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DIZZINESS RESIDUA DOPO MANOVRE DI RIPOSIZIONAMENTO CON ESITO POSITIVO PER LA VERTIGINE POSIZIONALE PAROSSISTICA BENIGNA NELL’ANZIANO Teggi R, Giordano L, Bondi S, Fabiano B, Bussi M GLI EFFETTI DEL SALICILATO SULLA FUNZIONE UDITIVA: NEUROTOSSICITÀ ED ACUFENE Ralli M, Hayes SH, Chen GD, Salvi R, Sheppard A TRATTAMENTI FARMACOLOGICI E CHIRURGICI PER GLI ACUFENI: EFFICACIA DEL TRATTAMENTO COMBINATO CON SULODEXIDE E MELATONINA Ferrari G, Agnese A, Cavallero A, Delehaye E, Rocchetti O, Rossi W, Tombolini A PERCORSI PLURIDISCIPLINARI NEL LABIRINTO DEI DISTURBI AUDIO-VESTIBOLARI NEUROLOGIA Settembre 2015 47 OTO Focus on APPROCCIO AL PAZIENTE ANZIANO CON VERTIGINE E DISTURBI DELL’EQUILIBRIO

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DIZZINESS RESIDUA DOPO MANOVRE DI RIPOSIZIONAMENTO CON ESITO POSITIVO PER LA VERTIGINE POSIZIONALE PAROSSISTICA BENIGNA NELL’ANZIANOTeggi R, Giordano L, Bondi S, Fabiano B, Bussi M

GLI EFFETTI DEL SALICILATO SULLA FUNZIONE UDITIVA: NEUROTOSSICITÀ ED ACUFENERalli M, Hayes SH, Chen GD, Salvi R, Sheppard A

TRATTAMENTI FARMACOLOGICI E CHIRURGICI PER GLI ACUFENI: EFFICACIA DEL TRATTAMENTO COMBINATO CON SULODEXIDE E MELATONINA Ferrari G, Agnese A, Cavallero A, Delehaye E, Rocchetti O, Rossi W, Tombolini A

PERCORSI PLURIDISCIPLINARI NEL LABIRINTODEI DISTURBI AUDIO-VESTIBOLARI

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015

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OTO

Focus on

APPROCCIO AL PAZIENTE ANZIANO CON VERTIGINE E DISTURBI DELL’EQUILIBRIO

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47SOMMARIO

Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva: neurotossicità ed acufene

Dizziness residua dopo manovre di riposizionamento con esito positivo per la vertigine posizionale parossistica benigna nell’anziano

Trattamenti farmacologici e chirurgici per gli acufeni: efficacia del trattamento combinato con sulodexide e melatonina

Focus onApproccio al paziente anzianocon vertigine e disturbi dell’equilibrio

Ralli M, Hayes SH, Chen GD, Salvi R, Sheppard A

Ferrari G, Agnese A, Cavallero A, Delehaye E, Rocchetti O, Rossi W, Tombolini A

Teggi R, Giordano L, Bondi S, Fabiano B, Bussi M3

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Aggiornamento periodico:OTONEUROLOGIASettembre 2015 / n.47

PERCORSI PLURIDISCIPLINARI NEL LABIRINTODEI DISTURBI AUDIO-VESTIBOLARI

Coordinamento Scientifico:

ISSN 2039-5590

Giorgio GuidettiVertigo Center – PMC (MO)e-mail: [email protected]

Augusto Pietro CasaniProfessore AssociatoDipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e di Area CriticaUniversità di Pisae-mail: [email protected]

Marco ManfrinSezione di Clinica Otorinolaringoiatrica - Fondazione IRCCS PoliclinicoSan Matteo, Università di Paviae-mail: [email protected]

Aldo MessinaResponsabile Ambulatorio Otoneurologia della Cattedra di Audiologia,Azienda Universitaria Policlinico P. Giaccone di Palermoe-mail: [email protected]

Mediserve Editoria & Formazione© 1999-2015 MEDISERVE S.r.lMilano - Napoli

OTONEUROLOGIA

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Dizziness residua dopo manovre di riposizionamento con esito positivo per la vertigine posizionale parossistica be-nigna nell’anzianoTeggi R*, Giordano L, Bondi S, Fabiano B, Bussi M.

*Consulente per l’attività di Vestibologia, Ospedale San Raffaele, Milano

3

La VPPB è il tipo di vertigine vestibolare più comune, rappresentando circa il 20-30% delle diagnosi effettuate presso i centri specialistici (1). Si stima che la prevalenza sia del 2.4% nella popolazione generale. Tra i pazienti che giungono al pronto soccorso a causa di sintomatologia vertiginosa, l’8-9% riceve diagnosi di VPPB (2). La diagnosi si basa sulle manovre che evocano i segni caratteristici della VPPB, (es. Dix-Hallpike (3) e McClure-Pagnini (4)), e il trattamento con le manovre di riposizionamento rappresenta una terapia efficace (5,6).La VPPB è probabilmente causata da piccoli detriti otoconiali che fluttuano liberamente nei canali semicircolari (3).Molti studi si sono focalizzati sull’aumento dell’incidenza della patologia con l’avanzare dell’età, e la prevalenza risulta più elevata nella popolazione anziana (7). Nonostante siano stati proposti

alcuni fattori eziologici, quali un trauma cranico recente e la neurite vestibolare (8), in circa il 90% dei casi la VPPB è idiopatica (2). È stato ipotizzato che la maggiore prevalenza di VPPB nell’anziano sia causata da alterazioni delle strutture otoconiali associate possibilmente ad alterazioni vascolari nell’orecchio interno (9). Nella popolazione geriatrica il disequilibrio e la dizziness sono comuni; è stato dimostrato che circa un terzo di pazienti anziani è soggetto a cadute almeno una volta all’anno e la conseguente paura di cadere spesso limita le normali attività quotidiane (10). Le persone anziane con VPPB descrivono spesso la loro sintomatologia vertiginosa come dizziness e instabilità più che come vertigine posizionale. Questo può essere dovuto all’evitamento inconsapevole delle posizioni che provocano l’attacco di vertigine oppure a una ridotta percezione degli stimoli vestibolari (11). Di conseguenza, la VPPB negli anziani

Nonostante l’esito positivo delle manovre di riposizionamento per la vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB), alcuni pazienti riportano dizziness residua che permane per un certo periodo dopo l’intervento. In questo studio abbiamo valutato la prevalenza e i fattori clinici associati a dizziness residua in un campione di pazienti anziani. Sono stati reclutati 60 pazienti ambulatoriali con età superiore a 65 anni con diagnosi di VPPB idiopatica; sono stati esclusi i pazienti con episodi precedenti di vertigine, inclusa quella posizionale. Ai pazienti è stato chiesto di descrivere l’ansia percepita a causa della vertigine su una Scala Visiva Analogica (VAS) e successivamente sono state effettuate le manovre più opportune fino alla scomparsa del nistagmo. I pazienti sono stati seguiti fino alla risoluzione della dizziness soggettiva e del disequilibrio in assenza di nistagmo posizionale. I dati sulla dizziness residua sono stati raccolti a partire dal secondo giorno dalla risoluzione della VPPB. Inoltre abbiamo analizzato i fattori clinici e demografici associati a dizziness residua. Nei 22 soggetti (37%) che hanno riportato dizziness residua, la durata media della sintomatologia è stata di 13,4 ± 7,5 giorni. Non è stata osservata nessuna associazione tra dizziness residua ed il sesso, il canale coinvolto e il numero di manovre di riposizionamento effettuate prima della risoluzione. Di contro, l’età maggiore di 72 anni, la durata del sintomo superiore a 9 giorni e la scala VAS per l’ansia maggiore di 10/100 sono stati associati all’aumento del rischio di dizziness residua. Le odds ratio sono risultate 6,5 per l’età (Intervallo di Confidenza 95%), 6,5 per la durata della vertigine (Intervallo di Confidenza 95%) e 15,5 per il livello di ansia (Intervallo di Confidenza 95%). Inoltre, una durata più lunga del sintomo prima della diagnosi è stata associata a livelli più elevati di ansia. I risultati di questo studio sottolineano la necessità di una diagnosi precoce e corretta di VPPB, specialmente nell’anziano.

A bstract

Parole chiave:VPPB, Dizziness residua, ansia, anziano

Tratto da: Teggi R, Giordano L, Bondi S, Fabiano B, Bussi M. Residual dizziness after successful repositioning maneuvers for idhiopathic benign paroxymal positional vertigo in the elderly. Eur Arch Otorhinolaryngol (2011) 268:507-511.

I ntroduzione

OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4744

è spesso non riconosciuta e la durata della vertigine prima che si intervenga efficacemente con le manovre di riposizionamento è più lunga rispetto a quella riscontrata nei giovani.Anche quando le manovre di riposizionamento hanno esito positivo, la metà dei soggetti riferisce una sensazione di disequilibrio persistente che dura per alcuni giorni; tale fenomeno si riscontra più frequentemente negli anziani, ma i fattori causali sono ancora da chiarire (11,12). Lo scopo principale del nostro lavoro è stato la valutazione dei fattori associati a dizziness residua in una popolazione di pazienti al di sopra dei 65 anni di età dopo manovre di riposizionamento con esito positivo per la VPPB.

L’Epley modificata è stata eseguita come la manovra di Epley per il canale posteriore, ma la posizione iniziale era con il capo girato dal lato dell’orecchio affetto, cioè il lato opposto a quello risultato positivo nella manovra diagnostica di Dix-Hallpike (6).La manovra di Gufoni converte il nistagmo del canale orizzontale dalla forma apogeotropa a quella geotropa e viene eseguita facendo passare il paziente dalla posizione supina a quella sul fianco affetto ruotando successivamente il capo di 45° verso l’alto e mantenendo tale posizione per 2-3 minuti (14).Nella manovra liberatoria di Lempert, il paziente viene guidato in una serie di rotazioni graduali di 90° verso il lato opposto a quello colpito, mantenendo ogni posizione per 30 secondi; alla fine il paziente viene rapidamente portato dalla posizione frontale supina a quella seduta (15).A partire dal secondo giorno dopo l’esito positivo della manovra di riposizionamento, ai pazienti è stato chiesto di annotare quotidianamente la presenza di dizziness residua. La dizziness residua è stata definita come sensazione di instabilità o di capogiro senza vertigine rotatoria e/o posizionale. I dati sono stati raccolti durante visite di controllo con cadenza settimanale in cui sono state ripetute le manovre diagnostiche, e con un’intervista telefonica, sui 4 pazienti affetti, fino alla scomparsa dei sintomi. Nessuno dei pazienti inclusi in questo campione ha presentato nistagmo posizionale residuo durante i controlli periodici. Il nostro studio è stato approvato dal Comitato Etico come parte di uno studio più ampio sulla vertigine e la malattia di Ménière. I pazienti hanno firmato il consenso informato.

Analisi statisticaLe variabili distribuite in maniera continua sono state descritte tramite la deviazione standard (SD) media e mediana; le variabili categoriche sono state descritte con le frequenze e le percentuali. La significatività delle differenze tra i gruppi è stata valutata con il t test per le variabili indipendenti. Sono stati calcolati la odds ratio (OR) per la dizziness residua con i relativi intervalli di confidenza al 95%. È stata eseguita un’analisi lineare multipla di regressione per esaminare l’associazione della dizziness residua (espressa in giorni) con l’età, la durata e la scala VAS per l’ansia.

Per il nostro studio prospettico sono stati reclutati 60 pazienti consecutivi (42 donne e 18 uomini; età media 72±4 anni) ammessi al Centro Vertigini dell’Ospedale San Raffaele di Milano tra gennaio 2008 ed aprile 2009. I criteri di inclusione erano diagnosi di VPPB ed età superiore ai 65 anni; sono stati esclusi i soggetti che all’anamnesi riferivano con un episodio recente di vertigine di tipo non posizionale, trauma cranico recente o episodi precedenti di vertigine. La diagnosi è stata effettuata da un otoneurologo qualificato sulla base della storia clinica e dei risultati del test di Dix-Hallpike per il canale posteriore e anteriore e di Pagnini McClure per cupololitiasi e canalolitiasi del canale laterale. La valutazione del nistagmo è stata fatta con un sistema videonistagmografico (VO25, Interacoustics, Assen, Denmark). Il test di Dix-Hallpike è stato considerato positivo se il nistagmo provocato presentava le tipiche caratteristiche di latenza (pochi secondi) e durata (<1 min) ed invertiva la direzione tornando alla posizione seduta. Il test di Pagnini-McClure è stato eseguito per rilevare la VPPB del canale orizzontale; il paziente viene portato dalla posizione seduta a quella supina, poi il capo viene ruotato verso il lato destro e sinistro; rispetto alla posizione che provoca il nistagmo più evidente, il lato affetto sarà omolaterale se il nistagmo si presenta in forma geotropa, e controlaterale se è in forma apogeotropa (13).

Durante il primo controllo sono state valutate l’eventuale presenza di emicrania e la durata della sintomatologia vertiginosa espressa in giorni a partire dal primo episodio di vertigine posizionale. Inoltre, è stato chiesto ai pazienti di valutare l’ansia percepita causata dalla vertigine (rispondendo alla domanda “quanto si sente ansioso a causa della vertigine?”) su una scala visiva analogica (VAS) che descrive il grado di severità dell’ansia nella vita di ogni giorno su una scala da 0 (nessuna ansia) a 100 (la peggiore ansia immaginabile). I pazienti sono stati trattati con la manovra di riposizionamento adeguata per il tipo di VPPB. I pazienti con VPPB del canale posteriore sono stati trattati con la manovra di Semont, la manovra modificata di Epley è stata usata per il canale anteriore, mentre le manovre liberatorie di Gufoni e di Lempert sono state utilizzate per il canale laterale. Le manovre sono state eseguite una o più volte, ogni due giorni, fino alla totale assenza di nistagmo posizionale.

R isultati

M ateriali e Metodi

22 pazienti (37%) hanno riportato dizziness dopo il secondo giorno dalle manovre di riposizionamento (recupero parziale). La durata della dizziness residua in questi soggetti è stata di 13,4 ± 7,5 giorni. Per questo gruppo e per il gruppo di 38 soggetti senza dizziness residua (recupero totale) i dati demografici e le caratteristiche cliniche per sesso, canale coinvolto, numero totale di manovre di riposizionamento e storia precedente di emicrania sono riassunti nella Tabella 1. L’analisi statistica non ha dimostrato una differenza nella dizziness residua per il genere, il canale coinvolto o il numero di manovre di riposizionamento.

Teggi R. et al.

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La dizziness residua è una sensazione comunemente riscontrata dopo le manovre di riposizionamento, anche con esiti positivi. La sintomatologia potrebbe essere causata dalla persistenza di piccoli otoliti nel canale insufficienti a provocare un nistagmo posizionale visibile (16), oppure ad una disfunzione utricolare (17), o ad un concomitante disturbo vestibolare non diagnosticato o un adattamento centrale incompleto (18).Nel nostro studio abbiamo riscontrato un tasso (36,6%) e una durata (13,4 giorni) di dizziness residua più bassi rispetto a quelli di uno studio precedente (19), che ha riportato valori rispettivamente del 61% e 16,4 giorni; nonostante avessimo preso in esame pazienti più anziani, i diversi criteri di inclusione, soprattutto l’assenza di precedenti episodi di vertigine, possono spiegare i nostri risultati.Dall’altro lato, i nostri risultati sono in accordo con studi precedenti che non riportavano alcuna correlazione tra dizziness residua e canale coinvolto, genere, o numero di manovre di riposizionamento, mentre è stata trovata una correlazione positiva con la durata della vertigine prima delle manovre di riposizionamento (19,20).Il nostro studio ha dimostrato una correlazione tra dizziness residua e ansia; diversi studi precedenti concentrati hanno evidenziato un tasso più elevato sia di dizziness residua che di ansia negli anziani (21).

Dizziness Residua Odds ratio (IC 95%)

Età > 72 17/30 6,5 (1,9; 21,7)Età < 72 5/30

Durata più elevata 17/30 6,5 (1,9; 21,7)Durata più breve 5/30

Ansia più alta 19/30 15,5 (3,8; 63,3)Ansia più bassa 3/30

Tabella 1. Dati demografici e caratteristiche cliniche dei due gruppi.

Tabella 2. Associazione tra dizziness residua ed età, durata ed ansia (mediana come split point) nel campione di 60 soggetti; l’Intervallo di Confidenza al 95% e i limiti inferiore e superiore degli OR sono indicati tra parentesi.

Tabella 3. Correlazione di dizziness residua, come variabile continua dipendente, ed età, durata e scala di ansia come variabili indipendenti nel gruppo di 22 soggetti con dizziness residua (analisi di regressione multipla).

Inoltre, abbiamo calcolato la mediana per le seguenti variabili indipendenti: età (72 anni), durata della vertigine prima della diagnosi (9 giorni) e scala VAS per l’ansia (10/100).Il sottogruppo di soggetti con età >72 anni ha presentato un tasso più alto (17 casi su 30) di dizziness residua rispetto ai soggetti più giovani (5 casi su 30) (risk ratio = 3,4; odds ratio = 6,5; limite inferiore 1,9, limite superiore 21,7). La durata media della dizziness residua nei 5 soggetti più giovani è stata di 11 ± 7 giorni, mentre nei 17 soggetti più adulti di 14 ± 5 giorni (p = 0,33).Il sottogruppo di soggetti con durata più lunga ha presentato un tasso più elevato (17 casi su 30) di dizziness residua rispetto al sottogruppo con durata più breve (5 casi su 30) (risk ratio = 3,4; odds ratio = 6,5; limite inferiore = 1,9; limite superiore = 21,7). La permanenza della dizziness residua nei 5 soggetti con durata più breve è stata 12 ± 5 giorni, mentre nei 17 soggetti con una durata superiore è stata 14 ± 7 giorni (p = 0,39). Il sottogruppo di soggetti più ansiosi ha presentato un tasso più elevato (19 casi su 30) di dizziness residua rispetto ai soggetti meno ansiosi (3 su 30) (risk ratio = 6,3; odds ratio = 15,5; limite inferiore = 3,8; limite superiore = 63,3). La permanenza di dizziness residua nei 3 soggetti meno ansiosi è stata 7 ± 1 giorni mentre nei 19 pazienti più ansiosi è stato di 14 ± 7 giorni (p = 0,21).I risultati sono riassunti nella Tabella 2.Infine, i risultati dell’analisi di regressione lineare multipla per età, durata e scala di ansia nel sottogruppo di 22 soggetti che presentavano dizziness residua sono riportati nella Tabella 3.Tra le variabili indipendenti, sul campione totale, è stata trovata una correlazione tra durata e scala di ansia (p = 0,02). È stata trovata una correlazione tra età e ansia (p = 0,008), mentre non è stata trovata nessuna correlazione tra età e durata.

Recupero totale

(n = 38)

Recupero parziale

(n = 22)

P

Età (anni) 70,8±4,2 75,9±4,4 0,04

Donne 26 14 0,91

Canale coinvoltoPosterioreLateraleAnterioreMultiplo

30611

16312

0,78

Numero di manovre di ripo-sizionamento12/3>3Emicrania

1315106

7965

0,79

0,79

È stato eseguito un t test per variabili indipendenti

Variabile Dizziness residua (giorni)

Coefficiente SE (coeffi-ciente)

t test p

Età 0,10 0,04 2,55 0,02Durata -0,26 0,23 -1,12 0,27Scala VAS per ansia

0,42 0,1 4,20 0,0005

Modello: F3,19 = 58,52; p < 0,0001

D iscussione

Dizziness residua dopo manovre di riposizionamento con esito positivo per VPPB nell’anziano

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Nei soggetti con valori VAS per l’ansia più elevati, abbiamo riscontrato un periodo più lungo di dizziness residua e i nostri risultati sono in linea con altri lavori recenti (22). È interessante notare che è stato dimostrato come l’ansia giochi un ruolo nell’insorgenza della dizziness, e che la dizziness può essere considerata in alcuni pazienti un disturbo somatico che può incrementare dopo un evento maggiore di stress (23,24).Infine, è interessante evidenziare che i soggetti con durata maggiore di vertigine prima della diagnosi hanno presentato anche livelli più elevati di ansia.La vertigine negli anziani ha conseguenze fisiche, psicologiche e sociali negative. Aumenta il rischio di cadute e la paura di cadere limita l’esecuzione delle attività quotidiane, la partecipazione alle

attività sociali e soprattutto può aumentare la sensazione soggettiva di insicurezza (25).

Il nostro studio ha dimostrato che l’età, la durata delle vertigini prima della diagnosi e l’ansia sono stati associati all’aumento del rischio di dizziness residua dopo trattamento efficace della VPPB negli anziani; di conseguenza è opportuna una rapida diagnosi, al fine di evitare il rischio di cadute e l’insorgere di ansia legata all’instabilità in questi pazienti. Sono necessari ulteriori studi per stabilire se l’ansia possa essere la causa della dizziness residua.

C onclusioni

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B ibliografia

Teggi R. et al.

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SURVEY SESTO SENSO VPPB - La veritigine posizionale parossistica in italia

Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva: neurotossi-cità ed acufene

Ralli M, Hayes SH, Chen GD, Salvi R, Sheppard A

Il principio attivo contenuto nell’aspirina, il salicilato, è un farmaco antipiretico, analgesico e anti-infiammatorio comunemente utilizzato nella pratica clinica. Tuttavia, è ampiamente noto che il consumo ad alte dosi (6-8 gr/die) (1) può indurre ipoacusia e acufene (2-4). Originariamente si pensava che gli effetti del salicilato sul sistema uditivo fossero temporanei, ma studi più recenti mostrano che dosi elevate e prolungate di salicilato di sodio (SS) possono causare danni duraturi nell’orecchio interno, sopprimendo l’output neuronale del sistema periferico (5). Inoltre, nonostante le proprietà antiossidanti del salicilato, elevate dosi in vitro causano un effetto paradosso di up-regulation del radicale superossido, portando ad apoptosi dei neuroni del ganglio spirale del Corti (SGN) (6). I livelli ematici di salicilato libero hanno un’elevata correlazione con la severità dell’ipoacusia indotta (2,7), tuttavia il livello di salicilato nel siero è in qualche maniera meno predittivo (8,9). Dato che elevate dosi di salicilato possono indurre in modo prevedibile ipoacusia e acufene, la molecola è comunemente utilizzata per studiare i suoi

effetti comportamentali, anatomici, fisiologici e percettivi sul sistema uditivo (10,11). Perifericamente, il salicilato influenza la sensibilità uditiva delle basse (<10 kHz) ed alte (>20 kHz) frequenze più delle frequenze medie (10-20 kHz) (5). Dopo la somministrazione di elevate dosi di salicilato, è stata documentata una variazione della frequenza caratteristica neuronale (FC) dei neuroni della corteccia uditiva (AC) risultando in una sovra rappresentazione per le frequenze medie (12). Inoltre, è stata registrata un’iperattività di questi neuroni a livelli elevati di stimolazione uditiva (13-15). Queste alterazioni a livello della corteccia potrebbero essere inoltre facilitate dagli effetti inibitori del salicilato sull’acido γ-amminobutirrico (GABA) e sulla serotonina, importanti neurotrasmettitori inibitori centrali (16-18). Poiché è noto come il salicilato modifichi la neurotrasmissione in tutto il SNC, anche le strutture uditive “non classiche” che rispondono agli stimoli sonori, come l’amigdala, hanno mostrato iperattività neuronale ed uno shift della regolazione delle FC dopo la somministrazione sistemica di salicilato (19).

Il salicilato, precursore dell’aspirina, è un farmaco antipiretico, analgesico ed anti-infiammatorio molto diffuso nella pratica clinica. Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva sono noti ed includono, quando somministrato ad alti dosaggi, acufene ed ipoacusia. In periferia, la somministrazione acuta di salicilato induce una riduzione d’ampiezza dei prodotti di distorsione delle otoemissioni acustiche (DPOAE) e del potenziale d’azione composto (CAP), prevalentemente per le basse (<10 kHz) e per le alte (>20 kHz) frequenze; è interessante come questa alterazione corrisponda alla tonalità dell’acufene indotto sperimentalmente nell’animale, che varia tra i 12 e i 16 kHz. La somministrazione cronica induce invece un aumento transitorio dell’ampiezza dei DPOAE ed una up-regulation dell’mRNA e dell’espressione proteica della prestina. In vitro la tossicità del sodio salicilato si evidenzia prevalentemente a livello dei neuroni del ganglio spirale inducendo, a dispetto delle ben note proprietà antiossidanti, un rilascio paradosso di radicale superossido che avvia la catena apoptotica. A livello centrale, il salicilato ha la capacità di alterare la trasmissione GABA e serotonino-mediata inducendo iperattività in specifiche popolazioni neuronali. Molto interessanti sono gli effetti a livello della corteccia uditiva e dell’amigdala laterale dove è stata documentata, in seguito alla somministrazione sperimentale di salicilato, una variazione delle frequenze caratteristiche neuronali con una conseguente alterazione della tonotopia fisiologica, specialmente per le frequenze centrali (10-20 kHz). Nell’uomo gli effetti ototossici del salicilato, oltre ad ipoacusia transitoria ed acufene, includono una diminuita discriminazione verbale e difficoltà nell’integrazione temporale.

R iassunto

I ntroduzione

R iassunto

Tratto da: Ralli M, Sheppard A, Hayes SH, Chen GD, Salvi R. Review of salicylate-induced hearing loss, neurotoxicity, tinnitus and neuropathophysio-logy. Acta Otorhinolaryngol Ital 2014; 34:79-93.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.478

Nonostante lo shift della soglia uditiva e l’insorgenza di acufene siano indotti in modo prevedibile dal salicilato nei modelli animali, negli esseri umani le alterazioni percettive oggettive e soggettive sembrano essere più variabili (20-22). Come finora brevemente descritto, negli ultimi anni è aumentata in maniera significativa la conoscenza relativa agli effetti del salicilato sul sistema uditivo periferico e centrale; in questa review evidenzieremo i più importanti effetti di questo farmaco a livello delle strutture uditive, partendo da una revisione della letteratura fino alle ultime evidenze raccolte presso il nostro laboratorio.

SALICILATO E CELLULE CILIATE ESTERNE

Il salicilato condiziona la risposta di elettromotilità della CCE spiazzando il cloruro dai siti di legame anionici sulla prestina, sopprimendo quindi le proprietà di amplificazione della coclea (23,24). La proteina motrice prestina, che si trova sulla parete laterale della CCE, cambia forma in risposta alle fluttuazioni nel voltaggio che si verificano attraverso la membrana della cellula. La depolarizzazione della CCE causa un accorciamento lungo l’asse della cellula, mentre

l’iperpolarizzazione ne causa l’allungamento (25). I movimenti assiali indotti dalla depolarizzazione e dall’iperpolarizzazione nelle CCE, associati ai movimenti della membrana basale delle stesse cellule indotti dalle onde sonore, generano l’amplificazione, dipendente dalla frequenza, della risposta agli stimoli uditivi (26). L’analisi della motilità delle CCE mediante i prodotti di distorsione delle otoemissioni acustiche (DPOAE) ha dimostrato una riduzione dell’intensità del prodotto durante il trattamento sistemico con salicilato in acuto. La Figura 1 mostra la risposta media di input/output (I/O) nel DPOAE in 6 ratti Sprague/Dawley: prima del trattamento con 300 mg/kg di sodio salicilato i DPOAE avevano normale intensità, mentre 1 e 2 ore dopo la somministrazione del farmaco è stata registrata una notevole riduzione di intensità per le basse frequenze (2f1-f2 <11 kHz) e per le alte frequenze (2f1-f2 11 -20 kHz) (12). Se da un lato il salicilato ha causato una riduzione significativa nei DPOAE indicante ipoacusia sensoriale, i modelli comportamentali animali hanno indicato che questa dose induce anche acufene (27-29) con una frequenza compresa tra i 12 e i 16 kHz.Se nel trattamento acuto con salicilato l’alterazione della prestina è transitoria e induce le alterazioni di elettromotilità delle CCE responsabili dell’ipoacusia e dell’acufene, anche il trattamento

Ralli M. et al.

4kHz***

Funzione I/O Prodotti di Distorsione delle Otoemissioni Acustiche

Prod

otto

di D

isto

rsio

ne (d

B S

PL)

L1dB SPL L1dB SPL

11 kHz***

10

40

30

20

10

-10

-20

0

20 30 40 50 60 70 80

5.3 kHz*** 8 kHz**

16 kHz NS 20 kHz***

Baseline1 ora post-salicilato 2 ore post-salicilato Rumore

Figura 1. DPOAE - funzionalità input/output. Schema delle ampiezze medie del DPOAE in funzione dell’intensità L1, misurate prima del trattamento con salicilato (300 mg/kg i.p.), 1 h dopo il trattamento e 2 h dopo trattamento. La somministrazione sistemica acuta di salicilato ha ridotto significativa-mente le ampiezze dei DPOAE alle basse (4, 5.3, 8, e 11 kHz) e alte frequenze (20 kHz) ma non alle frequenze medie (16 kHz) (** p=0.01; *** p=0.001; ns=non significativo). DPOAE: prodotti di distorsione delle otoemissioni acustiche.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 9

cronico influenza la prestina, ma in modo differente. Difatti, in seguito a somministrazione prolungata di salicilato, è stato registrato un incremento delle ampiezze dei DPOAE ed una up-regulation dell’mRNA della prestina e, quindi, della sua espressione a livello delle CCE (30). Nel nostro esperimento, gli animali sono stati trattati cronicamente con 300 mg/kg di salicilato in due periodi di 4 giorni consecutivi, con un periodo di recupero di due giorni, per un totale di 10 giorni. Durante il trattamento, le ampiezze del DPOAE erano significativamente ridotte; tuttavia, ogni periodo di trattamento era seguito da un effetto rebound significativo delle ampiezze del DPOAE rispetto ai valori pre-trattamento (5). Non è stata rilevata alcuna variazione nelle ampiezze del DPOAE dopo trattamento di lunga durata con salicilato a livelli moderati (200 mg/kg/die, 5 giorni alla settimana, per 3 settimane) (5).Nei nostri esperimenti, l’espressione di prestina-mRNA è aumentata progressivamente in seguito alle somministrazioni giornaliere; i western blot hanno indicato un aumento nella proteina della prestina (31). Quattro settimane dopo la fine del trattamento con SS i livelli di mRNA della prestina sono ritornati alla normalità (31). Questi risultati indicano pertanto che in seguito a somministrazione cronica di dosi elevate di salicilato, la funzione di elettromotilità delle CCE si innalza, risultando in una maggiore amplificazione cocleare. Qualcuno ha ipotizzato che l’acufene possa svilupparsi in seguito ad uno squilibrio tra l’attività di cellule ciliate interne (CCI) ed esterne (CCE) (32); la up-regulation nella prestina osservata potrebbe causare un tale squilibrio e così essere responsabile dell’insorgenza dell’acufene. Infatti, basse dosi terapeutiche croniche di aspirina possono causare solo acufene senza ipoacusia (2,33).Presi insieme, questi risultati indicano che la somministrazione cronica di elevate dosi di salicilato può avere effetti a lungo termine sulle cellule sensoriali cocleari, contribuendo all’ipoacusia sensoriale, all’acufene e verosimilmente a mutamenti plastici del sistema uditivo centrale. Sono stati studiati anche gli effetti di dosi elevate di sodio salicilato sul potenziale microfonico cocleare (MC) e sul potenziale di sommazione (PS) dopo applicazione sistemica o locale. Il MC, generato prevalentemente dalle CCE dal potenziale endococleare +80 mV, riflette ampiamente il flusso di ioni potassio attraverso le sterociglia poste sul polo apicale delle CCE in risposta alla stimolazione acustica (36). Il PS, un potenziale evocato da stimoli acustici, è generato prevalentemente dalle CCI con un minor contributo delle CCE (37). Il MC, in risposta a una scarica tonale da 10 kHz, non è stato molto condizionato dalla perfusione cocleare con salicilato (38); tuttavia altri studi hanno riscontrato un aumento nella risposta del MC ad una scarica di 1 kHz (39). Non è stato osservato nessun cambiamento significativo del PS a seguito di perfusione cocleare nella cavia. Questi dati funzionali suggeriscono che la perfusione intracocleare di SS ha poco effetto sulle cellule ciliate.

SALICILATO E CELLULE CILIATE INTERNE

Il salicilato è noto per la sua azione di depressione del potenziale d’azione composto (CAP) cocleare (5,12), che corrisponde al primo

picco negativo (N1) della risposta elettrica generata dalla finestra ovale della coclea, in risposta a un click o una scarica tonale; il CAP riflette la risposta simultanea delle fibre nervose uditive di tipo I direttamente connesse alle cellule ciliate interne.La Figura 2 mostra i mutamenti che si verificano nella funzione del CAP I/O a diverse frequenze (4, 12, 16, e 30 kHz) in ratti trattati con salicilato (300 mg/kg, i.p) o dose equivalente di salina due ore dopo la somministrazione. L’influenza del salicilato sull’elettromotilità delle CCE induce una riduzione significativa della soglia (20-30 dB) ed una riduzione d’ampiezza del CAP. Tali alterazioni si verificano prevalentemente per le frequenze <4 kHz e >30 kHz, indicando che l’amplificazione cocleare è ancora ampiamente funzionante per le frequenze medie. Questi risultati sono in accordo con i dati DPOAE che indicano una riduzione di alcune frequenze nell’amplificazione cocleare. Le ampiezze del CAP sono apparse ridotte in maniera significativa a livelli elevati di stimolazione, (ad es. ampiezza diminuita da ~90 µV a ~20 µV ad 80 dB SPL). Questo potrebbe indicare che il salicilato ha un effetto acuto sulle cellule ciliate interne e/o a livello del ganglio spirale (SGN) (6). A livello del potenziale di sommazione, un potenziale evocato da stimolazione sonora generato prevalentemente dalle CCI insieme a un più piccolo contributo delle CCE, non sono state registrate alterazioni in seguito a perfusione cocleare con salicilato (33).Nel trattamento prolungato con dosi elevate di salicilato sono state osservate alterazioni strutturali a livello del ganglio spirale, a differenza delle CCE che invece non hanno evidenziato tali alterazioni (6,34,35). In un nostro esperimento, abbiamo somministrato 200 mg/kg (i.p.) di salicilato per 5 giorni alla settimana per 3 settimane consecutive a 6 ratti e ad un gruppo di controllo (soluzione salina).

Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva: neurotossicità ed acufene

Figura 2. CAP I/O prima del trattamento con salicilato (linea blu) e 2 h post-trattamento (linea rossa). La distanza tra le linee tratteggiate e le funzioni del CAP I/O rappresenta l’amplificazione residua dalle CCE. A frequenze basse (4 kHz) ed elevate (40 kHz) la funzione del CAP I/O diventa più lineare rispetto alle frequenze medie (12 e 16 kHz). Lo spostamento della soglia è maggiore per le frequenze gravi ed acute (SPL ~30 dB) rispetto alle frequenze medie (SPL ~20 dB). Questi dati dimostrano che l’ipoacusia indotta da salicilato influenza le proprietà di amplificazione delle CCE con modalità frequenza-dipendente, coeren-temente con le alterazioni viste nei prodotti di distorsione.

4 kHz

16 kHz 30 kHz

12 kHz

Funzione CAP I/O

Stimolazione dB SPL

Am

piez

za (V

)

01

10

100

1000

20 40 60 80 100

Pre-SSPost-SS

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OTONEUROLOGIA Settembre 2014 n.4710

Le funzioni del CAP I/O sono state misurate 4 settimane dopo la fine del trattamento. Nel gruppo trattato con sodio salicilato è stata evidenziata una lieve ma significativa riduzione nelle ampiezze del CAP, a confronto con il gruppo controllo. Le funzioni del CAP I/O erano ancora non lineari in entrambi i gruppi indicando una normale funzione delle CCE. Questi risultati sono pertanto indicativi di un danno funzionale e strutturale al ganglio spirale, in accordo con i dati ABR che mostrano una riduzione delle ampiezze prevalentemente per le frequenze basse ed elevate, a livelli elevati di stimolazione, dopo trattamento cronico con salicilato (5).

SALICILATO E GANGLIO SPIRALE DEL CORTI

Un recente studio ha dimostrato che dosi elevate di SS possono danneggiare il SGN senza creare un danno concomitante alle cellule cocleari sensoriali (34,35). Per valutare gli effetti del salicilato sul SGN, sono state trattate culture organotipiche postnatali al giorno 3 con SS per 48 ore. Le cellule ciliari sono state marcate con falloidina coniugata con il fluorocromo Alexa-488 e le fibre nervose uditive sono state immunomarcate con un anticorpo monoclonale per la β-tubulina di classe III.

Il trattamento con SS non ha indotto perdita di cellule ciliate anche alla dose più alta di 10 mM; tuttavia le fibre periferiche, sono diminuite nel numero e hanno mostrato molte vescicole e rotture direttamente proporzionali all’aumento della dose di SS (34). In un nostro precedente lavoro (6) abbiamo documentato una degenerazione dose dipendente delle fibre periferiche del SGN dopo essere state esposte per 48 h al salicilato a 3 mM, 5 mM e 10 mM. Il cocleogramma medio, rappresentato nella Figura 3, mostra le percentuali delle CCE e CCI mancanti nelle colture di controllo e in quelle trattate con salicilato a 3, 5 o 10 mM. Questi risultati indicano che anche la dose più elevata di salicilato non reca danno strutturale alle cellule ciliate. Inoltre, recenti studi in vivo indicano che elevate dosi di salicilato possono portare alla degenerazione del SGN mediante apoptosi caspasi-mediata (40). Paradossalmente, anche se il salicilato è un potente antiossidante con proprietà neuro- e oto-protettive (41,42), la somministrazione ad alte dosi è in grado di indurre un brusco rialzo del radicale superossido che è altamente tossico per il SGN ma non per le vicine cellule sensoriali e di supporto.

Controllo 48h 48,3 h 3 mM SS

48 h 5 mM SS

% Distanza da Apice

Cocleogramma dopo SS

% M

anca

nte

48 h 10 mM SS

00

20

40

60

80

100

50 100 0 50 100

OHCIHC

Figura 3. Il cocleogramma rappresenta la percentuale di perdita cellulare sensoriale nelle culture controllo e culture trattate con salicilato a 3, 5 e 10 mM per 48 ore. Mentre è stata documentata una degenerazione dose-dipendente delle fibre del ganglio spirale dopo trattamento con salicilato, non sono state riscontrate alterazioni strutturali né degenerative nelle cellule sensoriali.

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SALICILATO E NERVO ACUSTICO

In letteratura sono presenti risultati variabili circa gli effetti del salicilato sul nervo acustico, differenti a seconda del dosaggio, della via di somministrazione o delle differenze di specie. Nei gatti, è stato riscontrato un aumento significativo delle scariche spontanee del nervo in seguito ad una dose estremamente elevata di salicilato (400 mg/kg, i.v.) (43). Al contrario nei gerbilli è stata vista una lieve ma significativa riduzione della frequenza di scarica del nervo acustico con la somministrazione di una dose moderata di salicilato (200 mg/lg i.p.) per i neuroni con frequenza caratteristica (FC) bassa, ma non in quelli con FC alta (44). Peraltro, confronti crociati fra queste specie non sono affidabili, a causa dell’incapacità dei gatti di metabolizzare il salicilato in maniera efficace (45,46).Sono stati valutati gli effetti del trattamento cronico con salicilato sull’attività nervosa uditiva spontanea (47). Nelle cavie è stato registrato lo spettro medio dell’attività elettrofisiologica neurococleare (Average Spectrum of Electrophysiological Cochleoneural Activity ASECA) della finestra ovale, una misura dell’attività del nervo uditivo durante un periodo di alcune settimane di somministrazione di salicilato (200 mg/kg/die i.m.).L’ASECA è diminuito nelle ore successive alla somministrazione di salicilato; tuttavia, dopo alcuni giorni questa soppressione è stata attenuata e si sono ripristinati i livelli normali. Durante le settimane successive l’ASECA è aumentato progressivamente; inoltre, dopo la fine del trattamento, l’ASECA si è invertito ed è progressivamente diminuito fino ai valori misurati inizialmente (47). L’aumento dell’attività spontanea del nervo uditivo, osservato in questi studi, è stato indicato come il corrispettivo neuronale dell’acufene (47,48); tuttavia la diminuzione osservata in altri studi solleva dubbi su questo modello. Considerati complessivamente, i risultati indicano che l’effetto del salicilato sul sistema uditivo periferico risulta principalmente in una riduzione della sensibilità uditiva (spostamento soglia) causata dalla soppressione frequenza-dipendente dell’elettromotilità delle CCE. Precedentemente si era pensato che l’influenza del salicilato sulla sensibilità uditiva fosse temporanea; ma dati recenti suggeriscono che il trattamento prolungato con dosi elevate di salicilato possa condurre a disfunzioni durature delle CCE (5) e degenerazione del SGN (6,34). Mentre alcuni studi hanno riportato un aumento dell’attività spontanea nel nervo uditivo dopo trattamento con SS, altri hanno riscontrato una diminuzione o nessun cambiamento (44). Di conseguenza, resta aperta la questione su quale ruolo giocano le scariche spontanee del nervo uditivo nella percezione dell’acufene, dal momento che un danno cocleare severo abolisce ampiamente l’attività spontanea (49).

SALICILATO E COLLICOLO INFERIORE

Il collicolo inferiore (CI) è stata una delle prime regioni cerebrali utilizzate per indagare gli effetti del salicilato sul sistema nervoso centrale. Il principale neurotrasmettitore inibitorio del SNC, l’acido γ-amminobutirrico (GABA), gioca un ruolo importante nella funzione e nella regolazione dell’attività del collicolo inferiore (16,50-52). Il salicilato ha un importante effetto inibitorio sull’attività GABAergica; di qui il suo ruolo nell’attività del collicolo inferiore (18).Le risposte elettrofisiologiche nel CI non mostrano iperattività evocata dal suono dopo somministrazione di salicilato, diversamente dal sistema uditivo centrale dove sono stati osservati livelli più elevati (13). Tuttavia, poiché le ampiezze della risposta del CI sono quasi normali a livelli sovra soglia, mentre le risposte del CAP sono ridotte, questi risultati implicano che a valle del nervo uditivo si verifica una sorta di guadagno compensatorio per riportare le ampiezze del CI ai loro livelli normali. Oltretutto, le registrazioni elettrofisiologiche hanno segnalato negli animali da esperimento un aumento dell’attività spontanea nel nucleo esterno del CI (eCI) dopo somministrazione di salicilato (53).Al contrario, durante la registrazione nel nucleo centrale del CI (CIc) nei gatti anestetizzati, la somministrazione acuta di salicilato ha ridotto l’attività spontanea nei neuroni a basse frequenze (54), analogamente a quanto riportato per il nervo uditivo del gerbillo (44). In conclusione, differenti regioni del CI sembrano rispondere in maniera diversa a dosi elevate di SS.

SALICILATO E CORPO GENICOLATO MEDIALE

Il Corpo Genicolato Mediale (CGM) del talamo gioca un ruolo essenziale nelle vie acustiche centrali, e perciò è stato considerato un possibile contributore alla percezione dell’acufene (55). Le registrazioni extracellulari in vitro hanno indicato che il salicilato può alterare drasticamente il tasso di attivazione spontanea dei neuroni nel CGM, che è stato osservato in approssimativamente il 52.4% dei neuroni dopo trattamento con salicilato (56). Al fine di valutare ulteriormente gli effetti del salicilato nel CGM, abbiamo misurato il Local Field Potential (LFP) pre- e post-salicilato (300 mg/kg, i.p.). La Figura 4 mostra una diminuzione del LFP a bassi livelli di stimolo, ma rapidamente aumentate ad alte intensità. Le registrazioni preliminari provenienti dai raggruppamenti multiunità nel CGM hanno dimostrato anche un generale aumento nella frequenza di scarica post-trattamento con SS. Poiché il CGM fornisce input eccitatori alla corteccia uditiva primaria (A1), è probabile che i cambiamenti nel CGM influenzino significativamente l’attività nell’A1.

Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva: neurotossicità ed acufene

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4712

IC LFP MGB LFPA

Stimolazione (dB SPL)

Ampie

zza (

μV)

0 50 100

Pre-SS

1h post-SS

LA LFPC

Stimolazione (dB SPL)

Ampie

zza (

μV)

0 50 100

B

Stimolazione (dB SPL)

Ampie

zza (

μV)

0 50 100

AC LFPD

Stimolazione (dB SPL)

Ampie

zza (

μV)

0 50 100

Figura 4.(A) Effetti del salicilato sistemico sui LFP del CI, MGB, AL e AC. (A) LFP nel CI prima del trattamento sistemico con SS e 2 h post-trattamento con SS (250 mg/kg i.p.). Il salicilato non ha modificato le ampiezze registrate dal CI; tuttavia si è verificato uno spostamento di soglia SPL di circa 20 dB. È probabile che lo spostamento di soglia sia dovuto agli effetti soppressivi del salicilato sull’amplificazione dell’elettromotilità delle CCE. (B) LFP nel CGM prima della somministrazione sistemica del SS e 2 h post-somministrazione del SS (300 mg/kg i.p.). Si osserva uno spostamento di soglia di SPL di circa 20 dB. A bassi livelli di stimolazione si sono ridotte le ampiezze dei LFP. Probabilmente questo potrebbe essere attribuito agli effetti soppressivi del SS nel sistema periferico. A livelli elevati di stimolazione le ampiezze dei LFP sono aumentate. Probabilmente questo potrebbe essere attribuito agli effetti inibitori del salicilato sull’attività GABAergica. (C) LFP nella AL prima della somministrazione sistemica di SS e 2 h post-somministrazione di SS (300 mg/kg i.p.) I risultati sono stati simili a quelli osservati nel CGM, con lo spostamento della soglia SPL di circa 20 dB, con riduzione delle ampiezze dei LFP a bassi livelli di stimolazione, e aumento delle ampiezze dei LFP ad alta stimolazione. (D) LFP nella AC prima della somministrazione sistemica di SS e 3 h post-somministrazione sistemica di SS (300 mg/kg i.p.). Nuovamente, i risultati sono simili a quelli osservati per CGM e AL. LFP: potenziali di campo locali; CGM: corpo genicolato mediale; AL: amigdala laterale; AC: corteccia uditiva. SPL: livello di pressione sonora. CCE: cellule ciliate esterne.

SALICILATO E CORTECCIA UDITIVA

In base a quanto discusso, appare evidente che il salicilato non agisce solo a livello periferico (5), ma anche e soprattutto a livello centrale (11,14). La corteccia cerebrale è altamente plastica e mostra cambiamenti notevoli in risposta al salicilato sistemico, come mostrato dal brusco aumento di c-fos immunomarcata, un marker dell’attività neuronale (11). Tuttavia, gli studi elettrofisiologici hanno riportato risultati variabili. In alcuni casi i tassi di scarica spontanea

nell’A1 e nell’area uditiva anteriore (AAF) sono diminuiti leggermente dopo somministrazione di salicilato (14,30), mentre in altri si è riscontrato un aumento nella corteccia uditiva secondaria (A2) (57). I neuroni della corteccia uditiva primaria A1 ricevono principalmente input afferenti dalla via lemniscale e i neuroni dell’A2 ricevono informazioni afferenti dalla via extra-lemniscale (58). La riduzione nel tasso di scarica spontanea di A1 dopo trattamento con SS può quindi essere dovuta alla soppressione degli output neuronali dalla coclea e dalla via uditiva classica, mentre la scarica spontanea elevata

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 13

osservata in A2 può riflettere i cambiamenti che si presentano nel SNC nelle regioni sia uditive che non uditive. Un altro fattore che può contribuire all’aumento delle ampiezze della AC a livelli sovra soglia è la perdita dell’inibizione GABA-mediata. L’evidenza che sostiene questa ipotesi proviene da studi che mostrano che la somministrazione sistemica di Baclofen (che aumenta l’inibizione GABAB-mediata), l’anestesia con Isoflurano (che aumenta l’inibizione GABAA-mediata), o il Vigabatrin (che aumenta la concentrazione del neurotrasmettitore GABA), possono sopprimere l’iperattività indotta da salicilato nella AC (14). Questi risultati supportano l’ipotesi che l’iperattività indotta da salicilato osservata nella corteccia uditiva potrebbe essere dovuta ad una riduzione dell’inibizione GABA-mediata (16,18).In condizioni normali, i circuiti GABAergici aiutano ad affinare la regolazione della frequenza dei neuroni nella AC. Quando l’attività GABA-mediata viene farmacologicamente soppressa, le aree ricettive di frequenza (FRFs) possono spostarsi o espandersi. Le FRFs nella AC sono alterate anche da elevate dosi di salicilato, in accordo con gli effetti del salicilato su GABA (16,18). Approssimativamente 2,5 ore dopo il trattamento sistemico con SS,

si è verificato uno spostamento frequenza-dipendente delle FC e un allargamento delle curve di regolazione della AC (12). Questo è risultato in una sovra-rappresentazione delle frequenze medie (10-20 kHz), che è stato precedentemente riportato come una possibile frequenza percettiva per l’acufene indotto da salicilato (30). Nella Figura 5 è possibile vedere le differenze di FC per i neuroni della corteccia uditiva prima e 2 ore dopo la somministrazione di salicilato (300 mg/kg i.p.). Molti neuroni con bassa FC hanno acutizzato la loro FC verso i 10-20 kHz, mentre diverse unità con FC acuta hanno abbassato la FC per avvicinarsi al range 10-20 kHz inducendo una sovra rappresentazione dei neuroni con FC vicina a 16 kHz. Il drammatico spostamento nelle FRFs in A1 potrebbe essere il risultato di due fattori. Il primo è l’input proveniente dalla periferia che è prevalentemente caratterizzato da frequenze medie rispetto alle frequenze basse e alte che sono invece attenuate dall’attività inibitoria del salicilato sulla contrattilità delle CCE; il secondo elemento è l’influenza del salicilato sull’attività GABAergica in quanto è stato dimostrato che il salicilato ha un effetto soppressorio sul GABA, riducendone l’attività inibitoria ed inducendo iperattività centrale (18,59,60).

Shift di Frequenza Caratteristica

Sogl

ia F

C (d

B SP

L)

Frequenza (Hz)

A

B

Pre-Salicilato

Post-Salicilato

2000 4000 8000 16000 32000

Figura 5. In questa figura è possibile apprezzare la variazione di FC dei neuroni della corteccia uditiva prima (A) e 2.5h dopo (B) la somministrazione di sodio salicilato (300 mg/kg i.p.). I neuroni con bassa FC hanno acutizzato la loro FC verso i 10-20 kHz, mentre le unità con FC acuta hanno abbassato la FC per avvicinarsi al range 10-20 kHz inducendo una sovra rappresentazione dei neuroni con FC vicina a 16kHz. È interessante che questa sia anche la frequenza a cui, sperimentalmente, gli animali percepiscono l’acufene indotto da salicilato.

Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva: neurotossicità ed acufene

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Analogamente ad altre regioni della neocorteccia, la corteccia uditiva è costituita da circa sei strati interconnessi con una moltitudine di tipi di neuroni (61). Una valutazione in vitro ha rivelato differenze significative nella risposta di tipi diversi di neuroni nella AC dopo perfusione con 1.4 mM di salicilato. La soglia di corrente necessaria ad evocare un potenziale d’azione era significativamente aumentata e le scariche spontanee evocate da corrente negli interneuroni fast-spiking erano stati sostanzialmente depressi, mentre i neuroni piramidali non sembravano essere condizionati (62). Questi risultati indicano che il salicilato altera preferenzialmente la trasmissione GABAergica fast-spiking a carico di interneuroni in specifici strati corticali. L’analisi della densità della sorgente di corrente (CSD) è stata utilizzata anche per studiare l’effetto del salicilato su LFP evocati da stimolo, provenienti da diversi strati della AC in vivo. L’analisi CSD migliora la localizzazione spaziale dei punti di origine (iperpolarizzazione) e di dissipazione (depolarizzazione) di corrente in diversi strati della AC, prendendo in considerazione i LFP registrati dagli elettrodi vicini. L’analisi CSD dei LFP guidati dal suono dalla regione A1 della AC ha mostrato che il salicilato sistemico ha avuto effetti maggiori su alcuni strati della corteccia uditiva rispetto ad altri (63).

SALICILATO E STRUTTURE UDITIVE NON CLASSICHE

I nuclei esterni della via uditiva classica rispondono in maniera interessante agli stimoli acustici, e perciò possono contribuire alle funzioni uditive coinvolte nella sensibilità uditiva e nella percezione dell’acufene. L’amigdala, parte del sistema limbico, gioca un ruolo importante nella regolazione emotiva e nell’attribuzione del significato emotivo agli stimoli sensoriali (64,65). Poiché l’intensità dell’acufene è spesso correlata a fattori individuali come tolleranza al fastidio, allo stress o alla depressione di un individuo, l’amigdala può svolgere un ruolo importante nell’insorgenza e, soprattutto, nella stabilizzazione dell’acufene. L’organizzazione tonotopica è più complessa di quella della AC (19,66-68) e, in maniera simile a ciò che accade nella corteccia, la somministrazione sistemica di salicilato aumenta la frequenza di scarica, i LFPs ed altera la regolazione e la tonotopia delle FRFs (19). Come mostrato nella Figura 4, è stata valutata la risposta I/O della LA prima e dopo il trattamento con salicilato. Ad elevati livelli di intensità, si ottiene una iperattività della LA, mentre a bassi livelli di intensità la risposta viene soppressa e la soglia viene aumentata (19). Lo spostamento di soglia e la soppressione dei suoni di bassa intensità è un riflesso dell’effetto del salicilato sull’amplificazione delle CCE (5). Questi riscontri si accordano con le valutazioni morfologiche che mostrano che A1 ha numerose vie sottocorticali verso le regioni uditive non classiche, come l’amigdala e lo striato (69). L’iniezione di traccianti fluorescenti bidirezionali assonali nell’A1 del gerbillo ha indicato che il 76% delle vie nervose si estende alle strutture sottocorticali, mentre il 24% si estende alle strutture corticali (69). Presi insieme, questi dati indicano che il salicilato non solo condiziona la coclea, ma esercita anche effetti bidirezionali notevoli e ampiamente diffusi tra la via uditiva centrale e altre regioni del

SNC. Pertanto, l’insorgenza dell’acufene indotto da salicilato può coinvolgere un’attività neuronale anormale sia internamente che esternamente alla via uditiva classica.

GLI EFFETTI DEL SALICILATO SULL’UOMO

Finora abbiamo parlato degli effetti del sodio salicilato sulle varie strutture dell’apparato uditivo basandoci su evidenze di natura sperimentale animale. Naturalmente, gli stessi effetti, anche se con valenza e variabilità differente, possono essere riscontrati nell’uomo ove, in seguito ad ingestione di elevate dosi di salicilato, è stata riportata insorgenza di ipoacusia ed acufene. La maggior parte delle informazioni che hanno documentato tali effetti sono state ottenute principalmente da tentativi di suicidio, pazienti con artrite reumatoide e studi psicoacustici (8). Alcuni studi hanno suggerito che una dose moderata di aspirina può indurre una perdita uditiva fino a ~40 dB in soggetti a cui sono stati somministrati 4 gr di aspirina/die per 3-4 giorni (22), altri studi hanno documentato un’ipoacusia media di ~15 dB (4,8,70,71); nonostante ciò la maggior parte degli studi ha trascurato la valutazione dell’udito al di sopra di 8 kHz (8,72,73). Le variazioni di soglia si sono verificate prevalentemente per le frequenze acute (74,75), associate ad una completa abolizione delle emissioni otoacustiche spontanee (76). I livelli di salicilato nel plasma sembrano avere una buona correlazione con il grado di perdita uditiva (22,70).In alcuni casi di tentativo di suicidio sono stati valutati gli effetti di dosi estreme di aspirina. In un paziente che aveva ingerito 10 gr di aspirina sono stati riscontrati ipoacusia severa ed intenso acufene entro le 22 ore (74); i prodotti di distorsione, seppur presenti, apparivano linearizzati, indicando una funzione ridotta delle CCE. Dopo il recupero è stata osservata una normalizzazione dei DPOAE con uno schema di risposta non lineare, ad indicare un completo ripristino della funzione delle CCE (74). In un altro caso, gli effetti elettrofisiologici e percettivi di dosi estreme di aspirina (100 compresse di aspirina) includevano ipoacusia bilaterale ed acufene. I livelli di salicilato nel siero erano 606 mg/l e l’audiometria ha mostrato una perdita uditiva bilaterale di 30 dB, leggermente peggiore per le frequenze acute (77). Le registrazioni EcochG hanno mostrato una forma d’onda bifasica indicativa di danno cocleare e una soglia di 50 dB. Un giorno dopo l’ingestione, il paziente ha riferito la diminuzione soggettiva dell’acufene e un miglioramento della sensibilità uditiva. L’audiogramma è tornato nei limiti e le registrazioni EcochG hanno mostrato una forma d’onda normale con una soglia di 20 dB (77). Oltre ad ipoacusia ed acufene, il salicilato può avere notevoli effetti sulla discriminazione verbale. È ben noto che l’ipoacusia sensoriale può ridurre l’abilità di un individuo a percepire accuratamente un discorso in presenza di rumore anche quando il segnale è al livello di comoda udibilità (MCL) del soggetto. Young & Wilson et al. hanno esaminato gli effetti dell’acido acetilsalicilico sulla capacità di comprensione delle parole (World Recognition Score, WRS) in assenza e in presenza di un rumore di fondo. Le misurazioni sono state ottenute a tre rapporti segnale/rumore

Ralli M. et al.

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(SNR 0, -4, e -8 dB HL) prima e dopo elevate dosi di aspirina. I risultati medi provenienti da 5 soggetti hanno mostrato una riduzione significativa nella capacità di ricezione del discorso a una condizione di -8 SNR (Figura 6A). Tuttavia, quando i punteggi dei singoli soggetti sono stati esaminati singolarmente era chiaramente evidente che vi era ampia variabilità individuale (Figura 6B).

Figura 6. (A) Percentuale media degli WRS corretti, in presenza di rumore, in funzione del SRN. Dopo un’elevata dose di aspirina si è verificata una riduzione significativa della capacità di comprensione delle parole al valore SRN di -8 dB. (B) WRS individuali in presenza di rumore in funzione del SNR. Nel punteggio medio sembra che l’aspirina causi una significativa riduzione della capacità di comprensione delle parole in presenza di rumore; tuttavia quando gli score sono osservati individualmente sembra che l’effetto dell’aspirina sulla comprensione delle parole abbia ampia variabilità. WRS: score di comprensione delle parole; SNR: rapporto segnale/rumore.

Come mostrato nella Figura 6B, i soggetti 1 e 2 hanno entrambi mostrato una minore capacità di discriminazione verbale nel rumore a seguito di elevate dosi di aspirina, anche se non hanno mostrato nessuna riduzione significativa nella soglia uditiva o discriminazione del discorso in ambiente silenzioso (20). Questo studio illustra la variabilità che il salicilato può avere sulla percezione uditiva degli stimoli sovra soglia.

-8

-8

25

50

75

100

40

60

80

100

-4

-4

0

0 -8 -4 0 -8 -4 0 -8 -4 0 -8 -4 0

Prima dell’AspirinaDopo l’Aspirina

% C

orre

tta%

Cor

retta

Score medi di Discriminazione della Parola

Ambiente silenzioso

Rapporto Segnale/Rumore (dB HL)

* [

Score individuali di discriminazione della parola

A

B

Gli effetti del salicilato sulla funzione uditiva: neurotossicità ed acufene

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A parte la discriminazione del discorso, il salicilato ha anche effetto sulla risoluzione temporale, ovvero sulla capacità di rilevare rapidi cambiamenti in un segnale acustico. Una semplice misura di risoluzione uditiva temporale è la capacità di percepire un breve intervallo di silenzio, o gap, durante un rumore continuo (78). Nell’udito normale le soglie di percezione del gap diventano più brevi (acuità temporale migliore) all’aumento dell’intensità del suono, raggiungendo un valore di intervallo minimo attorno ai 60 dB SPL. Per determinare se il salicilato possa danneggiare la risoluzione temporale, sono stati somministrati 3,9 g di aspirina al giorno a 5 pazienti per un periodo di 5 giorni consecutivi. I soggetti sono stati valutati sulla loro abilità di identificare accuratamente i gap di silenzio in un rumore di fondo a banda stretta fissato a 0.5 kHz o 3.5 kHz. Le misurazioni sono state ottenute prima e durante la somministrazione di aspirina. Dopo il salicilato, le soglie dei gap sono diventate più lunghe in 4 su 5 pazienti, quindi l’ipoacusia indotta da aspirina ha causato una risoluzione temporale peggiore (soglie dei gap più lunghe) (79). Questi risultati sono in accordo con altri studi che mostrano che la presbiacusia e l’ipoacusia indotta da rumore risultano in un peggioramento della risoluzione temporale. È inoltre interessante notare che la capacità di riconoscere un gap durante un rumore continuo è alla base del modello animale di valutazione dell’acufene mediante lo studio del riflesso di Startle (80, 81).

C onclusioni

Il salicilato è un farmaco che ha permesso ai ricercatori di indurre ipoacusia ed acufene in maniera ripetibile ed affidabile. Nella somministrazione a breve termine gli effetti sembrano essere completamente reversibili, laddove nella somministrazione a lungo termine sembrano insorgere danni irreversibili a livello dei neuroni del ganglio spirale del Corti. Mentre originariamente si riteneva che il salicilato avesse effetti solo sulla periferia del sistema uditivo, studi più recenti suggeriscono profondi effetti a livello centrale, fatto che non dovrebbe sorprendere dal momento che l’aspirina viene utilizzata per il sollievo di dolore, mal di testa e febbre. Nella periferia uditiva, il salicilato agisce inibendo l’elettromotilità delle CCE agendo sulla proteina motrice prestina ed abbassando la soglia uditiva nell’animale da esperimento come nell’uomo. Nell’animale, gli effetti di attenuazione si verificano prevalentemente per le frequenze gravi e acute, meno per quelle medie. Tuttavia, negli esseri umani le misurazioni hanno mostrato un maggiore spostamento di soglia alle alte frequenze (74,75). Durante test sovra soglia negli uomini, ad esempio la comprensione delle parole in presenza di rumore, gli effetti del salicilato variano da individuo a individuo; alcuni soggetti mostrano difficoltà di comprensione del discorso a tutti gli SNR, mentre altri non mostrano quasi nessuna alterazione (20). Lo spettro sonoro delle parole è tale che le consonanti contengono principalmente suoni ad alte frequenze, mentre le vocali contengono

principalmente suoni a basse frequenze. Se l’udito è compromesso per le alte frequenze, a causa dell’ototossicità da salicilato, si comprometterà anche la capacità dell’individuo di discriminare in maniera efficace i suoni delle consonanti. In maniera sorprendente non c’è stata nessuna apparente correlazione fra la severità della perdita uditiva alle alte frequenze indotta da salicilato e i punteggi di riconoscimento del discorso. Inoltre, negli esseri umani non sembra esserci un effetto frequenza-dipendente sulle capacità di integrazione temporale. Alla luce dei cambiamenti osservati nella coclea, gli effetti del salicilato sul SNC sembrano paradossali. Mentre il salicilato ha soppresso l’output nervoso della coclea, ha innalzato i LFP ed la frequenza di scarica nel SNC. L’analisi del CSD ha indicato che il segnale nervoso amplificato nella corteccia uditiva deriva da cambiamenti nei circuiti intra-corticali in A1. Gli aumenti dell’ampiezza osservati ad alte intensità di stimolazione sono stati osservati nella corteccia uditiva primaria e recentemente nelle strutture uditive non classiche come l’amigdala. Mentre il salicilato sistemico non ha portato ad un aumento dell’ampiezza del collicolo inferiore, le risposte a questo livello sono state depresse molto meno rispetto a quelle nella coclea. Una possibile spiegazione di questi risultati è che alcune amplificazioni del segnale che si verificano tra la coclea e il mesencefalo compensano parzialmente l’output cocleare ridotto. Il trattamento sistemico con salicilato ha indotto anche variazioni significative della frequenza caratteristica nella corteccia uditiva così come nell’amigdala laterale, risultando in una sovra-rappresentazione delle frequenze medie. Molto interessante notare che questa alterazione corrisponde alla tonalità dell’acufene indotto sperimentalmente nell’animale dal salicilato (12-16 kHz).Non sono ben chiari i meccanismi responsabili di questa variazione; tuttavia è molto probabile che sia dovuto a due fattori: il primo è l’input proveniente dalla periferia che è prevalentemente caratterizzato da frequenze medie rispetto alle frequenze basse e alte che sono invece attenuate dall’attività inibitoria del salicilato sulle CCE. Il secondo elemento è l’influenza del salicilato sull’attività GABAergica; è stato difatti dimostrato che il salicilato ha un effetto soppressorio sul GABA, riducendo l’attività inibitoria di questo ed inducendo una iperattività centrale. Questi risultati suggeriscono che le variazioni della frequenza caratteristica indotte da salicilato osservate nella corteccia uditiva e nell’amigdala laterale possono essere il risultato di effetti periferici di selezione di uno specifico range di frequenze e di perdita di inibizione centrale che crea un ambiente permissivo e quindi favorente la riorganizzazione corticale e, di conseguenza, la cronicizzazione dell’acufene.In conclusione, gli studi sull’ototossicità indotta da salicilato e aspirina hanno accresciuto la nostra conoscenza sulla percezione uditiva e sull’acufene; tuttavia, i meccanismi con cui il salicilato induce acufene, ipoacusia ed alterazioni della via uditiva centrale non sono ancora completamente chiari.

Ralli M. et al.

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Otol Neurotol 2010 Jul; 31(5):823-31.81. Ralli M, Troiani D, Podda MV, et al. The effect of the NMDA channel blocker memantine on salicylate-induced tinnitus in rats. Acta Otorhinolaryngol Ital 2014 Jun; 34(3):198-

204.

Ralli M. et al.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 19

SURVEY SESTO SENSO VPPB - La veritigine posizionale parossistica in italia

L’acufene, dal latino “tinnire” (suonare come un campanello), è la percezione irreale di un suono in assenza di stimoli sonori esterni reali (1,2). Secondo recenti dati epidemiologici, gli acufeni si presentano nel 25,3% degli adulti americani (50 milioni di persone) e di questi il 7,9% lo riscontra frequentemente; per l’Europa sono stati descritti tassi di prevalenza comparabili (2). La patologia compromette gravemente la qualità della vita in circa il 2% degli adulti e l’entità di questa disabilità porta molte persone a richiedere un supporto medico (1). L’acufene presenta caratteristiche clinicamente eterogenee per quanto riguarda la sua eziologia, le sue caratteristiche percettive e i sintomi che lo accompagnano (2).

In termini di classificazione, l’acufene viene definito oggettivo o somatosonoro se il suono viene generato nel corpo ed è anche auscultabile dall’esaminatore (ad es., contrazioni miocloniche del muscolo del timpano tensore o flusso sanguigno alterato nei vasi vicino l’orecchio); si parla invece di acufene soggettivo, caso molto più comune, quando non viene identificata una determinata fonte sonora all’interno del corpo (2). Inoltre, in base alla caratteristiche del suono udito, si può distinguere tra acufeni pulsatili ed acufeni non pulsatili. Si pensa che i suoni percepiti nell’acufene pulsatile siano il risultato di pulsazioni venose e arteriose trasferite alla coclea attraverso la conduzione fluida cerebrospinale e che quindi

Obiettivi L’acufene è la percezione di un suono in assenza di uno stimolo acustico apparente. Rappresenta una patologia largamente diffusa, altamente disabilitante e difficile da trattare. Negli ultimi anni, sono stati raccomandati molti trattamenti per gli acufeni, incluso la chirurgia, la farmacoterapia, il counselling, la terapia cognitiva comportamentale, la terapia acustica, ma sfortunatamente senza conclusioni definitive di efficacia. I trattamenti chirurgici potrebbero rappresentare un’importante scelta terapeutica su specifici sottogruppi di acufeni con cause definite, ma poichè tale approccio rappresenta un trattamento invasivo, dovrebbe essere considerato con estrema cautela, e dopo aver valutato opzioni farmacologiche alternative.Metodi In questo studio retrospettivo, 30 pazienti con acufene sono stati trattati con sulodexide (250 LSU/bid, alla mattina e alla sera) e melatonina (3 mg la sera prima di andare a dormire) per 80 giorni. La valutazione è stata effettuata confrontando differenti parametri al basale (T0), dopo 40 giorni (T1) e dopo 80 giorni (T2) di trattamento.Risultati I risultati del THI (Tinnitus Handicap Inventory) e dell’acufenometria hanno dimostrato un miglioramento significativo dell’acufene dopo trattamento con sulodexide e melatonina. In particolare, lo score totale del THI si è ridotto da 37±20 a 27±18 (p<0,001) al T1 e 21±19 (p<0,001) al T2. I pazienti con miglioramento dei sintomi (ad es. riduzione del punteggio THI) erano il 76.7% al T1 e il 90% al T2. Infine, è stato rilevato anche un miglioramento significativo nel test audiometrico tonale. Non è stato osservato nessun effetto collaterale durante il periodo di trattamento.Conclusioni In conclusione, l’uso combinato di sulodexide, un glicosaminoglicano naturale con proprietà antinfiammatorie vascolari, antitrombotiche e profibrinolitiche, utilizzato nel trattamento di molte patologie vascolari inclusa la vertigine di origine vascolare, e la melatonina, un neuro-ormone prodotto dalla ghiandola pineale ed associato a funzioni fisiologiche multiple, si conferma come opzione terapeutica promettente nella gestione degli acufeni.

A bstract

Parole chiave: acufene, terapia, melatonina

I ntroduzione

Trattamenti farmacologici e chirurgici per gli acufeni: effi-cacia del trattamento combinato con sulodexide e melato-ninaFerrari G*, Agnese A, Cavallero A, Delehaye E, Rocchetti O, Rossi W, Tombolini AEur Arch Otorhinolaryngol (2011) 268:507-511

*Direttore ORL, ASL 5 Spezzina, La Spezia

Tratto da: Ferrari G, Agnese A, Cavallero A, Delehaye E, Rocchetti O, Rossi W, Tombolini A. Medical and surgical treatments for tinnitus: the efficacy of combined treatment with sulodexide and melatonin. J Neurosurg Sci 2015; 59:1-9

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4720

non sia dovuto a patologie delle vie uditive. In particolare, l’acufene pulsatile sincrono al battito cardiaco sembra essere associato a cause arteriose, mentre l’acufene pulsatile sincrono alla respirazione è più probabilmente dovuto a cause venose.Dall’altro lato, si ritiene che l’acufene non pulsatile sia il risultato di un funzionamento anomalo del sistema uditivo e che possa derivare da una deprivazione o deafferenzazione uditiva che possono manifestarsi lungo l’intera via uditiva (3). Diversi fattori sono stati associati allo sviluppo o alla persistenza di acufeni, ad esempio ipoacusia improvvisa, trauma da rumore, presbiacusia, somministrazione di farmaci ototossici, sofferenze del nervo uditivo (ad es. compressione microvascolare o schwannoma vestibolare), patologie a carico dell’articolazione temporo-mandibolare e traumi del collo. Inoltre, vi sono prove sempre più consistenti del fatto che gli acufeni sono associati ad ipereccitabilità della via uditiva centrale mediata da attività di eccitazione ed inibizione neuronali sbilanciate (1,2). Negli ultimi anni sono stati raccomandati diversi trattamenti per gli acufeni, quali la chirurgia, la farmacoterapia, il counselling, la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia del suono, ma sfortunatamente nessuno di questi approcci terapeutici ha portato a risultati di efficacia definitivi (2,4,5). Per l’acufene soggettivo acuto l’intervento farmacologico è abbastanza comune, mentre nei casi di acufene soggettivo cronico sono più frequenti gli approcci psicologici ed audiologici. Nella pratica clinica, il ricorso alle diverse opzioni terapeutiche varia tra i paesi europei, nonostante la sostanziale omogeneità epidemiologica. Ad esempio, in Italia i trattamenti farmacologici sono favoriti rispetto ai dispositivi acustici, mentre nel regno Unito le proporzioni si invertono. La terapia fisica è utilizzata di frequente in Francia, Germania e Italia (6).L’intervento chirurgico potrebbe rappresentare un’importante opzione su specifici sottogruppi di acufeni per i quali si riesce ad identificare una causa precisa; è il caso ad esempio del ricorso ad impianti cocleari per la sordità unilaterale, o alla decompressione microvascolare nell’acufene risultante da un conflitto microvascolare (2). Ovviamente tale approccio, come tutti gli interventi chirurgici, rappresenta un trattamento invasivo e dovrebbe essere considerato con estrema cautela e dopo aver preso in considerazione opzioni farmacologiche alternative (7).In questo contesto, negli ultimi anni alcuni studi hanno suggerito che la melatonina, un neuro-ormone prodotto dalla ghiandola pineale e associato a numerose funzioni fisiologiche, può esercitare un’azione favorevole sugli acufeni (8-11). Inoltre, in un precedente studio di Neri et al. (8) il sulodexide, un glicosaminoglicano naturale con proprietà antinfiammatorie vascolari, antitrombotiche e profibrinolitiche, utilizzato nel trattamento di molte patologie vascolari (12-14) inclusa la vertigine di origine vascolare, è stato aggiunto alla melatonina con l’obiettivo di preservare o migliorare il flusso sanguigno della microcircolazione dell’orecchio interno. Per sostenere e confermare tali dati, nel presente studio è stata valutata l’efficacia, nella pratica clinica, della terapia combinata con melatonina e sulodexide nel trattamento dell’acufene su un gruppo di pazienti presso il Dipartimento di otorinolaringoiatria (ORL) di un ospedale italiano.

In questo studio retrospettivo, eseguito presso il dipartimento ORL dell’ospedale civile di Sanremo tra il 2011 e il 2012, sono stati inclusi 30 pazienti con acufene, 18 maschi (60%) e 12 femmine, età media 64,0 ± 9,3; tutti i pazienti avevano età >18 anni e avevano avuto diagnosi clinica e strumentale di acufene continuo con sintomi che duravano da più di un mese. I pazienti con malattie psichiatriche, malattia di Ménière e malattia diabetica o cerebro-vascolare sono stati esclusi dallo studio.Al momento della visita (T0, basale) tutti i pazienti sono stati sottoposti al test THI (Tinnitus Handicap Inventory), al fine di valutare la percezione soggettiva degli acufeni e l’impatto sulla qualità della vita, ad acufenometria e al test audiometrico tonale (pure tone audiometry, PTA).Dopo aver firmato il consenso informato, tutti i pazienti sono stati trattati con sulodexide (250 LSU/bid, una capsula alla mattina e una alla sera) e melatonina (3 mg alla sera prima di andare a dormire) per 80 giorni. Il THI, l’acufenometria e l’audiometria sono stati ripetuti dopo 40 giorni (T1) e alla fine degli 80 giorni di trattamento (T2).L’analisi statistica è stata eseguita usando il software SPSS Statistical Package, ver. 15.0. Le variazioni dei risultati del THI,dell’acufenometria e dell’audiometria sono state analizzate usando ANOVA per le misure ripetute. Il test chi-square è stato applicato per valutare i cambiamenti in risposta alle singoli voci del test THI.

Le caratteristiche cliniche dell’acufene nei pazienti dello studio sono riassunte nella Tabella 1.

M ateriali e Metodi

R isultati

Caratteristiche acufeni N. %

Frequenza Bassa Media ElevataTotale

1011930

33,336,730,0100

Lato Bilaterale Sinistro Destro Cefalico CranialeTotale

126101130

40,020,033,33,33,3100

Tempo di esordio 1 mese 1-6 mesi 6 mesi-1 anno 1-3 anni >3 anni Totale

23145630

6,710,046,716,720,0100

Ferrari G. et al.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 21

Tinnitus Handica-pInventory (THI)

T0 (basale) T1 (40 giorni di trattamen-to)

T2 (80 giorni di trattamen-to)

p

Score totale 37±20 27±18a 21±19b <0,0011

Risposte alle 24 voci-si-qualche volta-noPazienti migliorati (riduzione dello score totale THI)

26%26%48%-

13%30%57%23 (76.7%)

9%27%64%27 (90.0%)

Ns (2)

1Analisi della varianza per misure ripetuteaDati appaiati del t test dello studente con correzione di Bonferroni per confronti multipli (T1 vs T0): p<0,001bDati appaiati del t test dello studente con correzione di Bonferroni per confronti multipli (T2 vs T0): p<0,0012Test chi-square. Risposte positive (“Si” e “Qualche volta”) sono state raggruppate e confrontate con le risposte negative (“No”)

Situazione con maggiore prevalenza dei sintomi: Di sera A letto A riposo Rilassati Sotto stress emotivo In ortostatismo Di mattina Sotto stress fisico Altre

201613975131

66,753,343,330,023,716,73,3103,3

Ipoacusia neurosensoriale: lato Bilaterale Sinistro Destro Non determinatoTotale

2330430

76.710013.3100

Tabella 1. Caratteristiche cliniche dell’acufene nei pazienti dello studio

Tabella 2. THI (Tinnitus Handicap Inventory) - Score totale.

Sia il THI che l’acufenometria hanno dimostrato un miglioramento degli acufeni dopo il trattamento con sulodexide e melatonina. In particolare, il punteggio totale THI si è ridotto da 37±20 misurato al basale a 27±18 (p<0,001) al T1 e 21±19 (p<0,001) al T2 (Tabella 2).

THI (Tinnitus Handicap Inventory) T0 T1 T2 Diffe-renza1

1 L’acufene le provoca difficoltà di concentrazione?

73% 70% 64% -9%

2 L’intensità dell’acufene le provoca difficoltà nel comprendere le parole?

67% 54% 46% -21%

3 L’acufene la rende infelice? 47% 41% 30% -17%

4 L’acufene la fa sentire confuso/confusa?

57% 47% 36% -21%

5 E’ disperato/disperata a causa del suo acufene?

20% 23% 22% 2%

6 Si lamenta molto per il suo acufene? 60% 64% 50% -10%7 Ha problemi ad addormentarsi per il

suo acufene?67% 66% 54% -13%

8 Ha la sensazione che non potrà liberarsi del suo acufene?

83% 76% 50% -33%

9 L’acufene interferisce con le sue attività sociali?

40% 37% 30% -10%

10 Si sente frustrato/frustrata dal suo acufene?

43% 30% 26% -17%

11 Crede che l’acufene le provochi un terribile disagio?

48% 33% 26% -22%

12 L’acufene le crea difficoltà nella vita di tutti i giorni?

63% 59% 36% -27%

13 L’acufene interferisce nel suo lavoro e/o nei lavori domestici?

38% 27% 26% -12%

14 Crede di essere spesso irritabile a causa del suo acufene?

73% 70% 46% -27%

15 La sconvolge il suo acufene? 33% 17% 19% -14%16 Crede che l’acufene provochi stress

nelle relazioni con amici e familiari?33% 17% 18% -15%

17 Trova difficoltoso focalizzare l’attenzio-ne su qualcosa che non sia l’acufene?

50% 33% 32% -18%

18 Le sembra di non avere il controllo del suo acufene?

60% 50% 36% -23%

19 Si sente stanco/stanca a causa del suo acufene?

63% 60% 46% -17%

20 Si sente depresso/depressa a causa del suo acufene?

37% 21% 19% -18%

21 L’acufene le provoca ansia? 52% 50% 43% -9%22 Sente di non poter convivere ancora a

lungo con il suo acufene?40% 23% 23% -17%

23 L’acufene peggiora quando lei è sotto stress?

73% 60% 64% -9%

24 L’acufene le provoca insicurezza? 23% 20% 15% -8%

TOTALE 52% 44% 36% -16%

T0: basale; T1: 40 giorni di trattamento; T2: 80 giorni di trattamento.I valori percentuali sono riferiti ai pazienti che hanno risposto “Si” e/o “Qualche volta”.Sono state evidenziate le voci con maggiore variazione.1Differenza tra la % al T2 (80 giorni di trattamento) e la % al T0 (basale)

La percentuale di pazienti con miglioramento dei sintomi (ad es., riduzione dello score THI) è stata del 76.7% al T1 e 90.0% al T2. Il dettaglio delle variazioni dei 24 items del THI sono mostrate nella Tabella 3.La Tabella 4 riassume i risultati dell’acufenometria alle varie frequenze al To (basale) e dopo il trattamento: si è avuto un miglioramento significativo a tutte le frequenze (500-8000 Hz) sia al T1 che T2, con guadagni medi di 4-10 dB di intensità (Figura 1).L’audiometria ha mostrato un miglioramento significativo dei livelli di soglia dell’udito nelle frequenze alte e basse, laddove i mutamenti nelle frequenze medie non erano significative (Figura 2). È stata effettuata un’ulteriore audiometria vocale ma non state rilevate Tabella 3. THI (Tinnitus Handicap Inventory) - Score per singolo item.

Trattamenti farmacologici e chirurgici per gli acufeni: efficacia del trattamento combinato con sulodexide e malatonina

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4722

differenze significative. Non è stato osservato nessun effetto collaterale durante il periodo di trattamento.

L’acufene è un sintomo disabilitante relativamente comune che compromette severamente la qualità di vita di circa il 2% delle persone adulte (1,2). Sebbene possa avere diverse eziologie, la patologia è solitamente associata a disturbi della coclea e a perdita dell’udito: ad ogni modo, non è chiaro se l’ipoacusia sia la causa o possa essere solo una conseguenza degli acufeni stesso.I risultati di diversi studi fisiopatologici indicano che l’acufene deriva da uno squilibrio negli input eccitatori e inibitori diretti ai neuroni uditivi (2,18,19). Tali variazioni si verificano ai diversi livelli del sistema uditivo e coinvolgono una combinazione di meccanismi che vengono innescati dalla perdita degli stimoli a livello dell’orecchio

Frequenza (Hz)

0 250 500 1000 2000 3000 4000 6000 8000

T0 (basale) 36±20 47±17 56±19 56±19 57±18 61±16 62±13 65±15 62±13

T1 (40 giorni di trattamento)

37±14 41±16* 47±18* 48±19* 49±19* 55±17* 57±14* 64±15 60±15*

T2 (80 giorni di trattamento)

33±13 40±14 45±18# 46±20# 47±20# 54±18# 57±16 60±15# 61±17

p1 - NS <0,001 <0,001 <0,001 <0,001 0,005 <0,005 0,011Test di Friedman; è stata applicata la correzione per i confronti multipli*Test di Wilcoxon (variazioni T0-T1): p<0,01. è stata applicata la correzione per i confronti multipli.#Test di Wilcoxon (variazioni T1-T2): p<0,05. è stata applicata la correzione per i confronti multipli.Per la frequenza 0 è disponibile solo un piccolo numero di letture.

*

* * **

*

*#

#

###

0-14

-12

-10

-8

-6

-4

-2

0

250 500 1000 2000 3000 4000 6000 8000

Variazione T0-T1 Variazione T1-T2

Frequenza (Hz)

Inte

nsità

(dB

HTL

)(V

aria

zion

e)

*Test di Wilcoxon (variazioni T0-T1): p<0,01. È stata applicata la correzione per i confronti multipli.# Test di Wilcoxon (variazioni T1-T2): p<0,05. È stata applicata la correzione per i contronti multipli.

Figura 1. Acufenometria: variazioni dell’intensità dell’aucufene.

Tabella 4. Risultati dell’acufenometria.

015,0

25,0

35,0

45,0

Inte

nsità

(dB

HTL

)

Frequenza (Hz)

55,0

65,0

250 500 1000 2000 3000 4000 6000 8000

**Test di Friedman: p<0,001

* * **

*

* *

T0-Basale

T1-40 giorni di trattamento

T2-80 giorni di trattamento

* Test di Friedman: p<0,01

Figura 2. Audiometria (PTA): variazioni dei livelli di soglia uditiva.

D iscussione

Ferrari G. et al.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 23

interno. Questa perdita causa una serie di riadattamenti plastici nel sistema uditivo centrale che risultano nell’induzione di iperattività e di scariche nervose. È stato suggerito che, in maniera simile alla nevralgia del trigemino, almeno alcune forme di acufene possono essere il risultato di (micro) compressione vascolare del nervo cranico (19,20) e che le operazioni di decompressione microvascolare possono essere benefiche in questi casi selezionati.Ad ogni modo, a causa dell’eterogeneità dell’eziologia e della fisiopatologia clinica non ci sono fin’ora terapie standard per la gestione di questi pazienti. In generale, è possibile considerare un trattamento chirurgico o farmacologico (6). La chirurgia specifica è possibile nei rari casi in cui si riesca ad identificare una causa, ad esempio lesioni lungo il tratto uditivo che ne alterano la normale funzione, malattia di Ménière, schwannoma vestibolare, lesioni dell’angolo pontino cerebellare, cisti aracnoidee, compressioni microvascolari, malformazione del Chiari e tumori del cervello (3). Gli approcci chirurgici più comune proposti sono l’ablazione della coclea, la decompressione microvascolare e l’impianto cocleare.Le teorie iniziali sulla patogenesi degli acufeni si sono incentrate molto sull’orecchio; di conseguenza, si ipotizzava che l’ablazione della coclea o la resezione del nervo cocleare avrebbero risolto la patologia, sebbene tali interventi causassero la sordità totale dell’orecchio leso. Sono stati eseguiti pochi studi sull’ablazione della coclea e nessuno che abbia raggiunto rigidi standard significativi. I dati disponibili mostrano un miglioramento dell’acufene in una percentuale di pazienti che varia dal 45% al 95% dei, ma la completa distruzione dell’udito limiterà sempre l’applicabilità di questa procedura (6).Il suggerimento che alcuni casi di acufeni potrebbero essere causati dalla pressione dei vasi sanguigni contro il nervo uditivo proviene dagli studi sulla nevralgia facciale. La chirurgia per decomprimere questi conflitti neurovascolari potrebbe quindi offrire una risoluzione dei sintomi in questi casi; ad ogni modo, finora l’evidenza è contrastante. Sebbene alcuni ricercatori abbiano riportato risultati positivi, questi sono basati su un piccolo numero di pazienti (6). Inoltre, la compressione del nervo uditivo è una causa estremamente rara di acufeni, pertanto la chirurgia della decompressione microvascolare dovrebbe essere intrapresa dai clinici in quei casi selezionati in cui si ha evidenza che la compressione vascolare dell’8° nervo cranico sia effettivamente la causa della sintomatologia (7).Per quanto riguarda l’impianto cocleare, più dell’80% dei pazienti con perdita neurosensoriale profonda bilaterale dell’udito riferisce acufeni. L’impianto cocleare migliora o elimina la sintomatologia fino all’86% dei pazienti, sebbene il 9% riporti un peggioramento postoperatorio degli acufeni e circa il 4% dei pazienti che non ne soffriva precedentemente riferisce l’insorgenza della patologia dopo l’intervento di impianto (6).

In conclusione, i trattamenti invasivi, specialmente le procedure chirurgiche, dovrebbero essere considerati con estrema cautela, e dopo un’attenta la valutazione rischio/beneficio da parte sia dei

clinici sia dei pazienti (7). L’approccio farmacologico è stato valutato in alcuni trial ma senza forte evidenza di efficacia. Gli antidepressivi triciclici e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina non sono risultati efficaci nella riduzione degli acufeni, ma potrebbero avere un ruolo nella gestione dello stress psicologico concomitante. I farmaci antispasmodici e i farmaci per il dolore neuropatico generalmente sono risultati inefficaci. Molti farmaci anticonvulsivanti sono stati testati senza successo. Gli antagonisti del glutammato utilizzati per ridurre uno dei principali neurotrasmettitori eccitatori nel sistema uditivo, non hanno dimostrato beneficio nel trattamento degli acufeni (6).La melatonina è stata testata con risultati promettenti da Rosenberg et al (21). In questo studio, tra i soggetti che riportavano difficoltà ad addormentarsi attribuibile all’acufene, il 46,7% ha riportato un miglioramento generale dopo il trattamento con melatonina rispetto al 20,0% del gruppo placebo (p=0,04). È stata rilevata inoltre una differenza statisticamente significativa dopo trattamento con melatonina nel miglioramento dei sintomi tra i pazienti con acufene bilaterale rispetto a quelli con acufene unilaterale (p=0,02).La melatonina, un neuro-ormone secreto dalla ghiandola pineale, è stato associato ad una serie di funzioni fisiologiche (22) come la regolazione dei ritmi circadiani, della microcircolazione, della pressione sanguigna (23), la modulazione delle risposte immunitarie, ed è dotata di proprietà antiossidanti. I recettori della melatonina sono presenti in varie aree del sistema nervoso centrale e in molti organi periferici. La melatonina è stata proposta come trattamento degli acufeni principalmente sulla base della sua capacità di favorire il sonno di regolare la microcircolazione (6).Recentemente, uno studio randomizzato controllato di Neri et al. (8) ha dimostrato che la terapia combinata con sulodexide e melotonina per 80 giorni è stata efficace nella riduzione dei sintomi dell’acufene (miglioramento dello score THI) rispetto ai controlli (placebo o solo melatonina). In questo caso il razionale d’uso di sulodexide era quello di contrastare la componente fisiopatologica vascolare e infiammatoria degli acufeni. Il sulodexide (SDX) infatti è una miscela altamente purificata di glicosaminoglicani naturali (GAGs), composta per l’80% di eparina a basso peso molecolare (6000-8000 Dalton) e per il 20% di dermatan solfato, che mostra proprietà antinfiammatorie vascolari, pro-fibrinolitiche ed antitrombotiche (12-14). È ben noto che i GAGs sono una componente essenziale del glicocalice dell’endotelio, che giocano un ruolo cruciale nel mantenimento e nella protezione delle pareti endoteliali nella microcircolazione (24); inoltre la rimozione o l’alterazione dei GAGs potrebbe innescare la fisiopatologia vascolare alla base di alcuni disturbi uditivi (25). Le caratteristiche biochimiche del sulodexide spiegano le sue funzioni pleiotropiche nella protezione della microcircolazione vestibolare e cocleare e nel miglioramento del flusso sanguigno a livello microcircolatorio sia venoso che arterioso (26,27). In particolare, diversi studi hanno dimostrato un effetto benefico del sulodexide nella vertigine di origine vascolare (15-17).Per sostenere e confermare tali dati, nel presente studio è stata valutata l’efficacia, nella pratica clinica, della terapia combinata con melatonina e sulodexide nel trattamento degli acufeni su un gruppo di pazienti ambulatoriali presso il Dipartimento ORL di un ospedale

C onclusioni

Trattamenti farmacologici e chirurgici per gli acufeni: efficacia del trattamento combinato con sulodexide e malatonina

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4724

italiano. In particolare, i risultati hanno mostrato che il trattamento con sulodexide e melatonina per 80 giorni è stato efficace nella riduzione del tinnito nella maggioranza dei pazienti. Difatti, lo score totale del THI si è ridotto progressivamente, passando da un valore medio basale di 37,0 a 26,9 al T1 e 21,2 al T2. Alla fine del trattamento lo score totale THI è migliorato nel 90% dei casi, e l’effetto era presente nella maggioranza dei pazienti (76,7%) anche dopo i primi 40 giorni di terapia.L’analisi delle risposte ai singoli item ha mostrato un miglioramento al T2 in 23 item su 24 (96%); nel dettaglio, il trattamento ha ridotto significativamente i sintomi descritti agli item 8 (-33%), 12 e 14 (-27%), 18 (23%), 11 (-22%), 2 e 4 (-21%). Deve essere osservato che queste voci sono incluse per la maggior parte nella sottocategoria di “Funzionale” (voci 2, 4, 12, 14 e 18); inoltre, 2 item (8 e 11) inclusi nella sottocategoria “Catastrofica” sono migliorate in maniera notevole, mentre nessuna delle voci inclusa nella sottocategoria “Emotiva” erano cambiate in maniera significativa. Questi risultati potrebbero essere dovuti al fatto che l’impatto sull’aspetto emotivo

può essere associata in modo considerevole a caratteristiche soggettive del paziente.Il miglioramento dell’acufene osservato allo score THI è stato confermato dai risultati dell’acufenometria, che indicavano un miglioramento notevole dei livelli della soglia uditiva a tutte le frequenze, con risultati già evidenti al T1 (40 giorni di trattamento).La perdita uditiva è stata monitorata utilizzando l’audiometria (PTA), che ha mostrato un miglioramento significativo soprattutto alle alte e basse frequenze; le frequenze medie non sono apparse significativamente modificate dal trattamento.Sono necessari ulteriori dati per confermare questi risultati preliminari, ad ogni modo questo studio retrospettivo mostra che, nella pratica clinica, il trattamento combinato con sulodexide e melatonina sembra essere efficace nella riduzione degli acufeni nella maggior parte dei pazienti. Gli effetti sia del sulodexide che della melatonina nell’indurre il miglioramento dei sintomi degli acufeni potrebbero essere associata alla loro capacità di migliorare il flusso sanguigno nella microcircolazione dell’orecchio interno.

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B ibliografia

Ferrari G. et al.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 25

Focus onAPPROCCIO AL PAZIENTE ANZIANO CON VERTIGINE E DISTURBI DELL’EQUILIBRIO

P unti chiave

I ntroduzione

E pidemiologia della vertigine nel paziente anziano

La vertigine e i disturbi dell’equilibrio sono comuni nella popolazione anziana e alquanto impegnativi per il clinico, perché spesso risultano difficili da descrivere e comprendono una vasta diagnosi differenziale, fondamentale per dirimere le forme relativamente benigne periferiche da quelle centrali (ad es. stroke). La vertigine e i disturbi nel paziente anziano devono essere affrontati come sintomo di una patologia e non come diagnosi vestibolare a sé stante. L’anamnesi del paziente è spesso fondamentale per de-terminare la causa più probabile della vertigine. Le indagini strumentali con test di imaging (TC/RM) sono fondamentali per confermare il sospetto diagnostico di una causa centrale (alto valore predittivo positivo), mentre hanno sensibilità e specificità subottimali per escludere la presenza di una causa centrale (valore predittivo negativo subottimale). Il medico di famiglia e/o lo specialista otoneurologo che valutino un paziente anziano con una vertigine che non sia chiaramente cronica (episodi ricorrenti) o non abbia una causa nota periferica, come ad esempio la vertigine posizionale parossistica (VPP), dovrebbero inviare il paziente al PS per escludere cause centrali gravi, come l’ictus. Anche dopo avere effettuato una diagnosi completa, la causa può risultare ancora sfuggente. La decisione di non proce-dere ad approfondimenti diagnostici in pazienti con una causa di vertigine poco chiara dovrebbe essere sempre pesata rispetto agli effetti del ricovero ospedaliero.

La vertigine e i disturbi dell’equilibrio nel paziente anziano sono molto comuni, ma altrettanto impegnativi per via della descrizione spesso vaga dei sintomi e della vasta diagnosi differenziale da condurre. Oggi la vertigine nell’anziano non è più considerata come una sintomatologia discreta, associata a specifiche condizioni mediche, ma come vera e propria sindrome geriatrica mul-tifattoriale.La maggioranza dei pazienti anziani con vertigine hanno una causa periferica relativamente benigna, ma una parte, fino al 5% di tutti i casi, ha un’origine non periferica, potenzialmente grave, che può mettere a rischio la vita del paziente. La presenza di uno stroke a carico del circolo posteriore è forse la causa più impegnativa, perché il paziente potrebbe avere un corredo sintomatico identico ad una vertigine periferica. Il ricorso ad indagini di imaging (TC e RM) nei pazienti con dizziness è complessivamente in aumento nei reparti di PS di tutto il mondo, anche se non in modo uniforme. Il punto fondamentale però è un altro, cioè come rendere efficiente il ricorso all’indagine di imaging, evitando test inutili. L’identificazione di potenziali cause centrali che accompa-gnano la vertigine è la risposta chiave al quesito.

Le indagini condotte in Nord-America e in Europa stimano una prevalenza della vertigine e dei disturbi dell’equilibrio del 20-30% nella popolazione anziana, con una incidenza annuale di nuovi casi che sfiora il 5%, ed un impegno per i reparti di PS che supera il 3% di tutte le visite annuali (Tabella 1).

Tratto da: Alexander X. Lo, Caroline N. Harada. Geriatric Dizziness. Evolving Diagnostic and Therapeutic Approaches for the Emergency Department. Clin Geriatr Med 29 (2013) 181-204.

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4726

Vertigine e disturbi dell’equilibrio sono prevalentemente episodici e meno del 5% dei pazienti riporta sintomi cronici. Una recente indagine (Community Survey) riporta nel 35% dei casi una frequenza episodica quotidiana, nel 14% settimanale e nel 51% men-sile (Figura 1).

C aratteristiche della vertigine e dei disturbi dell’equilibrio

C ause della vertigine e dei disturbi dell’equilibrio nella popolazione anziana

51%35%

14%

Quotidiani Settimanali Mensili

Figura 1. Frequenza degli episodi di vertigine.

Le cause sottese alla vertigine e ai disturbi dell’equilibrio nella popolazione anziana sono molteplici e le indagini sino ad oggi con-dotte risultano disomogenee sotto il profilo delle popolazioni studiate (comunità o pazienti clinici; popolazione adulta o polazione anziana; pazienti randomizzati o volontari; casi di stroke o di vertigine centrale) e dei criteri diagnostici adottati (sospetto clinico o codice diagnostico ICD-9),con discrepanze nella distribuzione percentuale delle cause (Figura 2).

Una survey condotta da Newman-Toker (National Hospital Ambulatory Medical Care Survey; 1993-2005) ha rilevato come il 15% dei casi di dizziness fosse associato a diagnosi a rischio, di cui il 4% per stroke, mentre il 32,9% era associato a forme periferiche, il 7,2% a disturbi mentali, il 4,9% ad eventi cardiaci (aritmia, angina, infarto miocardico). Da sottolineare come nel 22,1% dei casi la diagnosi sia rimasta confinata ai sintomi, senza individuare la possibile causa. Altre survey cliniche condotte su pazienti che afferiscono alle strutture ospedaliere (outpatient) hanno rilevato fino al 6% di stroke ed al 15% di cause cardio-vascolari.

FOCUS ON

Tabella 1. Survey nazionali (paziente anziano con vertigine).

INDAGINE RISULTATI EPIDEMIOLOGICI

National Health Interview Survey (US - 2012) Over 65: 19,6% con episodi di dizziness nell’ultimo annoCommunity-based (US) + Population-based Surveys (UK) Anziani: 21-29% con episodi di dizzinessDutch Population Survey Tutte le età: 47,1/1.000 abitanti-anno con dizziness (incidenza stimata)Emergency Department Database (US) Visite/anno: 2,6 mln (3,3%) per dizziness

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OCCHI Riduzione della vista

TIROIDEIpotiroidismo

POLMONIPolmonite

VESCICAUTI

MUSCOLOSCHELETRICODecondizionamentoOsteoartrite

ORECCHIOVPPBLabirintiteNeurite vestibolareMalattia di MénièreOtite mediaMastoiditeH zoster oticusSinusite

CERVELLOIctus cerebellare o del tronco encefalicoInsu�cienza vertebrobasilareTumori (ad es. neuroma acustico)Neurosi�lideMeningiteEncefaliteSindrome di WernickeE�etto terapia medicaIntossicazione da alcoolAvvelenamento COEmicraniaSclerosi multipla

CUOREMIAritmiaIpotensione ortostaticaSindrome vasovagaleIpersensibilità del seno carotideoIpovolemia

SISTEMICAMalattia viraleIpoglicemiaIponatremiaIpocalemiaOverdose da farmacoE�etto avverso da farmaco

La probabilità di diagnosi a rischio per il paziente aumenta con l’età (21% over 50 vs 9% under 50 - National ED Survey) e porta con sé un potenziale impatto di fatalità elevato (40% degli stroke cerebellari che si presentano con dizziness). Le cause psichia-triche risultano invece meno frequenti nella popolazione anziana.

Figura 2. Distribuzione delle cause della vertigine e dei disturbi dell’equilibrio nel paziente anziano.

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

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La prevalenza di episodi di vertigine e disturbi dell’equilibrio è maggiore nella popolazione anziana e nel genere femminile, ma esistono numerosi altri fattori che sono risultati indipendentemente associati a episodi di vertigine e disturbi dell’equilibrio (analisi multivariata di tre studi di popolazione condotti in US, UK, NL) (Tabella 2), con un aumento del rischio di dizziness proporzionale al numero di fattori, dal 10% in presenza di 1 solo fattore, fino al 68% in presenza di 5 o più fattori, valori incrementali che supportano l’ipotesi che gli episodi di vertigine e disturbi dell’equilibrio nella popolazione anziana abbiano una base causale multifattoriale.

Tinetti et al, 2000 (US) Stevens et al, 2008 (UK) Maarsingh et al, 2010 (Paesi Bassi)

Caratteristica OR 95% CI OR 95% CI OR 95% CI

Genere femminile NR 1.81 1.38-2.38 NRVivere soli NR NR 1.3 1.2-1.4Scolarizzazionea NR NR 1.2 1.1-1.3>5 medicinali 1.3 1.01-1.68 NR NRDepressione 1.36 1.02-1.8 2.17 1.56-3.01 NRAnsia 1.69 1.24-2.30 NR NRUdito scarso 1.27 0.99-1.63 1.81 1.35-2.43 NRVista scarsa NR 1.72 1.23-2.39 NRNessuna malattia cerebrovascolare NR NR 1.3 1.1-1.5Nessuna malattia cardiovascolare NR 1.34 0.91-1.96 NRInfarto miocardico passato 1.31 1.00-1.71 NR NRIpertensione NR NR 1.2 1.2-1.3Ritmo cardiaco anormale NR 1.85 1.23-2.77 NRForza della presa Terzo vs primo quintileQuarto vs primo quintileQuinto vs primo quintile

NR0.670.410.58

0.46-0.980.25-0.680.32-1.00

NRNRNR

Abbreviazioni: NR, non riportatoa Formazione confrontata con scuola elementare versus college/università

Tabella 2. Caratteristiche cliniche del paziente associate a dizziness.

Il problema più ovvio della vertigine nella popolazione anziana riguarda le tendenza a subire traumi da caduta accidentale, che riguarda complessivamente circa il 50% dei soggetti con dizziness, di cui la metà con più di una caduta registrata negli ultimi 12 mesi, con un aumento del rischio di fatalità per trauma cranico nella popolazione anziana, rispetto a quella giovane. Un problema meno ovvio riguarda la qualità di vita del soggetto anziano con dizziness, che comprende anzitutto un aumento dello stress collegato allo stato d’ansia generale ed alla paura di incorrere in cadute accidentali. Questo stress viene ulteriormente alimentato dal frequente declino funzionale e dalle limitazioni delle attività quotidiane (50-60% dei soggetti anziani con dizziness). L’impatto economico della vertigine e dei disturbi dell’equilibrio è altrettanto rilevante in termini di risorse sanitarie impiegate nei reparti di PS (ambulanza, indagini strumentali TC ed RM, tempi di osservazione in PS e ospedalizzazione) per i pazienti con dizziness, rispetto alla media dei pazienti che fruiscono di servizi di emergenza.

F attori di rischio

I mpatto sociale ed economico della vertigine e dei disturbi dell’equilibrio nella popolazione anziana

FOCUS ON

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La sfida principale per i clinici che prendono in carico pazienti anziani con vertigine e disturbi dell’equilibrio è quella di escludere le diagnosi a rischio per la vita del paziente (ad es. stroke), identificando le cause e definendo la gestione del paziente. Esistono aree di sovrapposizione nella presentazione clinica delle forme relativamente benigne periferiche e di quelle a rischio per il paziente, spesso centrali, ma questi casi non sono frequenti (<1%). Un’indagine dettagliata, ma razionale del paziente con dizziness (utilità e accuratezza dei test diagnostici condotti), attraverso l’anamnesi, l’esame obiettivo, test di laboratorio e indagini strumentali, rappresenta l’approccio raccomandato per il paziente anziano con dizziness (Tabella 3).

Sintomi e Caratteristiche Razionale

Anamnesi di patologie in corso

Descrizione di dizziness (vertigine o disturbo dell’equilibrio) Chiarire cosa intende il paziente con dizzinessLa dizziness è ricorrente o si tratta di un primo episodio? La dizziness di nuovo esordio richiede differenzazione più ampia e atten-

zione alle cause serieEsordio di dizziness acuto o subacuto e severità Discriminatore marginale tra causa centrale e perifericaFrequenza della dizziness, tempo e durata La VPPB è episodica, la neurite riguarda raramente più di 1 episodioSintomi neurologici Altri sintomi neurologici possono indicare il bisogno di valutare l’ictusDebolezza Una debolezza focale suggerisce l’ictusPerdita di sensibilità Una perdita di sensibilità focale suggerisce l’ictus Problemi di andatura o di equilibrio Difficoltà di andatura o posizione suggeriscono l’ictusSintomi cardiaci Servono ad indicare possibile causa cardiacaDolore al torace Valutare la sindrome coronarica acuta ed escludere l’infarto miocardicoPalpitazioni Suggeriscono di valutare l’aritmiaDispnea, ortopnea Suggeriscono di valutare altri processi cardiaciPerdita di sangue recente (mestruo, perdita di sangue gastrointestinale) Indicano ipovolemia da sanguinamentoTrauma cranico Escludere lesione traumatica intracranica (ad es., emorragia intracranica)Anamnesi clinica/farmacologica/vita sociale pregresse

Anamnesi clinica Concentrarsi su fattori scatenanti potenziali o sulla causa di dizzinessMalattie vestibolari Storia di VPPB, labirintite, neurite, o malattia di Ménière possono chiarire il

corredo sintomatologico osservatoIctus Ictus precedenti aumentano il rischio di recidivePatologia cardiaca L’anamanesi di una patologia cardiaca è indicativa per il controllo completo

delle cause cardiache (infarto miocardico, aritmia)Cancro Storia di cancro aumenta il rischio di metastasi cerebraliImmunodeficienza (HIV) Storia di HIV aumenta il rischio di lesioni cerebrali, ad es., toxoplasmosiDisturbi psichiatrici Depressione e ansia sono associati alla dizzinessStoria di farmaci Nuovi medicinali o posologie possono indicare effetti collateraliUso di alcool Intossicazione da alcool o sindrome di Wernicke possono spiegare la

dizzinessEsame fisico

Segni vitali Bradicardia o ipotensione possono indicare una causa sottostanteOrtostatica Escludere ipotensione ortostatica come causa di dizzinessTesta, occhi, orecchie, naso e gola

Esame dell’orecchio Escludere otite media, mastoidite; valutare l’uditoEsame vestibolare Dix-Hallpike per VPPB o altri test per dizziness vestibolare

L’ approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4730

Sintomi e Caratteristiche Razionale

Esame neurologico

Esame dell’occhio Valutazione per nistagmo o cambiamenti nella vista (possono suggerire l’ictus)

Articolazione del linguaggio Disartria o afasia suggeriscono l’ictusEsame motorio La debolezza focale suggerisce l’ictusEsame sensoriale Il deficit sensoriale focale suggerisce l’ictusEsame cerebellare (cervelletto) Segni cerebellari (dismetria, atassia) suggeriscono ictus posterioreEsame cardiaco Valutare aritmia, diaforesi, segni di occlusione e cosi viaEsame respiratorio La polmonite può causare dizzinessCompletamento dell’esame generale Favorisce un’ampia differenziazione della dizzinessTest di laboratorio

Emocromo completo Infezione, anemia severaQuadro elettrolitico Iponatremia, ipocalemia, deidratazione, o sanguinamento gastrointestinale

(urea nel sangue)Quadro cardiaco (se indicato) Ischemia cardiacaQuadro tiroide IpotiroidismoAnalisi delle urine Infezione del tratto urinario, deidratazioneScreen farmacologico per urina Effetti medicinale (oppioidi, benzodiazepine)Indagine radiologica e altri esami strumentali

Elettrocardiografo Escludere aritmia o infarto miocardicoRadiografia torace PolmonitiScan TC (capo) Escludere emorragia intracranica acuta o lesioniMRI (cervello) Valutare per ictus ischemico nel cerebello o tronco encefalico, o altre

lesioni

Tabella 3. Approccio diagnostico al paziente anziano con dizziness.

Gli episodi di vertigine e dei disturbi dell’equilibrio vengono quasi sempre riportati dal paziente in modo soggettivo e sono per questo suscettibili a interpretazioni differenti. I parametri sintomatici introdotti da Drachman e Hart sono stati utili per suddividere l’insieme generico della dizziness in corredi sintomatici specifici, che comprendono la vertigine, la presincope, la perdita di equi-librio e altri disturbi dell’equilibrio (Tabella 4).

Tabella 4. Sottotipi di dizziness.

Prevalenza (%)

Sottotipo Descrizione o termini usati Tinetti et al. 2006 Lin and Bhattacharyya, 2012

Colledge, 1994

Vertigine Rotazione, sensazione di movimento

33 30 32

Disequilibrio Sbilanciamento, instabilità, sensazione di caduta quan-do si cammina

59 68 42

Stordimento pre-sincope Prossimo allo svenimento, quasi perdita di conoscenza

42 30 39

Non specifico o altro NR NRAbbreviazioni: NR: non riportato

A namnesi clinica

FOCUS ON

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 31

Fino al 56% dei pazienti descrivono sintomi che rientrano in una o più categorie di dizziness descritte da Drachman e Hart; queste percentuali aumentano nella popolazione anziana. L’indagine di Tinetti (2000) riporta perdita di equlibrio nel 59% dei casi, vertigi-ne nel 33%, presincope nel 42% e la presenza di altri segni nel 17% dei casi. Una descrizione specifica della storia di dizziness, che includa frequenza e durata degli episodi, momento dell’esordio, triggers e corredo sintomatico, può essere di grande utilità per distinguere le forme di vertigine periferica da quelle centrali, laddove sia possibile recuperare un’anamnesi affidabile dal paziente (Tabella 5). In questo senso la messa a punto di un protocollo mirato di comunicazione medico-paziente può essere un fattore decisivo per orientare la diagnosi differenziale su base anamnestica. In particolare il valore predittivo dell’anamnesi per la vertigine periferica è risultato dall’87% in un recente studio.

Tabella 5. Differenziare fra vertigine periferica e centrale.

Vertigine periferica Vertigine centrale

Labirintite/Neurite vestibolare

VPPB Malattia di Ménière Ictus/TIA Emicranica

Tempo Acuto (<3 d) Episodica, durata misurabile in secondi

Episodica, durata misurabile in ore

Misurabile in ore Costante per ore (ictus)/minuti (TIA)

Episodica dura da minuti a giorni

Indizi diagnostici Improbabile se >1 epi-sodio. Spontanea, peg-giora con il movimento del capo. Sintomi uditivi (labirintite)

Esecerbazione con il cambio della posizio-ne, ad es. stendersi o girarsi nel letto

Acufene unilateraleIpoacusia/ovattamento dell’orecchio

SpontaneoContinuo

Stimolata dal movi-mento

Manovra Dix-Hallpike o girarsi in posizione supina

Negativo Positivo Negativo Negativo Negativo

Nistagmo spontaneo Orizzontale Orizzontale Orizzontale, se presente

Puramente verticalePuramente torsionaleEvocato dalla fissazio-ne e bidirezionale

Può essere presenteLa direzione varia

Head Trust Test (HTT) Positivo Normale Normale Normale Può essere positivoAndatura Normale, lenta, cauta Normale Non conosciuta Spesso compromessa NormaleRomberg Negativo Negativo Negativo Positivo se presente

lesione cerebellareNegativo

Adattato da: Tusa RJ, Gore R. Dizziness and vertigo: emergencies anda management. Neurol Clin 2012; 30(1):61-74. Vii-viii; Kerber KA. Vertigo and dizziness in the emergency department. Emerg Med Clin North Am 2009; 27(1):39-50. Viii.

Una review sistematica (Tarnutzer et al. CMAJ 2011) ha verificato l’accuratezza di diversi parametri clinici anamnestici nel distin-guere le forme di vertigine periferica da quelle centrali (Tabella 6), riscontrando come nei pazienti over-50 la registrazione di eventi multipli di dizziness in anamnesi, insieme ad un Head Impulse Test (HIT) normale, fossero predittori strong di stroke.

Tabella 6. Accuratezza di HINTS.

Test di verosimiglianza (NLR negativo, PLR positivo)

Sensibilità (%) Specificità (%) NLR* PLR*

Head Impulse Test (HIT) 85 95 0.16 18.39Nistagmo evocato dalla fissazione

38 92 0.68 4.51

Test di distorsione oculare 30 98 0.71 19.66HINTS 98 85 0.02 NR* Rapporto di verosimiglianza (NLR negativo; PLR positivo)

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.4732

Esistono diverse classi di farmaci comunemente prescritte che possono provocare dizziness attraverso meccanismi distinti e in letteratura viene riportato fino ad 1 caso su 4 di dizziness iatrogena (Tabella 7). In questi casi è importante mirare l’intervista al paziente su nuovi famraci o recenti cambi di posologia adottati in corrispondenza dell’evento di dizziness.

Tabella 7. Medicinali che possono causare dizziness.

Meccanismo ipotizzato Categoria medicinale

Sistema nervoso centrale AnticonvulsiviAntidepressiviAntipsicoticiAnsiolitici/sedativiStabilizzatori del tono dell’umore

Cardiogenico AntipertensiviNitratiGlicosidi cardiaci

Metabolico DiureticiInsulinaIpoglicemizzanti orali

Ototossicità AminoglicosidiChemioterapici (ad es. vincristina)

Adattato da Chawla N, Olshaker JS. Diagnosis and management of dizziness and vertigo. Med Clin North Am 2006; 90(2):291-304; Tinetti ME, Williams CS, Gill TM. Dizziness among older adults: a possible geriatric syndrome. Ann Intern Med 2000; 132(5):337-44.

Esame otoneurologico

Le manovre diagnostiche otoneurologiche sono di cardinale importanza sia per confermare il sospetto di una causa periferica della vertigine, sia per esacerbare segni (ad es. nistagmo orizzontale) che sottendono a cause centrali o C.V. a rischio per il pa-ziente. Fra le diverse manovre diagnostiche sviluppate, quella di Dix-Hallpike è una fra le più utilizzate per confermare la comune VPP del canale semicircolare posteriore (Figura 3).

Figura 3. Manovra di Dix-Hallpike.

A namnesi delle terapie in corso

FOCUS ON

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OTONEUROLOGIA Settembre 2015 n.47 33

Di recente è stato proposto il protocollo di test ambulatoriali HINTS, che comprende: Head Impulse Test (HIT), studio del Ny in fissazione e della distorsione oculare (Skew Test). Questa batteria di test ha mostrato una sensibilità del 100% ed una specificità del 96% in uno studio condotto in un reparto di PS su 101 pazienti. Ulteriori studi sono attesi per validare questo protocollo come test di esclusione delle cause centrali.Da sottolineare che una review di ben 26 studi (Dros J et al. CMAJ 2010) ha evidenziato come non esistano studi specifici condotti sulla popolazione over-65, aspetto critico che dovrebbe essere indagato in futuro.

Le indagini di laboratorio sono utili per escludere le cause tossicologiche, infettive, autoimmuni e cardiache degli eventi di vertigi-ne e disturbi dell’equilibrio. Il test completo dell’emocromo ed un panel metabolico di base possono essere di aiuto per individuare patologie sottese (ad es. anemina, insufficienza renale) frequenti nella popolazione anziana. Nei casi in cui vi sia sospetto di una patologia cardiaca (ad es. sindrome coronarica), la richiesta di un’indagine degli enzimi cardiaci può essere utile.

TC e RM sono il riferimento radiologico per confermare il sospetto di una causa centrale cerebrovascolare, anche se non vi sono linee guida o evidenze strong in letteratura per i pazienti con vertigine e disturbi dell’equilibrio. Nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse sanitarie, oramai obbligatoria in tutto il mondo, è utile sottolineare che in letteratura, ad un aumento del numero di indagini radiologiche in PS, non corrisponde un proporzionale aumento del numero di diagnosi di stroke. Infatti solo il 6% degli esami CT condotti è positivo. Questo dato evidenzia l’importanza dei due step precedenti, anamnesi ed esame otoneurologico, nella formazione del sospetto diagnostico che conduce alla richiesta dell’esame radiologico, per rendere gli esami di imaging cost-effective.

L’indagine TC viene impiegata soprattutto per individuare emorragie intracraniche in corso, traumi ossei, anomalie anatomiche (ad es. idrocefalo, atrofia cerebrale) o lesioni del SNC. Inoltre la sensibilità dell’indagine TC per lo stroke ischemico è bassa (16%).L’indagine RM è più sensibile (83%) per lo stroke ischemico, soprattutto per il circolo posteriore, ma non è conclusiva, soprattutto per le prime 24h, periodo nel quale la sensibilità non supera l’80%.

Terapia sintomatica con vestibolo-soppressori

Si possono distinguere due categorie di farmaci per il trattamento della vertigine: i farmaci sintomatici vestibolo-soppressori, che riducono nella fase acuta dell’episodio vertiginoso la sensazione di movimento e gli annessi sintomi otoneurologici (nausea, vomito e diarrea), e terapie dirette alla specifica diagnosi (Tabella 8).

T est di laboratorio

S tudi di imaging

T rattamento della dizziness nel paziente anziano

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

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Tabella 8. Vestibolo-soppressori.

Farmaci (esempi in parentesi) Meccanismo proposto Considerazioni per l’uso in adulti anziani*Lista Beers (2012) dei farmaci potenzialmen-te inappropropriati per gli anziani

Antistaminici (meclizina, difenidramina, dimen-drinato)

Inibisce l’attività di istamina nel centro del vomito nel cervello, blocca anche l’attività acetilcoliner-gica

Presenti sulla lista Beers dei farmaci poten-zialmente inappropriati, a causa degli effetti collaterali anticolinergici

Benzodiazepine (diazepam, lorazepam) Innalza l’effetto inibitorio dell’acido γ-aminobutrico nel sistema vestibolare

Presenti sulla lista Beers** dei farmaci potenzial-mente inappropriati, a causa del danno cogniti-vo, cadute, fratture e incidenti con veicoli

Calcio-antagonisti (flunazirina, cinnarizina) Inibisce direttamente l’attività vestibolare e anche qualche attività centrale anticolinergica e/o antistaminica

Non disponibile negli Stati UnitiEffetti avversi simili agli antistaminici

Metoclopramide Blocca l’attività della dopamina nell’area scate-nante il chemiorecettore del cervello

Presente sulla lista Beers dei farmaci potenzial-mente inappropriati per adulti anziani, a causa degli effetti collaterali extrapiramidali

Fenotiazine (proclorperazina, prometazina) Blocca l’attività di vari neurotrasmettitori nel cervello (dopamina, istamina, acetilcolina)

Presente sulla lista Beers dei farmaci potenzial-mente inappropriati per adulti anziani, a causa degli effetti anticolinergici**

Anticolinergici (scopolamina) Blocca l’attività acetilcolinergica nel nucleo vestibolare del cervello

Presente sulla lista Beers dei farmaci potenzial-mente inappropriati per adulti anziani, a causa degli effetti anticolinergici**

**Gli effetti collaterali degli anticolinergici includono confusione, secchezza delle fauci, costipazione, vista offuscata, e ritenzione idricaDati da: American Geriatrics Society Beers Criteria Update Expert Panel. America Geriatrics Society updated Beers Criteria for potentially inappropriate medication use in older adults. J Am Geriatr Soc 2012;60(4):616-31; Hain TC, Uddin M. Pharmacologic treatment of vertigo. CNS Drugs 2003;17(2):85-100; and Rudolph JL, Salow MJ, Angelini MC, et al. The anticholinergic risk scale anc anticholinergic adverse effects in older persons. Arch Intern Med 2008;168(5):508-13.

I farmaci vestibolo-soppressori non mostrano evidenze strong in letteratura, mentre sono ben descritti gli effetti collaterali, soprat-tutto a carico della popolazione anziana, ed è noto come i vestibolo-soppressori, impiegati oltre la fase sintomatica acuta iniziale, rallentino il processo di compensazione vestibolare del SNC.Le attuali raccomandazioni indicano un impiego dei vestibolo-soppressori non indiscriminato, come ad esempio nella VPP, e comunque limitato alla fase sintomatica acuta, a cui fare seguire trattamenti specifici (ad es. cortisonici nella neurite vestibolare). È importante inoltre evitare la prescrizione contemporanea di due farmaci con attività sul SNC (ad es. vestibolo-soppressore ed antiemetico), per via del rischio di eventi avversi, soprattutto nell’anziano.Le terapie specifiche per la diagnosi effettuata, seguite dalla riabilitazione vestibolare, sono quindi da preferirsi alla terapia sinto-matica con vestibolo-soppressori.

Tutti i vestibolo-soppressori dovrebbero per questo essere considerati a rischio per il paziente anziano e impiegati solo in casi di estreme acuzie della sintomatologia vertiginosa.

FOCUS ON

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Terapie dirette alla specifica diagnosi

VPPLe linee guida attuali raccomandano di evitare l’impiego di vestibolo-soppressori a favore di un trattamento con manovre di riposi-zionamento, come la Epley, al netto dei casi che presentano una sintomatologia particolarmente severa. Viene inoltre suggerito, se possibile, di avviare il paziente ad un percorso di riabilitazione vestibolare (Figura 4).

A

CD

E

Figura 4. Manovra di Epley. (1) Il paziente si siede in posizione eretta con il capo girato a 45° verso l’orecchio colpito. (2) stendere il paziente con il capo che pende leggermente verso sotto il livello del tavolo dove si sta effettuando l’esame per 30 secondi. (3) girare il capo a 90° verso il lato sano e mantene-re per 30 secondi. (4) Ruotare il paziente dall’altro lato per girare il capo di ulteriori 90° verso il lato sano. Ora il capo dovrebbe essere quasi rivolto verso il pavimento. Mantenere per 30 secondi. (5) far sedere il paziente in posizione verticale. (6) Alcuni esperti raccomandano di mantenere il capo dritto per 24 ore dopo la manovra. (da: Rakel RE. Conn’s current therapy 1995. Philadelphia, WB Saunders, 1995, p.839, con permesso).

Neurite vestibolare I farmaci sintomatici vestibolo-soppressori possono essere utili nella fase sintomatica acuta, entro i primi 3 giorni, a cui fare se-guire il trattamentoi con corticosterodi, che accelerano la risoluzione dei sintomi, anche se i dati non sono definitivi. Una recente metanalisi di tre studi ha infatti evidenziato come il trattamento con corticosteroidi, a fronte di un miglioramento dei risultati con i test calorici, non abbia portato i pazienti ad un pieno recupero dai sintomi. Un altro fattore importante da considerare riguarda i pazienti in cui i sintomi persistono per mesi o anni. In conclusione per la popolazione anziana gli esperti suggeriscono una terapia con corticosteroidi sin dall’esordio dei sintomi, al netto dei casi più gravi, da continuare al massimo per 20 giorni.

Malattia di Ménière (MM) e Sindrome di MénièreLe evidenze in letteratura per il trattamento farmacologico della MM sono ad oggi poche sia per i farmaci istaminergici (betaistina) che per il trattamento combinato dieta di sodio (1-2 g/die) + diuretici. Al riguardo una nuova consensus italiana sulla betaistina, condotta dalla VIS (Società Italiana di Vestibologia) ha evidenziato l’utilità della betaistina nella riduzione della frequenza di epi-sodi vertiginosi che comunemente accompagnano la Sindrome di Ménière. Al riguardo è di grande importanza sottolineare che la

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

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Malattia di Ménière, diagnosticabile secondo lo schema pubblicato dalla AAO (American Academy of Otorinolaryngology) e poco frequente, andrebbe distinta dalla Sindrome di Ménière, che presenta un corredo sintomatico simile alla MM ed è di più frequente riscontro. La distinzione fra MM e Sindrome di Ménière potrebbe aiutare a comprendere le ampie differenze di incidenza e preva-lenza che si registrano in letteratura.

Altre condizioni patologiche

La vertigine emicranica risponde bene alle terapie per la cefalea, mentre la vertigine psicogena può essere gestita con benzodia-zepine e antidepressivi. L’atassia episodica, infine, sembra rispondere al trattamento con acetazolamine.

Terapia eziologica vascolareIl paziente anziano molto spesso presenta in anamnesi patologie C.V. croniche, sia centrali (aritmia, sindrome coronarica, fibrilla-zione atriale) che periferiche (ad es. aterosclerosi dei distretti arteriosi sovraortici carotidei e vertebrali) e cerebrovasculopatie, le quali possono essere causa della patogenesi distrettuale dell’orecchio interno. Non si tratta quindi sempre di episodi di dizziness collegati ad eventi acuti (TIA/Stroke), come ben evidenziato nel caso della ipertensione arteriosa (IA), evidenziata nello studio Vasc Vert (Guidetti, 2005) e di una più recente survey naziopnale sulla frequenza di recidive di VPP (Messina A, Casani AP, Guidetti G, Manfrin M, Acta Otorinolaringologica 2016, submitted), che risulta nel primo studio del 2005, il primo fattore di rischio C.V. associato al paziente con vertigine acuta e risulta correlato alla frequenza di recidive nella VPP nella indagine italiana sulle recidive di VPP. In questi casi l’associazione di farmaci pro-compenso, come la betaistina, con farmaci antitrombotici di parete (GAGs), come il sulodexide, stimola il recupero vestibolare centrale attraverso un’azione istamino-simile e protegge il delicato equilibrio del microcircolo cocleo-vestibolare, indispensabile per il corretto funzionamento delle cellule ciliate.In proposito un recente studio (Trune, 2012) evidenzia come, a prescindere dalla noxa patogena (infezione, trauma, patologia C.V.), la risposta infiammatoria della microcircolazione dell’orecchio interno modifica la permeabilità della barriera emato-labirinti-ca, alterando i potenziali di sodio e potassio (Na+ e K+) che garantiscono il corretto funzionamento delle cellule cicliate, deputate all’equilibrio nelle anse vestibolari e all’udito nella coclea. Il razionale patogenetico dell’orecchio interno descritto da Trune aiuta a comprendere l’impiego dei corticosteroidi nella fase acuta e dei farmaci istamino-simili (betaistina), unitamente ai GAGs (sulode-xide) nel trattamento della dizziness, perché inquadra bene l’organo endoteliale come target farmacologico dell’orecchio interno nella dizziness.

Da sottolineare che:• La betaistina, spesso confusa con gli antistaminici, svolge invece un’azione istaminergica (stimola il rilascio di istamina) sui

recettori H3 dei nuclei vestibolari e del circuito istaminergico nel SNC, a cui corrisponde un’azione pro-compenso nel SNC.• Risultati di una recente consensus nazionale sulla betaistina, condotta con metodo Delphi e presentata dalla Società

Italiana di Vestibologia (VIS) nel 2015, confermano l’efficacia della betaistina nel ridurre il numero di crisi associate alla sindrome di Ménière, unitamente al miglioramento dell’esame clinico vestibolare ed alla qualità di vita del paziente.

• I GAGs in formulazione orale sono farmaci eparinici che, a differenza delle formulazioni iniettive, hanno un buon profilo di efficacia e sicurezza d’impiego, rispetto alle emorragie, oltre che di compliance per il paziente. L’attività antitrombotica dei GAGs per os si svolge infatti sull’endotelio, che è l’organo bersaglio di questi farmaci (Figura 5).

FOCUS ON

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In particolare il sulodexide, in un trial internazionale appena pubblicato (Andreozzi GM, Circulation 2015), condotto su oltre 600 pazienti (307 SDX; 308 placebo) con trombosi venosa profonda (TVP) che avevano completato la terapia anticoagulante (3-12 mesi), ha mostrato la capacità di ridurre dopo 24 mesi continuativi di somministrazione (2+2 cps/die) del 50% i casi di re-trombosi senza alcun effetto emorragico rispetto al placebo (HR: 0,97; 95% CI: 0,14–6,88; p=0,98). In particolare non sono state registrate emorragie maggiori ed emorragie cerebrovascolari (Figura 6).

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

Figura 5. Barriera emato-labirintica: (A) azione della noxa patogenica sui GAGs e l’endotelio; (B) perdita della barriera emato-labirintica (da: Trune, 2012)

Cellula endoteliale TJ

TLRs

INFIAMMAZIONE ENDOTELIALE

PERDITA DELLA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA

GAGs

ICAMs

Lume del vaso

Cellula Immunitaria(A)

(B)

PGsCellula

endoteliale TJ

Cellula endoteliale

CitochineSpazioextra-vascolare

CitochineAutoanticorpiBatteri & Virus

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Riabilitazione vestibolare

La riabilitazione vestibolare può essere di grande aiuto nei pazienti anziani con sintomi cronici di dizziness, che sono coloro che non riescono a ottenere un completo compenso vestibolare.

GESTIONE AMBULATORIALE DEL PAZIENTE

La valutazione del paziente con vertigine e disturbi dell’equilibrio può risultare sfidante per i seguenti aspetti:1. Natura soggettiva dei sintomi2. Assenza di una oggettiva misura della severità dei sintomi3. Anamnesi ed esame otoneurologico subottimale

Per potere ovviare a questi limiti oggettivi dell’attività clinica ambulatoriale gli esperti propongono di seguire alcuni schemi:• Paziente con disturbo vestibolare ricorrente diagnosticato (ad es. VPP), inviato allo specialista dal medico di famiglia: mana-

gement conservativo, al netto di sintomatologie ingravescenti e/o segni otoneurologici che alimentino il sospetto di una causa più grave.

• Paziente con patologia C.V. o cerebrovascolare e sospetto di dizziness di origine centrale: invio al PS per l’esclusione di stroke ed eventi acuti C.V. In questi casi il paziente dovrebbe essere accompagnato da una dettagliata anamnesi delle pa-tologie, allergie ed eventuale impiego di anticoagulanti orali, unitamente alle informazioni più importanti ricavate dall’esame otoneurologico. Questo schema d’azione è particolarmente urgente per i pazienti cadidati a trombolisi, per i quali la finestra temporale d’intervento è di appena 3-5 ore dopo l’esordio dei sintomi.

FOCUS ON

0.12

0.10

0.08

0.06

0.04

0.02

0.000 6 12 18 24

Placebo

Sulodexide

51% di riduzioneHR: 0.4995% CI:0-27-0.92p=0,02

Mesi

Haz

ard

Cum

ulat

ivo

Adattato da Andreozzi et al. 2015Figura 6. Rischio cumulativo di ricorrenze di TEV in pazienti trattati con sulodexide (n=307). (da: Andreozzi et al. 2015).

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La gestione del paziente con dizziness in PS è orientata ad escludere eventi di stroke e infarto del miocardio. Anche nei casi nei quali la TC e l’RM risultino negativi, è utile chiedere il supporto della Neurologia per l’osservazione intensiva del paziente, quando il sospetto di stroke sia elevato (Figura 7).

G estione del paziente in PS

Consulenza cardiologica e ricovero

StoriaECGCPSS*Segni Vitali, glicemia, esame �sico generale

Tutti i Pazienti con dizziness

MI o aritmia

STEP 2: indagare il disturbo vestibolare periferico

Entrambi i test negativi

STEP 1: escludere le emergenze (invio a PPS).

STEP 3: escludere altre cause di dizziness

STEP 4: Prescrizione

Dimissione (diagnosi; benigna; miglioramenti dei sintomi)

Ricovero (diagnosi a rischio; sintomi refrattari severi)Dx severo Sintomi refrattari severi

Selezionare il test in base al livello di sospetto clinico:TC testaMRRX ToraceMarkers CardiaciEsame completo del sangueAnalisi chimica e tossicologica

Ictus in acuto

Consulenza neurologica e ricovero

Segni vitali anormali o elementi rilevati in Anamnesi/Esame �sico

Dix-Hallpikepositivo: VPPB

Manovra di Epley

Dimissione Domiciliare con o senza riabilitazione vestibolare

Terapia sintomi acuti (solo a breve termine)

HINTS positivo: sindrome vestibolare acuta

Elementi rilevati in Anamnesi/esame �sico Eseguire test Dix-Hallpike e HINTS

Figura 7. Percorso raccomandato per la gestione nel PS del paziente anziano con dizziness CPSS, (Cincinnati Pre-Hospital Stroke Scale, una scala a 3 item disegnata per screening rapido di ictus valutando eventuali perdite del tono muscolare facciale, ipofunzionalità delle braccia e dislessia. La scala non è riproducibile (correlazione interclasse 0.92, 95% CI 0.89-0.93), con una sensibilità del 66% e una specificità dell’87%. (dati da: Kothari RU, Pancioli A, Liu T, et al. Cincinnati Prehospital Stroke Scale: riproducibilità e validità. Ann Emerg Med 1999;33(4):373-8).

Approccio al paziente anziano con vertigine e disturbi dell’equilibrio

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La complessità della diagnosi e del management dei pazienti anziani con dizziness è rappresentata in letteratura da percentuali anche elevate di misdiagnosi, che dipendono in gran parte da falsi positivi e negativi, così come da una cultura degli operatori non sufficientemente formata, che porta ad esempio a preferire l’esame TC a quello RM.

L’aspetto cruciale è il corretto approccio al paziente, come emerge dalle survey condotte negli ultimi 10 anni sul tema dizziness, che indica come il paziente over-65 con comorbidità (atassia, sintomi neurologici focali, diabete mellito, precedenti TIA/stroke) sia da considerare anzitutto ad alto rischio di stroke (indagine RM), piuttosto che di emorragia cerebrale (indagine TC).Bisogna inoltre porre attenzione ai traumi cranici che possono accompagnare l’episodio di dizzeness, non sempre facili da evin-cere dalle radiografie, soprattutto nei pazienti anziani con osteopenia.Altro aspetto riguarda le manovre diagnostiche e terapeutiche, che devono essere condotte con grande attenzione nel paziente anziano, più fragile rispetto ai soggetti più giovani.

Nei casi di dimissione dal PS di un paziente con iniziale sospetto di stroke, ma risultato negativo, è fondamentale assicurarsi che rimanga sorvegliato per almeno 24 h e fino alla risoluzione dei sintomi. È fondamentale inoltre dotare il paziente o i familiari di un vademecum che riporti chiaramente i sintomi che devono indurre il paziente a rivolgersi al PS (dislessia, improvvisa perdita della vista, grave affaticamento improvviso, difficoltà a respirare, palpita-zioni e aritmia cardiaca, dolore allo sterno, sincope, trauma cranico).Il paziente deve inoltre ricevere indicazione per una visita di follow-up dal proprio medico curante entro 1-2 settimane dalla dimis-sione, al netto di recrudescenze della sintomatologia vertiginosa. In questo senso è sempre importante inserire nel referto del PS da presentare al medico curante la diagnosi stabilita.Se indicato, è utile accompagnare alla dimissione il trattamento farmacologico più idoneo e, nel caso di vertigine posizionale, un vademecum degli esercizi da svolgere a casa.

P itfalls clinici e medico-legali

D imissione del paziente con dizziness dal PS

FOCUS ON

• Alexander X, Lo et al. Clin Geriatr Med 2013; 29:181-204.• Andreozzi GM et al. Circulation 2015; 132:1891-7.• Trune DR et al. Semin Hear 2012; 33:242-50.

B ibliografia