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"L'impossibile sulla Terra non esiste"

Torino 20 al 27 settembre 2014

evento organizzato da Inasherah Art in memoria di Gustavo Adolfo Rol

Si ringraziano per la realizzazione:

SAMO - OPEN SPACE FOR OPEN MIND

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Curatori:

Lucia Lo Cascio, Stefano Valente

Catalogo

Introduzione di Salvatore Fazia

Testi critici sulle opere a cura di Stefano Valente

Un ringraziamento speciale a Franco Rol

www.gustavorol.org

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"Come pittore ho scoperto i colori e la possibilità di esprimere il mio stato d’animo e i sentimenti

della vita attraverso i colori. Ne sono sempre stato affascinato e, attraverso questa esplorazione,

sono entrato nella luce stessa delle cose […] I suoni si rivestono di colori e i colori contengono la

musica […] Sarebbe sorprendente se il suono non potesse suggerire il colore, se i colori non

potessero dare l’idea di una melodia: tutte le cose sono sempre espresse da analogie reciproche,

fin dal giorno in cui Dio ha creato il mondo, come una complessa e invisibile totalità. Molte cose

possono apparire separate e differenti: l’uomo e la donna, l’inconscio e la coscienza, il giorno e la

notte, il sole e la luna. Le realtà sembrano fatte di opposti, di luce e ombra […] [si può perfino – si

direbbe magicamente - arrivare all’ascolto di tali realtà doppie nel senso di giungere alla visione

di tali analogie attraverso tutte le ambiguità della realtà rappresentata, ma in ogni caso] io non

sono affatto in grado di disporre di ‘queste cose’ a mio beneplacito. Anzi, quando tento di volerle,

mi sento immediatamente inibito. Io agisco di impulso, come sotto la spinta di un suggerimento che

suscita in me una specie di gioia indescrivibile. Tutto quello che mi viene di fare è spontaneo, e

diretto a beneficio di qualcuno o fatto per una qualche ragione che il tempo poi rivelerà."

Gustavo Adolfo Rol

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Indice

Descrizione Mostra pg. 5

Il territorio magico di Salvatore Fazia pg. 6

Opere in mostra

Annalisa Atlante “Memento mori” pg. 10

Diego Baldoin “Smile” pg. 11

Elena Bovo “Forget” pg. 12

Luciano Caggianello “L'impossibile non esiste” pg. 13

Sabrina Carletti “Oiseau de feu” pg. 14

Gabriele Colletto “Bambi” pg. 15

Andrea Croci (Gioppo) “ MISRIC 01” pg. 16

Roberto Giansanti “Creazione” pg. 17

Minghang Gong “The Way 2” pg. 18

Davide Lazzarini “OWL (Gufo)” pg. 19

Susy Manzo “è arrivato un bastimento carico di......” pg. 20

Fabio Mariani “Untitled dalla serie Sedimenta” pg. 21

Marco Mirabile “Neo-Ex” pg. 22

Jun Morita “R.E.” pg. 23

Emiliano Yuri Paolini “C'ero quasi riuscito” pg. 24

Stefano Rauzi “Untitled” pg. 25

Beatrice Riva “Incontro nella Luce” pg. 26

Roberta Sirignano “Orbs” pg. 27

Alberto Sordi “Spaesamento” pg.28

Beppo Zuccheri “Hermetic Scribbles n.9” pg. 29

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Descrizione Mostra

Torino, 20 - 27 settembre 2014 presso SAMO - corso Tortona,52, InAsherah Art inaugura la

mostra d'arte "L'impossibile sulla Terra non esiste".

La mostra è stata un'occasione per celebrare Gustavo Adolfo Rol, (Torino, 20 giugno 1903 –

Torino, 22 settembre 1994) a vent'anni dalla sua scomparsa. Rol è stato l'uomo che più di tutti nel

XX secolo ci ha insegnato a non arrenderci, a credere nelle infinite capacità dell'intelletto umano,

sempre pronti ad andare oltre quel limite autoimpostoci, tutt'altro che invalicabile perchè

"L'impossibile sulla Terra non esiste"!

partecipanti:

Annalisa Atlante, Diego Baldoin, Elena Bovo, Luciano Caggianello, Sabrina Carletti, Gabriele

Colletto, Andrea Croci (Gioppo), Roberto Giansanti, Minghan Gong, Davide Lazzarini, Susy

Manzo, Fabio Mariani, Marco Mirabile, Jun Morita, Emiliano Yuri Paolini, Stefano Rauzi, Beatrice

Riva, Roberta Sirignano, Alberto Sordi, Beppo Zuccheri.

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Il territorio magico

di Salvatore Fazia

L’artista opera ad una distanza zero dalla propria fantasia

Achille Bonito Oliva

In una discussione con Maurizio Ferraris a un certo punto, e ormai alla fine, Gianni Vattimo

chiude il discorso con questa battuta: ma chi ti ha detto che la realtà esiste? Carlo Marx aveva già

scritto: ai giorni nostri, ogni cosa appare pregna del suo contrario.

In principio c’è Hegel, e il lavoro del soggetto.

Che il mondo dell’arte apra le sue porte alle rammemorazioni della magia, a questo punto, non fa

meraviglia, da sempre l’arte - da Hegel in qua - è a disposizione di chiunque tenti la via d’uscita,

l’oltranza dal reale, l’uscita dai sensi ordinari, l’ingresso in altri sensi… sta in questo e si realizza così:

l’artista prende un campione di realtà e lo sottopone all’operazione dell’arte, isolando l’oggetto,

artisticamente operato, riformato, trasfigurato, che perde la sua qualità di cosa per assumere la nuova

qualità di posa, tutta un’altra aria, l’aura in che l’oggetto d’arte sale e sogna, e sognando traveste,

sposta e condensa la vista in una scena dell’altrove e al limite dei sensi, dove uno si perde e comincia

a fantasticare. È la virtù dell’arte, la sua stessa illusione di virtualità, che consiste nel produrre due noti

benefici sullo stato dell’anima:

a) portare fuori dal reale, Foucault pone addirittura il fuori alle soglie delle sue stesse origini. È

qualche tempo ormai che realtà virtuali e campi della quantistica interferiscono con ogni movimento

osservabile e non osservabile

b) portare tutto in un’altra condizione. E, siccome la sola anestesia dei sensi (l’estetica) non basta,

l’arte ha dovuto e deve inventarsi anche un ruolo di diretto intervento sul corpo reale o immaginario

delle cose, per darne una denuncia allarmata e per via chirurgica produrne la riparabilità simbolica.

Ecco allora la chirurgia (mano d’opera) dell’intervento a mano dell’artista, per un input di

quell’estetizzazione emotiva e visionaria, che non solo neutralizza il realismo negativo del contenuto,

ma lo replica in una trasfigurata estasi di altre e più volatili, effusive-diffusive, sensazioni, percezioni

immaginarie, ricche e ardenti, avvertite e misteriose… anche se, recentemente, avendo a che fare con

un’emergenza di situazioni statisticamente incontrollabili, l’arte ha forse dovuto inventarsi anche un

ruolo di pronto intervento mediatico molto più complesso sul corpo reale delle cose, per darne una

denuncia allarmata e per mostrarne la riparabilità fisica e simbolica… è il modo più recente dell’arte

di darsi al rischio di tutte le prove, e, forse, lentamente, di esaurirsi in tutta la sua leggendaria portata

ricreativa e metaforica; un rischio che consuma quello che è stato nel passato il suo stesso mistero, la

sua impressione di aura divina… e chi avesse visto finora l’intero campo delle sue applicazioni e il

gioco delle sue più recenti invenzioni, comincia ormai a temerne il pericolo dell’imponderabile… è a

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questo punto che l’arte potrebbe non incantare più, non più stupire, ripiegando piuttosto tra invenzione

e spettacolo, limitandosi, come fa, a dare emergenza a circostanze di un’estetica più piccola… → ha

forse già perduto però la sua virtù nascosta, la sua vaga teologia d’al di là… (Gadamer) → mai

snobbare il gioco dell’illusione, farsene più grandi…

In tempi e in modi incontrollabili episodi di una natura indefinibile facevano scena in incontri

giocati aldilà di ogni possibilità di definizione, la parola che li conteneva tutti era per tutti quelli che ci

credevano la parola MAGIA.

Già la santità è stata un tempo la virtù magica dell’arte quando l’arte, come la santità, faceva

miracoli e guarigioni: a) i miracoli delle opere d’arte che secondo il popolo dei devoti non erano

scientificamente spiegabili; b) le guarigioni di quelle malattie dell’anima che la vita del soggetto

contraeva sotto la pressione deformante della quotidianità ottusa e ossessiva.

Ma è nel 1971 (ABO, Il territorio magico, Stiav, Firenze) che avviene finalmente il colpo di stato

in virtù del quale l’anima dell’artista si libera da ogni pressione esterna e introduce la propria

espressione come tutto ciò che ha il proprio sapere e con esso il sapore stesso di un’altra vitalità. È

Achille Bonito Oliva che se ne fa interprete e garante in termini culturali, grazie ad un’azione critica

che apre il gioco stesso al nuovo umanesimo secondo l’unica circostanza dell’esistenza e nell’ambito

integrale del giro arte-vita: è ormai solo l’immaginario il gioco del proprio mondo, che non è un luogo

separato, ma al contrario è l’unico luogo nel quale si va incontro alla stessa e all’unica verità della

storia, per cui è l’artista a incontrarsi.

Che c’entra il richiamo della mostra alla magia.

Perché invocare il magico, il territorio magico, e di soppiatto insinuare l’idea che l’arte sfugga ai

doveri del sapere sovrannaturale e che come un cavallo di Troia introduca nella trasmissione dei sensi

lo stesso realismo multimediale, in concorrenza con la trasfigurazione tecnica che sempre più investe

il reale e con il reale l’azione sociale della comunicazione?

Bonito Oliva ricorre alla consulenza di un filosofo della storia e della comunità culturale come

Michel Foucault e ne riporta il pensiero più attivo quando osserva che l’immaginario non è un modo

della irrealtà, bensì un modo dell’attualità, di cui esporre la dimensione più primitiva. Quel che più

colpisce è che in problemi del genere, nel movimento in sequenza di reale-immaginario-simbolico,

Bonito Oliva ignori e comunque non convochi in citazione, e non richiami in proposito quello che

viene detto il modello lacaniano, dato che questo, nella nota sequenza, viene posto in posizione di

linguaggio e in vista della rivelazione dell’inconscio, in termini di fondazione strutturante dell’ego. È,

forse, per la sola intemperanza che si risolve a nascondere la serie delle tre domande, sulle quali

inevitabilmente si scatenerebbe tutto il movimento dell’identificazione soggettiva, dato che Bonito

Oliva - narciso a oltranza - probabilmente non riuscirebbe a sopportare la deludente stratificazione che

Lacan fa dell’Io, scomponendolo, differenziandolo, fratturandone ogni sua sublimata consistenza

identitaria?

È lo statuto strutturalmente paranoico dell’Io, che Lacan ha il coraggio di svelare, e che Bonito

Oliva ha l’interesse a occultare, determinato dalla necessità di preservare la credenza immaginaria

che ‘Io’ sia il luogo di una identità (M. Recalcati, Jacques Lacan, Vol. I, Desiderio, godimento e

soggettivazione, Raffaello Cortina, Milano, 2012, p. 37). Gli basta la letteratura filosofica che fa

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dell’Io il centro della identità soggettiva, la leggendaria definizione dell’Io penso, tra Renè Descartes e

Immanuel Kant, che costituirebbe la funzione trascendentale dedita alla ardente unità e alla

identificazione epica della vita del soggetto. Niente di più lontano dal modo con il quale Lacan coglie

la struttura di finzione, primamente immaginaria, dell’Io. L’Io non è affatto il fondamento ultimo del

soggetto, ma è esso stesso un ‘oggetto’. È il cuore dell’ispirazione sartriana della critica lacaniana.

Con un’aggiunta; l’Io è un oggetto composto di più strati, altro a se stesso, instabile, un oggetto privo

di unità e di centro. L’Io è un altro, je est un autre, ed è Rimbaud. E, ancora: se è vero che lo stadio

dello specchio offre al soggetto la possibilità di individuarsi come un Io, di costituire la propria

identità (è la sua dimensione narcisistico-giubilatoria), è anche vero che questo riconoscimento,

proprio in quanto si rende possibile solo sulla base di uno sdoppiamento - di una disgiunzione tra l’Io

e l’Altro, tra il soggetto Je e l’Io moi - diventa la fonte primaria dello statuto alienato del soggetto

umano (è la sua dimensione tragica).

Infine: la tesi di Lacan è senza sfumature: la follia più grande, la malattia mentale dell’uomo, il

sintomo umano per eccellenza è quello di credersi un Io. In che cosa consiste questa credenza? La

follia dell’Io risiede nel suo essere una ‘organizzazione passionale’, dalla quale fatalmente deriva la

dimensione originale dell’aggressività che trasfigura Narciso nella smorfia di Caino alle prese con

una concorrenza aggressiva dall’esito mortale. L’Io non è affatto il luogo della ragione, non è una

istanza deliberativa, non è espressione della volontà del soggetto, ma è il luogo di una infatuazione

esaltata.

È la distanza zero tra reale, immaginario e simbolico. Nessuna magia.

Salvatore Fazia

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Opere in mostra

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Annalisa Atlante "memento mori"

tecnica: ceramica smaltata e raku

testo di Stefano Valente

Guardando questi volti scarnificati e mummificati (che ricordano enigmatiche sopravvivenze

archeologiche di lontane civiltà precolombiane) non risuona se non come un eco lontano quel

'ricordati che devi morire' che dà il titolo all'opera. Qui non è solo in gioco una anticipazione

estetica della morte, indispensabile condizione di possibilità per l'uomo che progettandola voglia

dare un senso alla propria esistenza. C'è piuttosto la messa in opera di un chiasmo, per cui lo

spettatore oscilla nella sua indecisione tra una estetizzazione della morte ed una mortificazione

dell'estetica. Di fronte a noi restano ad interrogarci soltanto questi quasi-teschi tutti chiusi nel loro

enigma.

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Diego Baldoin "Smile"

tecnica: olio assorbito da resina epossidica

testo di Stefano Valente

Quello che colpisce in prima battuta di quest'opera è il suo mettere in questione la

rappresentazione dal suo stesso interno. L'artista vi prova intervenendo sulla superficie della

rappresentazione stessa ondulandola, perturbandola, agitandola, mettendola in tensione come se

fosse la superficie di un mare increspata di onde al soffio dello sguardo dello spettatore. La tela

non è più il supporto verticale neutro della rappresentazione, ma si rivela come un vero e proprio

campo di forze capaci di attraversare il nostro quotidiano – e così una innocente bambina diventa

l'espressione di una speranza: quella di eccedere la rappresentazione verso ciò che

rappresentazione non è.

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Elena Bovo "Forget"

tecnica: fotomanipolazione su carta fotografica

testo di Stefano Valente

L'atmosfera è insieme surreale ed iper-reale. Sembra di stare dentro un incubo ad occhi aperti.

Tutto è sospeso e non solo la giovane donna, afferrata da un paio di braccia che potrebbero essere

benissimo quelle di una trapezista. Infatti qui non c'è rete di protezione che tenga – anzi, c'è un

buco nero profondo e viscido dove sembra colare lo spazio e dove sta per precipitare la ragazza

stessa sorretta solo dal filo del nostro sguardo che la afferra senza lasciarla. Una bambina che ci

implora di non distogliere il nostro sguardo da lei per passare a vedere il prossimo quadro.

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Luciano Caggianello "L'impossibile non esiste"

tecnica: digitale su carta

testo di Stefano Valente

L'artista lavora costruendo una molteplicità di piani che si attraversano senza frantumarsi l'un

nell'altro. Così crea una profondità, però, non prospettica: qui, infatti, la profondità non è altro che

un effetto di superficie. In tal modo la rappresentazione diventa un nastro senza spessore simile al

famoso “nastro di Moebius”: più ne percorri l'interno e più ti ritrovi all'esterno e viceversa. Questa

superficie sottilissima non può essere abitata, ma solo percorsa ed attraversata senza sosta così

come sembra fare il piccolo omino nero raffigurato dall'artista come intrappolato dentro la

rappresentazione; omino che – come la mosca in trappola – potrà uscire dalla bottiglia solo grazie

al nostro aiuto.

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Sabrina Carletti "Oiseau de feu"

tecnica: mista su tela

testo di Stefano Valente

Quello che colpisce di più è lo schermo – fatto di gesti pittorici – che opacizza la percezione

dell'immagine. Quest'ultima è come alonata, è come se il soggetto dell'immagine fosse stato

ripreso troppo da vicino; il colore è sbafato; è come se qualcuno stesse soffiando su di

un'immagine disegnata sulla sabbia; oppure l'immagine stessa non è un volto sfigurato, ma una

duna del deserto, un insieme di dune rosicchiate dal vento caldo dello sguardo di chi guarda. É

proprio questo suo essere un'immagine alonata che chiude il volto della rappresentazione ad un

qualsiasi riconoscimento riducendo l'opera ad una continua emorragia di forma, ad un perpetuo

slabbramento che impedisce all'opera di diventare evento. Qui sta tutta la sua inoperosa

industriosità.

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Gabriele Colletto "Bambi"

tecnica: olio su lino

testo di Stefano Valente

In questo Bambi morbido e cadente, che non riesce nemmeno ad ergersi in piedi per assumere

statuaria posizione slanciandosi sul piedistallo della rappresentazione, non vogliamo vedere

soltanto il pro-memoria feticistico di un'infanzia che ormai non è più se non nel ricordo di quei

cartoni animati che la fantasticavano. Bambi è qui la presenza di un'assenza (l'assenza della madre

che nel film omonimo viene crudelmente uccisa). Ora la sua esile ed incerta figura richiama la

nostra attenzione non su di sé, ma sul nulla che la circonda: un vuoto che questo pupazzo di pezza

riesce comunque ad intercettare ed a farci sentire – a noi, tutti presi da una nostalgia

inconsapevole di se stessa.

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Andrea Croci (Gioppo) "MISRIC 01"

tecnica: mista su tela

testo di Stefano Valente

Quello che qui colpisce non è solo la tecnica dell'assemblaggio surrealista di elementi estranei e

tra loro incongrui nel tentativo di creare un troppo facile effetto di straneamento; e neanche il

facile effetto onirico provocato da operazioni artistiche equivalenti a quelle che regolano il

meccanismo del sogno (spostamento e condensazione); ma colpisce la qualità scritturale

dell'opera dove si arriva ad esporre la nudità della scrittura in maniera così efficace che non si è

più in condizione di distinguere una nota da una formica – così facendo inavvertitamente ci si

espone a tutto il nonsenso che alberga in questa come in qualsiasi immagine.

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Roberto Giansanti "Creazione"

tecnica: sculture in bronzo su supporto in ferro

testo di Stefano Valente

Quello che colpisce è la sproporzione tra le esili figure in bronzo e l'altezza e lo slancio della

struttura in ferro su cui malinconicamente gli omini si appoggiano. Essa è un vuoto e scarno

piedistallo o meglio: una quasi-cornice, la cui base è ficcata a terra. Le figure, quindi, si danno non

al centro della rappresentazione (la cornice è vuota), ma al suo margine: non esistono, ma ci sono.

Ad essere è lo spazio vuoto, il senso di un nulla quasi fisicamente percepibile. Eppure non si tratta

di una metafisica rappresentazione del nulla, bensì di un estetico nulla di rappresentazione che non

può essere visto, ma soltanto udito.

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Minghan Gong "The way 2"

tecnica: cartapesta

testo di Stefano Valente

Subito colpisce il contrasto espresso a livello materico tra la pesantezza della pietra e la leggerezza

della cartapesta. La pesantezza della pietra è ciò che appare; la leggerezza della cartapesta è ciò che

è. Qui la cartapesta mima o fa la parodia della pietra; una parodia che alleggerisce la pietra del suo

peso; una parodia che appesantisce la cartapesta dandole robustezza e infrangibilità. Questo

chiasmo a livello materico ci espone ad un particolare rovesciamento per cui la copia (di cartapesta)

diventa più originale dell'originale medesimo (più pietrosa della pietra rappresentata) e ci fa vedere

come se fosse la prima volta la pietra nella sua pietrosità. In queste opere di Minghan Gong ci

sembra di scorgere almeno un tentativo di “scolpire una pietra a forma di pietra” (Jean Genet)

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Davide Lazzarini "Owl (Gufo)"

tecnica: fotografia digitale su forex

testo di Stefano Valente

La cosa pregevole dell'operazione artistica tentata da Lazzarini non è tanto la rappresentazione

finale della figura di un gufo che fissa il riguardante in modo accusatorio ed inquietante, quanto il

suo lavoro con materiali di scarto che così diventano la base per un personale discorso poetico.

Eppure qui i materiali nella loro matericità non sono sacrificati in tutto e per tutto alla composizione

o alla rappresentazione, ma mantengono una loro precisa autonomia permettendo all'artista di

costruire quella estetica dello scarto che ancor oggi non ha esaurito tutte le sue possibilità e

potenzialità.

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Susy Manzo " è arrivato un bastimento carico di......"

tecnica: paper cutting su cartoncino / matite e crete su carta vellum

testo di Stefano Valente

Un mare fatto di nodi che legano insieme – quasi non di mare, ma di ricamo si trattasse – pesci,

pesciolini, barchette e trecciute fanciulle, munite di ciocche di capelli tirate fino all'estremo a

trascinare piccole reti ingarbugliate anch'esse, tessute più che disegnate o dipinte. La superficie

della rappresentazione non è più uno spazio geometrico e vuoto (pars extra pars – come lo spazio

cartesiano), ma è una vera e propria rete di relazioni (nodi), una stoffa elegantemente intessuta e

ricamata. Le stesse figure, rappresentate in maniera fortemente stilizzata e che ricordano l'innocenza

dei disegni dei bambini, sono fatte di una serie di nodi e di fili che inanellandosi vanno a stringerle

dando loro resistenza e delicatezza. Cosa avranno pescato, cosa avranno preso con le loro reti?

Certo avranno almeno catturato il nostro sguardo legandoci a loro a filo doppio.

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Fabio Mariani "Untitled - serie Sedimenta"

tecnica: tecnica mista su tela

testo di Stefano Valente

Al contrario dell'arte astratta dove il contenuto è la forma ed al contrario dell'arte informale ormai

ridottasi a vuota maniera che non ha più niente di nuovo da dire, qui la forma è la sedimentazione

del contenuto (come ebbe a dire il filosofo Theodor Adorno nella sua giustamente famosa “Teoria

estetica”). Qui il tempo dell'immagine non è né storico, né circolare, bensì è un tempo geologico

dove si sovrappongono cumulandosi strato su strato i colori presi nel loro valore materico; cosa

quest'ultima che ha più a che fare con l'umoralità e fecondità della terra che non con la luce che di

quei colori pretende di essere la sintesi.

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Marco Mirabile "Neo-Ex"

tecnica: assemblaggio (pietra, poliuretano,legno, resina) su legno

testo di Stefano Valente

Una testa di bambino (o meglio: di un bambolotto) emerge da un muro che pare di lava bianca

solidificata. Si tratta di un ritrovamento misterioso come se si fosse scoperchiata un'antica tomba

etrusca. La testa di questo bambino ricorda più una maschera funeraria che un volto. Da una parte

un bambino morto prematuramente; dall'altra l'impressione è quella di un feto abortito e conservato

una volta plastificato in una teca. Un bambino che non è più; un bambino che non è ancora: questo è

l'intervallo che dischiude quest'opera come per restituirci a questa dimensione sospesa che non è

vita, ma che inaugura l'arte. L'artista – come insegna Paul Klee – abita laddove si incontrano i morti

e i non nati e non perché la sua vocazione debba essere necessariamente lugubre o cimiteriale; ma

perché lì, tra i morti e i non nati, è ancora nascosto il possibile, quello che l'arte deve essere capace

di risvegliare per suscitare in noi lo stupore per il fatto che è data la possibilità del possibile (!).

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Jun Morita "R.E."

tecnica: foto digitale su pannello

testo di Stefano Valente

Questa radura (che evoca le innumerevoli pagine sulla “Lichtung” scritte dal cosiddetto 'secondo

Heidegger') inondata di luce, eppure circoscritta da case, è di uno splendore abbacinante, anche se si

intuisce essere solo parte di un parco cittadino. Questa luce, che è la vera protagonista della foto, è

una luce soltanto naturale, quasi pagana e non ammicca neanche di sfuggita a quella luce

inaccessibile che è la gloria di Dio (qui niente a che fare col cattolicissimo Barocco). Eppure questo

abbagliamento della vista non provoca necessariamente una cecità per eccesso di pienezza: infatti

quando la luce avrà fatto un passo indietro questa radura sarà finalmente attraversabile, sarà

finalmente abitabile.

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Emiliano Yuri Paolini "C'ero quasi riuscito"

“L'immagine è quella di un tentativo di

rappresentazione dell'impossibile. Un uovo

blu o quasi blu inserito in una teca di

cristallo trasparente per essere messo in

mostra e per diventare 'miracolo'. Se non si

notasse la maldestra realizzazione artificiale

accompagnata da segni evidenti del percorso

in atto del deposito dell'uovo colorato di blu

l'esperimento sarebbe quasi riuscito”

Emiliano Yuri Paolini

tecnica: istallazione a tecnica mista

testo di Stefano Valente

L'artista tenta di realizzare un paradosso: quello di un miracolo che coincide con il suo ex-voto: un

miracolo che consiste nel suo ex-voto oppure un ex-voto miracoloso ovvero l'opera d'arte (per

grazia ricevuta!). Questo non può che essere un tentativo fallito, ma tale fallimento non è frustrante,

anzi! Il prodigio sta tutto nel suo mettersi in mostra; il miracolo, invece, non può essere oggettivato

ponendolo sotto una teca così esponendolo allo sguardo di tutti. Il vero miracolo, infatti, è sempre

un segno: una manifestazione visibile di un'operazione invisibile. E così l'arte! L'arte ha questo in

comune con la grazia: è un effetto senza causa (un uovo senza gallina – se si vuole), capace per

questo suo essere dono di aprire all'assoluto proprio nel momento stesso in cui inciampa nel finito.

L'opera, poi, non può, né vuole spiegare il miracolo, per questo è sempre un esperimento fallito (un

progetto improgettabile); miracolo che l'opera, però, è in grado di testimoniare proprio nel momento

del suo fallire.

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Stefano Rauzi “Untitled”

tecnica: collage su carta

testo di Stefano Valente

Lo sfondo tappezzato da carte da gioco e da tarocchi ci fa subito pensare ad una specie di castello

dei destini incrociati (il riferimento è ad Italo Calvino) dove attraverso il combinarsi delle singole

immagini sembra possibile prevedere il futuro. Ma più vogliamo calcolare il futuro (come fa la

tecnica moderna) più cresce l'incalcolabile che ci angoscia proprio nello stesso modo in cui ci

angoscia la figura bicefala che si staglia su questo sfondo come un mitico Minotauro, abitante di

questo labirinto di immagini. La testa della signora ingioiellata potrebbe essere quella di una

cartomante (la padrona del castello); mentre la testa del lama ci fa subito pensare all'agnello

sgozzato ed immolato per la nostra redenzione (il soggolo della pecora ricorda i colori

dell'arcobaleno, biblico segno dell'alleanza tra Dio e gli uomini dopo il diluvio). L'agnello è simbolo

di quella speranza di salvezza che non è calcolabile razionalmente o con l'ausilio della tecnica, ma

che deve essere attivamente attesa. Calcolabilità e speranza non possono essere unificate o

conciliate se non dando luogo ad un mostro bicefalo che voglia fondere in sé previsione e profezia –

a questo punto anche l'arte è chiamata a scegliere.

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Beatrice Riva "Incontro nella Luce"

tecnica: olio su tela

testo di Stefano Valente

Due mani intrecciate a ricordare ed a simulare un amplesso; al di sopra si libra una farfallina –

accento romantico che de-realizza la concretezza delle due mani che inestricabilmente si

aggrovigliano. Mani che pure tentano di agguantarsi sempre in bilico tra un inevitabile possesso ed

una impossibile carezza. Il tutto trasfigurato dalla luce.

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Roberta Sirignano "Orbs"

tecnica: grafica digitale spontanea su tela

testo di Stefano Valente

C'è il tentativo di realizzare o esplorare una rappresentazione senza più centro (o policentrica) dove

vengano meno distinzioni come alto/basso, su/giù, destra/sinistra fondamentali per il nostro stesso

orientarci nell'esperienza e che qui vengono sospese se non proprio abolite dando luogo così a una

sorta di iper-rappresentazione (simile ad un moderno iper-testo) dove si danno una pluralità di

accessi non gerarchizzati tra loro. Tutto questo è dall'artista chiamato “Orbs”, anche se l'operazione

tentata compie un passo importante verso la dissoluzione di un mondo (quello che è l'orizzonte della

nostra esperienza) disancorandoci da terra. Ora perché si dia opera d'arte come messa in opera della

verità (Heidegger) si deve dare una dialettica terra-mondo; mentre qui il terrestre è ricodificato

digitalmente ed il mondo si pluralizza in un'effimera molteplicità di mondi possibili, di realtà

virtuali. Ora la via tentata da Sirignano è pregevole almeno per i problemi che pone.

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Alberto Sordi "Spaesamento"

tecnica: Disegno e collage su carta e cartone dipinti a tempera

testo di Stefano Valente

Paesaggio urbano: sullo sfondo sembra di essere in una grande piazza metropolitana (Alexander

platz o qualcosa del genere), popolata da enigmatiche figure non solo umane. In primissimo piano

una donna con occhiali scuri che si rivolge a chi guarda con un atteggiamento duplice di chi invita a

guardare e di chi si rivolge allo spettatore come ad un intruso. In campo medio un uomo che ci

guarda dritto negli occhi – anch'egli indossa occhiali scuri. Il tutto sotto un freddo sole cibernetico.

La piazza è popolata, ma non abitata da strani individui, frammenti di corpi e di monumenti. Lo

stato d'animo suggerito da questa situazione sospesa e strana è insieme agorafobico e

claustrofobico. Lo spettatore è ad un tempo incluso ed escluso dalla rappresentazione, la quale

oscilla immobile tra il familiare e lo straniero. Più che di un sogno l'atmosfera è quella di un incubo.

Una minaccia per quanto indeterminata essa sia incombe.

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Beppo Zuccheri "Hermetic Scribbles n.9"

tecnica: Disegno e collage su carta e cartone dipinti a tempera

testo di Stefano Valente

Quello che colpisce subito e positivamente nell'opera è da una parte la sua qualità scritturale e

dall'altra la sua qualità porno-grafica. Qui non intendiamo usare il termine “porno-grafia” (scritto

non a caso col trattino) nel senso consueto; né lo vogliamo caricare di valenze moralistiche o

censorie; la nostra vuole essere una provocazione, ma non gratuita. Il corpo-oggetto della donna (a

cui manca la testa sostituita da una televisione) viene qui posto accanto al corpo dei caratteri scritti

tutt'intorno ad esso, scritte non a caso illeggibili: infatti nella loro illeggibilità sta tutta la loro qualità

scritturale. Qui naturalmente si parla di una scrittura intesa non come memo-tecnica, ma come la

carne stessa del linguaggio: ecco perché il collage raffigurante il corpo nudo di una donna non è

gratuito, ma è un tentativo di mostrare quello che è l'osceno (ciò che non è mai di scena): un

rapporto tra oggetto ed oggetto (porno); un rapporto tra segno e segno (grafia). Ciò che è in gioco

qui è ben più decisivo che una livida denuncia della reificazione del corpo della donna operata dai

mass-media.

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