Osteotomie correttive - balestracongressi.com · Il post-operatorio trascorso in tutti i casi in...

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Lussazione di ginocchio[ U. Zoppi, M. Partenza]Unità Operativa di Ortopedia

e Traumatologia, Presidio ospedaliero di Teramo

La lussazione del ginocchio, intesa come lussazionetibio-femorale, è un evento abbastanza raro nella trau-matologia ( 0,27% di tutte le lussazioni, Gui L. ) , ma sesi deve sospettare, come dicono C. Harner e collabora-tori nel testo di Chirurgia del Ginocchio di J.N. Insall,che si sia verificata una lussazione di ginocchio in pre-senza di una grave instabilità con lesione post-trauma-tica di due o più legamenti anche se l’ articolazione èradiograficamente ridotta, allora la sua incidenzaaumenta sensibilmente.La classificazione descrittiva classica divide le lussazio-ni di ginocchio in funzione della direzione dislocazionedella tibia rispetto al femore in anteriori, posteriori,mediali, laterali e rotatorie.Il meccanismo lesionale può essere da trauma diretto oindiretto, ad alta o a bassa energia, e la lussazione piùfrequente è la lussazione anteriore (40%) da trauma iniperestensione, seguita dalla lussazione posteriore(33%), generalmente causata da un trauma diretto sull’estremo prossimale della tibia in senso antero-posterio-re, e via via dalle altre.Esiste però una classificazione più moderna, di tipoanatomico, che considera le strutture lesionate e l’ enti-tà delle lesioni, per la quale è indispensabile procederead una valutazione in anestesia e/o ad una RisonanzaMagnetica.Le lesioni associate ad una lussazione di ginocchio pos-sono essere vascolari o neurologiche.Le complicanze vascolari riguardano la possibilità diuna lesione completa (più frequente nelle lussazioniposteriori) o di una lesione parziale (più frequente nellelussazioni anteriori) dell’ arteria poplitea, la cui diagno-si e il cui trattamento debbono essere precoci, pena ilsensibile aumento delle amputazioni dopo trattamentodelle suddette lesioni a più di 8 ore dal trauma (86%contro 13%)Le complicanze neurologiche più frequenti, per la suacollocazione anatomica, sono quelle del nervo peroneocomune mentre più rare sono quelle del nervo tibiale,ed il loro trattamento è preferibilmente differito.Il trattamento delle lussazioni di ginocchio invecerichiede una riduzione immediata della lussazione, soli-tamente in anestesia, generalmente incruenta e chesolo in alcuni casi richiede un intervento chirurgico.Dopo la riduzione si applica un gesso o preferibilmenteun tutore, ma in presenza di una lesione vascolare biso-gna subito attuare il trattamento specialistico dellastessa e stabilizzare l’ articolazione con un fissatoreesterno che viene anche utilizzato in caso di lussazioneesposta.Il trattamento delle lesioni legamentose può esserefatto preferibilmente entro 3 settimane o in cronico,dopo tale termine, mentre il trattamento conservativo èormai abbandonato per i cattivi risultati.Le complicanze più frequenti delle lussazioni di ginoc-chio sono l’ instabilità articolare o la riduzione delR.O.M., che nel 37-54% dei casi rende necessaria unamobilizzazione in narcosi dell’ articolazione.

Osteotomie correttivestabilizzate mediante

chiodo endomidollare nellegravi deformità

degli arti inferiori causate dadisplasia fibrosa

[P. Farsetti – E. Ippolito]

Gli autori riportano i risultati ottenuti in 14 pazientiaffetti da sindrome di Mc-Cune-Albright, trattati chirur-gicamente per una deformità degli arti inferiori conse-guente a displasia fibrosa poliostotica. L’età dei pazien-ti al momento dell’intervento variava da 8 a 32 anni,con una media di 18 anni. Prima dell’intervento duepazienti non erano in grado di deambulare. I segmentischeletrici operati erano complessivamente 22, in 16casi il femore ed in 6 casi la tibia. In due pazienti veni-vano operati il femore e la tibia omolaterale, in altri duesia i femori che le tibie bilateralmente e, nei rimanenti10, soltanto il femore. Il trattamento post-operatorioconsisteva nel riposo a letto senza tutele per due setti-mane in quanto la sintesi risultava stabile in tutti i casi,successivamente nella deambulazione assistita senzacarico per otto settimane nei 12 casi monolaterali e nel-l’utilizzo della sedia a rotelle per 12 settimane nei casibilaterali.Il controllo veniva effettuato dopo un periodo medio ditre anni dall’intervento chirurgico. Le deformità piùgravi venivano osservate a livello della porzione prossi-male del femore (a bastone pastorale). La correzioneveniva ottenuta mediante osteotomie singole o multipleed osteosintesi con chiodi endomidollari. La stabilizza-zione del femore veniva effettuata con un chiodo endo-midollare non alesato modificato, bloccato prossima-mente da una lama-placca e, quando necessario,distalmente da una o due viti, mentre per la tibia veni-va adottato un chiodo endomidollare non alesato stan-dard. La modifica del chiodo endomidollare femoraleconsisteva nell’angolarlo prossimamente di 7° al fine diintrodurlo attraverso l’apice del grande trocantere e dicorreggere il più possibile la deformità in varismo delcollo femorale.Le principali problematiche intraoperatorie erano rap-presentate da una notevole perdita ematica, dalla diffi-coltà di creare un vero e proprio canale midollare tipi-camente assente nei segmenti scheletrici colpiti dallamalattia, e dall’estrema difficoltà di correggere la defor-mità a bastone pastorale, specialmente nelle forme piùgravi.Al controllo finale tutti i pazienti erano in grado dideambulare autonomamente, seppure in tre casi eranecessaria l’adozione di un tutore ortopedico e/o deibastoni canadesi. Le radiografie di controllo evidenzia-vano in tutti i casi la guarigione del focolaio osteotomi-co, e in nessun caso veniva osservata una frattura delsegmento scheletrico operato.In conclusione riteniamo che l’intervento chirurgico diosteotomia correttiva del femore e/o della tibia con sta-bilizzazione endomidollare migliora la capacità di deam-bulare dei pazienti affetti da sindrome di Mc-Cune-Albright, limitando notevolmente il rischio di fratture.

Possibilità chirurgiche e ricostruttive

nei tumori ossei maligni prossimi al ginocchio

[M.A. Rosa, M.Alesci, R.Caminiti]Dipartimento Specialità Chirurgiche, Sezionedi Ortopedia e Traumatologia - Università

degli Studi di Messina

INTRODUZIONE: Negli ultimi anni grazie ad una semprecrescente accuratezza delle metodiche diagnostiche,alla precisione dei gesti chirurgici, alle terapie adiuvan-ti, e non ultimo, alle sempre maggiori possibilità rico-struttive, si è assistito ad un aumento esponenziale dellapercentuale dei pazienti che, affetti dalle principali neo-plasie ossee primitive, risultano liberi dalla malattia a 5anni.

SCOPO: Gli AA. riportano la loro esperienza su 15 paz,operati dal 2000 al 2005, affetti da due tra le più fre-quenti neoplasie ossee primitive, il sarcoma osteogenicoed il condrosarcoma in una localizzazione tipica: ilginocchio.

MATERIALI E METODI: Dal Febbraio 2000 al Novembre2005 abbiamo operato 15 paz. 10 maschi e 5 femmine.9 erano condrosarcomi 6 sarcomi osteogenici. Dei con-drosarcomi 7 erano di 2 grado, 2 di 3 grado. Dei 6osteosarcomi, 3 erano centrali e 3 parostali. In 5 casiera coinvolta esclusivamente la metaepifisi distale delfemore, in 7 casi la metaepifisi prossimale della tibia esolo in 3 casi vi era un coinvolgimento tricompartimen-tale dell’articolazione.Tutti i paz. affetti da sarcoma osteogenico hanno effet-tuato un protocollo personalizzato chemioterapico neoa-diuvante. La funzione articolare del ginocchio era grave-mente compromessa in 7 casi nei quali era presentedolore costante, anche a riposo, zoppia deambulatoria,tumefazione con versamento articolare. In 3 casi il qua-dro clinico era caratterizzato, inoltre, da febbre intermit-tente a cui si accompagnava un aumento dei globulibianchi e della Ves; nei rimanenti casi la sintomatologiaera poco rilevante. L’atto chirurgico è consistito in tutti icasi in un’ampia resezione ossea comprendente il trami-te bioptico, la massa neoplastica ed un abbondante tes-suto muscolare attorno al tumore, assicurandosi conesame istologico estemporaneo un margine di resezionelibero dalla malattia di almeno 3 cm al di sopra e al disotto della lesione.Per la ricostruzione ossea sono state sempre utilizzatemegaprotesi tumorali in titanio. L’ancoraggio metadiafi-sario è garantito da fittoni inseriti a press-fitt all’internodel canale midollare. L’ancoraggio della muscolaturaresidua alla protesi è garantita attraverso una magliatubolare in polietilentereftalato.Il post-operatorio è trascorso in tutti i casi in modo rego-lare. La terapia antibiotica endovenosa consistente nel-l’associazione di un chinolonico (levofloxacina) e da unglicopeptide (teicoplanina) per 10 gg. Per il controllo deldolore post-operatorio è stata utilizzata in ogni paz. unapompa antalgica endovenosa, mantenuta per le 48 oresuccessive all’intervento.A causa delle elevate perdite ematiche dovute all’invasi-vità dell’intervento chirurgico sono state necessarie inmedia 2 trasfusioni post-operatorie.Il protocollo riabilitativo è stato avviato in terza giornatadopo l’intervento, caratterizzato da una cauta Kinesi atti-va e passiva del ginocchio e del collo-piede, contrazioniisometriche del quadricipite; la deambulazione assistitacon bastoni era presente in media in quinta giornata.

RISULTATI: Abbiamo ottenuto risultati confortanti anchein relazione all’elevata aggressività delle neoplasie trat-tate ed all’invasività dell’atto chirurgico. Nella nostra

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casistica, infatti, la mortalità a 5 anni si aggira attorno al10 %. 7 paz, inoltre, al follow-up a 5 anni risultano prividi recidive locali che di metastasi a distanza, così comerisultano liberi dalla malattia i paz. in corso di follow-up.C’è da registrare, comunque, 2 casi di infezione dellaprotesi risolta con un reimpianto ed 1 caso di stupor delnervo sciatico popliteo esterno che permane al control-lo a 6 mesi. Non abbiamo registrato fenomeni di mobi-lizzazione delle componenti protesiche.

CONCLUSIONI: Gli AA. in base all’esperienza acquisitaritengono questo tipo di approccio chirurgico-ricostrutti-vo di scelta, in quanto l’ampia resezione consente da unlato una sicura radicalità oncologica, mentre l’impiego dimegaprotesi tumorali garantisce dall’altro, svariate pos-sibilità di ricostruzione del segmento, in base al livellodi resezione effettuata. Semplice risulta, inoltre, il con-trollo della lunghezza e della rotazione dell’arto operato.

Il trattamento degli esitipost-traumatici rotulei

con protesi monocompartimentali.

[M. Sbardella*, P. Cellocco**, V.

Chiatti*,G. Leoni*, G. Costanzo**]

* Policlinico Città di Pomezia - Pomezia(RM)

** Divisione Universitaria - Università “LaSapienza” - Polo Pontino - ICOT - Latina

Il danno degenerativo femoro-rotuleo deriva diret-tamente da malallineamenti o dismorfismi del-l’apparato estensore, da un processo idiopatico oin seguito a traumatismi della medesima articola-zione. Le indicazioni alla protesizzazione mono-compartimentale anteriore (o femoro-rotulea) pre-vede che sia presente una gonalgia anterioreinvalidante, che le strutture menisco-legamentosesiano integre, come del resto le articolazionifemoro-tibiali mediale e laterale. Deve essereinoltre stato eseguito un ciclo di terapia conserva-tiva (fisica e medica) senza benefici apprezzabili.Le controindicazioni a questo tipo di chirurgiasono rappresentate da infezioni, artriti infiamma-torie, patologie neurologiche dell’arto affetto,lesioni legamentose non trattate, degenerazionedegli altri compartimenti del ginocchio, rilevantedeviazione degli assi di carico.Nella letteratura internazionale, il primo adimpiantare qualcosa di simile ad una protesifemoro-rotulea fu McKeever nel 1955, il qualemise a punto un design protesico basato su unachiglia di rivestimento della sola superficie rotu-lea. Questo progetto fu coronato da un 80% dibuoni risultati a distanza di 5 anni dall’intervento.Negli anni, diversi modelli protesici sono stati pre-sentati, sperimentati e studiati, con alterne vicen-de. In un recente lavoro, Lonner ha messo a con-fronto due dei modelli attualmente più impiantati,vale a dire la Lubinus (Link) e la Avon (Stryker),individuando differenze fondamentali nel designche influenzano direttamente i risultati clinici deidue modelli.A nostro avviso, il planning preoperatorio di unpaziente da sottoporre ad impianto di protesifemoro-rotulea in esiti a traumatismi della femoro-rotulea deve comprendere una completa valuta-zione radiografica, che includa immagini in ante-ro-posteriore, laterale, Merchant e Rosenberg. Inquesti pazienti non riveste particolare importanzalo studio di risonanza magnetica, se non per la

valutazione dell’integrità capsulo-legamentosa. Latomografia computerizzata può risultare utile nellostudio della consolidazione o dell’eventuale com-minuzione residua della frattura.Gli Autori discutono alcuni casi di trattamentodegli esiti di fratture di rotula con protesi mono-compartimentali femoro-rotulea. Il primo caso siriferisce ad una donna di 67 anni affetta da postu-mi artrosici di frattura di rotula, trattata conserva-tivamente, cui in sede chirurgica è stata riscontra-ta anche una degenerazione del compartimentomediale ed è stata pertanto trattata con protesiz-zazione monocompartimentale anteriore e media-le (Figg. 1 e 2).

Il secondo caso si riferisce ad una donna di 59anni trattata chirurgicamente per frattura di rotu-la circa 30 anni prima; la paziente ha lentamentesviluppato un processo artrosico per il quale èstata sottoposta a protesizzazione monocomparti-mentale anteriore (Fig. 3).

Studio randomizzato sulleprotesi di ginocchio navigate

e non navigate[Prof. Sandro Giannini]

INTRODUZIONE: Numerosi studi recenti hannodimostrato come la navigazione chirurgica abbiadeterminato una diminuzione dell’errore nell’alli-neamento delle componenti protesiche e dell’assemeccanico dell’arto inferiore durante un interven-to di artroprotesi di ginocchio (PTG). Tale migliora-mento può essere evidenziato con una significati-va riduzione dell’errore > di 3° sia nel posiziona-mento delle componenti che del risultato finaledell’allineamento dell’asse meccanico. Un solostudio ha comunque dimostrato un 100% di casisenza tali errori.Esistono quindi fonti di errore anche con l’utilizzo

della navigazione chirurgica che è bene conosce-re e cercare di ridurre per ottenere sempre piùrisultati accurati. Lo scopo di questo lavoro è dipresentare le possibili sorgenti di errore durantela chirurgia computer-assistita nell’impianto diPTG.

MATERIALI E METODI: 120 pazienti sono statioperati di PTG con 2 diversi modelli protesici:Optetrak PS (Exatech, Florida, USA) e Scorpio PS(Scorpio®, Allendale, NJ-USA).La scelta del tipo di impianto e la scelta di naviga-re l’intervento è stata fatta in maniera randomiz-zata. In tutti le PTG navigate ed in 25 casi di PTGtradizionale il navigatore (Stryker®, Kalamazoo,MI-USA) è stato utilizzato per misurare l’allinea-mento delle osteotomie e l’asse meccanico intra-operatorio. In tutti i casi è stato misurato l’allinea-mento delle componenti con l’esame radiografico.In 50 pazienti consecutivi, operati con protesiScorpio PS (Scorpio®, Allendale, NJ-USA), abbia-mo valutato la differenza tra il piano osteotomicoe l’allineamento delle componenti protesiche. Talevalutazione è stata eseguita sempre con l’utilizzodel navigatore chirurgico.Tre arti inferiori interi da cadavere, col ginocchioesente da difetti anatomici e con capsula articola-re, legamenti e tendine del quadricipite intattisono stati analizzati con il medesimo sistema dinavigazione chirurgica per valutare l’effetto dellacalibrazione dei punti necessari per la stima degliassi di riferimento per la navigazione stessa, ese-guita da tre chirurghi diversi con tre livelli di espe-rienza differente.

RISULTATI: Nel primo studio abbiamo evidenziatouna migliore accuratezza nell’esecuzione dei taglifemorali e dell’asse meccanico intra-operatorioper le PTG navigate. Tali significatività si riducononelle valutazioni radiografiche.Nel secondo studioabbiamo misurato differenze > 1° tra il pianoosteotomico e l’allineamento della componentedefinitiva nel 42%, 28% e 62% di casi rispettiva-mente per la componente femorale sul piano fron-tale, per la componente tibiale sul piano frontale eper la stessa componente sul piano sagittale.Nelterzo studio abbiamo evidenziato errori attorno ad1° nella misura dell’allineamento del femore suitre piani e della tibia sul piano sagittale, mentretale errore può salire fino a 3° nella valutazionedella tibia sul piano frontale.

CONCLUSIONE: I risultati dimostrano che numero-si fattori possono ridurre i benefici della naviga-zione chirurgica. Occorre perciò conoscere talipossibili fonti di errore e nel tempo cercare diridurle ad esempio con la navigazione anche delposizionamento delle componenti definitive, attra-verso sistemi che definiscano gli assi di riferimen-to, sempre più in maniera funzionale, rispetto alletradizionali calibrazione di punti di repere. Inoltreci sembra che i dati intra-operatori siano quelliche possono effettivamente definire meglio l’effi-cacia del navigatore chirurgico nell’impianto diuna PTG.

Fig.1

Fig.2

Fig.3

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Le protesi monocompartimentali:

razionale[Fabbriciani C., Deriu L., Izzo V.]

La possibilita' di un trattamento protesico comparti-mentale dell’artrosi del ginocchio, era gia' stataintuita da McKeever (1960) e da McIntosh (1972), iquali suggerivano la sostituzione dell’emipiattotibiale degenerato, con un disco protesico.Da allora la protesi monocompartimentale ha subitouna notevole evoluzione, fino alle piu' moderne pro-tesi modulari (Marmor, 1988) ed a menischi mobili(Goodfellow,1996) con un cammino simile alla pro-tesi totale.I risultati a breve termine dei primi impianti protesi-ci però delusero le aspettative, facendo registrarefallimenti dell’impianto nel 30% dei pazienti adistanza di 5-7 anni, altri autori riportavano percen-tuali di sopravvivenza a 11 and 12 anni da 53% al65%(2-4). Le cause di questi insuccessi furono indi-viduate in errori di allineamento meccanico, neldesign degli impianti (5-6), nella tecnica di cemen-tazione, nell’usura e nella mobilizzazione della com-ponente tibiale che, nelle protesi di prima genera-zione, era di spessore sempre inferiore a 6 mm (7-9).Successivamente, l’ evoluzione della tecnica chirur-gica e del design protesico, ha portato a risultatinotevolmente migliori.Kennedy (10) riporta risultati ottimi nel 75,7%,buoni nel 14,3%, discreti nel 2,9% e cattivi nel7,1%; Sullivan (15) riporta ad un controllo medio di6,8 anni il 96% di buoni risultati; Larsson (16) rife-risce buoni risultati nel 90% a 5 anni; Marmor (17)infine riporta nell’86,6% dei casi dolore lieve oassente ad un follow-up di 10-13 anni.Risulta pertanto evidente che una delle problemati-che più importanti legate a questo tipo di trattamen-to sia rappresentato dalla corretta indicazioneall’impianto. I criteri di scelta possono suddividersiin fattori generali legati al paziente, fattori specificipiù strettamente connessi alle condizioni dell’artico-lazione da trattare, alla tecnica chirurgica ed ai dise-gni protesici.L’impianto di una protesi monocompartimentale èindicato nei casi di prevalente degenerazione mono-compartimentale con sufficiente integrità del siste-ma capsulo-legamentoso. Secondo Goodfellow l’im-pianto di una monocompartimentale è da consiglia-re in ginocchia con una defromità in varo-valgo cor-reggibile senza release o al massimo con un mini-mo release.L’importanza dell’integrità dei legamenti crociati inquesto tipo di impianti è ormai priva di dubbi: la fun-zione del legamento crociato anteriore (L.C.A.) infat-ti limita la comparsa della gonartrosi in sede antero-mediale. La lesione dell’LCA non è una controindi-cazione assoluta all’impianto di UKR, mentre lo èuna lesione del LCM (17). Deschamps (18) riporta,in un’analisi di 399 pazienti con lesione del LCA,una percentuale elevata di usura del polietilene, dimobilizzazione delle componenti proteiche e unapercentuale del 39% di pazienti sottoposti ad inter-venti di revisione. Una certa insufficienza del lega-mento crociato anteriore, con un lieve Jerk e unadifferenza side to side , al KT 1000, inferiore ai 5mm., non impedisce un buon risultato, anche per laridotta attivita' fisica ed il ripristino della stabilitàlaterale, dopo l’intervento.

Tra i fattori fondamentali legati all’indicazione chi-rurgica all’intervento di monocompartimentale è daconsiderare l’età. L’impianto di una UKR in pazienticon età maggiore di 75 anni è da considerarsi pre-feribile alla luce dei numerosi vantaggi, quali unricovero più veloce, un intervento chirurgico menostressante, una minor perdita ematica perioperato-ria e una minor incidenza di trombosi venosa pro-fonda rispetto all’impianto di una artroportesi totale.Secondo Deschamps (19) più il paziente è anzianoe sedentario, più è preferibile impiantare una UKR.Per quanto riguarda il danno dell’articolazionefemoro-rotuleo, l’esposizione del osso subcondraleè una controindicazione assoluta all’ UKR, mentre lapresenza di dolore anteriore è una controindicazio-ne relativa (Kozinn e Scott,1999). SecondoGoodfellow J.W. (12) non c’è alcuna correlazione trail danno femoro-rotuleo e il risultato clinico.Naturalmente è da considerare che difficilmente unpaziente con artrosi femoro-tibiale sia indenne daun danno, seppur inferiore, del compartimentofemoro-rotuleo. Da qui ciò che deve considerato è ildato clinico, il dolore rotuleo, non solo il quadroradiologico.Peso: i limiti imposti sono, ovviamente, relativi. Gliobesi sono sicuramente dei poveri candidati allamonocompartimentale soprattutto per l’elevatorischio di mobilizzazione e cedimento meccanicodella componente tibiale e di usura del polietilene.Deformità: l’impianto di una monocompartimentaleè consigliato in ginocchia con una contrattura inflessione minore di 10°, e in cui la deformità invalgo sia minore di 15° e quella in varo minore di10°. Il ROM pre-operatorio non deve essere minoredi 100°-110°.L’osteonecrosi rappresenta un’indicazione idealeall’impianto di una monocompartimentale. In pre-senza di soggetti anziani, con il compartimentoopposto in buone condizioni, e con un LCA integro,si osservano risultati soddisfacenti (19).Artrosi post-traumatica: è importante considerarel’integrità dell’LCA, ed eventuali deformità e contrat-ture.E’ da ricordare che una valida alternativa all’impian-to di una protesi monocompartimentale è l’osteoto-mia direzionale di tibia indicata in pazienti con vitaattiva, età non avanzata, con ginocchio stabile e inassenza di sublussazioni o trhust laterali.Nei soggetti di mezz’età si pone il dubbio se utiliz-zare una UKR o indicare una osteotomia di tibia.Dobbiamo considerare che le osteotomia di tibiahanno un successo che va deteriorandosi nel tempo(Vainionpaa-1981, Insall-1984, Coventry-1984) ed,inoltre, presentano difficoltà nelle revisioni (altera-zione dell’inclinazione del piatto tibiale, rotula bassa,cattiva consolidazione dell’osteotomia, problemi perquanto riguarda l’incisione cutanea.In numerosi lavori i risultati delle protesi monocom-partimentali si sono dimostrati sovrapponibili a quel-li dell’osteotomia alta di tibia (27,32,33). Tuttavia, inuna recente pubblicazione (12) l’impianto mono-compartimentale ha riportato risultati superioriall’osteotomia. Infatti, ad un follow-up di 12-17 anniè stato riscontrato un dolore lieve o assentenell’80% delle protesi monocompartimentali rispet-to al 43% delle osteotomie alte di tibia, mentre il fal-limento dell’intervento si è registrato nel 12% delleprotesi monocompartimentali contro il 35% dei casidi osteotomia tibiale. Insall (32) riporta buoni risulta-ti con l’osteotomia solamente nel 37,5% a distanzadi 9 anni. Da ciò deriva che, con criteri selettivi spe-

cifici, l’indicazione all’UKR è una valida alternativaall’osteotomia, nei pazienti di mezza età attivi. Comeafferma Scott R. D. (1999) può essere consideratala prima protesi in pazienti di mezz’età, ma puòessere una soluzione definitiva nei pazienti piùanziani!Nel porre indicazione chirurgica all’impiantodell’UKR bisogna tener presente la filosofia di taleprotesi. È fondamentale considerare che un allinea-mento ideale dell’asse con una UKR non è sinonimodi un completo allineamento dell’asse; nell’impiantodi una monocompartimentale non bisogna in nes-sun caso procedere al bilanciamento in flesso-estensione con un esagerato release laterale,sovraccaricare il compartimento opposto, overcor-reggere l’asse, creare un impingement femoro-rotuleo.Nonostante alcuni Autori sostengono la difficoltànella selezione dei pazienti candidati alla protesimonocompartimentale (UKR) e nella revisione dellastessa, i risultati clinici attuali vicini al 94% dei suc-cessi a 10 anni di follow-up, il miglioramento deimateriali e del design delle protesi, sono incorag-gianti, anche in considerazione dei numerosi van-taggi che l’impianto di tale protesi apporta, tra cui:trauma chirurgico lieve, preservazione dell’osso,arco di movimento conservato nella sua quasi tota-lità, riabilitazione più rapida, buon rapportocosto/beneficio.Le casistiche, riportate in letteratura, con questeindicazioni, sono molto incoraggianti. Presentanocurve di sopravvivenza superiori al 90% con followup di almeno 3 anni ( Cartier P. 1987, StockelmanR. E. 1991, Christensen N. O. 1991, Larsson S. E.1988 , Heck D.A. 1993 ), sovrapponibili a quelledelle totali, con controlli clinici a distanza di tempomaggiore ( McKinnon J. I988 , Scott R.D. 1991,Witvoet J. 1993, McKenzie J. R. 1993, Cameron H.U. 1988, Rongraff J. R. 1991,Carr A. e GoodfellowJ. 1993, Laurencin C. T. e Scott R.D. 1991 ) e supe-riori a quelle delle osteotomie ( Brangton N. S. eNewman J. H. 1986 , Jackson M. e Newman J.H.1994 ).Sostituiscono, in parte, le prime pubblicazioni chedescrivevano insuccessi oltre il 35% ( MalloryT.H.1983, Laskin R S. 1978, Insall J. 1980 ), anchese tutti gli autori concordavano nell’individuare,quale principale causa, la non corretta selezione deipazienti ( Barret W. P. , Scott R .D. 1987 ), riducen-done cosi' l’applicazione a non piu' del 10% di tuttele protesi del ginocchio.Rimangono comuni le cause di fallimento per errori di tec-nica chirurgica: imperizia, scorretta correzione delle defor-mita' assiali, cattivo allineamento delle componenti prote-siche, errori nella cementazione, utilizzo di polietilene infe-riore ai 6 mm di spessore ( Bert J. M. 1997, McCallum J.D.e Scott. R.D. 1995 ). Per tutte queste ragioni , la curva diapprendimento, rispetto ad altre spesso l’impiantodi una protesi monocompartimentale scoraggia ilchirurgo.I vantaggi di una monocompartimentale, però, sonoindiscutibili: una cinematica articolare normale ovicina a quella fisiologica, un’ottima conservazionedel bonestock, una breve ospedalizzazione, un mini-mo trauma chirurgico, una riabilitazione postopera-toria più breve, un buon rapporto costo-beneficio.In conclusione, questo tipo protesizzazione richiedeun’indiscutibile esperienza di chirurgia del ginoc-chio,ma anche una fedele affiliazione a tale filosofia,ma soprattutto l’indicazione deve essere posta conmolta attenzione.

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Quando una protesi ad alta flessione?

[Alfredo Schiavone Panni, Mario Tartarone, Alessandro Antonio

Patricola,Mimmo Gallo, Daniele Santaiti]

ISpeO – Istituto Specialistico OrtopedicoCasa di Cura “San Giuseppe” – Roma

L’artroprotesi di ginocchio rappresenta uno deimaggiori successi della chirurgia ortopedicagarantendo al paziente buoni risultati in termini diriduzione del dolore e recupero della funzionalitàin circa il 90% dei casi anche a 15-20 anni dal-l’intervento. Negli ultimi anni è cambiata la tipo-logia del paziente che si sottopone a tale tipo diintervento; se negli anni ’80 l’obiettivo dell’inter-vento di artroprotesi di ginocchio era quello di eli-minare il dolore e la deformità articolare, negliultimi anni vi è una richiesta sempre crescente diun completo recupero della funzione articolarecon pazienti sempre più motivati verso una ripre-sa all’esecuzione di attività fisiche elevate, anchesportive. Le protesi attualmente in commercioconsentono un’ampia articolarità del ginocchiocon flessione massima di 110-115 gradi; talegrado di flessione, sufficiente al paziente per losvolgimento della maggior parte delle normaliattività quotidiane, risulta, tuttavia, insufficienteper alcuni gruppi di persone che per religione,hobbies, sport o lavoro, necessitano di una fles-sione del ginocchio maggiore di 120 gradi. Seconsideriamo, inoltre, momenti della vita quoti-diana come il giardinaggio, l’accovacciamento oil sedersi e rialzarsi da una sedia, ci si accorgeche la fisiologica flessione del ginocchio neces-saria in tali situazioni risulta superiore a 130gradi. Quindi, sebbene la protesi di ginocchiogarantisca un ottima ripresa funzionale, moltipazienti, spesso relativamente giovani e comun-que ancora attivi lamentano un certo grado dilimitazione funzionale nello svolgimento di attivitàcomuni al loro stile di vita. Per tale motivo in que-sti anni sono stati introdotti in commercio deinuovi modelli protesici che per il loro particolaredisegno offrono al paziente la possibilità di rag-giungere più rapidamente e di mantenere elevativalori di flessione postoperatoria. Queste nuoveprotesi, definite ad “alta flessione”, sono attual-mente presenti in commercio con due diversimodelli: quello a conservazione del LegamentoCrociato Posteriore (CR) e quello postero-stabiliz-zato (PS). Per garantire ai massimi gradi di fles-sione un maggiore contatto tra femore e polieti-lene, e quindi anche una minore usura nel tempodell’inserto stesso, il sistema Scorpio flex(Stryker), oggetto di questo nostro studio, hamodificato, abbassandola, la geometria del profi-lo posteriore dell’inserto in polietilene. La bio-meccanica del ginocchio ci ha insegnato cheall’aumentare della flessione del ginocchio siassocia sempre un grado rilevante di rotazionedel ginocchio stesso, e quindi abbiamo volutotestare le protesi High-flex a piattaforma rotante.La piattaforma rotante ristabilisce la naturalerotazione del ginocchio, migliora l’allineamentofemoro-tibiale riducendo l’usura per la maggiorsuperficie di carico femoro-tibiale e può anchecompensare in parte minimi errori chirurgici diallineamento. Per valutare il reale incrementodella flessione postoperatoria della protesi ad

“alta flessione” abbiamo eseguito uno studiocomparativo ed abbiamo, quindi, confrontato irisultati in termini di articolarità e soddisfazionesoggettiva in due gruppi di pazienti: il primo sot-toposto a intervento di artroprotesi di ginocchiocon impianto Scorpio piatto fisso Stryker ed ilsecondo con impianto Scorpio High-flex a piatta-forma rotante Stryker. Per rendere omogeneo ilconfronto dei risultati in tutti i casi si è utilizzatauna protesi PS. Tra il Gennaio 2004 ed il Gennaio2006 abbiamo sottoposto 40 pazienti ad inter-vento di artroprotesi di ginocchio dividendoli inmaniera randomizzata in due gruppi di 20 pazien-ti: gruppo 1 con impianto Scorpio PS standard egruppo 2 con impianto Scorpio PS flex mobile.L’età media dei pazienti era di 72.2 anni nelgruppo 1 e di 73.3 anni nel gruppo 2; in tutti edue i gruppi vi era una prevalenza del sesso fem-minile (77% nel gruppo 1 e 85 % nel gruppo 2).La diagnosi preoperatoria in tutti i casi è stata diartrosi ginocchio primaria e in tutti i casi abbiamoutilizzato un’incisione cutanea anteriore al ginoc-chio di circa 10 cm e la capsulotomia pararotuleamediale. In nessun caso abbiamo eseguito lasostituzione protesica della rotula ma ci siamolimitati alla rimozione degli osteofiti e alla dener-vazione della stessa. In tutti casi abbiamo provve-duto al bilanciamento capsulolegamentoso edalla cementazione delle componenti, tibiale efemorale e mai abbiamo avuto complicanzeintraoperatorie. Tutti i pazienti appartenenti ai duegruppi dello studio hanno svolto regolarmente ilprogramma riabilitativo da noi adottato che pre-vede la mobilizzazione passiva continua ad incre-mento graduale per 6 ore al giorno dal primo eper i 30 giorni successivi all’intervento, la chine-si terapia assistita dal fisioterapista dal 2° giorno,gli esercizi di potenziamento muscolare isometri-co, la deambulazione assistita con canadesi e ilcarico a tolleranza per 10-14 giorni. Nessunacomplicanza neurovascolare o infettiva di rilievo èstata riscontrata al follow-up. Il follow-up medio èstato di 14 mesi e la percentuale di pazienti persial controllo finale è stato del 10% (2 pazienti pergruppo) in entrambi i gruppi. A tutti i pazientiabbiamo somministrato nel pre-operatorio, a 3mesi, 6 mesi e 1 anno dall’intervento il questio-nario IKSS e la scheda WOMAC; In occasione diogni controllo clinico si è quindi provveduto allamisurazione accurata con goniometro del gradodi articolarità raggiunto e a registrare la capacitàdi accovacciamento. Alla valutazione clinica fina-le non abbiamo osservato differenze in termini diestensione dell’arto operato tra i due gruppi dipazienti avendo questi raggiunto sin dall’imme-diato post-operatorio la completa estensione delginocchio. Per quello che concerne la flessioneraggiunta nel post-operatorio abbiamo osservatonel primo gruppo (standard) valori medi di 112°rispetto a valori preoperatori medi di 92°; i valoridi flessione media postoperatoria nel secondogruppo (flex-mobile) sono stati di 130° con valo-ri preoperatori medi di 94°. Alla valutazionemediante scheda Womac abbiamo osservato unimportante miglioramento della condizione psico-fisica in entrambi i gruppi con valori assoluti,anche in questo caso, migliori nel 2° grupporispetto al primo. La scheda IKSS ha, invece,mostrato un punteggio medio di 180 punti nelpost-operatorio del 1° gruppo (rispetto al valoremedio preoperatorio di 61) e di 192 nel 2° grup-

po (valori pre-op 62). E’ stato interessante nota-re nel corso dei controlli clinici a brevissimo ter-mine come il recupero funzionale globale, in ter-mini di articolarità e benessere soggettivo, èrisultato più rapido e completo tra i pazienti delgruppo flex-mobile rispetto al gruppo standard. E’ormai ben noto come le protesi tradizionali nonsempre garantiscono elevati valori di flessione,sebbene siano in grado di offrire un ottimo recu-pero funzionale; alla base di questa evidenzasembra esservi il limite della geometria di taliprotesi che determina inoltre un ridotto contattotra il femore ed il polietilene ai massimi gradi diflessione. La validità del risultato è, tuttavia, for-temente influenzata da alcuni fattori generali elocali; fattori prognosticamente negativi sonol’obesità, i pregressi interventi chirurgici articola-ri e la scarsa adesione del paziente alle prescri-zioni fisioterapiche. Al contrario, l’abitudineall’accovacciamento, tipico nella cultura giappo-nese o indiana, il grado di articolarità ed il livellodi attività preoperatoria rappresentano un fattoreprognosticamente positivo per il pieno recuperodella flessione postoperatoria. Alcuni studi hanno,inoltre, confrontato il grado di flessione post-ope-ratorio del ginocchio in pazienti con protesi CR ePS giungendo alle conclusioni che le protesi consacrificio del LCP offrono, di per se, un maggiorgrado di flessione; a ciò va aggiunta la possibili-tà di associare ai modelli High-Flex postero-sta-bilizzati degli inserti in polietilene mobili o piatta-forme rotanti che permettono una rotazione delpiatto alle flessioni elevate. Il programma di riabi-litazione, associato ad un controllo del dolorepost-operatorio, svolge un ruolo di primariaimportanza per il conseguimento di un’ottimaarticolarità. Nel presente studio abbiamo osser-vato, a parità di protocollo medico-riabilitativo, unrecupero funzionale più rapido e con minor dolo-re nel gruppo dei pazienti trattati con protesiHigh-Flex anche in quei pazienti con ridotta arti-colarità preoperatoria e che al follow-up finalenon avevano raggiunto la massima flessionepotenziale garantita dall’High-Flex. Sulla base deidati in nostro possesso possiamo affermare chel’attenta selezione del paziente, una scrupolosatecnica chirurgica, il disegno e le dimensioni del-l’impianto associate ad un corretto programmariabilitativo sono elementi fondamentali per la riu-scita non solo radiografica, ma soprattutto fun-zionale dell’intervento di artroprotesi di ginoc-chio. La protesi High-Flex ha consentito aipazienti valori di articolarità del ginocchio opera-to simili, se non addirittura uguali a quelli diginocchia normali e l’estrema modularità e lafacilità di impianto la rendono la soluzione d’ele-zione nei casi di gonartrosi in pazienti relativa-mente giovani, attivi e con forti aspirazioni socia-li con, magari, la tentazione di tornare a pratica-re sport. Un concetto che vale la pena ribadire èche le protesi con disegno “High-Flex” non“danno” al paziente una flessione migliore maoffrono la possibilità che pazienti motivati possa-no raggiungerla.

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Le artroprotesi di ginocchioinfette: revisione in uno

o due tempi.[Simone Ripanti, Andrea Campi]

I risultati a distanza di un’artroprotesi di ginoc-chio sono ormai estremamente incoraggianti,con una sopravvivenza degli impianti a 10 annisuperiore al 90% grazie al miglioramento dellatecnica chirurgica, del design e dei materiali pro-tesici. Malgrado tutto ciò le complicanze sonopresenti e non infrequenti. Per l’ortopedico unadelle più temibili per numerosi aspetti è l’infezio-ne, che ha una percentuale descritta in lettera-tura variabile tra il 1% e il 23%; tale percentua-le tende alla diminuzione con l’aumentata effica-cia di una profilassi antibiotica perioperatoria.Il trattamento delle artroprotesi di ginocchioinfette è controverso e sono disponibili varieopzioni, tra le quale una terapia antibiotica sop-pressiva mirata al germe responsabile dell’infe-zione, un debridment articolare con chirurgiaaperta o per via artroscopica, l’artrodesi, od unreimpianto in un tempo o in due tempi.La scelta del trattamento più adeguato dipendeda molte variabili, come la cronicità dell’infezio-ne, fattori individuali quali l’età, la presenza dicoomorbidità, e la virulenza del ceppo battericoisolato.Il trattamento con terapia antibiotica è solita-mente riservato alle infezioni superficiali, masempre con risultati poco incoraggianti cosìcome il debridment e il mantenimento in situdelle componenti non assicurano la completaeradicazione dell’infezione.I migliori risultati si ottengono con la chirurgia direvisione, ove esiste la possibilità di un reimpian-to in un singolo tempo, ma con risultati netta-mente inferiori rispetto a quello che è ormai con-siderato il “golden standard” nella chirurgia direvisione di un’artroprotesi di ginocchio infettache è la tecnica in due tempi (”two stage”).Tale tecnica offre risultati migliori non solo nellaguarigione dal processo infettivo ma anche nelmantenimento della funzionalità del ginocchio.Anche nella nostra esperienza la tecnica utilizza-ta è quella in due tempi, con risultati sovrapponi-bili a quelli riportati in letteratura; le possibilivarianti a tale tecnica chirurgica sono in rappor-to alle soluzioni diverse adottabili durante l’inter-vallo di attesa tra i due tempi chirurgici; infatti sipuò utilizzare uno spaziatore costruito al momen-to della rimozione della protesi infetta con ilcemento, che può essere preformato con o senzaantibiotico, o si può ricorrere a spaziatori artico-lati, che consentono la conservazione di una fun-zionalità tale da garantire un miglior risultatodopo l’impianto definitivo.

Protesi infetta: riprotesizzazione

in uno o due tempi?[R. Barbabella, A. Masini]

L’infezione è uno degli eventi più gravi che possa-no complicare l’intervento di protesizzazione delginocchio. Gli Autori riportano l’incidenza di talecomplicanza che va dallo 0.5% fino a valori supe-riori al 12% in presenza di particolari tipi di prote-si o di condizioni predisponenti. Le reinfezionidopo reintervento possono raggiungere valoriancor più elevati – fino al 20%. Passano quindi atrattare il meccanismo di induzione dell’infezione:l’organismo ospite reagisce alla presenza di unaprotesi rivestendo sia le componenti metalliche(Cr-Co; Ti) che non (UHMWPE), con un sottile filmdi sostanze proteiche (Fibronectina, Laminina,Collagene, Proteina S). Alcune hanno caratteristi-che recettoriali per alcuni germi (stafilococcoaureo, epidermidis) che possono così aderireall’impianto.Tale fenomeno, assai precoce, incompetizione con la colonizzazione di superficieda parte dei fibroblasti, è ancora reversibile.Alcuni batteri (Stafilococchi coagulasi negativi,epidermidis, haemoliticus, Enterobacteriacee,Pseudomonas ecc.) sono in grado di produrredegli esopolisaccaridi – glicocalice, slime o ESS,extracellular slime substance – tra le cellule e nelmezzo circostante. A tal punto il processo divieneirreversibile, con l’invasione dell’osso ospite.Esistono dei fattori di rischio legati al paziente,che possiamo distinguere in locali e generali.Tra i fattori locali: presenza di focolai settici a varialocalizzazione, vasculopatie periferiche, pregressiinterventi chirurgici nella stessa sede (reinterven-ti di lunga durata, possibili infezioni misconosciu-te). Tra i fattori generali: obesità/malnutrizione,diabete, A.R. che comporta un raddoppio delrischio, lupus. Psoriasi, anemie, alcolismo, tabagi-smo, neoplasie, immunodeficienze (primitive osecondarie).Per quanto riguarda la profilassi: distinguiamo unaprofilassi pre-operatoria, antibiotica peri-operato-ria, intra-operatoria ambientale e comportamenta-le, intra-operatoria chirurgica, post-operatoria eprofilassi dell’infezione ematogena tardiva.La profilassi pre-operatoria consiste nella indivi-duazione e quando possibile, correzione dei fatto-ri di rischio appena elencati. La profilassi antibio-tica perioperatoria ha lo scopo è di evitare unacontaminazione esogena durante l’intervento enell’immediato postoperatorio.Profilassi. intraoperatoria ambientale e comporta-mentale. E’ ovvia l’importanza di una sterilitàambientale quindi è necessario disporre di saleoperatorie con flussi laminari o U.V..Per quanto riguarda la profilassi comportamenta-le, si deve ridurre al minimo il numero e la movi-mentazione del personale presente in sala, la tri-cotomia deve essere eseguita subito prima del-l’intervento per evitare la contaminazione batteri-ca delle microlesioni da rasoio, deve essere ese-guita una ampia detersione cutanea con deter-genti prima e disinfettanti chirurgici, seguita dauna attenta demarcazione del campo operatorio.E’ consigliabile l’uso di sistemi di estrazione cor-porea.Profilassi intraoperatoria chirurgica - contenimen-to dei tempi chirurgici, lavaggi intraoperatori fre-

quenti (pulsati) per diluire e asportare eventualicontaminanti.Esecuzione di prelievi intraoperatori per esamecolturale: all’incisione, all’impianto della protesi,alla sutura – positivi 2 su 3. Particolarmenteimportante l’esecuzione di prelievi durante larevisione anche per mobilizzazione asettica chepuò celare una infezione. La presenza di più di 5PMN per campo in 5 campi diversi è segno diinfezione.Importante nel caso di revisione sul ginocchio èl’esecuzione di un accesso chirurgico che tengaconto della cicatrice chirurgica preesistente. Intale fase si può infatti interrompere un circoloarterioso già reso deficitario nel precedente inter-vento con sofferenza e deiescenza della ferita,riconosciute come importanti cause di infezione.Consigliabile inoltre un uso delicato dei divaricato-ri, l’applicazione di 2 drenaggi in aspirazione euna sutura “ermetica”.Profilassi post-operatoria: attenta gestione deidrenaggi e delle medicazioni nei primi giorni.Controllo e gestione di secrezione e di ematomi.Trattamento tempestivo di problemi della ferita.Profilassi dell’infezione ematogena tarda. E’necessario istruire il paziente alla necessità di unaprofilassi ogni volta che si manifesti una proble-matica settica locale o generalizzata.Per quanto concerne la diagnosi, si distingue inclinica, di laboratorio, strumentale.Diagnosi clinica: dolore anche a riposo, dalmomento dell’intervento; compromissione dellecondizioni generali. Ipertermia, frequente ma noncostante. Secrezione dalla ferita – ematica, siero-ematica, sierosa, purulenta. Eventuali inequivoca-bili tramiti fistolosi.Diagnosi di laboratorio: si articola sulla valutazio-ne di parametri quali la VES, la PCR e altri para-metri infiammatori quali le mucoproteine, le ·2globuline, l’interleukina-6.Tra questi la PCR è più indicativa: si manifesta unpicco in seconda giornata (26.02 md/dl) e poi sinormalizza. Valori costantemente in crescita dopoil terzo giorno o nuovo aumento in 1° o 2° setti-mana, possono essere indicativi di infezione. Le ·2globuline sono ugualmente un marker di flogosi,indicativo un loro picco in elettroforesi delle siero-proteine e valori al di sopra di 0.8 g/dl.La concentrazione di interleukina-6 nel siero,ancora poco diffusa, vede un picco 6 ore dopol’intervento al massimo livello (399 ± 54 mg/l),con una emivita di 15 ore e rapidi ritorno allanormalità.Diagnosi strumentale: Rx: l’esame radiograficonon è molto indicativo, evidenzia aspetti visibili sianelle mobilizzazioni asettiche che nelle infezioni.Ecografia: scarsamente utilizzata.Scintigrafia ossea trifasica,: utile nei casi sospet-ti; si deve valutare la fase 1 (di arrivo – vascolare)e 2 (blood pool) che sono esaltate in caso di ipe-remia locale. La fase statica 3 a circa 2h dallasomministrazione del radiofarmaco, valuta invecel’attività osteoblastica.Tale esame che assume tuttavia significato adistanza di alcuni mesi dall’intervanto, se positivoe in caso di sospetta infezione, deve essere com-pletato con l’esecuzione di una scintigrafia conleucociti marcati, con l’uso di markers specificiquali l’Indio 111 e i nanocolloidi marcati conTecnezio 99. Tale esame raggiunge una attendibi-lità diagnostica dell’83%.

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Artroprotesi totali di ginocchio a pivot mediale

[Rodia F., Ventura A., Lillo M.]II DivisioneOrtopedica Ospedale C.T.O.- A.

Alesini RomaDirettore: Prof. Paolo Palombi

L’impianto di protesi di ginocchio ha avuto negliultimi anni un aumento esponenziale: e questoperché tale chirurgia presenta una elevata per-centuale di successo (90% di sopravvivenzadegli impianti a 10-15 anni) e perché rappresen-ta il sistema più immediato per togliere la sinto-matologia dolorosa e ridare funzionalità ad unaarticolazione gravemente compromessa, quandotrattamenti conservativi o interventi chirurgicimeno impegnativi non hanno dato risultati signi-ficativi. Il ginocchio candidato all’intervento diprotesi presenta alterazioni di vario grado dellesue strutture: alterazioni della cartilagine cheinteressano una o più compartimenti ed in gene-re alquanto estese, vari gradi di insufficienza e/oretrazione dei legamenti intra ed extra articola-ri, alterazione angolari e/o rotazionali degli assiche l’intervento deve correggere. Questi e moltialtri elementi saranno da considerare nel decide-re quale tipo di impianto protesico propone:• Protesi monocompartimentali, totali a scivola-mento (con o senza conservazione del legamen-to crociato posteriore), a vincolo elevato; • Protesi con menischi fini o mobilli; • Protesizzazione o meno della rotula.Quando non ricorrono le condizioni limitate perl’utilizzo di una protesi monocompartimentali, lanostra scelta è ricaduta su protesi totali bicom-partimentali, in quanto non riteniamo mai oppor-tuno ricorrere alla protesizzazione della rotula.La scelta di utilizzo delle protesi totali a pivotmediale non può prescindere da alcune condi-zioni di carattere biomeccanico.Gli studi su cadavere e in vivo con evidenziazio-ne della cinematica visualizzata in scopia e conRMN, hanno dimostrato con precisione lasequenzialità della biomeccanica articolare dellaarticolarità del ginocchio sia del compartimentomediale che di quello laterale.Dalla interpretazione di tale meccanismo artico-lare, si evince la soluzione di un disegno protesi-co più vicino possibile a quello del ginocchioumano con il rispetto di tutti i movimenti cheavvengono nel comparto mediale e in quellolaterale.

Il concetto del “roll back asimmetrico” si realizzagrazie alle caratteristiche dei profili ossei condi-lari, alla contenzione che esercitano le strutturemeniscali, alla guida della escursione condilicacondizionata dai legamenti crociati e collaterali econtrollata dall’apparato muscolare. E’ ovvia lapartecipazione dei legamenti oltre che meccani-ca, ma anche e soprattutto propriocettiva..Nel compartimento mediale abbiamo una granparte del condilo che risulta avere raggio di cur-vatura costante, pertanto, tranne che negli ultimigradi della estensione, la fase di scivolamentodel condilo sull’emipiatto tibiale avviene con unatraslazione di pochi millimetri e solo da 0 a 5°dalla escursione estensoria. Non così nel com-partimento laterale dove la fase di rotolamentoavviene con uno spostamento di oltre un centi-metro. Ne consegue un angolo di rotazione tibia-le interna progressiva che accompagna la fles-sione del ginocchio da – 5° fino a 120° di fles-sione massima con un rotolamento condilare cheporta la superficie posteriore del condilo femora-le fino a restare in contatto con la porzione ter-minale posteriore dell’emipiatto tibialelaterale.Schematizzando quindi il movimentoarticolare, potremmo comparare lo scivolamentocondilare mediale simile a quello di una sferaben centrata in una sua concavità congruenteche non ne determina la traslazione.Viceversa la sfera nel comparto laterale compieuna traslazione antero-posteriore leggermentecurvilinea condizionando così il movimento dirotazione della tibia sul suo asse longitudinale.Alla luce di queste considerazioni, risulta eviden-te che il disegno di una protesi debba essererispettoso della normale biomeccanica articolarecon il profilo condilico caratterizzato da una por-zione di sfera a raggio costante e l’inserto tibia-le con profilo mediale a congruenza totale e pro-filo laterale con libertà di movimento tale da con-sentire una escursione che permette 15° di rota-zione alla tibia sul suo asse longitudinale.La superficie di contatto rimane ampia e costan-te permettendo così una minore sollecitazionepressoria e conseguente minore usura del polie-tilene. Il raggio costante evita gli stress lega-mentosi (come avviene invece nelle protesi adisegno “rettangolare”) con migliore mobilità eassenza di dolore anteriore.Nelle protesi a disegno “rettangolare” avremouna escursione in alto e basso che stressa ilegamenti alari, ma anche il L.C.P. che vede met-tersi in tensione o lassità a seconda dell’angolo

di flessione (distanza x-y). Noi preferiamo sacri-ficare il L.C.P. perché può condizionare una cine-matica “Costretta”, a tale fine il disegno protesi-co in questione consente una perfetta stabilitàposteriore anche in estensione.

LA ROTULADa molti anni si è dibattuto se protesizzare omeno la rotula. Infatti a fronte di risultati riferitiinizialmente migliori nei pazienti protesizzati,soprattutto per quanto riguarda il dolore anterio-re del ginocchio, vi era una percentuale signifi-cativa di revisione della protesi proprio per pro-blemi legati alla componente rotulea. I motivi deifallimenti erano legati all’utilizzo di vecchie com-ponenti proteiche oggi abbandonate, oppure aglistress che venivano esercitati sulla protesi rotu-lea in presenza di errori di posizionamento dellecomponenti( intrarotazione del femore). A vvoltequesti stress potevano determinare la fratturadella rotula stessa anche per la scarsa resisten-za dell’osso come nei casi di osteoporosi pro-nunciata o di artrite reumatoide.Ormai da oltre 10 anni ci siamo orientati verso lanon protesizazione della rotula, perché crediamoche il vero problema del dolore anteriore sia ilgioco articolare con tensionamento ciclico lega-mentoso dovuto agli stress determinati dallaeccentricità di molti sistemi protesici.Un disegno condilico corretto a raggio costantemette a riparo da tale problema. Il solo obiettivoè il centramento dell’apparato estensore ed unpreciso planning preoperatorio. Inoltre il perfe-zionamento della tecnica chirurgica soprattuttoper quanto concerne l’orientamento rotazionaledelle componente femorale e tibiale, ha portatoad un netto miglioramento dello scorrimentodella rotula nella gola femorale con una riduzio-ne dei casi in cui si è dovuto ricorrere al lateralrelease.

Il momento fondamentale ed imprescindibile, dalquale dipende il successo della diagnosi e delreintervanto è l’identificazione batterica.Si può eseguire il prelievo direttamente, in caso difistole, altrimenti si deve eseguire una artrocente-si. L’artrocentesi è un esame utile, attendibile(90%) e ripetibile in caso di esito negativo o di iso-lamento di germi insoliti. Fondamentale il ruolo dellaboratorio in caso di revisione in due tempi per lavalutazione dei prelievi eseguiti intraoperatoria-mente. Alcuni autori suggeriscono di eseguire unnuovo esame colturale prima di intraprendere ilreintervento, come esame predittivo sulla buonariuscita del reimpianto.Per ultima la classificazione, proposta da variautori: Segawa et Al. e ripresa da Hanssen, distin-gue 4 tipi di infezione con le conseguenti indica-zioni terapeutiche:Tipo I : colture intraoperatorie positive - 4/6 setti-mane di terapia antibiotica mirataTipo II: infezione postoperatoria precoce - ancorapossibile il salvataggio della protesi Tipo III: infezione cronica tardiva - necessaria larimozione della protesiTipo IV: Infezione ematogena acuta - possibile ilsalvataggio della protesi.Questa relazione, che doveva far parte di un con-fronto tra metodiche favorevoli ad un trattamento“one stage” e “two stages” dell’infezione di artro-protesi di ginocchio, è in realtà diventata comple-mentare alla relazione del Prof. Campi e del Dott.Ripanti in quanto entrambi i gruppi di studio sonofavorevoli ad una tecnica di revisione in due tempi.Gli Autori presentano quindi un caso clinico “limite”.Si tratta di una paziente alla quale era stataimpiantata in altra sede una protesi di ginocchiosuccessivamente infettatasi, che perveniva all’os-servazione degli autori dopo essere stata sottopo-sta ad intervento di espianto della protesi e appli-cazione di blocco spaziatore addizionato con anti-biotico(Fig.1). A distanza di alcuni mesi, pur per-manendo la scintigrafia con leucociti marcatipositiva per infezione ancora attiva (Fig.2) e ilparere dell’infettivologo negativo per un possibilereimpianto, gli autori hanno preso la decisione diintraprendere comunque l’impianto, dato anchel’oramai lungo intervallo di tempo dall’applicazio-ne dello spaziatore (Fig.3). La decisione, sicura-mente non facile da prendere si è dimostrata cor-retta: la paziente ad un anno dall’intervento nonha dolore, ha una ottima articolarità (Fig.3, 4), vi èuna totale assenza dei segni generali e locali diinfezione (Fig.5, 6).

L’osteotomia nel ginocchiovaro artrosico del

cinquantenne[M. Rosa, M. M. Marini]

U.O. Ortopedia e Traumatologia OspedaleBracciano (Roma) Asl Rm F

L’osteotomia di ginocchio correggendo la deformi-tà in varo, determina una ridistribuzione delleforze di carico sul compartimento laterale, ridu-cendo il sovraccarico sul compartimento mediale,con riduzione immediata del dolore.Nel tempo inoltre si aggiunge un recupero del tro-fismo cartilagineo (in misura proporzionale aldanno iniziale).Le indicazioni per l’osteotomia di ginocchio sonoetà <60 anni, particolarmente in pazienti con ele-vate richieste funzionali; una deformità in varo tra8° e 15°; un danno artrosico allo stadio iniziale(1°-2° di Dejour) senza lesioni subcondrali; un’ar-ticolarità residua del ginocchio di almeno 90°-100°, con una contrattura in flessione < 20°.Oltre alla scomparsa del dolore l’osteotomiadetermina un aumento dell’escursione articolare,riducendo l’instabilità e permettendo una prolun-gata autonomia di marcia, con una durata, secon-do la revisione delle casistiche in letteratura, di10-15 anni soprattutto negli allineamenti al disotto dei 16 gradi.Le principali complicazioni dell’intervento diosteotomia sono: la paralisi dello SPE, per dannoal momento dell’osteotomia di perone, ritardi diconsolidazione/pseudoartrosi, dovute in genere aduna sintesi non stabile e la recidiva del varismo,conseguenza per lo più di una correzione insuffi-ciente della deformità .In caso di successiva protesizzazione del ginoc-chio si può avere un aumento del tempo operato-rio, dovuto a difetti ossei o maleallineamentimeta-epifisari in sede di osteotomia, a rotulabassa, a retrazione cicatriziale dell’ LCP o allacicatrice chirurgica.Le tecniche di osteotomia sono varie: di addizione,di sottrazione, a cupola, stabilizzate con cambre,placche e trapianti o sostituti dell’osso, fissatoreesterno.Noi preferiamo una stabilizzazione con F.E. assia-le o circolare, (ricorrendo ad un’osteotomia diaddizione con placche di Puddu nei pazienti chenon accettano il fissatore), facendo precederel’osteotomia da un tempo artroscopico.

Nel varismo di ginocchio eseguiamo un’osteoto-mia sopratuberositaria, mentre se la deformità èpiù distale (varismo di tibia), ricorriamo adun’osteotomia sottotuberositaria, con una corre-zione immediata dei primi 8° di deformità, even-tualmente associata ad una traslazione lateraledella tibia per mantenere l’asse diafisario al cen-tro del piatto tibiale, utilizzando in questo casosempre un F.E. circolare di Ilizarov, che ci permet-te movimenti su tutti i piani con maggiore stabili-tà e correzioni micrometriche successive delladeformità oltre gli 8°.L’osteotomia sottotuberositaria non altera la ten-sione dei legamenti che tendono ad auto-asse-starsi col tempo e non produce quelle problemati-che a livello meta-epifisario che possono compli-care una successiva protesi.In conclusione, malgrado la sempre maggiorediffusione delle protesi monocompartimentali,l’osteotomia è da considerare ancora la metodi-ca attuale nel varismo di ginocchio nei pazienti aldi sotto dei 60 anni e con richieste funzionalielevate.La protesi monocompartimentale occupa un ruolointermedio tra l’OTA e la protesi totale, in paziential di sopra dei 60 anni e con minori richieste fun-zionali.In particolare l’osteotomia con F.E. ha il vantaggiodi una minima invasività chirurgica, un recuperofunzionale precoce, la possibilità di micro-aggiu-stamenti in corso di trattamento e non necessitaun ulteriore intervento per la rimozione del fissa-tore.Sono necessari però controlli del paziente piùravvicinati (meglio con un ambulatorio dedicato),tenendo in considerazione anche la tollerabilitàdell’apparato da parte del paziente.

Fig.1 Fig.2 Fig.3 Fig.4 Fig.5 Fig.6

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Trattamento degli esiti posttraumatici rotulei con protesi

monocompartimentali[M. Sardella, V. Chiatti, P. Cellocco]

Policlinico Città di Pomezia- Pomezia (RM)

L’artrosi femoro-rotulea (AFR) è responsabile digonalgia in un’alta percentuale di casi. In unostudio su 2000 soggetti affetti da gonalgia èstato possibile osservare la presenza di AFR in800 individui, in cui il 24% era rappresentato dadonne di età maggiore di 55 anni, mentre gliuomini di età superiore a 55 anni costituivanol’11% della casistica (McAlindon et al, AnnRheum Dis 1992). Il trattamento classico perl’AFR consiste nella patellectomia, che però pro-duce risultati eccellenti in meno del 50% deicasi (Ackroyd CE and Polyzoides AJ, JBJS-B1978).I sintomi di AFR consistono nella presenza didolore anteriore di ginocchio, che si acuisce nelsalire le scale; i segni collegati all’AFR sonorappresentati da ipotonotrofismo dei quadricipi-ti, versamento articolare e crepitio e irritabilitàdell’articolazione femoro-rotulea.Il trattamento dell’artrosi del compartimentoanteriore del ginocchio ha visto nell’ultimodecennio la comparsa di un nuovo, potentemezzo terapeutico: la protesi monocomparti-mentale femoro-rotulea (Patello-FemoralArthroplasty, PFA).Le indicazioni a questo tipo di chirurgia consi-stono classicamente in dolore anteriore diginocchio invalidante, correlazione tra segni esintomatologia e strutture menisco-legamentoseintatte. Più nello specifico, sembrano essereplausibili come indicazioni cliniche un blocco inflessione inferiore a 10°, una flessione libera emaggiore di 120°, la dimostrazione radiograficadi una grave AFR; deve essere inoltre conserva-ta l’articolazione femoro-tibiale; la chirurgia variservata ai casi in cui la terapia conservativanon abbia fornito risultati considerevoli. La scel-ta sul tipo di impianto dovrebbe avere un’ultimaconferma, tuttavia, al momento dell’intervento.I risultati degli studi più datati erano contraddit-tori e le prime esperienze non erano entusia-smanti. Tauro e coll (JBJS-B, 2001) riportavanoun’esperienza maturata su 76 impianti Lubinusin 59 pazienti, con follow-up medio di 7,5 anni.Le complicanze in totale arrivavano al 32% deicasi e consistevano essenzialmente in maltrac-king femoro-rotuleo con tilt laterale della rotula,sublussazione della rotula stessa e usura delpolietilene. Si era resa necessaria una revisionechirurgica in 21 ginocchia e il tasso di sopravvi-venza della PFA era del 65% a 8 anni, con pro-gressione del processo artrosico nel 9% deicasi. Gli autori concludevano riferendo di avercessato l’uso di tale impianto. Alle medesimeconclusioni arrivano Board et al (Acta OrthopTrauma Surg 2004), che hanno studiato unaserie di 17 pazienti operati con PFA Lubinus,seguiti per oltre 19 anni, rilevando risultati sod-disfacenti solo nel 53% dei casi, con oltre il35% di reinterventi per fallimento della PFA. Inquesto studio è stato possibile rilevare in un18% dei casi la presenza di click e sublussazio-ne rotulei, un altro 18% di pazienti con blocco inestensione, 1 caso di infezione (6%) e 2 casi di

progressione di artrosi (12%). A suggerire unmaggior rigore nella selezione dei pazienti sipongono Smith e coll (Knee, 2020), che tuttaviariferiscono su 45 ginocchia trattate con PFALubinus, con un 64% di risultati buoni-eccellen-ti e ben il 19% di revisioni. Come sempre acca-de in questi casi, probabilmente il design del-l’impianto si è rivelato errato nei suoi concettifondanti, pur lasciando spazio per altri modelliprotesici che, al contrario, hanno avuto maggiorfortuna nelle casistiche presenti in letteratura.Parvizi e coll (CORR, 2001) presentano uno stu-dio su 31 impianti, con una percentuale di rein-terventi limitata al 10%; Mertl e coll (Rev ChirOrthop Reparatrice App Mot, 1997) riferisconoun 82% di risultati buoni o eccellenti in 51 PFAimpiantate da almeno 4 anni.Hassaballa (Knee Sport Surg Trauma Arthrosc,2004) ha presentato un interessante studio su122 pazienti, trattati alternativamente con pro-tesi totale (TKA), monocondilica (UKA) o PFA,valutando la capacità di tali pazienti di inginoc-chiarsi a differenti gradi di inclinazione e dimo-strando le migliori performance dei pazienti trat-tati con PFA nell’inginocchiamento a 120°.Merchant (J Arthroplasty) ha rilevato risultatieccellenti o buoni nel 93% dei soggetti operaticon PFA, con un follow-up medio di 3,75 anni.Kojiman e coll (JBJS-B, 2003) e de Winter e coll(Acta Orthop Scand, 2001) riportano poi risulta-ti incoraggianti con l’utilizzo di protesi modelloRichards in pazienti studiati per almeno 17 e 11anni, rispettivamente.Per quanto concerne le corrette indicazioniall’utilizzo di questi mezzi protesici, riteniamofondamentali i lavori di DeCloedt e coll e diArgenson e coll. I primi (Acta Orthop Belg, 1999)affermano che le indicazioni migliori sono rap-presentate dall’artrosi femoro-rotulea conmalallineamento. Argenson (CORR, 1995) haeffettuato 183 impianti di PFA, di cui 79 singolie 104 in associazione a UKA. Delle 79 ginocchiaportatrici di impianti singoli (di cui 13 persi alfollow-up), 22 erano originariamente affette dadisplasie e lussazioni dell’articolazione femoro-rotulea, 20 da fratture di rotula e 24 da artrosiprimitive. Il tasso di revisione chirurgica nei tregruppi era rispettivamente del 9%, 5% e 29%.Argenson concludeva pertanto affermando che imigliori risultati si hanno nelle artrosi seconda-rie, quale che sia la causa primitiva. Questeconclusioni ben si accordano con quelle diDeCloedt, poiché la complicanza principale nellachirurgia della PFA è la progressione di artrosinegli altri compartimenti del ginocchio. Insostanza, un ginocchio che sia “portato” allosviluppo di artrosi per cause intrinseche (quindiin assenza di traumi pregressi o di malallinea-menti di sorta) meno si gioverà dell’impianto diPFA, mentre tale metodica risulterà più vantag-giosa nei casi in cui l’artrosi femoro-rotuleatrova ragion d’essere per cause localizzate.La nostra esperienza, fondata su concetti dibone sparing a tutto tondo e cioè sul tentativo dirisparmiare quanto più bone stock possibile,laddove ovviamente ne sussistano le premesseclinico-teoriche, riprende il concetto delle prote-si monocompartimentali di resurfacing, ossia dirimpiazzo mini-invasivo e mirato di aree di lesio-ne osteocondrale sintomatiche.Ci viene in aiuto un modello protesico recente-

mente introdotto (AVONTM, StrykerHowmedica), che si basa proprio su questi con-cetti. Nonostante le caratteristiche di protesi dirivestimento, questo modello presenta un’ampiasuperficie trocleare. Un altro aspetto assaiimportante si ritrova nella congruenza tra lecomponenti protesiche, che rimane valida intutto l’arco articolare. Tale congruenza consenteun ottimo tracking rotuleo in tutte le fasi dellaflesso-estensione, evitando quindi i problemi dimaltracking presenti nelle casistiche riportatesu altri modelli. Mediante incisione pararotuleamediale, si procede ad esposizione dello spazioarticolare femoro-rotuleo e femoro-tibiale, utileper la valutazione definitiva sulla scelta del tipodi impianto. Qualora si trovino le condizionifavorevoli per l’utilizzo di una PFA, si passeràsubito all’uso dello strumentario dedicato, che èsemplice e consente un primo taglio longitudi-nale, eseguito con guide intra ed extramidollari.Previo controllo della rotazione sul piano fronta-le, si procede al posizionamento dell’unicamascherina, che consente di effettuare i fori diancoraggio e di verificare i limiti dell’impiantodefinitivo, onde eliminare il corrispettivo quanti-tativo di tessuto cartilagineo.Per quanto riguarda la componente rotulea, lapreparazione segue in parte i tempi della nor-male protesi rotulea: sinoviectomia circonferen-ziale con individuazione dei margini rotulei eadeguato (ma non eccessivo!) release dellestrutture legamentose femoro-rotulee. Si passaquindi alla misurazione dello spessore totaledella rotula, che deve consentire di lasciaredopo l’osteotomia uno spessore minimo di 12-15 mm. La mascherina rotulea va quindi centra-lizzata sulla spongiosa della rotula e si eseguo-no i tre fori di ancoraggio. Si procede quindi alposizionamento delle componenti di prova, sag-giando il tracking rotuleo su tutto l’arco articola-re e si eseguono ulteriori release ove indicato. Sipassa infine alla cementazione delle componen-ti definitive.

ginocchio

ginocchio

Quando una protesi adalta flessione?

[Alfredo Schiavone Panni,Mario Tartarone, Alessandro Antonio

Patricola, Mimmo Gallo,Daniele Santaiti]

ISpeO – Istituto Specialistico OrtopedicoCasa di Cura “San Giuseppe” – Roma

L’artroprotesi di ginocchio rappresenta uno deimaggiori successi della chirurgia ortopedicagarantendo al paziente buoni risultati in terminidi riduzione del dolore e recupero della funzio-nalità in circa il 90% dei casi anche a 15-20anni dall’intervento. Negli ultimi anni è cambia-ta la tipologia del paziente che si sottopone atale tipo di intervento; se negli anni ’80 l’obiet-tivo dell’intervento di artroprotesi di ginocchioera quello di eliminare il dolore e la deformitàarticolare, negli ultimi anni vi è una richiestasempre crescente di un completo recupero dellafunzione articolare con pazienti sempre piùmotivati verso una ripresa all’esecuzione di atti-vità fisiche elevate, anche sportive. Le protesiattualmente in commercio consentono un’ampiaarticolarità del ginocchio con flessione massimadi 110-115 gradi; tale grado di flessione, suffi-ciente al paziente per lo svolgimento della mag-gior parte delle normali attività quotidiane, risul-ta, tuttavia, insufficiente per alcuni gruppi dipersone che per religione, hobbies, sport olavoro, necessitano di una flessione del ginoc-chio maggiore di 120 gradi. Se consideriamo,inoltre, momenti della vita quotidiana come ilgiardinaggio, l’accovacciamento o il sedersi erialzarsi da una sedia, ci si accorge che la fisio-logica flessione del ginocchio necessaria in talisituazioni risulta superiore a 130 gradi. Quindi,sebbene la protesi di ginocchio garantisca unottima ripresa funzionale, molti pazienti, spessorelativamente giovani e comunque ancora attivilamentano un certo grado di limitazione funzio-nale nello svolgimento di attività comuni al lorostile di vita. Per tale motivo in questi anni sonostati introdotti in commercio dei nuovi modelliprotesici che per il loro particolare disegnooffrono al paziente la possibilità di raggiungerepiù rapidamente e di mantenere elevati valori diflessione postoperatoria. Queste nuove protesi,definite ad “alta flessione”, sono attualmentepresenti in commercio con due diversi modelli:quello a conservazione del Legamento CrociatoPosteriore (CR) e quello postero-stabilizzato(PS). Per garantire ai massimi gradi di flessioneun maggiore contatto tra femore e polietilene, equindi anche una minore usura nel tempo del-l’inserto stesso, il sistema Scorpio flex (Stryker),oggetto di questo nostro studio, ha modificato,abbassandola, la geometria del profilo posterio-re dell’inserto in polietilene. La biomeccanicadel ginocchio ci ha insegnato che all’aumentaredella flessione del ginocchio si associa sempreun grado rilevante di rotazione del ginocchiostesso, e quindi abbiamo voluto testare le prote-si High-flex a piattaforma rotante. La piattafor-ma rotante ristabilisce la naturale rotazione delginocchio, migliora l’allineamento femoro-tibialeriducendo l’usura per la maggior superficie dicarico femoro-tibiale e può anche compensarein parte minimi errori chirurgici di allineamento.

Per valutare il reale incremento della flessionepostoperatoria della protesi ad “alta flessione”abbiamo eseguito uno studio comparativo edabbiamo, quindi, confrontato i risultati in termi-ni di articolarità e soddisfazione soggettiva indue gruppi di pazienti: il primo sottoposto aintervento di artroprotesi di ginocchio conimpianto Scorpio piatto fisso Stryker ed ilsecondo con impianto Scorpio High-flex a piat-taforma rotante Stryker. Per rendere omogeneoil confronto dei risultati in tutti i casi si è utiliz-zata una protesi PS. Tra il Gennaio 2004 ed ilGennaio 2006 abbiamo sottoposto 40 pazientiad intervento di artroprotesi di ginocchio divi-dendoli in maniera randomizzata in due gruppidi 20 pazienti: gruppo 1 con impianto ScorpioPS standard e gruppo 2 con impianto ScorpioPS flex mobile. L’età media dei pazienti era di72.2 anni nel gruppo 1 e di 73.3 anni nel grup-po 2; in tutti e due i gruppi vi era una prevalen-za del sesso femminile (77% nel gruppo 1 e 85% nel gruppo 2). La diagnosi preoperatoria intutti i casi è stata di artrosi ginocchio primaria ein tutti i casi abbiamo utilizzato un’incisionecutanea anteriore al ginocchio di circa 10 cm ela capsulotomia pararotulea mediale. In nessuncaso abbiamo eseguito la sostituzione protesicadella rotula ma ci siamo limitati alla rimozionedegli osteofiti e alla denervazione della stessa.In tutti casi abbiamo provveduto al bilanciamen-to capsulolegamentoso ed alla cementazionedelle componenti, tibiale e femorale e maiabbiamo avuto complicanze intraoperatorie.Tutti i pazienti appartenenti ai due gruppi dellostudio hanno svolto regolarmente il programmariabilitativo da noi adottato che prevede la mobi-lizzazione passiva continua ad incremento gra-duale per 6 ore al giorno dal primo e per i 30giorni successivi all’intervento, la chinesi tera-pia assistita dal fisioterapista dal 2° giorno, gliesercizi di potenziamento muscolare isometrico,la deambulazione assistita con canadesi e ilcarico a tolleranza per 10-14 giorni. Nessunacomplicanza neurovascolare o infettiva di rilievoè stata riscontrata al follow-up. Il follow-upmedio è stato di 14 mesi e la percentuale dipazienti persi al controllo finale è stato del 10%(2 pazienti per gruppo) in entrambi i gruppi. Atutti i pazienti abbiamo somministrato nel pre-operatorio, a 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dall’inter-vento il questionario IKSS e la scheda WOMAC;In occasione di ogni controllo clinico si è quindiprovveduto alla misurazione accurata con gonio-metro del grado di articolarità raggiunto e aregistrare la capacità di accovacciamento. Allavalutazione clinica finale non abbiamo osserva-to differenze in termini di estensione dell’artooperato tra i due gruppi di pazienti avendo que-sti raggiunto sin dall’immediato post-operatoriola completa estensione del ginocchio. Per quel-lo che concerne la flessione raggiunta nel post-operatorio abbiamo osservato nel primo gruppo(standard) valori medi di 112° rispetto a valoripreoperatori medi di 92°; i valori di flessionemedia postoperatoria nel secondo gruppo (flex-mobile) sono stati di 130° con valori preopera-tori medi di 94°. Alla valutazione mediantescheda Womac abbiamo osservato un importan-te miglioramento della condizione psico-fisica inentrambi i gruppi con valori assoluti, anche inquesto caso, migliori nel 2° gruppo rispetto al

primo. La scheda IKSS ha, invece, mostrato unpunteggio medio di 180 punti nel post-operato-rio del 1° gruppo (rispetto al valore medio preo-peratorio di 61) e di 192 nel 2° gruppo (valoripre-op 62). E’ stato interessante notare nelcorso dei controlli clinici a brevissimo terminecome il recupero funzionale globale, in terminidi articolarità e benessere soggettivo, è risulta-to più rapido e completo tra i pazienti del grup-po flex-mobile rispetto al gruppo standard. E’ormai ben noto come le protesi tradizionali nonsempre garantiscono elevati valori di flessione,sebbene siano in grado di offrire un ottimo recu-pero funzionale; alla base di questa evidenzasembra esservi il limite della geometria di taliprotesi che determina inoltre un ridotto contattotra il femore ed il polietilene ai massimi gradi diflessione. La validità del risultato è, tuttavia, for-temente influenzata da alcuni fattori generali elocali; fattori prognosticamente negativi sonol’obesità, i pregressi interventi chirurgici artico-lari e la scarsa adesione del paziente alle pre-scrizioni fisioterapiche. Al contrario, l’abitudineall’accovacciamento, tipico nella cultura giappo-nese o indiana, il grado di articolarità ed il livel-lo di attività preoperatoria rappresentano un fat-tore prognosticamente positivo per il pienorecupero della flessione postoperatoria. Alcunistudi hanno, inoltre, confrontato il grado di fles-sione post-operatorio del ginocchio in pazienticon protesi CR e PS giungendo alle conclusioniche le protesi con sacrificio del LCP offrono, diper se, un maggior grado di flessione; a ciò vaaggiunta la possibilità di associare ai modelliHigh-Flex postero-stabilizzati degli inserti inpolietilene mobili o piattaforme rotanti che per-mettono una rotazione del piatto alle flessionielevate. Il programma di riabilitazione, associatoad un controllo del dolore post-operatorio, svol-ge un ruolo di primaria importanza per il conse-guimento di un’ottima articolarità. Nel presentestudio abbiamo osservato, a parità di protocollomedico-riabilitativo, un recupero funzionale piùrapido e con minor dolore nel gruppo deipazienti trattati con protesi High-Flex anche inquei pazienti con ridotta articolarità preoperato-ria e che al follow-up finale non avevano rag-giunto la massima flessione potenziale garantitadall’High-Flex. Sulla base dei dati in nostro pos-sesso possiamo affermare che l’attenta selezio-ne del paziente, una scrupolosa tecnica chirur-gica, il disegno e le dimensioni dell’impiantoassociate ad un corretto programma riabilitativosono elementi fondamentali per la riuscita nonsolo radiografica, ma soprattutto funzionale del-l’intervento di artroprotesi di ginocchio. La pro-tesi High-Flex ha consentito ai pazienti valori diarticolarità del ginocchio operato simili, se nonaddirittura uguali a quelli di ginocchia normali el’estrema modularità e la facilità di impianto larendono la soluzione d’elezione nei casi digonartrosi in pazienti relativamente giovani, atti-vi e con forti aspirazioni sociali con, magari, latentazione di tornare a praticare sport. Un con-cetto che vale la pena ribadire è che le protesicon disegno “High-Flex” non “danno” al pazien-te una flessione migliore ma offrono la possibi-lità che pazienti motivati possano raggiungerla.

Trattamento conservativo concemp della necrosi avascolare

della testa del femore.[R. Cadossi*, MD, L. Massari**,

MD, S. Setti*, MSc.]*Laboratorio di Biofisica Clinica, Igea srl,Via Parmenide 10/A, 41012 Carpi, Mo.**Dipartimento di Scienze Biomediche eTerapie Avanzate, Università di Ferrara,

Corso della Giovecca 203, 44100 Ferrara.

INTRODUZIONE: La necrosi avascolare della testa delfemore è lo stadio finale di un complesso processopatologico, che insorge a seguito di un deficit avasco-lare e che porta alla necrosi del tessuto osseo, all’ede-ma dell’osso subcondrale e quindi a un conseguentedanno cartilagineo. La sua naturale e progressiva evo-luzione, se lasciata a se stessa, porta, in molti pazien-ti, a un collasso della testa dell’anca, a una graveartrosi e quindi a un successivo intervento di protesiz-zazione. I Campi ElettroMagnetici Pulsati (CEMP) ven-gono utilizzati dal 1987 come metodo per prevenire oritardare la progressione del processo patologico1, inconsiderazione del loro effetto benefico sul processoosteogenetico2 e del loro effetto anabolico3 e condro-protettivo sulla cartilagine articolare4,5. Un ampio stu-dio comparativo fra i diversi trattamenti ortopedici(core decompression e stimolazione con CEMP), para-gonati con l’indicazione a non caricare, ha dimostratoche la stimolazione ottiene nel lungo periodo risultatimigliori6. Queste osservazioni sono state confermateda studi indipendenti6,7,8 e inoltre i CEMP si sonorivelati utili nel trattamento della necrosi in associazio-ne a innesti ossei9.MATERIALI E METODI: È stato eseguito uno studioretrospettivo su 66 pazienti affetti da necrosi avasco-lare della testa del femore. In 10 pazienti la patologiasi è presentata bilateralmente.Tutti i pazienti sono statisottoposti a trattamento conservativo con CEMP, con-sigliando un trattamento per 8 ore al giorno, per 5mesi di trattamento. L’eziopatologia della necrosi èrisultata primitiva nel 68% dei casi, mentre seconda-ria nel 32%. La stadiazione della malattia è stata effet-tuata tenendo conto della classificazione secondoFicat. Non sono stati inclusi pazienti allo stadio IV diFicat, poiché è stato considerato l’indicazione limiteper il trattamento con CEMP. Inoltre, controlli radiogra-fici e clinici sono stati eseguiti all’inizio del trattamen-to e ai successivi follow-up. Evitare l’intervento di pro-tesizzazione era l’obiettivo primario del trattamentocon CEMP, mentre quello secondario era limitare oarrestare la progressione della lesione secondo Ficat.Tuttavia, alcuni pazienti, sulla base dell’evidenza radio-grafica e delle peggiorate condizioni cliniche, sonostati sottoposti ad intervento di artroplastica.RISULTATI: 15 teste del femore hanno richiesto inter-vento di artroplastica, ma 12 di queste erano presen-ti in pazienti con stadio Ficat III. La necessità dell’inter-vento totale di artroplastica fu significativamente piùalto in pazienti con Ficat III sia rispetto a Ficat I(p<0.001) che rispetto a Ficat II (p<0.01). Sulla basedell’evidenza radiografica, è stata osservata un’evolu-zione delle malattia nel 26% delle teste del femore. Ildolore, presente in modo intenso in tutti i pazientiall’inizio del trattamento, è scomparso dopo 60 giornidi stimolazione nel 54% dei pazienti (n=35), mentre èrimasto, ma moderato, nel 26% (n=17).

CONCLUSIONI: I risultati dello studio confermano cheil trattamento della necrosi avascolare della testa delfemore con CEMP rappresenta una soluzione estre-mamente valida ed efficace, purché la selezione deipazienti sia attenta e curata. Gli stadi di Ficat I e II dellamalattia sono l’indicazione elettiva al trattamento. ICEMP sono in grado di preservare la testa femorale oritardare l’intervento chirurgico.Gli effetti dei CEMP si manifestano già a breve termi-ne, se si considera la capacità dello stimolo fisico diesercitare un forte effetto anabolico sulla cartilaginearticolare3. I CEMP proteggono l’articolazione daglieffetti catabolici delle citochine infiammatorie4 e rias-sorbono l’edema dell’osso subcondrale, patologia chedanneggia gravemente la cartilagine articolare10-12.Gli effetti dei CEMP, a lungo termine, si riassumononella capacità di promuovere una forte attività osteo-genetica nell’area necrotica e nel prevenire le fratturetrabecolari, con il conseguente collasso dell’osso sub-condrale. La terapia non invasiva è ben tollerata daipazienti, efficace e non preclude un’eventuale soluzio-ne chirurgica o conservativa. La terapia con CEMPdeve essere considerata trattamento di elezione neglistadi iniziali della necrosi avascolare ed eseguita sottodiretto controllo medico, per garantire l’efficace suc-cesso terapeutico.

Resurfacing dell’anca: quali le indicazioni?

[N. Russo - V. Galloppi]Istituto Chirurgico Ortopedico Traumatologico

Latina - Dir.: Prof. M. Pasquali Lasagni

Il trattamento chirurgico di pazienti giovani con patolo-gia dell’anca rappresenta un serio problema. La lungaattesa di vita e le attività collegate alla qualità di vitaportano ad un alta percentuale di fallimenti a lungotermine dopo THR (Total Hip Replacement).La protesi totale di rivestimento appare una soluzioneaffascinante.Il concetto di Resurfacing dell’anca non è nuovo, ed èbasato su un notevole numero di tentativi e studi,(Pethersen e Groves coppe in metallo e vetro neglianni ‘20; Brothers protesi cefalica in materiale acrili-co negli anni ’40; protesi in accoppiamento metallometallo agli inizi degli anni ’50, o addirittura in tefloncome quella ideata da Wagner e Charnley), tutti fallitisulla lunga distanza.Negli ultimi anni presso l’Istituto Chirurgico OrtopedicoTraumatologico di Latina, dopo 35 anni di esperienzaprotesica e di riprotesizzazioni avendo apprezzato l’in-cremento percentuale di pazienti giovani con patologiadell’anca, l’allungamento dell’attesa di vita, e deglistandard qualitativi di vita, e considerando che la per-centuale di riprotesizzazioni dopo intervento diArtroprotesi totale dell’anca è pari al 25-30% a 15anni, nonché l’avvento di nuove tecnologie, abbiamoripreso il discorso resurfacing dell’anca.Abbiamo adottato la protesi di rivestimento “DePuyASR” una protesi di rivestimento che offre un accop-piamento Metal on Metal di 4a generazione, evoluzio-ne di precedenti esperienze scientifiche compresequelle accennate.La tecnica presenta notevoli vantaggi: conservazioneossea massimizzata, rimozione minima dalla testa econservazione del bone stok acetabolare (in previsio-ne di un possibile reintervento), via d’accesso poco

invasiva con rispetto dell’anatomia e ripristino dellafunzionalità, nessuna Osteotomia Trocanterica, bassorischio di Stress-Shielding nel femore prossimale,geometria interna conica che crea stabilità dell’im-pianto, minore perdita ematicaL’indicazione a questa tecnica è data dopo accurataselezione del paziente con studio morfologico del-l’estremità prossimale del femore (Rx, TC, MOC). Sirivolge a pazienti con età inferiore a 65 anni, con mar-cati dolori articolari e menomazioni secondarie allestrutture danneggiate dell’articolazione dell’anca cau-sate da: Artriti Reumatoidi, Osteoartriti, Artriti post-Traumatiche, Disturbi Cartilaginei, Necrosi nonVascolari.Controindicazioni alla metodica sono infezioni attive orecenti dell’articolazione, elevato peso corporeo (BMI>30), cisti nella testa femorale > 1 cm, bassa densi-tà minerale dell’osso, significative alterazioni morfolo-giche o biomeccaniche, collo corto < 2 cm, necrosi,patologie sistemiche ( insuff.renale).Considerando il troppo basso follow-up, la scarsaconoscenza non teorica della durata dell’impianto edati significativi sull’accoppiamento Metallo Metallo, etenendo conto di una maggiore percentuale di compli-cazioni rispetto all’artroplastica tradizionale (neuro-prassie nervo sciatico e femorale, fratture del collofemorale, necrosi avascolare, dislocazione delle com-ponenti proteiche), la tecnica del Resurfacing dell’an-ca benché valida, rimane, almeno per ora, una solu-zione temporanea in attesa di un’eventuale THR.

Sulla sicurezza delle testine e degli inserti ceramici

nelle artroprotesi di anca[C. Piconi, G. Magliocchetti-Lombi]

Università Cattolica, Dipartimento diOrtopedia e Traumatologia,L.go F.Vito 1, 00167 Roma.

Il disegno modulare delle moderne artroprotesi dianca consente al chirurgo ortopedico la selezionedella coppia di materiali del giunto articolare chemeglio si adatta alle caratteristiche del paziente e delsuo stile di vita. Tra le possibili opzioni, l’accoppiamen-to ceramica-ceramica ha dimostrato in oltre trentacin-que anni di impiego clinico di limitare al massimo ilvolume di detriti di usura liberati, e quindi risulta par-ticolarmente indicato per pazienti giovani ed attivi. Nelrealizzare tali accoppiamenti vanno però tenuti pre-senti le differenze nelle specifiche produttive che leaziende presenti sul mercato adottano nella fabbrica-zione dell’accoppiamento metallo-ceramica. Infatti, lasicurezza delle testine e degli inserti ceramici per leprotesi di anca dipende dalle caratteristiche intrinse-che del materiale , dal disegno del componente cera-mico e di quello metallico con cui si realizza l’accop-piamento. Inoltre, sia il piazzamento dei componentiche la loro manipolazione nel corso dell’interventorichiedono il rispetto di alcune regole di base.Nella presentazione vengono passati in rivista imiglioramenti apportati nel tempo alle ceramiche diallumina impiegate nella realizzazione di testine einserti, e richiamati gli aspetti nel disegno di tali com-ponenti rilevanti per la sicurezza. Vengono inoltrediscussi i più comuni errori tecnici che possono indur-re la frattura di inserti e testine, alla luce delle attualiLinee Guida.

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Evoluzione del trattamentodella instabilità

post traumatica di spalla[F. P. Ciampa, L. Guerra, M. Barbato]

L’ artrosi gleno omerale non è cosi comune comequella di ginocchio e di anca. Possiamo distinguereuna più rara artropatia primitiva da una più frequen-te conseguente a instabilità e post chirurgica. InoltreNeer, Craig e Fukuda hanno distinto una artrosigleno omerale con cuffia integra e una cosiddetta“artropatia da cuffia”.Il trattamento iniziale di una artropatia gleno omera-le è essenzialmente conservativo basato sulla som-ministrazione di FANS, FKT ed eventuali modifica-zioni dello stile di vita.Opzioni di trattamento dopo fallimento del tratta-mento conservativo:- protesizzazione;- artroscopia.Molti pazienti per il quadro anatomo patologico, perl’età o per il livello di attività, non presentano indica-zioni ad un intervento di protesi.Può 1’artroscopia e il debridment artroscopico tro-vare una indicazione precisa nel trattamento dellaartropatia gleno omerale?Sono pochi i lavori scientifici e con brevi fol low-upche affrontano il problema; tutti comunque concor-di nel ritenere il debridment artroscopico una validaopzione chirurgica.Molti studi riportano una significativa riduzione deldolore dopo debridment: il meccanismo comunquenon è chiaro.Alcuni autori hanno associato anche un debridmentdello spazio sotto acromiale con ulteriore migliora-mento della sintomatologia dolorosa e un recuperodel ROM; altri anche una associata resezione dellaclavicola.Trattamento artroscopico:- debndment della cartilagine GO;- debridment di lesioni del labbro;- sinoviectomia;- rimozione di corpi liberi;- rimozione di osteofiti;- trattamento della patologia del CLB.Controindicazioni:- severa artrosi;- anchilosi;- grossi osteofiti.Riteniamo che, in accordo con i dati della letteratu-ra, il trattamento artroscopico nella artropatia dellagleno omerale possa rappresentare un vali daopzione terapeutica ricordando comunque chel’obiettivo è mirato ad una riduzione del dolore emiglioramento della funzionalità.

Protesi inversa nel trattamento delle fratture

[V. De Cupis, C. Chillemi]

La osteoartrosi di spalla in associazione a lesionemassiva irreparabile della cuffia dei rotatori è unacondizione già riportata in letteratura e definita daNeer et al. (1983) come “cuff tear arthropathy”.Il trattamento di tale condizione rappresenta cer-

tamente una sfida terapeutica, tanto è vero chenumerosi sono i trattamenti proposti e riportati inletteratura. Tra questi, il quello fisioterapico emedico in combinazione con un trattamento infil-trativo con steroidi sembra non produrre partico-lari benefici, così come il debridement artroscopi-co (Jensen et al., 1999).Tra le proposte terapeutiche annoveriamo inoltrel’artrodesi gleno-omerale, procedura che presentauna alta percentuale di complicazioni (Cofield etal., 1979). Numerosi tipi di protesi di spalla, dallaendoprotesi omerale alla protesi bipolare e totalesono stati impiegati nel trattamento della cuff teararthropathy, purtroppo tutti presentando una altapercentuale di mobilizzazione della componenteglenoidea (Post et al., 1983; Franklin et al.,1988).Nel 1985, è stato disegnato da Grammont e coli.(1987) un modello di protesi inversa, caratterizza-ta da un centro di rotazione più basso e mediatiz-zato. Tale disegno consente un aumento del brac-cio di leva dei muscolo deltoide di circa il 30% euna buona coattazione delle componenti protesi-che.Lo scopo del presente studio è stato quello divalutare i risultati funzionali a medio termine deltrattamento della cuff tear arthropathy con la pro-tesi inversa di Grammont. Questo studio mette inluce il miglioramento funzionale dei pazienti affet-ti da cuff tear arthropathy trattati con la protesiinversa di Gramaont. In particolare, è stato note-vole il miglioramento, registrato con scheda diConstant, in ferimento al dolore, la mobilità, el’attività quotidiana ed in misura minore nellaforza. Nella nostra casistica, in tutti i casi è statoimpiegato l’accesso deltoideo-pettorale, che risul-ta differente da quello riportato nella tecnica ori-ginale da Grammont. L’accesso deltoideo-pettora-le risulta più anatomico rispetto all’accesso tran-sacromiale, che risulta frequentemente complica-to da una ritardata o mancata riparazione dell’os-so dopo osteotomia acromiale (Rittmeister etal.,2001)Sebbene i dati ottenuti siano incoraggianti pertutti i pazienti operati, ci preme sottolineare l’im-portanza di un segno radiologico (l’erosione osseanella porzione inferiore della scapola) che puòcomportare il fallimento dell’impianto protesico.Infatti, nell’ 87% dei pazienti abbiamo rilevatoall’esame radiografico la presenza di una incisuraglenoidea (glenoid notch). Tale incisura rappre-senta un tentativo di accomodamento della por-zione mediale dello stelo omerale al di sotto dellascapola quando l’arto si trova in posizione di ripo-so o in adduzione (Delloye et al., 2002).Tali dati sono incoraggianti in riferimento al ripri-stino della stabilità e della funzione soddisfacentein spalle con grave deficit di cuffia. Ovviamente,un perfetto equilibrio muscolare è essenziale peril successo di questo impianto.Il concetto di una protesi inversa è interessante, el’impianto rimane una delle migliori scelte neltrattamento della cuff-tear arthropathy. Tuttavia, lamobilizzazione della componente glenoidea rima-ne un aspetto importante. In conclusione, al finedi valutare la stabilità dell’impianto ed il manteni-mento nel tempo dei risultati ci sembra necessa-

rio un più lungo follow-up.

Rotture massive della cuffia dei rotatori:riparazione

funzionale o protesi inversa[E. Taverna]

La patologia degenerativa della spalla include unampio spettro di artropatie. Le omoartrosi concen-triche ed eccentriche, sono tra le più frequenti.Neer definì l’artrosi gleno-omerale concentrica oprimaria, una patologia con perdita di mobilità,riduzione dello spazio articolare e formazione diosteofiti sulla testa omerale senza rottura dellacuffia dei rotatori. L’omoartrosi eccentrica è perdefinizione associata ad una rottura massiva dellacuffia dei rotatori, con ascensione della testaomerale, che negli stadi più avanzati di artropatiadella cuffia, porta ad una “acetabolizzazione” del-l’acromion. La valutazione clinica delle patologiedegenerative della spalla segue un criterio di valu-tazione ortopedica standard. Anamnesticamente ildolore è quasi sempre il disturbo maggiore. Glialtri sintomi presenti sono la riduzione della mobi-lità e la presenza di crepitii. In caso di omoartrosieccentrica è presente inoltre una evidente altera-zione della motilità. I segni radiologici caratteristi-ci comprendono un restringimento dello spazioarticolare, sclerosi e cavità geodiche nell’ossosubcondrale e formazioni di osteofiti, classicol’osteofita a goccia della testa omerale nell’omo-artrosi concentrica. Il trattamento di queste pato-logie dipende da molteplici fattori, quali: l’età delpaziente, l’eziologia dell’affezione, l’esame clinicoed il quadro radiologico dell’articolazione. Il ruolodell’artroscopia in queste patologie non è ancorastato ben definito. In questo lavoro abbiamo retro-spettivamente valutato le indicazioni ed i risultatidel trattamento artroscopico di 47 spalle affetteda patologia degenerativa della gleno-omerale.operate nel periodo 1994 -2004.La omoartrosi primaria fase iniziale è una patolo-gia difficile da diagnosticare, e spesso coesistentipatologie gleno-omerali possono rendere il qua-dro clinico di ancora più difficile interpretazione. Inquesti casi l’esame diagnostico artroscopico pre-senta chiare indicazioni cliniche. Meno chiaro è ilvalore terapeutico che le diverse procedure chi-rurgiche artroscopiche ci possono offrire nellepatologie degenerative della gleno-omerale. I1nostro lavoro conferma alcuni dati della letteratu-ra, e cioè che i risultati a breve e medio ter minesono incoraggianti, sulla riduzione deI dolore e sulmiglioramento funzionale dell’articolazione qualo-ra non vengano inclusi pazienti con evidenti con-troindicazioni al trattamento artroscopico. I risul-tati peggiorano sicuramente con il passare deltempo, è però interessante notare come un nume-ro significativo di pazienti possa ritardare e forseevitare un intervento di artroplastica alla spalla. Laomoartrosi primaria in fase iniziale è una patolo-gia difficile da diagnosticare, e spesso coesistentipatologie gleno-omerali possono rendere il qua-dro clinico di ancora più difficile interpretazione. Inquesti casi l’esame diagnostico artroscopico pre-senta chiare indicazioni cliniche. Meno chiaro è ilvalore terapeutico che le diverse procedure chi-rurgiche artroscopiche ci possono offrire nelle

spalla

spalla

Q

patologie degenerative della gleno-omerale.I1nostro lavoro conferma alcuni dati della letteratu-ra, e cioè che i risultati a breve e medio terminesono incoraggianti, sulla riduzione deI dolore e sulmiglioramento funzionale dell’articolazione qualo-ra non vengano inclusi pazienti con evidenti con-troindicazioni al trattamento artroscopico. I risul-tati peggiorano sicuramente con il passare deltempo, è però interessante notare come un nume-ro significativo di pazienti possa ritardare e forseevitare un intervento di artroplastica alla spalla.

La protesi di spalla nel trattamento dell’artrosi

[M. Randelli]

L’impianto di endoprotesi di spalla ha avuto negliultimi anni un importante spazio nel trattamentodella patologia artrosica della spalla oltre che inquella traumatica. Per tale motivo prenderemo inconsiderazione le indicazioni all’uso di questa tec-nica chirurgica, valutandone i risultati ed i limiti.Le indicazioni alla protesizzazione della spallasono le seguenti:• artrosi primaria;• artrosi secondaria a:

- fratture;- capsuloplastiche;- lesioni della cuffia dei rotatori.

• artrite reumatoide;• osteonecrosi dell’epifisi prossimale dell’omero;• displasia della glenoide.L’artrosi primaria dell’ articolazione gleno omerale,seppur non così frequente come quella dell’anca odel ginocchio, è molto comune e rappresenta l’in-dicazione più frequente per la sostituzione protesi-ca della spalla; secondo alcuni autori è la patolo-gia nella quale si ottengono i migliori risultati (Neer1982, Cofleld 1984, Barrett 1987, Levy 2001,Norris e Iannotti 2002, Mansat 2002). Da un puntodi vista clinico il paziente con artrosi della articola-zione gleno omerale presenta dolore ingravescen-te, che limita fortemente le attività quotidiane,spesso si sveglia durante il sonno e presenta unalimitazione funzionale che progredisce inesorabil-mente con il passare del tempo. La limitazionefunzionale è caratterizzata soprattutto dalla minoreelevazione ed extrarotazione della spalla.Da un punto di vista radiografico è possibile rileva-re il progressivo assottigliamento della rima artico-lare, con presenza di sclerosi ossea subcondrale;la formazione di osteofiti che si manifesta in mag-giore o minore misura in conseguenza della gravi-tà dell’impegno articolare, viene rilevata per lo piùa carico dell’epifisi omerale nella sua parte poste-ro inferiore, ed aumenta la superficie della testafino a due volte la sua superficie; la presenza di talivoluminosi osteofiti è responsabile della tensionedella capsula articolare con conseguente influenzasul dolore e può dar luogo in associazione adun’erosione del bordo glenoideo posteriore a feno-meni di instabilità della spalla, che al momentodell’impianto protesico andrà corretta chirurgica-mente. Gli esami strumentali infine dimostrerannola presenza di formazioni cistiche sia della testaomerale che della glenoide. (Fig. 1)Dal punto di vista anatomico un elevato numero dispalle affette da artrosi primaria (circa il 95%secondo Norris e Iannotti 2002) ha una cuffia inte-gra il che favorisce un ottimo risultato funzionale.

Resurfacing protesico mininvasiva della spalla

[R. Hertel]

L’indicazione all’impianto di artroplastica per l’ar-ticolazione scapolo omerale è ormai molto diffusa.Le cause più importanti che necessitano di taleintervento sono sicuramente le fratture a piùframmenti della epifisi prossimale dell’omerodestinate alla non consolidazione, l’artrosi prima-ria e secondaria, la necrosi idiopatica e seconda-ria della testa omerale. Per cui l’indicazioneaumentata all’intervento protesico sostitutivo,determina la necessità di un tipo di approcciomininvasivo per ridurre alcuni parametri intraope-ratori quale il sanguinamento ed i tempi di espo-sizione chirurgica. La via chirurgica utilizzata pertali scopi è quella anteriore leggermente lateraliz-zata verso il deltoide. Inoltre le recenti ricerchebiomeccaniche hanno evidenziato la possibilità diutilizzare un impianto protesico quanto più con-servativo nei riguardi del III prossimale di omerolimitatamente dei casi di interessamento artrosicoe osteonecrotico.L’autore illustra la sua recente casistica clinicautilizzando delle protesi di tipo conservativo attra-verso la via chirurgica di tipo mininvasivo.

Gli insuccessi nella protesi di spalla

[F.Postacchini]

L’incremento delle patologie degenerative oltreche quelle traumatiche interessanti l’articolazionescapolo omerale, ha determinato un crescenteincremento delle indicazioni all’impianto delleartroprotesi sostitutive delle articolazione scapoloomerale. Le indicazioni più comuni alla protesizza-zione della spalla sono le seguenti : artrosi prima-ria, artrosi secondaria a fratture , capsulo plasti-che e lesione della cuffia dei rotatori, artrite reu-matoide osteonecrosi epifisi omerale, displasiadella glenoide. Debbono essere considerati limitiassoluti all’impianto protesico della spalla nellepatologie fin qui trattate le infezioni in fase attiva,deficit neurologici importanti del deltoide e dellacuffia dei rotatori, spalla neurologica e inoltregrave mancanza di cooperazione da parte delpaziente. Gravi deficienze ossee potrebbero farpensare ad una limitazione all’impianto, ma lapossibilità di un innesto osseo, permette di risol-vere il problema.

Trattamento percutaneo e mininvasivo della patologia

degenerativa articolare della spalla

[F. Priano, E. Abello, S. Grilli]

Come è noto il sottoscapolare ha la funzione dirinforzo del complesso capsulo-legamentosoanteriore, è adduttore e rotatore interno dell’artosuperiore, concorre con il tendine del sopraspina-to del complesso della cuffia dei rotatori a centra-re la testa omerale nella glena. La patologia chetale struttura presenta è traumatica o microtrau-

matica, rappresentata da rottura della stoffa ten-dinea: più spesso è coinvolta la porzione superio-re del tendine mentre i distacchi totali sono rari: lelesioni parziali, più frequenti, si presentano inassociazione con lesioni dei tendini del sopraspi-noso e/o sottospinoso. Gli AA. presentano unarevisione dei primi casi della sutura del tendinedel sottoscapolare, effettuata con trattamentoartroscopico in corso di riparazione di altre lesioniintrarticolari della gleno-omerale o della cuffia deirotatori. L’esame clinico si avvale prevalentemen-te di una valutazione anamnestica con segni dilesioni associate: abbiamo constato che belly-press test di Gerber ed il lift-off appaiono pocopredittivi a paragone del test di Napoleonedescritto da Imhoff. Esso appare più affidabilesegue la graduazione proposta da Burkhart in trelivelli. L’esame radiografico si avvale prevalente-mente della RMN, pur rivestendo un ruolo di scar-sa accuratezza nella immagine (Burkhart, AAOS2001:79% accuratezza) perché necessarie imma-gini dedicate come proiezioni (assiali e sagittali),come pesature (T2), come tecnica (contrasto)Paulos (AAOS 2002) riporta il 70% di diagnosierrate. Gli AA. presentano una casistica di 15pazienti operati tra settembre 2000 e gennaio2003 su 52 casi operati per lesione di cuffia deirotatori, tutti con lesioni associate di sopra-spina-to (100%:7/7), sotto-spinato (28,5%:2/7), c.1.b.minore del 50% (42,8%:3/7), c.l.b. maggiore del50% (28,5%:2/7). Tutti i pazienti sono stati sotto-posti a valutazione clinica e con scheda UCLA,tutti valutati con RMN pre-operatoria (positività del42,8%, 3/7). La tecnica chirurgica artroscopica èquella proposta da Burkhart nel suo lavoro(Arthroscopy, n.5, vol.18, pp. 454 - 463) con treportali dedicati e ancoraggio mediante sistema difissazione metallica, per i primi sei casi, e biorias-sorbibile per i restanti entrambi con suture pre-montate Tutti i pazienti sono stati sottoposti adintervento dopo una media di 16 mesi dall’even-to. Il trattamento artroscopico prevede l’aperturadi un portale accessorio antero-esterno per l’infis-sione dell’ancora, la cui posizione viene scelta conun ago esploratore e prevede l’utilizzo di un filo ditrascinamento o di una pinza idonea per il pas-saggio delle suture premontate nella stoffa tendi-nea. Al termine viene sempre effettuata una valu-tazione della tenuta passiva della sutura ed unavalutazione dinamica del risultato ottenuto. Ipazienti sono stati valutati con scheda UCLA, checi permette di avere una buona accuratezza nellavalutazione della riparazione della lesione: lascheda ha un massimo di 35 punti, ed i pazientipartendo da una media di 13,2 punti si sono col-locati nel postoperatorio a 29,7 punti. La flessio-ne anteriore della spalla è passata in media da unvalore di 85° ad uno postoperatorio di 135°; lapositività al segno di Napoleone, che nel pre-ope-ratorio era pari al 100% (7/7), si è collocata nelpost-operatorio al 14% (1/7); il recupero del lift-off è stato pari al 85,7%. Pur presentando unavalutazione clinica di buona e sufficiente accura-tezza, tali lesioni sono di difficile valutazione stru-mentale con RMN che appare non rilevabile epoco attendibile. La metodica artroscopica per lariparazione delle rotture del sottoscapolare, appa-re non invasiva, è valida alternativa al semplicescollamento con mobilizzazione del moncone,permette un trattamento “one step” senza tempichirurgici aperti, ma la tecnica riserva un appren-

spalla

Ldimento e una manualità chirurgo dipendente eprevede sistemi di fissazione con suture premon-tate a bassa frizione. Gli AA. hanno constatato cheanche in presenza di retrazione, lo scollamentoche si effettua appare adeguato e sufficiente pereffettuarne la sutura, mentre anche in presenza discarsa qualità tissutale (degenerazione grassa)l’effetto tenodesi che viene ottenuto è sufficiente-mente valido per un recupero della funzione. Inconclusione la riparazione artroscopica del tendi-ne del sottoscapolare offre buoni risultati circa nel90% dei casi, il test di Napoleone appare utilenella diagnosi e nel predire l’entità della lesione,la riparazione artroscopica delle lesioni intrartico-lari associate (sopra e sottospinoso, c.l.b., àncorabicipitale, cercine glenoideo) permette effettidurevoli di stabilizzazione della testa nella glena(effetto anti-migratorio craniale dell’omero), ilripristino delle forze di coppia sul piano trasversa-le assicura un miglioramento funzionale significa-tivo.

Patologie degenerative croniche della spalla:

soluzioni artroscopiche[R.Minola]

Nell’ ultimo decennio si è sviluppato un notevoleinteresse per la chirurgia della spalla. La chirurgiadelle lesioni di cuffia ha avuto una lenta evoluzionedalla chirurgia aperta a quella totalmente artrosco-pica attraverso la fase intermedia della tecnicamista con “mini-open”. La riparazione artroscopicadella cuffia è sicuramente una tecnica chirurgicadifficile, con una lenta curva di apprendimento, maattualmente rappresenta il trattamento ideale di talilesioni. Dal 1997 abbiamo riparato le cuffie deirotatori con tecnica totalmente artroscopica, senzaeffettuare mini-open, per evitare qualunque viola-zione del muscolo deltoide. Questo nostro lavoro sipropone di valutare l’evoluzione del quadro cliniconel tempo dei pazienti operati in artroscopia per lariparazione delle lesioni a tutto spessore della cuf-fia dei rotatori. Dal gennaio 1997 al dicembre2000, presso il nostro dipartimento, un singolooperatore ha riparato artroscopicamente una lesio-ne a tutto spessore della cuffia dei rotatori in 74spalle. I pazienti erano 69, di cui cinque bilaterali;vi erano 42 maschi (60,9%) e 27 femmine (39,1%)con un’età media all’intervento di 57 anni (range,35 - 76). In 45 casi (60,8%) la natura della lesioneera degenerativa, mentre in 29 casi (39.2%) è statopossibile riconoscere un’eziologia traumatica. In 62casi (83,7%) la spalla interessata era la destra ecoincideva con l’arto dominante. Tutti i pazientiavevano svolto un iniziale trattamento conservativoconsistente in terapia medica e FKT, senza signifi-cativo beneficio.La diagnosi era stata effettuata sulla base della cli-nica e coadiuvata da esami strumentali: radiografiein tutti i casi, ecografie in 28 casi (37,8%), artro-TCin 22 casi (29,7%), RM in 11 casi (14,8%).La riparazione è stata effettuata con diverse tecni-che a seconda della forma e dell’estensione dellalesione, in dettaglio sono state eseguite: 27(36,5%) suture secondo la tecnica della conver-genza dei margini (side-to-side) con un numero dipunti variabile da uno a quattro in 30 casi (40,5%)sono state effettuate reinserzioni al trochite omera-le con ancore per sutura variabili per tipo e nume-

ro in 5 casi (6,8%) sono state utilizzate strutturetransossee con tecnica T-FIX originale o modificata25); in 12 casi (16,2%) la riparazione è stata otte-nuta associando alla convergenza dei margini otte-nuta con suture side-to-side la reinserzione al tro-chite omerale con ancore In 18 casi (24,3%) eraassociata alla patologia di cuffia anche una lesioneparziale degenerativa del CLB: in 5 casi (6,8%) èstata effettuata una tenotomia con tenodesi mentre15 casi (20,3%) sono stati sottoposti alla semplicetenotomia in prossimità del tubercolo glenoideo In15 casi (20,3%) veniva riscontrata una lesione tipoSLAP. In 11 casi (14,9%) l’ancora bicipitale è statareinserita, con ancorette in nove casi (13,5) e consuture trans osse 31 in un caso (1,4%); un altrocaso (1,4%) è stato trattato mediante tenotomia delCLB ed i rimanenti tre (4%) con semplice debrid-ment. L’acromionplastica è stata eseguita in 61casi (93,8%).Il trattamento post-operatorio è stato condotto pertutti i pazienti come segue. L’arto operato è statoimmobilizzato per 5-6 settimane con reggi- bracciocon cuscino in abduzione. La mobilizzazione pas-siva in elevazione e in extrarotazione in posizionesupina è iniziata nei primi giorni post-operatori ed èproseguita per tutto il periodo di utilizzo del reggi-braccio. Alla rimozione del reggibraccio è statointensificato il recupero dell’articolarità passiva ediniziato un graduale utilizzo dell’arto per le comuniattività quotidiane non lavorative. Esercizi per ilcontrollo muscolare della scapola, esercizi proprio-cettivi e di tonificazione muscolare sono stati intra-presi dalla 6-8 settimana. La guida degli autoveico-li è stata permessa alla rimozione del reggibraccio.Le attività lavorative leggere sono state permessedopo il 3° mese.L’unica complicanza maggiore riportata è consisti-ta in un imponente edema della spalla esteso alviso, al collo e alla regione pettorale omolaterale,causata dal malfunzionamento della pompa artro-scopica e risoltasi dopo due giorni di terapia inten-siva.Sono stati rivalutati 60 pazienti, per complessive 65spalle con un drop-off rate del 12,2% ad un follow-up medio di 38 mesi (range, 24-75).Alla visita di controllo i pazienti sono stati sottopostiad esame clinico ed i risultati sono stati valutatisecondo le schede di Constant-Murley con rileva-mento della forza effettuato con dinamometro digi-tale e UCLA modificata Sono state inoltre raccoltevalutazioni VAS per registrare il giudizio soggettivosia del paziente che del chirurgo riguardo al risulta-to globale dell’intervento; la scala di valutazione èstata suddivisa in dieci punti, ove lo zero rappresen-tava una soddisfazione nulla ed il dieci la massimasoddisfazione possibile. I dati sono stati analizzatiper mezzo di statistiche descrittive, t-tests a cam-pioni indipendenti ed appaiati e regressione lineare,eseguiti per mezzo di apposito pacchetto software(SPSS 11.0.1, SPSS Inc., Chicago, Il, USA). Il livellodi significatività è stato posto a p<O,O5.

Indicazioni in chirurgia ricostruttiva nei tumori

della spalla[R.Capanna]

Gli autori descrivono un caso a localizzazione rara[1] [2] [3] di liposarcoma mixoide della spalla con

interessamento della scapola e della glenoide,studiato con RX tradizionale, TC e RM. Attraversoquesto iter diagnostico, si è confermata l’impor-tanza della RM che ci ha permesso di giungere aduna diagnosi quasi certa della patologia; infatti ireperti della radiologia tradizionale e, successiva-mente della TC, hanno dimostrato, come nelnostro caso, un limite diagnostico.

Le Osteonecrosi secondarie aOrif: valutazione dei risultati

con la protesi di spalla[G. Porcellini, F. Campi]

L’artroprotesi di spalla rimane un intervento di dif-ficile esecuzione e programmazione nonostante losviluppo incessante di nuovi e migliorati sistemi.Lo sviluppo dei moderni sistemi di terza e quartagenerazione di protesi di spalla e la loro modula-rità tridimensionale permettono al chirurgo diadattare l’inclinazione e l’offset postero mediale edi ricostruire il centro di rotazione anatomico. Lafissazione della glenoide è uno dei più complicatiaspetti dell’ artroprotesi totale di spalla sia per leindubbie difficoltà tecniche di esposizione dellaglenoide sia per la necessaria corretta valutazionedello stato funzionale della cuffia dei rotatori. Talestruttura se non perfetta mente bilanciata e fun-zionale può determinare la mobilizzazione dellacomponente glenoidea per il noto fenomeno del“rocking horse” che si verifica per un carico distri-buito eccentricamente sulla glenoide. I principalicriteri di scelta tra emi ed artroplastica sono basa-ti essenzialmente sui cambiamenti morfologicidella glenoide, sulle condizioni della cuffia deirotatori, sull’origine della patologia, età e livello diattività del paziente (Arman 2003). Nella nostraesperienza di oltre 600 impianti, effettuati nell’ar-co di 12 anni, l’artroprotesi si è dimostrata piùaffidabile dell’emiartroplastica nel risolvere ildolore nei pazienti affetti da artrosi gleno-omera-le. La letteratura recente ci conferma tali dati(Gartsman 2002) accorpando anche l’esperienzadi Neer (1999) che circa 30 anni fa fu incentivatoa disegnare protesi glenoidee poiché alcunipazienti riferivano ancora dolore dopo l’impiantodi una emiartroplastica. Non esiste però un’unifor-mità di opinioni in tal senso come evidenziato daaltri dati non meno significativi (Jensen &Rockwood 1998) che indicano una preferenzaverso le emiartroplastiche, soprattutto nei pazien-ti più giovani con richieste funzionali elevate.Certamente la scelta di un impianto Emi può esse-re indicato in queste condizioni:— pazienti giovani affetti da artrosi con aspettative funzionali di alto livello;— artrosi in esiti di capsulorrafla (sbilanciamentodelle parti molli);— casi rari di artrosi con insufficienza della cuf-fia;— osteoartrosi lieve dopo necrosi della testa conglenoide intatta.Nelle osteoartrosi eccentriche posteriori, inveceoltre ad essere imperativo l’uso di una artroprotesi è necessaria una corretta valutazione dellaglenoide che potrebbe necessitare in alcuni casidell’utilizzo di un innesto osseo per colmare ildifetto glenoideo.

spalla

c

Trattamento delle frattureesposte del femore

[F. Laurenza, L. Magistro, A. Lispi]

L’aumento della infortunistica sportiva e del lavoro,oltre all’aumento esponenziale degli incidenti stra-dali hanno reso la traumatologia pratica comune intutti gli ospedali. Tra le lesioni fratturative quelleinteressanti il femore sono da considerarsi le piùcomuni e le più frequenti. Gli Autori prendono inconsiderazione la classificazione A.O. per quantoconcerne le fratture del femore e propongono lineeguida per quanto concerne il trattamento chirurgi-co delle fratture esposte. Tali fratture vengono trat-tate in relazione al tipo di frammentazione ossea, algrado di mortifacazione tissutale e al timing di arri-vo in sala operatoria. La maggior parte delle frattu-re sono state trattate mediante utilizzo di fissatoriesterni per permettere un’adeguata decontamina-zione dei tessuti ed una verifica dell’apparatovasculo-nervoso, in alcuni casi si è reso necessariol’intervento del chirurgo plastico per la ricostruzio-ne dell’apparato tegumentario. In altri casi si è pro-ceduto direttamente all’osteo sintesi della fratturamediante chiodo o placca laddove era possibile perla caratteristica della frattura e la ridotta esposizio-ne cutanea.

Osteosintesi a cielo chiusonelle fratture dello scafoide

[M. Rampoldi, A. M. Artale, D. Palombi, E. Pataia]

U.O.C. Chirurgia della mano, microchi-rurgia e reimpianto arti - C.T.O. diRoma ASL RMC - Direttore Prof. S.

Marsico

Le fratture dello scafoide trattate incruentamentenecessitano di lunghi periodi di immobilizzazione edesitano con una relativa frequenza - dal 10 al 40%- in pseudoartrosi. Dalle prime descrizioni diHerbert, la vite che porta il suo nome è divenutasempre più popolare nel trattamento delle fratture epseudoartrosi dello scafoide tanto da divenire unpresidio chirurgico pressoché irrinunciabile. In parti-colare nelle fratture recenti senza scomposizione lapossibilità di eseguire una sintesi stabile che eviti lanecessità di immobilizzare l’arto ha notevolmentemigliorato la prognosi.Peraltro, la complessità anatomica dello scafoideunitamente alla difficoltà tecnica di applicazionedella vite fanno si che una corretta osteosintesi siatecnicamente non semplice e richieda una discretaesperienza e familiarità con la metodica. La recenteintroduzione di viti cannulate ha in parte ridotto taliproblematiche rendendo la tecnica più semplice edaccessibile e permettendo l’applicazione della vitesenza esposizione del focolaio di frattura.In questo studio vengono riportati i risultati ottenutisu una serie di 48 pazienti - 34 uomini e 14 donne- affetti da frattura del corpo dello scafoide trattatimediante osteosintesi a cielo chiuso con vite diHerbert cannulata. Sono stati presi in considerazio-ne i seguenti parametri: tempo chirurgico, consoli-dazione della frattura, corretta o meno applicazione

della vite, eventuali complicazioni occorse. Il tempochirurgico medio è stato di 35 minuti con limiti fra16 e 65. Tutte le fratture sono consolidate; in duecasi è stato necessario eseguire una riduzione acielo aperto della frattura. La vite era posizionata inmaniera corretta nel 75% dei casi; nei restantierano presenti errori di lunghezza o posizionamentodella vite che peraltro non hanno influito sulla con-solidazione. In tre casi è stato necessario rimuoverela vite per un eccesso di lunghezza.

Fratture del pilone tibiale.Nostre scelte terapeutiche[C. Di Croce, A. Zeri, F.Lombardo,

A. Giuliante]U.O.C. Ortopedia Ospedale G.B.Grassi

Ostia Lido – RomaDirettore Dr. C. Di Croce

Lo studio svolto ha analizzato la complessità e gliscarsi risultati del trattamento delle fratture delpilone tibiale con o senza interessamento dellacomponente articolare per ricercare delle lineeguida nel trattamento ed ottimizzare i mezzi chi-rurgici a nostra disposizione.Molti autori valutano gli scarsi risultati del tratta-mento chirurgico rispetto a quello conservativo,ancora oggi attuale, il timing per l’intervento e lenecessarie precauzioni. Nello studio abbiamo con-siderato pertanto le caratteristiche delle fratturee le complicanze (precoci e tardive) più frequentiin relazione al trauma, all’interessamento dei tes-suti molli periarticolari e della superficie articolaree valutare il tempo d’attesa adeguato prima del-l’intervento. Nell’analisi dei casi trattati negli ulti-mi 2 anni descriviamo la nostra scelta terapeuticacon differenti mezzi di sintesi, il follow-up a 6mesi e l’eventuale sviluppo di problematiche.Discussione: la adeguata classificazione dellafrattura, la valutazione del danno tissutale, l’atte-sa e la scelta di procrastinare l’intervento chirur-gico ed una precoce rieducazione sono momentiimportanti e necessari per la pianificazione opera-toria e per la ricerca del migliore risultato clinico.

Il sistema endovis BA: vantaggi del

sottodimensionamento nel trattamento delle

fratture laterali[V. Amorese]

L’autore riporta le modalità del trattamento chirur-gico di pazienti affetti da fratture laterali del femo-re semplice o complesse, pertrocanteriche, inter-trocanteriche e sottotrocanteriche, derivanti datraumi ad alta energia o a bassa energia, in sog-getti giovani o anziani osteoporotici viene sottoli-neato l’interesse per una metodica chirurgicamodicamente invasiva quale la fissazione internarealizzata utilizzando il chiodo endomidollareendovis e praticabile data la breve durata dell’in-tervento anche in emergenza. I risultati ottenutisono basati sull’analisi di 51 pazienti rivisti a

distanza di tempo e con follow-up di 24 mesivalutati mediante criteri radiologici e clinici.I vantaggi sono rappresentati dalla breve duratadell’intervento chirurgico, applicazione a cielochiuso, perdite ematiche contenute grazie al nonalesaggio, scarse alterazioni della mobilità e arti-colarità dell’anca e ginocchio, carico precoce, ria-bilitazione moderatamente rapida. L’uso di talemezzo di sintesi può modificare positivamente laprognosi quoad vitam e quoad functionem nellapatologia del femore prossimale, migliorare il lur-sing del paziente, prevenire complicanze legatealla durata di interventi più aggressivi, permettereuna più rapida riabilitazione di pazienti avvoltegravemente compromessi.

Traumi cervicali nell’età adolescenziale

[V. Denaro, N. Papapietro,A. Maritozzi]

Il rachide cervicale superiore (CO Ci C2) nell’etàevolutiva presenta caratteri peculiari. Ne vengonoevidenziate le differenze rispetto a quello del-l’adulto, dal punto di vista anatomico, clinico eradiografico. In particolare quest’ultimo permettedi riconoscerei limiti. talvolta sfumati tra quadri normali e pato-

logici. Vengono successivamente elencate inmaniera sintetica le forme patologiche con possi-bile interessamento del rachide COC1CZ in etàpediatrica, in particolare quelle congenite, leforme disimorfiche. traumatiche e reumatiche.Si conclude consigliando una attenta valutazioneradiografica nei pazienti affetti da queste patolo-gie, in occasione di traumi o in previsione di unaeventuale anestesia generale.

Fratture del bacino: quandola fissazione esterna?[Dott. Stefano Flamini, Dott.

Pierpaolo Mariani]U.O. di Ortopedia e Traumatologia ospe-

dale San Salvatore L'Aquila

Le fratture di bacino rappresentano nella stra-grande maggioranza dei casi una condizione d'ur-genza o emergenza nella chirurgia ortopedica.Sono conseguenza di traumi ad alta energia chepossono nascondere condizioni particolari asso-ciate (traumi cranici, traumi addominali) che sicu-ramente necessitano di un'accurato studio emonitoraggio del paziente.La fissazione esterna rappresenta una validametodica per il trattamento di questa patologia siaprovvisoria che definitiva.I limiti della stessa però sono abbastanza documen-tati in letteratura: stabilità meccanica, infezione deitramiti, complicanze nel posizionamento dellefiches.Possiamo tuttavia considerare la fissazione ester-na il trattamento di scelta nella chirurgia d'emer-genza, una valida metodica, in casi selezionati, neltrattamento definitivo con i limiti ben conosciutirispetto alla fissazione interna.

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