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TITOLO PAGINA

INTRODUZIONE Alfredo Quazzo 3LA REALTÀ FUTURE CONSULTING Patrizia Doria 4

TEMPO DEL MERCANTE E TEMPO DELLA CHIESA (MA QUALE CHIESA?)IL TEMPO DELLA FILOSOFIAFiorello Casi 6ALCUNI CENNI DI TEORIA DELLA RELATIVITÀDavide Stelitano 8IL TEMPO, I SOLDI Franco Forzani Borroni 22IL TEMPO E LA GESTIONE DELLE DIVERSITÀ DELLE PERSONEGiorgio Manavella 28

ALCUNI CASI AZIENDALI«ACQUISTARE» IL TEMPO (ASPETTI TEMPORALINELLA DINAMICA CLIENTE/FORNITORE)Angelo Ballabio 40TEMPO DELL’IMPRENDITORE E TEMPO DELMANAGERGiorgio Bertazzo 47IL TEMPO DEL PROGRAM MANAGERFranco Forzani Borroni 51FULL TIME EQUIVALENT: INDICATORE CORRETTO O ECCESSIVA SEMPLIFICAZIONE?Luca Borro 54

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INTRODUZIONE Alfredo Quazzo

1960, la rivista «Annales» pubblica un articolo di JacquesLe Goff intitolato Nel Medioevo: tempo della Chiesa etempo del mercante: secondo quanto scrive l’autore è ladiversa concezione del tempo a segnare il passaggio traantico e moderno, all’alba del XIII secolo il tempo«infruttifero» della Chiesa lascia il posto al tempo«sfruttabile» del mercante; nascono le banche, il capita-lismo, la modernità.

Sette secoli dopo, quella modernità – che ancorasopravvive – vede i «mercanti» raggiungere ogni angolodel pianeta dell’economia globalizzata, così che mentreil mercato si unifica e si omologa le concezioni del tempocon cui si confronta si rivelano ancora più eterogenee edifferenziate. C’è il «tempo che fugge», in cui ogniistante annulla il precedente (Saturno che mangia i suoifigli), in cui il presente non esiste perché ogni istante onon è ancora (futuro) o è già stato (passato); ma c’èanche la «dimensione» del tempo, che ci vede muovere inavanti in un eterno presente, dove il passato e il futurosono solo nostre interiorizzazioni.

250 anni dopo che Sir Isaac Newton ci ha convinto che iltempo è una costante misurabile, il Prof. Einstein spiegache basta avvicinarsi alla velocità della luce per farlo ral-lentare; il tempo interiore di Bergson si scontra coltempo oggettivo di Piaget, il tempo della catena di mon-taggio di Taylor è sopraffatto dal tempo ritrovato diMarcel Proust…Così tante «chiese», ciascuna con la suadimensione del tempo: non saranno troppe per un mer-cante solo?

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FUTURE CONSULTING

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LA REALTÀ FUTURE CONSULTINGPatrizia Doria

Future Consulting, è un piccolo, anzi, piccolissimo stu-dio di consulenza organizzativa e di processo; è nato nel1999 con un organico di due persone ed oggi, a distan-za di otto anni, di persone lo studio ne conta 10: siamocresciuti di una/due persone all’anno.

Future Consulting ha sede a Torino: collocazione diffici-le. A Torino l’economia ristagna, la Fiat «non brilla», lebanche quasi non esistono più e – salvo Reale Mutua –anche le compagnie di assicurazioni sembrano scompar-se. Future Consulting quindi deve guardare oltre i confi-ni regionali e andare a centrare obiettivi utili là dovesono le opportunità.

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Ma quali competitors ci troviamo di fronte? O grandisocietà estere dai nomi altisonanti (McKinsey, Bain,Accenture, KPMG, AT Kerney , Cap Gemini, ecc.) o socie-tà italiane nate sotto il patrocinio di clienti-soci (e quinon faccio nomi...). A Future Consulting non rimane chepuntare fortemente sull’alta qualità del servizio e sullacompetitività dei prezzi.

Contenti dei nostri risultati, non possiamo tuttavia fare ameno di constatare quanto l’Italia sia afflitta da un pro-vincialismo patologico. La consulenza non è forse unprodotto intellettuale? Il suo valore non risiede forsenella capacità di comprendere il contesto socio-cultura-le del cliente e di relazionarne le informazioni con crea-tivo «buon senso»? Eppure gli italiani (quegli stessicompatrioti di Machiavelli, Dante, Leonardo, Marconi,Fermi...) per formulare i loro piani industriali o peravviare progetti di efficientamento vanno a comperareconsulenza oltre confine...

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LA REALTÀ FUTURE CONSULTING

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GREGORIO DE GREGORII, Il Trionfo del Tempo (da Petrarca), 1508

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TEMPO DEL MERCANTE E TEMPO DELLA CHIESA (MA QUALE CHIESA?)

IL TEMPO DELLA FILOSOFIAFiorello Casi

Quando ti regalano l’orologio, quello della prima comu-nione, non ti regalano solo un oggetto gradevole, utile...

Quando ti regalano l’orologio,ti regalano un altro frammento fragile e precario di testesso, qualcosa che è tuo, ma che non è il tuo corpo ,che devi legare al polso e che andrà a spasso con te;ti regalano l’obbligo di caricarlo tutti i giorni se vuoiche continui ad essere un orologio;ti regalano l’ossessione di controllare l’ora esatta; ti regalano la paura di perderlo e che si rompa;ti regalano la tendenza a fare il confronto tra il tuo oro-logio e gli altri orologi.

Non ti regalano un orologio. Sei tu che sei regalato. Sei il regalo per il compleanno dell’orologio.

Che cos’è i l Tempo?Dice Sant’Agostino nel libro della memoria:«Se nessuno mi interroga, lo so; se volessi spiegarlo achi mi interroga, non lo so».

Che cos’è i l Tempo?I. Newton: il tempo è numero;M. Ekart: il tempo è Uno e indivisibile;Abramo: il tempo è sacrificio;K. Marx: il tempo è lavoro-merce-denaro;Ulisse: il tempo è nostalgia;Nessuno: il tempo è Itaca;Cartesio: il tempo è ragione;

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DA COSA NASCE COSA E IL TEMPO LE GOVERNAN. MACHIAVELLI

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IL TEMPO DELLA FILOSOFIA

Parmenide: il tempo è l’essere;Eraclito: il tempo è divenire;Pascal: il tempo è il tempo;S. Freud: il tempo è sesso.

Il Mito.Il mio nome è Chronos: il tempo sono io;Il mio nome è Saturno: il tempo sei tu.L’orologio biologico si tramutò in orologio cosmico, gliuomini guardavano il cielo: s’interrogavano sulla costel-lazione di pianeti e stelle. Consideravano. Desideravano.

Il tempo non è più quello di una volta.Il calendario regola il macrotempo, l’orario ritma ilmicrotempo, il batticuore segna il tempo dell’attesa…..Cronos, Κρονοσ (Saturno) – confuso con Chronos, Χρονοσ

(il Tempo) – rappresenta la fame divorante della vita, ilsentimento della durata che scorre tra il desiderio e lasua soddisfazione.

Primo pensiero.«Ma la volete finire con le vostre storie di tempo ? Ungiorno è diventato muto, un giorno io sono diventatocieco, un giorno diventeremo sordi, un giorno siamonati, un giorno moriremo, lo stesso giorno, lo stessoistante, non vi basta?»

Samuel Beckett, En attendant Godot

Conclusione.«Ma non era quello che Heinrich stava pensando: eglipensava alla speranza che per un momento era apparsanel viso di sua madre: per un momento solo, ma Heinrichsapeva che un momento era molto.»

Heinrich Böll, Casa senza custode

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ALCUNI CENNI SULLA TEORIA DELLA RELATIVITÀDavide Stelitano

Talvolta, nel ragionare, poche semplici assunzioni con-ducono la mente umana a conclusioni lontane, ch’essastessa rifiuterebbe, in virtù della propria esperienza ter-rena. Si trova allora di fronte al drammatico bivio: soste-nere il paradosso, pagandone spesso un fio altissimo o,viceversa, prodigarsi in mille menzogne nel negare einficiare il vero.Dai più è la seconda via ad essere prediletta, più sicura.Relativisticamente parlando, tuttavia, è possibile affer-mare ogni cosa, senza offendere la sensibilità altrui.

Postulati della Relatività Ristretta

Postulato 1. Il moto uniforme assoluto non può essererivelato.Nel rendere più familiare l’enunciazione del primopostulato, potremmo addurre numerosi esempi, trattidalla vita quotidiana. Uno per tutti è dato dal seguente:Il gioco del biliardo segue le medesime leggi della fisica:giuocato in un caffè sulla terraferma, nel salone di unanave da crociera, a bordo di un aereo di linea, il giocato-re impartirà alla biglia, con lo stesso tiro, la medesimatraiettoria. Ovviamente, nelle tre situazioni, il giocatore(osservatore) è fermo oppure si muove con velocità piùo meno elevata, ma costante.Altrimenti detto, l’osservatore non è in grado, sullabase di pure osservazioni scientifiche, di stabilire se ilproprio sistema di riferimento si stia muovendo di motouniforme e costante oppure sia fermo (in senso assolu-to).In effetti, non esiste un sistema di riferimento assoluto,semplicemente perché non esiste nell’universo un puntofermo assoluto, in cui le leggi della fisica siano diverseda altri punti dello spazio che si muovano rispetto alprimo di moto uniforme.

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Questo postulato, di per sé evidente sin dai tempi diGalileo, non rappresenta, in effetti, ai giorni nostri unagrossa novità.

Postulato 2. La velocità della luce è indipendente dalmoto della sorgente.Anche il secondo postulato non introduce alcuna discon-tinuità nel pensiero scientifico. La natura ondulatoriadella luce (da intendersi, più in generale, come radiazio-ne elettromagnetica, quindi raggi gamma, raggi x, raggiultravioletti, visibile, infrarossi, onde radio, etc.) era giàben conosciuta fin dalla seconda metà del 1800, mentreil comportamento corpuscolare apparve evidente agliinizi del ‘900 (effetto fotoelettrico). In particolare, il dualismo onda-particella prevede che:nel propagarsi la luce segue il comportamento classicoondulatorio, mentre nell’interagire con la materia sotto-stà alla meccanica corpuscolare (quantistica). Per quanto riguarda il carattere ondulatorio, oggettodella presente discussione, le equazioni di Maxwell,enunciate nella seconda metà dell’800, descrivonocompiutamente la propagazione delle onde elettroma-gnetiche.Trattandosi dunque di un’onda, la sua velocità è indi-pendente dal moto della sorgente, come per tutte le altreonde conosciute. Per citare degli esempi: il fischio deltreno che approssima la stazione diventa più acuto, mala velocità con cui il fischio raggiunge il passeggerofermo sulla banchina è la medesima, indipendentementedalla velocità del treno (sorgente). Così come si trattasemmai di una variazione di frequenza, l’alterazione delsuono prodotto da un aereo, che raggiunge l’osservato-re fermo a terra. Anche nel limite in cui l’aereo viaggi aduna velocità supersonica e quindi il fronte dell’onda siriduca ad una sorta di esplosione, il “muro del suono” sipropaga alla velocità intrinseca del suono nell’aria, cheè sempre la stessa: quella della nostra voce, del treno odell’aereo. Si tratta di onde di pressione sostenute dalmezzo aria, la cui velocità dipende solo da quest’ultima(dalla sua temperatura, pressione, etc.).

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ALCUNI CENNI SULLATEORIA DELLA RELATIVITÀ

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Un altro esempio può essere riscontrato nelle onde delmare, prodotte da una lenta imbarcazione a remi o da unveloce motoscafo: le onde d’acqua così generate sipropagano sempre alla stessa velocità, intrinseca del-l’acqua e cambia solamente la frequenza e la forma delfronte d’onda al variare della velocità della sorgente.Per concludere questo breve discorso, ci si potrebbechiedere: quando, allora, la velocità di un’onda cambia?La risposta è senza dubbio: la velocità di un’ondarispetto ad un dato osservatore varia quando la velocitàrelativa dell’osservatore rispetto al mezzo di propaga-zione dell’onda varia. In altre parole, se il passeggeronon aspettasse il treno rimanendo fermo sulla banchina,ma corresse incontro al treno, la velocità del suono rile-vata dall’osservatore aumenterebbe, viceversa, se ilpasseggero si allontanasse dal treno, la velocità delsuono diminuirebbe. Nel caso limite in cui l’osservatoresi stia allontanando dalla sorgente ad una velocità ugua-le o superiore alla velocità del suono (si veda il caso del-l’aereo supersonico), l’onda non riesce mai a raggiun-gerlo, e quindi la velocità della propagazione ondosadiventa prima nulla e poi addirittura negativa.In conclusione, stabilito che la luce è un’onda, si ricon-cilia con l’esperienza quotidiana il fatto che la sua velo-cità è indipendente dal moto della sorgente.I due postulati, così come riportati sopra, avrebberodunque potuto essere enunciati secoli fa o addiritturanell’antica Grecia. Non ne saremmo stupiti.Fino a questo punto, anche il pensatore più prudente nonha battuto ciglio. È tutto facilmente accettabile. Rimaneva dunque da definire, come già fatto per tutte leonde conosciute allora, il mezzo di propagazione dellaluce, ovviamente quando non si trattava di vetro, acqua oaltro materiale trasparente. In breve, l ’ ipotesidell’Etere, quale fluido impalpabile, incolore, inodore,privo di viscosità, privo di densità, entro il quale avreb-be dovuto propagarsi la luce, mentre viaggiava ad esem-pio dal sole alla terra o nello spazio interstellare, vennea cadere grazie a molteplici esperimenti, fra i quali si

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ricorda quello dell’interferometro di Mitchelson-Morley(dal 1881 al 1887). L’Etere, il mezzo privilegiato entrocui avrebbe dovuto viaggiare la luce non esisteva e nonesiste. La luce si propaga nel vuoto.Ma il vuoto è solidale (fermo) rispetto a qualunqueosservatore e a qualunque sorgente, semplicemente per-ché è vuoto: nulla si può muovere rispetto ad un datosistema di riferimento, costituito dalla terna cartesiana(gli assi x-y-z) che si trascina, inalterata, dietro all’os-servatore. Un punto nel vuoto situato ad un metro dal-l’osservatore rimane sempre ad un metro. A differenzadi una particella d’aria o di acqua, che può spostarsi equindi allontanare o avvicinare il mezzo di propagazionedelle onde sonore (o marine) rispetto all’osservatore,con data velocità, positiva o negativa.Accettando questo fatto (che apre una serie di conside-razioni filosofiche, nelle quali non ci addentriamo),segue immediatamente, come corollario dei due postula-ti sopra ricordati, il seguente: ogni osservatore, misu-rando la velocità della luce, ottiene lo stesso valore, cheè indipendente dal moto relativo delle sorgenti e degliosservatori.Per inciso, la velocità della luce è stata misurata e il suovalore è di circa 300.000 km/s.

La dilatazione dei tempi

In Figura 1 riproponiamo il celebre esperimento del-l’orologio di luce, in quiete nel sistema di riferimento S',ed in moto rispetto ad S. Questo esperimento ci permet-te di comprendere il fenomeno della dilatazione deitempi.Ricordiamo che le informazioni a nostra disposizionesono le seguenti:1. La velocità della luce nel vuoto è la stessa (costante)per tutti i sistemi di riferimento.2. La velocità di traslazione del sistema di riferimento S'rispetto ad S è pari ad una data velocità v lungo la dire-

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zione x. Si intende che, dal punto di vista di S', è S amuoversi di moto uniforme rispetto a S', ancorché convelocità opposta -v.

In Figura 1a, è schematicamente rappresentato l’orolo-gio di luce. Osserviamo che l’orologio è in quiete(fermo) rispetto al sistema di riferimento S', dunque laposizione orologio-osservatore è statica per l’interadurata dell’esperimento. L’osservatore O' si trova incorrispondenza della sorgente di luce (cerchietto giallo),ad una distanza dall’origine degli assi pari a x'1. Ad undato istante iniziale la sorgente emette un raggio di luce(freccia rossa verso l’alto) che si propaga verso lo spec-chio (banda orizzontale bianca e nera) posto ad unadistanza D, colpendolo all’istante t'r ed essendoneriflesso. Il raggio torna dunque verso la sorgente (frecciarossa verso il basso) dove è situato l’osservatore O'.Quest’ultimo rileva il tempo di percorrenza complessivo,pari a t'f . Dalla geometria della figura, il tempo di per-correnza t'r è uguale alla distanza D divisa per la veloci-tà del raggio di luce, che sappiamo essere una costanteuniversale, indicata con c. Il tempo complessivo del viag-gio di andata e ritorno della luce, t'f, è semplicemente ildoppio del tempo t'r, dal momento che nel viaggio diritorno la luce percorre ancora la medesima distanza D.

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Figura 1a. L’orologio di luce in quiete rispetto all’osservatore O'

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In Figura 1b, il medesimo esperimento viene ripropostodal punto di vista del sistema di riferimento S, nel qualel’orologio non è in quiete, ma si muove di moto rettili-neo uniforme, solidale con il sistema di riferimento S',dunque con una velocità v verso destra. Osserviamo chela situazione non è simmetrica, poiché, dal punto divista di S', S si muove verso sinistra con velocità oppo-sta -v, ma l’orologio non si sposta: è fermo. Incidentalmente, si dice che l’osservatore O', in quieterispetto all’orologio, misura il tempo proprio dell’oro-logio.

Resta da calcolare tr, il tempo di riflessione secondol’osservatore nel sistema di riferimento S, e tf, il tempodi percorrenza complessivo, ancora secondo S. Pur non conoscendone ancora il valore, sappiamo chenell’intervallo di tempo tr, il raggio di luce colpisce,subendo riflessione, lo specchio, che però si è mosso aduna velocità v verso destra. Quindi il raggio di luce ha

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Figura 1b. L’orologio di luce in moto uniforme rispetto all’osservatore O

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“rincorso” lo specchio. Poiché la velocità della luce èmolto elevata, ma non infinita, lo specchio ha potutomuoversi. Di quanto? Dello spazio dato dalla velocitàdello specchio, v, moltiplicata per il tempo trascorso tr.Per risolvere l’equazione e ottenere il valore di tr, appli-chiamo semplicemente il teorema di Pitagora al triango-lo formato da:a. Ipotenusa: cammino del raggio di luce fino allo spec-chio, ovvero la freccia rossa che punta verso l’alto e adestra nel riquadro in basso. Questa distanza è datadalla velocità della luce, moltiplicata per il tempo tra-scorso tr.b. Cateto orizzontale: cammino percorso dall’orologionel tempo trascorso tr. Come accennato poc’anzi, que-sta distanza è data dalla velocità dello specchio, v, mol-tiplicata per il tempo trascorso tr.c. Cateto verticale: distanza sorgente-specchio, ovveroD.In Figura 1b, in basso, si riporta il teorema di Pitagoraper il triangolo in oggetto. Dalla risoluzione della sem-plice equazione, si ottiene tr in funzione delle costanti anoi note: c, v, D. Nella riga successiva si sostituiscel’espressione per il tempo misurato da O', e si pervienead una espressione del tempo tr in funzione di t'r:tr = t'r / √(1- v2/c2)Per costruzione geometrica, il tempo di percorrenzacomplessiva (andata e ritorno) è pari anche nel sistemadi riferimento S al doppio del tempo di riflessione, e unaformula analoga alla precedente vale per i tempi com-plessivi di percorrenza, tf e t'f.

Osservazioni sulla dilatazione dei tempi

Quanto dimostrato matematicamente nella sezione pre-cedente apre una serie di interrogativi, nel momento incui si cerca di comprendere concretamente i risultatiottenuti, tramite pochi passaggi di matematica elemen-tare.

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Innanzitutto, quale interpretazione realistica diamo alleequazioni ottenute sopra? Si tratta di puro virtuosismomatematico?Per rispondere, senza alcuna pretesa di rigore scientifi-co, dobbiamo pensare che la luce, ovvero i fotoni, sonoimplicati, in quanto mediatori, nella interazione elettro-magnetica, ovvero le forze chimiche, biologiche, chesono alla base della nostra vita. A titolo esemplificativo,se due corpi elettricamente carichi (elettroni, nuclei,etc…) interagiscono “scambiandosi” un fotone, quanto diluce, e nel frattempo stanno traslando di 290.000 km/srispetto ad un osservatore in quiete, allora il fotonedovrà percorrere una distanza molto più grande delladistanza fra le due particelle (dell’ordine dei nanometrio dei micron, ad es.), magari anche di varie centinaia dimetri o chilometri e l’interazione avverrà più lentamen-te. Questa osservazione ci porta a concludere che le rea-zioni chimiche, biologiche, le funzioni vitali del nostroorganismo avvengono in quelle circostanze secondo untempo dilatato, dato dalle formule richiamate sopra.Senza addentrarci nel ginepraio di casistiche e di altreinterazioni possibili (nucleari, ad es.), possiamo benintuire che il nostro metabolismo, regolato esclusiva-mente da reazioni biochimiche rallenterà, così come ilnostro pensiero.In breve, nel sistema di riferimento in moto a velocitàrelativistica (cioè con velocità v non trascurabile rispet-to alla velocità della luce c), noi vivremmo secondo unascala dei tempi diversa da quella dell’osservatore inquiete O. Continuando a supporre di trovarsi nel sistemadi riferimento in moto, noi vivremmo più lentamente,così come l’intero nostro mondo (animali, piante, mac-chine)… e senza accorgercene!Dunque, se invece di un orologio di luce avessimo utiliz-zato, ad esempio, un orologio meccanico, le conclusionifisiche sarebbero state identiche. Anche se forse sarebbestato quasi impossibile, matematicamente, ricavarel’equazione di dilatazione dei tempi.

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È possibile stabilire qual è il sistema di riferimento inmoto e quale quello in quiete?Non si può stabilire, se il moto relativo è uniforme enessuno dei due sistemi sta accelerando.Dunque, quale osservatore invecchia più lentamente? O',che si muove con velocità v rispetto ad O, oppure O chesi muove con velocità -v rispetto ad O'? In realtà, i due osservatori si incontrano solo una voltanella loro vita, poiché, dal momento del loro incontro, siallontanano indefinitamente. Possono azzerare i lorotimer (o orologi) una volta sola, ma non possono, suc-cessivamente, confrontare i tempi trascorsi. In altreparole, non hanno la possibilità di confrontare le scaletemporali. Ogni osservatore vive nel proprio mondo, conlo scandire naturale del proprio tempo e suppone che perl’altro osservatore, a suo giudizio in moto, il tempo tra-scorra più lentamente, senza però poterlo mai verificare. In quale caso sarà possibile constatare che i due osser-vatori in moto relativo “invecchiano” con tempi diversi?Da quanto detto sopra è necessario che i due osservato-ri si possano rincontrare. Dunque almeno uno dei duedeve invertire la rotta. Poniamoci nel caso semplice in cuisia solo O' a farlo (rimandiamo i casi più complessi astrumenti di relatività generale). Specificatamente, O perdura nel suo moto uniforme, allimite nel suo stato di quiete, mentre O', dopo essersiallontanato per un certo tratto da O, rallenta, inverte ladirezione e viaggia verso O, fino al momento in cui i duesi ritrovano nello stesso punto dello spazio, allo stessoistante. A quel punto, possono confrontare il tempo tra-scorso, e verificare che non è lo stesso per entrambi. O' è invecchiato meno di O.Perché? Perché non viceversa? In fondo, dal punto divista di O', è O che si è allontanato con velocità -v, si èfermato, ha invertito la rotta e ha raggiunto l’altroosservatore. C’è una differenza sostanziale di fondo: O non ha maiavvertito alcuna forza che gli impartiva una decelerazio-ne, una inversione di rotta e una accelerazione verso O'.

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Al contrario, quest’ultimo ha sperimentato a bordo dellapropria astronave una serie di accelerazioni, forse anchedi breve durata (il tempo di frenare, girare e accelerare)che hanno spostato gli oggetti e l’osservatore stessoall’interno della astronave. Tutto è avvenuto come se inquel momento ci fosse stata una forza di gravità di qual-che corpo celeste che lo avesse attratto nella direzioneopposta di marcia, facendolo precipitare contro unaparete della sua navicella.Senza addentrarci in argomenti di relatività generale,affermiamo che O' è consapevole di non trovarsi in queimomenti in un sistema di riferimento inerziale, bensì inun sistema accelerato. Dunque si rende conto di esserecolui che viaggia, allontanandosi e riavvicinandosi ad O:la sua scala dei tempi è dilatata rispetto a quella di O.Questa, in sostanza, è una spiegazione accettabile (alivello di relatività ristretta) per il Paradosso dei duegemelli, ben conosciuto anche nella letteratura divulga-tiva.

La contrazione delle lunghezze

In questa sezione viene presentata un’altra conseguen-za fisica dei postulati enunciati sopra: la lunghezza di unoggetto non è la stessa, se misurata da un osservatore inquiete piuttosto che da un osservatore in moto rispettoall’oggetto stesso. Questo fenomeno è comunementechiamato contrazione delle lunghezze. La Figura 2 sche-matizza cosa avviene ad un righello rigido, solidale con ilsistema di riferimento S, di lunghezza L misurata dal-l’osservatore O quando viene misurato dall’osservatoreO'. Per quanto rilevato sopra, dal punto di vista del rife-rimento S', il righello si muove di moto uniforme (versosinistra) con velocità -v rispetto all’osservatore O'. In Figura 2a, il moto del righello è rappresentato dalledue parentesi che lo seguono “))”. L’istante iniziale è,per semplicità e senza perdita alcuna di generalità,preso eguale a 0 in entrambi i riferimenti, ovvero t'0 =t0 = 0. A questo istante, i due osservatori O e O' sono

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allineati fra loro e anche con la prima estremità delrighello.

Poiché il righello è fermo rispetto ad O nel sistema diriferimento S, l’osservatore O ha potuto misurarne lalunghezza, semplicemente come multiplo dell’unità dimisura propria del sistema di riferimento, e ha stabilitoche il righello misura L. Incidentalmente, si definiscelunghezza propria di un oggetto la lunghezza misurata inun sistema di riferimento con esso solidale. Dunque L èla lunghezza propria del righello.A differenza di O, l’osservatore O' vede il righello muo-versi; per misurarne la lunghezza, O' non può semplice-mente rapportarlo, in maniera statica, all’asse x' delriferimento S', poiché asse e righello sono in moto rela-tivo. Deve dunque rilevare gli istanti in cui le due estre-mità del righello passano davanti all’origine (punto 0)dei propri assi di riferimento e misurare l’intervallotemporale fra i due eventi. Conoscendo inoltre, qualedato iniziale, la velocità relativa -v, allora la lunghezzadel righello dal punto di vista di O' è data dal prodottodella velocità relativa per l’intervallo di tempo trascor-so fra i due eventi di passaggio. (Ricordiamo ancora che

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Figura 2a. Il moto del righello, visto da O', all’istante iniziale

ALCUNI CENNI SULLATEORIA DELLA RELATIVITÀ

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lo spazio è dato moltiplicando la velocità per il tempo).Per misurare il tempo di passaggio del righello, O' siserve dell’orologio di luce già discusso nella sezioneprecedente. In Figura 2b si rappresenta il passaggio dellaseconda estremità del righello davanti all’osservatoreO'. L’istante in cui l’osservatore O' e l’estremità L delrighello sono allineati viene indicato con t'L nel sistemadi riferimento S' e con tL nel sistema di riferimento S. La relazione fra tL e t'L è la relazione fra le due scale deitempi di S e di S' già introdotta in precedenza: tL = t'L / √(1- v2/c2)dove v è la velocità relativa dei due sistemi di riferimen-to e c è la velocità della luce. Alternativamente, possia-mo riscriverla come segue: t'L = tL √(1- v2/c2) (1)avendo moltiplicato entrambi i membri della relazioneper √(1- v2/c2).

Questa relazione ci offre t'L in funzione di tL , moltipli-cando quest’ultimo per la radice quadrata diun’espressione di costanti, √(1- v2/c2). Ma tL è cono-sciuto, poiché la velocità è spazio diviso tempo. Nelcaso in oggetto, la velocità è v, lo spazio (la lunghezza)

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Figura 2b. Il moto del righello, visto da O': istante finale, in cui laseconda estremità del righello, L, passa davanti ad O'

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è L, nel sistema di riferimento S. Dunque, potremo scri-vere: tL = L / ve utilizzarla nella equazione (1), esprimendo t'L nellecostanti conosciute: t'L = L √(1- v2/c2)/ v (2)Per concludere questa elaborazione, richiamiamol’espressione della lunghezza L' del righello, dal puntodi vista dell’osservatore O', in termini dell’intervallo ditempo trascorso per la velocità relativa: L' = v t'L Sostituendo l’espressione (2) per il tempo t'L, si pervie-ne alla misura di L', nel sistema di riferimento S', in fun-zione delle costanti iniziali e della lunghezza propria delrighello, L: L' = L √(1- v2/c2)

Osservazioni sulla contrazione delle lunghezze

Tornando per un attimo al Paradosso dei gemelli, accen-nato poco sopra, il risultato sulla contrazione delle lun-ghezze ci permette di dare una risposta anche al seguen-te quesito: Se la velocità relativa fra O ed O' è comunque v, al di làdel segno positivo o negativo, come è possibile che perpercorrere il cammino di andata e ritorno, O' impieghitempi diversi, se misurati nel riferimento S' o S? In fondo,da un certo punto di vista, è O' a muoversi con velocitàv, mentre, dal punto di vista di O', è tutto il resto delmondo a muoversi con velocità -v.La risposta risiede nel fatto che, secondo l’osservatoreO', in moto rispetto alle lunghezze considerate, il cam-mino di andata e ritorno è più breve di quello misuratoda un osservatore in quiete rispetto a tali lunghezze. Lacontrazione del cammino segue la formula data nellasezione precedente. È dunque naturale attendersi che O'“invecchi” meno del suo gemello O, fermo nell’attesadel ritorno del fratello.

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Conclusioni

Partendo da pochi, semplici postulati, siamo giunti aconclusioni paradossali, ma vere.Le previsioni della teoria della relatività ristretta sonostate verificate molte volte mediante piccole particelleche possono essere accelerate ad altissime velocità.Particelle instabili possono essere accelerate ed intrap-polate in orbite circolari in un campo magnetico, peresempio, e le loro vite possono essere confrontate conquelle di particelle identiche in quiete. In tutti questiesperimenti, le particelle accelerate vivono più a lungo diquelle in quiete, come previsto. Tali previsioni sono confermate anche dai risultati di unesperimento eseguito mediante orologi atomici di altaprecisione, portati intorno al mondo da normali aeroplani.Un secolo fa, un grande fisico dovette calarsi nel ruolodel fool Shakesperiano e mostrare la lingua, per poterraccontare al mondo intero la verità.

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----------1. «I tempi per i matti non son belli, / perché i saggi son sciocchi, /non sanno più portare i lor cervelli / che a modo di scimmiotti.» (trad.G. Melchiori)

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FOOLS HAD NE’ER LESS GRACE IN A YEAR;FOR WISE MEN ARE GROWN FOPPISH,

AND KNOW NOT HOW THEIR WITS TO WEAR,THEIR MANNERS ARE SO APISH.

W. SHAKESPEARE, KING LEAR, I, IV (1)

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IL TEMPO, I SOLDIFranco Forzani Borroni

L’ In ferno di Dante, nel terzo girone del primo cerchiet-to interno alla città di Dite (siamo nel XVII canto), segre-ga i violenti contro Dio nella persona (bestemmiatori),nella natura (sodomiti) e nell’arte (caorsini). «Arte» eral’attività lavorativa, la professione (oggi diremmo: busi-ness), come nel caso ad es. dell’arte della lana.«Caorsini» derivava invece da Cahors, la città dellaGuyenne che nel tardo Medioevo aveva fama di esserenido di strozzini, senza dire che era patria di papaGiovanni XXII Duèze, la cui esosità Dante depreca inparadiso. Ci troviamo insomma davanti alla punizionedegli usurai e, come sempre per avere ragguagli nelmerito, il poeta si rivolge al suo accompagnatore. Virgilioper condannare l’usura fa un esplicito richiamo adAristotele e la rubrica come violenza contro il lavoroumano, che è figlio dell’uomo, che è figlio di Dio.Tanto più che dell’idea aristotelica secondo cui l’inte-resse partorito dal denaro dato in prestito è contro natu-ra (perché la moneta, «priva di qualsiasi valore intrinse-co», è per sua natura sterile) si stavano a quell’epocaoccupando i Dottori della Chiesa. Era un argomento diattualità: se ne era appena occupato il Concilio di Lionedel 1274 ed altrettanto avrebbe fatto quello imminentedi Vienne del 1311. Sui capitolati di tali Concili i canoni-sti avevano elaborato la dottrina secondo cui nessun tipodi mutuo legittimava una riscossione di interessi, datoche «il tempo è bene comune». Per conseguenza, tutticoloro che pretendevano interessi sul denaro prestatoincorrevano nel peccato di usura.

Oggi pare che Dante non condividesse tanta intransigen-za dottrinale, e che anzi operasse una molto oculatadistinzione fra lo strozzino – inteso come colui che lucrasui bisogni altrui – e il banchiere, il quale praticandotassi conformi al mercato percepisce utili commisurati aisuoi affari e li reinveste in attività produttive. Il poeta

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conosceva la materia: suo padre, per arrotondare lepovere rendite fondiarie, sembra prestasse denaro astrozzo; suo cognato poi, lo faceva di professione.Sapeva bene come le due figure si integrassero e confon-dessero all’interno d’una medesima impresa familiare,se non d’una persona medesima e, se è probabile chenon condividesse le rigidezze della dottrina canonica,tanto meno si sarà compiaciuto della prassi furbettaattraverso cui la Chiesa di Roma coltivava succose coin-teressenze coi finanzieri toscani disseminati su due terzid’Europa coprendo le loro spericolate operazioni credi-tizie con un sapiente dosaggio di scomuniche e indul-genze. È proprio questo il punto: se la colpa fondamen-tale che dannava gli usurai come violenti-contro-l’artestava nel l’aver violato il precetto biblico di procurarsi ilpane col sudore della fronte, il problema non riguardavasolo gli strozzini di mezza tacca: all’inferno rischiava difinirci l’intero ceto capitalistico emergente di Firenze edell’Europa che le ruotava intorno.Eppure durante tutto il Medioevo, almeno fino al XIIIsecolo, il tempo è dono di Dio. Ancora ai primi del XIV,una quæstio posta da un lettore generale dell’ordinefrancescano provocava la discussione sul punto seguen-te: «Quaeritur an mercatores possint licite plus reciperede eadem mercatione ab illo qui non possit statim solve-re quam ab illo qui statim solvit. Arguitur quod non quiatunc venderet tempus et sic usuram committeret vendensnon suum». Insomma, un mercante, che domandi piúdenaro a chi lo pagherà in avvenire rispetto a chi lo pagaa pronta cassa, vende del tempo, che non è cosa sua,bensí di Dio. Quindi la risposta era negativa: non licet.Ma è notevole che, già dai primi del XIV secolo, la cosafosse discussa con la consapevolezza che il problematoccava interessi profondi. E qui il testo di riferimento èquel Tempo del mercante e tempo della Chiesa che rac-coglie gli interventi in argomento del più grande medie-vista d’oggi, Jacques Le Goff.

Le Goff sostiene una tesi provocatoria e paradossale,

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cioè che il Rinascimento non è mai esistito così come lointendiamo noi, anzi, che il Medioevo è andato avantifino alla Rivoluzione Industriale. Eppure uno scarto, unadifferenza fra l’ultima generazione quattrocentesca equelle che l’anno preceduta si ritrova proprio inun’opera di uno degli «uomini-simbolo» delRinascimento, I Libri della famiglia di Leon BattistaAlberti. Leon Battista Alberti è all’epoca un esule fio-rentino trentenne, massimo teorico dell’arte; ha scrittola Descriptio urbis Romae dopo il suo viaggio, e tre trat-tati fondamentali: sulla pittura, l’architettura e la scul-tura. Non ha ancora costruito nulla e soltanto dieci annidopo Sigismondo Malatesta lo chiamerà a Rimini a ripro-gettare una chiesa e trasformarla nel tempio di famiglia,il Tempio Malatestiano appunto, suo primo capolavoro.Leon Battista è il prototipo dell’artista intellettualemoderno, gli altri artisti suoi contemporanei provenivanotutti dall’artigianato, lui proviene dallo studio, dallaricerca, e dalla passione per le attività.Più o meno negli stessi anni Paolo da Certaldo, che peròè un mercante, nel suo Libro di buoni costumi, afferma:«non dire: “domane farò”, quand’ài a fare la cosa, anzila fa prestamente, e sia studioso sí ne’ fatti tuoi chenon ti convenga fare gli altrui»; è la prima formulazionedi un rapporto tra tempo e ricchezza. La conquista deltempo comincia in sede pratica, concreta; e da questomomento gli esempi si moltiplicano, specie nel ceto mer-cantesco. Certo, a noi queste sembrano ancora null’al-tro che espressioni di una pratica quotidiana, di un’em-pirìa, che non si solleva mai a formulazione teorica, maproprio alla precisazione concettuale saprà arrivare LeonBattista Alberti. Per lui, tre sono i beni sostanziali e vera-mente preziosi per l’uomo: l’animo, il corpo, il tempo,«tre cose da natura vostre proprie ». Quindi il tempo nonè fuori di noi, bensí in noi stessi: «e di colui sarà iltempo che saprà adoperarlo». Il tempo è utile ad acqui-stare «masserizia» e, impiegato nello studio, nel pensa-re ed «exercitare cose lodevoli», giova all’animo. Questascoperta ideologica del tempo si ritrova nella dimensio-

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ne umana che gli viene attribuita, è libera da ogniinfluenza divina, metafisica. Dal cosciente possesso deltempo derivano all’uomo beni materiali e morali: «Chisa non perdere tempo sà fare quasi ogni cosa, e chi saadoperare il tempo, costui sarà signore di qualunquecosa e’ voglia». Occorre quindi che l’uomo svolga tuttii suoi compiti in un quadro temporale, attento proprio anon infrangerlo, ma a seguirlo. Piuttosto «perdere ilsonno che il tempo, cioè la stagione delle faccende»; iltempo diventa concreto, una successione di istanti chevanno valorizzati come tali. Ma l’impiego esatto del tempo non è solo un compito dasvolgere secondo determinate successioni ritmiche; perla sua integrale valorizzazione, occorre che ciascunuomo vi applichi quelle sue attitudini che gli consentanodi «sfruttare» il tempo quanto meglio possibile:

«GIANNOZZO E sai in che modo e perderanno tempo?«LIONARDO Credo se faranno nulla.«GIANNOZZO Certo sí; e ancora se quello quale puòfare uno, ivi saranno infaccendati due o piú; e se dovebisogna due o piú ivi su di uno solo; e se a uno o piúsarà data faccenda alla quale è sia inutile o disadatto.Imperoché dove siano troppi, alcuno sta indarno, e ovesono manco e inutili, egli è peggio che se facessinonulla, però che cosí s’afaticano senza frutto, e distur-bano in grande parte e guastano le cose.«LIONARDO Bene dite.«GIANNOZZO Maisí, a questo modo non si lascionoperdere tempo: comandisi a ciascuno cosa quale sappi epossa fare»

Così il tempo non è più il tempo dell’agricoltura (varicordato che i calendari agricoli facevano iniziare l’an-no con l’autunno, al momento della semina) o il tempofondato sulle manifestazioni della presenza divina (cosícome erano influenzati gli anni «civili» delle differenticittà italiane, che iniziavano col Natale o conl’Incarnazione) o, ancora, il tempo circolare d’una certa

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tradizione greca. È il tempo che ormai da circa un seco-lo viene scandito dagli orologi delle città d’Italia ed’Europa, infrangendo quella che Le Goff chiama la«volonté d’ignorer le temps» e, al di là del tempo, lastoria. Ecco che allora Antonino da Firenze, nelle sua SummaMoralia rispettosissime delle dottrine della Chiesa, ècostretto a riconoscere «cum tempus sit pretiosissimares et irrecuperabilis». Anche il livello intellettuale piúalto riconosce questa generale sensibilità: il tempo è unbene sempre piú prezioso, di cui si può far capitale.Guicciardini lo afferma recisamente in uno dei suoiRicordi del 1528: «abbiate per certo che, benché la vitadegli uomini sia breve, pure a chi sa fare capitale deltempo e non lo consumare vanamente avanza tempoassai». Piú ci si inoltra nel corso del XVI secolo, piú lecitazioni potrebbero moltiplicarsi: Alamanni, AntoninoGallo, Cesare Porzio, l ’anonimo del Trattato dellaLesina, Ruzante.

Anche Bertoldo nella sua saggezza osserva: «Chi hatempo non aspetti tempo». Gli risponde Bertoldino, conun’osservazione sciocca a prima vista, ma fortementerivelatrice: «Ma, ditemi, è piú lungo il giorno della città,o quello della villa?». Possiamo immaginare che GiulioCesare Croce abbia scritto questo dialoghetto solo peramore della battuta; oppure fare una riflessione ulterio-re. Leon Battista Alberti aveva elaborato una concezionedel tempo che la società urbana e signorile del XV seco-lo aveva sì fatta sua, ma trattenendola all’interno dellemura cittadine, come se fuori di esse il tempo e la storiacontinuassero a scorrere imperturbabili come dall’iniziodel mondo, quasi che i ritmi produttivi e frenetici dellacittà trovassero compensazione e riequilibrio nei ritmidella campagna. Oggi più del 50% della popolazione ditutto in globo vive in città, ed hanno calcoltao cheQuesta non è più storia, è cronaca. Vi ricordo chedurante il secolo XX la popolazione del pianeta è rad-doppiata 2 volte, per andare indietro all’ultimo raddop-

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pio dal ‘900 bisogna andare indietro di 150 anni dacirca 700 ML a circa 1,6 MLD, per arrivare al futuro rad-doppio bastano pochi anni...

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Saturno e i suoi figli, metà sec. XV

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IL TEMPO E LA GESTIONE DELLE DIVERSITÀDELLE PERSONEGiorgio Manavella

Quando, nell’ambito delle aziende oppure delle varierealtà socio-organizzative, parliamo di persone, è sem-pre difficile affrontare il concetto di diversità, in quanto,se interpretato alla lettera, ciò significa scostamento dauno standard, da un denominatore comune che caratte-rizza, ad esempio una comunità, un gruppo, un’azien-da, ecc. In altre parole come si può definire ciò che èdiverso e ciò che non lo è? Diverso vuol dire non ugua-le, ma rispetto a chi e a che cosa? Ampliando il concetto,tutti noi siamo dei diversi per qualche ragione rispetto aqualcun altro. Preferirei parlare piuttosto di specificitàdelle persone o di specificità riferita a fasce di “popola-zione”.

In uno scenario di crescente globalizzazione, di flussimigratori che quindi aumentano, di tecnologie che avvi-cinano sempre di più le persone anche in maniera virtua-le, tali specificità, anche se apparentemente lontane,vengono sempre più a contatto tra loro; non solo, lestesse specificità mutano nel tempo e diventano tali inun certo momento anche se prima non lo erano. Tuttoquesto avviene in un quadro di riferimento complessivo ilcui tasso di cambiamento è di molto accelerato rispettoal passato ed anche le differenti velocità con cui le per-sone metabolizzano il cambiamento e le tecnologiediventano a loro volta un elemento di diversificazione.

A questo contesto fanno appunto riferimento le varietecniche e le innumerevoli pubblicazioni sul cosiddetto“Diversity management”. Ma vediamo con riflessioni dipiù basso profilo cosa questo significhi.

E’ chiaro che questo rappresenta per tutti noi, sia sin-golarmente sia nell’ambito delle aziende in cui operia-

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mo, un elemento di maggior complessità, in altre paroleun problema.Ora, il tipo di approccio a questa situazione può esseremolto diverso:- cerchiamo di risolvere il problema e basta;- cerchiamo di risolvere il problema creando ove possi-bile un’opportunità.Ma quando parliamo di specificità delle persone cosaintendiamo? Come possiamo inquadrarle in gruppi ocategorie?Credo che il tema sia molto ampio; in ogni caso in pro-posito si può pensare a “diversità” legate al genere,all’età, all’etnicità, alla razza, alla l ingua, all’educa-zione, alla religione, ecc.Talvolta alcune di queste sono correlate ad altre e quin-di devono essere analizzate in modo integrato.Esse toccano e riguarderanno sempre di più negli anni avenire le nostre aziende e, in questo contesto, nell’otti-ca di affrontare l’argomento in maniera proattiva piut-tosto che reattiva, occorre che, fin da ora, andiamo adindividuare e porre in essere le necessarie leve sia sulversante dello sviluppo e della gestione del personale siasu quello organizzativo.In proposito vorrei focalizzare l’attenzione sui fenome-ni che ritengo più significativi e che dovremo necessa-riamente affrontare con maggior impegno; parlo dellapresenza femminile, dell’età e della connessa evoluzio-ne demografica ed, infine, dell’impatto dell’immigra-zione.

Partiamo dal primo argomento.

L’occupazione femminile è stata come noto oggetto diattenzione del Consiglio Europeo di Lisbona che, nel2000, ha formulato una strategia che prevede per il 2010un tasso di occupazione complessivo al 70 % e femmini-le al 60 %. L’Italia in particolare presenta problematicheancora più marcate rispetto agli altri paesi dell’UnioneEuropea a 25 posizionandosi al terzultimo posto per

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tasso di occupazione complessiva (circa il 60 %), mentrela Danimarca registra il miglior tasso con il 75,1 % dioccupati. Il più alto tasso di occupazione femminile è inSvezia (71,5 %) mentre l’Italia si colloca tra gli ultimiposti con il 47 % circa pur in presenza di un trend carat-terizzato da modesta crescita. Occorre ancora precisare che a livello europeo l’occupa-zione femminile si concentra maggiormente nel lavorodipendente e nel part time. Il part time impegna circa unterzo delle donne in Europa (34 % delle occupate) e unsesto delle donne in Italia (17,2 %).Il tema è stato anche affrontato dai ministri responsabi-li delle politiche sociali dei paesi OCSE (Parigi – 2005) iquali hanno tra l’altro definito un asse di intervento chesottolinea l’importanza di aumentare l’occupazionefemminile che è cruciale non solo per ridurre il rischio dipovertà infantile ma anche per aumentare la fertilità, ilcui livello in Italia è tra i più bassi al mondo. I paesiOCSE con tassi di occupazione femminile più elevati sonoanche quelli con fertilità più alta. Un dato che sottolineal’importanza di un’offerta di servizi di custodia del-l’infanzia ampia e di costo abbordabile, di forme diorganizzazione del lavoro che offrano ai genitori flessi-bilità di orario e di un’organizzazione del sistema edu-cativo (doposcuola, vacanze) più attento alle esigenzedei genitori.

Appare quindi del tutto evidente come tale fenomeno,che sta diventando via via più marcato, debba essereaffrontato nell’ottica dell’ottimale utilizzo di questaimportantissima risorsa che è la popolazione femminile edella massimizzazione delle relative e positive caratteri-stiche e abilità.Di estrema importanza appare pertanto l’attenzione dadedicare allo sviluppo professionale delle donne, a quel-lo manageriale, alla costituzione ed al monitoraggio deiteam di lavoro in un ottica di piena enfatizzazione delconcetto di pari opportunità.Per le donne è altresì necessario sviluppare strumenti

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gestionali che concilino il tempo di vita personale efamiliare con il tempo di lavoro, al fine di promuovere lecitate pari opportunità per le lavoratrici anche medianteuna diversa organizzazione del lavoro. Tali strumentirichiedono un approccio aziendale nei confronti delledonne, e non solo, ispirato alla protezione degli spaziprivati e all’innalzamento della qualità della vita com-plessiva (“work and life balance”). Ciò significa prepa-rare un ventaglio di servizi alla persona, riconoscere iltempo di vita come strumento di equilibrio personale,sperimentare e/o potenziare forme di lavoro flessibile.Si tratta di una prospettiva che implica il ripensamentodel rapporto tra azienda e famiglia e persegue l’obbiet-tivo di rendere le condizioni di lavoro maggiormenteflessibili, assicurando una gestione più rispondente siaalle esigenze individuali e familiari che a quelle azienda-li.

L’introduzione di queste misure andrebbe accompagna-ta con una adeguata preparazione dell’ambiente: forma-zione e sensibilizzazione non solo delle donne (per cor-reggere tendenze all’autoesclusione) ma soprattutto deiresponsabili per evitare azioni di rigetto.I possibili strumenti a ciò finalizzati potrebbero esseread esempio:

- forme di flessibilità di orario e di organizzazione dellavoro con priorità per i genitori con figli piccoli;- per il part time si potrebbero prevedere contratti atempo parziale reversibile (con ritorno a tempo pieno altermine delle necessità familiari);- programmi di reinserimento professionale post-conge-do;- banca delle ore: permette di accantonare in un conto

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individuale le ore prestate oltre l’orario di lavoro nor-male con la possibilità di poter fruire successivamentesotto forme di riposo compensativo;- orario concentrato: l’orario concentrato è una formadi flessibilizzazione annua dell’orario di lavoro che con-sente, mediante recuperi e permessi, di ridurre la duratasettimanale;- telelavoro: è una forma di flessibilità vicina alle neces-sità familiari delle donne, in quanto permette di svolge-re da casa le proprie mansioni mediante sistemi telema-tici;- congedi parentali, il cui ricorso potrebbe essere soste-nuto anche con sostegni economici;- servizi di ausilio alle famiglie. Si può prevedere a livel-lo aziendale la realizzazione, ad esempio, di asili nidoanche beneficiando di incentivi statali e regionali; inalternativa, occorre prendere in considerazione la possi-bilità di un supporto economico per le famiglie che deci-dano di affidare i figli a strutture educative capaci disoddisfare le necessità familiari con riferimento ai tempidel lavoro.

Sono solo alcuni spunti di riflessione che andranno valu-tati ed applicati previa attenta analisi delle specifichesituazioni socio-organizzative aziendali.

Affrontiamo ora il secondo argomento e cioè l’evoluzio-ne demografica, l’impatto sull’età media ed il conse-guente “invecchiamento della popolazione”.

La strategia di Lisbona aveva come obbiettivo al 2010 untasso di occupazione over 55 al 50%, che pare di proble-matico raggiungimento. Anche in questo caso la Svezia sipone come top performer (68,6 %) mentre l’Italia superadi poco il 30 %.Su questo aspetto si è concentrata anche l’attenzionedell’OCSE che ha affrontato in particolare la necessità diconciliare la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensio-

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nistici con maggiori opportunità di lavoro e partecipa-zione sociale per gli anziani: resta una priorità in tutti ipaesi dell’OCSE limitare l’impatto dell’invecchiamentodemografico sui sistemi pensionistici e aumentare iltasso di occupazione delle persone anziane, il cui livelloin Italia per gli uomini tra i 64 ed i 69 anni è circa unterzo di quello medio dell’OCSE. E’ un obbiettivoimportante non solo per ridurre la spesa pensionisticama anche per evitare che le riduzioni delle prestazioni sitraducano domani in un aumento di rischio di povertàper gli anziani.Su questo tema il futuro si presenta alquanto prevedibi-le. Studi dell’OCSE delineano ipotesi sul fenomeno del-l’aspettativa di vita nella maggior parte dei paesi: men-tre nell’Unione Europea l’aspettativa di vita è passatada 65 a ben oltre 70 anni a partire dal 1950 sino ad oggi,le proiezioni demografiche al 2050 indicano che glieuropei vivranno almeno altri 4 o 5 anni in più rispettoal 2000; inoltre in tutto il mondo si prevede che l’aspet-tativa di vita media aumenti di 10 anni tra il 2000 ed il2050.Si prevede che nei paesi UE la quota di popolazione dietà superiore ai 65 anni passi dal 16,3 % nel 2000 al 24,8% nel 2030 al 28,2 % nel 2050. Tra gli stessi paesi UE,l’Italia presenta un profilo di invecchiamento dellapopolazione particolarmente accentuato; il tasso di cuiabbiamo appena parlato (over 65) si prevede sarà del27,6 % nel 2030 e del 33, 5 % nel 2050.

La sintesi di tutto questo è che un fortissimo invecchia-mento sta investendo, ormai da decenni, la popolazionedi tutti i paesi europei, facendo del “vecchio continente”un “continente vecchio”: questo invecchiamento è cer-tamente il tratto caratterizzante dell’evoluzione demo-grafica per i decenni a venire e quindi quello caratteriz-zante gli aspetti connessi all’economia, alla società, allenostre aziende.A livello di sistema-Stato, ed in particolare in Italia, iltema è come noto stato affrontato con le riforme del

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sistema previdenziale cha ha via via dettato nuovi requi-siti per l’anzianità e per la vecchiaia contributiva.Ovviamente questo sancisce ulteriormente la necessitàda parte delle aziende di individuare soluzioni ottimaliper l’utilizzo di questa fascia di popolazione. La piùfacile potrebbe sembrare quella, ove applicabile, del pre-pensionamento sotto varie forme, che è stato ed è anco-ra utilizzato massicciamente, ma in un’ottica di breveperiodo. In presenza però di una consolidata tendenzaalla crescita di popolazione anziana, si sta dimostrandoche il prepensionamento non libera in maniera propor-zionale posti di lavoro per i più giovani. Un confrontocon altri Paesi europei mette in evidenza come quelli chehanno la piena occupazione hanno anche un tasso diattività degli ultracinquantenni molto elevato. D’altraparte appare evidente come un paese o un’azienda cheadottino come politica strutturale la scelta di privarsi diprofessionalità mature, con grande know-how e nelpieno delle forze globalmente si impoveriscano.

E allora dobbiamo scegliere altre strade finalizzateall’utilizzo ottimale di queste persone, di questa risor-sa, nell’ottica di sfruttarne al meglio le intrinsechecaratteristiche (expertise, fedeltà nei confronti del-l’azienda, capacità di guidare un gruppo, ecc.) ed inter-venendo attraverso la formazione o la creazione di mag-gior consapevolezza laddove si intravedano sintomi didebolezza (in termini di adattabilità all’innovazione, difamiliarità con l’informatica, ecc.).Occorre in altre parole mantenere nel tempo un buongrado di professionalità dei lavoratori ed evitare che siverifichi un calo di partecipazione effettiva ed “affetti-va” alla vita aziendale in età troppo giovane.

Per raggiungere questa finalità si potrebbe ipotizzarel’adozione di strumenti che siano in grado di motivare idipendenti ultracinquantenni più capaci e funzionali allosviluppo aziendale, previamente identificati sulla base

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del loro patrimonio di informazioni e conoscenze tecni-co-professionali e della loro capacità di trasmettere taleprofessionalità alle nuove generazioni.Alcune delle possibili misure in grado di realizzare que-ste finalità potranno essere:

- mentoring/coaching: il personale ricco di competenzeutili alle esigenze di business dell’azienda (con o senzarequisiti di pensione) può essere utilizzato nelle attivitàdi formazione, di coaching e mentoring rispetto ai giova-ni;- orario flessibile: in particolare col personale che hamaturato i requisiti pensionistici bisogna considerare lapossibilità di incentivare la loro permanenza mediantel’attivazione di forme flessibili di orario/lavoro; questo,abbinato al mentoring può alleggerire il peso della per-manenza e valorizzare le risorse;- formazione: la propensione delle aziende alla forma-zione continua e all’aggiornamento (ad esempio rispet-to alle evoluzioni tecnologiche) potrebbe essere indicati-va del loro reale interesse a riqualificare e quindi a man-tenere efficace la propria forza lavoro anziana;- focus sul ripensamento del proprio ruolo: reinterpreta-zione della professione in un’ottica di riposizionamentoindividuale, anzianità professionale come valore aggiun-to da spendere;- creazione di community;

Quanto sopra mette in luce la necessità per le aziende dienfatizzare il concetto della “gestione di tutti” e della“gestione con continuità”, utilizzando leve differenzia-te in relazione al diverso momento del ciclo di vita pro-fessionale, ma comunque perseguendo la massimizza-zione della produzione individuale e del contributo alrisultato aziendale.Occorre che si superino blocchi culturali antichi, sia sulversante delle aziende che non investono in formazionesulle loro risorse meno giovani, sia su quello dei singoliche tendono ad autoconvincersi di aver oltrepassato

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l’età dell’apprendimento: ciò è falso ed inutilmentelimitante. Esiste in Italia un esercito di persone troppogiovani per la pensione e troppo vecchie per lavorare ecrescere nelle organizzazioni: è uno spreco ingiustificato.

Esaminiamo ora l’impatto dell’immigrazione.

Nel l ’ambito dei paesi del l ’area del Mediterraneo,l’Italia rappresenta sempre meno un ponte di transitoper i flussi di immigrazione proveniente dai paesidell’Est, dall’Africa e dall’Asia e diretti verso il Norddell’Europa o dell’America, ma, al contrario, costituiscesempre più un approdo stabile degli esodi.L’incidenza degli esodi sulla popolazione complessivavaria molto da stato a stato: si va dal 36,9 % delLussemburgo all’8/9 % della popolazione di Austria,Belgio e Germania, mentre nei paesi mediterranei non siraggiunge il 3 %, fatta eccezione per l’Italia che superail 5 % che costituisce la media UE-15. Nel complesso, nelgiro del decennio 1995-2005, la presenza straniera si èpressoché triplicata, al ritmo di circa 150.000-200.000persone in più all’anno nell’ultimo periodo (uno dei piùalti nei paesi europei). Si ricorda che, secondo un recen-te Rapporto ONU sulla popolazione mondiale, l’Italia,per mantenere gli attuali livelli di occupazione ed in pre-senza di un marcato trend di diminuzione della popola-zione autoctona, dovrebbe accogliere 250.000 immigratiall’anno per cinquant’anni. Si consideri che tra il 2005ed il 2025, con gli attuali trend, la popolazione italianadiminuirebbe del 10 %. Un’ipotesi dell’Istat sulla cre-scita del numero degli stranieri in Italia prevede chel’incidenza della popolazione immigrata sul totale pas-serà dal 2,4 % del 2000 al 16,8 % nel 2050.

Di fronte ad un declino così forte, né l’aumento deitassi di attività/produttività né il completo riassorbi-mento della disoccupazione possono raddrizzare (se nonin piccola parte) un bilancio fortemente negativo:un’economia che mantenga le sue dimensioni – relati-

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vamente agli altri paesi – deve poter contare su unasostenuta immigrazione. Senza questa, anche la crescitadel benessere risulterebbe frenata dal processo di invec-chiamento e dagli oneri crescenti dei trasferimenti inter-generazionali.

È questo un tema che ci investirà massicciamente. Edallora quali leve dobbiamo attivare affinchè questo pro-blema si tramuti anche in opportunità? Credo che, quan-tomeno a titolo di esempio, si potrebbero indicare leseguenti:

- Gestione attenta dell’ingresso e dell’inserimento,orientata sia a far percorrere dagli interessati adeguatistep formativi e preparatori propedeutici all’inizio del-l’attività lavorativa, sia a mirare gli inserimenti stessi inambienti particolarmente favorevoli per quanto attiene lemultietnie (esempio grandi città);- Attività formativa: nei programmi formativi ai varilivelli e nelle diverse specializzazioni si potrebbero inse-rire dei momenti di riflessione e condivisione sul temamultietnico, inteso non come un problema da risolverema come una risorsa aggiuntiva data dalle diverse com-ponenti la cosiddetta “diversità”;- Accentuazione della formazione linguistica;- Sviluppo delle ability manageriali a gestire team com-positi e multietnici;- Messa in atto di accorgimenti organizzativi e gestiona-li (flessibilità operativa oppure di orario) finalizzata adarmonizzare le esigenze lavorative con le peculiaritàpersonali dei singoli – dettate da religione oppure carat-teristiche sociali – (ad esempio per mondo arabo).

Da quanto abbiamo appena citato, emerge la tendenza,sempre più evidente nel nostro mondo del lavoro, alladiversificazione delle attività. Questa tendenza richiede-rà un ripensamento dell’organizzazione aziendale. Sitratta di passare dalla gestione di aziende composte dapersone assunte con i tipici contratti di lavoro che cono-

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sciamo ad aziende popolate da soggetti diversi occupatiin forme flessibili e diverse. Per tutti gli operatori azien-dali, in particolare per quelli responsabili delle risorseumane, si pone la sfida della gestione delle specificità,che richiederà di superare abitudini e stereotipi consoli-dati e di capire a fondo non solo le possibilità di usodelle nuove forme di lavoro, ma anche la loro idoneità arispondere ai bisogni dei vari gruppi di soggetti in modoutile all’azienda e alle persone.

Le persone che apportano specificità possono costituireforti risorse per lo sviluppo in quanto fonte non solo dicompetenze tecniche e professionali ma anche di sensocomune, saperi, conoscenze, punti di vista. Esse rappre-sentano un fondamentale strumento sia per la raccolta diinformazioni nell’ambiente di provenienza, sia perl’elaborazione di processi decisionali “ricchi” e consa-pevoli.

La funzione HR delle aziende, come peraltro gli altri con-testi lavorativi, assumono al riguardo un triplice ruolo: digaranzia di pari opportunità in coerenza con le disposi-zioni di legge ed i principi di eguaglianza; di diffusionedi valori, cultura e strumenti che favoriscano un clima dicooperazione impiegando al meglio le differenze; divalorizzazione cioè di contributo ad accrescere il valoreglobale dell’azienda, “mettendo a reddito” il patrimo-nio inespresso insito nelle differenze presenti nell’orga-nizzazione.

Il cosiddetto “Diversity management” deve diventare,infatti, un processo aziendale di cambiamento che ha loscopo di contribuire all’aumento del valore intrinsecodell’azienda attraverso il pieno utilizzo del contributo,unico, che ciascun dipendente può portare per il rag-giungimento degli obbiettivi aziendali. La competenzamanageriale, individuale e organizzativa, che permette direalizzare un’efficace gestione delle specificità, puòsvilupparsi se viene a cadere il riferimento ad un'unica

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metrica di pensiero e di comportamento e sono contem-poraneamente presenti e riconosciute qualità e orienta-menti diversi; unici ed unificanti devono essere i valori, ilpatrimonio di competenze e le prassi aziendali che con-sentono alle diversità di esprimersi e che le persone ed iquadri aziendali devono possedere.

In conclusione, a proposito di “tempo”, vorrei citare unpassaggio di uno scienziato e filosofo americano CharlesFrankling Kettering (da “Seed for thought”): “Tuttidovremmo preoccuparci del futuro, perché là dobbiamopassare il resto della nostra vita”.

E quindi affrontare le specificità di cui abbiamo parlatosarà inevitabile. In proposito, si possono distinguere duemacro-categorie di differenze/specificità: quelle prima-rie e quelle secondarie; abbiamo più diffusamente parla-to delle prime, che fanno riferimento ad elementi qualil’età, il genere, l’origine etnica, che fanno parte di unpatrimonio innato dell’individuo e che non possonoessere modificate. Le diversità secondarie, invece, fannoriferimento ad elementi acquisiti nel tempo come, adesempio, il background educativo, la situazione familia-re, la localizzazione geografica, il reddito, la religione, ilruolo organizzativo, l’esperienza professionale. A diffe-renza delle altre, queste caratteristiche possono esseremodificate più volte o abbandonate nel corso del tempo.

Ovviamente, nelle organizzazioni, anche di esse biso-gnerà tenere conto.

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ALCUNI CASI AZIENDALI

«ACQUISTARE» IL TEMPOAngelo Ballabio

È proprio nei processi di cost management ed in partico-lare in quelli di acquisto che la variabile «tempo» trovauna concreta e misurabile quantificazione economica.Vediamo alcuni esempi, mutuati da interventi consulen-ziali in area procurement, ed un approccio per il migliorgoverno della risorsa «tempo» nella gestione degliacquisti.

Valore del tempo, funzione del ritorno economico

Nell’unita tabella esemplificativa sono riportati tutti gliordini di acquisto perfezionati nel corso dell’esercizio2006, ripartiti per fascia di importo negoziato e con evi-denza delle incidenze percentuali e progressive perquantità e importo.Tenuto conto del monte ore annuo lavorato dai buyer edel contenimento costi complessivo derivante dallenegoziazioni (saving), il saving medio orario è valutabilein € 1865/h. Questo dato costituisce la produttività ora-ria del Buyer.

Ne scaturiscono alcune considerazioni:

- circa il 90%, in valore economico, delle attività diacquisto è superiore ai 20.000 euro;

- questo volume si concentra nel 16% degli ordini perfe-zionati;

- le prime tre fasce sono inferiori al saving medio;- le ultime tre fasce (oltre € 200.000) rappresentano

oltre la metà dell’impegno;- quest’ultimo impegno è concentrato in meno del 2%

degli ordini perfezionati.

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Abbiamo visto che la risorsa «Buyer» è forse quella a piùalto valore aggiunto della catena produttiva di unaAzienda. Appare pertanto evidente che, agendo sul pro-cesso organizzativo e sulla normativa che regola le pro-cedure acquisitive si può concentrare la preziosa risorsacostituita dal «tempo dei Buyer» sulle attività di procu-rement a più alta produttività. Di estrema importanza per l’ottimizzazione dei risultatie l’armonizzazione del processo è l’analisi del contestomerceologico. Con questo vanno coniugate le considera-zione sopra riportate per ottenere un processo di procu-rement integrato ed ottimizzato.

Nella successiva tabella vengono classificate settemacro-aree merceologiche in cui sono state assimilate leattività acquisitive del Cliente, relativamente allo scorsoesercizio. Sono rappresentati i costi dei Buyer per cia-scuna macro-area ed i relativi saving ottenuti.

Vengono inoltre ottenuti due indici per comparare le per-formance raggiunte:

- «indice di efficienza» che tiene conto del costo pervalore unitario di merceologia acquisita;

- «indice di efficacia» che tiene conto del saving ottenu-to per valore unitario di merceologia acquisita.

Anche mediante questa rappresentazione si comprendecome un attento e razionalizzato posizionamento/inve-stimento della risorsa tempo nei comparti merceologicia più alta efficienza può consentire anche di raddoppia-re la produttività complessiva.

Il tempo di acquistare

Per l’ottimizzazione dei risultati negoziali vi sono tempiprecisi da centrare per molteplici tipologie di acquisto: ilrisultato può essere così ottimizzato in misura varia-bile tra il 10 ed il 30% in funzione della merceologia.

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«ACQUISTARE» IL TEMPO

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Si possono citare a titolo esemplificativo gli acquistimassivi di PC portatili o di monitor LCD (luglio) di auto-vetture (dicembre), gli acquisti di prodotti-programma ola sottoscrizione di contratti di servizio con multinazio-nali (poco prima della chiusura dei relativi esercizi fisca-li, ad esempio: marzo, giugno, settembre). In certe con-dizioni di mercato borsistico possono essere momentifavorevoli al saving anche le acquisizioni in corrispon-denza dei quarter.

In generale assume particolare importanza per la ridu-zione dei costi:

- il rinnovo tempestivo di accordi di fornitura (conven-zioni) senza prorogare gli accordi esistenti ove il pro-dotto, in virtù della curva dell’esperienza, si riduce diprezzo nel tempo;

- il rinnovo tempestivo di contratti di servizio che pos-sono essere chiusi con significativi contenimenti deicosti sia per mutati scenari di mercato, sia per otti-mizzazioni organizzative introdotte.

Comportamenti per gestire «in tempo»

Mi piace notare che il tempo, non è mai né troppo népoco: è un dato. Si rivelerà poco o molto in funzione delmodo in cui il singolo o il gruppo lo sapranno gestire nelcorso della propria attività. Il tempo inoltre è l’unicarisorsa non reintegrabile: una trattativa che, a causa diqualche imprevisto, è stata male preparata o gestita daun buyer «fuori forma» non è recuperabile; si potrà faremeglio in un secondo momento ma le conseguenzelasceranno il segno. Pertanto, in questo caso è meglioattendere e «rischedulare» gli eventi che sprecare tempodue volte.

Si possono individuare quattro variabili da controllarenell’organizzazione del lavoro finalizzate a gestire «intempo» i più importanti momenti di acquisto; l’impo-stazione sotto riportata deve coinvolgere le contropartinegoziali ed i clienti interni:

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- le scadenze: occorre precisare con chiarezza la scaden-za principale (obiettivo) e tutte le scadenze intermedie(sotto-obiettivi) comprese le finestre temporali dadestinare alla definizione degli obiettivi ed alla prepa-razione delle trattative;

- l’articolazione degli incontri: prevedere il numerodegli incontri di commissioni interne e di negoziazioniche si renderanno necessari. I calendari devono esserecondivisi con largo anticipo in modo da fissare leagende delle controparti e ridurre le incompatibilitàtemporali con gli impegni derivanti dalle restanti atti-vità acquisitive;

- l’orario: occorre fissare ad ogni incontro l’orario diinizio e fine; il rispetto della dimensione «tempo»diventa segno tangibile del rispetto reciproco cheintercorre tra le controparti;

- l’agenda: è fondamentale individuare, all’atto dellaconvocazione di ogni incontro, gli argomenti che ver-ranno trattati e le attività che verranno realizzate. Ciòper rendere concreto e produttivo il tempo investito edevitare alibi del genere: non ho portato il materialenecessario, non sapevo e non mi sono preparato ecc..La scaletta degli argomenti deve essere immaginatasecondo una priorità logica o di importanza e devecontenere i tempi a disposizione per esaurire ciascunargomento. Al riguardo mi soffermo su un vecchioadagio: «se non si fanno prima le cose più importantisarà difficile poterle fare dopo».

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JACOPO CAPCASA DA CODECA, Il Trionfo del Tempo (da Petrarca)

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TEMPO DELL’IMPRENDITORE E TEMPO DEL MANAGERGiorgio Bertazzo

Secondo il Codice Civile viene definito «imprenditorechi esercita professionalmente un’attività economicaorganizzata al fine della produzione o dello scambio dibeni o di servizi.» (Art. 2082, 1). Secondo questa defi-nizione la titolarità dell’impresa può essere quindidisgiunta dall’effettiva partecipazione alla gestionedell’Azienda; in capo all’imprenditore rimane, in ognicaso, il rischio d’impresa.Elemento specifico dell'attività imprenditoriale è dun-que l’attitudine ad affrontare il rischio è: l'imprendito-re (perlomeno nella piccola impresa) deve spesso esseredisposto a mettere in gioco la propria sicurezza econo-mica per mettere in pratica la propria idea, profondendonella realizzazione del progetto imprenditoriale granparte delle proprie risorse.Impegnandosi in questo ruolo l’imprenditore è natural-mente portato a cedere ad altri l’effettiva partecipazio-ne alla gestione dell’Azienda, perché occuparsene spo-sterebbe il suo impegno dal diretto confronto con ilrischio d’impresa ad un contesto di programmazio-ne/pianificazione dell’attività.

Fatta tale premessa, i tempi dell’imprenditore dipendo-no più o meno dal suo grado di «vivacità» ed in generedevono essere molto veloci, perlomeno riguardo unagenerica gestione della sua attività corrente. Comequantificare tuttavia il tempo dedicato ai «sogni»?Al giorno d’oggi, dovendo confrontarsi con una econo-mia globale che affascina e terrorizza allo stessotempo, gli orizzonti dell’imprenditore sono difficili dadelimitare, ragion per cui la sua velocità di intuizionedell’imprenditore può avere conseguenze rilevantissi-me sull’attività pianificta dal management: le azioni daintraprendere devono essere attivate immediatamente,l’analisi dei feed-back (studi, rapporti, approfondimen-ti, ecc.) richiede tempo, ma ciononostante l’imprendi-

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tore scalpita, vuole tutto subito («per ieri!») e l’esecu-zione deve essere immediata.Il tempo di attesa dell’imprenditore lungo il processointuizione/azione/feed-back/esecuzione è percepitocome pressoché infinito.

Intendiamoci: è senz’altro corretto che l’imprenditorecapisca prima degli altri e «cavalchi» il contesto in cuiopera, purché un tale atteggiamento non gli impediscadi fare i conti con gli altri fattori del sistema (uno pertutti: la flessibilità dell’impresa e delle strutture ope-rative). Il sogno di tutti è quello di strutturareun’azienda in modo da sapere rispondere velocementealle «strambate».

Se la figura dell’imprenditore è facilmente associabilea quella di un condottiero – che domina, comanda, diri-ge – è altrettanto vero che i cambiamenti di rotta odelle strategie non possono essere determinate solodalle sue caratteristiche personali o dal tempo chededica ai propri sogni.L’esempio classico è quello che riguarda la propensio-ne al rischio: essa può sicuramente dimostrarsi un fat-tore di successo, ma occorre fare molta attenzioneall’euforia generata da un eccesso di autostima, unaconvinzione di «invincibilità» a cui generalmente fannoseguito una banalizzazione dei problemi ed un’assue-fazione ad essi.

È in queste condizioni che solitamente il tempo del-l’imprenditore viene distolto dall’azienda e dedicatoad altro (altri mercati, altre idee). I controlli si allenta-no, la leadership si appanna ed è il management cheavverte il distacco tra azioni ed obiettivi: si diffonde laconvinzione che le cose procedano per inerzia.Si tratta del momento di maggior pericolo per l’impre-sa: la concorrenza si fa sentire di più, il managementviene tentato da altre realtà più dinamiche ed allettanti.In realtà il ruolo della leadership non deve mai subire

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TEMPO DELL’IMPRENDITOREE TEMPO DEL MANAGER

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appannamenti, il tempo dell’imprenditore deve esserededicato anche a far sentire la sua costante presenza inAzienda.

Solo reagendo a tali criticità il ruolo del managementpuò essere correttamente definito. Fino a qualchetempo fa, infatti, la scelta dei manager si ispirava allacreazione di una «squadra» di professionisti che coope-rassero per raggiungere obiettivi di stabilità, forza,risultati economici nel lungo periodo, ecc. (certo con-trastando fenomeni di statiticità e lentezza).Perché in questa ideale situazione si potessero concre-tizzare le condizioni di solidità e competitività diun’impresa dovevano essere inoltre condivisi:- la definizione delle strategie- la corretta pianificazione- il controllo sul raggiungimento degli obiettivi- un’adeguato livello di comunicazione- la valorizzazione delle risorse umane- l’attaccamento all’ impresa.

Oggi tutto questo è un pallido ricordo; il manager èsottoposto alle pressioni degli azionisti e degli analistifinanziari. Il tempo del manager è scandito da questepreoccupazioni e i soli elementi di valutazione/confron-to riguardano il raggiungimento dei singoli obiettivi.Durante il congresso nazionale dell’Aidp,l’Associazione italiana dei direttori del personale,tenutasi a Cervia (RA) il 25 e 26 maggio scorso, è statapresentata l’antologia Sconcerto globale, un volume –dal sottotitolo Racconti di manager in bilico, compren-dente otto racconti scritti da dirigenti e manager affer-mati (Giovanni Favero, Gino Saladini, Cristina Volpi eLuciano Ziarelli).Ne risultava un panorama drammatico, popolato da«colleghi d’ufficio pronti a sbranarsi, perfino a uccide-re per un incentivo in più»; giovani stagisti a «cinque-cento euro al mese e coltello tra i denti», perché «ini-ziano in dieci e ne resterà forse uno»; un dirigente

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TEMPO DELL’IMPRENDITOREE TEMPO DEL MANAGER

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d’azienda che, novello Faust, ha fatto un patto colDiavolo via e-mail. «Benvenuti nel mondo del lavoro delterzo millennio»: così, con scene d’ordinaria follia emolta ironia, lo narrano alcuni dei suoi stessi protago-nisti.«Nelle nuove aziende – dice un personaggio di unadelle queste storie – non c’è più nessuno che sappia‘fare il mestiere’. Solo piani di ristrutturazione e costi,ovvero persone, da tagliare». È davvero così spietata esconcertante la vita da manager?

La risposta a questa domanda va individuata proprioin un orizzonte temporale eccessivamente limitato: ilmercato vuole risultati immediati e non si preoccupa diquello che succederà domani. E ciò non è vero soltantoper quanto riguarda le situazioni percepite come criti-che: anche molti «successi» sono in realtà limitati albreve periodo, conquiste temporanee che impoverisconol ’Azienda.

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TEMPO DELL’IMPRENDITOREE TEMPO DEL MANAGER

V. VALGRISI, Il Trionfo del Tempo (da Petrarca), 1560

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IL TEMPO DEL PROGRAM MANAGERFranco Forzani Borroni

Il mio intervento non è articolato con l’intenzione difornire considerazioni esaustive sulle modalità di valuta-zione e calcolo della dimensione temporale all’interno diun’attività di project management(non ne avrei il tempoe la preparazione) quanto di spigolare fra alcuni para-dossi coi quali ebbi modo di confrontarmi in seno ad unarecente esperienza di PMO.Il dato di partenza era costituito da un capacity planning,organizzato su previsioni espresse in giorni/uomo.Quando - dopo un rapido esame - feci notare che a mioavviso si trattava di un documento troppo ricco di infor-mazioni per costituire un effettivo strumento di comuni-cazione, mi venne fatto notare che si trattava di un docu-mento di lavoro e che per tanto era necessario privilegia-re l’elemento di informazione rispetto alle modalità dicondivisione dei contenuti.Semmai, ai fini della comunicazione, i dati venivano tra-dotti in un grafico, che tuttavia - dovendo rappresentarel’occupazione del calendario sulla base dell’impegnoassunto - venivano trasformati in FTE.In questo caso a non convincermi era la scelta di utiliz-zare un grafico ad aree, che però sembrava essere il pre-ferito da parte del management per illustrare la dinami-ca dell’impiego delle risorse.

A guastare questa impostazione del lavoro furono i daticonsuntivati dalle singole unità organizzative, dati che siaffastellavano in FTE, giorni/uomo, ore/uomo (senzaspecificare il parametro ore/giorno), ecc., frutto di unamancata condivisione dei criteri di impostazione dellavoro con coloro ai quali si era successivamente richie-sto di fornire il dato a consuntivo.Poiché nel frattempo tali disguidi avevano fatto slittarela data di presentazione dell’andamento del progettointegrativo – inizialmente prevista al primo del mese - adimostrarsi fuorviante fu la scelta del grafico ad aree.

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Dati rilevati puntualmente venivano infatti rappresentaticon valori mediani che in realtà non possedevano, a chescaturivano soltanto dalla rappresentazione grafica.Si decise pertanto di utilizzare un istogramma...A fronte di questi anedotti, si potrebbe obiettare che lamia sia una visione troppo legata agli aspetti di comuni-cazione, che non necessariamente devono essere privile-giati in seno ad un’attività di project management.Tuttavia, leggo dalla brochure di presentazione di FutureConsulting: «[...] 3. AttivitàVolendo schematizzare il perimetro dei possibili inter-venti offerti da Future Consulting, il servizio di consu-lenza può articolarsi sulle seguenti attività:[...]Processi di Comunicazione:- Analisi e miglioramento dei processi di comunicazione:

interni alla realtà aziendale;verso il mercato.

[...]»Pertanto, volendo esplicitare un primo tentativo di con-clusione, dirò che:

a) Non esiste un'unità di misura «corretta» per la rile-vazione del tempo.b) Ciascun sistema di rilevazione presenta elementi diforza e di debolezza.c) La valutazione di tali elementi è possibile solo sullabase degli obiettivi che si intendono raggiungere in ter-mini di comunicazione.

E volendo infine compendiare tali affermazioni con unsecondo tentativo di conclusione, aggiungo che:

La comunicazione è efficace soltanto se esiste:

1. Consapevolezza semantica2. Condivisione del lessico

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IL TEMPO DEL PROGRAMMANAGER

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PERTANTO

Le rilevazioni temporali costituiscono uno strumento adisposizione del Program Manager, e come tali devonoessere utilizzate e condivise. Non deveono invece essereconsiderate - come spesso avviene - un risultato (delive-ry) del Program Management, o un metodo per verificarela bontà delle stime pianificate.

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IL TEMPO DEL PROGRAMMANAGER

F. PERRIER, Il Tempo distruttore, 1638

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FULL TIME EQUIVALENT: INDICATORE CORRETTO OECCESSIVA SEMPLIFICAZIONE? Luca Borro

ContestoIl presente intervento fa riferimento ad un interventoprogettuale strutturato sulla metodologia Lean SixSigma, e segmentato nelle seguenti fasi:

Definire: il fine di questa fase è stato quello di: definireil perimetro dell’intervento, anche in termini di proces-so; effettuare una prima macroscopica rilevazione delprocesso di rilevazione; definire i principali obiettivi daraggiungere e fornire una prima stima di quelli cheavrebbero dovuto essere i risultati; definire il gruppo dilavoro; condividere l’impostazione e gli obiettivi con ilresponsabile del progetto (sponsor) e con i responsabilioperativi dell’ufficio Bonifici. La fase si è conclusa conuna presentazione del progetto e decisione di prosecu-zione da parte dello sponsor.Misurare: questa fase si è concentrata sulla rilevazionedi dati di tipo quantitativo per “misurare” il processo ele sue singole attività componenti (es. volumi di bonificiin entrata e in uscita; picchi di lavorazione; stima deitempi di esecuzione di ciascuna attività).Analizzare: la fase si è concentrata sull’analisi dei datirilevati, sfumando, di fatto, nella fase precedente.L’obiettivo è stato quello di fornire le basi informative(quantitative e qualitative) per poter facilitare un con-fronto pragmatico con gli attori coinvolti nel progetto,incluse alcune persone con ruolo più “operativo” del-l’ufficio Bonifici. La fase si è conclusa con un incontrocollettivo (workshop) incentrato sul riepilogo di quantofatto sino ad allora e con sessioni di brain storming voltead individuare le possibili soluzioni da intraprendere.L’incontro di workshop è terminato con la stesura di unpiano d’azione dove le risorse dell’ufficio potevanoassumersi la responsabilità di portare avanti piccoliinterventi di miglioramento della produttività.

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Implementare: la fase si è centrata sulla messa in attodei propositi migliorativi definiti in sede di workshop conil monitoraggio ed il supporto del capo progetto.Controllare: la fase si è esaurita tramite una verifica daparte del capo progetto e dei responsabili dell’ufficioBonifici sui risultati conseguiti, utilizzando gli indicatoristabiliti nella fase “Definire” come monitoraggio per ilraggiungimento degli obiettivi allora dichiarati.

Gli obiettivi dichiarati del progettoGli obiettivi dichiarati in fase “Definire” sono stati iseguenti:

Obiettivi economici- Recupero FTE- Diminuzione dei costi di outsourcingObiettivi operativi- Diminuzione dei tempi di lavorazione- Aumento della produttività- Diminuzione dei difetti ed errori di lavorazione

Sinteticamente sono quindi due i target tratteggiati dagliobiettivi dichiarati:1) Il miglioramento del processo di lavorazione e della

sua produttività, con conseguente diminuzione deitempi di lavorazione e, a parità di volumi di bonificilavorati, una diminuzione degli FTE allocati.L’aumento della produttività del processo può essereperseguita prevenendo le possibili cause di errore dilavorazione, che, quando si verificano, richiedonochiaramente delle attività di rilavorazione, conaumento dei tempi e costi per il buon fine di un boni-fico.

2) La diminuzione dei costi di outsourcing, legati all’im-piego di un Service esterno che ha il compito di inse-rimento dei dati delle operazioni disposte di bonificofornendo un flusso dati ai back office per il perfezio-namento finale.

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I vincoli di sistema che sono stati posti all’avvio del pro-getto erano di non intervenire sulle procedure informati-che e sulle normative interne della Banca.Tralascio di addentrarmi nell’analisi degli obiettivi, deivincoli di sistema e delle soluzioni adottate per il rag-giungimento degli obiettivi e target dichiarati per esami-nare un po’ meglio gli aspetti relativi all’uso del FTEcome indicatore di misurazione della produttività.

Alcune curiosità

Il concetto di FTE e di produttività si relaziona con ilconcetto di tempo e con la sua misurazione.Nella seconda metà del XIII secolo si iniziano a costruirei primi orologi meccanici nell’Europa occidentale. Laprogressiva precisione e diffusione degli strumenti spin-ge a guardare in modo diverso al tempo ed alla sua rela-zione con le attività produttive. Il cambio di visione deltempo si correla ad una relazione di mutua influenza tral’invenzione dell’orologio come strumento più precisoper la misurazione del tempo e le innovazioni tecnicheche attraversano diversi ambiti produttivi. In conseguen-za degli sviluppi tecnici, le attività produttive relative adambiti diversi da quelli dell’agricoltura vanno amplian-dosi, coinvolgendo sempre maggiori porzioni dellapopolazione. Le attività progressivamente più articolate,che richiedono sempre maggiore collaboratività tra piùpersone e che sono sempre più indipendenti dai tempi“naturali” (ciclo circadiano, stagioni, etc.), a cui le atti-vità agricole sono sempre state correlate, spinge l’esi-genza di meglio misurare il tempo. L’orologio costitui-sce la risposta tecnologica a questa esigenza sociale natanell’Europa occidentale. Tanto è vero che i progressisulla misurazione meccanica del tempo sono prettamen-te europei: ad esempio, l’impero cinese, pur essendorisultato nei tempi antecedenti il XIII secolo molto piùavanzato della civiltà occidentale nella misurazione deltempo tramite orologi ad acqua, aveva un rapporto con iltempo molto particolare. In primo luogo il tempo non è

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un entità “a disposizione” di chiunque, cioè scandibileed organizzabile da ogni singolo in funzione delle pro-prie attività. Il tempo era definito e scandito in base alledecisioni dell’imperatore: il tempo era “proprietà” del-l’imperatore. Tanto è vero che, quando i primi missio-nari mostrarono i loro orologi per poter entrare a corte,questi strumenti occidentali di misurazione del tempoaffascinarono l’imperatore e la sua corte in quanto stra-bilianti strumenti meccanici e non come mezzi più pre-cisi, longevi e compatti degli orologi ad acqua per misu-rare il tempo (l’orologio ad acqua presentava una piùbassa longevità, a causa dei depositi). In secondo luogo il tempo non era misurato: ognimomento aveva una sua denominazione e la durata nonera assolutamente una variabile tenuta in conto per lasuddivisione della giornata. Un po’ come nell’Europadell’alto medioevo: il dì e la notte sono sempre staticonsiderati di pari durata (cosa vera solo negli equinozi)e suddivisi in numero uguali di parti (si pensi alla suddi-visione della giornata per mezzo dei momenti di pre-ghiera). Questo significa che una frazione del giorno ininverno aveva una durata inferiore alla stessa frazione inestate. Figuriamoci come ci si poteva sognare di faredelle misurazioni di produttività! La misurazione dellaproduttività nasce quindi con l’orologio e con le prati-che esigenze di organizzare meglio quella che dal XIIIsecolo in avanti, nelle economie occidentali, andavasempre più configurandosi come una risorsa (progressi-vamente sempre più scarsa): il tempo.

L’indicatore FTE

“Il Full Time Equivalent è un modo per misurare la pro-duttività o l’impegno di una persona su una certa atti-vità. Un FTE pari a 1 significa che la persona è allocatacompletamente su una certa attività, mentre un FTE paria 0,5 significa che la persona è impegnata per il 50% delsuo tempo su una certa attività. Il FTE è un buon modo per indicare quante risorseuomo/tempo sono allocate su una certa attività.

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L’indicatore è quindi un utile indicatore che può essereutilizzato per le attività di carattere amministrativo dellafunzione Personale.” Il problema del FTE si pone nel momento in cui essoviene utilizzato come un elemento per valutare la pro-duttività di un processo.Per fare chiarezza, definiamo produttività come il rap-porto tra output prodotti dal processo e quantità dellerisorse impiegate per unità di tempo.Il primo problema che emerge è legato alla definzione dirisorse. Intendendo per risorsa qualsiasi entità checostituisce un input / strumento per un certo processo,è chiaro che sono molte le risorse che entrano in gioco,e soprattutto sono diversificate ed hanno pesi diversi aseconda dei settori produttivi. Ad esempio, perun’azienda industriale-manifatturiera un elemento pre-ponderante delle risorse (anche in termini economici) ègiocato dalle attrezzature e dalle macchine di lavorazio-ne. Per contro, in un’azienda di servizi, impegnata nellarelazione con la propria clientela, la componente umanagioca un ruolo preponderante.Per quanto riguarda il contesto del progetto (ufficioBonifici Italia), la lavorazione è incentrata su un elemen-to immateriale come le informazioni ed i dati. A suppor-to di questo tipo di lavorazioni, che nei secoli passatierano appannaggio esclusivo dell’uomo, a partire dallaseconda metà del XX secolo interviene l’InformationTechnology, intesa come mezzo di produzione atto allalavorazione, trasmissione, memorizzazione e trasforma-zione automatica dell’elemento immateriale definitocome “dato” .Alla determinazione della produttività diun ufficio come quello esaminato concorre quindi sia lacomponente umana, quantificata dall’ufficio Personalecon l’impiego dell’indicatore FTE, sia la componenteinformatica sia, infine, la componente sistemica, riassu-mibile in vincoli endogeni (es. scelte della Banca sulcome gestire i rischi operativi istituendo misure di con-trollo e sovra controllo da parte di operatori diversi) e invincoli esogeni (imposte dagli organi nazionali di con-trollo, come Banca d’Italia).

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Aumentare la produttività dell’ufficio, a parità di volu-mi di bonifici in ingresso, intervenendo sulla riduzionedegli FTE presenti nell’ufficio tenendo costanti i mezzidi produzione e i vincoli esterni insistenti sul processo(es. processi autorizzativi) significa incidere sulla moledi lavoro da far svolgere agli FTE restanti, cioè alle per-sone che rimangono, incrementando la pressione su diloro affinché incrementino la propria produzione indivi-duale. Significa, quindi, incidere con una leva “emotiva”sulla produttività individuale. Va da sé che strategie diquesto tipo possono essere vincenti sul breve periodo, inquanto permettono di raggiungere velocemente gliobiettivi di produttività, ma possono avere ricadutenegative sulle persone in termini di impegno sulmedio/lungo periodo. Con questo orizzonte, infatti, ènecessario intervenire anche sugli altri elementi del pro-cesso, vale a dire i mezzi (strumenti informatici) e vinco-li di processo (es. normativa interna), in modo possibil-mente congiunto.L’indicatore FTE deve essere quindi utilizzato per quel-lo che è destinato a misurare: la quantità totale di tempoassegnata ad una certa attività suddivisa per la quantitàdi tempo che definisce il “full time”. Il rapporto del FTEcon la produttività deve necessariamente essere inseritoall’interno di un contesto più ampio di valutazione, chetravalica la dimensione delle risorse umane e consideraanche gli altri elementi che costituiscono il processo:risorse, strumenti, vincoli e attività. Dichiarare che in uncerto ufficio si siano ridotti gli FTE non necessariamentesignifica aver aumentato la produttività: basta ridurre ilpersonale e delocalizzare le attività per ridurre gli FTE aparità di volumi. La produttività del processo non neces-sariamente però è aumentata.Oltre a queste osservazioni occorre tenere presenteun’ulteriore considerazione: come il sociologo De Masicontinua a ripetere (ed altri insieme a lui, pur se conaccezioni di volta in volta diverse, es. Castells), la socie-tà occidentale va configurandosi come una società“post- industr ia le” (De Masi ) o “ informazionale”(Castells), nella quale il confine, anche temporale, tra

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momento lavorativo e momento di riposo va progressiva-mente sfumandosi. Questo aspetto si riflette, tra l’altro,nella difficoltà di comprimere i tempi lavorativi nel “set-tore terziario” (settore “residuale” rispetto agli altridue settori agricolo e industriale).

Alcune suggestioni finali

A chiusura dell’intervento, riporto alcuni dati relativi alrapporto tra quantità di ore lavorate e produttività,basati su ricerche effettuate dall’OECD (Organisation forEconomic Cooperation and Development) nel periodo1970 – 2005.Alcune considerazioni di Manuel Castells (“The Rise ofthe Network Society”):

«Pur tenendo in considerazione la specificità di alcunipaesi, quello che sembra emergere chiaramente è che siosserva una tendenza verso il basso nello sviluppo dellaproduttività, che inizia approssimativamente intorno allostesso periodo in cui la rivoluzione delle tecnologie del-l'informazione si è manifestata, agli inizi degli anni 70. Intutti i paesi questo declino ha connotato specialmente leattività di servizio, in cui si riteneva che i nuovi dispositi-vi di information-processing avrebbero aumentato il ren-dimento, se il rapporto fra tecnologia e rendimento fossestato semplice e diretto. Evidentemente, il rapporto tratecnologia e produttività non è così semplice e lineare.Così, nel lungo periodo, si sono rilevate: una stabile emoderata crescita della produttività, con alcuni rallenta-menti, nel periodo della formazione dell’economia indu-striale tra l’ultima parte del XIX secolo e la secondaguerra mondiale; un’accelerazione della crescita di pro-duttività nel periodo di maturità dell’industrialismo(1950 – 1973); ed un rallentamento della crescita dellaproduttività nel periodo che parte dal 1973 in avanti, a

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dispetto di un sostanziale incremento degli apporti tec-nologici e di un’accelerazione nel ritmo di cambiamentotecnologico. Dovremmo quindi, da una parte, accentualre l’argomen-to circa il ruolo centrale della tecnologia nella crescitaeconomica dei passati periodi storici, almeno per le eco-nomie occidentali nell’era industriale. D’altra parte, ilritmo della crescita della produttività dal 1973 non sem-bra covariare con i tempi dei cambiamenti tecnologici.Avanzerò alcune ipotesi che potrebbero aiutare a svelareil mistero.

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Primo, gli storici economici sostengono che un conside-revole ritardo temporale tra l’innovazione tecnologica ela produttività economica è una caratteristica di tutte lepassate rivoluzioni tecnologiche. Ad esempio, PaulDavid, analizzando la diffusione del motore elettroco, haevidenziato che, mentre esso è stato introdotto neldecennio 1880-1890, il suo reale impatto sulla produtti-vità ha dovuto attendere sino agli anni venti del 1900.

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Questa considerazione generale è particolarmenteappropriata nel caso di una rivoluzione tecnologicaincentrata sulla conoscenza e sull’informazione, rap-presentata dall’elaborazione di simboli e dati, chenecessariamente risulta impregnare tutta la cultura dellasocietà e l’educazione / skills delle persone.In seconda battuta, un’osservazione fondamentale ri-guarda il fatto che il rallendamento della produttività hainteressato principalmente l’industria dei servizi. Sicco-me questa industria assorbe la maggior parte della po-polazione lavorativa e risponde con la maggior parte delPIL, il suo peso è statisticamente riflesso sul tasso dicrescita della produttività nel suo complesso. Questasemplice osservazione solleva due problemi fondamenta-

li. Il primo fa riferimento alla difficoltà di misurazionedella produttività in molti ambiti di servizio. Il secondoconsidera che sotto il termine “servizi” sono raggrup-pati insieme attività eterogenee, con poco in comune,eccetto l’essere diversi dall’agricoltura, dall’industriaestrattiva, dalle utility, dalle costruzioni e dalla manifat-tura. I “servizi” sono una categoria residuale, unanozione “negativa”.»

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In coda a quanto già puntualizzato da Castell, aggiunge-rei che ciò che manca alla tecnologia perché possa tra-dursi in effettivo aumento della produttività è, in primabattuta, il cambiamento organizzativo: la tecnologiacostituisce un fattore abilitante, ma non sufficiente, peraumentare la produttività senza tenere in considerazio-ne dove, come e chi la utilizza: tutti elementi che riman-dano ai processi organizzativi, alle organizzazioni ed alledinamiche umane. È possibile che i dati rilevati mettanoin evidenza che questo sforzo non abbia ancora dato isuoi frutti?

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