioranza silenziosa del partito borghese di massa ha rappresentato illimite più grande alla proposta politica del centro-destra.

Milano è una città che ha sempre anticipato le tendenze poi seguitedal resto del Paese. L’ha fatto dopo Tangentopoli e lo sta facendo inquesto momento di svolta del sistema politico. Il sistema politico gra-vitante attorno alla coalizione di centro-destra più di tutti si è fondatosulla leadership carismatica di Berlusconi. Il Berlusconi che ho cono-sciuto nel ’94, quello che mi implorava, con grande umanità, facendoleva sulle mie convinzioni più intime e profonde per spingermi a scio-gliere le riserve e accettare la candidatura a sindaco, spronandomi auscire dalla trincea del lavoro e affrontare il campo aperto dell’agonepolitico, è un Berlusconi che oggi non c’è più, evaporato con la suaimmagine e il suo carisma mediatico. Oggi c’è un Berlusconi che hacostituito una sorta di “signoria rinascimentale” fondata sulla fedeltàmercenaria di un esercito di pretoriani disposti ad arroccarsi in una di-fesa a oltranza come soldati giapponesi in un atollo nel Pacifico. Il po-tere berlusconiano ha assunto negli anni sempre più un carattere auto-cratico grazie alla dimensione extra ordinem di un inedito concentratodi potere mediatico, finanziario, politico senza confronti nel panorama

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dei moderni sistemi democratici occidentali. Si deve riconoscere a Ber-lusconi di essere certamente stato un grande comunicatore, un grandeintuitivo, un uomo coraggioso capace di motivarsi e motivare mobili-tando sfide azzardate, con una capacità di reinventarsi ogni volta, disaper risorgere anche dai momenti di più bruciante delusione e scon-fitta. Un leader che è stato capace, per quasi un ventennio, di sintoniz-zarsi direttamente con “la pancia”, con gli istinti profondi, con i desi-deri e le paure più viscerali degli italiani. Allora Berlusconi mostravaun atteggiamento inclusivo e arruolava le persone che nella societàavevano espresso leadership, nell’impresa, nelle professioni, nelle uni-versità. Si trattava di personalità con un retroterra di radicamento nellasocietà civile, io stesso sono stato cooptato dentro un contesto precisocome quello dell’organizzazione confindustriale; pur essendo un neo-fita della politica, disponevo di un DNA di valori di riferimento e unaidentità, una struttura di pensiero liberale molto netta e definita.Quando si è stabilizzato questo nuovo quadro di potere, Berlusconi hapensato di poter fare a meno dei propri legionari e si è trasformato inun imperatore non più aperto e illuminato, ma di tipo autoreferenziale,si è circondato di cortigiani e, com’è noto, di cortigiane.

Ciò che ha definitivamente rotto la relazione diretta e il rapportodi identificazione tra certi valori della borghesia e classe media, la co-siddetta maggioranza silenziosa, e la figura di Berlusconi sono stati icasi reiterati della corte delle ragazze. Ricordo nel 2005 di avere fattouna telefonata piuttosto lunga, non è stato facile convincerlo, per rinun-ciare alla presenza nel listino bloccato alle elezioni regionali di quellache oggi è una mia collega europea, Lara Comi, una persona perbene,con una dialettica e qualità intellettuali, ma che aveva allora a mio av-viso il torto di essere troppo inesperta: aveva allora solo ventun anni epressoché nessun background politico significativo. Davvero troppopoco per sostituire quello che consideravo un uomo prezioso, il miocapo di gabinetto, con un’esperienza significativa e figura strategicaper mantenere un rapporto e un sistema di relazioni con il mondo lom-bardo. Dovetti faticare per convincere Berlusconi che intendeva sosti-tuire un uomo di comprovata esperienza amministrativa con unnetwork di relazioni significative nel sistema lombardo con una giova-nissima e ancora acerba di politica come Lara Comi. In quel caso sonoorgoglioso di essere riuscito a convincere Berlusconi. Ma ormai la lu-cidità politica a mia avviso era declinante. Qualche anno dopo si sa-rebbe arrivati al famigerato caso Minetti con i corollari e la “difesadell’indifendibile” da parte della cerchia stretta dei pretoriani del prin-cipe. L’affaire Minetti rappresenta il punto più basso, quello del tradi-

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mento dei valori di meritocrazia e della competenza con il trionfo diuna visione decadente della politica. È il ribaltamento dei valori in cuiuna destra civile può credere. Fosse un caso isolato, qualche attenuantedi delirio senile potrebbe anche essere forse concessa in un paese cat-tolico e controriformista che ha fatto delle indulgenze un proprio trattostorico, ma è purtroppo un fatto diventato sistemico, assunto a prassiconsolidata, paradigma di selezione della classe dirigente destinata aoccupare ruoli istituzionali. Pensiamo al caso di quel “pesce” ormaipoliticamente abboccato all’amo del nepotismo del figlio di Bossi, cheè entrato in politica con un curriculum di studi tragicomico: un recidivodell’esame di maturità, un cervello in fuga nei suoi rocamboleschi ten-tativi di afferrare titoli di studio negli esamifici di mezza Europa. Nonsi può parlare di docta ignorantia, ma semmai di “somma arroganza”di chi lo ha elevato a ruoli impensabili e immeritati. La giustizia nonè di questo mondo, ma certamente lo è la nemesi e la pena del contrap-passo, visti i rovesci della dea fortuna sulle sponde del divino Po. Nonè necessario mettersi nei panni severi del Catone il Censore, o del Sa-vonarola di turno per scandalizzarsi: basta l’esercizio del senso co-mune, per comprendere che si sia davvero esagerato. Le belle ragazzeche fanno carriera per avvenenza e disponibilità arrivando a ricoprireruoli istituzionali di vertice, derivano la loro carriera da un rapporto dipura cooptazione, favore e capriccio del principe. Si tratta di una de-generazione da “basso impero” che rivela una patologia grave del si-stema, una malattia mortale della morale pubblica. Quella degli inca-richi pubblici non è una dimensione che attiene alla sfera di disponi-bilità privata come potrebbe essere un’azienda, ma si tratta di ruolipolitici che arrivano, attraverso un meccanismo di nomine, a incardi-narsi in ruoli istituzionali. Qui si deborda dal rapporto di leadershipper entrare nel regno dei rapporti di signoria che funziona solo fino altermine del carisma del principe. Una leadership da principato rina-scimentale, ma senza l’eccellenza culturale delle grandi famiglie delQuattrocento fiorentine, poco neoplatonismo, solo un certo peroni-smo, scarso gusto estetico sostituito da una buona dose di kitsch: l’im-peratore è paralizzato dagli stessi mostri che lui stesso ha creato. Unintero popolo vive la disillusione di un quindicennio. C’è ancora unimperatore, ma ai confini già premono i barbari. Le personalità conqualcosa da proporre e una credibilità da spendere vengono escluse si-stematicamente dai cerchi ristretti delle decisioni, perché chi è nomi-nato per favori e fedeltà non tollera gli eletti portatori di consensi e le-gittimità. L’implosione del centro-destra a partire dalla fronda di Gian-franco Fini si è basata su queste motivazioni: la necessità di rifondare

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i rapporti politici interni con l’approvazione di un codice etico, con-gressi con dibattiti veri e pluralismo, per stabilire una linea politica el’identificazione di un ceto dirigente generato da un processo elettivoe non da una cooptazione dal vertice: in fondo si tratta solo dell’abcdella democrazia interna di un moderno partito occidentale. Senza li-bero dibattito delle opinioni in un partito non è possibile istaurare unadinamica virtuosa di inclusione delle opinioni, ci si limita a rimuoverele opinioni differenti, alimentando inevitabilmente un processo di se-cessioni e rotture che prelude alla deriva balcanica, alla centrifuga pol-verizzazione del sistema in un sistema feudale di piccoli potentati inlotta tra di loro secondo un principio del bellum omnium contra omnes,quella forma di anarchia ben descritta da Hobbes destinata a moltipli-carsi in una molteplicità di satrapie personali. Ma questa classe diri-gente con vocazione nichilistica non può accettare il mutamento. Se ilceto dirigente viene selezionato esclusivamente in base al rapporto per-sonale con l’imperatore, che può essere di adulazione o interesse, unoscambio di favori o il sorriso di una bella ragazza, non si può arrestareuna deriva di culto orientale sul modello dell’impero romano d’oriente:il sultanato come approdo terminale di una leadership politica fondatasul culto della personalità. Gli adulatori non fanno altro che alimentarela tendenza ipertrofica dell’ego del leader. Nessun consigliere di altoprofilo è stato in grado di portare una parola di verità al vertice, che siè rinchiuso ostinatamente su se stesso.

Come nelle tragedie greche, non è l’ambizione ma la tracotanzaa innescare il meccanismo irreversibile di ribaltamento: l’inizio dellafine comincia quando si perde il contatto con l’orizzonte mortale dellarealtà. Ma dalla divinizzazione il passo ulteriore è inevitabilmentequello della demonizzazione. Chi arriva a credersi dio perde il con-tatto con se stesso e con il mondo arrivando a compiere atti inaccet-tabili pur di conservare il culto di sé e il potere che ne costituisce lostrumento. Tutte le tragedie politiche hanno purtroppo mostrato que-sto questa parabola declinante. Tutte le forme di autocrazia, anchequelle più illuminate seguono una morfogenesi simile. Nel nostrocaso, non si è affermata – bisogna per onestà intellettuale riconoscerlo– una dittatura, però certamente è stata ferita in modo profondo l’e-tica pubblica e la dignità delle istituzioni. La tragedia e la farsa sonodue fasi che si sono alternate innescando la deriva più grottesca diquesto finale: un certo tono da commedia all’italiana ha finito perprevalere prima che la durezza della seconda ondata della crisi ci tra-scinasse sempre più in basso nella considerazione internazionale. Ilpartito carismatico lo è rimasto sino a ora senza riuscire a trovare

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un’alternativa credibile e praticabile. Presenze spesso telegeniche cheimparano a memoria un discorsetto interpretando il verbo del caponon sono più sufficienti a coprire il vuoto e l’assenza di elaborazionedi idee. Come una profezia di McLuhan la leadership immersa neldomino della media-sfera, da capacità decisionale, lungimiranza, vi-sione, profondità intellettiva, conoscenza dei dati complessi dellarealtà e delle persone, si trasforma in pura presenza mediatica eperformance televisiva. La politica si converte nella sua rappresenta-zione mediatica. Da qui la politica fondata sugli annunci. Un approc-cio post-moderno fondato sulla forza pervasiva e sulla retorica emo-zionale del paradigma televisivo. Un linguaggio politico studiato aimmagine e somiglianza della pellicolare evanescenza del format deltalkshow. La leadership politica in una società così mediatizzata fini-sce per insistere sulla semplificazione basata sulla superficialità esulla mancanza di memoria. La parola diviene avulsa dal contenuto esi fonda solo sul principio ipnotico dell’affabulazione pubblicitaria.Qualcosa di simile avviene nella parossistica fase terminale del ber-lusconismo più pindarico, virtuale e leggero che però deve impattarecon il ritorno alla pesante zavorra gravitazionale nella pesantezza ir-riducibile della crisi.

La differenza tra il politico professionale e il politico professioni-sta è la medesima che corre tra la visione tolemaica e quella coperni-cana. Due visioni cosmologiche opposte. Il politico professionale safare le sue scelte con lucidità e razionalità simili per certi aspetti almanager di impresa, valutando le varie situazioni, esercitando quoti-dianamente un’analisi approfondita e ponderata dei rischi e delle op-portunità e prendendo decisioni improntate alla ricerca del benesserecollettivo secondo il principio utilitaristico del maggior benessere peril maggior numero di persone. Questo è un paradigma di politico as-similabile per analogia al sistema copernicano dove il Sole, intesocome il bene della comunità, è il centro attorno a cui gravitano i pia-neti che rappresentano i differenti ruoli pubblici. Il politico profes-sionista è invece assimilabile al pianeta Terra nel sistema tolemaico:è il centro dell’universo attorno a cui deve gravitare tutto l’universodi ruoli e decisioni. Professionista della politica è chi antepone la stra-tegia di conservazione a qualsiasi costo del proprio potere personale.

Noi abbiamo un partito che ha rifiutato la sottoposizione al giu-dizio di legalità e alla riflessione etica come precondizione dell’attivapolitica. Essere candidabile dovrebbe essere il risultato di un esameapprofondito della specchiata dirittura morale e dell’intonsa fedinapenale della persona. Oltre l’Atlantico i parametri di candidabilità, i

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requisiti morali di credibilità di fronte al tribunale della pubblica opi-nione impongono ben altri standard, basti pensare, in America, al casodi Gary Hart già candidato alle primarie presidenziali che dovette ri-nunciare alla nomination non per aver commesso chissà quale reato,ma solo per aver mentito alla nazione. Infatti l’opinione pubblica ame-ricana non giudica in base a una pruderie puritana ma sulla base delparadigma etico fondamentale e se vogliamo fondamentalista del prin-cipio di verità opposta in modo manicheo alla menzogna.

È indispensabile restaurare anche nel nostro Paese condizioni ele-mentari di opportunità rispetto alle candidature politiche: serve un co-dice etico in grado di indicare delle coordinate morali per la parteci-pazione alla competizione elettorale: qualsiasi società che voglia rige-nerarsi a partire dal rispetto delle leggi e dalla funzione pedagogicadella questione dell’etica pubblica. Aver ricevuto un avviso di garan-zia si sta trasformando quasi da stigma negativo a una decorazione,come galloni guadagnati sul campo in una deriva che considera sem-pre più la legalità un inutile orpello, quasi un ostacolo. Certamentenon sono mancati gli eccessi: ci sono stati casi di accanimento, doveè legittimo invocare il fumus persecutionis, ma è altrettanto certo chela corruzione sia presente ed è estremamente diffusa nei nodi crucialidella Pubblica Amministrazione.

Noi siamo l’unico Paese occidentale con una legge elettorale chesostanzialmente ribalta i criteri della democrazia nel senso classicodel termine, cioè il comando del popolo, dato che nessuna legge elet-torale cumula norme come la clausola di sbarramento, le liste bloccatesenza preferenze, e il forte premio di maggioranza. A questo si deveaggiungere il fenomeno in crescita verticale dell’astensionismo chenon è assimilabile a quello anglosassone e dei Paesi di solida tradi-zione democratica, dove i partiti si assomigliano e il sistema politicovede una consolidata tradizione di alternanza di governo tra i princi-pali partiti politici. Nei Paesi di consolidata tradizione democraticanon c’è un clima politico da guerra permanente tra i partiti con l’acri-monia tra opposte fazioni e la delegittimazione reciproca, a volteanche una pretesa differenza antropologica tra rappresentanti delle di-verse ideologie che porta a competere non come semplici avversari macome irriducibili nemici di una guerra civile permanente. Quello ita-liano è un assenteismo di protesta e di rigetto e non già di assuefazionealla democrazia come nelle compiute democrazie di stampo occiden-tale o nordico. Se sommiamo astensionismo alla clausola di sbarra-mento, che impedisce il diritto di tribuna a molti partiti, arriviamo aun fenomeno di pericolosa sottorappresentanza del quasi 65%.

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Da noi invece il coordinatore politico, il vero titolare del potere dinomina nelle liste, che si è di fatto sostituito al popolo sovrano, ha as-sunto il ruolo di autentico deus ex machina del sistema di selezionedell’élite politica.

Il leader autentico deve saper parlare non solo al lato inconscio erimosso di una nazione, deve parlare il linguaggio della verità, del sa-crificio: perché solo chi mostra stoica autodisciplina può chiedere aun popolo di affrontare la durezza di un cammino nel deserto. Un lea-der deve saper esprimere una severità affettuosa, non complicità am-miccante con i vizi del proprio popolo: solo in tal modo può delineareun orizzonte di fiducia costruttiva mobilitando l’autostima e non ilnarcisismo di una nazione. “Chiunque non ricorda il proprio passatoè condannato a riviverlo”. Montanelli, pur se tendenzialmente pessi-mista verso gli italiani, in realtà li aveva sopravvalutati, credeva che,rispetto alla leadership di Berlusconi, si sarebbero in breve creati deglianticorpi naturali rispetto alle suggestioni del populismo, ma questareattività non c’è invece stata. La mancanza di lettura della Storia el’incapacità di interpretare il passato conduce a reiterare errori. Solouna massiccia dose di antibiotici di origine europea è stata in grado diristabilire un ciclo reattivo nel metabolismo della vita democratica.Ma la convalescenza sembra più lunga della cura.

(Gabriele Albertini, deputato, presidente Commissione Affari Esteri al Par-lamento Europeo)

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Leadership pubblica

Magdi Cristiano Allam

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L’inconcludenza strategica e l’alibi della divisività della nostraclasse politica mostrano il dramma post-democratico della scomparsadel concetto moderno di Leadership. Basterà il vecchio schema eliti-stico della reputazione e dell’aristocrazia morale a spiegare l’impassedella classe dirigente politica nazionale?

Oggi ci troviamo di fronte a un’Italia, che al pari della Grecia, de-nuncia il sostanziale svuotamento della democrazia. Il Parlamento, co-stituito da deputati e senatori designati e non eletti, dopo aver dato unapessima rappresentazione della democrazia parlamentare, ha finito perscegliere di auto-commissariarsi pur di non determinarne lo sciogli-mento che avrebbe fatto perdere a circa il 40% dei suoi membri il di-ritto a maturare la pensione. Ciò si è verificato in un contesto dove i par-titi, dopo il crollo del muro delle ideologie e l’annacquamento delleidentità politiche, si sono appiattiti e omologati nella mercificazionedel potere finendo per non avere remore a governare in modo consocia-tivo ovunque ciò si traduca in un vantaggio materiale. Il capo dello StatoGiorgio Napolitano ha sfruttato l’effettiva crisi di potere registrata conil tracollo della credibilità del governo Berlusconi per operare come sedi fatto l’Italia fosse già una Repubblica presidenziale, assumendo inprima persona il potere esecutivo e decidendo di promuovere l’insedia-mento del governo Monti, espressione dei poteri finanziari globalizzati(basta considerare l’appartenenza di Monti alla Goldman Sachs,Moodys, Gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale). La magistra-tura, che dagli inizi degli anni Novanta ha svolto un ruolo protagonistanella politica determinando il tracollo della Prima Repubblica, di fattoè riuscita a scardinare anche la Seconda Repubblica che avrebbe do-vuto sorreggersi sul bipolarismo se non addirittura sul bipartitismo. Laquasi totalità della grande stampa nazionale, che seppur da posizionedifferenziate ha concorso nella caduta del governo Berlusconi, oggi èschierata in modo compatto al fianco di Monti dando vita a un quadrodel tutto inedito di uniformità mediatica. Persino la Chiesa cattolica,che dovrebbe promuovere un modello di sviluppo e di società ispirata

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dall’economia sociale di mercato, ha espresso il proprio apprezzamentoper il governo Monti. Dal canto loro i cittadini, anche dalle recenti ri-levazioni fatte dagli istituti demoscopici, sono a tal punto delusi dallapolitica che solo 8 italiani su 100 dice di fidarsi dei partiti. La crisiodierna è sinteticamente dovuta all’abbandono dei valori assoluti e uni-versali e alla certezza delle regole fondanti della civile convivenza, non-ché alla perdita dell’identità e al collasso della nostra civiltà tradizio-nale. Se vogliamo recuperare una leadership credibile sorretta dall’ade-sione al senso dello Stato, all’etica della responsabilità e alla culturadel bene comune dobbiamo partire da questo quadro d’insieme.

Nel ritorno del tragico a chi affidiamo la ricostruzione della com-petenza e della credibilità di una leadership pubblica?

Noi viviamo in un mondo dove si è imposta la globalizzazionedella materialità della modernità ma dove non c’è la globalizzazionedella spiritualità della modernità. Sono globalizzati i mercati, le borse,la finanza, il commercio, le tecnologie, ma non sono globalizzati i di-ritti fondamentali della persona, i princìpi giuridici che sottostannoallo stato di diritto e le norme che sono il fondamento della democra-zia sostanziale. Il risultato più significativo è il sodalizio tra le ideolo-gie del capitalismo e del comunismo, che si ritenevano incompatibili,nella condivisione della concezione della persona come produttore dimaterialità per poter consumare il più possibile. Consumate! Consu-mate! Consumate! è diventata la parola d’ordine in un sistema finan-ziario ed economico globalizzato dove non a caso la Cina capital-co-munista emerge come la super-potenza egemone destinata a controllareil mercato mondiale. Più recentemente abbiamo scoperto che il cir-cuito finanziario mondiale è stato profondamente contaminato da untumore che ha prodotto delle metastasi talmente diffuse da risultareinestirpabile e incurabile. Venendo meno i valori e le regole, preva-lendo il principio della crescita del profitto costi quel che costi, met-tendo al centro di tutto il dio denaro, ci ritroviamo in un mercato finan-ziario inquinato da una massa di denaro virtuale, i cosiddetti titoli vir-tuali, il cui ammontare supera di 12 volte tanto il valore del PIL deiPaesi del mondo. In questo contesto proprio coloro che si sono resi re-sponsabili di questo crimine finanziario oggi hanno la pretesa di gover-nare il mondo, per imporre sostanzialmente agli Stati il baratto tra il de-naro virtuale da loro emesso e il denaro reale frutto del lavoro di chiproduce beni e servizi. Ci troviamo pertanto di fronte a un bivio: ras-segnarci a diventare sudditi di questi poteri finanziari forti o, in alter-nativa, riscattare la nostra sovranità monetaria e nazionale?

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Quali sono i valori non negoziabili che dovrebbero ispirarla?Il processo di riscatto deve partire da ciascuno di noi acquisendo in-

nanzitutto la consapevolezza della realtà per quella che è, non per quellache ci viene raccontata in modo mistificatorio dai giornali omologatied esaltata dalle dichiarazioni del governo che si legittima sulla base diparametri attinenti alla macro-economia, quale il pareggio di bilancio,o squisitamente finanziari, quali lo spread, i cui indici si prestano fa-cilmente alla speculazione dei poteri finanziari forti. Nel processo diemancipazione dalla dittatura finanziaria dobbiamo credere e radicarein noi la fede nella centralità della persona quale depositaria dei valorinon negoziabili dell’inviolabilità nella sacralità della vita, dell’inalie-nabilità della dignità personale e del rispetto della libertà di scelta.

Dove sono i maestri e gli esempi? I maestri sono tanti, a cominciare dal Papa Benedetto XVI e dalla

sua Enciclica Caritas in Veritate. Gli esempi sono invece rari sullascena pubblica mentre è più facile rinvenirli tra chi opera in sordinarimboccandosi le maniche giorno dopo giorno. Oggi è sempre più rarala figura del testimone che fa sì che ciò che dice corrisponde a ciò incui crede e si traduce in ciò che fa.

Esiste un fondamento teorico concettuale per una élite pubblica?Oggi l’élite pubblica è quella che appartiene al mondo della finanza

o che comunque fa riferimento al mondo della finanza, penso peresempio a coloro che controllano i mezzi di comunicazione di massa.Di fronte alla crisi strutturale della finanza e dell’economia globalizzatas’imporrà una revisione delle basi su cui dovrà fondarsi l’élite pubblica,ispirandosi alla dimensione dell’essere più che alla dimensione dell’a-vere e dell’apparire. Su questi basi diventerà possibile promuovere unnuovo gruppo dirigente che si fonda su una concezione etica della po-litica concepita come servizio alla collettività, che diventa protagonistadi verità e libertà, che si eleva a testimone di fede e ragione, che si ergea costruttore di un modello di sviluppo che investe sui micro, piccoli emedi imprenditori che fanno grande l’Italia rappresentando il 97% del-l’insieme della realtà imprenditoriale e il 70% del fatturato complessivodelle imprese, unitamente a un modello di società che promuove la cul-tura della vita, sostenendo la famiglia naturale, valorizzando la mater-nità, incentivando la natalità, assicurando un futuro di certezze ai gio-vani per vincere la tragica crisi demografica che vede l’Italia con i piùbassi indici di natalità in Europa, laddove l’Europa è l’area con il piùbasso indice di natalità al mondo. Ricordiamoci che storicamente il tra-

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collo degli imperi e la dissoluzione delle civiltà hanno avuto origine dallacrisi demografica perché è sintomatica della perdita dei valori e delle re-gole e, parallelamente, della diffusione del relativismo e dell’arbitrio.

I centri di potere (esercizio della decisione o sovranità) sono sem-pre più centri di competenza che in sé contraddicono il principio demo-cratico della maggioranza (la metà + 1 dei più), quale leadership puòsciogliere questa aporia?

Oggi l’Italia e la Grecia sono di fatto sottomesse a una dittatura fi-nanziaria a cui fa da sponda una dittatura mediatica. La democrazia èstata svuotata dei suoi contenuti sin da quando si è privato il cittadino deldiritto a scegliere il proprio candidato, facendo venir meno il rapportofiduciario tra l’elettore e l’eletto che è il cardine della democrazia. I par-lamentari che di fatto non sono stati eletti dai cittadini e che non devonorispondere del loro operato ai cittadini, ma che dipendono dalla dispo-nibilità dei leader dei partiti a inserirli nelle liste bloccate, hanno finitoper ridurre il Parlamento in un mercato dove i deputati più scaltri si sonomessi in vendita al miglior offerente, sconvolgendo l’assetto politicouscito dalle urne passando da uno schieramento all’altro e costituendodei nuovi soggetti politici che rispondono esclusivamente a logiche di ac-caparramento del potere in un contesto di scontro frontale tra i dirigentipolitici per interessi materiali. Il risultato è che ha finito per prevalere lalogica della mercificazione del potere e la perdita totale della dimensionedei valori, delle identità e delle stesse regole della democrazia. Ecco per-ché solo restituendo ai cittadini il diritto del voto di preferenza e solo inpresenza di una nuova cultura politica ridefinita eticamente che metta alcentro la persona e sia finalizzata al perseguimento del bene comune, noipotremo favorire l’avvento di una nuova classe dirigente che sappia in-tercettare e interpretare correttamente le istanze reali della maggioranzadei cittadini, proponendo delle soluzioni concrete e al tempo stesso lun-gimiranti, in grado sia di tamponare l’emergenza sia soprattutto di pro-cedere sulla base di una prospettiva che garantisca la stabilità, la conti-nuità e il miglioramento delle condizioni generali di vita dei cittadini.

Se e quale tipo di processo formativo, dopo il tramonto delle scuo-le di partito, può contribuire al ricambio della nostra classe dirigen-te pubblica?

L’attuale classe dirigente pubblica ha sostanzialmente fallito sia per-ché ha fatto prevalere il proprio interesse individuale rispetto a quellocollettivo arrivando al punto di tradire il mandato con gli elettori accet-tando di auto-commissariarsi pur di salvaguardare i privilegi della Casta,sia perché ha finito per governare in modo consociativo evidenziando

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la deriva morale che mercifica il potere e svuota di sostanza la dialet-tica che è alla base della democrazia, sia infine perché ha ingannato i cit-tadini trattandoli come destinatari di messaggi elettorali multimedialiper affascinarli e carpirne il voto, limitandosi quindi a intrattenere unrapporto virtuale dove viene meno la dimensione dell’incontro, del con-fronto e della conoscenza, salvo poi ignorarli il giorno dopo le elezioni.

Ebbene, il recupero della fiducia dei cittadini alla politica e ai par-titi come strumento di aggregazione del consenso, non può che iniziaredalla riesumazione delle sedi fisiche quali centri fondamentali dell’at-tività politica basata proprio sull’incontro con i cittadini, che devonoessere considerati i veri protagonisti della politica e non dei gregari acui sostanzialmente ci si limita a domandare di sottoscrivere una de-lega incondizionata al salvatore della patria di turno. Queste sedi de-vono diventare delle vere e proprie scuole di vita più che scuole di par-tito. Dove innanzitutto si fa corretta informazione affinché, a dispettodella mistificazione prevalente nei mezzi di comunicazione di massa,i cittadini possano conoscere la realtà per quella che è. Contempora-neamente nelle sedi si deve fare formazione politica intesa in senso lato,mettendo i cittadini nella condizione di potersi confrontare ed esprimerela loro valutazione sull’insieme delle tematiche che attengono allapubblica amministrazione. In questo contesto le sedi devono offriredelle risposte concrete ai problemi reali dei cittadini, attivando delle ini-ziative di consulenza legale, fiscale e amministrativa, creando delle op-portunità di crescita delle imprese e di incontro tra i datori e i richie-denti lavoro, venendo incontro alle necessità dei più bisognosiavvalendosi della disponibilità dei più abbienti. In definitiva il percorsoinformativo, formativo e operativo che si sviluppa in seno alla sede deveessere finalizzato a incentivare e consolidare la consapevolezza che solose ciascun cittadino farà la propria parte da protagonista della politicarisulterà possibile conseguire il comune traguardo del cambiamento del-l’Italia e dell’Europa, radicando in ciascuno di noi un sentimento di fra-ternità e solidarietà umana, condivisione di valori non negoziabili,certezza delle regole fondanti la civile convivenza, determinazione aoperare congiuntamente per il successo della comune missione dicambiare l’Italia e l’Europa dalla quale non possiamo prescindere, con-siderando il pesante condizionamento dei poteri finanziari che gesti-scono l’euro e che l’80% delle leggi nazionali sono ormai la semplicetrasposizione delle direttive emesse dall’Unione Europea.

(Magdi Cristiano Allam, deputato al Parlamento Europeo nel Gruppo delPartito Popolare Europeo)

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Nelso Antolotti

Le caratteristiche imprescindibili di un leader sono innanzituttol’onestà, la correttezza, la coerenza, la verità, la trasparenza: con lamenzogna dopotutto non si va molto lontano. Il sogno e la visionecome veicoli di motivazione sono fondamentali e si ritrovano neigrandi leader della storia; è emblematico a questo proposito il celebrediscorso di Martin Luther King con quell’inizio rimasto nella storia:“I have a dream”, ma si potrebbe pensare anche alla più recente cam-pagna elettorale di Barak Obama e al suo refrain: “Yes we can”.

La leadership è lo specchio di una società che la crea e la ricono-sce. I nostri leader del secondo dopoguerra, quando ci siamo trovatia dover ricostruire l’Italia dalle macerie morali del fascismo, hannocollaborato tutti insieme condividendo l’obiettivo del rifondare unPaese e, pur nelle differenze ideologiche, si sono rispettati tra lorocontribuendo costruttivamente alla riformulazione dell’assetto valo-riale raccolto nella Costituzione. Dall’Assemblea Costituente al boomeconomico, dagli anni del centrismo ai primi governi del centrosini-stra, la lotta politica dura e fondata sulla dicotomia di visioni delmondo opposte non ha però mai impedito una cooperazione sullegrandi questioni di responsabilità nazionale indipendentemente dalcolore politico e dell’ideologia. Nel punto di incrocio perfetto tra po-litica, economia, interessi strategici, un personaggio come EnricoMattei ha certamente interpretato al massimo livello un ruolo di lea-dership pragmatica, di grande visione e grande ambizione unanime-mente riconosciuto a livello internazionale e fermato solo da unamorte tragica e sospetta. Nella Seconda Repubblica sorta sulla spintamoralizzatrice scaturita dopo “tangentopoli” non è sembrato inveceesservi più alcuno spazio possibile per il rispetto da parte dei leaderdegli opposti schieramenti, impegnati in una ventennale tendenza alladelegittimazione reciproca. Siamo così arrivati al “grado zero” dell’e-tica pubblica. Senza più alcuna vergogna, leader colti in flagrante acompiere illeciti oppure inquisiti con prove infamanti a proprio ca-rico, ostentano sfrontata sicurezza sui media e non accennano a pre-

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sentare dimissioni non legalmente dovute ma certamente moralmenteopportune. Una sorta di “cleptocrazia” sembra ispirare l’azione delleistituzioni centrali e territoriali in una diffusione della corruzione nonpiù episodica e isolata ma sempre più generalizzata e assunta a veroe proprio metodo di gestione e conservazione del potere. Leader cheprima rubano e poi si vantano e vanno in tv per mostrarsi invincibili.Più rubano e più diventano importanti. Non si era mai arrivati a que-sta tracotanza e degrado politico e amministrativo a tutti i livelli. Daquando ci siamo arricchiti come Paese abbiamo cominciato a perdereattenzione per l’etica: questa decadenza dei costumi morali, come in-segna la storia, impero romano in primis, è per molti aspetti tipicadelle fasi degenerative delle civiltà entrate in una parabola discen-dente. Così abbiamo cominciato a perdere la cultura della dignità, innome di una rincorsa ossessiva verso un efficientismo propagandi-stico e di facciata.

A questa degenerazione si è accompagnata una eccessiva centraliz-zazione del potere e una perdita della fiducia nella funzione della de-lega: accentrando il potere infatti si accelera il processo autoritario, au-tocratico e autoreferenziale della leadership e si innestano i germi delladecadenza che prima o poi determina l’implosione del potere su sestesso. A questo punto è indispensabile affrontare la crisi con veri lea-der, dotati di carisma, che riescano a spingere gli altri con la forza au-tentica di un ideale. È importante insistere sugli aspetti di verità rispettoalle apparenze superficiali. Oggi c’è troppa immagine e poca sostanza:il leader vero deve agire ben oltre il velo manipolatorio e retorico del-l’apparenza. Deve trascinare, motivare, mobilitare i migliori. Il leaderdeve creare sopratutto fiducia all’interno ma anche credibilità versol’esterno. Qualcosa in questo senso sembra essere cambiato in questomomento: il governo tecnico è come una sospensione, una messa traparentesi degli opposti estremismi dei partiti. Per cambiare fino infondo bisogna saper introdurre nello spazio pubblico valori non nego-ziabili come rispetto, rigore, onestà: ciò richiede un esempio chiaro ecredibile per i giovani. Questa rottura di continuità rappresentata dal-l’esecutivo Monti è a mio avviso benefica. Abbiamo assistito a scenedi contrapposizione violenta e assurda per dieci anni, unita a una incon-cludenza da parte della classe politica intrappolata in riti vuoti e ripe-titivi. Ora serve una trasformazione della legge elettorale che consentadi selezionare una nuova classe dirigente di livello per un opportunoprocesso di transizione. Mi rifiuto di pensare che non esistano alterna-tive a questa classe politica: i leader ci sono nel Paese, nella società ci-vile, nelle professioni, nelle università, ma si tratta di sceglierli con un

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metodo nuovo, in un modo diverso oltre il nepotismo e la cooptazione.Per questo l’etica è fondamentale: il leader deve mettere in campo tuttigli strumenti a sua disposizione per porre non se stesso ma gli “altri”al centro. È finito il tempo della leadership aggressiva, individualista eincurante degli altri: la leadership del futuro deve essere inclusiva, nondeve dividere allargando le differenza, ma unire.

Una leadership etica serve anche a evitare che venga messo in di-scussione il sistema del libero mercato; un eccesso di deregulation hacertamente favorito il diffondersi di illegalità nella finanza interna-zionale come nel caso dei titoli tossici che, creati da speculatori e col-locati dalle banche, hanno innescato la crisi economica più profondadal ’29. La brama di plusvalenze determina una insistenza del mercatofinanziario su risultati di brevissimo periodo che vanificano l’innova-zione profonda: le imprese hanno bisogno di almeno un medio pe-riodo per realizzare un ritorno sugli investimenti più innovativi. L’e-conomia reale e produttiva non può essere equiparata all’economiafinanziaria sempre più virtuale e smaterializzata. A livello globale siè perso il senso della realtà nel pretendere di sostituire l’economiareale con l’economia finanziaria.

Creare una società in grado di sopravvivere al proprio leader è in-dispensabile: affiancare giovani motivati e farli crescere è l’obiettivodi un leader generoso e attento al futuro e alla continuità delle gene-razioni. Affiancare i giovani ai leader impiegando tecniche come ilmentoring e il coaching consente di fondere le culture delle genera-zioni con un passaggio di consegne. Con i prepensionamenti abbiamodistrutto nelle imprese la continuità del rapporto di integrazione tragiovani ed esperti, abbiamo dissipato grandi competenze non creandoun passaggio di consegne e di cultura.

Mario Monti è un leader molto più politicamente raffinato di An-gela Merkel e sta anche tentando di ammorbidire il rigore unilateralee ostinato della Cancelliera tedesca. La leadership europea mai è statadi così basso profilo, mai è stata tanto ripiegata solo su interessi in-terni e nazionali: ciò rappresenta una caduta di visione e di aspira-zione nel processo di integrazione politica europea. Se avessimo aiu-tato sin dall’inizio la Grecia non sarebbe successo quello che poi èsuccesso, è invece si è voluto agire con rigore eccessivo e punitivo, ciòha determinato una propagazione dei rischi di default a grandi Paesicome la Spagna e l’Italia, uno dietro l’altro in un devastante rischio di“effetto domino”: grandi Paesi, importanti economie a rischio per lamancanza di vera leadership da parte della diarchia franco-tedesca.Sono errori clamorosi fatti per miopia o ideologia dai leader europei:

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pensiamo alla Cancelliera tedesca Merkel che si confronta con unarigidità teutonica e pretende di applicare la propria cultura al mondodell’Est europeo o ai Paesi dell’Europa mediterranea. Aiutare la Gre-cia non era affatto impossibile, ma non lo si è voluto fare: si potevaoptare per una soluzione più soft di standby per un certo tempo in unaposizione di limbo, fuori dall’Europa per qualche tempo in attesa diun rientro nei parametri per poi rientrare. Da una parte abbiamo unapolitica europea del rigore assoluto di bilancio dove invece in USA sipratica una politica dello sfondare i bilanci. Non è chiaro quale sia laformula giusta, e chi ne possa trarre un vantaggio nel lungo periodo:sono due opposte filosofie del rapporto tra Stato e debito pubblico,sono due opposti modelli politico-culturali. Ciò che è certo è però chein USA si assiste a una ripresa economica dopo un grande investimentonella creazione di nuovi posti di lavoro. Noi europei, invece, sotto ilgiogo della ortodossia della parità di bilancio come vincolo etico,prima ancora che strumento di politica economica, con la politica delrigore imposta da Berlino li stiamo perdendo ovunque, tranne che nel-l’isola felice della Repubblica Federale Tedesca. Quando c’è la crisispetterebbe allo Stato far ripartire gli investimenti pubblici per mol-tiplicare la crescita economica. La Germania ha fatto pagare all’Eu-ropa il ricongiungimento storico con la DDR, ma non è stata altrettantogenerosa quando si è trattato di solidarizzare con la Grecia. Tutti glistati dell’Europa mediterranea stanno pagando con durezza la crisi; cisi chiede se questo prima o poi si possa rivelare un boomerang ancheper le esportazioni tedesche nel resto degli Stati europei: non esistesolo lo spread di stato a determinare le sorti di una economia, maanche la bilancia commerciale dell’import-export dei beni. Noi ab-biamo rischiato in questa drammatica crisi di distruggere l’euro, maabbiamo anche perso la grande occasione di sostituire il dollaro conl’euro nelle transazioni internazionali. Questo sarebbe stato un veropassaggio epocale per l’Europa. Lo sviluppo incessante degli StatiUniti non dipende infatti solo dal finanziamento del debito pubblicoda parte della Cina e degli altri Stati in attivo, ma anche dalla forzastrategica del dollaro come moneta di pagamento internazionale.

Per anni il nostro Paese è stato tenuto in scacco dal tema del con-flitto di interessi di Berlusconi; ciò è dipeso non solo dal potere delCavaliere ma anche dal fatto che la sinistra quando è salita al governonon ha approvato una doverosa legge per regolare il conflitto di inte-ressi. Berlusconi si è occupato solo di se stesso e della questione dellariforma della Giustizia e del blocco della intercettazioni, disinteres-sandosi dell’economia, ma una classe dirigente che si sente perfetta-

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mente trasparente e inattaccabile non dovrebbe temere lo strumentoinvestigativo delle intercettazioni. Berlusconi nel suo ultimo periodo dipermanenza a Palazzo Chigi non ha fatto nulla per favorire lo sviluppoma anzi ha nascosto dolosamente l’entità della crisi ritardando fin cheha potuto una presa di coscienza collettiva della gravità della situa-zione italiana. Berlusconi, che aveva promesso investimenti in ricercae sviluppo, garantendo una spesa pari al 2% del PIL, ha, invece, toltoanche il misero 0,5% che già c’era. Altro tema disatteso: le liberaliz-zazioni. Al momento di fare le liberalizzazioni, il Partito della libertàha subito pesantemente la lobby delle farmacie e anche quella delleprofessioni forensi, ostacolando quella politica liberale a cui vorrebbeispirarsi. Più che di liberalismo si può parlare di neocorporativismo.

Noi industriali ci troviamo a dover competere con un costo ener-getico molto più elevato che altrove. Ciò dipende non solo per la di-pendenza dall’estero delle fonti di energia, ma anche per una miopetutela politico-corporativa degli interessi delle aziende municipaliz-zate che negli anni sono diventate dei veri e propri mostri giuridici,prede dell’appetito lottizzatorio del potere che ne ha snaturato la mis-sion di servizio alla collettività. Le municipalizzate rappresentanodegli aggregati di potere territoriale con l’unico interesse di far lievi-tare le bollette: come aziende manifatturiere non possiamo compe-tere nel mondo se la questione della bolletta energetica per le aziendenon viene affrontata con serietà.

Rispetto all’articolo 18, noi industriali non siamo per una batta-glia ideologica dei veti incrociati, ma siamo abituati a convivere conquesta dimensione italiana; il vero problema sono gli effetti disincen-tivanti della rigidità in uscita del nostro mercato del lavoro sugli in-vestimenti esteri. All’estero la percezione è che in Italia si può divor-ziare dal coniuge ma non dal dipendente. Io non credo che gli inve-stimenti dall’estero possano partire ora, siamo fuori tempo massimoa mio avviso, dovevamo prendere in tempo gli anni Ottanta e Novanta,ora abbiamo oltre un quindicennio di ritardo. Poi c’è il problema dellamancanza di certezza del diritto, l’eccesso di leggi: la giungla nor-mativa. La pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese rende il nostrosistema iniquo e punitivo dal punto di vista della competizione inter-nazionale. Abbiamo troppi vincoli: British Gas ha recentemente de-ciso di abbandonare un grande investimento in Puglia perché il pro-getto del rigassificatore non ha ottenuto, dopo oltre un decennio, lenecessarie autorizzazioni. Hanno vinto i verdi ma ha perso l’Italia.Anche a Napoli i Cinesi hanno abbandonato l’idea di investire nelporto e sono andati a investire in quello di Amsterdam. Le grandi op-

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portunità del nostro Paese sono state terreno di caccia esclusivo per ilsettore pubblico, intrecciato a doppia fila con il mondo politico: chi-mica, meccanica fine, aeronautica, trasmissioni. Questi settori hannorappresentato per lungo tempo preziosi bacini di voti e posti di lavoro,non si è operato per stimolare e accrescere anche il settore industrialedell’indotto potenziale in grado di crescere attorno a questi grandi in-vestimenti. Pensiamo alla deregulation nel settore dell’aviazione e alloscandalo dell’Alitalia, che pur potendo vantare eccellenze al suo in-terno, non ha preso per tempo la decisione di separare il buono dal cat-tivo all’interno del gruppo, procrastinando per anni l’impasse nellagovernance e nella indispensabile ristrutturazione sotto il veto poli-tico-sindacale e arrivando troppo tardi all’appuntamento con la tra-sformazione e di conseguenza finendo in quel pasticcio che è costatoall’Italia un mare di soldi pubblici.

Enel, malgrado sia finito il monopolio legale dell’energia elet-trica, di fatto opera in un mercato che ancora la favorisce, determi-nando una posizione ancora di dominio del mercato. Di fatto si rendeimpossibile creare un business competitivo e alternativo dell’energiadistribuita. Il settore dei pannelli solari italiani è stato ostacolato, ilsettore delle celle a combustibile potrebbe favorire un grande sviluppoin grado di creare migliaia di posti di lavoro nel nostro Paese; eppurele grandi commesse vanno all’estero e si perdono grandi occasioni dilavoro per le aziende italiane interessate nell’indotto. Il futuro non ènei grossi centri di produzione di energia ma in un modello di ener-gia distribuita in un network di democrazia energetica, ma il nostroPaese sembra intenzionalmente dimenticarsene.

(Nelso Antolotti, presidente Turbocoating)

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Mobilitare attenzione, accompagnare il futuro

Angelo Benedetti

La leadership, per essere autenticamente tale, deve essere ricondu-cibile a una matrice etica; si può anche ricoprire il ruolo di leader ne-gativi, la storia ne è piena di esempi, ma questo porta poi fatalmente alladistruzione e non alla creazione di valore nel tempo. Un leader mossoda un interesse esclusivamente personale è destinato a essere fallimen-tare: la modalità di un ego che pretende di vincere solamente per affer-mare se stesso, che vuole solamente per sé togliendo agli altri, costitui-sce un gioco di breve durata a somma zero senza riuscire a moltipli-care i vantaggi generando utilità per tutti. Quando la leadership si fondasu questo vizio originario di megalomania autoreferenziale del’Io, lamalattia interiore che la intacca arriva prima o poi a minare la vitalitàdi una comunità che si regge su una leadership di tale fragilità.

La ricerca ossessiva della conservazione del potere a qualsiasicosto nasconde sempre interessi personali, e rappresenta dunque unosviamento dalle finalità del potere, sia esso pubblico o privato. La man-canza di senso del limite, di autoregolazione, la dismisura del voleresenza confini, costituisce un pericolo sempre in agguato per chi de-tiene dosi rilevanti di potere. I politici e gli uomini delle istituzioni de-vono perdere l’attaccamento alle cariche e le poltrone di potere vis-sute come vitalizi personali perché hanno il dovere categorico di inter-pretare la loro missione dirigenziale come una funzione pubblica alservizio della collettività pro-tempore, invece il nostro Paese è attraver-sato dal malcostume diffuso della tendenza a procrastinare indefinita-mente il fatidico momento del ricambio e all’arroccarsi sul propriofeudo di potere senza scadenza. Se la ricerca del consenso è finalizzataalla conservazione del potere fine a se stesso e non come strumento percompiere ulteriori scelte di pubblica utilità, si finisce per distruggereil concetto stesso di bene comune, danneggiando ogni prospettiva disintesi tra gli interessi individuali e sacrificando l’occasione per ricu-cire il tessuto di una maggiore coesione e ordine sociale, in un conte-sto sempre più segnato da anarchia e individualismo esasperato.

Mai come in questa stagione politica, il veleno della ricerca del con-

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senso a tutti i costi sembra portare il sistema politico a incepparsi in unapericolosa impasse generata dalla ricerca della popolarità che mette arischio la tenuta dell’intero equilibrio del sistema paese. Il rischio di unagestione demagogica elettoralistica o ancora peggio “sondaggistica”della leadership è quello di decidere di non decidere per non scenderenei sondaggi. Se chi ha il dovere di gestire il bene comune secondo tra-sparenza e accortezza determina le proprie scelte sotto l’influsso di unego ipertrofico e seguendo il filo conduttore della propria azione poli-tica, dettato dal perseguimento dell’interesse personale, cercando di con-vincere dell’opportunità delle proprie decisioni con risibili giustifica-zioni e storielle o menzogne, o ancor peggio utilizzando la forza deimezzi di comunicazione di massa per distrarre l’attenzione della pub-blica opinione, allora veramente il Paese rischia davvero un declino didignità e una perdita di credibilità internazionale.

La crisi finanziaria globale nasce da questa perversione della comu-nicazione finanziaria, con banche che da intermediarie di servizi diven-tano a loro volta artefici di prodotti finanziari virtuali, che contribui-scono ad alimentare la relazione sempre più fittizia tra economia realee finanziaria in una spirale di intrecci e conflitti di interessi. Dietro que-sto meccanismo vi è una perdita del meccanismo della finanza struttu-rata globale della rispondenza al principio di realtà; lo stesso valequando l’opinione pubblica si viene a formare su notizie false create adarte per distogliere dei veri problemi di una nazione. Allo stesso tempola struttura di governance di impresa ha permesso l’affermarsi in molticasi di una leadership negativa, incentrata su comportamenti infedeliverso la proprietà e gli azionisti finalizzati a capitalizzare stock-optionsa beneficio del top-management e a nocumento della sostenibilità eco-nomica dell’impresa. Una distorsione della fiducia nella leadership di-venta fatale, la stessa finanza è fondata su una catena quasi astratta discommesse sul futuro; il tradimento dei meccanismi fiduciari da partedi chi detiene il controllo dei processi introduce un crollo della relazionefiduciaria e credibilità del sistema. Per ritrovare il giusto rapporto tra eco-nomia reale e finanziaria è necessaria la presenza di leader etici e cre-dibili in grado di cementare la fiducia tra gli appartenenti alla comunitàeconomica e finanziaria. Serve una capacità di autovalutazione di au-tolimitazione da parte di chi siede sulle poltrone del comando. Se chi èal potere alla fine di una giornata si guardasse allo specchio dicendo ase stesso “io oggi con le mie parole cosa ho combinato, cosa ho comu-nicato agli altri?”. Se il mantenimento del consenso o del potere si fondasull’inganno, sia essa una bolla speculativa finanziaria, sia esso unconsenso politico ottenuto con la manipolazione dell’informazione, al-

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Mobilitare attenzione, accompagnare il futuro

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lora non si tratta di leadership vera, ma di abuso di potere. L’uomo è in sé una creatura che si alimenta, agisce e reagisce ener-

geticamente. Una verità contribuisce a veicolare energia, una bugia ouna falsità sottrae energie, anche quando non si è consapevoli dellemenzogne, la falsificazione opera come un parassita che assorbe ener-gia. È possibile scegliere la migliore frutta, quella più matura, sempli-cemente osservandola con giusta attenzione: dalla lettura della super-ficie si può fare una previsione della qualità nascosta all’interno. Quelleche hanno più luce sono più vive, quelle che hanno meno luce sono giàin una fase troppo matura, sono finite nel loro percorso di evoluzione.La lucentezza è energia di luce è trasparenza senza opacità.

Anche nella parola, nella comunicazione può esserci verità, traspa-renza, od opacità e dissimulazione. Il leader autentico, trasparente e cre-dibile è un vettore di energie transitive, restituisce e scambia energie po-sitive. Un’organizzazione che funziona scambia energia e comunicazionesenza intoppi, un sistema burocratico tende ad arrestare la comunicazionee ad assorbire energia. La formula vincente di un’organizzazione vitale,privata o pubblica è: meno gerarchia, meno burocrazia, più energia.

Noi italiani siamo stimati nel mondo dal punto di vista della crea-tività e della ingegnosità, ma siamo molto poco strutturati come si-stema-paese, siamo poco organizzati, siamo scarsamente capaci dimuoverci come squadra con un obiettivo comune, quando si tratta di ve-nire supportati dal sistema burocratico ci troviamo in difficoltà e scon-tiamo ritardi e inefficienza. Nel nostro sistema manca una vera visionedi tutela del bene sociale dell’impresa come fattore di ricchezza dif-fusa, come opportunità da valorizzare e non da penalizzare. C’è unaserpeggiante visione anti-impresa che si va diffondendo nel nostroPaese. L’azienda è un bene comune da salvaguardare. L’impresa non èsolo remunerazione economica e opportunità di benessere, ma è diffu-sione di cultura, tecnologia, crescita umana e professionale, relazionesociale. È un luogo di sfide e di apertura al futuro. Una occasione perfare esperienze, viaggiare e conoscere e confrontarsi con il mondo glo-bale, per crescere in autostima e nella realizzazione personale. Troppodi frequente l’impresa viene penalizzata da una cattiva politica chevuole controllarla a fini elettorali che non coincidono con l’efficienzae il valore di mercato. La politica deve ricominciare a costruire un climadi maggiore collaborazione con il mondo produttivo.

C’è una diffusa tendenza a valorizzare solamente il lato dell’acqui-sizione di diritti senza considerare l’altro lato della bilancia, che è quellodell’assunzione dei doveri. Il meccanismo del rapporti tra voto e acqui-sizione di diritti tende a essere abusato attraverso il fenomeno del voto

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di scambio. Il voto come mezzo per ottenere protezione è purtroppo ilsintomo di una tendenza a vivere lo spazio politico non come luogo diimpegno ma come strumento di pressione finalizzato a ottenere conces-sioni e privilegi. La forza morale non è il chiedere sempre, il pretenderetutto, ma è il fare, l’attivismo, il generare azioni a partire da se stessi. Losviluppo della propria persona comincia dallo sforzo di superare i limitidel contesto in cui ci si trova a vivere e lavorare. Bisogna cominciare aprendere su di sé l’impegno etico di generare autonomamente la forzaattiva: solo in tal modo si innesca un processo realmente evolutivo e noninvolutivo e degenerativo. Il limite deve trasformarsi da impedimento inrisorsa generativa e occasione creativa. Il mondo, con la sua complessità,con le sue contraddizioni, non è però un nemico: siamo noi a dover cam-biare il mondo con le nostre emozioni e positività. Non si deve esserecontro a priori, ideologicamente, ma bisogna conservare sempre, soprat-tutto nelle difficoltà, un atteggiamento costruttivo. Una cultura nondello scontro, ma della collaborazione, della cooperazione, della siner-gia su obiettivi comuni. Alle nuove generazioni serve meno quantità dinozioni, meno conoscenze teoriche e più esperienza diretta. Serve piùmotivazione, focalizzazione sui compiti, autostima e competenza nel fare.

Oggi, la carriera politica è troppo ambita perché viene vissuta damolti come una scorciatoia verso il potere, come un’occasione per ac-cedere ai privilegi di una casta; deve invece essere ripristinato un codicemorale e una selezione della leadership improntata a valori di servizioe non di dominio. Nella politica c’è troppa energia bloccata nell’interessetattico a guadagnare privilegi e potere per sé. La politica tende a essereparassitaria, a sottrarre energie positive. C’è troppo trasformismo, troppasimilarità tra gli opposti schieramenti. Per questo è necessario recupe-rare un rapporto autentico con la verità delle parole e la verità dei fatti.Serve meno distrazione su piccoli problemi e più concentrazione sui veriproblemi del Paese. Un vero leader non è mai contro ma si spende perfavorire la realizzazione di un sogno, per aggregare energie, non per di-struggere. Gandhi, uno dei leader più grandi, con la sua pratica della nonviolenza non ha lottato contro la guerra, ma a favore della pace. Essereleader significa essere energetici e innovatori, rivolgersi all’anticipazionedegli scenari guardando al lungo periodo, essere sinceri e diretti, aprirsia una visione internazionale con uno sguardo a un mondo globale e nonprovinciale. Un leader sa mobilitare attenzione e comunicare in modoassertivo. Sa interpretare e aprire gli scenari di discontinuità e cambia-mento per incoraggiare e accompagnare il futuro.

(Angelo Benedetti, presidente e direttore generale Gruppo Unitec)

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Mobilitare attenzione, accompagnare il futuro

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Pierluigi Bernasconi

Sin da giovane mi sono trovato a capo di organizzazioni di ven-dita salendo gradino per gradino nella gerarchia aziendale, da capoarea a direttore vendite aziendale; il requisito principale su cui ho ten-tato di fondare la leadership era la capacità professionale, la tecnicadi vendita. La struttura di vendita che gestivo era composta da moltisenior e venditori con una grande esperienza alle spalle, ed essendomolto più giovane dei collaboratori dovevo dimostrare di essere al-l’altezza del compito. La mia leadership poteva fondarsi solo su unacredibilità riconosciuta direttamente sul campo riuscendo a vendere,dati alla mano, altrettanto se non di più dei miei uomini. Questo ac-cadeva circa una trentina di anni fa, quando la letteratura managerialenon aveva ancora introdotto la parola leadership. Quale miglior mododi venire riconosciuto nella propria leadership, che arrivare a crearsiun’aura di abilità di vendita e una credibilità con i clienti fondati sullaqualità di relazione e risultati tangibili e misurabili? Non avevo titolidi studio accademici significativi, solo la mia reputazione commer-ciale poteva essere il passepartout per la leadership. Si trattava di di-rigere agenti molto esperti e con personalità spiccate. Il rapporto travenditore junior e senior non era facile, quando si trattava di andarea fare pressing sui risultati e sulle performance, potevo essere credi-bile solo perché avevo dimostrato in prima persona di essere stato ingrado di raggiungere quei risultati: dunque il fattore esempio e coe-renza erano decisivi nella leadership.

Un ulteriore fattore chiave della leadership di allora era l’identi-ficazione e la vicinanza: i miei collaboratori sapevano che ero uno diloro, che conosceva per esperienza diretta i problemi, e che non liavrebbe lasciati soli ma li avrebbe supportati nelle sfide che avevanodi fronte. Fiducia, dedizione al lavoro, professionalità, impegno e curadel dettaglio vincente sono state le chiavi di un rapporto di fidelizza-zione nel tempo. Mi sono trovato a guadagnare reputazione presso iclienti e i miei collaboratori, senza mai essere troppo pressante e man-tenendo un livello di comportamento fondato sul rispetto dell’Altro.

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Mano a mano che sono cresciuto in posizioni di maggiore responsa-bilità, ho vissuto come meno centrale la competenza strettamente pro-fessionale ed è diventata più importante per la leadership la visione,l’elaborazione strategica, la pianificazione a medio-lungo periodo,l’intuito sull’evoluzione degli scenari dei mercati, l’etica e la culturadell’azienda. Il mio modo di interpretare la leadership si incentra sullavicinanza emotiva e il coinvolgimento dei propri collaboratori.

Personalmente non ho mai creduto a un modello di leadership fon-dato su uno stile militare e che interpreta i mercati come campi di bat-taglia. Io non voglio essere percepito come un generale da parte deimiei uomini: credo che le persone scelgano di seguirti in piena libertàperché credono nelle tue capacità, perché sei in grado di offrire unaprospettiva ai tuoi uomini, perché li fai sentire attivi protagonisti diuna sfida vincente, perché sentono di collaborare in un contesto dieccellenza.

La condivisione di uno stile di serietà ed eticità è una parte deci-siva della cultura dei valori indispensabili per una azienda che intendeavere una identità e una durata nel tempo: il leader è colui che garan-tisce la continuità del rispetto di questi principi imprescindibili. L’a-ver successo è un enorme facilitatore nella leadership: si possono pos-sedere tutte le doti che fanno di un individuo un perfetto leader natu-rale, ma se non si arriva a cogliere il successo si perde un elemento cheserve a caratterizzare la forza e l’esemplarità della leadership. Mi ri-ferisco non al successo a ogni costo, perché può sempre capitare diavere un momento in cui il fatturato per motivi congiunturali o di mer-cato non mantiene gli standard e le aspettative, ma di un successo dilungo periodo che affonda le sue radici su un terreno reso fertile da unrapporto con l’etica, il sacrificio e la moralità.

O si è etici o non si è etici: tertium non datur, non ci sono vie dimezzo da questo punto di vista, nessun compromesso, nessuna con-cessione alle zone grigie, nel campo della moralità l’intransigenzasenza eccezioni è fondamentale. Anche nei momenti di difficoltà illeader autentico stringe i denti, non concede spazio ai compromessicon la moralità, non si affida alle scorciatoie, ma prosegue sulla stradapiù lunga della coerenza. Noi che facciamo un lavoro commerciale ciconfrontiamo con un mondo duro, incentrato sul profitto, non siamocerto dei missionari, però questo non ci esenta dal dotarci di un’eticanel modo di sviluppare il business. Il leader deve seguire un modellodi comportamento corretto fondato sul rispetto della parola data, la te-nacia sui risultati, la volontà di eccellere, la capacità di affrontare imomenti difficili offrendo ai collaboratori una visione positiva, per

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garantire, se non il successo nell’immediato, una prospettiva di se-rietà che garantisca una continuità nel lungo periodo. Il carattere, lacapacità di motivarsi e resistere alle difficoltà è il fattore qualificantedi un certo stile di leadership.

La leadership è migliorabile sulla base di caratteristiche perso-nali, leader non ci si improvvisa, e nemmeno ci si può troppo co-struire, perché poi alla fine quando si va sotto stress e ci si trova ad at-traversare situazioni difficili: vengono fuori l’attitudine vera, il carat-tere vero e le capacità vere. Si può essere leader costruiti nei tempi dipace e tranquillità, quando tutto è facile e il mondo è in discesa,quando si tratta solo di godere dei benefici della leadership, maquando si è nella difficoltà diventa decisivo il carattere e la capacitànaturale di sostenere lo stress mantenendo la freddezza e la luciditàche derivano da risorse interiori quasi innate: caratteristiche di baseche non credo si possano apprendere in corso o da qualcuno. Certo sipuò migliorare qualche aspetto o dettaglio o sfumatura ma l’attitu-dine alla leadership rimane confinata in un livello profondo del carat-tere e una certa predestinazione al comando è decisiva e riguarda ca-ratteristiche di personalità. La leadership è un fatto naturale che cer-tamente per arrivare a manifestarsi ha anche bisogno di condizionifacilitanti, ha bisogno di non incontrare sin dall’inizio troppe diffi-coltà che inibiscano o frustrino un carattere in formazione, una com-petenza che si va strutturando.

Io avuto la fortuna, come ho il vezzo di dire, di partire dal mar-ciapiede, dalle vendite e di conquistare una responsabilità gradualeadatta al mio livello di maturazione e di esperienza senza arrivare abruciare precocemente la mia credibilità, come potrebbe fare chi ri-ceve troppo presto delle investiture di responsabilità. Ho ricevuto lafiducia degli azionisti quando si è fondata una nuova società che hoaperto io per conto di un grande gruppo. Devo riconosce che ha con-tato anche il presentarsi di una serie di circostanze favorevoli, ma, aonor del vero, se non avessi avuto alcune predisposizioni di base nonsarei stato considerato un leader e la mia esperienza si sarebbe inter-rotta in breve tempo oppure si sarebbe indirizzata verso posizioni piùdi staff e meno di vertice. La durata è, in fondo, l’elemento che certi-fica la credibilità e la non casualità di una leadership.

Il mondo pubblico lo conosco soprattutto relativamente all’ambitolocale, con qualche sporadico contatto con assessori, o sindaci con cuiper motivi professionali abbiamo avuta relazioni in merito ad aperturedi nostri centri e punti vendita: mi capita di incontrare giovani sindacio assessori molto motivati, che rivelano una grande attenzione al pub-

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blico, ai cittadini, alla funzione che svolgono con grande perizia e ca-pacità di ascolto. Giovani aperti, schietti e senza sovrastrutture, direttie senza tutto quell’approccio in politichese in grado di comunicare fi-ducia al primo impatto. Capita però anche di confrontarsi con ufficipubblici e istituzioni dove si incontrano funzionari o politici locali che,già al primo contatto, risultano ostici e diffidenti, con scarsa traspa-renza, a volte hanno anche nei nostri confronti un pregiudizio a prioridovuto al fatto di far parte di una grande multinazionale. Come ex ven-ditore so bene quanto l’impressione del primo momento abbia unagrande importanza sia nel favorire un approccio positivo, sia nel sedi-mentare pregiudizi negativi da parte dei cittadini: su questo una partedel sistema pubblico deve fare ancora molto.

La priorità per il Paese è cominciare a creare valore aggiunto, noiusciamo da alcuni decenni di mancata crescita. Dagli anni dalla di-scesa in campo di Berlusconi nel ’94, se conteggiamo gli anni di go-verno di una parte politica e dell’altra, ci accorgiamo che i periodi incui sono stati alternativamente al governo le due coalizioni più o menosi equivalgono e dunque le responsabilità di politiche inadeguate a ri-lanciare l’economia e la struttura sociale del Paese sono più o menoequivalenti. Berlusconi fino a poco tempo fa, di fronte alla crisi, so-steneva la necessità di stimolare i consumi e i mercati non chiedendosiperò con quali mezzi. La produzione, che sia di beni materiali, di ser-vizi, di cultura, se non viene stimolata, se non viene facilitata, contri-buendo a creare valore aggiunto, alla fine finisce per appiattirsi im-poverendo il sistema. Stimolare i mercati con una politica esasperatadi welfare, che finisce per gravare sul sistema fiscale, è una rispostadi politica economica che purtroppo rischia di avvitarsi su se stessa senon si affrontano poi anche i problemi strutturali insieme a quelli con-giunturali. Affrontare la riduzione del costo della macchina ammini-strativa è il dato ormai ineludibile che la leadership politica ha do-vuto affidare al governo dei tecnici: una vera e propria abdicazionedella politica che ha dovuto autocertificare la propria impotenza ad af-frontare l’impopolarità delegando al governo Monti il compito di som-ministrare l’amara medicina per il Paese. Si tratta di una certifica-zione di una effettiva carenza di leadership da parte del sistema poli-tico. Alla fine credo che purtroppo pagheranno coloro che hanno giàpagato queste manovre, con un inasprimento per il cittadino medio.

Quando si parla di equità della manovra si dovrebbe dire che ilprimo step dell’equità è il fatto che tutti paghino le tasse. Il secondostep dell’equità, solo una volta che viene accertato che tutti abbianopagato le tasse, consiste nell’analizzare le sperequazioni all’interno

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delle categorie tra chi paga troppo e chi paga troppo poco. Su 60 mi-lioni di italiani tutti coloro che hanno l’obbligo perché hanno un red-dito, o un patrimonio, devono necessariamente pagare le tasse salvopoi ricorrere e vedersi restituito quando pagato in eccesso. Il vero pro-blema è il rapporto tra il totale della popolazione e gli occupati: noisiamo ai minimi livelli di occupazione rispetto ai Paesi più avanzati,abbiamo troppa disoccupazione giovanile, femminile, troppi babypensionati rispetto alla popolazione attiva, abbiamo troppe rendite acui non corrisponde una attività produttiva, e quindi se non si mettemano a questa situazione è impossibile determinare maggiore equitànel sistema. Il messaggio da dare ai giovani è quindi: è fare bene ilproprio mestiere rendendosi utili ai propri clienti e giochiamoci la no-stra partita sul mercato senza attenderci alcun aiuto da nessuno.

Sono orgoglioso di poter dire a testa alta di non aver nessunoscambio di favori con la politica. La nostra filosofia è massima indi-pendenza per non mettersi nella condizione di dover subire pressioniindebite da chicchessia. Quindi indipendenza, rispetto delle norme erichiesta di reciprocità da parte degli altri quando le regole sono di-storte per crearci un impedimento. Dunque molto rigore. Uno stilecome modello di libertà.

Noi in Italia in 20 anni siamo riusciti a costruire un gruppo da8mila persone in piena indipendenza da qualsivoglia pressione daparte del sistema politico. Nel nostro sistema politico si è andata af-fermando, e purtroppo anche accentuando, la prassi deleteria e im-morale di tutelare interessi corporativi, di casta e di lobby, garantendoprivilegi, protezioni immotivate e ingiuste del tutto inattuali rispettoalle vere priorità della nazione: è il trionfo del cosiddetto “particu-lare” a discapito del bene comune, alimentato da una classe politicairresponsabile e incurante del futuro del Paese. Io preferisco non leg-gere i libri di Gian Antonio Stella per evitare di arrabbiarmi troppo:sentir parlare della casta dei politici mi fa male alle coronarie. Anchepolitici di buon livello morale tendono a strumentalizzare la questionedell’antipolitica per motivi corporativi e dovrebbero sottolineare chei primi veri responsabili dell’antipolitica sono quei politici che vo-tano vitalizi vergognosi a proprio favore abusando del proprio potere.

Non si chiedono atti di sacrificio estremo o di eroismo, che sonosempre più rari, tranne nel caso degli eroi civili che con abnegazionepersonale hanno sacrificato la propria vita, persone che hanno persola vita nelle missioni militari all’estero o in prima linea nella lotta perla legalità, se invece guardiamo alla classe dirigente, di eroi in gradodi esprimere uno spirito di sacrificio in prima persona, di leadership

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autentica si è visto poco. Noi dobbiamo ritornare a comprendere il si-gnificato della parola senso civico, abbiamo dimenticato i valori au-tentici. Un leader dovrebbe avere un ruolo pedagogico ed etico versoi cittadini e la società civile. Pensiamo alle vicende recenti dei nostrileader politici, senza entrare nella vita privata, certamente gli esempisono poco edificanti per i giovani. La condotta personale del leaderdeve essere ispiratrice verso il popolo, si deve mantenere una sobrietàche è stile di comportamento e che rivela una lucidità di pensiero:tutto questo è mancato.

Io ho il pessimismo del capitano di barca a vela, che vede arri-vare una tempesta, non la può evitare, però attrezza la nave, si preparaal peggio, pronto ad affrontare qualsiasi situazione. Ci dobbiamo pre-parare a un biennio molto difficile per la nostra Nazione. Mi auguroche alla fine di questo momento si ristabilisca non solo una condi-zione di benessere economico e maggiore equità nella distribuzionedelle opportunità, ma anche un nuovo spirito sociale e di motivazionemorale per tutti: tutto questo dipende molto dalla leadership pubblica,dalla capacità di ricostruire un livello di crescita economica e soprat-tutto etica nel Paese.

(Pierluigi Bernasconi, amministratore delegato Mediamarket)

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Marco Bizzarri

Mentre la conoscenza e la competenza si possono apprendere, laleadership si caratterizza come dote per certi aspetti innata e connatu-rata alla personalità individuale. Nella scelta delle nostre risorse umanecerchiamo persone con spiccate tendenze alla leadership e in grado disposare una filosofia aziendale di ricerca di massima eccellenza e di-stinzione. Servono inoltre affinità elettive e disponibilità alla condivi-sione di una visione tra i componenti del gruppo.

Le aziende moderne sono come locomotive ad alta velocità checorrono su binari altamente sollecitati, dove se salta un semplice bul-lone si rischia il deragliamento: perciò l’organizzazione deve essereprecisa nei dettagli e perfettamente integrata e tutti devono essere al-tamente responsabilizzati e fortemente motivati, ma senza mai arri-vare a essere omologati. Perché leadership richiede personalità e distin-zione: le differenze infatti consentono di innescare elementi di creati-vità e mobilitare idee nuove e dinamiche innovative. A questoproposito avere vissuto significative esperienze all’estero, esposti alloshock salutare delle differenze culturali, rappresenta uno stimolo si-gnificativo che incrementa il livello di leadership in una personalità.Viviamo un mondo letteralmente bombardato dagli stimoli delle dif-ferenze, globalizzazione infatti non significa solo omologazione, male varianti restano numerose e significative: religiose, culturali, poli-tiche, etiche, estetiche. L’etica da questo punto di vista costituisce unelemento qualificante della differenza culturale essendo un punto dicondensazione dove convergono stratificazioni di modi di pensare, si-stemi di vita, valori, visioni e rappresentazioni del mondo. L’etica nonè conservativa e statica, ma evolve nel tempo lungo assi di trasforma-zione determinati dal contatto tra valori depositati storicamente nellamemoria e nella tradizione e dinamica di metamorfosi generata dal-l’impatto della tecnica sul sistema sociale.

La leadership, in un microambiente come quello aziendale, si fondasull’imprinting determinato dall’esempio, sulla coerenza, sulla traspa-renza, su comportamenti pienamente intelligibili, razionali e compren-

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sibili e non aleatori e dipendenti dall’imprevedibilità umorale e dalle idio-sincrasie di un potere personalista, ma sul valore pedagogico di reazioniattese e prevedibili da parte del vertice. La trasparenza del leader si fondasu un concetto cristallino di verità dove deve essere eliminata ogni opa-cità, ambiguità e retro-pensiero, e dove si possa affermare il principio dievidenza secondo il canone del: “what you see is what you get”.

Da parte del leader è indispensabile garantire la massima condivi-sione di informazioni anche tra livelli differenti all’interno della strut-tura aziendale. La fiducia all’interno dell’organizzazione si fonda in-fatti sulla piena circolazione della comunicazione senza barriere di tipogerarchico o funzionale. E la fiducia è a sua volta una chiave determi-nante del successo. Una maggiore disponibilità di informazioni signi-fica possibilità di prendere decisioni più ponderate: spetta perciò alleader di favorire al massimo la comunicazione interna e stimolare lacondivisione della conoscenza per dare vita a una organizzazione fon-data su un network di intelligenza collettiva. La leadership richiedesempre più di assumersi l’onere di prendere decisioni strategiche intempi rapidi. Per crescere in una dimensione globale, il prodotto è cer-tamente condizione necessaria, perché chi fa contraffazioni rimanesempre e comunque un mero follower, ma non già sufficiente, perchéè indispensabile essere in grado di costruire e gestire la squadra mi-gliore provvista delle persone più creative: solo chi riesce a creare unsquadra coesa e innovativa è in grado di affrontare le grandi sfide di unfuturo ad alta complessità e aleatorietà. Alle organizzazioni, private epubbliche, servono persone di qualità che vivono l’etica del lavoro edella professione come questione di dignità dell’impegno personale.

Come gruppo siamo nati a Vicenza, dove ci sono ancora personeche lavorano con noi da oltre trent’anni testimoniando tutto l’orgogliodella passione artigiana per l’eccellenza. L’artigianato rappresenta senzaombra di dubbio la punta di diamante del sistema Italia. Le “Scuole diarti e mestieri”, che derivano dalle storiche botteghe rinascimentali, co-stituiscono non solo una eredità culturale e un bacino prezioso di cono-scenza ma anche un prezioso punto di incontro tra generazioni che si tra-mandano per via personale gli antichi segreti dell’eccellenza della ma-nifattura. Questo ci conforta ricordandoci anche che l’autentico “Madein Italy” non si può in realtà copiare, dato che non è una semplice eti-chetta pubblicitaria, ma è il frutto della stratificazione di secoli di espe-rienze e tradizioni manifatturiere del nostro Paese. Non si può clonarel’unicità del processo artigianale, la cultura dei materiali, l’abilità deisaperi della trasformazione, non si può banalizzare l’arte della sensibi-lità per la bellezza che ci deriva da una storia italiana fatta di contami-

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nazioni permanenti con il mondo, di incontri e shock culturali che hannoprodotto nel tempo un sapere profondo e ineguagliabile.

La nostra attività è davvero molto poco assimilabile a un processoindustriale, se non per i numeri e l’ampiezza globale dei mercati: ab-biamo infatti 5000 persone in una struttura aziendale fondata su unnetwork di indotto di piccole imprese artigiane e familiari in cui la tra-dizione si trasmette da padre a figlio; ciò rappresenta un enorme patri-monio di conoscenza artigianale concentrato su un’area territoriale benprecisa che non è perciò in alcun modo copiabile ed esportabile: que-sta è allo stesso tempo la forza e la fragilità di questa filiera ineguaglia-bile di produzione. A questo proposito ci siamo interrogati molte voltesull’efficacia delle delocalizzazioni rispetto a una domanda di realizza-zioni di altissima gamma. La risposta è stata negativa: la strada è dun-que quella di tutelare il bacino di competenze presente sul territorio.

L’eccellenza italiana negli anni ’70 e ’80 era costruita attorno aidistretti, tutte microrealtà in cui la peculiarità era determinata dallaprossimità culturale e dal costante flusso di informazioni in temporeale, di scambio prezioso di esperienze per elaborare esperienze e va-riazioni, alimentando il circuito virtuoso dell’eccellenza e del saperfare trasmesso sul territorio da generazioni. L’errore di strategia indu-striale italiana è coinciso con il tentativo fallimentare di elaborare unacompetizione sui costi con Paesi dove la manodopera è incomparabil-mente più a buon mercato. Scelte di politica industriale sbagliate; se in-vece governanti più illuminati avessero intuito da subito la vera forzaed eccellenza di un Paese come il nostro si sarebbe potuto valorizzarescuole e formazione e investire in infrastrutture dedicate per suppor-tare tutta la qualità del prodotto artigianale di altissima gamma.

L’eccellenza manifatturiera si fonda sul perfetto connubio tra lamente creativa del designer e la competenza del modellista artigiano.Il dialogo e la collaborazione, l’intesa e la complicità tra questi duemondi sono la fucina della creatività, della traduzione di idee in formeconcrete. È perciò indispensabile e doveroso riuscire a garantire il ri-cambio generazionale a questi maestri artigiani. Per diventare model-lista esperto servono anche 15 anni tra studio e apprendistato, per av-vicinare i giovani a questo mondo ricco di opportunità professionaliabbiamo creato “Scuola della pelletteria” e istituito borse di studio peri giovani che arrivano da tutto il mondo per apprendere un mestiereartigiano. Si tratta di percorsi a garanzia di occupazione e che permet-tono di esprimere al meglio il proprio talento e trovare un futuro a ele-vata professionalità. Purtroppo i giovani sono immersi in un mondosempre più incentrato sulla dimensione della virtualità che è molto di-

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stante dalla concretezza dell’artigianato: perciò si rende doveroso e in-dispensabile promuovere con una azione capillare la conoscenza diquesto mondo ricco di opportunità, ma poco noto.

Leadership significa saper affrontare le condizioni di crisi con laforza tranquilla fondata sulla calma dei forti e l’autorevolezza della con-sapevolezza in se stessi. Durante la crisi finanziaria del 2008, nel mo-mento di massimo panico e incertezza, abbiamo reagito al calo del fat-turato con la decisione controcorrente, e poi rivelatasi vincente, dimantenere i posti di lavoro per tutti. Una leadership incentrata sulla fi-ducia e sul mantenimento dei rapporti con i nostri uomini al di là dellacrisi. A qualche anno di distanza si può affermare che l’incertezza si-stematica e le crisi sono ormai fenomeni quasi permanenti. Le curveanomale e le improvvise contrazioni sono sempre più frequenti e ob-bediscono a leggi imponderabili di incertezza sistematica ad altissimavelocità di propagazione. Non esistono più porti al sicuro dalle tempe-ste. Siamo immersi in un mondo globale sempre più dominato dal pa-radigma dell’insicurezza. Pressoché ovunque sono presenti focolaipotenziali di crisi, basti pensare alla previsione di decrescita relativa alPIL della Cina: anche solo l’annuncio di una brusca frenata nella loco-motiva dell’economia cinese è in grado di terrorizzare borse e governidi tutto il mondo innescando effetti a cascata.

Di fronte agli scenari più inattesi spetta al leader di impresa e dellapolitica il compito di elaborare risposte offrendo soluzioni e garan-tendo fiducia alla comunità. L’assunzione di responsabilità è fonda-mentale: la visione in prospettiva è indispensabile. In una situazione diinstabilità come quella attuale elaborare un piano strategico analiticoe dettagliato non ha più senso: non si possono fare pianificazioni set-tennali secondo un modello dirigista di stampo vetero-comunista. Gra-zie alla infrastruttura tecnologica oggi un leader in un secondo è ingrado di monitorare le tendenze facendo predizioni in tempo reale.Ogni minuto abbiamo informazioni di mercato, abbiamo un monito-raggio costante del mercato rispetto a shock esterni, shock di borsapiuttosto che una reazione tiepida del mercato rispetto a determinatiprodotti. Ma questo richiede a fortiori di focalizzare i concetti chiaveverso cui dirigere il gruppo. La semplicità è un altro valore indispen-sabile: il leader deve comunicare in modo chiaro e intelligibile senzaessere ridondante. Molto spesso nei piani strategici delle imprese c’ètroppa complicazione e nei programmi dei leader politici c’è troppaconfusione. Si deve invece individuare con sufficiente precisione i de-stinatari della comunicazione per massimizzare l’efficacia dell’attocomunicativo. La mancanza di chiarezza nella comunicazione impedi-

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sce alla catena di comando di imprimere tutta la convergenza dell’or-ganizzazione necessaria per una azione efficace. L’intuizione rappre-senta uno strumento indispensabile per il leader e consente di dedurreda segnali deboli, o solo apparentemente insignificanti, vere e proprieprevisioni e tendenze future. Anche l’errore fa parte del gioco, il lea-der non può negarlo, ma deve essere invece in grado di riconoscerlocon la massima onestà intellettuale reagendo col massimo tempismo eimponendo brusche virate nella direzione di marcia.

Componente indispensabile della leadership è anche una dimensioneinconscia, una sorta di attenzione fluttuante capace di governare non conattenzione ossessiva e soffocante ma con una modulazione variabile, conun processo di sensibile accentuazione e attenuazione di intensità di con-trollo e di presa sugli eventi e sulle persone. L’ossessione paranoide peril controllo assoluto deve mantenersi entro limiti sensati di ragionevo-lezza ed equilibrio per la salute emotiva di una organizzazione. “Free-dom whithin a framework”: inquadrare e delimitare il contesto, ma agirepoi al suo interno con piena libertà di azione. Si viene in questo modoa creare una vivacità e una creatività che non sarebbe altrimenti possi-bile per il leader, se gli shareholder lo chiamassero a rendere conto ognigiorno delle azioni intraprese, lo stesso accadrebbe nel caso del politicoche dovesse subire il vaglio continuo di elezioni a ripetizione. Il leaderper agire deve ricevere un’apertura di credito, ovviamente non illimitata,per poter agire in modo efficace con una sufficiente autonomia. In que-sta libertà il leader si gioca il suo successo, nel coraggio di prendere de-cisioni e scegliere il giusto passo nella sequenza di obiettivi più o menoambiziosi e realistici da perseguire. In accordo con il concetto schum-peteriano di “distruzione creativa”, nell’attraversare una crisi si apronoinnumerevoli opportunità per i più aperti al cambiamento. Nella crisi re-cente invece si è cercato piuttosto di proteggere le situazioni e i soggettipiù fragili all’interno del sistema economico-sociale. Si è scelto anchedi agire per puntellare i capitali del sistema dalle istituzioni bancarie perevitare di fare crollare l’architrave portante del sistema finanziario.

Per guidare un’impresa il leader deve sapere dove andare e giornoper giorno deve essere ossessionato dal dettaglio. Non si può permet-tere di fare scelte di brevissimo termine che siano in contrasto con lavisione nei prossimi vent’anni: è necessario agire con una coerenza as-soluta con il brand senza compromessi, rispettando pienamente l’iden-tità e i valori aziendali. Questo è vero per l’azienda ma vale anche peril sistema Paese nel suo insieme. Pensiamo all’offerta turistica e all’im-magine della nazione: il mercato è affollato di opportunità, perciò sideve veicolare una identità riconoscibile. È vero per i brand prodotto,

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è vero per i corporate brand, ma è vero anche per la percezione del si-stema Italia nel mondo.

La domanda che dobbiamo porci è: “La catena di comando poli-tico riesce a incidere sulla realtà?”. Per dare concretezza alle scelte delleader occorre la mediazione delle persone, la differenza è dunque fattadalle persone: nessun leader può unicamente imporre le scelte ma ne-cessita della collaborazione degli uomini. Oggi non si può più agirecome battitori liberi, il leader non può essere universale, onnisciente eaccentratore. La differenza è fatta dall’etica delle persone: non si puòoperare un controllo continuo e totalizzante ma è indispensabile la se-lezione e la delega: se i collaboratori non sono eticamente corretti nonvi è spazio per la sincerità. Se i collaboratori operano un ostruzionismopaludato, possono arrivare a sabotare dall’interno l’applicazione delledecisioni. Per questo il leader deve scegliere uomini eticamente leali eaffidabili. Il problema per il leader non è tanto l’esattezza in sé dell’i-dea o della scelta, ma è piuttosto la capacità di concretizzarla in unaforma non annacquata da mediazioni e modifiche in grado di snatu-rarla: questa è una problematica tipica nell’attuazione della decisionepolitica. La difficoltà spesso insormontabile di dare una forma com-piuta e coerente a una volontà normativa si scontra con la tortuositàdell’iter legislativo, complicato ulteriormente dalla ridondanza delmeccanismo istituzionale del bicameralismo perfetto.

Ci siamo purtroppo assuefatti al peggio e al degrado etico del siste-ma politico. Questo è devastante: schieramenti contro schieramenti, inun gioco autolesionista di divieti incrociati, una entropia che dissipa neldisordine ogni possibile occasione di regolamentazione della conviven-za sociale. Il sistema politico, a differenza di quello imprenditoriale, vedei suoi leader del tutto esenti da qualsivoglia legge di responsabilità rispet-to ai propri atti: ciò dipende anche dal proliferare di soggetti ed enti cherende spesso impossibile identificare i reali autori di un determinato prov-vedimento: enti locali, regionali, sistemi ramificati sul territorio che bloc-cano secondo uno schema di contropotere diffuso o ritardano meccani-smi di decisione politica di rilevanza collettiva. È indispensabile dare ri-sposta alla domanda che mette in gioco il senso vero dell’attività poli-tica: “È più importante vincere le elezioni o fare il bene del Paese?”.

L’etica è un problema di qualità umana. L’onestà intellettuale, l’im-pegno del professor Monti e la coerenza che ha dimostrato nel corso dellasua vita sono fuori discussione, ma la più grande sconfitta per l’Italia èquella di essere costretta dalle condizioni ad accettare un governo privodi una legittimazione popolare. Abbiamo visto che di fronte alle propo-ste di Monti si è mobilitata una sorta di plebiscito unanime con maggio-

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Rifondazione morale per una credibilità internazionale

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ranze “bulgare”: non c’è più una funzione di opposizione. Tutti insiemecentro, destra, sinistra in un indifferenziato, e per questo pericoloso dalpunto di vista della salvaguardia della democrazia, nuovo corso segnatodalla parola d’ordine del “tutti insieme appassionatamente”. È necessa-ria una svolta culturale che parta dall’etica delle persone, da una nuovavisione, dai giovani, dalla scuola, dalla formazione. I giovani sono moltopiù disincantati della generazione che li ha preceduti, sono meno egoi-sti e individualisti, sono maggiormente disponibili a condividere e a met-tere a fattor comune il loro talento, sono anche molto meno smaniosi diaccumulazione e ostentazione. È indispensabile ripartire da una rifonda-zione meritocratica nelle assunzioni e nelle carriere nelle aziende e a for-tiori nella Pubblica Amministrazione. Per qualsiasi ruolo, da quello piùalto a quello più basso, devono essere assunte persone esclusivamente permerito e competenze. Questo deve essere un criterio assoluto e indero-gabile a qualsiasi livello, nel sistema pubblico e in quello privato. Ognisistema di scambio clientelare deve essere bandito nel nostro Paese, per-ché ciò rappresenta un boomerang devastante che contribuisce a crearesacche di inefficienza che si ritorcono contro chi le ha create.

I partiti sono ormai diventati lobby corporative e realtà autoreferen-ziali e non riflettono più una volontà popolare, ammesso che effettiva-mente si possa ancora parlare di una volontà popolare in un contestosociale sempre più frammentato e disgregato come quello attuale. C’èanche relativamente poco dissenso rispetto alla gravità delle condi-zioni di impoverimento reale, soprattutto della classe media del Paese:è forse un sintomo di grande rassegnazione e sfiducia radicale nellapossibilità di cambiare attraverso l’azione politica. Situazioni comequesta trent’anni fa avrebbero dato vita ad autentiche rivoluzioni omoti di piazza. Nella generale perdita di credibilità del sistema politicola popolarità del Presidente Napolitano ha consentito al Paese di evi-tare un collasso e ha al contempo esercitato un ruolo attivo come veroago della bilancia per mobilitare una risposta alla crisi politica. Il po-tere del Presidente in questa occasione è stato di tipo morale prima an-cora che istituzionale; la sua azione bipartisan si è fondata in gran partesu una forza di persuasione morale esercitata su tutte le forze politiche.

Il nostro Paese ha bisogno di una rifondazione morale prima ancorache politica, per questo servono figure di alto profilo in grado di conta-minare positivamente con l’esempio. L’esempio è il motore decisivo delcambiamento in grado di stimolare soprattutto nei giovani il coraggio diraccogliere le sfide e abbandonare lo spirito di sfiducia nichilistica.

(Marco Bizzarri, presidente e amministratore delegato Bottega Veneta)

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Labirinti della politica

Dario Bonacorsi

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È condizione necessaria, ma non sufficiente, quella della presenzadi doti personali e predisposizioni spontanee al comando, perché, senzaun opportuno bagaglio di training, di formazione dedicata, diventadavvero difficile tradurre quella che è solo una attitudine naturale inuna leadership effettiva in un contesto strutturato. Dunque non si nasceleader, ma lo si diventa: con cinquanta per cento di carisma e con cin-quanta per cento di esperienza sul campo e formazione dedicata. Al dilà degli obiettivi stringenti che si manifestano con maggiore urgenzain ogni organizzazione, io credo che la leadership si caratterizzi prin-cipalmente per la presenza di una dimensione valoriale: il ruolo deci-sivo del leader è quello del custode dei valori dell’organizzazione chedevono essere incarnati con coerenza esemplare dal vertice per esseretrasmessi ai collaboratori. Non si può rendere vitale un gruppo semanca una visione di sintesi sulle grandi questioni di fondo e gli stilidi comportamento da assumere nella propria azione.

Una organizzazione coerente dal punto di vista valoriale esprimeuna identità, una riconoscibilità, un sentire comune che trasmette ilsenso di una costituzione unitaria e di una presenza credibile neltempo. Nel caso invece dell’assenza di una cultura condivisa, quandoviene a manifestarsi una disseminazione esplicita o implicita di valori,rivelata da prassi e comportamenti non allineati con la visione dell’a-zienda, si produce una frattura che tende a sedimentars8i come unasorta di patologia interna dell’organizzazione. Chi si ritrova a noncondividere i valori dell’organizzazione a cui, per libera scelta, ha de-ciso di appartenere, finisce per ritrovarsi a vivere il peso di una dis-sonanza che lo porta a vivere male e, prima o poi, a scontrarsi conl’organizzazione. Quando un individuo non può essere se stesso, au-tentico, fino in fondo, difficilmente può essere efficace e autorevole,e mostrarsi credibile. La vera personalità di un individuo non può es-sere a lungo dissimulata, prima o poi viene allo scoperto: è come unlapsus psicoanalitico che rivela un rimosso legato a un cattivo rap-porto con la censura del super-io, del sistema censorio dei valori mo-

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rali legato al complesso di colpa. Un leader che ha come compito prin-cipale quello di motivare non può essere a sua volta demotivato. Que-sto si rivela disastroso nel momento in cui il leader dell’organizza-zione è mosso da motivazioni velatamente dissonanti o in aperto con-flitto rispetto a quelle che ispirano la proprietà dell’azienda.

I conflitti interni alla governance tra consiglio di amministrazionee amministratore delegato sono spesso il sintomo di una visione va-loriale differente e possono essere fonte di significative criticità per ungruppo. Molte crisi aziendali trovano la loro origine proprio in que-sto diversa interpretazione di questioni di fondo da parte del vertice.Pensiamo alle situazioni in cui il leader tiene un comportamento ne-gativo o colposo, negligente e incapace, ma addirittura doloso, volon-tario e premeditato preordinato al tradimento dei valori dell’azienda.Purtroppo non è infrequente la presenza di leader che tradiscono ilmandato fiduciario dell’azienda contravvenendo non solo alla deon-tologia ma anche alla legge.

Stili di leadership, cultura aziendale, modelli di incentivazione dellepersone, possono essere declinati in modo molto diverso e secondo unascala differente di intensità di controllo dei comportamenti. Esistonoaziende molto tolleranti e incentrate sulla valorizzazione della diversitàall’interno del gruppo, e al contrario possiamo avere modelli fondati suuna logica che tende a uniformare e pretendere un allineamento asso-luto, ciò determina come corollario l’adozione di paradigmi di leader-ship differenti. Anche una matrice culturale di tipo americana o euro-pea, anglosassone o continentale, nordica o latina, può contribuire acaratterizzare modelli diversi nella prassi del comando. A questo pro-posito ricordo, quasi come un caso di scuola, il diverso stile di leader-ship tra Procter&Gamble e Unilever: due modi agli antipodi ma di al-trettanto successo. Gli stessi modelli di gestione, sviluppo delle risorseumane all’interno dell’azienda possono seguire logiche più inclini allapromozione e incentivazione piuttosto che di stigmatizzazione e puni-zione, in questo la forma di esercitare la leadership può essere molto di-versa. Il clima aziendale è uno specchio fedele dei valori adottati dal-l’organizzazione che può essere incentrato su una cultura dell’agoni-smo o della cooperazione, incentivando un modello individualistico odi lavoro di team. Una ulteriore variabile relativa al modello di leader-ship dipende dalla condizione congiunturale che il gruppo si trova adattraversare in un determinato momento: se l’azienda è in una fase di-namica espansiva e di sviluppo, può richiedere un approccio diversorispetto a un momento di stagnazione oppure di regressione. Il leaderdeve avere la sensibilità e la flessibilità di riuscire a cambiare atteggia-

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menti e correggere la direzione dell’azienda rimodulando il propriostile di comando in funzione dell’evoluzione nel tempo del gruppo. Illeader deve, allo stesso tempo, essere in ascolto e contatto con una mol-teplicità di fonti di informazione e relazione, deve essere connesso conl’azienda e con l’ambiente esterno e la comunità, ma allo stesso tempodeve essere capace di prendere decisioni in solitudine basandosi sullapropria confidenza in se stesso e la propria coscienza etica. Il doveredi un leader è essere immerso nelle relazioni ma anche mantenere in-dipendenza assoluta nelle decisioni, evitando di subire l’influenzaesterna qualora questa si possa tradurre in una spinta a uno sviamentodei propri doveri di tutela e valorizzazione dell’azienda.

Venendo alla leadership politica, ho personalmente creduto nellaprospettiva di una vera rivoluzione liberale: un grande cambiamentonel modello di decision-making della cosa pubblica a partire dall’ado-zione di uno stile di leadership modellato su approccio più simile al-l’esperienza di guida delle organizzazioni aziendali. Si tratta di espor-tare alla dimensione della decisione politica alcune prassi di efficienzae di misurazione dei risultati delle politiche pubbliche e fondate anchesu approccio a uno stile di leadership in grado di intessere un rap-porto immediato e diretto con il cittadino per eliminare le complessitàe l’eccesso di astrazione e autoreferenzialità del linguaggio partiticocosì tipico del sistema politico italiano. Un leader politico ideale deveriuscire a comporre un giusto equilibrio tra una parte calda di comu-nicazione informale e popolare e una parte fredda razionale, distaccatae controllata capace di sostenere anche l’impopolarità in nome delbene comune. È stato certamente un errore di ingenuità credere dipoter applicare sic et simpliciter il modello di leadership di impresaal sistema politico. Nell’impresa: “due più due fa quattro”, mentrenella politica: “due più due, quasi mai fa quattro”; le logiche non sonodirette e lineari come nel sistema impresa. Chiunque nel nostro Paesesi trovi a essere investito di responsabilità di governo, ha l’onere diconfrontarsi con la complessità degli apparati amministrativi dellamacchina burocratica della forma policentrica del potere. Il processodi trasmissione della volontà politica nella effettività dell’amministra-zione pubblica non è mai lineare e diretto ma assume i contorni di unintricato labirinto.

La leadership politica deve affrontare, oltre i nodi di una compli-cata questione epocale di riforme strutturali ormai improcrastinabili,anche una ondata di reazione sempre più sdegnata da parte della so-cietà civile nei confronti dei privilegi della casta politica. C’è l’ur-genza di riconfigurare il modello di selezione della leadership alla

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luce di una sempre più ineludibile questione nazionale di etica pub-blica e di qualità morale della classe politica. Si è arrivati a una dila-tazione parossistica di incarichi pubblici e apparati amministrativi soloper garantire posti di potere agli apparati politici. La prassi del votodi scambio e della corruzione ha raggiunto in alcune aree del Paese li-velli non più di eccezione criminale, ma addirittura di prassi consoli-data di sistema, arrivando perciò a mettere in dubbio la possibile te-nuta democratica delle istituzioni.

La moltiplicazione dei livelli di governo intermedi, invece di at-tuare un modello pragmatico di decentramento e sussidiarietà, ha inmolti casi rallentato il processo di effettività del modello di decisione.Le rivalità tra diversi livelli di governo ha creato i presupposti per unatendenza all’impasse come frutto avvelenato dei veti incrociati cheintaccano la forza della leadership e la possibilità del governo dei pro-blemi del Paese. Il salto culturale necessario da compiere è quello digarantire una maggiore partecipazione democratica al processo discelta delle élite e della leadership mediante una maggiore trasparenzanel processo di selezione. La leadership politica tende a essere palu-data dentro un fattore opacità che non consente effettivamente di ope-rare un controllo reale non solo sul merito ma anche sul metodo de-mocratico del processo di decisioni di interesse pubblico. È necessa-rio fornire alla leadership la possibilità di costruire un vero percorsodi governo garantendo strumenti adeguati a svolgere effettivamente efino in fondo il proprio ruolo, per poi lealmente sottoporsi all’esamedegli elettori come accade nei Paesi anglosassoni di più antica tradi-zione democratica, abituati da sempre a garantire una autentica alter-nanza tra partiti e leader di governo senza scontrarsi in una lotta per-manente di delegittimazione reciproca.

(Dario Bonacorsi, presidente Indena)

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Governare la complessità

Giovanni Bossi

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Affrontare il tema della leadership non è mai stato così difficilecome in questi tempi, e forse proprio per questo non è mai stato cosìnecessario.

In Italia, in Europa, e ovunque nel pianeta assistiamo al “con-sumo” di leader e al superamento della leadership a ritmi sempre piùrapidi, come se anche la capacità di gestione del potere fosse diven-tato un bene velocemente deperibile. Non vale obiettare che in poli-tica, e a volte in azienda, accade che potentissimi settantenni, a volteottantenni, esercitino ruoli di peso. Raramente si tratta di leader insenso stretto: più spesso sono icone, talvolta semplici gestori di inte-ressi particolari. Credo piuttosto che, in un mondo in cui l’informa-zione viaggia veloce come mai prima, anche la leadership tenda a per-dere rapidamente stabilità. In un certo senso viene messa in discus-sione sempre, in un crescendo di relativismo che non aiuta a piantaresaldamente al terreno i cardini dell’azione di un leader.

Come se il tema della leadership fosse anche questione di capa-cità di stare di più dentro il mercato, interpretandolo e assecondan-dolo, mentre eravamo forse abituati a pensare al leader come a un as-soluto innovatore, un inventore di idee, cui tributare fiducia.

Oggi, in politica, in azienda, nella società civile, dura l’“uomo-mediatore”, e chi dura ancor più è il “rappresentante di interessi”, avolte anche solo propri, ma più spesso condivisi. Ma il sistema ha bi-sogno di leader, non di rappresentanti.

In questo sistema, fatto di mille piani e della loro interazione cao-tica, esistono allora valori non negoziabili in tema di leadership? Que-sta è una domanda che reputo molto buona proprio perché tremenda-mente rischiosa. Rispondere di no significa optare per il relativismoe correre il rischio di non poter dare risposte coerenti e sistematica-mente, stabilmente, credibili. Optare per l’esistenza di valori non ne-goziabili può significare schierarsi in un campo che rischia di diven-tare obsoleto troppo in fretta.

Credo anche nel ruolo di mediatore del leader, mediatore tra so-

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cietà, azienda, ambiente di riferimento, da un lato; e tra strade da per-correre, vie da esplorare, desideri da soddisfare, dall’altro. È però ne-cessaria una coerenza intrinseca tra l’azione del leader e la sua perso-nale visione delle cose della vita. Non sono un filosofo, non un socio-logo, ma credo che questa coerenza, che mi piace colorare di lealtà neiconfronti di se stessi, sia un pezzo centrale e non negoziabile per unaleadership duratura e riconoscibile.

Entra allora in gioco la visione del leader. Qui il quadro si fa ine-vitabilmente complesso e mi pare di poter dire solo che il leader devepoter esprimere un concetto, riconoscibile, caratteristico, che appar-tenga al suo vissuto, di bene comune. Bene che marchi in modo chiaroanche il gruppo cui fa riferimento, identificandolo, ma che sia anchenel proprio credo, da qualsiasi parte lo si voglia vedere.

Del leader e della leadership, i gruppi, le masse, le organizzazionisociali o economiche, hanno sempre avuto bisogno. E a loro volta ileader hanno avuto bisogno di un ambiente al quale applicare la lorocapacità di comunicare passione, un’idea, innovazione, cambiamento,o più spesso tutte queste cose insieme. La gestione del potere, la co-struzione di un modello sociale, o anche di un’azienda, raramente so-pravvivono a lungo senza coordinamento dell’azione, senza spinte cre-dibili il cui ritmo viene impresso da qualcuno. Ma la complessità delmondo di oggi e la sua velocità esponenziale rendono davvero pocopraticabile la riproposizione di modelli del passato. Molta leadershipdel passato è stata costruita sul mito, e il mito frana in fretta se l’opi-nione delle persone non lo alimenta. Oggi twitter, blog, comunicazionead alta frequenza bombardano le menti e non è facile formare opinioniconsapevoli. Sappiamo tutto, più di tutto, troppo, in tempo reale, avolte anche ciò che non è accaduto…

Affermare che le caratteristiche di leader del passato si siano ade-guate al mondo di oggi è ridicolo. Le intelligenze restano, quelle sì, macredo profondamente che lo stile di leadership sia funzione del mondoe del mercato su cui agisce, e non vada bene per tutte le stagioni. E al-lora benvenuto al nuovo; il vecchio può e deve essere studiato, ma noncopiato, non più.

Oggi un leader ha bisogno di essere profondamente interconnessocon il proprio “mercato”. La leadership richiede capacità che defini-rei multimediali, multitasking, multilingua, multitarget. Semplificaremolto i messaggi e l’approccio, per un leader, è sempre possibile, mail rischio è quello di essere travolti al primo temporale. Una leadershipper essere credibile oggi richiede un mix straordinario di passione eragione, in dosi smodate ma allo stesso tempo coerenti. Richiede co-

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noscenza, a volte esperienza, ma non troppa, perché andrebbe a detri-mento della passione, e forse della ragione. Richiede capacità di co-municare. Ma soprattutto capacità di interpretare correttamente i segnisoft di un ambiente complesso.

La nostra società vive una fase di grande disordine e confusione.Appare abbastanza evidente il ritardo della politica rispetto all’evolu-zione dell’ambiente economico e sociale. C’è chi trae beneficio dalcaotico evolvere delle cose; c’è persino il sospetto, in finanza e ineconomia, di strumentalizzazione della rapidità di circolazione delleinformazioni, di manipolazione delle reazioni emotive rispetto a ve-rosimili falsità, “non notizie”, preoccupazioni. In questo humus sen-tiamo tutti il bisogno forte di un rinnovamento, di un nuovo modo difare in politica, in economia, nella società civile e persino nei rapportiinterpersonali. In questi momenti di distacco da un funzionamentosoddisfacente nella società si crea lo spazio per nuove leadership. Èil bisogno di “nuovo” che porta alla reazione, e – attenzione – perchéla reazione può essere brutale e violenta, manifestandosi contro quelleregole che hanno generato il malessere. Se a scendere in campo è lapassione io credo che non vi sia spazio per i professionisti del potere,e forse alla lunga neppure per i tecnici, perché comanda il calore delrinnovamento, e può sciogliere ogni ingegneria.

Se sposiamo la teoria dell’inevitabilità di una nuova leadership, odi più nuove leadership, come risposta all’instabilità, allora dobbiamoporci il problema del ricambio, e soprattutto del come cambiare. C’èbisogno di più società, di più apertura, di più partecipazione. Peresempio, di più donne. È ridicolo il numero di donne presenti comeleader in azienda come in politica. Non mi spiego come possa una so-cietà progredire facendo a meno in modo pressoché aprioristico del50% del proprio potenziale, così come di larga parte delle classi piùgiovani, private della possibilità di esprimersi in una società a “cre-scita zero” e con i posti a tavola occupati dalle generazioni precedenti.E c’è bisogno di più spiriti liberi. Che, per svilupparsi, richiedono unadose elevata di coraggio non già in loro, ma in chi lascia loro lo spa-zio per diventare grandi.

Forse la leadership di cui abbiamo bisogno ora, subito, è fatta diun mix di coraggio e visione, di capacità di fare spazio con generositàe di guidare con fermezza quando è necessario, di richiesta forte atutte le componenti della società di essere protagonista, senza timoredi perdere qualcosa, perché se andiamo avanti così perdiamo tutti co-munque tutto.

Ecco: è ora di non avere paura e di dare lo spazio a quei giaci-

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menti di meraviglia, figli della nostra storia e di altre storie di altriluoghi, che vivono con poca speranza e poca gioia perché altri hannorapito il loro futuro. Il coraggio del cambiamento, anche se esso in-cide nel proprio particolare. Perché, senza, rischiamo di trovarci tuttipiù poveri, e non solo in termini economici.

La generosità generazionale è il primo elemento sul quale dob-biamo concentrarci. La leadership può svilupparsi, il leader crescere,solo se la nostra società vecchia smette di difendersi, impaurita daogni cosa nuova la sfiori. Inevitabilmente il cambiamento accadrà,ma il timing e il modo non sono irrilevanti. Può accadere per lucidaconsapevolezza da parte della classe dirigente di oggi; o per le insod-disfazioni che scatenano spallate a un sistema che funziona male, inun contesto accelerato dalla crisi economica.

Preferisco pensare che, se vogliamo veramente nuovi leader, dob-biamo desiderarli fortemente, essere pronti a pagare il prezzo per laloro crescita, e soprattutto avere il coraggio di guardarli crescere conla passione per il nuovo e per il bene.

(Giovanni Bossi, amministratore delegato Banca Ifis)

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Lo spirito inquieto del leader

Carlo Brunetti

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Il leader imprenditore deve esercitare una guida responsabile muo-vendosi oltre la semplice rendita di posizione. Il fondatore di una impresaè un pioniere visionario dotato di coraggio e ostinazione nel promuovereil proprio progetto, ma altrettanto capace di capire in anticipo quando èil momento di cedere la guida. Il leader autentico è uno spirito inquietoe dinamico, attento alla mutazione continua dello scenario e del conte-sto, preferendo operare con un approccio adattivo ed evolutivo piutto-sto che meramente conservativo fondato su rendita e mantenimento diposizioni già acquisite. Il leader illuminato percepisce quando è il casodi avviare il passaggio generazionale: si tratta di una fase ad alta fragi-lità, soprattutto nel mezzo della transizione, quando si rischia di creareun vuoto di potere nella leadership. Occorre saper tenere il timonedritto mantenendo una direzione coerente verso gli obiettivi.

Faccio parte della seconda generazione di una impresa a guida fa-miliare, mio padre ha avuto la lungimiranza di anticipare la crisi delpassaggio generazionale intervenendo con una significativa ristruttu-razione dei processi di governance in senso manageriale, prima dell’in-gresso dei figli in azienda. Per i figli affacciarsi su un’azienda benstrutturata e con una precisa delimitazione del campo di azione dellaleadership consente di evitare conflitti di ego e sovrapposizione di po-teri, permettendo una maggiore fluidità e minore attrito nelle decisioni.Questo è stato forse l’omaggio più prezioso da parte di nostro padre,perché ci ha dato la possibilità di sperimentare sul campo come la go-vernance di un’organizzazione con una certa struttura con una certafunzionalità può essere molto più efficace rispetto a una classicaazienda padronale e di origine familiare.

Il vero leader deve essere in prima persona vettore del cambiamento.Il mondo non si ferma mai, ma si trasforma continuamente. Così,quando noi figli siamo entrati, in azienda abbiamo fatto un percorso dif-ferenziato di apprendimento e di sviluppo della leadership in funzioneanche delle nostre differenti personalità, attitudini e abilità. La vita azien-dale è fatta di confronti anche difficili ma importante è che siano leali.

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Per evitare di avere eventuali contrapposizioni e conseguente depoten-ziamento della leadership nei confronti dell’organizzazione, mio padre,prima di trasferire la leadership, si è premurato di creare un ruolo “su-per partes”, una sorta di arbitro in grado di mediare potenziali divergenzenella governance familiare, trasferendo una parte dei propri poteri a undirettore generale, un top manager estraneo alla proprietà. Questa strut-tura fondata su una precisa delimitazione delle competenze consente disupportare e armonizzare al meglio le decisioni strategiche, evitandosconfinamenti e sovrapposizioni di poteri. Un’architettura della leader-ship fondata sull’equilibrio tra poteri e competenze. Da questo punto divista assume un carattere fondamentale il livello emotivo e il clima re-lazionale determinato dal modello di leadership. Si deve saper coglierele opportunità nel cambiamento dotandosi di una predisposizione all’ot-timismo. Bisogna aprirsi alla curiosità per comprendere il mondo del fu-turo. La fiducia assume un ruolo decisivo e indispensabile nel determi-nare il successo della leadership. Le visioni possono essere diverse trachi ha un spirito più competitivo e chi ha una visione più pacificata, chiè più innovativo e chi ha uno spirito più conservativo. Chi ha un’indolepiù commerciale e chi ne ha una più tecnica. Un leader deve dotarsi diun approccio globale e sistemico in grado di garantire la gestione quo-tidiana del day-by-day ma anche la visione a medio lungo termine. Il lea-der ha il dovere di spingere ad allinearsi ai cambiamenti epocali e glo-bali cercando di governare e non essere governati dalla complessità.

La nostra azienda appartiene a un settore, quello delle materie pla-stiche, che vive una vera e propria rivoluzione copernicana sia dal puntodi vista tecnologico, con l’affacciarsi sul mercato di una nuova genera-zione di materiali, le bioplastiche, sia dal punto di vista culturale, con ladiffusione di una sensibilità ambientale fondata sul paradigma della so-stenibilità. Attraversiamo grandi cambiamenti fondati su una maggioreconsapevolezza verso il tema della salvaguardia dell’equilibrio del pia-neta e dove il riciclo dei materiali e il destino dei prodotti a fine vita di-venta un fattore chiave nel modello industriale ed economico. Sentiamoil compito culturale di cercare di diffondere la conoscenza e combattereil pregiudizio verso le materie plastiche educando i nostri clienti versomateriali diversi. Stiamo andando verso un mondo dove il petrolio e isuoi derivati giocherà un ruolo sempre minore, perciò si deve operareuna metamorfosi nella produzione di materie plastiche approdando allenuove generazioni di materiali biodegradabili e/o derivanti da fonti rin-novabili e riciclabili. La chimica italiana, dal premio nobile Natta inavanti, ha avuto nel passato un ruolo di vero leader mondiale. Poi la pes-sima gestione politica ha determinato scelte che hanno fatto crollare la

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nostra leadership in questo settore strategico. Il mondo anglosassone haapprofittato della nostra debolezza di politica industriale del passato peracquisire pezzo per pezzo il “puzzle” della chimica italiana. Un assetfondamentale del nostro Paese è stato progressivamente smantellato acausa di una pessima gestione politica incapace di tutelare interessi stra-tegici della nazione. Oggi ci stiamo riaffacciando sullo scenario interna-zionale con produzioni di nicchia molto innovative. Sui sacchetti di pla-stica di nuova generazione il nostro Paese è all’avanguardia in Europae ha condotto una battaglia vincente contro le grandi lobby della plasticatradizionale. È un segnale che indica la ripresa della leadership dellachimica italiana in settori altamente avanzati come le bioplastiche. Que-sto testimonia come il nostro Paese è in grado di catalizzare di nuovol’attenzione internazionale attorno a tecnologie innovative e capaci digiocare una leadership industriale nei prossimi anni a venire.

Se un sistema di imprese in grado di competere a livello internazio-nale è ancora presente nel nostro Paese, non lo dobbiamo certo a un si-stema politico che sembra aver fatto tutto per sabotare lo sviluppo di si-nergie tra pubblico e privato e il coordinamento di un vero sistema Paesein grado di essere credibile sul piano della crescita e dello sviluppo eco-nomico. Il sistema politico deve saper interpretare e gestire questo cam-biamento, a partire dai leader di partito, ammesso e non concesso chela struttura del partito politico abbia ancora un futuro, ai tecnici parla-mentari che devono arrivare a scrivere la leggi in una maniera chiara eintelligibile e comprensibile per tutti, offrendo ai cittadini il bene inesti-mabile ma troppo raro della certezza delle diritto e delle regole. La man-canza di un lessico normativo e amministrativo rappresenta un dannoconcreto per i cittadini, oltre che l’alibi più facile per chi intende violarele norme. Siamo tutti stanchi di leggi e di una burocrazia imperante, l’Eu-ropa ci sta mettendo del suo, contribuendo ad appesantire la già immensamole e complicata stratificazione della ipertrofica produzione normativadel nostro Paese. Già l’Italia è storicamente il luogo di massima espres-sione della complicazione e della sottile esasperazione del bizantinismogiuridico, se a questo aggiungiamo la produzione della regolamentazionecomunitaria arriviamo a un punto di parossismo normativo. Siamo ol-tre ogni ipotesi di buon senso: dal combinato disposto della produzionelegislativa e della prassi burocratica otteniamo un effetto devastante peril privato cittadino o per l’imprenditore che deve agire in un mare di com-plessità e di incertezza. Rischiamo di perire di burocrazia. In questomodo l’imprenditore si trova a dover agire nell’incertezza normativa concosti e rischi enormi. Per questo dobbiamo ritrovare un nuovo approc-cio di semplicità, tornare alle concretezza del buon senso, sciogliendo

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Lo spirito inquieto del leader

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il nodo gordiano della complessità burocratico-procedimentale nella ge-stione della cosa pubblica e facendo prevalere il pragmatismo. Dobbiamovotare norme prive di quella abituale ambiguità che le rende interpreta-bili in dieci modi diversi. Non è del tutto fugato il dubbio che forse lenorme sono intenzionalmente scritte in maniera ambigua.

Manca la capacità di sintesi nel processo della leadership pubblica.Serve una classe dirigente con una cultura della leadership completamen-te diversa rispetto all’attuale. Persone nuove con una visione finalmen-te in linea con il mondo contemporaneo. Bisogna fare spazio a idee gio-vani, non necessariamente ai giovani in senso banalmente anagrafico. Sideve agire per sbloccare un sistema di politica fine a se stessa o basatasulla propria autoconservazione e sopravvivenza. Per questo sono neces-sari mandati parlamentari non reiterabili all’infinito ma a termine per evi-tare la sistematica occupazione del potere e innescare un sistema di ri-cambio e di ri-generazione del sistema. Servono nuovi pensieri. Serve unpasso nuovo, una velocità allineata con quella del mondo attuale.

I giovani si trovano di fronte il muro di gomma di un sistema poli-tico che li respinge e li allontana. I giovani, malgrado le loro enormipotenzialità e competenze non riescono a sfondare il muro di esclusionedal potere. Ci si trova a combattere contro i diritti acquisiti da genera-zioni troppo tutelate e che congelano energie che potrebbero essere li-berate per dare speranza e prospettive per le giovani generazioni. Lenuove generazioni devono essere liberati dal giogo di quelle che le pre-cedono e che detengono una fetta troppo ampia delle risorse: è indi-spensabile drenare risorse dalla vecchia alla nuova generazione se sivuole davvero innescare una dinamica di ripresa. Nel sistema politicoci sono troppi personaggi riciclati che non sono più credibili e che hannoperso ormai definitivamente la fiducia e il consenso reale nel Paese eche si attardano a conservare oltre ogni limite le posizioni acquisite dipotere. C’è bisogno di ricambio come c’è bisogno di ossigeno.

Il leader, se vuole essere credibile, deve essere onesto e trasparentee non deve trovarsi in nessuna posizione di conflitto di interessi, man-tenendo una severa linea di demarcazione precisa e invalicabile tra gliinteressi pubblici e quelli privati. Deve mantenere in ogni occasione unalinea comportamentale ispirata alla sobrietà e al rigore. Onestà intellet-tuale e buona fede sono caratteristiche apprezzabili insieme con ilsenso dei propri limiti: il leader deve avere la capacità di farsi da parteal momento giusto, anzi un attimo prima del momento giusto: questoè il vero spirito di servizio che deve contraddistinguere il suo ruolo.

(Carlo Brunetti, vice presidente Innovation Apiplastic)

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Tempi fragili

Ruggero Brunori

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La leadership viene attribuita da altri, non è mai frutto di una autoattribuzione, c’è sempre qualcun altro che riconosce il leader che sistaglia per la presenza di caratteristiche particolari diverse dal co-mune. Questo è un aspetto fondamentale perché le leadership veresono proprio quelle che vengono riconosciute le altre sono false osono autocompiacimenti che non hanno senso.

C’è indubbiamente una componente di predisposizione originaria,per così dire genetica, sulla quale deve poi innestarsi applicazione,esperienza e dedizione. Un destino da scoprire dentro di sé, un mododi porsi nei confronti degli altri, una credibilità che si riesce a comu-nicare agli altri. Ci sono persone che sembrano nate con il codice ge-netico della leadership dentro di loro. Persone che hanno una dote in-nata per l’arte del comando: il leader deve avere l’ostinazione di com-battere ogni giorno. Molte persone pur non essendo in grado dicomandare cercano di farlo ma il più delle volte con esiti disastrosi,possono essere degli ottimi professionisti, ma non sono dei leader.Servono delle capacità per attribuire mansioni, compiti, per sceglierel’uomo giusto al posto giusto, individuare i responsabili: questo è uncompito da leader, il saper comprendere le persone, intuire il poten-ziale nascosto dentro le persone. Certamente il leader deve avere unaprofonda conoscenza; senza capire a fondo l’essenza di quello che sifa non si possono gestire le persone, i ruoli. C’è bisogno di una capa-cità di riflessione interiore per analizzare i dettagli dei problemi senzalasciare nulla al caso. Dietro la velocità di una scelta deve esserci unaprofonda comprensione delle questioni, altrimenti si commettono er-rori distruttivi.

Volontà, costanza, sacrificio sono altri elementi fondamentali delleader. Il leader non può essere un introverso ma deve rapportarsi agliuomini. Non può durare un leader chiuso in se stesso nella sua torred’avorio: il confronto con gli altri è necessario, è fondamentale ilflusso delle informazioni, le relazioni, il feedback ai collaboratori checonsente di modificare atteggiamenti e comportamenti non conformi

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alle direzioni prestabilite. Dal confronto è possibile ridefinire il pro-blema e riuscire a risolverlo grazie a un abile esercizio di ristruttura-zione dei dati con un metodo pragmatico di problem solving. Gli er-rori possono essere compresi solo se c’è sincerità e apertura da e versoil leader. Riconoscere gli errori senza l’arroganza del ruolo è una doteindispensabile al leader.

Viviamo un periodo di grande fragilità come Paese perché esi-stono ruoli che vengono assegnati a persone del tutto prive di compe-tenze. La classe politica e molti alti funzionari della Pubblica Ammi-nistrazione vanno a ricoprire ruoli importanti spesso del tutto privi direali capacità conquistate sul campo e assolutamente non in grado diesercitare una effettiva leadership, essendo carenti di credibilità e dun-que di seguito. Sono spesso personaggi smarriti in un ruolo che nonli riguarda e allora agiscono a caso, al solo scopo di mostrare una par-venza di autorità che in realtà non possiedono.

Per ottenere risultati è necessario avere alle spalle una storia, avercompiuto un percorso, non ha senso essere nominati al vertice di unaamministrazione senza avere un curriculum, una legittimazione nonsolo tecnica, ma morale rispetto al ruolo a cui si viene chiamati. Ipadri costituenti avevano una statura intellettuale assolutamente in-commensurabile con i personaggi che si aggirano oggi nel sottoscaladel più bieco sottogoverno. Sono degli intrusi nel palazzo nobile dellapolitica. I politici del dopoguerra si nutrivano di ideali e di intransi-genza, erano persone integerrime in confronto al circo Barnum cheabbiamo visto accamparsi recentemente nei palazzi della politica. Lapolitica ha, per forza di cose, sempre avuto a che fare con una dimen-sione dura, con una lotta senza sconti, ma certamente c’era una di-gnità che oggi si è persa. Il tutto poi si trasforma in una illogicità, inuna incoerenza, in una assurdità della produzione legislativa; le normesono il prodotto di una classe politica trasformista e incompetente chedunque produce un apparato normativo lacunoso e incoerente, di dub-bia interpretazione, e molto spesso inapplicabile: tutto questo è undanno vero e proprio per i cittadini e gli imprenditori che si ritrovanoa subire una legislazione che rende impossibile vivere e lavorare nelnostro Paese, abbandonato alla deriva da una classe dirigente grotte-sca e incurante dei problemi reali. Uno spettacolo ignobile di trasfor-mismo senza nessuna moralità con scambi di voti, ribaltoni e contro-ribaltoni in un perenne ondeggiare secondo le regole della conve-nienza personale. Una metastasi di etica politica.

Mario Monti si è ritrovato in una situazione complicatissima, stacercando di risolvere uno a uno i nodi principali e più urgenti che il

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Paese si ritrova a dover affrontare dopo un periodo di declino inarre-stabile su tutti i fronti, a partire dalla credibilità e dalla dignità delPaese. Si tratta di un leader onesto, competente, credibile, trasparentee leale che parla un linguaggio di dati e non di chimere, un uomo chesa raffreddare la polemica senza farsi travolgere in querelle con imedia.

Un leader deve accudire l’identità e il bene del nostro Paese difronte anche al naufragio di una credibile politica europea. Mai comeoggi la crisi che attanaglia il nostro Paese, pur avendo enormi respon-sabilità nazionali, dipende però anche da una impasse e una crisi diidentità e soprattutto di visione di lungo periodo da parte dell’Europa,sempre più smarrita nella ricerca di massimizzare vantaggi di posi-zione da parte di singoli Stati. Gli USA, la Cina, la Russia, hanno unavisione, magari non condivisibile, ma capace di esercitare una in-fluenza, mentre l’Europa sembra un coacervo di politiche estere: unaper ogni Stato. Certamente con leader come Helmut Kohl o FrançoisMitterrand l’Europa non sarebbe caduta così in basso: la crisi europeaè anche una crisi di leadership.

C’è un problema di incapacità dei partiti politici di selezionarenon solo il carisma e la competenza ma anche l’equilibrio e la traspa-renza dei potenziali leader: pensiamo al partito socialista francese chestava per candidare all’Eliseo Dominique Strauss-Khan, politico cer-tamente di primissimo piano, prosciolto dal sistema giudiziario ame-ricano, ma certamente affetto da un delirio di onnipotenza che gli hasbarrato la porta per una Presidenza che sembrava a portata di mano.Dunque se Roma piange, certamente Parigi non ride e dunque siamodi fronte a una sorta di agonia della capacità dei partiti di selezionarecandidature per solide leadership. L’Italia può ritrovare leadership soloa partire da una forte e credibile relazione con l’Europa. Serve una ri-distribuzione del carico dei sacrifici in modo equo per alimentare unapolitica di ripresa. L’Europa deve essere rigorosa ma anche generosae con un indirizzo non solo restrittivo ma di apertura di prospettive.

(Ruggero Brunori, presidente Ferriera Valsabbia)

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Tempi fragili

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I giovani, la musica e il futuro

Claudio Buja

Il mondo della musica, o meglio del music business, dovrebbe es-sere, sulla carta, un ambiente dove i giovani (tanto gli artisti quantogli operatori) possano portare un grande contributo di creatività, di in-novazione, di rinnovamento. E se è vero che il pubblico della musica,soprattutto della musica pop, è un pubblico dall’età media decisamentebassa, allora anche i suoi protagonisti – artisti, discografici, operatori,giornalisti – dovrebbero essere analogamente naturalmente predispo-sti a rispecchiare e rappresentare al meglio le nuove tendenze; l’indu-stria dovrebbe accettare e incoraggiare forze fresche e idee giovani peralimentare l’interesse del pubblico e formare una leadership futura.

Invece la scena musicale italiana soffre di un progressivo e appa-rentemente irreversibile processo di invecchiamento a tutti i livelli –a partire dagli artisti, per i quali manca un effettivo ricambio genera-zionale, per passare agli operatori discografici, molto legati ai propriruoli consolidati e poco inclini a inserire nelle proprie strutture idea-tive, creative e operative, soprattutto in posizioni di vertice, tutta lafreschezza energetica e l’entusiasmo creativo portato dai giovani col-laboratori. Questa tendenza si è radicalizzata nell’ultimo decennio:quello dell’era di Internet, della multimedialità e delle social commu-nity. Cosa è accaduto? La rete ha assestato un colpo durissimo, forseletale, mettendo seriamente in crisi le prospettive di sopravvivenzadell’industria discografica. Una tecnologia semplice e alla portata ditutti come il peer to peer ha reso semplicissimo lo scambio di file ga-rantendo di fatto l’accesso gratuito a ogni tipo di musica e più in ge-nerale di contenuto multimediale in violazione del diritto d’autore edei diritti connessi alla produzione musicale.

Si tratta di una questione che ha visto il diffondersi di una misti-ficazione culturale che ha fatto in modo che si arrivasse a confonderela fondamentale e mai contestata libertà della rete con l’arbitrio e l’ap-propriazione illecita dei diritti d’autore. Un conto infatti è la censura(di cui troppo spesso parlano a sproposito i difensori del “tutto gra-tis”) e un altro è invece creare siti con contenuti “protetti”, cioè con

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materiale (letterario, iconografico, musicale, video) di proprietà al-trui, al fine di condividere i contenuti stessi senza riconoscere alcunaforma di compenso a chi ha contribuito a creati e realizzati.

In sostanza, la libera (e diremmo gratuita, se il concetto di gratuitànon si fosse reso decisamente ambiguo e strumentalizzato) circola-zione di materiale musicale in formato digitale ha provocato il col-lasso del mercato discografico, con conseguenze devastanti non sol-tanto relative alla perdita diretta di posti di lavoro nel settore, maanche nei tagli drastici alle spese, a partire da quelle destinate alla ri-cerca musicale e alla produzione di giovani talenti e nuove sonorità.Le strutture discografiche – non solo in Italia, ma in tutto il mondo –hanno dovuto perciò affrontare un radicale ridimensionamento conl’effetto di innalzare ulteriori barriere generazionali rendendo più dif-ficile l’ingresso di forze giovani e fresche nel mondo musicale. Unpassaggio interrotto, ci si augura forse non del tutto. C’è evidente-mente ancora spazio per chi in futuro saprà lavorare nel mondo dellamusica in maniera molto diversa dal passato, inventando nuove vie disfruttamento dei diritti e creando collegamenti e links fra quelle cheuna volta erano le funzioni diverse dell’attività industriale (produ-zione, marketing, distribuzione) per semplificare il processo e sfrut-tare la rete nelle sue infinite potenzialità di interconnessione.

I cambiamenti a cui l’industria sarà costretta nel futuro prossimopotrebbero rappresentare un fattore decisivo nel forgiare una nuovaclasse dirigente molto più aperta e in grado impiegare al meglio tuttele potenzialità delle nuove tecnologie e dei nuovi media. Una nuovaleadership, un profondo ricambio generazionale, un nuovo linguaggiocreativo ispirato a una sensibilità artistica sempre più fondata su unaintelligenza collettiva e condivisa.

Le nuove tecnologie possono rappresentare davvero il vettore delcambiamento, lo strumento di accelerazione e metamorfosi del mododi concepire la leadership del futuro ispirato non da una visione top-down, dall’alto in basso, ma strutturato su una rete di infinite connes-sioni. Un modo di concepire la leadership infinitamente più demo-cratico e meno autoritario: un processo di trasformazione e condivi-sione: pensiamo a una forma di sapere fondata su un aggiornamentocostante come Wikipedia: un sapere accessibile, trasparente e conti-nuamente in progress, in divenire continuo. Per cambiare il modellodi potere occorre cambiare il paradigma delle conoscenze e della co-municazione. È decisiva la trasformazione generata da nuova visioneaperta nei confronti delle nuove tecnologie e dei modi di creazione efruizione della musica – pensiamo solo a come l’invenzione dell’i-

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I giovani, la musica e il futuro

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Pod abbia salvato la Apple dal fallimento e abbia generato una nuovaondata di creatività nell’industria digitale. Un mercato potenzialmentepiù frammentato, dove le così dette “nicchie” avranno più spazio perla maggior facilità distributiva, in questo modo salvando il discogra-fico futuro dall’assillo della quantità del massive hit, in favore di uncriterio di successo maggiormente allargato ad aree e frange di pub-blico sino a qui considerate marginali o difficilmente raggiungibili.

E se da una parte diminuiscono le opportunità di lavoro all’internodi un’industria pensata con i criteri tradizionali, dall’altra si intravedelo sviluppo di possibilità legate al fai-da-te tipiche della Rete – pen-siamo all’autoproduzione, all’autopromozione e alla distribuzione at-traverso piattaforme digitali – che già oggi vengono utilizzate da arti-sti nuovi in cerca di visibilità, in un’allegra anarchia apparentementesottratta al potere delle case discografiche. Ciò conferisce ai giovani ta-lenti una grande libertà creativa e una opportunità di accedere a inediticanali distributivi potenzialmente in grado di mettere in contatto il ta-lento sconosciuto con tutto il mondo semplicemente a portata di click.Un nuovo modello di leadership, una nuova generazione di protagoni-sti è possibile grazie a un processo di disintermediazione della cono-scenza e di accesso diretto ai canali di distribuzione della conoscenzae dei contenuti. La qualità della democrazia del futuro, la ridistribu-zione del potere a favore delle nuove generazioni dipende in buona so-stanza dall’esito del confronto tecnologico e giuridico, nell’equilibriotra libertà e regolamentazione nel mercato dei contenuti culturali vei-colata dai nuovi media e dalle digital community del futuro prossimo.

Nel suo bel saggio Senti questo, il critico Alex Ross scrive: “moltigiovani ascoltatori sembrano pensarla come l’iPod. Non si consacranopiù ad un unico genere (…) Le playlist di brillanti appassionati di rockcomprendono spesso qualche pezzo di musica classica del XX secolo.Gli intenditori di dance elettronica citano tra i loro eroi Stockhausen,Terry Riley e Steve Reich (…) E nuove generazioni di musicisti (…)stanno trovando alleati nel mondo popolare, alcuni dei quali si preoc-cupano delle vendite e degli ingaggi meno di molti celebri violinisti”.

Se questo nuovo scenario presenta per voi degli eccitanti elementidi sfida, siete pronti per provare ad addentare la Grande Mela: il musicbusiness del terzo millennio.

(Claudio Buja, presidente Universal Music Publishing Ricordi)

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Connessi alla società civile

Matteo Calise

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La coerenza è un valore fondante della leadership, insieme all’u-miltà che nasce dalla consapevolezza che si viene eletti su mandato daicittadini e per i cittadini: si è alle dipendenze dei cittadini, sotto il loroinsindacabile giudizio: si può essere revocati, rimossi o mandati acasa. Questa semplice ovvietà sembra purtroppo essere stata dimenti-cata da una classe di politici che si percepisce come casta autoreferen-ziale, chiusa al contatto con il popolo, intoccabile e inamovibile. Un ul-teriore elemento caratterizzante indispensabile per l’etica della politicaè quello della libertà da intendere come indipendenza da interessi chenon siano quelli della tutela della cosa pubblica. I partiti invece subi-scono la pressione delle lobby e l’azione di tutela di interessi partico-lari e corporativi, si creano canali privilegiati e unidirezionali di comu-nicazione e relazione con un unico punto di vista che tende a rimuoverel’azione verso il bene pubblico trasformando l’interesse generale nellaprotezione di un interesse particolare. Una forma di diffuso mancatoesercizio di un interesse pubblico, che rende i politici di fatto dipendentida questi legami e vittime inconsapevoli o addirittura coscienti dellelobby e dunque in ogni caso non indipendenti.

Essere indipendenti è fondamentale: poter dire e votare in piena li-bertà di coscienza senza connessioni con gruppi di pressione dovrebbeessere un fondamento irrinunciabile, il minimo comun denominatore diuna democrazia, ma di fatto nel nostro sistema partitico questo princi-pio di democrazia finisce per non funzionare, in virtù della sottomis-sione ai gruppi di pressione e ai poteri forti. La casta partitocratica è unsistema che non consente eccezioni, che rende quasi impossibile esserediversi dal sistema, che considera ingenuo chi vuole perseguire l’inte-resse generale. Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di entrare al-l’interno di questo sistema della politica mantenendo alta la sorveglianzae con le dovute precauzioni per non farsi assimilare dal sistema. Il li-mite di non più di due legislature per il politico serve a concentrarsi sul-l’efficacia di una azione politica che non rimanda al futuro quello chepuò fare oggi, e allo stesso tempo consente al politico di evitare di an-

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dare alla ricerca di un capitale personale di consenso solo per venire rie-letto. Il meccanismo perverso che si deve rompere è quello dei politicidi professione, che si appropriano del potere senza restituirlo ai citta-dini. A questa nostra proposta che ci distingue radicalmente da tutto ilpanorama politico da destra a sinistra, l’obiezione che ci viene fatta èquella di chi ci domanda: “Chi ci garantisce che non cambierete, chenon vi omologherete al resto dei politici della casta?”. La risposta è chein realtà le occasioni per uniformarci ci sono già state, come nel casodei rimborsi elettorali quando ancora nessuno ne parlava: avendo elettoquattro consiglieri regionali ci avevano offerto un 1 milione e 600milaeuro a titolo di rimborso elettorale che abbiamo rifiutato. Inoltre cihanno proposto di partecipare alla spartizione di nomine nelle aziendemunicipalizzate e anche in questo caso abbiamo rifiutato. Abbiamo ri-nunciato ai privilegi che ci sono stati offerti una volta che abbiamo co-minciato a eleggere nostri rappresentanti nelle istituzioni.

Il valore della trasparenza può essere perfettamente veicolato gra-zie all’impiego di internet per diffondere la comunicazione di ogni pas-saggio decisionale di pubblico interesse. Trasmettere tutte le riunioni indiretta streaming consente in qualunque momento al cittadino di veri-ficare la coerenza del politico tra opinioni espresse e azioni concretesvolte. Noi spingiamo su strumenti come il referendum deliberativosenza quorum, in questo modo il politico subirà una maggiore pres-sione a comportarsi in modo corretto. L’esempio a cui ci possiamo ispi-rare è quello della Svizzera dove, con lo strumento dei referendum de-liberativi, i cittadini possono direttamente partecipare alla vita politicacon il potere di decidere su questioni precise e concrete. Trasparenza econtrollo dei cittadini con uno strumento referendario non episodico esenza il limite del quorum significa che i politici sono molto più at-tenti a fare un investimento straordinario che non va dalla parte dei cit-tadini o che non è una priorità per la comunità, perché sono consape-voli che i cittadini in breve tempo possono fare un referendum abroga-tivo. Avere degli strumenti di democrazia diretta che funzionanodavvero è decisivo, ma basta vedere come vengono disattese le leggi diiniziativa popolare dal Parlamento per comprendere quale disattenzioneci sia da parte dei politici nei confronti dell’autentica volontà popolare.Sempre per fare riferimento alla Svizzera, la partecipazione ai referen-dum riscuote una maggiore attenzione e partecipazione rispetto al mo-mento delle elezioni dei rappresentanti politici. La democrazia direttaè lo strumento più maturo, partecipativo ed efficace per il controllodell’operato della classe politica, e svolge la funzione di “cane da guar-dia” rispetto alla democrazia rappresentativa. Un’altra nazione a cui

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guardiamo con particolare attenzione per la propria capacità di innova-zione politica è l’Islanda dove, recentemente, il ricorso allo strumentodei referendum ha consentito di revocare la fiducia al governo in più oc-casioni. Si tratta di un modello di influenza diretta del popolo sull’a-zione di governo molto efficace nel determinare le politiche pubbliche.Assolutamente originale e democratico è stato poi il processo che hadato vita alle riforme istituzionali nel sistema islandese, dove sono statiestratti a sorte 25 cittadini dalla società civile che poi su internet hannoriscritto la Costituzione. Una riforma che ha concesso grande spazioalla libertà di informazione facendo in modo che il giornalismo d’in-chiesta sia protetto dalla legge e che la pubblicazione di atti anche se-greti venga protetta dalla Costituzione. L’Islanda diventa un Paese al-l’avanguardia dal punto di vista della libertà di stampa e di inchiesta.Anche il fatto che l’originale della costituzione sia stato pubblicato di-rettamente su internet mostra anche dal punto di vista simbolico il ca-rattere fortemente innovativo e ispirato da un nuovo approccio alla co-noscenza e alla condivisione dell’informazione come fattore decisivoper la trasparenza e l’interazione tra cittadini e sistema politico.

Energia, salute, alimentazione devono essere riportate dentro l’or-bita della dimensione pubblica come è avvenuto nel recente referendumsull’acqua pubblica. Privatizzando beni come l’acqua e il territorio sidistrugge un patrimonio fondamentale e inalienabile della collettività.La nostra classe politica tende a semplificare attraverso una enfatizza-zione ideologica che non aiuta a risolvere pragmaticamente e moder-namente i problemi. Ci si ferma alla strategia politica, destra-sinistra,senza concentrarsi su temi reali. Pensiamo a una politica per il verdepubblico e non intesa a incassare oneri di urbanizzazione concedendodi aumentare il suolo edificabile delle città solo per fare cassa pensandoall’immediato e perdendo di vista il fatto che il suolo pubblico è un beneche una volta cementificato è perduto per sempre. Il tema energeticoè fondamentale e trascende la querelle destra-sinistra. Pensiamo allosviluppo e ai benefici di un parco agricolo a Milano per consentireun’autonomia alimentare per la metropoli in linea con una filosofiadella filiera corta dell’approvvigionamento alimentare, sulla base delparadigma del “chilometro zero”. Pensiamo alla Sicilia, a come po-trebbe essere energeticamente indipendente soltanto seguendo sceltepolitiche corrette e in linea con un piano di conversione verso le ener-gie rinnovabili. Jeremy Rifkin ci ha mostrato le straordinarie opportu-nità di renderci energeticamente indipendenti attraverso un piano di de-centralizzazione e democratizzazione della produzione e delladistribuzione della rete energetica. Serge Latouche ha demistificato il

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Connessi alla società civile

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ruolo della crescita infinita del PIL come fattore unico del modello disviluppo. Si tratta di traghettare il sistema economico verso un processodi decrescita felice. L’etica dipende da scelte di vita, da stili di compor-tamento concreti, dalla coerenza con cui si segue un modello di con-sumo o di sviluppo sostenibile a partire dalle scelte quotidiane comeimpiegare bicchieri di vetro al posto di quelli di plastica.

Il nostro movimento ambisce a essere un catalizzatore del cambia-mento, rendendo più veloce la transizione verso il futuro: ciò consentedi raccogliere il consenso di tanti giovani e dei ceti più innovativi del Pae-se. È internet come struttura policentrica e diffusa, anti-gerarchica e di-stribuita, a caratterizzare la forma del nostro movimento: più che il ta-lento o le competenze individuali, è il network e la sua connessione conla società civile a fare la differenza. La possibilità del cittadino di esse-re attivo, di interagire con contributi originali e istanze dal basso arric-chendo la qualità della conoscenza sui problemi e partecipando diretta-mente alla formazione dell’opinione pubblica. Se un’idea è valida vie-ne condivisa e diffusa in modo virale. Questo impiego di strumenti di co-municazione libera e priva di gerarchie produce una svolta in particola-re sulle nuove generazioni che arrivano a interagire con internet primaancora dei media tradizionali come la televisione. In Indonesia, per esem-pio, è arrivato prima il web della televisione. Questo determina una ri-voluzione nei rapporti con la comunicazione e nella libertà dell’informa-zione: un’idea falsa fa fatica a diffondersi in rete mentre può essere vei-colata e mistificata in una struttura broadcasting come una televisionecontrollata dall’alto. C’è una vera e propria guerra in corso tra i mediaper il domino della comunicazione: internet sta vincendo grazie alla suapervasività e alla sua capacità di assorbire gli altri media tradizionali. Ilweb 2.0 sta modificando il modo di produrre e diffondere i contenuti ela comunicazione. Sul piano politico internet è un vettore incredibile einarrestabile di democrazia, basti pensare al movimento degli indignatiin Spagna, la primavera araba, il VDay di Beppe Grillo l’8 settembre 2007,una data singolare per l’Italia, che raccolse in una sola giornata 350milafirme per una legge di iniziativa popolare: qualcosa di mai avvenuto pri-ma e che mostra quanto possa essere dirompente l’impatto del web sul-la capacità di auto-convocazione e di trasformazione delle democraziegrazie ai nuovi media. I nuovi media sono dialettici per definizione, nonsono solo ricettivi, ma permettono di auto-convocare eventi, aumentan-do esponenzialmente il tasso di democrazia reale dei Paesi.

Per quanto riguarda la selezione delle sue candidature, il Movi-mento 5 Stelle si è impegnato a fare delle primarie aperte “on line”,senza una prefigurazione a monte dei candidati sostenuti dal movi-

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mento. Si pubblicano i curriculum su internet per farsi conoscere gra-zie alla rete presso gli attivisti. Si viene posti sotto la lente di ingran-dimento per consentire di valutare competenza, attitudini, coerenza, va-lori, credibilità. Un esame ai “raggi x” nella massima trasparenza.Questo consente di conoscere in modo approfondito chi si candida aun ruolo di leadership pubblica. Noi intendiamo la funzione politicacome un “servizio civile” a tempo, non estendibile oltre due legislature,ciò ci preserva da avere appeal presso gli aspiranti professionisti dellapolitica: il nostro movimento non può avere appeal presso eventuali tra-sformisti che volessero entrare nel nostro sistema solo per carrierismopersonale. Con questa semplice norma crediamo di aver costituito unefficace sistema di anticorpi per prevenire qualsiasi contagio da partedella casta politica. Il nostro movimento richiede come requisito indi-spensabile di ammissione il fatto di non possedere alcuna altra tesseradi partito e dunque si tutela dal rischio di chi, appartenendo a partiti indeclino, voglia infiltrarsi nel movimento per salire sul carro dei vinci-tori visto il successo in tutte le competizioni elettorali recenti e le pre-visioni di enorme crescita nei prossimi anni.

Il politico non può essere un tuttologo, ma deve ha avere delle com-petenze pur se non altamente tecnico operative, ma culturali e di indi-rizzo. Il rapporto tra politico e tecnico deve essere tale per cui la com-plessità deve essere affrontata con competenza e analisi – pensiamo alpolicy making, alla determinazione delle politiche pubbliche con unproblem solving di tipo razionale configurando diversi tipi di scenarisu cui operare le scelte. Senza il supporto di un think-tank compostoda un gruppo di esperti neutrali e ispirati da una assoluta onestà intel-lettuale, la decisione politica rischia di essere solo ideologica e nonpragmatica oppure ispirata dall’opportunismo politico. Noi non inten-diamo ridurre la nostra azione politica a una querelle ideologica aprio-ristica: destra vs. sinistra, ma dare il nostro assenso su singoli progettiin linea con al nostra visione di sviluppo. Noi pretendiamo che tutti gliatti e i processi di decisioni politiche vengano resi pubblici e sottopo-sti al giudizio della pubblica opinione in modo assolutamente traspa-rente. Sono i processi che conducono alle decisioni finali nel chiuso deipalazzi della politica, nell’opacità dei compromessi partitocratici, chespesso vengono posti sotto sordina modulando ad arte un calo di vo-lume e di attenzione mediatica proprio per far passare nel silenzio me-diatico e nella distrazione dell’opinione pubblica le scelte più crucialidella politica nazionale o locale.

(Matteo Calise, consigliere Movimento 5 Stelle)

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Connessi alla società civile

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Loris Casadei

Una leadership ottimale, sia per quanto riguarda il mondo privatoche quello pubblico, si fonda su due presupposti: il primo, la compe-tenza di tipo tecnico, il secondo, il carisma individuale che dipendedall’essere riconosciuto come leader grazie a una ben definita e tra-sparente investitura nel ruolo di responsabilità. Un buon leader si ca-ratterizza per una decisa focalizzazione sul raggiungimento di obiet-tivi ambiziosi definiti in modo chiaro, unita a una spiccata attenzioneal clima relazionale istaurato con i collaboratori.

Questo doppio binario di attenzione ai risultati e alle persone è de-stinato a variare in funzione delle condizioni in cui il leader è chiamatovolta per volta a operare. In una situazione caratterizzata dall’emer-genza come quella che sta attraversando una nazione come la Grecia,chi è chiamato a occupare un ruolo di leadership politica, di fronte alladrammatica urgenza di tenuta complessiva del quadro politico-econo-mico della nazione, dovrà necessariamente sacrificare l’attenzione allaqualità della relazione con le persone e concentrarsi esclusivamente sulraggiungimento degli obiettivi improrogabili posti dagli stringenti pianidi risanamento economico, non dovendo badare alla eventuale impopo-larità dei provvedimenti presso l’opinione pubblica. In una situazionemeno drammatica invece il leader può permettersi di concedere unamaggiore enfasi sulla ricerca della qualità delle relazioni e del consenso.

A questo proposito ricordo un esemplare film in bianco e nero:“Twelve o’clock high” sulla battaglia di Inghilterra tra RAF e LUFTWAFFE

come perfetto apologo sulla necessità di variare il modello di eserci-zio della leadership. Il comandante dell’aviazione inglese, amato daisuoi uomini cui concede molti privilegi, è un leader saggio, rispettatoe popolare, ma dopo le prime sconfitte, viene sostituito da un nuovoufficiale aggressivo e spietato che non concede benefit di alcun tipo aisuoi uomini istaurando una disciplina ferrea. Dopo aver sventato untentativo di insubordinazione dei sottoposti insofferenti e demoraliz-zati, riesce a cogliere un primo successo militare e a interrompere laserie di debacle della sua squadriglia e motivare gli aviatori a credere

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in se stessi e nella possibilità della vittoria finale. Da questo film sievince in modo esemplare come il leader deve riuscire a conservare ivalori di riferimento, sapendo al contempo variare l’atteggiamento tat-tico a seconda della situazione. Un vero leader deve possedere questadoppia attitudine, ma è difficile perché come esseri umani natural-mente si tende a offrire un solo lato di sé mantenendo un atteggiamentoinerziale e fissato su una sola modalità monocorde. Se preferiamo farciamare ci è difficile assumere atteggiamenti duri e intransigenti: ma illeader vero deve possedere, o meglio, sviluppare, questa ulteriore abi-lità di modulazione del proprio stile di potere sintonizzato sulle neces-sità volta per volta contingenti.

Il sistema pubblico italiano ha vissuto negli ultimi tre lustri una si-tuazione per così dire paradossale: l’attività meritoria dell’inchiesta“Mani pulite” dell’inizio degli anni Novanta ha segnato la svolta epo-cale verso la c.d. “Seconda Repubblica”, ha allo stesso tempo determi-nato l’azzeramento delle classi dirigenti consolidatesi nella prassi della“Prima Repubblica”. La Democrazia Cristiana, il Partito Comunista,l’area socialista e i partiti di matrice liberale sono scomparsi dall’oggial domani dall’agone politico come conseguenza diretta delle inchie-ste sulla corruzione e dei suoi effetti corollari sul sistema politico delPaese. Prima di tale terremoto politico la classe dirigente pubblica ve-niva lentamente formandosi all’interno delle strutture e delle correntiinterne ai partiti politici. Il partito secessionista e poi federalista sortoin antitesi allo status quo della Prima Repubblica, la Lega, non ha casorappresenta oggi il partito con la classe dirigente anagraficamente piùgiovane che si è venuta formandosi a partire da quella stagione di tran-sizione. Con il crollo dei vecchi partiti del Novecento è conseguente-mente venuto meno tutto il sistema delle strutture di formazione poli-tica. Oggi assistiamo a tentativi di leadership a livello locale espressisulla base di liste civiche piuttosto che partitiche, generalmente estra-nei per scelta all’adesione ai grandi valori ideali plasmati in una ideo-logia coerente, ma assemblati sul campo a partire da esperienze con-crete di governo locale, di amministrazione quotidiana, di gestione deibisogni concreti e dei servizi da erogare al cittadino. Si va affermandouna classe dirigente nata e radicata su un terreno esclusivamente locale.L’emblema di questo fenomeno è la grande popolarità dei nuovi sindacisu cui si vanno costruendo alcune delle più brillanti e rapide carrierepolitiche di questi anni. Tutta questa efficacia a livello locale moltospesso poi si scontra con la mediazione del rapporto con i piani altidella politica di livello nazionale. Questo modello di leadership localeintercetta e incentiva una istanza diffusa di partecipazione dei cittadini

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più larga possibile, a partire dai consigli di quartiere fino al consigliocomunale. Si tratta di valorizzare un terreno di esplorazione e forma-zione politica che permette la nascita di nuovi leader in grado di rea-lizzare sul campo un autentico autogoverno della concretezza.

Oggi il tema del federalismo e del decentramento, fino a qualcheanno fa bandiera politica di un unico partito, è ormai accettato nellesue linee di fondo da gran parte degli schieramenti. Assistiamo a unafenomeno per certi versi contraddittorio: da una parte è stato tolto ilvoto di preferenza, si è impedito di fatto ai cittadini di esprimersi di-rettamente sulle persone dei candidati, ma allo stesso tempo si vannodiffondendo istanze sempre più sentite di democrazia diretta e parte-cipata da parte dei cittadini a tutti i livelli. Il fenomeno vede polariz-zarsi una antitesi: un impoverimento e una distanza della politica na-zionale da un lato, e dall’altro una crescita della considerazione diuna politica locale a diretto contatto con i cittadini. Il controllo di-retto e percepibile in prima persona da parte dei cittadini sulla mac-china amministrativa del Comune si rivela essere la vera piattaformadi partenza per un percorso di apprendistato e di lancio verso la crea-zione di leadership di respiro nazionale. Le recenti elezioni ammini-strative e le consistenti percentuali di partecipazione ai quesiti referen-dari hanno mostrato il ritorno al valore collettivo della politica dopoanni di crescita costante dell’astensionismo. C’è una nuova attenzioneverso dopo anni di distanza e disaffezione.

Pur nella differenza delle prassi e delle finalità, anche nel mondodelle imprese si sta registrando un fenomeno che ha anche dei trattisorprendentemente analoghi: la presenza di grandi gruppi nazionaliche proprio per la loro complessità tendono a dismettere un controlloferro stringente verso le situazioni periferiche, consentendo il molti-plicarsi di leader locali e dall’altro la necessità per le imprese di radi-carsi con una forte collocazione nel terreno del sociale. Le finalitàdel profitto e della costruzione del valore economico non sono piùvissuti come radicalmente alternativi, ma piuttosto secondo una rela-zione di integrazione crescente dato che il ruolo dell’impresa tende adassumere sempre maggiore rilevanza sociale con ricadute positive sulcontesto allargato della comunità. Questa contaminazione di finalitàtra pubblico e privato, pur nel pieno riconoscimento delle differenzeistituzionali, si ritrova anche nella leadership delle organizzazioni, chemostra una discreta abilità a migrare dal pubblico al privato e vice-versa. Una figura manageriale sia nel settore privato che nel settorepubblico deve comunque essere sempre fondata su competenze tec-nico organizzative di base che, se presenti, consentono anche una certa

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intercambiabilità tra ruoli. Indubbiamente il management del settore privato si caratterizza per

una maggiore rapidità decisionale, per una maggiore propensione al-l’innovazione motivata dalla necessità di efficacia ed efficienza misu-rata in tempo reale sul mercato. Nelle aziende di tipo privato è confe-rita al leader l’occasione di scegliere direttamente i propri collaboratori,di assegnare direttamente degli obiettivi e misurare performance pre-miando i successi. Tutto questo invece trova degli ostacoli rilevanti, pernon dire insormontabili, all’interno del settore pubblico, dove l’attivitàdelle risorse è codificata in modo rigido e burocratico, dove le moda-lità di compenso e incentivazione degli uomini sono stabilite da normegiuridiche inderogabili. La cultura organizzativa del settore pubblicorende perciò quasi impossibile esercitare con efficacia le classiche fun-zioni dell’azione di management. Il manager pubblico è spesso privodegli strumenti del comando, non riceve gli strumenti per allineare l’a-zione dei collaboratori alla cultura aziendale e alle strategie del gruppo.Per questo si deve restituire anche al management pubblico quegli stru-menti tipici di chi è chiamato ad amministrare una situazione com-plessa di guida di uomini. Il leader si differenzia dal puro manager inquanto dispone di una funzione carismatica con un riconoscimento du-plice che proviene dall’alto con una investitura, dall’altro deve esserelegittimato e riconosciuto sul campo direttamente dal gruppo dai col-laboratori che si fidano di lui. È necessario un riconoscimento pub-blico. Si discute se un affermato leader del settore privato può eserci-tare una funzione utile per la comunità che è il luogo della politica.Proprio per la distruzione di una intera classe politica oggi si sente par-lare spesso di imprenditori che potrebbero assumere ruoli politici scen-dendo in campo nell’agone politico.

Così come sta crescendo una nuova classe politica a livello locale,anche le associazioni hanno fatto grandi progressi in anni di latitanzadella politica. Confindustria e le associazioni di categoria gestisconoun intreccio di relazioni in grado di surrogare il ruolo spesso assentedella politica nazionale in questo momento storico. Serve una mag-giore istituzionalizzazione nel processo di ricerca e di selezione diélite all’interno di queste tipologie di associazioni che si muovonopragmaticamente ma anche con valori e idealità, sia sul terreno degliinteressi di categoria ma anche di quelli del sociale.

Non credo che sia il modello organizzativo o istituzionale a poterrisolvere da solo il problema della morale pubblica: anche la miglioredelle leggi elettorali possibili è impotente se si scontra con il malco-stume e l’illegalità degli uomini. Se analizziamo la legge elettorale in

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vigore che avrebbe dovuto portare a un bipartitismo semplificando ilquadro della competizione politica, vediamo che la frammentazione ti-pica della Prima Repubblica si è riproposta all’interno delle coalizioniche si sono succedute in tutti questi anni. Quello che le istituzioni di so-lito fanno, al di là della struttura organizzativa che si danno, è sempreconnesso a quello che lo strato profondo della società decide di fare.Noi abbiamo una società non granitica ma frammentata e il sistemapolitico non fa che rispecchiarne la forma e le dinamiche. In Francia lamaggiore unitarietà della forma-stato e delle sue istituzioni di più so-lida tradizione restituisce una maggiore coesione del sistema politicoin una forma più solida e maggiormente accettata dalla comunità eanche i valori dell’etica pubblica, della trasparenza sono più presentinella cultura istituzione della Francia.

Ripensare a politici intellettuali e allo stesso tempo leader comeEinaudi o Spadolini, veri e propri statisti, evoca immediatamente unconfronto con la palude culturale del presente politico. Il modello cor-rente non è quello di un bene comune di una morigeratezza e un rigoredella contabilità pubblica. Il tema dunque è quello dell’esercizio delpotere: quando abbiamo un uso distorto del potere si genera un ef-fetto negativo. L’esercizio del potere deve avvenire in modo traspa-rente in vista di obiettivi che siano chiari in quanto vi siano situazionidi divisione tra interesse collettivo e interesse privato.

Come si realizza un esercizio controllato del potere: ciò dipendedalla cultura etica di chi lo esercita. Gli atti che passano attraverso unaautorità politica passano attraverso una amministrazione che spessonon cambia al variare del cambio politico, che mantiene una impar-zialità nella propria azione. Attenzione ai propri atti e all’efficienza diun modello di esercizio del potere che richiede una tecnica della ge-stione del potere. L’etica delle intenzione e la cultura del rispetto delleregole. Vi saranno comunque sempre episodi di gestione disonesta deldenaro pubblico, ma certamente è fondamentale costruire un maggioreprofessionalità della politica dal punto di vista della competenza dellagestione e dei processi del sistema pubblico. Servono politici chehanno fatto esperienze di formazione, non possiamo più permettercipolitici eletti grazie al consenso demagogico ma privi di una necessa-ria cultura del governo. Non possiamo scadere a selezione di candida-ture politiche fatte esclusivamente di subrette televisive, ex sportivi,attori in disarmo, artisti falliti o comunque persone senza spessore au-tenticamente politico e amministrativo. Fare politica richiede compe-tenze di tipo politico. Come fare a stabilire una relazione diretta tra po-litici ed elettore quando si fuoriesce dal Comune di pochi abitanti in

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cui esiste una relazione immediata diretta tra rappresentati e rappresen-tanti. In questo caso ci si avvale della televisione. Molti leader politicisi sono fortemente esposti in televisione e traggono la loro popolaritàproprio dal rapporto con la televisione. Le persone amano votare qual-cuno che conoscono: questo è un dato da tenere presente. Oggi forse ilweb, forse internet è in grado di modificare il rapporto tra televisionee democrazia. Nasceranno movimenti e campagne tramite web face-book, twitter, ma il rapporto di fiducia può nascere per noi esseri umanisolo a partire dal contatto con una persona, il contatto diretto. Il citta-dino oggi tende a rifiutare i candidati sconosciuti o espressione di ap-parati autoreferenziali dei partiti, o imposti dall’alto o comunque prividi una connessione con la società civile.

Il problema della politica è connesso a una crisi del linguaggio pub-blico; da questo punto di vista si pone il problema di un linguaggio sem-pre più banale e per slogan. C’è una statistica di oltre 20 anni fa che ri-velava come circa il 70% delle frasi dei politici non veniva conclusa: im-maginiamo oggi come sono peggiorate le cose, basta assistere a untalkshow di politica. La parola politica è un legame con l’anima dellepersone come già il pensiero greco aveva compreso. I sofisti portavanoi loro massimi livelli di paradossalità del linguaggio arrivando allo scet-ticismo ma anche insegnando come la parola potesse essere falsificatae dunque ponendo l’attenzione verso i rischi del linguaggio. Io non sonoa favore del pensiero debole, ma certamente una buona quota di relati-vismo è un fattore decisamente importante per mettere in dubbio le cer-tezze di politici che cercano di mistificare la realtà violando il senso ela logica del linguaggio. Per questo occorre ripartire da una formazionepolitica che riporti la leadership al rigore verso il linguaggio e al ri-spetto della comunità che è costitutivamente insieme comunità di valorie comunità di parola. I valori etici sono l’asse portante della comunitàsociale per questo sono i soli in grado di aggregare anche in momentidi sfaldamento attorno al rigore e allo spirito di sacrificio e all’irrinun-ciabilità della ricerca del bene autenticamente comune.

(Loris Casadei, direttore generale Porsche Italia)

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L’isola della bellezza e della creatività

Gabriele Centazzo

Considero leader colui che persegue una linea guida con coerenzao, meglio ancora, colui che traccia una vision e riesce a entusiasmarei suoi collaboratori per rendere l’obiettivo condiviso. Ciò detto, pensoche l’Italia avrebbe estremo bisogno di un vero leader con un sognoda condividere con tutti i cittadini.

Il nostro Paese è come una barca in mezzo al mare, piena di fallee in procinto di affondare. Abbiamo chiamato i tecnici, perché cer-chino di tappare i buchi e salvare la nave dal naufragio, ma una naveha bisogno anche di un comandante, che sappia manovrare il timoneverso una direzione definita, fuor di metafora la linea guida. Pur-troppo i tecnici sono troppo impegnati nel lavoro di chiusura dellefalle e il timone è libero, senza nessuno al comando. Inoltre l’equipag-gio non è composto da bravi marinai, ma da politici che costituisconouna ciurma litigiosa, riottosa e anarchica, sempre pronta a ordiretrame sottocoperta, sempre pronta all’ammutinamento. All’interno diquesto equipaggio, poi, ognuno ha un’idea diversa sulla direzione daintraprendere o, peggio ancora, nessuna idea.

Ma quale potrebbe essere la giusta direzione per l’Italia? Quale lasua visione? Quale il suo sogno?

In lontananza scorgiamo alcune isole e dobbiamo scegliere doveapprodare, per poter offrire possibilità economiche alle generazionifuture. C’è l’isola delle materie prime: per noi non è una buona meta,perché l’Italia ne è priva. C’è l’isola della produzione di grandi nu-meri a basso prezzo, ma l’Italia ha il costo del lavoro dieci volte piùalto che in altri Paesi e non può competere in questo campo. C’è l’i-sola della ricerca di base, ma qui certamente non riempiremmo le stivedella nostra nave, perché per anni abbiamo investito pochissimo inquesto settore. Eravamo tra i primi al mondo nella chimica, con il pre-mio Nobel Giulio Natta, inventore di materie plastiche, ma i poli dellachimica italiana sono ormai diventati veri e propri cimiteri arrugginiti.Eravamo leader dell’elettronica con Olivetti, che ha realizzato il primocomputer al mondo, e per miopia politica abbiamo lasciato morire

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un’azienda modello a livello mondiale. Eravamo tra i primi nella fisica,ma quasi tutti gli scienziati sono emigrati in altri Paesi.

Verso quale isola, dunque, deve essere diretta la nave-Italia conuna rotta ben definita da un grande leader carismatico, che sappiacoinvolgere tutta la ciurma politica verso un’unica direzione?

Rimane l’isola della creatività e della bellezza.Per creatività non intendo quella che scaturisce da progetti piani-

ficati e di lungo periodo come la ricerca di base, nella quale non ab-biamo investito. Credo che il nostro Paese possa primeggiare in unaforma di creatività spontanea e ingegnosa, fondata sull’intuito del pic-colo imprenditore in grado di realizzare brevetti sulla base della ca-pacità di elaborazione del pensiero e dell’intelligenza individuale.

Questa forma di creatività naturale, però, si perde se non vieneopportunamente stimolata. Per nutrirla è necessario rifondare il nostromodello di istruzione, inserendo sin dalla scuola primaria nuove ma-terie che stimolino la capacità di elaborazione del pensiero. Il nostrocervello è come un ingranaggio che, se non viene utilizzato, si arrug-ginisce: possono essere inserite informazioni su informazioni, ma senon vengono elaborate non si ottiene vera conoscenza. Il problema dimolti giovani è proprio questa mancanza di elaborazione del pensiero:arrivano miliardi di stimoli, ma non vengono elaborati e strutturati inun percorso di esperienza conoscitiva e creativa.

L’altro capitale che troviamo nell’isola dove dobbiamo dirigerci èla bellezza.

Anche qui è fondamentale incidere nei programmi scolastici, in-serendo fin dalla prima elementare la storia dell’arte, lo studio deglistili e utilizzando metodi efficaci per sensibilizzare i sensori della bel-lezza, in modo che non si atrofizzino fino all’incapacità di indignarcidi fronte al suo sfregio.

Creatività e percezione della bellezza: due abilità da valorizzarecome capisaldi della formazione delle nuove generazioni italiane,come capitale da incrementare per i nostri figli e nipoti.

In Italia viviamo circondati da paesaggi, tesori artistici e architet-tonici di inestimabile valore.

Perdere la capacità di riconoscere, comprendere, interpretare labellezza, significa perdere la nostra memoria, la nostra identità. Nellanostra penisola, nasciamo provvisti di particolari antenne, i “sensoridella bellezza”. Atrofizzare questi sensori naturali significa perdere lacapacità di intercettare i segnali della sua presenza.

È indispensabile, per la nostra sopravvivenza, riuscire a cresceregenerazioni curiose, sensibili e in grado di assorbire e rielaborare la

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conoscenza in maniera creativa. Per esercitare il gusto e la culturaestetica è necessaria una vera e propria educazione alla bellezza: in-nanzitutto dobbiamo educare alla sensibilità percettiva della bellezza.

E, partendo da quella estetica, possiamo fare un salto ulteriore,sino al livello dell’astrazione concettuale, al pensiero della bellezza,la cosiddetta “bellezza filosofica”, un ideale perennemente in fuga cherichiede di essere sempre rincorso. Questa necessita di un forte desi-derio, di una costante applicazione, di una volontà assoluta, di un la-voro appassionato, di perenne movimento: chi si ferma è perduto e siritrova nella bruttezza. È indispensabile, allora, educare i giovani allabellezza insegnando loro a interpretarla e a distinguerla dal nichilismoe dalla banalità dell’omologazione e della standardizzazione. Non èun compito facile, perché negli ultimi decenni abbiamo distrutto il ca-pitale naturale fregandocene delle generazioni future, abbiamo depre-dato la ricchezza del lavoro attraverso le speculazioni finanziarie, ab-biamo costruito industrie e aziende artigiane pensando solo a massi-mizzare i volumi senza porre attenzione alla qualità estetica dei luoghidi lavoro. Dentro questi ambienti, questi cubi di cemento che sono lefabbriche, è possibile sviluppare la creatività e la bellezza?

Noi industriali abbiamo una precisa responsabilità, quella di va-lorizzare e sviluppare la creatività diffusa nelle aziende italiane, nellequali i necessari obiettivi economici devono essere affiancati da unafocalizzazione sulla cultura e sulla tecnica della bellezza. Se il sistemapubblico ha il dovere di portare creatività e bellezza all’interno dellescuole, gli industriali italiani hanno il compito di diffondere la cul-tura della bellezza all’interno delle fabbriche. Se vogliamo essere in-ventivi e creativi, se vogliamo realizzare “cose belle”, dobbiamo con-siderare questa cultura il valore più grande all’interno dell’azienda.

Abbiamo perso tempo rincorrendo le chimere della finanza, alla ri-cerca del denaro facile: è un approccio che nel lungo periodo tende adistruggere la capacità industriale. Dobbiamo considerare, inoltre, ilfatto che il sistema capitalista non può più reggere a lungo, perché è ba-sato sull’aumento della produzione all’infinito: in uno spazio finitocome la Terra, però, i consumi non possono crescere indefinitamente.Il consumo, inoltre, crea rifiuti, la bellezza non crea rifiuti. L’Italia,per uscire da questa spirale distruttiva, deve rinnovare la propria iden-tità artistica e culturale e ripristinare la sua secolare capacità artigianalee creativa. Possiamo risalire la china della crisi solamente investendosu questa capacità, ma serve una vera e propria rivoluzione, una nuovavisione guidata da un leader in grado di aprire una prospettiva di spe-ranza e di offrire nuovi ideali all’Italia del Ventunesimo secolo.

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Il leader deve tracciare un segno riconoscibile, trasmettere una vi-sione intelligibile, mobilitando l’impegno collettivo. Colui il qualevorrà guidare questo processo di cambiamento dovrà porsi all’incro-cio tra la strada tecnica e quella umanistica: è nel punto esatto del-l’incrocio tra le due vie che si può elaborare una visione creativa. Eanche le scuole non dovranno più essere solo umanistiche o solo tec-niche, ma tecnico-umanistiche, perché l’innovazione nasce dall’in-treccio dei saperi, dalla contaminazione delle pratiche. Il grande pit-tore dispone di pensiero, filosofia, cultura, unita a un’ottima tecnicadel disegno e del colore. Il leader, allora, dovrà saper utilizzare, inmaniera corretta ed equilibrata, sia le competenze tecniche sia quelleumanistiche.

Il leader, poi, dovrà recuperare il senso etico che abbiamo ormaiperso. Per farlo, potrebbe iniziare la sua opera imparando a mettere insuccessione, come diceva mia nonna, quattro verbi: essere, ogni indi-viduo è unico e originale e dotato di un pensiero e di una personalitàautonoma; fare, il lavoro nobilita l’uomo; avere, come giusta ricom-pensa del fare; condividere, cioè saper offrire la propria esperienzaagli altri. Non dovrebbe certamente invertire l’ordine dei verbi, comespesso accade oggigiorno: molti mettono al primo posto l’avere peressere utilizzando la cosiddetta “finanza creativa”, che esclude il fare.

Il grande leader, dunque, mantiene sempre l’etica come prospet-tiva principale della sua azione, non può essere un furbo individuali-sta, un personaggio scaltro con un universo ristretto ai propri piccoliinteressi personali. Una visione alta, nobile, forte ed etica della poli-tica è come un’essenza che impregna tutto quello che c’è attorno. Illeader che dispone di un’idea forte trascina sempre chi ha vicino a sé.Il leader autentico dispone di un alone carismatico, non ha bisogno dipensieri complessi e strategie sofisticate: le idee vengono automati-camente accolte dai suoi collaboratori attraverso un processo naturalee spontaneo, ma questo nasce solo da una visione e da un’idea vin-cente. Poche parole, pochi concetti, ma credibili.

Un leader innovativo dovrà essere capace di superare mille ostacolie dovrà dimostrare di possedere lo spirito della sfida. E ancora: deveavere la dote dell’umiltà, non può essere una persona esaltata, perchése diventa un idolo esce dalla dimensione della purezza dell’etica. Alleader servono essenzialmente tre doti: speranza, coraggio e tenacia.Deve avere speranza, perché senza speranza non può sussistere la vi-sione del futuro. Deve avere coraggio, perché senza coraggio non sirischia niente e si rimane sempre fermi e ancorati alle proprie certezzestatiche. Deve avere tenacia, per perseguire fino in fondo l’obiettivo.

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Il sociologo Zygmunt Bauman, a una domanda sulla mancanza dipossibilità per i giovani contemporanei, risponde così: “Vaclav Havel,nella sua battaglia contro il regime illiberale della Cecoslovacchia co-munista, non aveva né armi né esercito, non poteva avvalersi di potentimezzi di comunicazione, ma aveva tre virtù personali: la speranza, ilcoraggio, la tenacia. È stato perseguitato, arrestato, torturato, ma allafine è stato in grado di rovesciare il sistema comunista con una rivo-luzione pacifica”. Tutti possono disporre, se davvero lo vogliono, diqueste qualità. Con speranza, coraggio e tenacia si può diventare verileader e cambiare il mondo.

Il leader che cerca la bellezza, che cerca l’etica, automaticamentecerca anche la verità. Chi raggiunge un certo livello di eticità e di per-cezione della bellezza, porta dentro di sé, naturalmente, una vocazionea cercare il senso della verità: sono tutti elementi connessi tra di loro.

L’elemento della complessità dell’organizzazione burocratica im-patta sull’efficacia innovativa della leadership: una scala piramidaletroppo strutturata blocca la creatività, sia nelle grandi aziende chenelle amministrazioni pubbliche. La piccola organizzazione, al con-trario, ha un’elasticità enorme, che consente di comunicare in ma-niera ottimale e, per esempio, di trasformare immediatamente un’in-tuizione in un prototipo.

La crisi che stiamo attraversando, tuttavia, non è ancora suffi-ciente a determinare il cambiamento, perché attualmente stiamo solocercando di riportare la locomotiva della crescita capitalista a correrecome prima. Il treno, mosso da questa locomotiva, per correre ha bi-sogno di lubrificante e di energia. Il lubrificante, che consente l’au-mento della velocità mitigando l’attrito prodotto, è l’aumento del Pro-dotto Interno Lordo (PIL). L’energia, che muove il convoglio del capi-talismo, è la felicità del possesso: quello capitalistico è un sistemafondato sulla creazione di desideri e dal soddisfacimento dei desideristessi attraverso la produzione di beni di consumo. Il desiderio di pos-sesso porta all’acquisto di questi beni e fa scoccare la scintilla chemanda avanti il treno del consumismo. Tale processo (desiderio-acqui-sto-felicità del possesso-nuovo desiderio) è stato sempre più accele-rato per obbedire alle leggi del sistema capitalista, ma, come accen-nato precedentemente, tale corsa non può avere un futuro. È necessa-rio recuperare altri modelli di felicità, come la felicità dell’amore, lafelicità della simbiosi con l’universo, la felicità della bellezza, mo-delli che non siano il possesso degli oggetti e l’impulso al consumosfrenato. Ora si cerca di riavviare il treno, ma questo sforzo non potràche andare verso una crisi ancora più grande: è un intero sistema che

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non può più stare in piedi. La direzione del treno non l’ha decisa nes-sun leader, ma la forza impersonale e meccanica dell’economia capi-talista e neoliberista. Il capitalismo finanziario ha saldato le rotaie inun cerchio, è la finanza la nostra filosofia di vita, è lei che dato unadirezione circolare al treno. Così noi siamo schiavi della finanza, cheè diventata padrona del nostro pensiero, e la bellezza rimane in se-condo piano. Non abbiamo saputo orientare i binari del treno, perchéeravamo impegnati, all’interno delle nostre comode carrozze, a con-sumare la felicità del possesso. Ora dovremmo trovare il coraggio disprigionare un’idea e una forza ideale in grado di ripristinare una vi-sione lineare e progressiva, in grado di liberarci dal gioco circolare diuna produzione finalizzata al nichilismo del consumo.

Per tutto ciò che abbiamo scritto è indispensabile un leader do-tato di intelligenza morale, di purezza estetica, di chiarezza intellet-tuale, che sappia dare slancio a un nuovo destino di creatività esisten-ziale e a una nuova libertà morale: ne va del senso stesso del nostrovivere, individuale e collettivo. Solo se il nuovo leader sarà in gradodi tracciare una linea guida basata sulla bellezza potrà costituire at-torno a lui un movimento nel quale tutti gli italiani, qualunque lavorofacciano, qualunque iniziativa intraprendano, invece di chiedersi sestanno facendo una cosa conveniente o furba, si pongano innanzituttouna domanda: “Sto facendo una cosa bella?”. Se operai, impiegati,politici, industriali, ricercatori, studenti avessero in mente questo in-terrogativo, saremmo già all’inizio di un “Nuovo Rinascimento Ita-liano”, basato sulla vision di una nuova leadership, che abbia comemete creatività e bellezza.

(Gabriele Centazzo, presidente Valcucine)

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L’isola della bellezza e della creatività

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Marco Colatarci

Ogni nazione esprime una classe dirigente che, seppur in modoindiretto, attraverso gli strumenti istituzionali della rappresentanzapolitica, finisce comunque per riflettere le tendenze di fondo presentinella società civile. La classe politica esprime i livelli di cultura civicae le concezioni di etica pubblica presenti in un popolo in un determi-nato momento storico, ne rappresenta perciò uno specchio fedele. L’é-lite politica non rappresenta un corpo separato dal popolo, ma rivela,nel bene e nel male, valori e comportamenti presenti nella società dicui è espressione. Nel corso del tempo il rispecchiamento tra popoloe classe politica può arrivare a interrompersi; in una democrazia com-piuta tale cambiamento può però essere certificato solamente permezzo dello strumento delle libere elezioni. La qualità e lo standarddi etica pubblica praticata in un Paese dipende in larga misura dallapresenza di una dinamica di scambio virtuoso e dialogo tra i settoripiù impegnati della società civile e l’élite politica. Perciò tutte le com-ponenti attive della società hanno il dovere di farsi carico, con unosforzo comune mirato e condiviso, di elevare il livello di cultura dellapartecipazione e di impegno diretto nel sociale: solo nel dispiegarsi diuna relazione sinergica e sussidiaria tra classe politica e formazionisociali è possibile arrivare a costruire un tessuto sociale sufficiente-mente equilibrato, pluralista e policentrico.

Il mondo industriale, il sistema bancario e più in generale delleimprese produttive, deve sempre più imparare a confrontarsi con que-stioni che si spingono ben oltre la mera creazione di profitti e utiliper gli azionisti e che assumono una rilevanza di più largo impattosociale. Si tratta di “fare bene” il proprio compito, includendo nel pe-rimetro della propria azione, anche la responsabilità verso l’esterno,quello che nel mondo anglosassone viene chiamata “Corporate SocialResponsability”. Il confronto con il paradigma della sostenibilità rap-presenta un terreno di sfida che mette alla prova il management azien-dale con questioni di ampio respiro che coinvolgono l’essenza stessadell’azione imprenditoriale in una responsabilità di vasta portata, che

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coinvolge il sistema del business all’interno dello spazio allargatodella comunità in una prospettiva a lungo termine. Un processo ana-logo dovrà a fortiori sempre di più essere attivato dal sistema pub-blico e dal mondo universitario, che rappresenta un punto strategicodi riferimento per la creazione di competenze fondamentali necessa-rie a dare respiro alla competitività e alla crescita del sistema-paese.

Nella direzione di un ristabilito equilibrio meritocratico si potràfinalmente arrivare ad aprire un luogo cruciale, uno spazio pubblicodi discussione collettiva e leale confronto di proposte, una sorta dimoderna Arena delle idee dalla quale, attraverso una civile e equili-brata competizione potrà nascere e svilupparsi una nuova classe diri-gente caratterizzata da una tangibile diversità e da una profonda di-scontinuità con quella presente. Sembra quasi scontato a dirsi, ma,per nulla facile a farsi, il fatto di scommettere sui giovani per trasfor-mare a fondo, anche antropologicamente, la classe dirigente del Paese.Il ricambio comporta un radicale ripensamento e rimodellamentodella società nei suoi valori portanti: è fondamentale innanzitutto in-vestire sulla qualità etica dei nuovi leader. L’attitudine morale, lo stiledi vita pubblica e privata, l’intransigenza dei comportamenti priva diombre anche su aspetti più di dettaglio, sono aspetti portanti che con-tribuiscono a delineare il profilo etico di leader integerrimi: finquando vi saranno personaggi privilegiati caratterizzati dalla grettezzae dal misero malcostume dell’appropriarsi del rotolo di carta igienicain un Grand Hotel, risulterà del tutto utopico aspirare a una classe di-rigente credibile, perché l’onestà è una abitudine mentale e un abitomorale di rigore verso se stessi, che non sopporta eccezioni e che solose trova origine dai comportamenti privati e anche minimali può ar-rivare alle questioni più alte e generali. L’etica pubblica si genera apartire dalla coerenza e dal rigore dei comportamenti privati.

In questi ultimi anni il mondo politico ha mostrato una preoccu-pante lontananza dai problemi concreti dei cittadini al punto da veniroggi percepito addirittura come “irrilevante”, come il “grande assente”,rispetto alle drammatiche questioni che assillano una società travoltadalla violenza di una crisi economica senza paragoni e senza confini.

In questo contesto, i manager d’impresa, i cosiddetti tecnici, pos-sono rappresentare una risorsa preziosa per il Paese, contribuendo aesprimere anche nell’amministrazione pubblica una leadership matu-rata in contesti globali ad alta complessità e caratterizzata da multicul-turalità, internazionalità e grandi competenze organizzative e gestio-nali. Non si tratta di replicare una mentalità aziendale nella politica,l’amministrazione dello Stato segue infatti finalità, logiche e mecca-

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nismi diversi dalla gestione di una azienda privata, ma piuttosto di im-plementare una mentalità di misurazione e miglioramento dei processiseguendo parametri di maggiore efficienza anche nella Pubblica Am-ministrazione. Ma è davvero difficile pensare che i manager d’impresalascino un’azienda privata dove hanno conseguito un ottimo livello diresponsabilità e remunerazione, per andare nel “pubblico” come “am-ministratori della cosa pubblica”. E non sempre i precedenti hanno di-mostrato che questa migrazione tra management privato e pubblicofunziona davvero. Si tratta di due mondi che, nel nostro Paese, per cosìdire viaggiano in parallelo. Per cui anche in Italia, come in Francia,sarebbe auspicabile la creazione di una sorta di “Grande École”, una“Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione” con docenti in-ternazionali di alto livello in grado di preparare giovani in gamba e al-tamente motivati a occuparsi di Pubblica Amministrazione. Questo po-trebbe essere il primo cambiamento davvero epocale. Anche nel mondodell’impresa, la dimensione “politica” è fondamentale, per i leader, perpoter influenzare e agire. Etichettare come “dilettanti” del potere i ma-nager prestati alla politica è un modo molto parziale di descrivere larealtà. I “professionisti” della politica si sono mostrati padroni del “me-todo”, ma non altrettanto del contenuto.

A livello della classe politica, l’appartenenza a un partito piutto-sto che a un altro non dovrebbe essere frutto di una scelta solo unila-terale ed ideologica, ma di una apertura su una visione della volontàgenerale e motivata dal desiderio e dall’impegno di migliorare la con-dizione complessiva del proprio Paese e dei propri concittadini. Esserchiamati a far parte della classe dirigente dovrebbe essere vissuto noncome un privilegio fondato su una logica opportunistica di vantaggiopersonale, ma come un onore nella consapevolezza degli oneri che unruolo di vertice necessariamente comporta. La motivazione ad assu-mere un ruolo apicale nel sistema pubblico deve essere unicamentefondata sulla generosità e sull’orientamento per il bene comune. Perottenere questo, sarebbero necessarie alcune modifiche strutturali delnostro apparato Costituzionale: meno parlamentari, esclusione di tuttii privilegi, divieto di cumulo di incarichi, diminuzione del numero deiconsiglieri regionali e comunali, norme tassative sui limiti alla rieleg-gibilità per impedire ai politici di rimanere in eterno al potere, consen-tendo ai politici di rimanere in carica non oltre 5 o 7 anni al massimo.Il Governo Monti può rappresentare per certi aspetti un esempio in-volontario e ante litteram di questa auspicabile impostazione che ve-drebbe da una parte la tecnicità e la competenza come criterio di sceltae dall’altra la predeterminazione di una scadenza del governo non

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oltre il termine della legislatura come antidoto alla tentazione dellareiterazione sine die del potere.

La prima indispensabile caratteristica per un leader è il carisma:non si può guidare un gruppo senza essere in grado di comunicare e diessere convincenti e persuasivi. Da questo punto di vista, lo stile di co-municazione della leadership deve porre una enfasi particolare sul re-gistro emotivo e motivazionale: si deve trasmettere non tanto informa-zioni quanto emozioni. Il leader deve possedere e soprattutto saper tra-smettere una visione, una missione, e tutta la sequenza di obiettiviintermedi necessari per riuscire a ottenere lo scopo finale guidando ilgruppo con regole in grado di trasmettere la disciplina indispensabilea una svolgimento ordinato ed efficiente dei processi. Il leader deve es-sere credibile: perciò deve essere naturalmente “autorevole”. Deveinoltre essere aperto all’innovazione nel senso più ampio del termine.Deve poi anche essere dotato di un orizzonte multiculturale, deve es-sere cosmopolita e cittadino del mondo, capace di lavorare con per-sone di culture e paesi diversi. Il leader deve possedere una statura“culturale” di alto livello: chi non possiede una laurea o un ottimobackground culturale non è legittimato a guidare un gruppo in unmondo fatto di competenze e complessità. A questa indispensabile pre-parazione di base deve aggiungersi un solido bagaglio di competenzespecifiche maturate con anni di esperienza sul campo. Non è indispen-sabile essere leader, non è un obbligo, chi non dispone di un retroterraadatto si trova a usurpare un ruolo guida che non gli consente di esserericonosciuto come leader: è meglio fare altro, oggi non ci si può im-provvisare alla guida. Il leader è alla guida di un lavoro collettivo, deveperciò essere dotato spiccate capacità di lavoro di équipe, deve saperscegliere le persone e assemblare insieme i gruppi trasmettendo il prin-cipio secondo cui quello del bene comune è un valore che va oltre ilsuccesso dei singoli e trascende l’affermazione delle individualità. Datutte queste caratteristiche si evince un ritratto del leader che non deveessere un tecnocrate ma possedere doti umanistiche purtroppo sempredi più perdute nella società contemporanea. Umanista non significatuttologo o generalista, colui che sa un po’ di tutto (e forse non saniente), ma è colui che è un indiscusso portatore di valori positivi fon-dati su una visione generale e condivisa basata sul postulato che il benecollettivo deve prevalere sempre sul bene del singolo.

Da troppi anni il nostro Paese vive sull’inganno buonista del po-tersi permettere di concedere un posto di lavoro assicurato per tutti eper tutta la vita: ciò riguarda il settore pubblico, e in misura assaimeno appariscente anche molte grandi aziende private.

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Una burocrazia costosa, macchinosa e di una lentezza devastante,priva di un ponte di comando provvisto degli strumenti adatti a ren-derla più snella e funzionale con processi trasparenti.

Politici demagogici e impresentabili, incompetenti arruffa popolocui si concede maggiore ascolto e visibilità di chi invece si esprimecon la competenza e serietà di dati documentati reali e oggettivi. L’o-nestà intellettuale di chi parla con competenza è sovrastata dal rumoredi fondo di chi urla per imporre un punto di vista parziale che nega larealtà in nome della retorica della disinformazione. I dulcamara, ven-ditori del magico elisir che dona salute, giovinezza e amore si sono so-lamente trasformati, non estinti; molti oggi come ieri riescono a viverecon l’inganno: le nuove promesse ogni buon demagogo e ogni paras-sita sociale ben le conosce. Ma forse è più consolatorio l’inganno di chidice il contrario? Anche se televisione e media illustrano e promuo-vono un mondo facile: un esempio fra tutti, le domande, banali, deiquiz televisivi; il mondo è in realtà complesso e per viverlo da attoreprotagonista, comprenderne i meccanismi, leggere i fenomeni nellaloro evoluzione, anticipare le tendenze, e non semplicemente subirloda comparsa, senza comprenderlo, è richiesta una alta capacità di com-prensione intellettuale e una decisa consistenza psicologica e caratte-riale per affrontare con coraggio e proattività un futuro fondato sul-l’incertezza e la metamorfosi continua dei fenomeni e delle tendenze.

La forbice tra ricchezze immense e povertà assoluta in questi anniè andata crescendo: quando troppe persone con la pancia vuota si tro-vano di fronte alle vetrine del lusso e dell’abbondanza per sempre piùpochi happy few le rivolte nel lungo periodo sono inevitabili: anche sei tempi della storia sono imprevedibili. Abbiamo tradito il futuro deinostri figli costruendo un debito pubblico demagogico, irresponsa-bile e insanabile: occorre il coraggio di comunicare al Paese, senzaipocrisie e giri di parole, ad alta voce, la dura verità, sperando che unamaggioranza responsabile ne comprenda il senso e i corollari, oppure,stavolta tutto è davvero perduto.

Sicuramente il primo passo da fare è quello di riconoscere con do-verosa onestà intellettuale e prendere consapevolezza che certamentenon viviamo “nel migliore dei mondi possibili” come diceva il perso-naggio del professor Pangloss nel Candido di Voltaire. Successivamenteoccorre prendere atto della situazione con sano realismo e lavorare perindividuare e distinguere, con tutto il pragmatismo del caso, ciò che èineluttabile, e che sarebbe solo vana ostinazione tentare di ostacolare,da quello che invece possiamo “gestire” modificando e adattando il no-stro modo di vivere alle mutate condizioni del contesto nazionale e glo-

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bale. Questo dovrà avvenire in modo da rispettare il più possibile il vin-colo dell’equità, altrimenti le reazioni sociali non potranno che essereostili. Inoltre gli interventi di cambiamento devono essere integrate daopportune contromisure che bilancino i sacrifici, per esempio: la finedella politica del “posto di lavoro a vita” dovrà essere accompagnata danuove politiche sociali per l’erogazione dei mutui per la casa.

È necessario quindi spezzare definitivamente alcuni luoghi co-muni, dannosissimi per il futuro del nostro Paese, come quello del“Chi non paga le tasse è più furbo e scaltro di chi le paga”. Oppurequello secondo cui: “Per ottenere un risultato importante, è necessa-rio uno ‘scambio’: chi chiede deve essere disposto a remunerare il fa-vore, chi concede è nel diritto di chiedere una remunerazione (extra)”.Oppure ancora quello secondo cui: “Il rispetto delle regole e la cer-tezza del diritto sono variabili dipendenti nella vita sociale italiana”.Spezzare questo tipo di luoghi comuni significa operare una trasfor-mazione epocale dei costumi e della qualità della vita collettiva delnostro Paese, significa avviare una trasformazione culturale in gradodi attribuire un senso morale alla vita pubblica italiana.

Quella che stiamo attraversando oltre che una crisi sistemica è uncambiamento, ma cosa porterà con sé questo cambiamento è davveroimpossibile da prevedere, così è arduo predire come sarà costretta acambiare la prossima classe dirigente. Siamo forse sul sottile filo dirasoio tra rivoluzione, impoverimento irreversibile e riforme radicali,anche se si finge di ignorare la prima ipotesi: se sarà rivoluzione ilcambiamento comporterà inevitabilmente con sé una nuova classe dileader. i nuovi leader dovranno avere una caratura etica fatta innanzi-tutto di rinuncia a qualsiasi demagogia, virtù decisiva per affrontarecon realtà e onestà i problemi collettivi senza indulgere alla consola-zione e alla rincorsa del facile consenso.

Inoltre i leader dovranno mostrare di possedere il dono della coe-renza e della chiarezza, comunicando in modo chiaro e univoco. Equindi nuovi modi di porsi, prendendo spunto dal modelli ormai con-solidati nella dimensione dell’organizzazione aziendale, dove espres-sioni anglosassoni come “role model”, “walk the talk” fanno partedella prassi comportamentali, dove la leadership si confronta con l’at-titudine quotidiana a dare l’esempio con coerenza, modalità tutte at-tualmente ancora troppo lontane dalla pratica, e anche dalla culturapolitica del nostro Paese, ma certamente non impossibili da modifi-care nelle mentalità delle prossime generazioni alla guid

(Marco Colatarci, country manager Solvay Italia)

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Andrea Colombo

La leadership si fonda su alcuni elementi imprescindibili. Il primodi questi è la conoscenza intesa come cultura, possesso di nozioni,competenza e padronanza della materia da gestire. L’autorevolezzache scaturisce dalla leadership non può prescindere da una profondaconoscenza tecnica. È difficile mostrarsi leader all’interno di ungruppo senza possedere una indispensabile credibilità nel merito dellequestioni, sarebbe difficile poter rappresentare una guida, un faro pergli altri essendo impreparati, imprecisi, approssimativi sugli argo-menti delle decisioni: vale infatti il principio del “conoscere per de-liberare”. Evidentemente la materia oggetto della decisione può averelivelli differenziati di specializzazione e tecnicità: il leader non è te-nuto a essere il massimo esperto di un campo, ma certamente nondeve essere ignaro del significato e soprattutto delle conseguenze, deicorollari, dell’impatto della sua decisione.

Occorre inoltre distinguere tra autorevolezza e autorità all’internodi un gruppo: mentre in passato era il sigillo dell’autorità a segnare laforza del leader, oggi la guida efficace dipende dalla presenza di unacredibilità e un carisma fondato sul riconoscimento del gruppo che nedeterminano il grado di autorevolezza. La leadership richiede la pre-senza di spiccate doti relazionali perché i contesti organizzativi sonosempre più labour intensive e sempre meno capital intensive: le or-ganizzazioni sono sempre più incentrate sul fattore competitivo deter-minato dal capitale umano dato che macchine e tecnologie tendono atrasformarsi nel medio periodo delle commodity.

Paesi come l’Italia sono sempre più fondati sul settore terziario edove la produzione viene dislocata su altre nazioni: in un contesto diquesto genere è evidente che il capitale umano assuma una rilevanzadi gran lunga maggiore rispetto a contesti puramente produttivi e in-dustriali. La capacità di un leader di sviluppare delle alte relazionalidiventa fondamentale e strategica. Possesso di doti relazionali signi-fica capacità di ascolto che è molto diverso dal puro sentire, che im-plica una spiccata attitudine empatica cioè la capacità di immedesi-

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marsi nelle emozioni degli altri arrivando a comprenderne appieno ladifferenza prospettica e assumendo i punti di vista altrui con la raffi-nata abilità di coglierne dettagli e sfumature. Capacità relazionale si-gnifica anche grande disponibilità al dialogo, tendenza a non imporreil proprio punto di vista, ma a elaborare le proprie decisioni il più pos-sibile condivise.

Personalmente tendo a coinvolgere molto i miei collaboratori e adascoltarli e stimolarli a essere propositivi nelle idee e il più possibilecritici nei commenti, trovo inutili gli yes-man, non cerco l’unanimismoe il consenso acritico: il dibattito aperto e la posizione dissonante, ri-tengo contribuisca a sviluppare la creatività e il problem solving, ilmulticulturalismo consente di aprire prospettive da far scaturire solu-zioni innovative, allargando i punti di vista. In un contesto organizza-tivo come una azienda esiste ovviamente anche una gerarchia e a uncerto punto una decisione deve essere presa, ma normalmente non èuna decisione unilaterale e arbitraria di tipo top-down, ma è il fruttodi un lavoro analitico di squadra con un contributo allargato a unospettro ampio di collaboratori. La capacità di un leader di ascoltare ipropri collaboratori, di coinvolgerli, di stimolarli alla risoluzione deiproblemi, rappresenta un modello di partecipazione e responsabilizza-zione fondato su un concetto di intelligenza collettiva e distribuzionedella conoscenza. Questo percorso verso la condivisione di cono-scenze, di fusione di punti di vista diversi rappresenta un metodo di di-rezione vincente sia dal punto di vista cognitivo sia emotivo sia moti-vazionale, innescando un’attitudine diffusa alla circolazione della co-municazione e alla fiducia reciproca.

La sicurezza e l’assertività nello stile di comunicazione favori-scono l’effetto di favoriscono la percezione di autorevolezza. Chi èarrogante difficilmente potrà essere un leader. Il carattere autoritarioè completamente antitetico rispetto alle doti richieste a un leader. Al-zare la voce nei confronti del team non è utile ed è anzi dannoso ge-nerando risentimenti e non linearità e assenza di trasparenza nella co-municazione.

Un leader più che essere temerario o prudente deve essere con-creto, pragmatico e realista. Nella vita aziendale è evidente che ci sideve assumere dei rischi. È impossibile progredire o fare dei passiavanti senza prendersi dei rischi. Senza assumersi dei rischi non si sa-rebbe potuto godere di determinati risultati scientifici o tecnologici:certe conquiste dell’umanità non si sarebbero ottenute senza il corag-gio di osare. L’innovazione è figlia di questa attitudine umana. Il corag-gio non deve però sfociare nella follia o nell’avventurismo; il grado

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del coraggio o della prudenza varia in funzione del contesto, del mo-mento storico. Un leader deve partire da una base di pragmatismo spo-stando l’ago della bilancia secondo i contesti, sapendo assumere dei ri-schi il più possibile ponderati dalla ragionevolezza e dalla razionalità.

Un leader politico è evidentemente sempre sotto i riflettori dell’o-pinione pubblica molto più di quanto lo possa essere un leader d’im-presa. Difficile essere autorevoli se la persona non è dotata di valori,di principi, di un senso di responsabilità e di una moralità. Un politicoche ha l’onore e l’onere di guidare un Paese può essere tecnicamenteeccellente, può essere dotato di qualità relazionali strepitose, ma senon è dotato di un profondo senso del dovere, di un assoluto senso diresponsabilità, è del tutto inadatto perché incapace di perseguire l’in-teresse pubblico cioè la finalità che deve ispirare la sua missione. Ilproblema di questo Paese credo che sia innanzitutto culturale, e ancheconcettualmente la cultura di una classe dirigente viene prima delle re-gole, le regole devono essere ben fatte, agevolano o consentono di mi-nimizzare eventuali dispersioni all’interno del sistema, ma se non c’èuna cultura morale fondata sul senso di responsabilità e sul rispettodelle istituzioni con una consapevolezza di svolgere una funzione protempore e non basata sull’occupazione di poltrone e di porzioni di po-tere personale, non c’è regola che possa risolvere il problema.

Oggi a mio avviso c’è in Italia un profondo problema di cultura daparte della classe dirigente: non mi riferisco alla classe dirigente at-tuale cioè al governo Monti, ma alla casta partitocratica che ha occu-pato e invaso ogni spazio possibile di gestione della cosa pubblica in-curante di qualsiasi istanza di ricambio generazionale. Questo Paeseha la necessità assoluta di persone di moralità specchiata e di grandecompetenza istituzionale che siano orientate al bene del Paese e delfuturo dei giovani: non scordiamoci il fatto che soprattutto in politicavale la regola secondo cui: “il bene nel lungo termine è il male nelbreve termine e che il bene per le attuali generazioni si rivela un maleper le generazioni future”. Purtroppo le regole in questo momentosono un aggravante perché non limitano, non mitigano questa moltoitaliana propensione al mantenimento del potere. Il nostro è un si-stema che cumula la scarsa propensione morale della classe politicacon leggi sbagliate che non solo non impediscono ma che agevolanoil mantenimento del potere sine die.

I problemi di questo Paese non nascono oggi, nascono negli anniOttanta, oggi – per così dire – il cameriere è venuto a chieder un contosalato, ma in verità al ristorante ci si abbuffa da 30 anni. L’Italia devefare mea culpa dato che ha vissuto per decenni oltre le proprie possi-

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bilità, deve fare un bagno di sano realismo, che non è di pessimismo,ma è di puro realismo, da questo deve ripartire con una mentalità e unapproccio diverso: si tratterà certamente di un percorso difficile elungo, perché non si può cambiare mentalità dalla sera alla mattina, civogliono anni, a volte anche delle generazioni. È indispensabile unasvolta che rompa il circolo vizioso tra casta politica irresponsabile evoto di scambio, occorre compiere un profondo cambiamento con unospostamento del baricentro dagli interessi personali a quelli generalidel Paese e da interessi di chi ha già conquistato determinate posizionidi privilegio a interessi delle nuove generazioni. Occorre una serie diprovvedimenti importanti come la riforma pensionistica, le liberaliz-zazioni dove il governo sta purtroppo ancora toccando solo una partedel macromondo fatto di interessi di lobby e barriere all’ingressoenormi e la riforma del mercato del lavoro, dove, senza arrivare a unmodello iper-liberista di stampo americano, si deve fare, da parte ditutte le parti sociali, una riflessione sul fatto che il nostro sistema tu-tela molto chi è già entrato nel mercato del lavoro e ostacola chi cercadi entrare. Il prezzo di questo sistema è una barriera grandissima neiconfronti di chi vuole entrare nel mercato del lavoro, soprattutto le gio-vani generazioni. Occorre stimolare le imprese alle nuove assunzioni.

L’esempio cui ispirarsi è quello dei paesi nordici che permettonouna certa flessibilità allargando le maglie in entrata e in uscita delmercato del lavoro ma allo stesso tempo caricando sulle aziende unaparte rilevante dei costi e degli oneri degli ammortizzatori sociali.Una modifica del modello di welfare più che al modello anglosas-sone deve essere rivolta al modello continentale nordeuropeo comela Germania o i paesi scandinavi. Un modello che afferma due prin-cipi: fatta salva la protezione di quelli che sono diritti costituzionalicome il divieto di licenziamento discriminatorio per motivi di naturareligiosa, politica, razziale. Una volta protetti questi diritti e una voltaeliminate le casistiche relative ai licenziamenti discriminatori, il mo-dello prevede la facoltà per l’azienda di procedere ai licenziamentima allo stesso tempo chiede alle aziende di sobbarcarsi i costi degliammortizzatori sociali connessi a un licenziamento. L’azienda devepagare i costi sociali legati a un licenziamento e gli incentivi all’e-sodo. Si tratta di un modello fair di relazione tra datore e prestatoredi lavoro che tende a scaricare il costo della flessibilità non sulla co-munità ma sulle aziende.

Lo scacchiere geopolitico del nostro continente è profondamentecambiato, ogni singolo Paese fa fatica a trovare una propria identità eruolo, l’Europa è un perimetro assolutamente necessario e fondamen-

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tale ma per poter mostrarsi al mondo deve operare come un soggettounico in una ritrovata unità di strategie e di finalità, invertendo la ten-denza degli ultimi anni dove, tra veti e necessità di conservare marginielevati di sovranità dei singoli Paesi, non solo in materia di politicaestera, ma anche di politica economica e monetaria, si è mostrata conun volto troppo frammentato e disomogeneo, fornendo un facile alibiai suoi detrattori e avversari. Sono stati probabilmente commessianche errori tecnici da parte dell’élite europea che, seguendo unaroadmap di integrazione con i paesi più deboli troppo affrettata, haavuto il torto di mettere a dura prova la tenuta del progetto europeo nelsuo complesso. La fretta, che nei processi storici rischia spesso di farecompiere passi falsi, è invece auspicabile per spronare le velocità diriforme che sono urgenti in Italia. Per quanto riguarda il nostro Paese,mi auguro che la componente tecnica riesca a rimanere in sella il piùa lungo possibile: l’Italia, in questo passaggio tra i più complicati edifficili della sua storia, necessita di una classe dirigente esclusiva-mente competente e sganciata dalla complicità con qualsiasi interessedi parte per dedicarsi esclusivamente all’interesse generale del Paeseche richiede scelte super partes, dolorose ma indispensabili.

(Andrea Colombo, amministratore delegato di Namco Bandai Partners Ita-lia e vice presidente Mediterranean Region del Gruppo)

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Per un futuro di dignità

Gherardo Colombo

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Traducendo il concetto anglosassone leadership nella parola ita-liana guida, e interrogandomi sulla dibattuta querelle circa la guidadel Paese, che ha assunto una declinazione sempre più personalistica,devo dire che, in controtendenza rispetto a chi discute delle qualità ecompetenze personali per delineare il profilo più adatto al compito, iocredo invece che la guida non debba tanto essere cercata, quanto piut-tosto essere riscoperta, perché è già presente da ben più di mezzo se-colo: è la Costituzione. Contrariamente a chi si ostina a personalizzarela leadership associandola a un singolo individuo, io invece credo chela guida spetti ai princìpi contenuti nella nostra Carta fondamentale.Se la guida è la Costituzione, la guida della guida, la chiave di voltadell’architettura costituzionale si può trovare nelle prime parole del-l’art. 3 dove è scritto: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”.L’articolo contiene, infatti, non solo un principio fondamentale, maanche una sorta di meta-principio, un canone ermeneutico, un crite-rio con cui leggere e interpretare il resto del testo costituzionale. Ilprincipio di pari dignità fornisce il tono fondamentale, la nota attornoa cui accordare tutta la struttura armonica della Costituzione.

Lo stesso principio di uguaglianza, altro cardine fondamentaledella Costituzione, è in fondo un corollario, una conseguenza logicadel riconoscimento della dignità universale dell’essere umano. Il rico-noscimento della dignità rappresenta un valore in sé, ma da ciò con-segue anche che, solo se tutte le persone sono pienamente degne, al-lora è logico e necessario che debbano essere trattate in modo uguale.

Il primo comma dell’art. 3 esprime il riconoscimento dell’ugua-glianza formale dei cittadini: i cittadini hanno pari dignità sociale e diconseguenza sono uguali davanti alla legge. Il secondo comma del-l’art. 3 aggiunge al principio di uguaglianza formale il concetto diuguaglianza sostanziale: dato che esistono ostacoli di ordine econo-mico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cit-tadini, la Repubblica si assume il compito di ripristinare condizioni dipari opportunità per tutti i cittadini per consentire un pieno sviluppo

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della persona umana. I padri costituenti hanno lavorato attorno allacesellatura e all’armonizzazione sistematica di queste norme, elabo-rando un nucleo che chiamerei esperienziale di princìpi irrinuncia-bili. Una esperienza non solo etica e valoriale ma esistenziale e sto-rica: l’elaborazione del nucleo profondo della Costituzione è infatti ilfrutto dell’intenzione di tutelare la nascente Repubblica da derive au-toritarie e illiberali come la dittatura fascista, da tragedie assolutecome le leggi razziali e da drammi collettivi come il secondo conflittomondiale e la conseguente guerra civile. Preferirei impiegare la parolaprincìpi piuttosto che valori, perché, mentre quando si parla di valorisi tende a delinearne il valore assoluto, la perfezione ideale auto-evi-dente in senso platonico, quando invece si impiega la categoria deiprincìpi si fa riferimento a concetti dinamici che sono sempre in mo-vimento e in relazione. Da una parte c’è una concezione meta-storicae universalistica dei valori assoluti e dei diritti naturali, dall’altra cisono princìpi storici e relativi fondati su elementi esperienziali e fina-lizzati pragmaticamente a evitare di ripetere errori del passato.

Nel disegno dei costituenti si mostra la dialettica di una pluralitàdi culture politiche e sensibilità sociali differenti: cattolica, sociali-sta, comunista, liberale, azionista che esprime una sintesi in una con-vergenza attorno al nucleo dei princìpi fondamentali della Costitu-zione. La Carta costituzionale prevede la propria possibile riforma at-traverso la strumento previsto dall’art. 138, ma in chiusura l’art. 139sancisce l’impossibilità della revisione della forma repubblicana e deiprincìpi fondamentali sui quali si fonda. Il nucleo dei princìpi fonda-mentali della Carta costituzionale è finalizzato alla garanzia della li-bertà e non a una visione assolutista e totalitaria come quella di unoStato etico. La nostra Costituzione difende la libertà di coscienza deicittadini da ogni tentativo di imposizione dall’alto di valori assoluti daparte di uno Stato etico che si erge a detentore di una moralità univer-sale. Ciò avviene grazie al riconoscimento della dignità persona, dacui consegue la tutela della libertà di ciascuno, che è anche il presup-posto per l’effettivo funzionamento della democrazia.

L’art. 1 della Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblicademocratica, ma la democrazia è possibile soltanto se i cittadini sonodavvero liberi. La libertà di opinione, di parola e il suffragio univer-sale sono gli strumenti fondamentali per l’esercizio effettivo della so-vranità del popolo. Se tutte le persone hanno la stessa dignità e quindisono in grado di esercitare la democrazia, allora il punto di equilibrioda trovare è dato dalla relazione tra il popolo e chi lo rappresenta. Ilproblema fondamentale è dunque quello del buon esercizio della li-

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bertà da parte dei cittadini e cioè dalla capacità di essere liberi. Ciòconduce al tema cruciale e decisivo dell’educazione alla libertà. Sitratta di contribuire a trasformare l’aspetto formale della libertà inaspetto sostanziale: tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali indignità e diritti; ammesso che possa effettivamente accadere, ciò sta-bilisce il principio secondo cui nessuno può essere ridotto in schiavitùo perdere la propria soggettività e capacità giuridica. Ma un neonatonon è per nulla libero, persino la sua vita e sopravvivenza dipendedagli altri: siamo infatti la specie fondata sulla cura più che sulla na-tura, abbiamo bisogno di tutto per sopravvivere, dipendiamo intera-mente dagli altri. Dunque non siamo liberi al momento della nascitama lo diventiamo successivamente attraverso un percorso. Si diventaliberi attraverso l’educazione e la relazione. Se non si compie un per-corso educativo non si diventa mai liberi. Perciò sono indispensabilile relazioni con le figure simboliche che accompagnano un percorsoverso la libertà, contribuendo a plasmare punti di riferimento e al con-tempo tutelando la libertà di coscienza dell’individuo in formazione.

Il contesto familiare è decisivo: sarebbe sbagliato essere deter-ministi nell’interpretazione della genesi della personalità deviante ocriminale, ma è al contempo innegabile come la generalità delle per-sone che nasce in un ambiente familiare di camorra tendenzialmentediventa camorrista. Il linguaggio delle relazioni sociali dell’ambientein cui si viene cresciuti assume un grande impatto nell’evoluzionedella personalità. Il linguaggio contribuisce a delineare il modellodelle relazioni intersoggettive. Pensiamo all’influenza sul modello direlazioni interpersonali di un impiego linguistico dei verbi al modoimperativo, come avviene in Italia, piuttosto che al condizionale,come avviene usualmente in Francia. Pensiamo al fatto che in Inghil-terra ci si rivolge indistintamente verso chiunque impiegando solo laseconda persona singolare, una forma linguistica che è lo specchio diun approccio differente, di un modello di pensiero e di relazioni so-ciali profondamente diverso da un universo culturale, linguistico egerarchico dove, alternativamente, si può impiegare anche la secondapersona plurale. La biografia familiare e il contesto culturale di rife-rimento, la relazione con figure e autorità simboliche incidonoprofondamente nello sviluppo della personalità e nell’educazione allalegalità e al nucleo dei valori dell’etica collettiva. Il tema del famili-smo amorale italiano è stato per anni un fattore decisivo nella genesidell’antitesi tra codice familiare e codice delle relazioni tra cittadinie nella forte tendenza anomica e anarcoide presente nel nostro si-stema culturale.

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Per un futuro di dignità

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C’è un rapporto complesso tra potere di influenza e libertà di co-scienza; la cultura infatti si fonda sulla capacità di condividere signi-ficati simbolici e visioni del mondo, perciò il potere di influenza giocaun ruolo fondamentale nel veicolare e trasmettere valori e principialle nuove generazioni. Da questo punto di vista è indispensabile tor-nare alla riflessione di Kant su cosa è l’Illuminismo, è necessario fa-vorire i processi che permettano alle persone di uscire dallo stato diminorità. La libertà autentica non è data una volta e per sempre, maè il frutto di un processo, di un rapporto di interrogazione quotidianocon le istanze del presente. La genealogia della libertà si fonda sulcoraggio di affrontare i dilemmi cruciali delle scelte in prima persona,senza demandare ad altri il rapporto con la verità a partire dall’assun-zione di una responsabilità personale.

In questa crisi si respira un clima di attesa dell’imperscrutabile,dell’ignoto che ci attende. Sarebbe bello riuscire a vivere questo mo-mento epocale di trasformazione con il coraggio e la volontà di esserciautenticamente, investendo tutta la vitalità di noi stessi per reindiriz-zare la crisi verso un’apertura a un nuovo modo di esprimere dignità,libertà e partecipazione.

(Gherardo Colombo, ex magistrato, presidente Garzanti Libri)

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Rottura di equilibri consolidati

Patrick Colombo

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Essendo una azienda familiare, sempre governata da membri dellafamiglia da sessant’anni, ci siamo trovati di fronte alla questione del ri-cambio generazionale come molte aziende fondate negli anni del do-poguerra. Questo diffusissimo tessuto imprenditoriale di piccole o mi-cro-imprese del nostro Paese si trova spesso ad affrontare comemomento critico la fase della successione generazionale che coincidecon il cambio di leadership: il fondatore dell’azienda per abitudine men-tale si sente inossidabile, insostituibile e fa davvero fatica a cedere loscettro del comando, abitudine peraltro condivisa dai nostri politici. Gliimprenditori degli anni ’50 e ’60 hanno sottovalutato questo problemarimandandolo sine die. Le nuove leve imprenditoriali italiane fanno fa-tica a indossare i panni dell’imprenditore perché purtroppo rispetto atanti loro colleghi stranieri debuttano alla guida a un’età troppo avan-zata: ben oltre i 30 e 40 a volte oltre i 50. Si tratta di un periodo di at-tesa troppo lungo che, invece di costituire un momento di maturazione,rappresenta spesso un lento sfiorire dell’energia emotiva e il coraggioche rappresenta il centro dello spirito imprenditoriale. Un debuttotroppo acerbo è certamente pericoloso, ma un ricambio troppo avan-zato rende il leader troppo responsabilizzato sulla conservazione delpassato piuttosto che spinto a cavalcare il nuovo. Viene a mancare l’op-portunità per il giovane di avere il tempo per commettere errori e dun-que per fare esperienza sul campo. Cominciare a essere leader a una etàtroppo matura significa non avere più a disposizione il tempo per sba-gliare e sperimentare e ciò incide in modo profondo sullo stile di con-duzione imprenditoriale italiana. Questo impedisce alle aziende di tra-sformarsi, ingrandirsi e internazionalizzarsi per meglio affrontare lesfide globali. Quello dell’imprenditore è un’attività rischiosa e totaliz-zante ma se esercitata in Italia diventa anche una lotta quotidiana per-ché poco valorizzata dal mondo politico, osteggiata da quello sindacale,accusata da quello dei media: l’imprenditore in Italia vive una situa-zione contestuale poco favorevole, mentre la sua è un attività che, purse esercitata nella ricerca di un profitto, assume una enorme rilevanza

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sociale. Per i piccoli imprenditori italiani, vale appieno la formula“nemo propheta in patria”: ma noi continuiamo a resistere e a crederenel futuro, non abbiamo mai pensato di de-localizzare all’estero econtinuiamo la sfida di ogni giorno mantenendo gli impianti produt-tivi nel nostro Paese. Io resto qui come imprenditore perché credo nonsia il caso di trasferirsi in Svizzera anche se sono a soli 15 km dal con-fine: perché, malgrado tutto, credo ancora nel valore del mio Paese.

Essere imprenditore richiede di possedere una scintilla dentro di sé:se non si è convinti non si può essere convincenti, per questo non è ob-bligatorio seguire la strada di una successione familiare; in assenza diconvinzione è meglio trasferire la governance ai manager. Senza cari-sma non si verrà mai riconosciuti come leader. I collaboratori perce-piscono immediatamente “a livello inconscio” la leadership: se la per-sona al vertice non viene riconosciuta come leader può venireconsiderata un capo, un superiore gerarchico con i gradi, che comandama che non coinvolge. Il capo ottiene risultati solo perché le personeeseguono, mentre il leader è colui che riesce a coinvolgere le personenei propri progetti. Il capo ha bisogno di essere presente per esercitareil comando, il leader è presente interiormente, nella mente e nella mo-tivazione dei propri uomini, anche quando è assente. Non è più attualeuna visione paternalistica, padronale e accentratrice del leader: oggi èfondamentale distribuire le competenze attraverso la delega e la respon-sabilizzazione. Il leader è un campo di energia che si irradia verso ilgruppo, è un catalizzatore di reazioni positive nella squadra. Crederenel progetto, nel gruppo: “uno più uno deve dare tre e non due”. An-che nei momenti difficili, il leader deve saper tenere la barra dritta, nondeve mai cedere allo sconforto dei suoi uomini, deve essere una figuradi sostegno motivazionale. Deve avere capacità di coaching cercandodi guidare il miglioramento e l’efficacia personale attraverso un’atten-zione individuale e mirata.

Tra le tante realizzate, ricordo in azienda un’esperienza formativamolto utile fondata sul role playing, basato sull’interpretare ruoli di-versi dal proprio: i collaboratori hanno avuto l’opportunità di interpre-tare le particolarità e difficoltà delle mansioni degli altri: grazie al-l’immedesimazione nei ruoli si è ottenuta maggiore comprensionedell’alterità e le dinamiche relazionali dell’azienda sono sensibilmentemigliorate. Chi ha sperimentato il ruolo di direttore generale ha potutoscoprire la difficoltà del prendere le decisioni, e la responsabilità delguidare gli altri. Si è compreso come il leader spesso ha un’idea, unastrategia, un obiettivo di fondo che spesso non riesce a trasferire edeve negoziare con gli altri più di quello che si pensi: il leader è in co-

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stante mediazione con il gruppo: solo attraverso questo può ottenererisultati veri che trasformano le cose e non il semplice assenso di fac-ciata senza convinzione. La curiosità, il desiderio di fare sempre qual-cosa di nuovo o di fare in modo diverso qualcosa, la voglia di evolverecontinuamente è alla base del leader inteso come vettore del cambia-mento. In tutte le sessioni di formazione in aula sono sempre statopresente in prima fila, spronando i collaboratori in prima persona. C’èsempre qualcosa da scoprire e pretendo che chi lavora in azienda con-tinui a imparare ad accrescere e distribuire la propria conoscenza ecultura. Allargare la conoscenza e la cultura in azienda è fondamen-tale, per crescere come professionisti, come persone e come gruppo:il leader deve essere ispiratore ma anche esempio coerente: se vuoleinnescare un cambiamento deve essere il primo a praticarlo.

I veri imprenditori non guardano al proprio vantaggio nel brevetermine, oggi purtroppo prevale una mentalità fondata sulla specula-zione finanziaria a cui interessa solo la performance di breve periodo,senza alcuna passione per le sorti dell’impresa. Il raggiungimento di unobiettivo richiede di porsi un obiettivo ulteriore altrimenti lo spirito im-prenditoriale si esaurisce. Il successo si fonda su questa ostinata dire-zione verso l’obiettivo, ma, per definizione, l’imprenditore è uno spi-rito inquieto con una passione per il fare instancabile e inesauribile.

Oggi il leader ha sempre più bisogno di tecniche e metodologieche gli dimostrino con i numeri che cosa sta facendo. La governancedell’azienda ha bisogno di essere supportata da metodologie statistico-matematiche sempre più sofisticate: una volta c’era più spazio per in-tuito ed empirismo, il fiuto dell’imprenditore era più rilevante, c’eraanche maggior possibilità per l’imprenditore di sperimentare com-piendo errori di percorso. Le informazioni circolavano meno veloce-mente e quindi c’era anche tempo per l’imprenditore per calibrare lasua azione, le sue decisioni potevano essere riassestate. Oggi i sistemiinformativi sono in grado di indicare quello che sta accadendo intempo reale e oltretutto di simulare con ottima precisione degli sce-nari evolutivi. Il guizzo geniale dell’imprenditore deve essere semprepiù supportato da tecniche e strumenti di simulazione degli effetti delledecisioni. Un aiuto massiccio alla leadership deriva dell’intelligenzaartificiale dei software. Si possono correggere errori veniali ma non er-rori fatali: occorre misurare le proprie decisioni con grande oculatezzaperché il mondo globale degli affari oggi è sempre più severo e puni-sce con severità errori che potrebbero compromettere la salute dell’a-zienda. Una volta il leader prendeva le proprie decisioni in solitudine,adesso ha bisogno della collaborazione dei propri stretti membri di

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staff che lo assistono nelle decisioni. Ci sono molte più riunioni, con-divisione degli obiettivi, scambio di pareri, c’è un processo di decisio-nale molto più strutturato, un coinvolgimento nel governo dell’impresadi una pluralità di soggetti che supportano tecnicamente il momentodella decisione del leader. Una struttura più diretta, meno formaliz-zata, più a rete, meno burocratica, con maggiore circolazione delleinformazioni e dialogo critico tra collaboratori e il leader.

I politici del dopoguerra erano autentici statisti che conoscevanobene il significato della politica, sapevano cosa doveva essere lo Stato,avevano una passione per la cosa pubblica. Oggi c’è un scarsa co-scienza della dimensione collettiva, una assenza non solo di compor-tamenti ma anche di educazione civica. C’è un desiderio di accaparrarsiqualcosa nel breve, brevissimo periodo senza alcuna cura per il futuro.C’è un distacco profondo dal valore del sociale. Abbiamo cominciatoa perdere di vista il sociale a partire dal momento in cui ne abbiamoconfuso il significato con il termine assistenzialismo, secondo cui tuttidovevano avere senza che nessuno dovesse dare. Dentro il concetto diattenzione al sociale c’è il concetto di rispetto e di responsabilità oltrel’individualismo esasperato e miope. Nella mia azienda erano presentiquesto tipo di atteggiamenti per cui ho voluto far comprendere ai col-laboratori, con un grande sforzo formativo, quali erano le ricadute diuna mentalità chiusa e autoreferenziale interessata esclusivamente allapropria parcellizzata parte del proprio processo produttivo e completa-mente disinteressata ai problemi della fase successiva. Questo atteg-giamento è stato corretto da una profonda azione formativa, e oggi chiè in difficoltà viene aiutato in un processo di aiuto reciproco e di lavorodi squadra. È indispensabile operare un lavoro di tessitura di senso pervalorizzare l’attività di équipe, per ricostruire il senso unitario del corposociale in un mondo che ha sempre più spezzato il legame sociale co-munitario e la solidarietà collettiva. Perdere un interesse verso un sensoè un accontentarsi di bassa qualità esistenziale. Serve crescere insieme,porre i propri dubbi in una dimensione costruttiva. C’è una rassegna-zione, un fatalismo diffuso a tutti i livelli. Come nella “Patente” di Pi-randello si accetta un ruolo passivo, la ricezione passiva di una identitàricevuta dall’esterno. Ma c’è la possibilità di uscire dal coro, le cosepossono essere cambiate, si può reagire alla condizione data. Io credoche l’Italia meriti impegno. I cittadini non sono numeri ma persone.Ogni cittadino è un universo che merita rispetto. Serve il rispetto per lapersona umana al di là dei ruoli. Dentro la persone c’è una inesauribilecapacità di stupire, di trasformarsi, di ricrearsi sempre, c’è sempreun’occasione per dare il meglio di sé.

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I politici, di fronte alla drammaticità della situazione, sembrano vi-vere come marziani, e tendono a fare una tattica nei confronti del go-verno Monti cercando di mantenere le mani libere. Questo è un go-verno che può portare l’Italia fuori dal sistema della concertazione cheha fatto dei grossi danni, perché concertano tutti, ma decide solo unaminoranza delle corporazioni. C’è un eccessivo garantismo per le mi-noranze che blocca la volontà generale della maggioranza con una sortadi paradossale dittatura della minoranza. Ci sono troppi intoccabili nelnostro Paese. I soliti professionisti della politica stanno già tramandonell’ombra: infatti mentre apparentemente tessono le lodi di questa sta-gione di sospensione della rissa permanente tra partiti, si stanno rior-ganizzando contro il governo tecnico. Ci sono lobby invisibili che fannoquello che vogliono e tramano nell’ombra per tutelare gli interessi fortiche hanno interesse allo status quo. I vecchi equilibri soddisfano solouna parte della società italiana, Monti ha le carte in tavola per instillareun germe di cambiamento epocale in Italia, ma è necessario che dopodi lui si operi un cambiamento integrale della classe politica di geron-tocrati che impediscono di aprire una stagione di riforme e trasforma-zione strutturale del Paese. Mi sembra che in questa fase si stia si ma-nifestando troppa connivenza e ambiguità, è come se nessuno sapessein fondo che gioco sta veramente giocando in una pericolosa tendenzaallo scambio dei ruoli: politici che fanno i confindustriali, industrialiche fanno i politici, tecnici che fanno i politici. Si tratta di una commi-stione di interessi che determina una pericolosa ambiguità nella classedirigente e nei poteri forti. Non ci siamo accorti della grande impor-tanza di nuovi Paesi in via di sviluppo con un grande energia e vogliadi crescere. Ci stiamo deindustrializzando senza aver consapevolezzache il terziario ha bisogno dell’industria. Stiamo creando una marea didisoccupati in Europa perdendo il nostro secolare know-how nei con-fronti dei Paesi emergenti o in via di sviluppo. Una sorta di abdica-zione dei Paesi occidentali fondata sulla stessa miopia politica con cuisi sono ammessi al WTO Paesi che non avevano nessun diritto a entrarciperché creano dumping economico verso altri Paesi.

Dobbiamo dare spazio a una nuova stagione di reindustrializza-zione moderna del Paese svincolata da ideologie e pregiudizi. Biso-gna dare spazio a una trasformazione integrale, una rottura deglischemi, una creativa rivoluzione delle regole per rilanciare il Paesecon regole nuove e uomini nuovi, pieni di entusiasmo e senza timoredi rompere vecchi equilibri corporativi.

(Patrick Colombo, presidente Sacma Macchina per Lamiera)

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Leadership tra complessità e incertezza

Fabio Cusin

Consideriamo la novità una buona notizia, la precarietà unvalore, l’instabilità un imperativo, l’ibridezza una fonte di ric-chezza; padroneggiamo tutti l’arte di vivere nel labirinto.

Così vedono oggi il mondo, secondo Jacques Attali, i figli dellacosiddetta “modernità liquida”: condizione quest’ultima che ognunodi noi esperimenta quotidianamente, anche senza aver letto ZygmuntBauman.

La società occidentale si modifica, con curva esponenziale, versocondizioni di complessità e incertezza (due facce della stessa meda-glia) inconcepibili sino a pochi anni fa; ma simmetricamente le nostrerisposte, gli strumenti utilizzati per il governo di queste nuove condi-zioni ci appaiono inadeguati.

“La velocità crescente consentita dalla tecnocrazia aumenta inmodo perverso gli effetti della nostra ignoranza, perché prevedere leconseguenze delle nostre azioni è sempre più difficile. È vero che leconoscenze complessive dell’umanità sono aumentate, ma è veroanche che la nostra ignoranza è aumentata di pari passo e l’uso di unatecnologia potente e rapida, che dà sempre meno spazio al momentodella riflessione, può moltiplicare i pericoli cui l’ignoranza ci espone”(G.O. Longo).

Anche spostando lo sguardo su quanto accade nell’ambito delleorganizzazioni aziendali – ambito che interessa chi scrive ma che deveinteressare anche chi legge, per le evidenti implicazioni sulla collet-tività – osserviamo un fenomeno che desta preoccupazione: la reto-rica del management tende alla neutralizzazione dell’incertezza, allasua rimozione.

Mentre la società liquida è tesa a cogliere ogni opportunità ancorainesplorata – magari in modo compulsivo/ossessivo –, nelle scuoledi management si continuano a proporre modelli di governo di orga-nizzazioni altamente complesse (quali sono oggi le aziende, speciequelle di grandi dimensioni) fondati su una visione tradizionale,

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“solida”, dove il cambiamento/incertezza è vissuto e affrontato comeun ostacolo da superare, un fastidio temporaneo da rimuovere (siveda in tal senso l’approccio abitualmente proposto verso il changemanagement).

“Oggi è il riconoscimento del ruolo non episodico o eccezionale,ma costitutivo, dell’incertezza una delle principali ragioni della crisidei modelli standard delle teorie e delle prassi nella vita organizzativae nell’esperienza manageriale” (Ugo Morelli).

In questo contesto, il tema centrale che si pone è senza dubbioquello delle forme di esercizio della leadership: ci dobbiamo cioè do-mandare se il modello dominante di gestione del potere è in grado omeno di assicurare alle nostre aziende una navigazione sicura nel mareinsidioso dei mercati a “concorrenza perfetta”, tra gli scogli dellacomplessità e dell’incertezza; ma la nostra risposta, come si intuisce,è negativa.

Non c’è manuale di management che, sul tema molto frequentatodel modello di leadership, non limiti la sua analisi sulle qualità sog-gettive del leader, pretendendolo a volte assertivo, carismatico, domi-nante, intuitivo; altre volte l’esatto contrario.

Non sono gli ingredienti a essere sbagliati, ma la ricetta in sé:quella navigazione travagliata oggi richiede una capacità nuova di dia-logo tra le diverse componenti dell’organizzazione, regole inedite didemocrazia interna, un’attenzione per il governo della partecipazioneai processi decisionali, fino alla “individuazione di vie originali per lagestione delle relazioni asimmetriche e del potere” (U. Morelli).

Il grande pensatore francese Michel Foucault ne Il pensiero difuori notava che “c’è sempre qualcosa, nel corpo sociale, nelle classi,nei gruppi… che sfugge in un certo modo alle relazioni di potere;qualcosa che non è affatto la materia prima, più o meno docile e resi-stente, ma il movimento centrifugo, l’energia di segno opposto, l’ele-mento sfuggente”.

Per affrontare e governare temi così nuovi e sfidanti servirebbequindi un leader nel quale si combinino armonicamente rare caratte-ristiche cognitive, emotive e realizzative: un campionario vivente diquelle che Howard Gardner definì “intelligenze multiple”. Ma quelleader, semplicemente, non esiste.

Gardner ha dimostrato infatti che l’intelligenza è costituita da uninsieme di facoltà differenti: tra quelle che il nostro leader/campionevirtuale dovrebbe possedere in egual misura segnaliamo l’intelligenzalogico-razionale, l’intelligenza sociale, l’intelligenza negoziale/con-flittuale, l’intelligenza introspettiva e quella valorizzativa/creativa.

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Chi può rispondere, allora, al nostro annuncio “cercasi leaderesperto navigatore nel liquido della post-modernità, spiccata intelli-genza multipla, astenersi perditempo?”. L’osservazione della realtà incui viviamo, come spesso succede, ci fornisce una risposta: oggi leorganizzazioni aziendali che vincono la sfida con la complessità sonoquelle che riescono a trasformare quest’ultima in materia propellente,coinvolgendo nei processi decisionali le migliori intelligenze dispo-nibili, selezionate per le loro differenze, sapientemente combinate traloro in un network a geometria variabile, mai uguale a se stesso, fattodella stessa sostanza del mondo che lo ospita.

Chi primeggia nell’arte di vivere nel labirinto non è Teseo, ma ilMinotauro, creatura multiforme per definizione.

(Fabio Cusin, presidente e amministratore delegato Gemeaz Cusin)

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