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Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione Rivista trimestrale • aprile 2006 n. 67, anno 21 ISSN 1720-9714 DOSSIER INCENERITORI ZANZARA TIGRE: UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA TRENT'ANNI DA SEVESO

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Società Nazionale degliOperatori della Prevenzione Rivista trimestrale • aprile 2006 n. 67, anno 21

ISSN 1720-9714

DOSSIER INCENERITORI

ZANZARA TIGRE: UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA

TRENT'ANNI DA SEVESO

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Vita da Snop . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

Editoriale

La zoonosi dei poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3Luciano Venturi e Raffaella Angelini

Confronti

Giovanni Berlinguer: «una politica europea per la salutedegli immigrati» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5Intervista di Paolo Gangemi

Nel nuovo Piano sanitario entra l’Evidence based prevention . . . . . . . 7Giuliano Tagliavento

Alta definizione

Contro la zanzara tigre, la lotta è integrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8Paola Angelini e Claudio Venturelli

Dossier inceneritori

Inceneritori, istruzioni per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12Paolo Lauriola

Rifiuti solidi, la parolad’ordine è minimizzare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14Fabrizia Capuano e Gianna Sallese

Le emissioni si abbattono con le nuove tecnologie . . . . . . . . . . . . . . . . . 17Giuseppe Viviano e Gaetano Settimo

Salute in cenere? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20Fabrizio Bianchi, Michela Franchini, Nunzia Linzalone

Vivere vicino agli inceneritori: le esperienze italiane . . . . . . . . . . . . . . . 25Andrea Ranzi

Il monitoraggio dell’ambiente: una valutazione continua del rischio . . 32Claudio Minoia

Quell’idea di rischio, che la ragione scientifica non conosce . . . . . . . . 35Stefano Beccastrini

Così parlò il comitato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37Roberto Romizi

Alta definizione

I danni da diossina: una tragedia lunga trent’anni . . . . . . . . . . . . . . . . . 40Paolo Gangemi

La storia è per la comunità ciò che la memoria è per l’individuo . . . . 41Alberto Baldasseroni

La parola a…

RLS: più ascolto, più collaborazione, più cultura della sicurezza . . . . 44Marco Bazzoni, Andrea Coppini, Mauro Marchi

Botta e risposta sull’Ebp

Dipartimenti di prevenzione e outcome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46Marco Petrella, Igino Fusco Moffa, Maria Donata Giamo

Il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47Alberto Baldasseroni

Autoriz. Tribunale di Milano n. 416 del 25/7/86Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA sped. in abbonamentopostale 70% DRCB Roma.L’editore Snop, titolare del trattamento ai sensi e per gli effettidel D.Lgs. 196/2003, dichiara che i dati personali degli abbona-ti non saranno oggetto di comunicazione o diffusione e ricordache gli interressati possono far valere i propri diritti ai sensi del-l’articolo 7 del suddetto decreto. Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Codice di deontologia relativo altrattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giorna-listica, si rende nota l’esistenza di una banca dati personali diuso redazionale presso Zadigroma, via Monte Cristallo 6. Responsabile trattamento dati: Angelo Todone.I dati necessari per l’invio della rivista sono trattati elettronica-mente e utilizzati dall’editore Snop per la spedizione della pre-sente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lettera C del DPR26/10/1972 n. 633 e successive modificazioni e integrazioni, non-ché ai sensi del DM 29/12/1989. Non si rilasciano quindi fatture (art. 1. c. 5 DM 29/12/1989).

Finito di stampare nel mese di maggio 2006

Rivista trimestrale della Società nazionale degli operatori della prevenzione

Editore: Snop • Società nazionale operatori della prevenzione • Via Prospero Finzi, 15 - 20126 Milanowww.snop.it

Numero 67 maggio 2006 • anno 21

In copertina: Il dono dell’immondiziafoto di Romeo Bassoli

Direttore responsabile: Claudio VenturelliDirettore: Alberto BaldasseroniDirettore editoriale: Eva Benelli

Comitato scientifico di redazione: Alberto Baldasseroni, Maria Elisa Damiani, Sara Franchi,Paolo Lauriola, Gianpiero Mancini, Luca Pietrantoni, Luigi Salizzato, Domenico Taddeo, Claudio Venturelli, Luciano Venturi

Redazione: Paolo Gangemi, Stefano Menna, Anna Maria Zaccheddu

Grafica e impaginazione: Corinna GuerciniCopertina: Bruno Antonini

Zadigroma, via Monte Cristallo, 6 - 00141 Roma tel. 068175644 e-mail: [email protected]

Stampa: Tipografia Graffiti srl - Pavona (Roma)

Abbonamento ordinario per 4 numeri: 30,00 euro abbonamento istituzioni per 4 numeri: 50,00 euro quota sociale annuale ordinaria: 50,00 euro quota sociale annuale sostenitore: 80,00 euro c/c postale n. 36886208 intestato a Snop,indicare causale del versamento e indirizzo Singolo numero: 10,00 euro

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Èil 31 luglio 2006 lascadenza fissata perla presentazione

delle candidature per laquarta edizione del PremioMartignani, promossodall’Aie (Associazione ita-liana di epidemiologia) esostenuto, tra le altre orga-nizzazioni e istituzioni,anche dalla Snop.Anche quest’anno si vuolecelebrare il contributo cheAlessandro Martignani hadato al settore della pre-

venzione nei luoghi di lavo-ro, premiando un progettodi cooperazione internazio-nale che si sia dimostratoefficace nel contrastare glieffetti negativi sulla salute.Nell’edizione del 2006, inparticolare, si vuole porrel’attenzione sulle attività dicollaborazione internazio-nale con Paesi in via di svi-luppo che sono state realiz-zate con il sostegno di entilocali e aziende sanitariepubbliche. È evidente il

fatto che progetti di questotipo servano anche a con-solidare e migliorare i ser-vizi sanitari del nostroPaese.Possono essere considerateadatte per la candidaturaalla gara quelle iniziativeche, cominciate dopo gen-naio 2000, saranno in faseavanzata o addirittura con-cluse per luglio 2006.I progetti che possiedono lecaratteristiche descritte dalbando possono essere mol-teplici. L’aspetto importan-te e requisito indispensabi-le è che questi programmicomprendano almeno unacomponente di assistenzasanitaria, di prevenzione odi promozione della salute.L’assegnazione del Premioè prevista per il prossimo

autunno a Bagnacavallo,durante una giornata distudio. La commissionegiudicante sarà compostada esperti segnalati siadalla segreteria del Premioche dall’Aie.È prevista, inoltre, la pub-blicazione di un catalogodelle schede raccolte all’in-terno della collana Dossierdell’Agenzia sanitariaregionale dell’EmiliaRomagna.Per quanto riguarda i crite-ri di valutazione, infine, sisottolinea l’importanza cheverrà attribuita ad aspettifondamentali come lariproducibilità dei progettie le ricadute sui servizipubblici. Per informazioni:[email protected]

PremioMartignanialla IV edizione

vita da Snop • numero 67

Vita da Snop

Il 2 novembre 2004, dopodue anni di cooperazio-ne tra Iss e Ifa

(Corporacion para elDesarrollo de laProducciòn y el MedioAmbiente Laboral) diQuito (Ecuador), è statosiglato un accordo di colla-borazione tra le due istitu-zioni. La Snop, in particola-re la sezione regionaleMarche, ha aderito al pro-getto di cooperazioneEcuador-Italia, soprattuttoper le prossime fasi di svi-

luppo. Fino ad oggi sonostate promosse iniziativecome l’organizzazione deiseminari internazionali“Processo di globalizzazio-ne, salute e sicurezza deilavoratori e dei cittadini” e“Globalizzazione e salute”del marzo 2005, l’edizionedi un testo sui metodi dideterminazione e valutazio-ne dei rischi occupazionalie ambientali a bassoimpatto tecnologico ed eco-nomico e, infine, il suppor-to alla Conferencia

Internacional svoltasi aQuito nel marzo 2006.Uno degli effetti della glo-balizzazione è di doveraffrontare i temi della sicu-rezza e della salute deilavoratori, da un lato inun’ottica internazionale,dall’altro dal punto di vistaspecifico delle situazionisociali. I programmi di coo-perazione internazionaledevono eliminare la subor-dinazione dei Paesi poveririspetto a quelli industria-lizzati. Fondamentale è lacollaborazione sui temi disicurezza e salute dei lavo-ratori. Tra gli obiettivifuturi del progetto ci sonola sensibilizzazione e la for-mazione dei soggetti inte-ressati, l’organizzazione dicampagne di igiene indu-striale e ambientale a

basso costo, lo sviluppo diuna produzione editorialetecnica e scientifica suirischi occupazionali eambientali e di archivi didati e flussi informativi.I partecipanti ai corsidovranno mostrare compe-tenze tecniche e linguisti-che di base. È previsto ilcoinvolgimento delle istitu-zioni ecuadoriane, dei sin-dacati, delle università edelle imprese locali.I “quattro assi” su cui siprevede che si svilupperà ilprogetto sono: la coltivazio-ne delle banane, la floricol-tura, le industrie manifat-turiere delle confezioni tes-sili e delle calzature nonchédegli assemblaggi elettrici,elettro-meccanici ed elettro-nici e, infine, il petrolio.

m.m.

Ecuador-Italia: un progetto di cooperazioneinternazionale

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L’influenza aviaria,già nota come“peste aviaria”, è

conosciuta da oltre unsecolo: Centanni eSavonuzzi ne dimostraronol’eziologia virale all’iniziodel Novecento. Una malat-tia, quindi, con cui ci sitrova a fare i conti dalungo tempo e che negliscorsi anni ha provocato, inLombardia e Veneto, perdi-te economiche per diversimilioni di capi morti oabbattuti.Nel settembre 2005, però,con l’accensione dei riflet-tori mediatici sui pericoliper la salute umana, iltimore che questa malattiadel pollame possa evolverein pandemia ha assuntoconnotazioni molto similial panico: un fenomeno didimensioni non commisu-rate al reale stato di evolu-zione dell’influenza aviariasu cui, per chiarezza diragionamento, vanno fissa-ti alcuni punti.L’influenza dell’uomo rap-presenta un importanteproblema di sanità pubbli-ca per il numero di soggettiche colpisce, per il signifi-cativo eccesso di ospedaliz-zazioni e di morti che deter-mina e, infine, per gli eleva-

antigeniche molto diverserispetto a quelli preceden-temente circolanti.I sottotipi H5 e H7 sonoparticolarmente pericolosiperché caratterizzati da unpotenziale pandemico, cioèdalla capacità di provocareepidemie capaci di esten-dersi a tutte le popolazionidel globo terrestre come letre del secolo scorso: laSpagnola del 1918-1919che ha causato dai 20 ai 40milioni di morti e, menocatastrofiche ma pur sem-pre gravate da un conside-revole bilancio di morte esofferenza, l’Asiatica del1957 e la Hong Kong del1968.L’ipotesi che il virus H5N1attualmente circolantepossa modificarsi dandoorigine a un nuovo virus ingrado di determinare unapandemia è un evento nonaffatto scontato, che permanifestarsi necessita cheil virus evolva in un per-corso innaturale e assaiostile e sia in grado dicompiere il “salto di spe-cie” dal pollame all’uomotrovando le condizioni peruna sua ricombinazioneantigenica.I casi umani fino ad oraverificatisi hanno riguarda-

ti costi economici e i disagisociali che caratterizzano ilperiodo epidemico.Il principale strumento percombattere l’influenza è lavaccinazione che è univer-salmente riconosciuta comeil mezzo più efficace e con-veniente per prevenire lamalattia e le sue compli-canze, oltre che per interve-nire concretamente sulladiffusione dell’infezione.I virus influenzali hanno laspiccata tendenza a modifi-carsi, cioè ad acquisirecambiamenti nelle proteinedi superficie che consento-no loro di aggirare la bar-riera di difesa dell’organi-smo umano rappresentatadalla immunità prodottadalle precedenti esposizionia virus influenzali.Fino a che questi cambia-menti sono di piccola entitàè possibile, mediante un’at-tenta sorveglianza mondia-le, monitorare la diffusionee il comportamento delvirus modificato e prepara-re i vaccini da proporrealle categorie di soggettimaggiormente a rischio. Èperò possibile che i virusdi tipo A subiscano muta-zioni di maggiore entitàdando origine a nuovi sot-totipi con caratteristiche

to persone che vivevano incondizioni di forte promi-scuità uomo-animale e bas-sissimo livello igienico.Non è mai stata dimostra-ta, inoltre, la trasmissioneinterumana del virus.Non esiste alcuna evidenzascientifica che l’uomopossa ammalarsi diinfluenza aviaria consu-mando carni o prodotti diorigine avicola lavorati epreparati secondo le nor-mali pratiche in uso neiPaesi economicamente svi-luppati.Ciò detto, vi sono motiviper definire l’influenzaaviaria una malattia globa-lizzata. I casi umani del Sudestasiatico sono condizionatida abitudini alimentari arischio, dai locali sistemitradizionali di allevamentodel pollame e soprattuttoda condizioni di povertàche sono il frutto di unaglobalizzazione selvaggia

La zoonosidei poveri

Luciano Venturi e Raffaella Angelini

numero 67 • editoriale

Editoriale

gli autori

� Luciano Venturi e � Raffaella Angelini

Dipartimento di sanità pubblica, Ausl di Ravenna

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del mercato che impediscealle comunità di uscire dalsottosviluppo: servizi sani-tari di base pressoché ine-sistenti, acqua potabile,fogne e altre infrastrutturedi bassissimo livello oassenti.

Un pollo uguale per tutti

Sono altrettanto innegabiligli effetti delle assurde re-gole sugli scambi commer-ciali dei prodotti della pro-duzione primaria alimenta-re, animale e vegetale, im-

poste dalla Wto, l’Organiz-zazione mondiale del com-mercio. La genetica in avi-coltura è unicamente nellemani di due multinazionaliche hanno creato un “pol-lo” globalizzato esattamen-te identico, in performancee caratteristiche del prodot-to, in Asia, Europa e Ame-rica. Superando così, inomologazione, anche alcuniprodotti di consumo para-digmatici della società di fi-ne secolo: calzature sporti-ve, bevande, sistemi opera-tivi informatici. «Il cibo re-sta, in ogni caso, un beneassolutamente e fondamen-

talmente diverso da qua-lunque altra merce per lasua natura, la sua origine, isuoi modi e mezzi di produ-zione» (Dichiarazione sullasovranità alimentare deipopoli), con ciò rafforzandole motivazioni perché l’a-gricoltura non debba rien-trare tra le materie di rego-lamentazione della Wto.L’influenza aviaria, così co-me si è manifestata, ha di-mostrato di essere una“zoonosi dei poveri”: sonoinfatti i poveri che hannobisogno di convivere convolatili infetti e inoltre sem-pre poveri sono coloro che

più avversano le necessariedrastiche misure di control-lo sanitario della malattia ilcui costo ricade sempre pe-santemente su di loro.Volendo, paradossalmente,individuare aspetti positiviin questo allarmante qua-dro potremmo dire che lalotta alla povertà, oltre adavere motivazioni etiche esolidaristiche, trova qui ladimostrazione di una suaefficacia nel controllo diquelle malattie diffusive, làdove hanno origine, cheminacciano anche le popo-lazioni dei Paesi economi-camente sviluppati.

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La composizione sem-pre più multicultura-le e multietnica

dell’Europa sta provocandocambiamenti importantianche in ambito sanitario.La società europea staaffrontando seriamente laquestione della salute degliimmigrati, ma dal punto divista legislativo mancaancora un orientamentounitario.L’Italia ha una legislazioneparticolarmente progredi-ta: l’articolo 32 dellaCostituzione stabilisce chela salute è un “fondamenta-le diritto dell’individuo einteresse della collettività”.Ciò implica che in Italiaanche un extracomunitarioclandestino ha diritto allecure essenziali, ma questoprincipio non è riconosciu-to in tutti gli altri Stati. Perquesto una proposta alParlamento europeo, per-ché emani una direttivache ne stabilisca il valore alivello comunitario, è statapresentata recentemente dauno schieramento che com-prende eurodeputati dimolti Stati e di tutti i prin-cipali gruppi parlamentari.Uno di questi è GiovanniBerlinguer, politico di for-

Però, aggiunge Berlinguer,«per affrontare il problemadella salute degli immigra-ti non basta un’iniziativapolitica, ma serve un impe-gno da parte di tutti: servi-zi sanitari pubblici, orga-nizzazioni non governative,sindacati e associazionireligiose».

L’importanza deimediatori culturali

Nella cura di un immigra-to si pongono vari proble-mi culturali: può esseredifficile comprendere lasua situazione sanitaria,sia per motivi linguisticiche per tradizioni culturali,

mazione medica, che nelcorso della sua carriera si èoccupato di medicinasociale ed è stato presiden-te del Comitato nazionaledi bioetica. SecondoBerlinguer «non sarà facilefar passare quest’idea,anche perché vale il princi-pio di sussidiarietà, per cuil’assistenza sanitaria ècompito dei singoli Stati.Del resto la storia ci inse-gna che i Paesi europeihanno spesso privilegiato ipropri interessi rispettoalla salute: già alla finedell’Ottocento, proprioquando si iniziava a pensa-re alle prime politiche sani-tarie europee, alcuni Paesi,come la Gran Bretagna, sirifiutavano di accettaremisure semplici come icontrolli sulle navi».Nonostante le difficoltà,Berlinguer si dichiaracomunque ottimista: «intutto il Parlamento europeoè molto forte la sensibilitàverso i diritti umani, e lecure essenziali sono undiritto primario». Se l’ini-ziativa avrà successo, ladirettiva del Parlamentoeuropeo obbligherà gliStati membri ad adeguarele proprie legislazioni.

ma viceversa può ancheessere difficile per unimmigrato capire l’approc-cio diagnostico e terapeuti-co occidentale.«Per questo sono moltoutili le figure dei mediatoriculturali, che oltre a funge-re da interpreti traduconoanche da un punto di vistapiù generale. Per potersvolgere questo ruolo ènecessaria una notevoleconoscenza sia della realtàeuropea che di quella origi-naria degli immigrati: èimportante quindi unaseria attività di formazio-ne, rivolta sia ai cittadinieuropei sia agli immigratiormai stabiliti da temponel Paese d’adozione».

Giovanni Berlinguer: «una politicaeuropea per la salute degli immigrati»

Intervista di Paolo Gangemi

numero 67 • confronti

Confronti

Sul problema della salute degli immigrati mancauna politica comunitaria. In Italia vale il principio,garantito dall’articolo 32 della Costituzione, cheogni individuo abbia diritto alla salute. Uno schie-ramento trasversale, di cui fa parte l’eurodeputatoGiovanni Berlinguer, chiede che questo diritto siariconosciuto dal Parlamento europeo.A livello sociosanitario il problema viene affrontatoanche grazie ai mediatori culturali. Si presentaperò un altro problema: l’emigrazione degli opera-tori sanitari indebolisce i loro Paesi d’origine.

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Da un lato il mediatore puòper esempio ricordare aimedici europei che per unadonna di fede islamicapotrebbe essere inaccetta-bile essere visitata da unmedico di sesso maschile;dall’altro può anche, perrimanere su un esempioanalogo, spiegare a unimmigrato musulmano chein base alla sua religionepuò essere dispensato daldigiuno del ramadan pergravi motivi di salute. Eproprio di questo si è occu-pato recentemente anche ilComitato nazionale di bioe-tica: pur insistendo sull’im-portanza del ruolo delmediatore culturale, ilComitato ha stabilito che inultima istanza le credenzeetiche, ideologiche o reli-giose di un immigrato, seriguardano la propria per-sona, vanno sempre rispet-tate. Diverso è il discorsose un’usanza implica undanno a un’altra persona: èil caso delle mutilazionigenitali femminili che,come ricorda Berlinguer,

spesso vengono praticateclandestinamente anche inEuropa. «È un problemadoloroso, e c’è stato un ten-tativo, all’ospedale Careggia Firenze, di effettuarle inambito ospedaliero nell’ot-tica della riduzione deldanno, cioè in condizioniigieniche e con tecnichemigliori per limitarnealmeno le conseguenze piùdrammatiche. Poi però lacontraddizione di questepratiche con il codice deon-tologico medico ha portatoalla fine della sperimenta-zione. Oggi si cerca, pro-prio con l’aiuto dei media-tori culturali, di spiegareche queste pratiche nonsono previste da normereligiose, e di sostituirlecon atti simbolici che lepossano rimpiazzare».

L’emigrazione del personale sanitario

A parte questi casi estremi,comunque, Berlinguer èconvinto che la diversità

culturale può in generalerappresentare un arricchi-mento reciproco dal puntodi vista medico: «alcunepratiche orientali, come l’a-gopuntura o la medicinatradizionale cinese basatasulle erbe, offrono principi,procedure e sostanze chepossono essere introdotte,anche parzialmente, nellamedicina europea. D’altraparte la scienza occidentaleha enormi potenzialità perla salute delle popolazionidei Paesi in via di svilup-po. Non sempre però leopportunità vengono sfrut-tate nel modo migliore:spesso i programmi diaiuto convogliano i medicisu progetti dedicati amalattie specifiche, ma cosìli si sottrae ai servizi sani-tari locali, impedendo chesi sviluppino adeguata-mente». Un’altra questione di attua-lità è quella della presenzain Europa di molti medici einfermieri provenienti daiPaesi in via di sviluppo.Berlinguer ha le idee molto

chiare rispetto a questofenomeno: «considero uncrimine il fatto che i Paesiricchi, che pure aiutanoquelli poveri con campagnedi solidarietà, di fatto glisottraggano il personalequalificato, l’unico in gradodi affrontare in modo orga-nico la lotta alle malattie edi usare in modo efficacegli aiuti economici. Sarebbemolto meglio se i Paesi chehanno necessità di medici edi infermieri investissero dipiù per formarli, anzichéstrapparli via da dove c’èpiù bisogno».

� Giovanni Berlinguer èDeputato europeo(Commissione ambiente esanità) e membro dellaCommissione sui “Socialdeterminants of health”dell’Organizzazione mondiale della sanità

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Anche la prevenzioneè diventata ufficial-mente evidence

based: l’ingresso del crite-rio di efficacia in questocampo è stato sancito dalPiano sanitario nazionale2006-2008. Il Ministeroinfatti ha accolto le propo-ste presentate, in base allariforma costituzionale, dauna delegazione delleRegioni. Alla realizzazionedel testo ho partecipato inqualità di dirigente diSanità pubblica dellaRegione Marche. La pre-venzione costituisce unadelle novità più significati-ve del Piano: finora erastata attuata secondo meto-di non aggiornati, tantoche gli interventi avevanocome fine quello di rispon-dere a una normativa piut-tosto che di tutelare la

come obiettivo, il documen-to evidenzia come puntifondamentali la creazionedi reti sanitarie in cui ognisoggetto istituzionale abbiaruoli ben definiti, di unsistema di verifica, esoprattutto la necessità diuna comunicazione effica-ce. Riguardo a quest’ultimoaspetto, in particolare, èfinalmente evidente la con-sapevolezza di dover intro-durre nel bagaglio deglioperatori della prevenzionela capacità di comunicarecon la popolazione. Si trat-ta, infatti, di una dellecarenze storiche dellasanità pubblica italiana, ele conseguenze si fannosentire. L’ultimo esempio è il casodella temuta pandemia diinfluenza aviaria: il colmo èstato raggiunto quando èstato diffuso l’appello afare attenzione agli uccellimorti, con il risultato che ilgiorno dopo migliaia di cit-tadini hanno segnalato casidi uccelli morti, senza pen-sare che ogni giorno, dasempre, muoiono uccelliper le cause più svariate.

Il ruolo delle Regioni

L’importanza della comuni-cazione è stata sostenutada tempo da vari protago-nisti del mondo sanitario, eha caratterizzato in parti-colare la storia della Snop:ora finalmente anche ilMinistero ha fatto suo que-sto punto di vista.Un’innovazione che è statapossibile anche grazie allariforma del titolo quintodella Costituzione: ora tro-vano spazio anche le esi-genze territoriali, e non èun caso che le proposte piùinnovative siano arrivate

salute. Di conseguenza,spesso venivano presemisure del tutto inutili. Il criterio di efficacia erastato inserito già nelle lineeguida stabilite nell’accordoStato-Regioni del 25 luglio2002, pensate su basi vali-de ma uscite un po’ in sor-dina, con poca visibilità.Questa invece è la primavolta che il principio vienestabilito in un Piano sani-tario nazionale, che sicura-mente raggiungerà un pub-blico più vasto e avrà effet-ti più profondi.Più in generale, le principa-li innovazioni del Piano aproposito di prevenzioneriguardano l’aspetto meto-dologico, di cui vengonoesaminati vari aspetti: oltreal criterio dell’Evidencebased prevention e alladeterminazione della salute

proprio dalle Regioni.Bisogna dire comunqueche il Ministero ha accetta-to quasi interamente lenostre modifiche al testooriginario, dimostrandoelasticità e buon senso.La riforma, infatti, attribui-sce un ruolo di maggioreimportanza alle Regioni inambito sanitario, sia nellapreparazione del Piano sianella sua messa in pratica.Bisogna però evitare che lamaggiore autonomia portiogni Regione a seguire unapolitica diversa. Questosarebbe grave soprattuttoin ambito sanitario, dove inbreve si arriverebbe alcaos. Insomma, è utilesfruttare le opportunitàofferte dalla nuova legisla-zione, ma è necessariostare attenti a non subire leconseguenze dei suoi latinegativi. Oltre agli aspetti metodolo-gici, il Piano entra anchenel merito degli obiettivisanitari, confermando quel-li proposti dall’IntesaStato-Regioni del 23 marzo2005: campagne di vaccina-zioni, screening, prevenzio-ne di incidenti e malattiecardiovascolari. Anche in questo caso, lariproposizione a livello diPiano nazionale contri-buirà a diffonderli a unpubblico più ampio.

numero 67 • confronti

Nel nuovo Piano sanitario entral’Evidence basedpreventionGiuliano Tagliavento

l’autore

� Giuliano Tagliaventodirigente sanità pubblicaservizio salute RegioneMarche

Il Piano sanitario nazionale 2006-2008 ha introdot-to importanti novità per la prevenzione, fra cuil’importanza da dare alla comunicazione e soprat-tutto il riconoscimento dell’Evidence based preven-tion. Un principio che è stato approvato grazie auna proposta delle Regioni. Il loro ruolo, infatti, èuna delle principali novità del Piano: con la rifor-ma del titolo quinto della Costituzione hanno un’oc-casione per far valere le istanze locali. Bisogna però evitare il rischio che ogni Regionesegua una sua politica in modo disgiunto dalle altre.

Confronti

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“Linee guida per ilcontrollo dellazanzara tigre –

strategie di lotta integrataa Aedes albopictus, vade-mecum per gli operatori”: èquesto il titolo dell’opusco-lo distribuito ai 280 opera-tori che il 23 febbraio scor-so hanno partecipato alconvegno “Strategia inte-grata di lotta contro la zan-zara tigre”, organizzatodalla Regione EmiliaRomagna in collaborazionecon le aziende Usl di AreaVasta Romagna. Il convegno è servito adivulgare i dati raccolti conlo sviluppo di un progettofinanziato dall’Assessoratoalle politiche per la salute

della Regione EmiliaRomagna e condotto neiquattro comuni di AreaVasta Romagna, su precisavolontà dell’assessoreregionale Giovanni Bissoni.Nel progetto sono statiimpegnati i tecnici delleaziende Usl di Cesena,Forlì, Ravenna e Rimini egli operatori del Centroagricoltura e ambiente diCrevalcore. Gli approfondi-menti sull’argomentohanno permesso di fare ilpunto della situazione sullaconoscenza della zanzaratigre “nostrana”, che hamostrato sostanziali diffe-renze nelle proprie abitudi-ni da quelle che conosceva-mo alcuni anni fa. In lette-

ratura la zanzara tigre, ilcui nome scientifico èAedes albopictus, vienedescritta come poco abilenel volo e pigra negli spo-stamenti (poche decine dimetri dal luogo dove nasce,si diceva negli anniNovanta a seguito delleprime segnalazioni inItalia). Oggi i tecnici impe-gnati nel progetto hannocambiato idea in manieradecisa. Nell’ambito deglistudi eseguiti su campo, eforti di analoghe prove con-dotte in altri Paesi, si sonoresi conto che questa zan-zara “italianizzata” hamodificato le proprie abitu-dini e oggi affermano chepuò spostarsi anche di unchilometro. Nel corso della stagione2005 sono state condotteprove per verificare quantoincide il “buon comporta-mento del cittadino” sullariduzione del numero dizanzare attorno alla pro-pria abitazione, ed è statodimostrato che si puòridurre questa presenzafino al 50% con un minimoimpegno personale.In Italia questa zanzaranon trasmette malattieall’uomo, eppure è un

potenziale vettore che inaltri Paesi crea serie preoc-cupazioni. Al momento èquindi assolta dalla colpagrave che vede invece con-dannata una sua cuginamolto stretta, Aedes aegyp-ti, responsabile della tra-smissione della febbre gial-la e molto temuta dalleautorità sanitarie di tutto ilmondo. Se pensiamo allasalute in senso più globale,però, dovremo presto rive-dere le nostre posizioni.Infatti, nell’ambito del con-vegno sono stati presentatialcuni dati interessantianche sotto questo aspetto:il progetto ha evidenziatoche la zanzara tigre puòincidere sulla sanità inquanto l’11,4% dei cittadi-ni a cui è stato sommini-strato un questionario adhoc ha dichiarato di esserericorso a cure mediche (il5,7% al medico di famiglia,il 3,3% al pronto soccorsoe il 2,4% al farmacista).Altre risposte fornite dagliintervistati indicano che lazanzara tigre risulta pocogradita alla maggior partedi coloro che erano abituatia utilizzare gli spazi verdidella propria abitazione.Ben il 48% ha risposto di

Contro la zanzara tigre,la lotta è integrataPaola Angelini e Claudio Venturelli

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Il convegno “Strategia integrata di lotta contro lazanzara tigre” è stato organizzato per divulgare idati delle ultime ricerche, secondo cui le abitudinidi quest’insetto sono cambiate rispetto a qualcheanno fa. In Italia la zanzare tigre non è portatricedi malattie, ma incide comunque sulle abitudini del-la popolazione e sulla sanità, per il ricorso piuttostofrequente alla medicalizzazione dopo le sue puntu-re. Il convegno ha approfondito il ruolo delle ammi-nistrazioni locali ma anche dei cittadini, senza il cuicontributo ogni lotta sarebbe inefficace.

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aver modificato le proprieabitudini e di non utilizzareil proprio giardino a causadel forte disagio subito perle pruriginose puntureinflitte dalla zanzara bian-conera.Questo riscontro assumeuna notevole importanzasoprattutto considerandoche le aree con maggioriproblemi risultano quelleresidenziali, caratterizzateda condomini, ville singoleo a schiera con giardiniombreggiati e ricchi divegetazione. Tra i residenti che lamenta-no il maggiore disturbo,oltre il 70% risiede in vil-lette, occupa un apparta-mento al piano terra ocomunque possiede ungiardino annesso all’abita-zione. Tra i cittadini chelamentano il problema, il40% dichiara di aver elimi-nato ristagni d’acqua,meno del 30% utilizza abi-tualmente un prodotto lar-vicida nei pozzetti privati ei più numerosi si difendonoprevalentemente con l’im-piego di un repellente.Nel progetto è stato testatoil lancio dei maschi di zan-zara tigre resi sterili inlaboratorio, che dovrebberocompetere negli accoppia-menti con i maschi presentinell’ambiente. Se la tecnica darà i risultatisperati, allora le femminedeporrebbero uova sterili.

Il ruolo dei cittadini

Per sensibilizzare maggior-mente i cittadini a svolgereun ruolo attivo nella lottaalla zanzara tigre, a Cesenae Forlì si sta invece speri-mentando un intervento dipeer education con l’attiva-zione di focus group, coor-

gionale, attraverso l’Asses-sorato alle politiche per lasalute e i Dipartimenti disanità pubblica, sulla basedell’esperienza condotta sivaluta opportuno un ruolodi supporto per le attivitàdi sorveglianza e di comu-nicazione.Va ricordato che questazanzara è presente in Italiadal 1990 e che è stataimportata, con molta pro-babilità, attraverso il com-mercio di pneumatici usatiprovenienti dal Sudestasiatico. Alle medie latitu-dini il ciclo riproduttivo siattiva nel mese di aprile etermina nel mese di otto-bre, ma il picco più elevatodella sua presenza si regi-stra con numeri molto ele-vati nei mesi di agosto esettembre, quando la popo-lazione di adulti raggiungepicchi importanti, complicil’alta temperatura e lepiogge di fine estate. Ilciclo di sviluppo è in stret-ta relazione con temperatu-ra, ore luce e presenza diacqua. In primavera sicompleta in 15-20 giorni,mentre in estate sono suffi-cienti 6-8 giorni per passa-re dall’uovo all’insettoadulto, la cui femmina

dinati da uno psicologo, unentomologo e un medicoigienista, e il coinvolgimen-to dell’istituzione quartiereo circoscrizione. L’obiettivoè di formare dei cittadinicompetenti che, con unmeccanismo a cascata, sirendano responsabili dellatrasmissione delle informa-zioni e del coinvolgimentodi altri cittadini con la logi-ca del passaparola.Alla fine di questa espe-rienza si rafforza l’idea cheil problema della zanzaratigre resterà tale fino aquando non si arriverà aun pieno coinvolgimentodei cittadini nella gestionedelle infestazioni in areeprivate. Con le scarse risor-se disponibili non è possi-bile ipotizzare che le areeprivate vengano disinfesta-te con costi a carico delleamministrazioni, per cui ènecessario attivare tutti ipercorsi che permettano disensibilizzare ed educare icittadini a un comporta-mento corretto.È inoltre fondamentale chele amministrazioni nonriducano gli impegni finqui assunti, ma che trovinoforme di miglioramentonella gestione del problematramite l’attivazione di con-tratti con le imprese disin-festatrici caratterizzati dauna maggiore flessibilitàche consenta di mirare gliinterventi sia in terminitemporali che spaziali.Potrebbe essere auspicabileuna forma di associazionetra comuni confinanti alfine di ottimizzare il per-corso di organizzazionedell’attività, sia in terminiamministrativi sia digestione della lotta vera epropria.Per quanto riguarda il ruo-lo del Servizio sanitario re-

immediatamente può ripro-dursi originando dalle 200alle 400 uova.Da un habitat tipicamentesilvicolo e forestale, dove leraccolte di acqua impiegateper la riproduzione consi-stevano nelle cavità deglialberi, nell’incavo dei fustidi bambù spezzati, nelleascelle fogliari, si è passatia un ambiente tipicamenteurbano, dove i ristagni pre-valentemente utilizzatisono i tombini stradali, ipluviali di raccolta dell’ac-qua piovana dei giardini edei cortili, i sottovasi, i sec-chi, le anfore ornamentali, ibarattoli, i bidoni, levasche degli orti e in gene-rale ogni contenitore capa-ce di contenere anche menodi un litro di acqua. Nonsono mai state trovatelarve di zanzara tigre infossi, acquitrini, canali.

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gli autori

� Paola Angelini,Assessorato politiche per la salute, RegioneEmilia Romagna

� Claudio Venturelli,Dipartimento di sanitàpubblica, Ausl Cesena

Alta definizione

AEDES ALBOPICTUS SCOPRE L’OLANDA

Aedes albopictus si è vista riservare molte sessionidel convegno della Society for Vector Ecology, che siè tenuto in Grecia ad aprile. In Europa, la marcia co-lonizzatrice della zanzara tigre è sempre più inarre-stabile: la Francia, la Spagna, la Serbia, la Svizzerasono già colonizzate. New entry nella lista è l’Olanda,dove Aedes è stata rintracciata da un ispettore dellasanità interpellato per le improvvise e fastidiose pun-ture subite dai lavoratori di una delle serre del Pae-se. Come è arrivata in Olanda? In una partita di can-ne di bamboo provenienti dal sud della Cina. Nellaserra, il microclima per la coltivazione delle piantetropicali ha creato condizioni ideali per la Aedes al-bopictus, i cui adulti sopravvivono anche in inverno.

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Chernobyl: due tecnicisenza alcuna protezione siprotendono da un elicotterosopra il reattore per misurare la radioattività.Cade quest’anno il doppioanniversario dei trent’annidalla sciagura dell’Icmesa edei venti dall’esplosione delreattore della centrale atomica di quella che eraancora l’Unione sovietica.Due disastri che hannosegnato la vita di migliaia dipersone e influito sulla storia e la cultura della prevenzione. Due disastri sucui ancora oggi si continuaa ragionare e discutere. Non sono stati gli unici delNovecento: dal Vajont aBhopal, le illustrazioni diquesto numero ripercorronogli eventi che hanno piùinfluenzato l’immaginariocollettivo e le decisioni politiche.

DISASTRI AMBIENTALI

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sociale e soprattutto politico.Dal punto di vista scientifico, unpunto cruciale sono i rischi per lasalute (o supposti tali) associatialla realizzazione di un incenerito-re. La gestione ingegneristica,organizzativa e di monitoraggiodi un inceneritore altro non è cheun modo per trovare soluzioni ainterrogativi come questi: «l’ince-neritore fa male, e quanto? In con-clusione quanto conviene?». Sono richieste più che legittime.Partendo dagli aspetti metodolo-gici, è necessario assumere unatteggiamento laico, ma soprat-12

INCENERITORI, ISTRUZIONI PER L’USO

Gli impianti di incenerimento di rifiuti sono sempre più og-getto di discussione, non solo dal punto di vista scientifico,ma anche e soprattutto sociale e politico. L’aspetto scientifi-co riguarda i vari tipi di impianti e la loro pericolosità am-bientale, legata alla qualità e alla quantità delle emissioni.L’aspetto sociale della questione è legato soprattutto allapercezione del rischio da parte della popolazione: sono sem-pre di più i comitati locali che si formano per discutere le im-plicazioni sanitarie. Il tema fondamentale quindi è quellodella comunicazione del rischio, che non può essere un flus-so unidirezionale di informazioni, ma la costruzione lenta,faticosa e condivisa di una valutazione sociale del rischio.Anche dal punto di vista politico, infine, si sono fatti sentiregli effetti della maggiore sensibilità ambientale: sia a livelloeuropeo che italiano la normativa sulle emissioni si è evolu-ta ed è sempre più attenta alla salvaguardia della salute.

Una delle premesse fonda-mentali per lo svilupposostenibile di una societàevoluta è la conoscenza

degli effetti di un intervento rite-nuto necessario. Ma perché? Ecome? Rispondere a questedomande è tanto più necessarioquando ci si riferisce a interventidi cui non si intravede un imme-diato vantaggio, oppure quandogli svantaggi ipotizzati superano ivantaggi. È il caso degli inceneri-tori, sempre più oggetto di dibatti-to, soprattutto in alcune Regioni,da un punto vista scientifico,

dossier inceneritori • numero 67

Paolo Lauriola

Dossierori

Le bibliografie e gli articoli del dossier inceneritorisono disponibili online sul sito della Snop www.snop.it

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l’autore

� Paolo LauriolaDirettore struttura tematica diepidemiologia ambientale, Arpa Emilia Romagna

tutto umile.Gli operatori per la salute sonochiamati a fornire proposte di so-luzione, non a mettere in discus-sione a priori l’ordine sociale edeconomico. L’entità riduzionisticadella risposta è strumentale all’ef-ficacia che si persegue, ma deveessere sempre chiara, comprensi-bile e, per quanto possibile, quan-titativa. Questo tenendo presentela complessità della realtà e la ne-cessaria tensione etica verso unapproccio preventivo che miri al-la massima efficacia.Una delle critiche principali neiconfronti della valutazione degliinterventi preventivi è il grado di“evidenza” che è alla base dellaconoscenza che ha portato allaproposta. Bisogna perciò prende-re atto di alcune limitazioni dell’o-perare nel campo della prevenzio-ne (che in realtà, alla prova deifatti, così non sono).Nell’ambito dell’Evidence basedmedicine (e dell’Evidence basedprevention) la collocazione gerar-chica delle evidenze degli studiosservazionali su dati aggregati èestremamente bassa. In effetti,senza studi basati su serie stori-che non sarebbe stato possibilefissare i limiti di qualità dell’ariaper le particelle con dimensioni

inferiori a 10 rm (PM10). Se non sifossero accettate queste osserva-zioni come abbastanza convin-centi, ora non potremmo neppurechiederci se e come studiare glieffetti delle cosiddette particelleultrafini (<0.1 rm) e delle nano-particelle (<0.01 rm), su cui sem-pre più si concentra l’attenzionedi ricercatori e istituzioni.Anche tenendo conto di questelimitazioni, però, dal dossier nonemergono soluzioni di per séesplosive, soprattutto se confron-tate con altre, come per esempiole discariche o il riciclo, presecome soluzioni assolute (si pensial riutilizzo del vetro e ai proble-mi connessi con la sua raccolta,fusione e riutilizzo). Il problema è quindi creare unacondizione di fiducia tra chi pro-pone questa soluzione rispetto adaltre e chi potrebbe soffrirne leconseguenze. Si tratta quindi dicreare il contesto per una realecondivisione del problema, in unacornice di extended peer commu-nity, per partecipare democratica-mente a una scelta sicuramentedegna di essere discussa e ap-profondita su un piano scientifi-co, tecnologico e politico.Questo dossier cercherà di pre-sentare nel modo più sintetico e

vivo possibile conoscenze, espe-rienze e proposte da un punto divista legislativo, tecnologico, tos-sicologico, epidemiologico (conparticolare attenzione a quelleitaliane sul campo), comunicativoe di gestione del rischio.La redazione di Snop ha così rite-nuto utile coinvolgere ricercatorie operatori della prevenzione cheavessero conoscenze ed esperien-ze fruibili in proposito. Su questebasi, anche e soprattutto nellerealtà con servizi meno avvan-taggiati operativamente, gli ope-ratori della prevenzione potran-no essere messi al corrente dellivello di discussione attualmentein atto in Italia. In caso di neces-sità, potranno così avviare delleesperienze, privilegiando l'ap-proccio collaborativo tra struttu-re, professioni e culture che ope-rano nel campo della prevenzioneambientale e sanitaria nel nostroPaese.

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RIFIUTI SOLIDI,

LA PAROLA D’ORDINE È MINIMIZZARE

Fabrizia CapuanoGianna Sallese

Negli ultimi anni si è assistitoa un’evoluzione normativaa livello europeo, e di conse-

guenza a livello nazionale, desti-nata a incidere significativamentesul sistema di gestione dei rifiuti esulla pianificazione territorialestessa (per le norme nazionali direcepimento, vedi tabella). Il pun-to di riferimento comunitario èrappresentato dal VI Programmadi azione per l’ambiente 2002-2010 (Decisione 2002/16000/ CEdel Parlamento e Consiglio euro-peo), che comprende la Strategiatematica sulla prevenzione e il ri-ciclaggio dei rifiuti tra le settestrategie tematiche programmate.A livello nazionale, l’approccioinnovativo al problema dellagestione dei rifiuti risale alDecreto legislativo 22/97, a cuisono seguiti decreti applicativi enuovi recepimenti di direttiveeuropee accomunati da un’unicaratio: riorganizzare l’intero setto-re ancorandolo a logiche di tipoindustriale, in grado di stimolarei diversi operatori, pubblici e pri-vati, a misurarsi con criteri diconduzione aziendale e competiti-vità per realizzare un sistema digestione efficace, efficiente edeconomico.Tra gli strumenti più innovativirecentemente adottati per la pre-venzione della produzione deirifiuti il più importante è senz’al-

In ambito europeo, la normativa sulla gestione dei ri-fiuti e la pianificazione territoriale ha subito molticambiamenti negli ultimi anni. La gestione dei rifiutisi basa su tre principi: prevenzione, riciclaggio e riu-so, miglioramento della sistemazione finale e monito-raggio. Uno degli strumenti più innovativi per la pre-venzione della produzione dei rifiuti è la Direttiva sulcontrollo integrato dell’inquinamento: l’attenzione èsull’adozione di tecniche per ridurre la produzione dirifiuti e favorire l’uso di sostanze meno pericolose.

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tro la Direttiva sul controllo inte-grato dell’inquinamento (Ippc),che indica, tra le considerazionida tenere presenti nella determi-nazione delle migliori tecnichedisponibili (Bat), l’uso di tecnichea scarsa produzione di rifiuti el’impiego di sostanze meno peri-colose.

Una gestione integrata

La gestione dei rifiuti è basatafondamentalmente su tre princi-pi: prevenzione dei rifiuti, rici-claggio e riuso, miglioramentodella sistemazione finale e moni-toraggio.La prevenzione è un fattore chia-ve in ogni strategia della gestione

rifiuti. Se si riesce a produrremeno rifiuti e a ridurne la perico-losità diminuendo il contenuto disostanze pericolose, il processostesso di eliminazione diventeràautomaticamente più semplice. Se non si riesce a evitare la produ-zione di rifiuti, molti materiali do-vrebbero essere comunque recu-perati, preferibilmente tramite ilriciclo. I rifiuti a cui prestare par-ticolare attenzione sono quelli daimballaggio, i veicoli da rottama-re, le batterie, i rifiuti elettrici edelettronici.Infine, dove possibile, il rifiutoche non può essere riciclato o riu-tilizzato dovrebbe essere corretta-mente incenerito, usando la disca-rica soltanto come ultima risorsa.Entrambi questi metodi richiedo-

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no un monitoraggio accurato,perché potenzialmente possonoprovocare danni ambientali.Ogni anno nell’Unione europea siproducono circa 1,3 miliardi ditonnellate di rifiuti, escludendo irifiuti agricoli e forestali, cosìripartiti: rifiuti da attività produt-tive (26%), rifiuti di cava e diminiera (29%), rifiuti da costru-zione e demolizione (22%), rifiutiurbani (14%). Sul totale, il 2% (27milioni di tonnellate) sono classi-

ficati come pericolosi. Attualmente, la produzione procapite di rifiuti urbani in Italia haraggiunto i 524 kg per abitanteall’anno, con punte di 650 kg perabitante all’anno in Emilia Roma-gna e in Toscana. La raccolta dif-ferenziata si attesta su una medianazionale del 21,5%, con differen-ze significative tra Nord (33%) eSud (3%). Laddove sono statiraggiunti risultati significativi intermini di quantità di materiale

raccolto in modo differenziato so-no attive modalità organizzativediverse, che vanno dalla raccoltastradale, al porta a porta spinto,all’integrazione con stazioni eco-logiche attrezzate.La fase di smaltimento dei rifiuti,considerata dalla normativa co-me “residuale”, vede in Italia unaprevalenza dell’utilizzo delle di-scariche (52%). A seguire l’ince-nerimento (9%), il compostaggio(8%) e il recupero di materiali

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Direttive comunitarie Norme nazionali di recepimento

Direttive 75/439/CEE e 87/101/CEE relative all’eli-minazione degli oli esausti Decreto legislativo 27/01/ 1992 n. 95

Direttive 78/176/CEE, 82/833/CEE, 83/29/CEE,89/428/CEE in materia di inquinamento provocatodai rifiuti dell’industria del biossido di titanio

Decreto legislativo 27/01/1992 n. 100

Direttiva 91/156/CEE sui rifiuti Decreto legislativo 5/02/1997 n. 22 (Decreto Ronchi)

Direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi Decreto legislativo 5/02/1997 n. 22

Direttiva 94/62/CEsugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio Decreto legislativo 5/02/1997 n. 22

Direttive 91/157/CEE e 93/68/CEE in materia di pilee accumulatori contenenti sostanze pericolose Decreto legislativo 5/02/1997 n. 22

Direttiva 96/59/CE relativa allo smaltimento deipoliclorodifenili e policlorotrifenili Decreto legislativo 22/05/1999 n. 209

Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti

Decreto legislativo 13/01/2003 n. 36 Decreto ministeriale 13/03/2003 relativo ai criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica

Direttiva 2000/53/CE sui veicoli fuori uso Decreto legislativo 24/06/2003 n. 209

Direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti Decreto legislativo 11/05/2005 n. 133

Direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portualidi raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residuidel carico

Decreto legislativo 24/06/2003 n. 182

Direttiva 2002/95/CE sulla restrizione nell’uso dideterminate sostanze pericolose nelle apparecchia-ture elettriche ed elettroniche

Decreto legislativo 25/07/2005 n. 151

Direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiatureelettriche ed elettroniche Decreto legislativo 25/07/2005 n. 151

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Tabella 1 - Stato di attuazione delle principali Direttive comunitarie sui rifiuti

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(9%), mentre la restante percen-tuale riguarda il materiale biosta-bilizzato (22%) e una ridottaquantità di produzione di combu-stibili da rifiuto (Cdr).

Sviluppi futuri

Alla luce dei dati nazionali edeuropei emerge che il trend di pro-duzione dei rifiuti è in costanteascesa, in opposizione agli obietti-vi di minimizzazione che tutti gliStati membri hanno condiviso.Inoltre, sono in aumento le quan-tità di rifiuti indifferenziati dasmaltire, mentre è ancora moltoridotta la quota di materiali sotto-posta a recupero o riciclo. La strategia tematica sulla previ-sione e il riciclaggio dei rifiutiindividua tre motivi principaliche giustificano la revisione delladirettiva quadro 75/442/CEE: lamancanza di certezza giuridica,soprattutto riguardo alla defini-zione di rifiuto e alla distinzionetra recupero e smaltimento; nellasituazione attuale gran partedelle principali operazioni di

gestione dei rifiuti è ormai disci-plinata dalla legislazione ambien-tale, il che implica una serie dimodifiche tra cui l’introduzione diun obiettivo ambientale; una sem-plificazione del quadro normati-vo vigente.La proposta di direttiva del Parla-mento europeo e del Consiglio re-lativa ai rifiuti Com (2005) 667procede alla revisione della diret-tiva quadro sui rifiuti e abroga ladirettiva 91/689/CEE, integran-done le disposizioni nella nuovadirettiva quadro, e la direttiva75/439/CEE, incorporando nelcontempo l’obbligo specifico diraccolta degli oli usati.Le principali modifiche propostesono: la riduzione degli impattiambientali derivanti dalla produ-zione e dalla gestione dei rifiuti,tenendo conto dell’intero ciclo divita; chiarimenti dei concetti di“recupero” e “smaltimento” e dellecondizioni per la miscelazione deirifiuti; l’introduzione, per determi-nati flussi di rifiuti, di una proce-dura per chiarire quando un rifiu-to cessa di essere tale.La proposta di direttiva pone

anche le basi per una cooperazio-ne europea nel campo dei rifiuti,stabilendo norme minime per ilmercato interno dei rifiuti desti-nati al riciclaggio, consentendoagli Stati membri di definire lemodalità specifiche di attuazionea livello nazionale, regionale olocale. Un mercato interno deirifiuti destinati al riciclaggio puòesistere soltanto in presenza diuna definizione comune di alcuniconcetti fondamentali, quali“rifiuto”, “recupero” e “smalti-mento” e di un corpus minimo dinorme comuni.

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gli autori

� Fabrizia CapuanoDirettore servizio provinciale di Reggio Emilia, Arpa Emilia Romagna

� Gianna SalleseResponsabile eccellenza termovalorizzatori rifiuti, sezione provinciale di Rimini,Arpa Emilia Romagna

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LE EMISSIONI SI ABBATTONO

CON LE NUOVE TECNOLOGIE

Giuseppe VivianoGaetano Settimo

CPer quanto riguarda il trat-tamento termico dei rifiuti edei loro derivati, il Decreto

legislativo n. 22/97 consideraprincipalmente due aspetti, l’ince-nerimento (che dal 1999 è autoriz-zato soltanto se accompagnatodal recupero energetico) e la com-bustione a scopo di recuperoenergetico, inserita tra le opera-zioni di recupero.In generale, la combustione è unprocesso di ossidazione chimicarapida in cui viene prodotta ener-gia. Nel caso dei rifiuti, può avve-nire in tre modi differenti: l’incene-rimento, l’ossidazione totale eveloce in cui si realizza una com-bustione completa della frazioneorganica in eccesso di aria; la gas-sificazione, l’ossidazione incom-pleta in cui si realizza una combu-stione parziale dei rifiuti in difettodi ossigeno producendo caloresufficiente per la decomposizionetermica di parte dei materiali, conproduzione di gas; la pirolisi,degradazione termica in assenzadi ossigeno attraverso l’apporto dicalore, per via diretta o indiretta, eproduzione di un aerosol ad altopotere calorifico, bruciato in unostadio successivo.Nel recupero energetico sonocompresi i combustibili derivatidai rifiuti (Cdr), espressione cheha sostituito la precedente refuse

In Italia sono una cinquantina gli impianti per l’inceneri-mento di rifiuti urbani, frazioni derivate e assimilabili. Ingenerale, gli impianti più nuovi rispettano ampiamente ilimiti indicati dall’Unione europea e recepiti a livellonazionale per smaltire i rifiuti con il minor caricoambientale. Le strategie possibili sono la combustionedell’indifferenziato, della frazione secca e la produzionedi combustibili derivati dai rifiuti.

residui della raccolta differenzia-ta: questo avviene in impiantiappositi, gli inceneritori, che con-sentono un maggiore recuperoenergetico. Rispetto agli altri casi,vengono prodotte quantità mag-giori di scorie e ceneri, che posso-no essere deposte in discaricaresiduale o, in alcuni casi, parzial-mente utilizzate. La seconda stra-tegia è la combustione della fra-zione secca, che va effettuata inimpianti dedicati e autorizzati. Inquesto caso si ha il problemadella frazione umida, prevalente-mente di natura organica, spessoinutilizzabile a causa di contami-nanti come metalli pesanti, resi-dui di materiali plastici, scaglie di

derived fuel (Rdf). A seconda delprodotto di partenza, la produzio-ne di Cdr comporta la separazio-ne di altre frazioni, che devonopoi essere trattate e riutilizzatecorrettamente. La combustionedei rifiuti può essere quindi attua-ta tale e quale, oppure utilizzandofrazioni derivate.

I forni del mestiere

L’obiettivo primario è sempresmaltire i rifiuti con il minor cari-co ambientale possibile. In questosenso, ci sono tre strategie princi-pali. Innanzitutto la combustionedell’indifferenziato, o meglio, dei

Dossier

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vetro. Infine, la terza strategia èla produzione di Cdr raffinati, chepotrebbero essere utilizzati inimpianti che non siano classifica-ti come inceneritori o in cocombu-stione, qualora si trovino le condi-zioni di mercato.In ogni impianto si possono indi-viduare diverse sezioni, ognunacon una funzione specifica: ricevi-mento e stoccaggio temporaneo(fossa di accumulo, eventuale pre-trattamento), combustione (for-no), abbattimento inquinanti, eva-cuazione dei fumi (camino), rac-colta, stoccaggio temporaneo edeventualmente trattamento discorie e ceneri.In particolare, per quanto riguar-da la combustione, i forni posso-no essere di tre tipi: a griglia, atamburo rotante o a letto fluido. Iforni a griglia (fissa o mobile)sono costituiti da una camera dicombustione dotata di griglia, incui viene posto uno strato dirifiuti alto qualche decina di cen-timetri. Parte dell’aria viene iniet-tata da sotto la griglia, mentrequella in eccesso viene alimenta-ta da sopra la griglia, consenten-do anche di mantenere la tempe-ratura al di sotto del punto difusione delle scorie (950-1000 °C).I forni a tamburo rotante sonocostituiti da una camera cilindri-ca rivestita di materiale refratta-rio, che può ruotare attorno alsuo asse con una leggera inclina-zione, favorendo così l’avanza-mento e il rimescolamento deirifiuti al suo interno. I forni a letto fluido, infine, preve-dono una camera nel cui trattoinferiore è posto un letto di parti-celle solide, costituite in parte dairifiuti stessi, in parte da materia-

le basico di piccola pezzatura,mantenuto fluido grazie all’ariainsufflata da una griglia sotto-stante. In Italia ci sono 48 impianti perl’incenerimento di rifiuti urbani,frazioni derivate e assimilabili. Lamaggior parte (77%) adotta il for-no a griglia, meno i forni a tam-buro (13%) e a letto fluido (10%).

Contenere le emissioni

Per una valutazione tecnica deicicli tecnologici e dei relativi si-stemi di abbattimento delle emis-sioni, si deve fare riferimento al-la direttiva 96/61/CE, “Integra-ted Pollution Prevention andControl” (Ippc, recepita nel 2005con il Decreto legislativo n. 59),che ha definito il concetto di bestavailable techniques (Bat). Suc-cessivamente, il Bureau IppcBref di Siviglia ha prodotto inproposito delle linee guida per levarie filiere industriali. In ambitonazionale, sulla base del “Refe-rence Document on the AvailableTechniques for Waste Incinera-tion” (luglio 2005), sono nate le“Linee guida per l’individuazio-ne e l’utilizzo delle migliori tecni-che disponibili per gli impianti diincenerimento”. Per contenere leemissioni, la prima modalità è ri-durre la formazione di inquinan-ti, riducendo i precursori e otti-mizzando la combustione. Negli ultimi anni sono stati messia punto diversi impianti per ilcontenimento delle emissioni: perle polveri, filtri a maniche, preci-pitatori elettrostatici, scrubber;per gli inquinanti gassosi (ossididi azoto), modalità gestionali,DeNOx termici e catalitici coniniezione di ammoniaca; per i gasacidi (acido cloridrico, acido fluo-ridrico, biossido di zolfo), sistemidi neutralizzazione a umido, asecco o a semisecco; per diossinee mercurio, adsorbimento su car-boni attivi (sospensioni o torri diadsorbimento), sistemi catalitici

(solo per le diossine).Per il rispetto dei limiti attualistabiliti dalla normativa sononecessari diversi stadi di abbatti-mento, che lavorano in serie. L’efficienza dei sistemi di abbatti-mento rimane uno dei puntisostanziali del contenimento delleemissioni. I microinquinanti siconcentrano soprattutto nel parti-colato fine e nei vapori, e questodeve orientare la scelta tecnologi-ca e le modalità di conduzione del-l’impianto. Secondo le normative più restrit-tive, le concentrazioni di inqui-nanti nelle emissioni possonoessere contenute utilizzando lemigliori tecnologie e le appropria-te procedure di gestione: oltre aun’idonea scelta dei siti, si puòavere così una corretta compatibi-lità ambientale e igienico sanita-ria, grazie al controllo continuodelle emissioni e a rilevamentiperiodici delle immissioni.

Fiducia nel futuro

In generale, gli impianti piùnuovi, propriamente progettati egestiti, rispettano ampiamente ilimiti indicati dall’Ue e recepiti alivello nazionale. Una parte fon-damentale della valutazione delrischio è la stima dell’esposizioneumana agli inquinanti, attraversoinalazione, ingestione e assorbi-mento dermico, in vari comparti-menti ambientali (aria, acqua,suolo e dieta).Dal punto di vista ambientale eigienico sanitario, gli aspetti daconsiderare nello smaltimento deirifiuti mediante incenerimentosono i seguenti: inserimento del-l’impianto di incenerimento comeelemento di una rete integrata digestione territoriale dei rifiuti;localizzazione idonea sul territo-rio, derivata dallo studio diimpatto; rispondenza dell’impian-to alle nuove normative di setto-re; progettazione che consideril’applicazione delle Bat; ottimiz-

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gli autori

� Giuseppe Viviano� Geatano Settimo

Istituto superiore di sanità

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della conduzione e gestione del-l’impianto; attenta sorveglianzaambientale, mediante monitorag-gi o campagne ad hoc per imicroinquinanti; programmi dieducazione ambientale e sanita-ria, stimolando nella popolazioneinteressata una corretta interpre-tazione dei rischi ambientali euna maggiore consapevolezzadelle problematiche ambientali e

sanitarie connesse.Considerando le esperienze ma-turate in Paesi industrializzati,non solo europei, gli impiantiavanzati di trattamento termicodei rifiuti, che applichino le Bat eadottino procedure di gestione ot-timali e certificate, hanno un im-patto sostenibile dal punto di vi-sta sia ambientale, sia igienicosanitario.

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zazione del recupero energetico,sia termico che elettrico; utilizzodei recuperi energetici per ridurrele emissioni di inquinanti prove-nienti da altri impianti convenzio-nali; monitoraggio continuo econtrolli periodici delle emissioni,soprattutto nei primi anni di fun-zionamento dell’impianto; con-trollo costante del processo diincenerimento e ottimizzazione

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Fabrizio Bianchi Michela Franchini Nunzia Linzalone

SALUTE IN CENERE?

Gli studi epidemiologici su-gli effetti sulla salute degliinceneritori di rifiuti effet-

tuati fino agli inizi del 2000 sonostati oggetto di due estese rasse-gne bibliografiche (L. Rushton,“Health hazards and waste ma-nagement”, 2003; M. Franchini etal, “Health effects of exposure towaste incinerator emissions: a re-view of epidemiological studies”,2004). La prima rassegna, cheaveva considerato anche discari-che e altri trattamenti, poneval’attenzione soprattutto sui tumo-ri dell’apparato digerente, del fe-gato, dei reni, del pancreas e suilinfomi non-Hodgkin, per i qualierano stati riconosciuti eccessi in4 studi su 6, seppure in presenzadi dati sull’esposizione ritenutiinsufficienti dall’autore.Segnalava anche eccessi di tumo-ri dell’apparato respiratorio,dello stomaco e della pelle inalcuni studi su persone che ave-vano lavorato presso inceneritoried evidenziava una forte plausi-bilità dell’associazione con ilbasso peso alla nascita e, conun’entità minore, con le malfor-mazioni congenite.La seconda rassegna ha preso inconsiderazione 46 articoli pubbli-cati tra il 1987 e il 2003: 32 supopolazioni residenti nelle vici-nanze di impianti, 11 su lavorato-

Numerosi sono gli studi epidemiologici effettuati per valuta-re l’impatto sulla salute degli inceneritori di rifiuti, moltoeterogenei nel metodo e nei risultati. Spesso il confronto frale diverse ricerche risulta difficile, se non impossibile, acausa delle differenze dovute al contesto geografico, alle po-polazioni prese in esame, alle diverse tipologie di impianti odi rifiuti considerati. Scopo di questo lavoro è quindi forni-re un aggiornamento delle conoscenze in proposito sulla ba-se della letteratura scientifica più recente, con particolareattenzione ai biomarcatori e al biomonitoraggio ambientale.

allo studio della relazione causa-effetto, mentre quelli con disegnoanalitico erano spesso sprovvistidi un trattamento adeguato per ifattori di distorsione e di confon-dimento. Nonostante questi limi-ti, sono emersi segnali significati-vi: eccessi di casi di tumore delpolmone, linfoma non-Hodgkin,sarcoma dei tessuti molli. Risul-tati meno concordanti sono emer-si per il tumore della laringe e delfegato, malformazioni congenitee malattie acute e croniche del-l’apparato respiratorio.In alcuni casi, esposizioni a bifeni-li policlorurati (Pcb) e metallipesanti sono state associate a unariduzione degli ormoni tiroidei. Gli studi con biomarcatori di

ri, 2 su popolazione e lavoratori,uno mirato sulla mortalità pertumori e diossine nei pressi di uninceneritore. La maggior partedegli studi riguardava incenerito-ri di vecchia generazione, spessoin presenza di altre fonti di inqui-namento di tipo industriale.

Una visione d’insieme

Il confronto tra studi è risultatodifficile a causa delle differenzetra situazioni geografiche, popo-lazioni, gruppi esposti, malattie,impianti, tipologia di rifiuti,modalità di gestione. Molti studi hanno adottato dise-gni di tipo ecologico, poco adatti

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esposizione hanno confermato larelazione tra accumulo di sostan-ze nei tessuti e nei liquidi biologi-ci e sviluppo tumorale. Molti degli studi condotti su unsingolo sito non hanno evidenzia-to eccessi di rischio di media opiccola entità, in quanto dotati dibassa potenza statistica per la ri-dotta dimensione della popolazio-ne in studio.Gli studi più recenti si sono con-centrati sui livelli e i meccanismidi tossicità degli inquinanti emes-si dagli impianti di combustione esui metodi per la diagnosi preco-ce di malattia. Lo studio dell’esposizione internadi lavoratori rimane insufficiente,nonostante sia cresciuta l’atten-zione sulle concentrazioni emati-che di diossine (Pcdd/F), soprat-tutto in lavoratori di impianti dirifiuti urbani. Più scarse sono leesperienze di monitoraggio inter-no in lavoratori presso impiantidi rifiuti industriali e pericolosi.Inoltre, è utile ricordare che:

�gli studi di tossicologia am-bientale segnalano come inqui-nanti più rilevanti per la saluteumana emessi da inceneritori ilcadmio, l’arsenico, il cromo, il ni-chel, Pcdd/F e Pcb, polveri, aero-sol e gas acidi

�gli effetti tossici o cancerogeniper esposizione a dosi elevate dimetalli e composti organici sonodefiniti sulla base di studi su ani-mali o eventi accidentali che coin-volgono l’uomo (la tossicità èspesso accertata anche per espo-sizioni lavorative)

�a concentrazioni ambientali,polveri e gas acidi sono causa diincrementi di morbosità e morta-lità per patologie non tumorali(sintomi respiratori e malforma-zioni congenite), specialmente ingruppi suscettibili

�diossine e Pcb sono di grandeimportanza per il loro accumulo

in grassi e tessuti e destanopreoccupazione tra i lavoratori, ingruppi di popolazione residentivicino agli impianti e anche nellapopolazione generale, per esposi-zioni a livelli di fondo non cono-sciuti o talvolta risultati elevatida campionamenti spot

�effetti associati a esposizioniad alte dosi di idrocarburi polici-clici aromatici (Ipa) e diossine,sostanze riconosciute come geno-tossici ambientali e perturbatoriendocrini, non sono facilmenteestrapolabili a livelli moderati ebassi, elemento che indirizza auna maggiore ricerca sul tema.

Scopo di questo lavoro è aggior-nare le conoscenze sulla base del-la letteratura scientifica pubblica-ta negli ultimi tre anni, con parti-colare attenzione ai biomarcatorie al biomonitoraggio ambientale.

Nuovi metodi, studi nuovi

La ricerca in rete dei lavori scien-tifici è stata effettuata tramiteMedline tra il 1 gennaio 2003 e il31 marzo 2006. Gli articoli sonostati suddivisi secondo l’esposi-zione ambientale, lavorativa o sti-mata attraverso modelli di calcoloe di dispersione degli inquinanti. La letteratura è molto eterogeneaper tipo di approccio al problemadella contaminazione o della pro-duzione di emissioni e secondo l’u-so di nuovi strumenti d’indagine.La principale diversità degli studidi ultima generazione si osservanella definizione dell’outcome,per effetto della proliferazionedell’uso di biomarcatori per sti-mare l’esposizione individualetramite la valutazione di doseinterna o di risposta biologicaindividuale. Tra gli effetti valutati rientranogli esiti sanitari classici (morta-lità, morbosità, malformazioni,sintomi autoriferiti, ecc), a cui siaggiungono gli effetti sanitari

precoci, (alterazioni biochimiche,morfologiche o funzionali). Sonosempre più numerosi e complessigli studi sulla suscettibilità indi-viduale agli xenobiotici (sostanzeestranee, farmaci compresi), va-lutata attraverso marcatori dipredisposizione genetica. La stima del carico corporeo diun individuo adulto (body burden)e della dose giornaliera assuntaattraverso varie vie (daily intake)è sempre più usata per stimare irischi efficaci per la salutemediante i livelli interni di alcunicontaminanti, come per esempiola diossina e i suoi derivati. Il vantaggio principale è la possi-bilità di valutare la presenza ol’effetto di una o più sostanze percui esiste un indicatore biologico,caratterizzato in termini di valoridi riferimento, fattori confonden-ti, variabilità biologica, sensibi-lità e specificità clinica, relazionedose-risposta. In proposito, moltistudi recenti si sono occupatidella validazione di indicatoribiologici, con l’obiettivo di ridur-re i dosaggi, i costi e l’invasivitàdel campionamento.

Esposizioni pericolose

In un impianto di incenerimento,sono fonti di inquinamento sia ilprocesso di combustione, checoncentra nei residui (polveri,ceneri e scorie) i metalli contenu-ti nei rifiuti (specialmente piom-bo, manganese, cadmio, cromo emercurio), sia la combustioneincompleta, che produce numero-si composti organici pericolosi(aldeidi, idrocarburi clorurati,Pcdd/F), che si disperdono legatia polveri o come composti orga-nici volatili (Cov).I principali problemi per la saluteassociati all’esposizione a mi-croinquinanti sono malattie respi-ratorie (Cov), tumori (metalli, Ipa,aldeidi), effetti genotossici e im-munotossici (diossine), stress os-sidativo della cellula (diossine e

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Ipa), disturbi endocrini.Oltre alle misure dirette dei livel-li di esposizione di chi lavora inun inceneritore, gli studi recentihanno dato indicazioni sui princi-pali rischi all’interno dell’impian-to, identificando mansioni e com-parti più a rischio e tecniche mi-gliori per la protezione ambienta-le e individuale. In Corea, tre studi sui lavoratoridi un impianto hanno valutato l’e-sposizione attraverso l’analisi didiverse matrici, con particolare at-tenzione al monitoraggio di dios-sine e Ipa in ambienti interni edell’aria respirata misurata trami-te dispositivi personali. Rispettoalla popolazione generale, i livellidi diossine sono risultati superio-ri di 100 volte, mentre il comples-so degli Ipa inalati è stato di 10volte superiore rispetto a ungruppo di confronto anch’essoesposto (addetti alle ispezioni del-le emissioni di automobili). I risul-tati sono stati confermati dall’ana-lisi dei metaboliti urinari 1-idros-sipirene (1-Ohp) e 2-naftolo, osser-vati anche in associazione col fu-mo di sigaretta (2-naftolo). Tra glieffetti sanitari precoci sono statirilevati danni al Dna, tossicità peril sistema immunitario, riduzioniqualitative e quantitative dellosperma, attivazione della rispostagenica allo stress ossidativo.Altri studi hanno rilevato concen-trazioni ematiche di diossine ePcb più basse rispetto alla popo-lazione generale, ma livelli piùelevati di esposizione a difenilete-ri polibromurati (Pbde).Gli autori non hanno osservatodifferenze di concentrazione delmetabolita urinario 1-idrossipire-ne glucuronide (1-Ohpg) in unintervallo di tempo di 8 ore, ana-logamente ad altri metabolitiorganici e inorganici, mentre adeterminare l’aumento di 1-Ohpgsarebbe stata la presenza delgenotipo GSTM1-negativo. Le concentrazioni di metabolitiurinari appaiono al di sotto deivalori di biological exposure index

ammessi in ambito lavorativo inFrancia e confrontabili con i valo-ri della popolazione generale inuno studio spagnolo. Uno studiocondotto in Giappone ha indivi-duato un’importante correlazionetra le concentrazioni di diossinemisurate nel plasma dei lavorato-ri e l’aumento di Rna messaggerodel gene CYP1B1 in risposta all’e-sposizione a diossine.Nei capelli dei lavoratori di unimpianto giapponese i livelli didiossine e Pcb sono risultati mol-to più alti rispetto alla popolazio-ne generale. Altri due studi han-no riportato un aumento di meta-boliti urinari nelle persone espo-ste più a lungo a ceneri sospese,in particolare 8-idrossi-2’-deossi-guanosina (8-OH-dG). Anche perle concentrazioni di piombo nelsangue si è osservata una relazio-ne crescente con la durata dell’at-tività lavorativa.Diversi studi contribuiscono adefinire mansioni particolarmen-te a rischio. In particolare sonostati osservati: maggiore presen-za di Pcdd nei capelli di addettialla camera di combustione; ele-vati valori di particolato e metallinell’atmosfera durante le opera-zioni di pulizia, trasferimento estoccaggio dei residui; eccessi disintomi respiratori e dermatologi-ci e alti livelli di piombo nel san-gue fra gli addetti alle operazionidi manutenzione e trattamentodegli effluenti; maggiori concen-trazioni di diossine nel sangueper chi è a contatto con le ceneri.A questo proposito, è significati-va la differenza di concentrazioniambientali indoor misuratadurante operazioni giornaliere edi manutenzione, o tra diversimetodi di pulitura della cameradi combustione.

Dimmi dove vivi e…

Il monitoraggio delle concentra-zioni interne di composti tossici emetaboliti (nel sangue Pcdd/F,

nelle urine 8-OH-dG e malondial-deide, Mda) suggerisce che i livel-li di esposizione della popolazio-ne residente sono confrontabilicon quelli dei lavoratori nel casodi trattamento di rifiuti urbani,ma sono generalmente superioriper chi risiede nei pressi di ince-neritori di rifiuti pericolosi.Anche la stima di body burden edaily intake risente di un caricoinquinante maggiore per le preso-ne residenti presso inceneritori dirifiuti pericolosi.Diversamente, in un programmadi monitoraggio condotto in Spa-gna, il rischio associato all’espo-sizione a diossine prodotte da uninceneritore di rifiuti pericolosi,misurate all’interno di plasma,latte, tessuto adiposo, biopsie ecapelli, è risultato ridotto per lapopolazione residente in prossi-mità dell’impianto rispetto ai va-lori di riferimento, rilevati tre an-ni prima dell’inizio dell’attività.Tuttavia, il monitoraggio dell’as-sunzione giornaliera di Pcdd/Fcon la dieta nella stessa popola-zione ha registrato nello stessoperiodo una notevole riduzione.Non è stata rilevata alcuna corre-lazione tra le concentrazioni at-mosferiche di diossine emesse daun inceneritore di rifiuti urbani(stimate tramite un complessomodello di dispersione) e il livellomisurato nel siero, mentre c’è unacorrelazione con l’età avanzata eil sesso femminile.Interessante è il comportamentodelle concentrazioni di diossine ePcb nel sangue quando la misuraavviene in un ampio intervallo ditempo: nell’arco di sette mesi, neisoggetti con maggiore variazionedi risposta, si osservano livellipiù che raddoppiati rispetto alvalore minimo registrato.Per quanto riguarda gli effettisulla riproduzione, si è rilevatoun aumento delle nascite gemella-ri (1,4-1,6/100 rispetto a 0,8/100nell’area di riferimento), anche setalvolta erano presenti altre fontidi inquinamento industriale. Lo

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stesso problema si è posto in unostudio condotto in Inghilterra, incui è stato osservato un aumentodel rischio di alcune malforma-zioni congenite fra i residenti vici-no a un inceneritore (spina bifida,Or: 1,17; difetti cardiaci, Or: 1,12).Diversamente, in uno studio fran-cese condotto fra i residenti pres-so 70 inceneritori per rifiuti solidiurbani, in cui a ciascuna comu-nità era stato attribuito un indicedi esposizione basato sulla stimadelle emissioni e sugli anni diattività di ciascun impianto, duetipi di malformazioni congenitesono risultate significativamentepiù frequenti negli esposti: schisiorali (Or: 1,32) e displasie renali(Or: 1,58). Per le malattie congeni-te del sistema urinario è emersauna relazione dose-risposta, maanche un’associazione con la vici-nanza dell’abitazione a stradealtamente trafficate. Sulla basedell’analisi tecnica degli impianti,gli autori hanno concluso chealcuni degli effetti osservati pos-sono essere dovuti alla presenzadi impianti vecchi.Diversi eventi riproduttivi (rap-porto tra sessi, basso peso, mortefetale, neonatale e infantile) nonrisultano associati alla residenzamaterna entro 10 km dall’impian-to, anche se per la mortalità infan-tile è stato osservato un declino si-gnificativo del rischio all’aumen-tare della distanza dalla sorgente.Tra i tumori, l’incidenza di sarco-ma dei tessuti molli e la mortalitàper linfomi sono state associatealla residenza vicino a un incene-ritore, sulla base degli eccessi dirischio osservati nello spazio enel tempo. Nel primo, effettuato aMantova, è stato stimato un ec-cesso di rischio di 1,34 (p<0,05)per i sarcomi dei tessuti molli,corretto per età e sesso (5 casiesposti entro 2 km), con profilodecrescente all’aumentare delladistanza. Nel secondo, effettuatosulla mortalità nel comune diCampi Bisenzio (Firenze), interes-sato dall’attività dell’inceneritore

di San Donnino fino al 1986, è sta-to osservato un eccessodell’84,2% (p<0,05) di decessi perlinfoma non-Hodgkin tra il 1988 eil 1992 (14 maschi osservati ri-spetto a 7,6 attesi). Questi studisono utili per formulare ipotesi dirischio per l’associazione tra pa-tologie e contaminanti emessi (co-me per esempio le diossine), dalmomento che non ci sono datiambientali o biologici di monito-raggio, né informazioni per l’ag-giustamento dei principaliconfondenti (altre sorgenti, occu-pazione, stato socioeconomico). Alcuni studi condotti in aree arischio di crisi ambientale per lapresenza di varie fonti di conta-minazione hanno confermatol’aumento della mortalità percause tumorali e non (malattierespiratorie o dell’apparato dige-rente, cirrosi).

Un aiuto dalla matematica

Per stimare le concentrazioni disostanze tossiche (Pcdd/F e Pcb)nelle matrici ambientali e neglialimenti e la loro variazione tem-porale e spaziale nella popolazio-ne sono stati utilizzati diversimodelli matematici. Per la valida-zione del modello applicato sonostati effettuati confronti conmisurazioni reali o analisi diincertezza e sensibilità.Da uno studio sulla popolazionegiapponese è emerso che nel corsodei decenni la principale sorgentedi contaminazione per le diossine,causa dell’incremento di daily in-take e body burden, è passata daipesticidi, a partire dagli anni Ses-santa, agli inceneritori, nello scor-so decennio. Per la generazione didonne nate negli anni Novanta èstato stimato un rischio di disfun-zioni riproduttive di circa 2,5 vol-te inferiore rispetto a quelle natenegli anni Cinquanta.In un altro studio, in cui la conta-minazione da inceneritore rappre-sentava circa un centesimo della

dose giornaliera tollerabile, l’im-patto risultava maggiore fra ibambini allattati al seno.Sul piano metodologico, un con-fronto effettuato tra stima direttadell’esposizione individuale e sti-ma indiretta offre notevoli indica-zioni. Nel primo caso la sommadella contaminazione tramitecontatto con matrici ambientali ealimentazione sottostima di bendue volte la dose giornaliera cal-colata attraverso il body burden.Nel secondo caso, l’esposizionemisurata indirettamente (nel lattee nel sangue) nei lavoratori è su-periore rispetto alla popolazionegenerale, anche se l’entità del ri-schio cancerogeno e di disfunzio-ne riproduttiva è paragonabile. Ilgruppo che si conferma a mag-gior rischio è quello dei bambini.In uno studio effettuato in Belgioper valutare il contributo di Pcbemesso da un inceneritore di rifiu-ti urbani sulla contaminazione inun’area industriale, il confrontocon altre fonti ha mostrato unruolo minore dell’inceneritore.Analogamente, l’assunzione perinalazione stimata (nelle peggioricondizioni di emissione) si è con-fermata minima rispetto a quellaattraverso l’ingestione di alimenti.

I trend degli studi

Negli anni recenti, la maggiorparte degli studi epidemiologiciha avuto come obiettivo principa-le la valutazione dell’esposizioneindividuale attraverso l’uso di bio-marcatori e lo studio delle relazio-ni tra concentrazioni esterne, doseinterna assorbita e danni precoci.Gli indicatori di danno precocesono stati rilevati in termini digenotossicità, alterata espressionegenica o proteica, oppure in basealle conseguenze su alcuni organibersaglio. A queste valutazioni si associaspesso una misura dei livelli am-bientali dei principali inquinanti(aria respirata, misure atmosferi-

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che all’interno e all’esterno del-l’impianto). Queste indagini sonostate effettuate prevalentementein ambito lavorativo, tuttavia so-no sempre più numerose anche supopolazioni residenti per definireil livello di contaminazione di fon-do, l’andamento temporale o il ca-rico corporeo in determinati sce-nari di contaminazione. Sono diminuiti gli studi di tipo“tradizionale” sulla stima del ri-schio per la salute, riservati ora-mai prevalentemente alle esposi-zioni residenziali. Gli studi sui la-voratori sostanzialmente concor-dano nell’individuare categorie arischio per il tipo di attività svol-ta, o a causa di mancato adegua-mento normativo dell’impianto. Anche la durata di lavoro in man-sioni più esposte risulta associataa incrementi di metaboliti misu-rati nel sangue e nelle urine, pre-cursori di malattie immunitarie,tumori o danni al Dna. In gruppi a rischio è stata descrit-ta una riduzione della funzionalitàpolmonare e un aumento di sinto-mi respiratori. Gli studi su popo-lazioni residenti offrono risultatimeno consistenti, sia a causa deilimiti degli studi epidemiologicitradizionali, sia per lo scarsonumero di studi con un’adeguatavalutazione dell’esposizione. Le aree industriali con incenerito-ri e altre sorgenti sono associate aun rischio maggiore di nascitegemellari, malformazioni conge-nite e tumori (soprattutto linfoma

non-Hodgkin e sarcoma dei tessu-ti molli), con eccessi di rischiosignificativi nello spazio e neltempo per le neoplasie.Per quanto riguarda le misuredell’esposizione, sono stati ripor-tati livelli più elevati in prossi-mità degli impianti di trattamen-to dei rifiuti pericolosi piuttostoche di quelli urbani.Alcuni autori suggeriscono l’usodella stima del carico corporeoper individuare, nella popolazio-ne, il livello corrente di esposizio-ne, per sesso e fasce di età.

Il futuro è nei bioindicatori

In sintesi, per le esposizioni ditipo lavorativo sono stati prodottibuoni risultati per molti fattori dirischio che possono essere affron-tati con misure di prevenzione. Inalcuni casi, sia il monitoraggiodelle emissioni nell’atmosfera, siale misure di marcatori individualisegnalano un minor contributoalla contaminazione ambientaledegli impianti moderni e control-lati rispetto a quelli di primagenerazione. Più deboli sono state le valutazio-ni sull’impatto del trasferimentoe della gestione dei rifiuti, ancheconsiderando che le misure effet-tuate nei comparti di raccoltadelle ceneri e sul particolatodisperso (metalli adesi, gas acidi,Cov, Ipa, ecc) indicano queste atti-vità tra quelle a maggior rischioper la salute.Anche nelle indagini sui residentisono stati apportati miglioramen-ti della definizione dell’esposizio-ne e del controllo dei fattoriconfondenti. Lo studio dei polimorfismi gene-tici nella popolazione è fonda-mentale per accrescere le cono-scenze sulla suscettibilità allemalattie croniche. Gli studi su popolazioni residentiin aree con diverse fonti di inqui-namento hanno portato provecrescenti degli effetti avversi di

salute, per quanto in questi conte-sti sia più difficile l’attribuzionedi outcome specifici a fonti o com-posti precisi. La priorità generale rimane per-ciò aumentare le conoscenze suimeccanismi biologici attraversocui l’esposizione a una certasostanza altera determinate con-dizioni metaboliche e funzionali eproduce malattia, per sviluppareindicatori e misure preventive ediagnostiche.L’incenerimento e le attività asso-ciate al ciclo dei rifiuti comporta-no rischi per l’ambiente e per lasalute. Nonostante i progressi tec-nologici nel trattamento dei rifiuti(conferimento in discarica, com-bustione, ecc), gli inquinanti pro-dotti, per quanto scarsi, continua-no a destare preoccupazione, so-prattutto per la loro pericolositàintrinseca (bassa biodegradabi-liità, elevata bioaccumulabilità).Oltre a un diverso approccio alciclo dei rifiuti, l’adozione di tec-nologie avanzate, insieme abuone pratiche di gestione e con-trollo, sono fondamentali perminimizzare i rischi per l’ambien-te e la salute. L’identificazione dei rischi (tossi-ci, teratogeni, cancerogeni, di per-turbazione endocrina) per lapopolazione generale e per grup-pi vulnerabili è un’attività com-plessa, che può trarre beneficioda nuovi strumenti d’indagine edi misura. Il miglioramento nelladefinizione dell’esposizione permezzo di misure individuali, ilcontrollo di potenziali confonden-ti e l’utilizzo di disegni di studiopiù evoluti delineano possibilitàdi sviluppo promettenti.L’epidemiologia ambientale puòdare un contributo rilevante allostudio delle cause di malattie cor-relate all’ambiente e alla sorve-glianza su ambiente e salute. Allostesso modo, indagini di valuta-zione preventiva d’impatto sullasalute potranno risultare fonda-mentali per l’effettiva prevenzio-ne primaria.

gli autori

� Fabrizio Bianchi 1, 2

� Michela Franchini 3, 1

� Nunzia Linzalone 11 Sezione di epidemiologia,

Istituto di fisiologia clinica,Cnr, Pisa

2 Osservatorio di epidemiologia,Agenzia regionale di sanitàdella Toscana, Firenze

3 Unità operativa di epidemiolo-gia, Azienda Usl, Empoli

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VIVERE VICINO AGLI INCENERITORI:

LE ESPERIENZE ITALIANE

Andrea Ranzi

Negli ultimi anni è cresciutoin Italia il numero di auto-rizzazioni a costruire nuovi

impianti o ad ampliare quelli esi-stenti: secondo il Rapporto sui ri-fiuti dell’Agenzia per la protezio-ne dell’ambiente e per i servizitecnici (Apat) e dell’Organizzazio-ne nazionale rifiuti (Onr), sono 51attualmente gli impianti di ince-nerimento rifiuti. Di conseguen-za, è aumentata anche la preoccu-pazione per gli effetti sanitari del-l’inquinamento provocato da que-sti impianti. Da qui la necessità divalutare lo stato di salute dellepopolazioni interessate. Si posso-no così acquisire le conoscenze fi-nalizzate agli interventi, con im-portanti risvolti sociali e politici alivello locale.In termini di valutazione della sa-lute pubblica, secondo il concettosviluppato dall’Agency for ToxicSubstances and Disease Registry(Atsdr), la presenza crescente diquesti impianti comporta una se-rie di valutazioni dettate da do-mande di tipo ordinario (informa-zioni di routine sullo stato di salu-te) o straordinario (risposta alleemergenze).In un’indagine sugli effetti sanita-ri degli impianti di incenerimen-to, il primo livello di azione èquello di carattere scientifico, incui si discute di temi come la defi-

Oggi in Italia sono ben 51 gli inceneritori di rifiuti.Parallelamente all’aumento del loro numero, è anche cre-sciuta la sensibilità nei confronti dei problemi ambientali esanitari legati alle emissioni. Di conseguenza sono sempre dipiù gli studi sulla salute della popolazione esposta, articola-ti in tre livelli: quello scientifico, quello sulla comunicazio-ne del rischio e quello politico-sociale. In questa sezione sono approfondite in particolare le espe-rienze degli inceneritori presenti nelle aree urbane diTrieste, Roma, Mantova, Firenze e Forlì.

che lascia certamente trasparireuna forte potenzialità del proces-so comunicativo.Il terzo livello dell’azione è quellopolitico sociale, che richiedeun’integrazione con i due prece-denti per fornire strumenti ade-guati nei processi decisionali.Le indagini epidemiologiche svol-te, o in fase di definizione, sul ter-ritorio nazionale sono numerose e

nizione dell’esposizione dellapopolazione interessata, l’indivi-duazione e monitoraggio degliinquinanti emessi dagli inceneri-tori, la scelta dello studio epide-miologico più adatto, che si rive-lano cruciali per un efficace pro-cesso di risk assessment.Un secondo livello riguarda lacomunicazione sul rischio, che inquesto contesto assume una rile-vanza fondamentale nel passag-gio delle informazioni e dei risul-tati scientifici ai decisori e allapopolazione. Basti pensare allavarietà dei termini con i qualiviene definito un inceneritore dirifiuti: inceneritore, termovaloriz-zatore, termodistruttore, termou-tilizzatore. Uno sforzo semantico

Dossier

numero 67 • dossier inceneritori

l’autore

� Andrea RanziArpa Emilia Romagna,Struttura tematica di epidemiologia ambientale

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per ragioni di spazio non è possi-bile riportarle per esteso. Peral-tro, in questa sede non si farà unarassegna bibliografica degli studisugli effetti sulla salute dell’espo-sizione all’inquinamento da ince-neritori (per questo si rimanda alcontributo di Fabrizio Bianchi ecollaboratori presente in questostesso dossier), ma presentare al-cuni dei contributi italiani che, insituazioni e realtà diverse, hanno

cercato di rispondere nel modomigliore ai quesiti evidenziati nel-la premessa iniziale del dossier. Sitratta di indagini sul campo voltea fornire strumenti conoscitivi edi riferimento alle autorità sanita-rie e alle popolazioni, per contri-buire alla valutazione del rischioe ai processi decisionali collegati.Questi contributi offrono esempidiversi di richieste e di approcci divalutazione del rischio di questi

impianti per la salute pubblica: darisposte a preoccupazioni manife-state dalla comunità residente aun’indagine successiva alla se-gnalazione di incidenze anomaledi determinate patologie, dalla va-lutazione “pre-impianto” di impat-to ambientale e sanitario orienta-to alle decisioni a un approccio in-tegrato per la sorveglianza dellapopolazione residente in prossi-mità degli inceneritori.

dossier inceneritori • numero 67

Inquinamento e tumore al polmone nell’area di Trieste

Fabio Barbone, Massimo Bovenzi, Furio Cavalieri, Giorgio Stanta

Questo studio caso-controllocondotto a Trieste aveval’obiettivo di valutare la

possibile relazione tra inquina-mento nell’area di residenza e tu-more polmonare. I casi erano 755soggetti maschi, deceduti nellaprovincia di Trieste per un cancrodel polmone istologicamente con-fermato, tra il 1979 e il 1983 e trail 1985 e il 1986. Come controllisono stati selezionati dei soggettideceduti a loro volta, ma non pertumore del polmone, né per ma-lattie croniche dei polmoni, can-cro delle prime vie aeree e digesti-ve, del tratto urinario, pancreas,fegato e apparato digerente. Tuttii controlli sono stati appaiati indi-vidualmente ai casi per età e datadel decesso. Le informazioni sonostate raccolte dai parenti prossi-mi mediante un questionariostrutturato, somministrato per te-lefono tra 1 e 3 anni dopo la mor-te dei soggetti, casi e controlli.Oggetto del questionario erano,oltre alle caratteristiche demogra-fiche, l’abitudine al fumo, la sto-ria occupazionale e l’ultimo luogo

di residenza (la popolazione trie-stina era poco mobile e per que-sto non è stata indagata la storiaresidenziale completa). Per ognisoggetto sono state calcolate ladistanza tra residenza e piazzaprincipale del centro cittadino equella tra residenza e ciascunadelle tre principali aree industria-li di Trieste (cantiere navale, fer-riera e inceneritore). In base ai de-cili di queste distanze, sono statedefinite cinque aree geografiche:centro, zona industriale, area mi-sta, periferia e area rurale. La zo-na industriale è stata ulterior-mente divisa in tre sottoaree: can-tiere, ferriera e inceneritore.Dall’analisi di regressione logisti-ca multivariata, che includevatermini per età, fumo di sigaretta,esposizione a carcinogeni occupa-zionali e gruppo socioeconomico,la residenza nell’area industrialecomportava, rispetto all’areaperiferica, un aumento del rischiodi tumore del polmone del 40%(rischio relativo, Rr: 1,4; Ic 95%:1,0-2,1). Per quanto riguarda inparticolare la sottoarea dell’ince-

neritore, il rischio era aumentatodi 2,6 volte (Ic 95%: 1,3-5,1). Il Rrassociato alla residenza nell’areadell’inceneritore rispetto a quellaperiferica era particolarmenteelevato per alcuni tipi di tumorepolmonare: il Rr era 2,4 nel casodel carcinoma squamoso (Ic 95%:1,0-5,9) e 3,7 nel caso dell’adeno-carcinoma (Ic 95%: 1,4-9,2).

gli autori

� Fabio BarboneCattedra di igiene ed epidemio-logia, Dipartimento di patologiae medicina sperimentale e clinica, Università di Udine

� Massimo BovenziIstituto di medicina del lavoro,Università di Trieste

� Furio CavalieriMedico di medicina generale,Trieste

� Giorgio StantaUnità clinica operativa di anato-mia patologica, Università diTrieste

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In risposta alle preoccupazionimanifestate dalla comunità re-sidente sui possibili rischi per

la salute legati agli impianti indu-striali e di smaltimento dei rifiuti,sono stati condotti diversi studiepidemiologici nell’area di Mala-grotta, localizzata nella periferiasudoccidentale di Roma. In que-st’area sono presenti una raffine-ria di prodotti petroliferi in fun-zione dal 1965, un impianto di in-cenerimento per rifiuti solidi ur-bani, rimasto attivo dal 1962 al1985, un impianto di inceneri-mento per rifiuti ospedalieri atti-vo dal 1962 e una discarica di ri-fiuti urbani, tra le più grandi inEuropa, in uso dagli anni Sessan-ta. Gli inquinanti provenienti dal-le emissioni di questi impianti so-no di varia natura e rappresenta-no un rischio potenziale per l’am-biente e per i residenti dell’areacircostante. Negli ultimi anni sono state effet-tuate quattro indagini epidemio-logiche sullo stato di salute dellapopolazione residente, dei lavora-tori della raffineria e di quelli ad-detti agli inceneritori.Il primo è uno studio di mortalitàcondotto fra la popolazione resi-dente per il periodo 1987-1993,rispetto alla popolazione di Romanello stesso periodo. Sono staticalcolati i rapporti standardizzatidi mortalità (Smr), specifici percausa di morte e per aree concen-triche, distanti rispettivamente 3,5, 8 e 10 km dagli impianti. Non sisono osservate variazioni signifi-cative nella mortalità totale, néper le cause tumorali considerate

nel complesso. Tra gli uomini si èregistrato un aumento del tumoredella laringe proporzionale alladistanza dagli impianti, che, seb-bene non statisticamente signifi-cativo, suggerisce un possibileruolo delle emissioni inquinanti.Un aggiornamento al periodo1994-2000 ha rilevato un eccessosignificativo di infarti e di malat-tie ischemiche nelle donne resi-denti entro 3 km dagli impianti edi tumore del colon-retto tra leresidenti entro 5 km. Non si sonoosservati altri eccessi di mortalitànel periodo più recente.Il secondo è uno studio suglieventi legati alla nascita della po-polazione residente a Malagrottanel periodo 1982-1991, per valuta-re eventuali problemi riproduttiviassociati. Gli indicatori perinatali relativi ainati residenti nell’area sono staticonfrontati con quelli dei neonatiresidenti nel Lazio nel 1987. Nonsono state osservate anomalie intermini di nascite e mortalità in-fantile nell’area in studio. È statoregistrato un rapporto tra i sessialla nascita inferiore all’atteso nelperiodo 1982-1985 e un tasso diparti plurimi superiore a quelloregionale nel periodo 1986-1991.La rilevanza biologica di questeosservazioni, che comunque nonhanno significato patologico, re-sta ancora da chiarire.Il terzo è uno studio di mortalitàdei lavoratori della raffineria diRoma, in servizio dall’inizio del-l’attività degli impianti fino allafine del 1992 e successivamenteaggiornato al 1996. Sono stati cal-

colati i rapporti standardizzati dimortalità, specifici per causa dimorte e sesso, come rapporto tranumero di decessi osservati eattesi sulla base dei tassi di mor-talità regionale. Dall’analisi dellamortalità per tutti i tumori sonoemersi rischi di mortalità più ele-vati rispetto alla popolazionegenerale per alcuni tumori, inparticolare per quelli della vesci-ca, del polmone e per i tumoribenigni e non specificati del cer-vello, che potrebbero essere asso-ciati a esposizioni professionali.La mortalità per malattie cardio-vascolari è invece risultata signi-ficativamente inferiore all’atteso,suggerendo l’esistenza di un forte“effetto lavoratore sano”.Il quarto è uno studio di mortalitàfra i lavoratori addetti all’impian-to di smaltimento, riciclaggio eincenerimento dei rifiuti di PonteMalnome, in servizio dall’iniziodell’attività degli impianti finoalla fine del 1992. Sono stati calcolati i rapportistandardizzati di mortalità, speci-fici per causa di morte, come rap-porto tra numero di decessi osser-vati e attesi sulla base dei tassi dimortalità regionale.

Dossier inceneritori

numero 67 • dossier inceneritori

Indagini epidemiologiche nell’area di Malagrotta a Roma

Valerio Fano, Francesco Forastiere, Carlo Perucci

gli autori

� Valerio Fano� Francesco Forastiere� Carlo Perucci

Dipartimento di epidemiologia,Asl Roma E, Roma

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La mortalità generale e per i tu-mori è risultata uguale all’atteso. È stato osservato, invece, uneccesso di rischio per tumoredello stomaco compatibile con uneffetto dell’esposizione professio-nale, in accordo con altri dati di

fenili clorurati (Pcb), policlorotri-fenili (Pct), naftaleni policlorurati(Pcn), idrocarburi policiclici aro-matici (Ipa), acido fluoridrico(HF) e acido bromidrico (HBr),acido cloridrico (HCl) e compostiorganici totali (Cot).Lo studio ha preso in esame tuttii casi di Stm diagnosticati nel de-cennio 1989-1998 nella popolazio-ne residente nel comune di Man-tova e nei tre comuni limitrofi diRoncoferraro, Virgilio e San Gior-gio. I casi sono stati individuatiattraverso ricerche svolte negliarchivi degli Istituti e Servizi dianatomia patologica della Lom-bardia e di parti dell’Emilia Ro-magna e del Veneto. Inoltre, per laLombardia è stato consultato l’ar-chivio delle schede di dimissioneospedaliera. I controlli sono statiestratti in maniera casuale dallapopolazione dei quattro comuni,garantendo la comparabilità con icasi per età e sesso. È stato cosìcalcolato il rischio di Stm in fun-zione della distanza della residen-za dall’inceneritore dei rifiuti in-dustriali, con anelli del raggio diun chilometro. Per residenza si èintesa quella più lunga dal 1960,dopo aver rimosso gli ultimi 10anni prima della diagnosi (per icasi) o prima del reclutamento

(per i controlli).Lo studio ha così incluso 37 casidi Stm e 171 controlli.L’odds ratio (Or) associato con laresidenza all’interno di un cerchiodi 2 km intorno all’inceneritore èrisultato di 31,4 (Ic 95%: 5,6-176,1), basato su 5 casi esposti.All’aumentare della distanza, ilrischio decade rapidamente, flut-tuando intorno al valore nullo di1. Se dai 5 casi si esclude il sog-getto che ha lavorato per alcunianni nel polo chimico, si ha unpiccolo decremento del rischio,che rimane ugualmente significa-tivo: Or 25,1 (Ic 95%: 4,2-150,8).

dossier inceneritori • numero 67

letteratura. In conclusione, nonemerge una compromissionedello stato di salute della popola-zione dell’area in studio, con lasola eccezione dell’aumento deitumori laringei. I risultati che riguardano i lavora-

tori dell’inceneritore e della raffi-neria sono compatibili con uneffetto nocivo dell’esposizioneprofessionale nel ciclo dei rifiuti enella raffinazione del petrolio.

Studio caso-controllo sui sarcomidei tessuti molli nell’area mantovana

Pietro Comba

l’autore

� Pietro CombaDipartimento di ambiente e con-nessa prevenzione primaria,Istituto superiore di sanità,Roma

Aseguito della segnalazionedi un medico di medicinagenerale relativa a un’ano-

mala incidenza di sarcomi dei tes-suti molli (Stm) fra i suoi assistiti,residenti in massima parte in zo-ne vicine al polo chimico di Man-tova, il ministero della Salute e laRegione Lombardia hanno richie-sto all’Istituto superiore di sanitàe alla Asl di Mantova di condurreun’indagine epidemiologica sul-l’incidenza di questo tipo di can-cro nell’area segnalata. È statoquindi condotto uno studio caso-controllo finalizzato a stimare ilrischio associato alla residenza inprossimità del polo industriale.Complessivamente, nell’area in-dustriale sono presenti tre centra-li termoelettriche, tre discaricheper rifiuti tossici e un inceneritoreper rifiuti industriali e sanitari. Ilcensimento dei principali caminiindustriali di Mantova ha mostra-to che il camino dell’inceneritorepoteva emettere anidride solfori-ca (SO2), polveri di monossido dicarbonio (CO), anidride carbonica(CO2), piombo, cadmio, mercurio,anidride fosforica (P2O5), acidocianidrico (HCN), diossina (Tcdd)e tetraclorodibenzofurani (Tcdf),policlorodibenzodiossine (Pcd) epoliclorodibenzofurani (Pcdf), bi-

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Nel 2002, la Provincia di Fi-renze ha incaricato l’Agen-zia regionale di sanità della

Toscana di effettuare una valuta-zione di impatto di salute (Vis) diun inceneritore per rifiuti solidiurbani, di cui il Piano provincialerifiuti prevedeva la localizzazionea ovest della città di Firenze, inlocalità Osmannoro, nel Comunedi Campi Bisenzio (sito A). Lo scopo dello studio era quellodi fornire maggiori elementi perla presa di decisioni. Nel corsodello studio sono anche state ag-giunte due ipotesi alternative allalocalizzazione iniziale: localitàPonte di Maccione, nel Comune diCampi Bisenzio (sito B) e CasePasserini, nel Comune di SestoFiorentino (sito C).La Vis è stata effettuata adottan-do i modelli di riferimento svilup-pati in Canada e Gran Bretagna.Durante la fase preliminare discreening sono state consideratetutte le cause di morte e di ricove-ro e le nascite con malformazionicongenite dei residenti nei tre Co-muni tra il 1996 e il 1999. Inoltre, è stato effettuato uno stu-dio di impatto ambientale (Sia)per valutare l’inquinamento intermini di valori medi annuali edi picco, e consentire stime di sce-nari futuri con un inceneritore.Sulla base dei risultati è stata de-finita un’area di studio circolaredi 2,5 km di raggio, centrata sulsito di prevista localizzazione, cheincludeva porzioni di territorio ditre Comuni (Firenze, Campi Bi-senzio e Sesto Fiorentino), con cir-ca 100.000 abitanti e residenti.

Nella fase valutativa, lo studioepidemiologico dettagliato haselezionato alcune cause di mor-talità e ricovero fra i residenti.Eventi e popolazione residentesono stati georeferenziati e map-pati mediante sistemi informativigeografici (Gis).Per le valutazioni epidemiologi-che sono stati calcolati rapportistandardizzati di mortalità emorbosità (Rsm) usando stan-dard relativi alla provincia di Fi-renze. In 36 sottoaree di formaquadrata con 1,5 km di lato l’ana-lisi è stata effettuata ricorrendo arapporti bayesiani di tipo gerar-chico. Per l’identificazione di ad-densamenti anomali di eventi èstata effettuata un’analisi con ilmetodo di Kulldorff.Durante la fase di screening, seb-bene mortalità e morbosità gene-rale siano risultate allineate o ad-dirittura inferiori allo standardper quasi tutte le cause, sonoemersi alcuni eccessi statistica-mente significativi per tumorepolmonare, linfoma non-Hodgkine alcune malformazioni congenite.Durante la fase valutativa, lapopolazione residente (N) entro2,5 km era più ridotta in uno deitre siti considerati (NA: 17,213)rispetto agli altri due (NB: 27,744,NC: 30,913), con differenze ancorapiù marcate considerando l’areaentro 1,5 km (NA: 1,067, NB:3,175, NC: 114). Nella porzione sud del sito A so-no emersi eccessi statisticamentesignificativi di ricoveri per malat-tie del polmone (InternationalClassification of Disease, Icd, 9:

518; Rsm 168) e di asma (Icd 9:493) nei bambini fra 0 e 14 anni(Rsm 169). Nella stessa zona, interessata dauna via intensamente trafficata, èstato identificato un cluster signi-ficativo di 34 ricoveri (16,3 attesi)per malattie respiratorie.L’analisi microgeografica conmetodi spaziali di tipo bayesianoha confermato gli eccessi dimalattie e tumori del polmonenella zona sud e ha aggiunto duesegnali di eccesso di ricoveri persarcoma dei tessuti molli nellazona sud e in quella più a nord.I risultati dello studio ambientalee delle due fasi della Vis, sebbene

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numero 67 • dossier inceneritori

Valutazione di impatto di salute nell’area metropolitana di Firenze

Fabrizio Bianchi, Fabrizio Minichilli, Michela Rial, Salvatore Ariani, Simone

Bartolacci, Eva Buiatti, Andrea Barchielli, Andrea Corti e Lidia Lombardi

gli autori

� Fabrizio Bianchi� Fabrizio Minichilli� Michela Rial

Sezione di epidemiologia, Ifc-Cnr, Pisa

� Salvatore Ariani� Simone Bartolacci� Eva Buiatti

Osservatorio di epidemiologia,Agenzia regionale di sanitàdella Toscana, Firenze

� Andrea BarchielliServizio di epidemiologia,Azienda Usl 10, Firenze

� Andrea CortiCentro sistemi complessi,Università di Siena

� Lidia LombardiDipartimento di energetica,Università di Firenze

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L’area industriale urbana diCoriano del Comune diForlì è caratterizzata dalla

presenza di numerosi insedia-menti industriali e da due incene-ritori (uno pubblico di rifiuti soli-di urbani e uno privato di rifiutiospedalieri), sulla quale è già sta-to condotto uno studio ambienta-le e territoriale da parte di ArpaEmilia Romagna e Provincia diForlì, in collaborazione con l’Uni-versità di Bologna, l’istituto supe-riore di sanità e il Cnr. Dai risulta-ti dei rilevamenti si sono potutistimare i livelli ambientali (massi-mi e minimi) dovuti alle ricadutedelle varie sorgenti, misurare i li-velli di inquinanti in alcune ma-trici ambientali e verificare l’ido-neità di metodiche di prelievo eanalisi.Provincia e Comune di Forlìhanno ritenuto necessario consi-derare gli aspetti sanitari del pro-blema, incaricando l’Ausl di Forlìe l’Arpa Emilia Romagna di fareun’indagine per individuare gliindicatori in grado di descrivere

gli effetti sulla salute.Si è scelto così di attuare un siste-ma di sorveglianza che compren-desse sia la sorveglianza sanita-ria, sia il monitoraggio ambienta-le. In un contesto di incertezza siasulle cause, sia sugli effetti, c’erainfatti l’esigenza di fornire ele-menti di riferimento alle autoritàsanitarie e alla popolazione pervalutare la sussistenza di effettiavversi rilevabili. Questi datiavrebbero potuto contribuire allavalutazione del rischio e ai pro-cessi decisionali in merito. Il Comune di Forlì ha quindifinanziato e avviato un progettoper l’individuazione degli indica-tori ambientali e sanitari più ido-nei per l’attuazione di questosistema di sorveglianza, utile pergenerare dati epidemiologici sul-l’inquinamento ambientale, sul-l’esposizione e sui relativi effettiavversi sulla salute.Da questa esperienza locale è sta-ta formulata una proposta a livel-lo di Comunità europea, che haportato all’approvazione di un

progetto Interreg III-C che hacoinvolto anche Spagna, Austria,Ungheria, Grecia e Polonia. Sitratta di un progetto di epidemio-logia applicata sul territorio,orientato a creare consenso traamministrazione e cittadinanzamediante interventi di comunica-zione del rischio. Obiettivo prima-rio era definire delle linee guida

dossier inceneritori • numero 67

più negativi soprattutto intornoal primo sito di localizzazione(A), incluso in un’area con popo-lazione residente più numerosarispetto al sito C, fanno propen-dere per un atteggiamento dicautela rispetto all’appesanti-mento di una situazione già inte-ressata da rilevanti pressioni,caratteristiche delle aree metro-

politane con attività antropichedi diversa tipologia.Sono stati avanzati una serie disuggerimenti generali di inter-venti da attuare sull’area com-plessiva in studio; in particolare èstato proposto ai decisori di pro-cedere alla riqualificazione am-bientale, sostanzialmente su tredirezioni: miglioramento della

mobilità extraurbana per atte-nuare i flussi di traffico, valuta-zione dell’impatto del teleriscal-damento, riqualificazione am-bientale e creazione di un’area bo-schiva per contrastare l’inquina-mento atmosferico. Proprio a questo proposito è di-sponibile uno specifico studio diimpatto ambientale.

Controllo ambientale e sanitario: il progettoeuropeo Interreg III-C Enhance Health

Laura Erspamer, Andrea Ranzi, Paolo Lauriola, Morena Cantarelli,

Andrea Bolognesi, Romana Bacchi e Andrea Mecati

gli autori

� Laura Erspamer� Andrea Ranzi� Paolo Lauriola

Arpa Emilia Romagna,Struttura tematica di epidemiologia ambientale

� Morena Cantarelli� Andrea Bolognesi� Romana Bacchi

Ausl Forlì,Dipartimento di sanità pubblica

� Andrea MecatiArpa Emilia Romagna, Sezione provinciale di Forlì-Cesena

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per lo sviluppo di sistemi di sor-veglianza ambientale e sanitaria,per valutare lo stato di salute del-la popolazione esposta a fattori dirischio derivanti da insediamentidi impianti di termodistruzione.Il progetto, che si svilupperà finoalla fine del 2006, prevede diversefasi. La prima è la messa a puntoe standardizzazione di tecniche dimonitoraggio ambientale per lacaratterizzazione dei vari fattoridi pressione. La seconda fase con-siste in uno studio pilota, conindagini descrittive, analisi spa-ziali per la stima del rischio e unostudio di coorte retrospettivo suiresidenti all’interno dell’area con-siderata. Scopo di queste indagini

sarà definire gli indicatoriambientali e sanitari da utilizzarenel sistema di sorveglianza. Laterza fase sarà infatti proprio l’at-tuazione del sistema di sorve-glianza ambientale e sanitaria,grazie all’implementazione e spe-rimentazione di un software diraccolta dati e alla sperimentazio-ne di metodi statistici di allertasui dati raccolti. Dopo l’analisi dipercezione e comunicazione loca-le dei rischi ambientali indagatisi procederà alle fasi più delicate:l’attivazione di analisi di perce-zione dei rischi nelle tre realtàcoinvolte e la predisposizione diattività di comunicazione delrischio, per tradurre i risultati del

progetto in informazioni fruibilidai vari portatori di interesse.Al momento, sono state svoltealcune indagini epidemiologichenei tre siti indagati (Italia,Ungheria, Polonia), mentre è tut-tora in corso l’individuazione deimigliori indicatori sanitari e trac-cianti ambientali da inserire nelsistema di sorveglianza, la cuistruttura informativa e informa-tica è già stata implementataall’interno del progetto. Il softwa-re creato permette infatti lagestione contemporanea di datiambientali e sanitari georeferen-ziati, ed è corredato di un sistemastatistico di allerta (basato sulmetodo Cusum).

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IL MONITORAGGIO DELL’AMBIENTE: UNAVALUTAZIONE CONTINUA DEL RISCHIO

Claudio Minoia

Società dei consumi e societàdei rifiuti rappresentano,metaforicamente, le due fac-

ce di una stessa medaglia. In que-sto contesto, l’esigenza di dispor-re di tecnologie sempre più sicureper quanto riguarda la termodi-struzione dei rifiuti rappresentaindubbiamente un’esigenza fon-damentale di una società moder-na. Accanto ad aspetti prevalen-temente tecnologici, però, preval-gono motivazioni che interessanola qualità dell’aria e i possibili ef-fetti sulla salute umana. Tutti sono portati a chiedersiquali e quante sostanze escanoda un inceneritore, quale sia il li-vello di sicurezza e se ci sarannodanni per la propria persona.Non sono domande retoriche: nelmerito basterebbe citare, a titoloesemplificativo, che furono dei ri-cercatori svedesi a scoprire, ver-so la fine degli anni Settanta, co-me gli impianti di incenerimentoper rifiuti solidi urbani erano ingrado di emettere dei composti aelevata tossicità, le policlorodi-benzodiossine. Riscontri di questo tipo rischianodi cristallizzare posizioni forte-mente difensive da parte dellacittadinanza, anche per il modocon cui i mass media veicolanoqueste informazioni. Non l’hannoscampata neanche gli incenerito-

La disponibilità di tecnologie sempre più efficienti è unpunto fondamentale in tema di incenerimento dei rifiuti.Accanto agli aspetti puramente tecnici, però, permangonoanche esigenze di altra natura, non meno importanti, comeil possibile impatto sulla salute umana e sull’ambiente. Oc-corre dunque una continua valutazione del rischio, deter-minando gli eventuali effetti tossici delle sostanze emesse,seguita dall’attivazione di una prevenzione efficace. Per ri-durre progressivamente il rischio residuo e minimizzare ilpiù possibile gli effetti avversi per la popolazione esposta.

ri e il problema è, per certi versi,ancora attuale: basti pensare alladiffidenza, se non addirittura al-l’opposizione, delle popolazioniesposte che vivono vicino a un in-ceneritore. In termini di comunicazione,quello che si fatica a trasmettere ea recepire è che in questi ultimidue decenni la tecnologia si è evo-luta continuamente, soprattuttoper quanto riguarda gli aspettiprogettuali degli impianti, laddo-ve è stata data sempre più atten-zione alle procedure di combu-stione, ma anche i sistemi di ab-battimento delle sostanze mi-croinquinanti. A questo proposito, in Svezia, afronte di un’emissione di diossinedagli inceneritori stimata in 90

grammi nel 1985, otto anni piùtardi tecniche e impianti di ince-nerimento nuovi hanno portato auna riduzione di circa il 95%della quantità di diossine emesse,stimate in 5 grammi circa. Di fronte a queste esigenzemigliorative, che si sono ulterior-mente accentuate anche in questiultimi anni, permane comunquela necessità di arrivare a unacaratterizzazione accurata e pun-tuale del rischio. Si tratta di un passaggio irrinun-ciabile, che deve mantenersi neltempo ed essere sottoposto a con-tinue rivalutazioni, perché sideve tendere ad abbassare ulte-riormente il livello del rischio,per quanto sia modesto o già con-tenuto.

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L’analisi del rischio

L’aspetto prioritario dell’impattoambientale di un inceneritore pre-sente sul territorio è quello diarrivare a una puntuale caratte-rizzazione qualitativa e quantita-tiva di un ampio profilo dellesostanze emesse, per individuarequelle più importanti dal punto divista tossicologico e in particola-re le sostanze cancerogene, sepresenti. Il passo successivo èseguire il destino ambientaledelle sostanze emesse, inizial-mente tramite modelli matemati-ci in grado di prevedere le possi-bili ricadute sull’ambiente ester-no. In genere, a ulteriore confer-ma della validità di questi studipredittivi risulta necessario, tenu-to conto della composizione qua-litativa e quantitativa delle emis-sioni nel loro complesso, farericorso a misure sperimentali.Questi esperimenti possono esse-re condotti su varie tipologie dimatrici: ambientali, come aria eacqua, alimentari, se l’area pre-senta colture destinate all’alimen-tazione umana, biologiche, pereventuali e ulteriori accertamentisull’uomo. In questa visione pre-ventiva è immaginabile che gliscenari potenzialmente configu-rabili siano innumerevoli. L’obiettivo è comunque quello dimonitorare gli inquinanti emessi(elementi in traccia, diossine,furani, ecc) e la loro possibilità diraggiungere le catene alimentariterrestri e agricole, eventualmen-te anche acquatiche. In altri ter-mini, risultano necessari deglistudi per stabilire se le emissionidi un inceneritore, una volta rica-dute al suolo, siano in grado ditrasferirsi ai vegetali e, da questi,all’uomo, attraverso la catena ali-mentare. In questa fase, è eviden-te l’importanza di simulazioniattendibili in grado di prevederedistanze e ricadute delle sorgentimicroinquinanti rispetto alla sor-gente di emissione. Sarà così pos-sibile delimitare eventuali aree in

cui condurre indagini mirate sulcontenuto di microinquinantispecifici e riferibili alle emissioninelle matrici ambientali e biologi-che. In questa fase è altrettantoimportante verificare la via diassorbimento prevalente tra isoggetti esposti. La collocazionedi stazioni di campionamento del-l’aria a distanza progressiva dal-l’inceneritore sarà sicuramente ingrado di fornire dati di laborato-rio e di stimare quindi le poten-ziali dosi inalatorie. È evidenteperò che questi dati andrebberoconfrontati con prove in bianco(sempre riferendosi a differentiperiodi stagionali), per valutareeventuali incrementi dei microin-quinanti a livello del particolatodisperso nell’aria.Per analogia, possono esserci dif-ficoltà notevoli nello stabilire l’e-ventuale livello di contaminazio-ne del suolo se non si dispone didati riferibili al periodo preceden-te l’avvio delle attività dell’ince-neritore. Questo dipende anchedal fatto che talvolta la concen-trazione dei metalli nei terrenisubisce notevoli variazioni, nonsolo per cause antropiche, maanche per fenomeni naturali (diorigine prettamente geologica) oa causa dell’impiego di compostin agricoltura. È quindi evidenteche, per giungere a un’interpreta-zione affidabile, le indagini preli-minari devono essere circostan-ziate e fortemente rappresentati-ve delle aree interessate.Un altro aspetto da tenere benpresente sono i metodi di campio-namento e analisi dei microinqui-nanti, alcuni dei quali possonorichiedere lunghi tempi di cam-pionamento e strumentazionispecifiche (per esempio, gascro-matografia interfacciata a spet-trometria di massa ad alta risolu-zione per le diossine e i furani).Inoltre, risulta molto importantedisporre di metodi analitici stan-dardizzati e soprattutto a incer-tezza nota, per facilitare il piùpossibile l’interpretazione dei

dati ottenuti, laddove le differen-ze rilevate dopo l’attivazione aregime dell’inceneritore risultas-sero ai limiti della significativitàstatistica.

Alla ricerca di…

Il punto di arrivo nel processo dicaratterizzazione del rischio inte-ressa senza dubbio i soggettiesposti direttamente o indiretta-mente alle emissioni e le ricaduteprovenienti dall’inceneritore.Questa è indubbiamente la fasepiù critica, in quando per moltixenobiotici si dispone di indicato-

ri di esposizione (l’esperienza èprevalentemente mutuata dall’e-sposizione in ambienti lavorati-vi), più raramente di indicatori dieffetto (anche di effetto biologicoprecoce, come gli addotti al Dna ealle proteine), ma è evidente che ilivelli espositivi attesi sono pre-sumibilmente più contenuti diquanto si verifichi in ambito pro-fessionale. Ne deriva che unodegli elementi di criticità delmonitoraggio biologico è indub-biamente rappresentato dallasensibilità e dalla specificità degliindicatori. Inoltre, tenendo contoche tra le sostanze potenzialmen-te interessate ci sono le diossine ei furani, la loro determinazione in

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campioni biologici impone anchecosti analitici molto elevati. Al dilà di queste considerazioni, cheevidenziano comunque dei limitioggettivi, la stima dell’esposizio-ne attraverso l’utilizzo di biomar-catori (che integra le diverse viedi esposizione attraverso cui unasostanza tossica viene a contattocon l’organismo umano) è senzadubbio una potenzialità, solo par-zialmente esplorata. Si tratta, peresempio, della determinazionedegli elementi in traccia o dimetalli in campioni di sangue eurine, a patto che si dispongapreventivamente, per le stessepopolazioni, di valori di riferi-mento rilevati prima dell’attivitàa regime dell’inceneritore.Qualora l’impianto di inceneri-mento sia in prossimità di areeagricole con colture destinateall’alimentazione animale eumana, è probabile che la dietarisulterà la via di assorbimentoprevalente di microinquinantiriconducili alle emissioni. Se unavolta, per verificare il contenutodi microinquinanti, si effettuavaprevalentemente l’analisi dei sin-goli prodotti alimentari, oggi sitende sempre più ad attivarestudi di total diet, sicuramente ingrado di permettere stime più

accurate dell’introduzione com-plessiva per via alimentare.In conclusione, accanto a unmiglioramento della tecnologiache ha significativamente modifi-cato in senso positivo il conteni-mento di emissioni inquinantilegate all’attività degli incenerito-ri, permane, per le caratteristichetossicologiche e anche canceroge-ne degli elementi e delle sostanzecoinvolte, l’attivazione di control-li preventivi e continui per valu-tare le possibilità di riduzioneprogressiva del rischio residuo egarantire ai massimi livelli l’as-senza di effetti avversi nei con-fronti della popolazione generaleeventualmente esposta. Al di là delle varie fasi di caratte-rizzazione e stima del rischioespositivo, è sempre più necessa-

rio disporre di protocolli operati-vi standardizzati e soprattutto distrumenti di gestione in grado dimonitorare in tempo reale l’evo-luzione dei fenomeni inquinanti,attraverso le diverse tipologie dimisure acquisite sulle matriciambientali e biologiche in diffe-renti periodi temporali.

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l’autore

� Claudio MinoiaLaboratorio di misure ambientali e tossicologiche,Fondazione S. Maugeri, Clinicadel lavoro e della riabilitazione,Irccs, Istituto scientifico diPavia

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QUELL’IDEA DI RISCHIO, CHE LA RAGIONE

SCIENTIFICA NON CONOSCE

Stefano Beccastrini

Negli ultimi anni, uno deicampi di riflessione e azio-ne in cui si sono sviluppate

più elaborazioni ed esperienze in-novative sulla comunicazione èstato quello della cosiddetta riskcommunication. In una società incui il diritto della cittadinanza al-la partecipazione alle decisioni èmolto sentito e in cui crescono lepreoccupazioni per gli effetti del-la tecnologia sulla salute e sul-l’ambiente, accade sempre piùspesso che la scelta di nuovi inse-diamenti, programmata da que-sta o quell’autorità politica sullabase di stime d’impatto elaborateda questa o quell’autorità scienti-fica, trovi la contrarietà delle co-munità locali, fondata sulla perce-zione sociale del rischio. L’insediamento di inceneritori èun tipico esempio di quei casi incui una comunicazione del rischiometodologicamente corretta po-trebbe favorire una valutazionepiù condivisa del rischio stesso edunque scelte più consensuali su-gli insediamenti dal territorio ac-cettabili dal punto di vista dellasostenibilità e salubrità. In Italiaci sono pochi studi su percezione,comunicazione e valutazione delrischio. Tra le poche eccezioni c’èl’articolo di Marco Biocca “La co-municazione sul rischio per la sa-lute. Nel teatro di Sagredo”, che si

A differenza di quello che si crede, la comunicazione delrischio non è un flusso unidirezionale di informazioni dagliesperti, che hanno già fatto le loro valutazioni, alla popola-zione, vista come un recipiente passivo. Non è neanche unostrumento di persuasione, più o meno forzata. Un processorigoroso di comunicazione del rischio è il percorso lento,faticoso, plurale con cui la valutazione del rischio si costrui-sce a livello sociale. Processo a cui partecipano tutti i por-tatori di interesse in gioco, dagli esperti alle forze politiche,per arrivare alla popolazione intera.

Un percorso complesso

Alla luce di questo impianto teo-rico, la comunicazione del rischionon consiste affatto, come troppagente ancora crede, nell’informa-zione unidirezionale verso lapopolazione di valutazioni giàfatte e decisioni già prese. Non èneanche il ricorso a tecniche dipersuasione qualora, come sem-pre più spesso accade, la popola-zione reagisca malamente. Unprocesso rigoroso di comunica-zione del rischio è invece il per-corso stesso tramite cui la valuta-zione del rischio si costruiscesocialmente. A questo processolento, faticoso, plurale (come lademocrazia, peraltro) partecipa-

basa su un modello internazional-mente accreditato di valutazionedel rischio, quello di Ulm. Questomodello distingue la fase dellastima del rischio stesso, di naturatecnico scientifica, da quella divalutazione, che è invece di natu-ra sociale e quindi comunicativa.Secondo Alberico Zeppetella, lavalutazione è «un dialogo argo-mentativo che procede nel tempo,costruendo e ricostruendo in per-manenza se stesso e il proprio og-getto». In altre parole, è un co-strutto sociale e lo strumento peredificarlo, secondo la teoria co-struttivistica di Barnett Pearce, èla comunicazione, processo pri-mario che crea i significati di unacomunità.

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no diversi elementi: le stime degliesperti e le ipotesi decisionalidelle autorità politiche (raramen-te unanimi), ma anche gli interes-si delle varie parti in gioco (nonnecessariamente omogenei) e lapercezione del rischio da partedella popolazione. C’è chi ha illu-strato chiaramente le regole deiprocessi di comunicazione delrischio da un punto di vista meto-dologico, indipendentemente daltipo di rischio. Per esempio,Frederick Allen e Vincent Covellone hanno proposte sette: coinvol-gere il pubblico, accettandoloquale interlocutore legittimo; pro-grammare accuratamente il pro-cesso comunicativo; ascoltare gliinterlocutori; essere onesti, fran-chi e aperti; cercare la collabora-zione di altre fonti credibili; anda-re incontro alle esigenze dei mezzidi informazione; esprimersi conchiarezza e passione.La valutazione grezza dei rischida parte della popolazione, nonfondata cioè su procedure scienti-ficamente analitiche, viene chia-mata “percezione”. Per quantoampiamente utilizzato, questotermine può risultare ambiguoperché, a differenza della perce-zione biologica, la percezionesociale del rischio raramente sibasa sui cinque sensi. È un’e-spressione di accettabilità fonda-ta su criteri di natura cognitiva,morale, politica ed emotiva.Insomma, nulla di biologico esensoriale e molto di antropologi-co e culturale.

Avviare il dialogo

La teoria più accreditata sul mo-do in cui le persone comuni valu-tano il rischio è la Teoria cultura-le della percezione del rischio, av-viata dal celebre libro di MaryDouglas Come percepiamo il pe-ricolo. Antropologia del rischio.Parafrasando Pascal, può esseresintetizzata dicendo che «la per-cezione sociale del rischio ha le

sue ragioni che la ragione scienti-fica non conosce», aggiungendosubito «ma farebbe bene a impa-rare a conoscere». Come rispetta-re, infatti, due almeno delle setteregole di Allen e Covello (la pri-ma e la terza, soprattutto) se noncercando seriamente di compren-dere le ragioni per cui i nostri in-terlocutori pensano quel che pen-sano, anche quando, per la nostralogica analitica, ci appaionoinfondate? Nel suo libro, Marco Biocca illu-stra le molteplici ragioni che con-dizionano la reazione ai rischi daparte dei non esperti. Probabil-mente, soltanto alcune sono atti-nenti alla paura da inceneritori:l’effetto temuto sui bambini, il li-vello di controllo personale, l’in-volontarietà, l’identità delle even-tuali vittime, il livello di fiducianelle istituzioni, il livello di atten-zione dei media, le esperienze pre-gresse, l’equità, la distribuzionedei vantaggi. C’è poi la questione della localiz-zazione e anch’essa, secondo Lui-gi Bobbio, necessita di un approc-cio dialogico nei confronti di at-teggiamenti di rifiuto troppospesso e troppo frettolosamentecatalogati tra le manifestazioni ir-razionali ed egoistiche della co-siddetta “sindrome Nimby” (“Notin my back yard”, che potremmotradurre con “dappertutto, manon nel mio giardino”). Program-mando un processo di comunica-zione del rischio relativo a un in-sediamento socialmente rifiutato,la prima cosa da fare è cercare dicomprendere le ragioni del rifiuto(che non vuol dire prenderle pervalide, ma prenderle sul serio) eda lì avviare confronto, dialogo,negoziazione. Sarà sempre unpessimo comunicatore chi non siprende neppure la briga di chie-dersi per quali, legittime e rispet-tabili seppur non sempre condivi-sibili, ragioni altri la pensino inmaniera diversa. La storia dei processi di comuni-cazione del rischio è stata rico-

struita in tre fasi da DouglasPowell e William Leiss. La prima arriva agli anni Ottantadel Novecento ed è caratterizzatadalla incomunicabilità tra quantovalutato dagli esperti e quantopensato dalla gente comune. La seconda va fino ai primi anniNovanta ed è caratterizzata dal-l’attenzione verso la comunicazio-ne come persuasione. La terza pone oggi al centro la co-municazione come interscambiodi notizie, pareri, valutazioni tra itutti i soggetti coinvolti dal pro-blema, a cui viene riconosciuto ildiritto di esprimersi in proposito.L’enfasi è sulla partecipazionedei cittadini alle decisioni: non acaso, nel 1986, la conferenzadell’Organizzazione mondialedella sanità di Ottawa è stataincentrata sulla promozione dellasalute come strategia partecipati-va. Nel nostro Paese il passaggioalla terza fase, in tema di incene-ritori come di qualunque altratipologia di rischio, forse non èancora avvenuto.

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l’autore

� Stefano Beccastrini Coordinatore didattico Scuolainternazionale ambiente, salutee sviluppo sostenibile.

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COSÌ PARLÒ IL COMITATO

Roberto Romizi

L’Associazione dei mediciper l’ambiente (Isde Italia)è fortemente preoccupata

per l’aumento dello smaltimentodei rifiuti solidi urbani (Rsu) tra-mite incenerimento, che si staproponendo nel nostro Paese siacon la costruzione di nuovi im-pianti, sia con l’ampliamento diquelli esistenti.Lo smaltimento dei rifiuti esige,innanzitutto, una seria politicadelle “R”: razionalizzazione, ridu-zione della produzione, raccoltadifferenziata, riciclaggio, riuso,riparazione, recupero. Solo dopo aver attuato tutti ipunti precedenti, si potrà even-tualmente valutare la miglioretecnica impiantistica per lo smal-timento della frazione residua,scegliendo tra i sistemi che tute-lano meglio salute umana eambiente (basti pensare al tratta-mento con recupero energeticodell’esigua frazione residua). Solocon questa politica, oltre a ridurrei costi economici, si possono otte-nere impatti ambientali e sanitariinferiori a quelli prodotti dagliinceneritori e dalle discariche.Fra tutte le tecnologie, l’inceneri-mento degli Rsu è la meno rispet-tosa dell’ambiente e della salute.Non solo porta alla produzione diceneri, che rappresentano in pesocirca un terzo dei rifiuti in ingres-

Sotto l’egida dell’Associazione medici per l’ambiente IsdeItalia, diversi gruppi di medici hanno promosso la costitu-zione di comitati locali per la valutazione dell’impatto sullasalute degli impianti di incenerimento. L’associazione, cheha costituito un gruppo di lavoro sulla gestione dei rifiutisolidi urbani, chiede non solo la moratoria sui progetti ditermodistruzione, ma anche l’istituzione dei garanti dellapopolazione, figure che dovranno conoscere l’andamentodelle emissioni degli impianti, in modo da proporre intempo reale soluzioni efficaci e tempestive.

cui come imballaggi e scarti dicibo, sotto forma di emissionigassose, polveri fini, ceneri vola-tili e residue, che richiedonocostosi sistemi per l a neutralizza-zione e lo stoccaggio.Per noi medici per l’ambiente èprioritario pensare agli effettisugli esseri umani più fragili, per-ché già malati, o più suscettibili,come bambini, donne in gravi-danza, anziani. Il rischio non èsolo quello di una maggiore inci-denza di tumori (già segnalata),ma anche dell’aumento dei rico-veri e della mortalità per causerespiratorie e cardiocircolatorie,alterazioni endocrine, immunita-rie e neurologiche. Si ribadisce che in problematichecosì importanti e complesse si de-

so e devono essere smaltite in di-scariche speciali, ma immette si-stematicamente nell’atmosferamilioni di metri cubi al giorno perogni inceneritore di fumi inqui-nanti, contenenti polveri grosso-lane (PM 10) e fini (PM 2,5, ovve-ro con diametri inferiori a 2,5 mi-cron). Queste polveri sono costi-tuite da nanoparticelle di sostan-ze chimiche (metalli pesanti, idro-carburi policiclici, policlorobife-nili, benzene, diossine e furani,ecc) estremamente pericolose,perché persistenti e accumulabilinegli organismi viventi. Senzacontare poi il contributo al feno-meno dell’effetto serra.La combustione trasforma infattiin composti tossici e pericolosianche rifiuti relativamente inno-

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vono sempre privilegiare le scelteche si ispirano al principio di pre-cauzione, alla tutela e alla salva-guardia dell’ambiente, consci chela nostra salute e quella delle fu-ture generazioni vi sono indisso-lubilmente legate (come dovreb-bero averci insegnato le dramma-tiche esperienze su amianto, ben-zene, piombo e polveri fini).L’Associazione medici per l’am-biente chiede quindi che:

�venga istituita immediatamen-te una moratoria sui progetti ditermodistruzione (o termovaloriz-zazione) in corso

�venga incentivata economica-mente la politica delle “R”

�vengano effettuati, da partedelle autorità competenti, control-li continui, efficienti ed efficaci deipossibili inquinanti (al camino,aria, terra e falde acquifere) pergli impianti già in funzione.Questi controlli siano simultanea-mente affiancati da rigorosi moni-toraggi sanitari delle popolazionigià potenzialmente esposte�siano istituzionalizzati i garan-ti delle popolazioni, che dovran-no conoscere in tempo reale irisultati delle campagne ambien-tali e sanitarie e l’andamentodelle misurazioni di tutte le pos-sibili emissioni provocate dalsistema di smaltimento operante,in modo da proporre una serie disoluzioni tempestive.

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corpo umano sono in grado non solo di penetrarenelle cellule, ma anche nel nucleo. E soprattutto, nonessendo composti biodegradabili, sono praticamente“eterne”, e rimangono nell’organismo fino a scate-nare, un volta raggiunta una certa concentrazione,le malattie che sono state chiamate “nanopatologie”,cioè legate appunto alle nanoparticelle. In questa categoria di malattie rientrano vari tipi dicancro, ma anche infarto, ictus e malformazioni deineonati. Oltre che negli inceneritori, le nanoparticel-le si trovano anche in natura, ma hanno soprattuttoorigini umane: le acciaierie, i cementifici, le fonderiee il fumo di sigaretta. Mentre però per l’inquinamento “normale” gli ince-neritori costituiscono una percentuale poco signifi-cativa, per le nanoparticelle sono responsabili dibuona parte delle emissioni.

p.g.

GLI ULTIMI, I PIÙ PERICOLOSI?

Gli inceneritori di nuova generazione, più potenti eteoricamente meno inquinanti, potrebbero al con-trario essere i più dannosi per la salute. Come spie-ga Stefano Montanari, direttore scientifico dellaboratorio Nanodiagnostics di Modena(www.nanodiagnostics.it), i nuovi inceneritorilavorano a temperature più alte, e di conseguenzaproducono particelle più piccole. Così risultanoridotte le emissioni delle famigerate particelle PM10, quelle monitorate per legge, ma non dellenanoparticelle, in particolare le PM 0,1, che sonoun milione di volte più piccole e sfuggono sia ai fil-tri sia ai normali strumenti di misurazione.Secondo Montanari il risultato, paradossale, è quin-di un’aria più pulita secondo le statistiche ma conuna concentrazione molto maggiore di nanoparticel-le, che sono anche le più pericolose: a differenza diquelle più grandi, infatti, una volta entrate nel

� Membri del Gruppo di lavoroIsde Italia sui rifiuti:

Federico Balestreri (Cremona)Romano Bragheri (Pavia)Francesco Cavasin (Treviso)Antonio Cristofolini (Trento)Giorgio Diaferia (Torino)Fabrizio Fabbri (Roma)Simone Galli (Firenze) Gianluca Garetti (Firenze)Valerio Gennaro (Genova) Patrizia Gentilini (Forlì)Manrico Guerra (Parma)Ferdinando Laghi (Cosenza)Mauro Mocci (Civitavecchia)Gaetano Rivezzi (Caserta)Roberto Romizi (Arezzo)Lorenzo Tomatis (Trieste)

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Dall’alto verso il basso e da sinistra a destra: quattro immagini dell’Icmesa dopo lafuga della diossina. La diga del Vajont. Un’immagine della nube tossica su Bhopal.

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La diossina sprigiona-ta a Seveso nel 1976era di un tipo parti-

colarmente cancerogeno, e isuoi effetti continuanoancora oggi: secondo gliultimi studi sono in aumen-to le neoplasie fra gli abi-tanti delle zone più colpite.Ma i danni non sono solotumori: nella zona sonoaumentati anche i casi didiabete e le malattie cardio-circolatorie e respiratorie,forse dovute in parte ancheallo stress post incidente.La nube di diossina che siè sprigionata il 10 luglio1976 nella fabbricadell’Icmesa a Seveso conte-neva 2,3,7,8-tetracloro-dibenzodiossina (Tcdd),

una varietà di diossina par-ticolarmente tossica. Laconcentrazione insolita diTcdd è stata causata dal-l’alta temperatura:durante l’incidente il reat-tore ha raggiunto i 500gradi, e già sopra i 156gradi il triclorofenolo sitrasforma in Tcdd.La quantità totale di diossi-na fuoriuscita dalla fabbri-ca di Seveso, che secondole prime informazioni eradi soli 300 grammi, oggi èstimata intorno ai 15 oanche 18 chili. Ma il Tcdd èaltamente pericoloso anchein piccole dosi: è unasostanza altamente cance-rogena, che una voltaentrata nell’organismo non

I danni da diossina: una tragedia lunga trent’anniPaolo Gangemi

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viene smaltita e può causa-re tumori e danni gravi alsistema nervoso, a quellocardiocircolatorio, al fegatoe ai reni. Inoltre riduce lafertilità, e nelle donneincinte può provocaremalformazioni al feto eaborti spontanei.Nel caso di Seveso, adaggravare la situazione hacontribuito la scarsa infor-mazione: da un lato neiprimi tempi erano circolatevoci incontrollate di trafficidi armi chimiche con laNato o l’Unione Sovietica, oaddirittura di un esperi-mento scientifico pericolo-so condotto ai danni dellapopolazione di Seveso e asua insaputa. Dall’altrolato, per i quattro giornisuccessivi all’incidente glioperai hanno continuato alavorare nella fabbricacome se niente fosse, nono-stante già da due giorninumerosi animali dellazona fossero stati trovatimisteriosamente morti, esoprattutto la popolazionedei paesi intorno alla fab-brica avesse mostrato casidi cloracne. In totale ilnumero di casi di cloracne,la cui correlazione con ladiossina è documentata, è

salito a 193. Per il resto,però, gli effetti della diossi-na sono soprattutto alungo termine, e quindi dif-ficili da quantificare.Nessun tumore si può attri-buire direttamente con cer-tezza al Tcdd: il bilanciodei morti a causa dellanube tossica è impossibileda stimare con precisione.Secondo DanieleBiacchessi, che haapprofondito la questionenel libro La fabbrica deiprofumi (Baldini &Castoldi, 1995), il numerototale dei morti è compresofra 126 e 157. SecondoDario Consonni, dell’Unitàdi epidemiologia della cli-nica del lavoro dell’ospeda-le maggiore PoliclinicoMangiagalli e ReginaElena di Milano, questestime sono da prendere contutte le precauzioni delcaso. Per cercare di valuta-re scientificamente la mor-talità dovuta alla diossinasono stati realizzati varistudi. Il primo è relativo agli annifino al 1986, il secondo finoal 1991 e il terzo, che almomento è il più aggiorna-to, arriva fino al 1996(Bertazzi et al., Am J

La nube di diossina che si è sprigionata il 10 luglio1976 a Seveso non ha solo provocato morti e intos-sicazioni, ma ha anche cambiato per sempre la sen-sibilità ambientale italiana ed europea: si può direche è in quel momento che è nata la coscienza eco-logica.Ma chi all’epoca si è trovato a curare gli abitanti delposto ricorda, oltre ai grandi temi sociali, anche esoprattutto le singole vicende umane: l’odore diessenze alimentari e l’accento napoletano degli ope-rai, che provenivano soprattutto dalla Campania.

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La storia è per la comunitàciò che la memoria è perl’individuo

Alberto Baldasseroni

10luglio 1976: nel territorio del comune diMeda, nella fabbrica chimica Icmesa, lavalvola di sicurezza di un reattore salta

per la sovrapressione, spandendo nell’aria circostanteuna nuvola di diossina. Ha inizio una vicenda che cam-bierà definitivamente il modo di vedere e la sensibilitàambientale dell’opinione pubblica italiana ed europea.Il tumulto dei primi momenti, con i drammi personalidi chi è costretto a lasciare tutto, allontanandosi dallazona più inquinata, provoca un trauma sociale e psico-logico che ha conseguenze anche sulla salute: aumen-tano, nei mesi successivi all’evento, i casi di morti peraccidenti cardiovascolari, quasi a spazzare via i sogget-ti più deboli dalla scena della catastrofe. Poi le coseapparentemente si acquietano. Inizia il dopo-diossina.Si avvia un’incerta fase di stima del rischio, di monito-raggio degli esposti alla ricerca di segni premonitori diun peggio temuto ma imprevedibile. Interviene l’epide-miologia con i suoi dubbi e le sue incertezze, la medici-na predittiva tenta di dire la sua.Quattro anni dopo quel giorno di luglio, approdo pres-so l’ospedale di Desio, quartier generale di quel piccoloesercito di scrutatori della salute umana messa arischio dalla diossina. Come tirocinante neolaureato,appena entrato nella specializzazione di medicina dellavoro, i miei compiti sono più che altro esecutivi.Ciononostante l’osservatorio è privilegiato. Visito glioperai addetti alla bonifica della zona A e quelli che neigiorni drammatici dell’emergenza avevano messo insicurezza l’area più inquinata. Vedo anche gli operaidello stabilimento Icmesa, ma non la popolazione, dellaquale si occupa, oltre che il sistema dei medici di fami-glia, anche il laboratorio ospedaliero, adeguatamenterinforzato per l’occasione da una sostanziale collabora-zione universitaria.Ed è questo il punto di vista che ricordo, gli operaidell’Icmesa. Due caratteristiche mi colpiscono: la primaè che moltissimi di loro sono originari della zona diNapoli e in genere della Campania. Nonostante l’immi-grazione dal Sud fosse allora, nel 1980, un fenomenoancora non concluso, tuttavia in altre fabbriche chimi-che della zona, come la Snia di Varedo e di CesanoMaderno o l’Acna di Cesano Maderno, la concentrazio-ne di meridionali era di molto inferiore, e gli immigra-ti provenivano da varie regioni del Sud. Non ci mettomolto a capire il perché di quell’apparente stranezza:l’Icmesa era una fabbrica del Sud, trasferita in tempirecenti al Nord. “Industrie chimiche meridionali S.A.”,

si leggeva nella sua carta intestata degli anni Trenta,quando gli stabilimenti erano a Poggioreale, Napoli. Lacoorte di lavoratori campani che avevano costituito ilsuo nucleo originale aveva, negli anni, selezionato ipropri successori pescando dall’esercito di riserva dellamanodopera meridionale, campana, anche se la dire-zione di Milano aveva sentito il bisogno di richiamarea sé i reparti della produzione durante gli anniCinquanta. Ma da quella vecchia carta intestata si rica-va una seconda importante notizia: l’Icmesa a Napoliproduceva profumi e oli essenziali per l’industria ali-mentare, ed era anzi la principale fabbrica italiana divanillina. Corsi e ricorsi: gli operai che visitavo nel-l’ambulatorio ospedaliero, come tutti i lavoratori chi-mici di quegli anni, odoravano in modo peculiare.Questi odorano di essenze alimentari. Erano infattistati spostati per la maggior parte in un altro stabili-mento della multinazionale proprietaria, la Roche, sem-pre nel milanese, a produrre di nuovo additivi per l’in-dustria alimentare.

Gli albori della coscienza ecologicaLo stabilimento viene smontato pezzo a pezzo, con cer-tosina pazienza, e ogni cosa depositata nelle due gigan-tesche vasche impermeabili che, una volta completatee adeguatamente sigillate, costituiranno un parcoverde. Arriva anche il momento più atteso e temuto,quello dello smontaggio del reattore nel quale si eraverificato l’incidente. Nessuno da quel 10 luglio avevapiù potuto controllare cosa fosse rimasto nelle visceredel serbatoio. Ancora diossina? E in che quantità? Qualera il grado di pericolosità del residuo? Ad affrontarel’enigma la casa madre svizzera invia una squadra dispecialisti. Visito anche loro: sono operai specializzatie tecnici svizzeri-tedeschi, o comunque non italiani.Provengono da altri lavori svolti in condizioni estreme,e il loro lavoro è quanto di più ingrato si possa imma-ginare: completamente scafandrati, devono lavorarecon utensili e strumenti anche pesanti allo smontaggiodi un oggetto misterioso e potenzialmente venefico.Tutto va per il meglio, almeno per quanto riguarda irischi acuti per quei lavoratori, e in capo ad alcuni mesianche questa ultima fase viene completata. La bonificasi conclude, le grandi vasche vengono sigillate e sopradi esse è riportato uno strato di terra non inquinata.Vengono perfino piantati numerosi alberelli.Dell’Icmesa si parla sempre meno. La scena le è statasottratta, se così si può dire, da altri e forse più gravicrimini contro l’ambiente e la salute umana: Chernobyle Bhopal, tra gli altri. Ma non possiamo dimenticareche se oggi una coscienza ecologica esiste anche nelnostro Paese, ha i suoi albori in quel lontano 10 luglio,nell’epicentro produttivo e industriale di un Paese che,conclusa la fase del suo decollo industriale, stava cer-cando nuovi e più moderni equilibri sociali. Non pos-siamo dimenticare, non dobbiamo dimenticare.

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misure di sicurezza simili a quelle adottate nello sta-bilimento gemello di Institute (West Virginia, Usa),in realtà stanzia un budget limitato.A ciò si aggiunge una lenta decadenza degli impiantidi Bhopal per la sempre minor commercializzazionedel prodotto, decadenza che culmina con un fermo to-tale nell’autunno del 1983. A stabilimento chiuso lecisterne contengono ancora 63 tonnellate di Mic. Nel-la notte fatale l’acqua entra nel serbatoio attraversovalvole difettose. Il sistema refrigerante che avrebbedovuto tenere il Mic a 0° C non è in funzione.Quando nel 1986 lo stabilimento viene chiuso defini-tivamente, la Carbide dichiara di avere completato ladecontaminazione. Secondo Greenpeace, con un mo-nitoraggio del 1999, l’inquinamento ambientale susuolo e falde acquifere risulta evidente ed elevato.Oggi, dopo più di venti anni dal disastro, la vicendadi Bhopal è solo legata a importanti vertenze legali.La Union Carbide ha accordato un risarcimento di470 milioni di dollari, sei volte inferiore la sommarichiesta. Il presidente, Warren Anderson, accusatodi omicidio, latitante dal 1991 al 2002, e con unmandato di arresto internazionale sulle spalle non èstato estradato dal governo americano. La Dow Chemical, che ha assorbito la UnionCarbide, non sembra intenzionata a compiere ulte-riori atti di bonifica, assistenza e risarcimento.

Margherita Martini

IL TRISTE PRIMATO DI BHOPAL

Nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984 quarantatonnellate di gas tossici fuoriescono dalla fabbrica dipesticida (Sevin) della multinazionale Union Carbidediffondendosi verso i quartieri della città vecchia. Ilpiù grande disastro chimico della storia.È una triste guerra di numeri quella attorno allastima delle vittime. C’è discrepanza tra le cifre ripor-tate dalle autorità indiane, dalla Union Carbide, daorganizzazioni non governative come Greenpeace eAmnesty International. Secondo quest’ultima mezzomilione di persone sono esposte alla miscela gassosa;7.000 muoiono nei primi tre giorni; 15.000 tra il1985 e il 2003; il bilancio supera le 20.000 vittime.Per altro più di 200.000 persone continua a soffriredi disturbi direttamente imputabili all’inquinamentoambientale che ne è seguito.Per capire gli eventi bisogna tornare al 1969, quan-do la società statunitense Union Carbide ottiene dalgoverno indiano il permesso di costruire a Bhopaluno stabilimento per la produzione del Sevin, nuovosperimentale pesticida. Il Sevin è un combinato di iso-cianato di metile (Mic) �-naftolo in cui il Mic, forma-to da molecole fortemente instabili al contatto con ac-qua o polvere metallica, può generare reazioni esplo-sive ed emissioni di gas tossici. Esperimenti condottisu cavie hanno mostrato come i vapori dell’isociana-to di metile producono bruciature cutanee e polmona-ri, cecità e, nei casi di maggiore esposizione, morte.L’Union Carbide, pur assicurando di volere adottare

Ma è dal punto di vista ambientale che il dopoChernobyl appare come una vera catastrofe. Quandola nube radioattiva si è diffusa con rapidità, conta-minando un’area di 200.000 km2, interi ecosistemihanno patito conseguenze di natura complessa congravi ripercussioni sulle economie locali.Unico dato rassicurante, afferma il rapporto, quellorelativo ai livelli di radioattività che, con l’esclusionedei 30 km di territorio attorno al reattore, tutt’oraad alto rischio, risultano accettabili e sotto controllo.L’Oms fornisce, infine, alcune raccomandazioni agliorgani di governo, con indicazioni semplici, che sve-lano l’arretratezza che si continua a riscontrare nellagestione delle aree colpite.L’obiettivo: ridare fiducia, informare i cittadini, pre-disporre modalità per il monitoraggio sanitario, perla gestione delle scorie e per la promozione delle pic-cole imprese rurali. La parola d’ordine finale risulta,ancora una volta, “il vero pericolo è la povertà”.

m.m.

CHERNOBYL ALLA LUCE DEL RAPPORTO OMS

Il bilancio delle conseguenze sociali del ventennio deldopo Chernobyl è tracciato in un rapporto dell’Omsche riassume una lunga ricerca del “Chernobyl Fo-rum”, organismo composto da otto agenzie dell’Onue dai governi di Bielorussia, Russia e Ucraina.Il numero dei decessi è di circa 4.000 persone, stimache comprende sia i casi di morte già accertata, 9bambini e 50 operatori delle squadre di emergenza,sia le vittime potenziali fra le 600.000 persone espo-ste alle radiazioni. Il cancro tiroideo e la leucemiarimangono le malattie più gravi. Di contro non risul-ta né una diminuzione della fertilità né un aumentodelle malformazioni congenite.Il rapporto sottolinea, però, il traumatico impattopsicologico che la tragedia ha avuto sui sopravvissu-ti. I problemi di salute mentale appaiono come la pa-tologia più diffusa. Depressione, ansie, la convinzio-ne di una breve aspettativa di vita inducono disagiche sfociano in atteggiamenti autodistruttivi comel’abuso di alcool e tabacco.

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numero 67 • vent’anni di prevenzione

Epidemiol 2001): riguardaquindi un periodo di 20anni, ed è stato condottosulla popolazione espostaalla diossina (divisa aseconda del grado di conta-minazione della zona diabitazione) e su una popo-lazione di riferimento nonesposta.

Neoplasie in aumento

È da notare che la divisio-ne delle aree in base allacontaminazione non è stataeffettuata secondo criterimolto chiari, e ha subitoripetute modifiche, anchein seguito alla comparsa dicasi di intossicazione fuoridalle zone più colpite. Intutto sono quasi 280.000 lepersone coinvolte in variomodo nel programma dimonitoraggio, residenti in11 comuni dell’area brian-zola. Di queste, quasi 6.000erano residenti nelle aree

più colpite. La ricerca, a cuiha partecipato ancheConsonni, ha preso inesame il 99% di tutti i sog-getti coinvolti, e le conclu-sioni sono poco confortan-ti. Il risultato statistica-mente più significativo, equindi più importante dellostudio, secondo gli autori,riguarda l’incremento nellezone più inquinate di neo-plasie del tessuto linfaticoed emopoietico: il rischiorelativo negli uomini era1,7 e nelle donne 1,8. Perquanto riguarda i linfomidi Hodgkin il rischio relati-vo era di 2,6 negli uomini e3,7 nelle donne, e per quellinon-Hodgkin 1,2 e 1,8rispettivamente. Alcune forme tumoralihanno colpito maggior-mente uno dei due sessi:fra gli uomini il rischiorelativo era di 2,4 pertumori del retto, 2,1 per leleucemie e 1,3 per i tumoripolmonari. Quest’ultimo

dato è particolarmentepreoccupante a causa dellalatenza particolarmentelunga, confermata da unincremento dopo 15 anni.Fra le donne il rischio rela-tivo per il mieloma multi-plo era 3,2, e per i tumoriepatici 1,3.Tutti questi dati conferma-no che la diossina è unasostanza cancerogena,come è stato affermato peresempio anchedall’International Agencyfor Research on Cancer. Lesue conseguenze però nonsi limitano ai tumori: nelledonne è stato riscontratoun rischio relativo di diabe-te di 1,7, con un incrementodopo 10 anni di latenza.Inoltre nella zona è statoregistrato un incrementonelle malattie croniche car-diocircolatorie e respirato-rie, che si può correlare siacon l’esposizione agli agen-ti chimici nocivi, sia con lecondizioni di stress succes-

sive all’incidente: 730 per-sone sono state evacuatedalla zona più colpita, etutte quelle residenti nellealtre aree inquinate vivonocomunque nell’ansia, nellapaura e nell’incertezza suipossibili effetti nel futuro,anche se le conseguenzedello stress sono concentra-te in particolare nel perio-do immediatamente succes-sivo all’incidente.Al convegno internazionalesulla medicina del lavoroche si terrà a Milano dall’11al 16 giugno 2006 verrannopresentati i dati sulla mor-talità fino al 2001. SecondoConsonni, è difficile fareprevisioni, ma se i datidegli studi già pubblicatisaranno confermati, questosarà una prova dei dannidella diossina. Quello cheinvece non si saprà mai concertezza è il numero dellevittime, e una stima deidanni indiretti sulla salutedella popolazione.

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Sono passati dodicianni da quando ilgoverno italiano,

recependo direttive dellaCee, ha emanato un decretolegge sulla sicurezza e igie-ne del lavoro, meglio cono-sciuto come Dlgs 626/94.Il decreto individua obbli-ghi e doveri delle variefigure preposte alla suaattuazione. Non per ultimala nuova figura delRappresentante dei lavora-tori per la sicurezza (Rls).Il rappresentante dei lavo-ratori, che viene normal-mente individuato all’inter-no delle rappresentanzesindacali, dopo un corso diformazione di 32 ore(poche) si trova a dover

affrontare il problema dellasicurezza e salute nei variluoghi di lavoro solo e sol-tanto con le proprie forze.Spesso si trova a confron-tarsi con un datore di lavo-ro che percepisce sicurezzae salute dei lavoratori, noncome un investimento sulfuturo dei propri dipenden-ti, ma solo come un merocosto aggiuntivo che lalegge impone. Ma anche glistessi lavoratori vedonol’Rls come un rompiscatoleche impone l’uso dei varidispositivi di protezioneindividuale.Purtroppo in molti lavora-tori, e anche in alcuni dato-ri di lavoro, manca ancorauna vera e propria cultura

della sicurezza e igiene sullavoro. Dopo dodici anni èancora difficile far com-prendere che il nostro ruo-lo è quello di rappresentan-ti e non di responsabili:non abbiamo poteri deci-sionali, che infatti sono nel-le mani dei datori di lavoro.D’altra parte è ancora diffi-cile affermare il concettoche la sicurezza non puòessere barattata con piùsoldi in busta paga, perchéil rovescio della medaglia(purtroppo) non è altro chel’infortunio.La cultura della sicurezzasul lavoro, così come la cul-tura della sicurezza in ge-nerale, andrebbe insegnatafin dalle scuole elementaricome si fa in Francia: è in-concepibile che negli istitu-ti tecnici e professionali, dacui escono geometri, tecnicie periti industriali ciò nonavvenga.Nel Dlgs 626/94 si parlatanto di informazione e for-mazione dei lavoratori(articoli 21 e 22), purtroppola formazione che dovreb-be essere fatta quando unalavoratore viene assunto oquando gli viene attribuitauna determinata mansione,o non si fa o si fa male (di

solito la si affida al collegapiù anziano ed esperto).Ancora peggio per quandoriguarda l’informazione: disolito si riassume in unadispensa consegnata allavoratore (diteci se questoè informare e formare unlavoratore!). Noi crediamoche se esiste un corso diformazione obbligatorioper gli Rls per ottemperarealle disposizioni degli arti-coli 21 e 22, debba esistereanche un corso per tutti ilavoratori.Anche dal punto di vistapuramente sindacale, leorganizzazioni devono tor-nare a parlare di sicurezzasul lavoro, a fare formazio-ne integrativa ai propriRls, a includerla nei rinno-vi dei contratti (per esem-pio, chiedendo l’aumentodelle ore a disposizionedegli Rls rispetto all’accor-do interconfederale).Servono più assemblee,dove gli Rls possano espri-mersi e non (come succedesempre) dove non hannospazio per parlare, perchéci sono già gli interventiprogrammati dagli orga-nizzatori.Un altro problema che ri-scontriamo è lo scarso inte-

la parola a… • numero 67

La parola a…

RLS: più ascolto, più collaborazione,più cultura della sicurezzaMarco Bazzoni, Andrea Coppini, Mauro Marchi

Sono passati dodici anni da quando è stata istituitala figura del Rappresentante dei lavoratori per lasicurezza.Eppure la cultura della sicurezza sul lavoro non haancora preso piede né fra i datori di lavoro né fra ilavoratori stessi, mentre in altri Paesi è una mate-ria insegnata nelle scuole. Qualcosa però si sta muovendo anche da noi: inToscana è nata la “Rete degli Rls”, e il prossimopasso potrebbe essere la creazione di un organoufficiale di informazione.

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resse da parte dei mediaper quanto riguarda la si-curezza sul lavoro: se ne ri-cordano solo di fronte a uninfortunio grave o mortale(è l’amara verità). Ecco per-ché abbiamo cercato disensibilizzare l’opinionepubblica scrivendo al pro-gramma Ballarò, elemosi-nando una puntata per lasicurezza sul lavoro. Manon abbiamo avuto succes-so. Abbiamo provato anchea scrivere ai quotidiani,chiedendo la creazione diuna striscia quotidiana perla sicurezza sul lavoro, do-ve i lavoratori o gli Rls o irappresentanti sindacalipotessero dire la loro. An-che in questo caso non ab-biamo ottenuto niente.

Il primo passo

Nello stesso tempo, però,abbiamo chiesto, domanda-to e proposto nei convegni,ai dibattiti, nelle assem-blee, la creazione di uncoordinamento unitario,che coinvolga gli Rls etutte le parti sociali, dedi-cato ad affrontare problemirelativi alla sicurezza sullavoro, ma anche quelliambientali, perché ci servo-

Provincie, Regioni, organiz-zazioni sindacali) mettanoin campo tutte le risorse dicui dispongono. Per esem-pio le Usl devono investiretutte le risorse disponibilidestinate al settore tutela esalute nei luoghi di lavoro(in Toscana siamo all’1%,stando ai valori del 2004) enon destinarlo ad altro.Gli organi di vigilanzadevono controllare di più iluoghi di lavoro, soprattut-to le aziende che comporta-no maggiori rischi (cantieriedili, cave ecc). Certo, sap-piamo che le forze sonoquelle che sono e che gliispettori della Direzioneprovinciale del lavoro sonopochi. E così i tecnici delleAsl. Ma si devono trovarele risorse economichenecessarie, non solo per unmaggior monitoraggio delterritorio, ma per andare aincidere, debellando e san-zionando, sulle abitudiniimprenditoriali che porta-no a evadere le normative.

La sicurezza su carta

La “Rete degli Rls” dellaToscana potrebbe creareun organo di informazione,un vero prodotto su carta

no risposte ben precise efatti concreti. Non voglia-mo più solo parole cherimangono fumo che sidisperde nell’aria.Con nostro immenso piace-re in Toscana è nata la“Rete degli Rls”, grazie allosforzo della Regione, deiDipartimenti di prevenzio-ne e delle organizzazionisindacali.Il 15 marzo 2006 c’è statala prima riunione d’insedia-mento, con la partecipazio-ne dell’assessore allasanità, del settorePrevenzione e sicurezzadella Regione Toscana, deiDipartimenti di prevenzio-ne delle Usl Toscane, deisindacati e dei 40 Rls con-vocati.Il primo passo è stato fatto,ma servono ancora unamaggiore organizzazione,trasparenza e coordina-mento tra i vari enti e asso-ciazioni, in modo da nonavere lungaggini burocrati-che nella risoluzione delleproblematiche inerenti.Va anche ricordato che ivari elementi inerenti atutelare la sicurezza e salu-te nei luoghi di lavoro(Inps, Inail, Ispesl,Ispettorati del lavoro,Vigili del fuoco, Comuni,

dedicato alla sicurezza,dove gli Rls possano farpervenire le proprie espe-rienze e nello stesso temporimandarle ai lavoratori.Uno sforzo a cui si potreb-bero affiancare riunioni eassemblee, grazie alle qualitrasmettere e promuoverela cultura della sicurezza.Servirebbe anche un rap-porto più omogeneo, chia-ro, semplice e non demago-gico con gli Rls, attraversotutti gli organi di informa-zione e consulenza, perarrivare a uno scambio diidee e di opinioni che por-tino a una realtà piùcostruttiva. Perché la sicu-rezza sui luoghi di lavoronon si fa ogni tanto, matutti i giorni dell’anno, equindi abbiamo la neces-sità che tutte le forze incampo si diano da fare perrealizzarla.

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La parola a…

gli autori

� Marco Bazzoni, � Andrea Coppini e� Mauro Marchi sono

rappresentanti dei lavo-ratori per la sicurezza

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Una recente iniziati-va avviata dallaRegione Umbria ci

ha convinto che l’esperien-za della Evidence basedprevention (Ebp) possaancora fare dei passi avan-ti, avvalendosi di strumentimetodologici adattati altema specifico della pre-venzione.Il nostro dipartimento nel2005 si è fatto promotore diuna ricerca sugli indicatoridi outcome deiDipartimenti di prevenzio-ne (Dip), nell’ambito di unpiano regionale di verificadegli outcome del Serviziosanitario regionale. Leriflessioni che hannoaccompagnato l’avvio dellaricerca invitano a tornaresul tema dell’Ebp sia glioperatori dei Dip, sia gliepidemiologi.

Gli obiettivi di salute sonoil punto di partenza incon-testabile di un ragionamen-to sugli outcome, così comelo erano per impostare leanalisi sulla Ebp, e si espri-mono in termini di riduzio-ne di indicatori di danno o,più raramente, di innalza-mento di indicatori di salu-te. Sono obiettivi che ven-gono spesso condivisi dapiù servizi del Dip, maanche da diverse articola-zioni della sanità e dellasocietà. In questo campovengono spesso indicatiobiettivi di salute “surroga-ti”, come azioni della cuiefficacia si è ragionevol-mente certi, oppure la ridu-zione di fattori di rischio ela promozione di fattoriprotettivi sulla cui preditti-vità in termini di salute sihanno sufficienti prove.

Le prove di efficacia

Le prove di efficacia, nelnostro caso, sono costituiteda misure di associazionetra obiettivi di salute e spe-cifiche azioni preventive,sanitarie o non sanitarie. Sibasano sull’osservazione didifferenze statisticamentesignificative tra i parame-tri sanitari rilevati in grup-pi di popolazione differen-temente trattati, ma con-frontabili per ogni altroaspetto.Sul fatto che non semprevengono introdotti tratta-menti di cui sia stata pro-vata l’efficacia e sulla com-plessità metodologica deglistudi sull’efficacia c’èampia letteratura. È fre-quente, anche se accompa-gnato da un serrato dibat-tito metodologico, l’uso diend-point surrogati, checomunque non sarebberisolutivo per superaretutte le specifiche difficoltàdella prevenzione ad acqui-sire prove di efficacia.L’individuazione di end-point surrogati può essereperò un passaggio concet-tuale importante.Le ipotesi di efficacia sonoil passaggio logico che pre-cede uno studio di efficacia,ma se lo studio di efficacianon è attuabile, restanocomunque l’unica baselogica delle azioni intrapre-se per raggiungere deter-minati obiettivi di salute.La quasi totale inapplicabi-lità dei principi dell’Ebmnon ci esime dal descriverecon la maggiore precisionepossibile le assunzioni diefficacia sottese alle azioni,il minimo indispensabile

per avviare il ragionamen-to sugli outcome.A partire dalle attività dipromozione della saluteimperniate sulla crescitadella cultura della salute,passando per le varieforme di sorveglianza epi-demiologica, per finire allepreminenti attività di con-trollo e vigilanza, per ognu-na di queste azioni esistonoassunzioni di efficacia,anche se spesso non ade-guatamente esplicitate.La valutazione di impattosi pone a valle dell’applica-zione sul campo di unintervento di provata o pre-sunta efficacia, per ipotiz-zare o verificare varie tipo-logie di risultato che tenga-no conto dei fattori chepossono potenziare, inde-bolire, modificare o accom-pagnare gli effetti teorica-mente associati al solointervento in studio.

Gli indicatori di outcome

Gli indicatori di outcome sicollocano all’interno dellavalutazione di impatto e,nel nostro caso, vanno inte-si come strettamente riferi-ti a risultati di salute.Anche nel caso si debbaricorrere a indicatori surro-gati, il fine ultimo è quellodi esprimere un giudiziosulla capacità di un inter-vento di produrre salute.Gli indicatori di outcomepossono ritrovarsi in formemolto simili agli obiettividi salute, ma solo quandosiano espressi nella formapiù specifica. Inoltre espri-mono in termini di salute

botta e risposta sull’Ebp • numero 67

Botta e risposta sull’Ebp

Dipartimenti di prevenzione eoutcomeMarco Petrella, Igino Fusco Moffa,Maria Donata Giamo

Il principio dell’Evidence based prevention è ormaiaccettato e non è più argomento di discussione, magli strumenti metodologici possono ancora fare deiprogressi. Per questo è utile riflettere soprattuttosugli obiettivi e sugli outcome, cioè sui risultati intermini di salute. Su questo argomento c’è stato un“botta e risposta” fra Marco Petrella, coautore del-l’articolo, e Alberto Baldasseroni. Ma c’è accordo sui punti fondamentali: ipotesi diefficacia, risultati attesi, similitudine con il proces-so clinico.

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l’obiettivo raggiunto dauno specifico gruppo diservizi o interventi sanitari.Obiettivi di salute, anchespecifici e rilevanti, rag-giunti con interventi in cuiè predominante il ruolo dialtri attori istituzionali esociali, non possono essereutilizzati come indicatori dioutcome dei servizi sanita-ri, se non esplicitando laquota che si ritiene attri-buibile a questi servizi.Sintatticamente possononon differire dagli end-point utilizzati negli studidi efficacia, ma il contestoin cui vengono misuratinon è quello della ricercasperimentale. Infatti nel ca-so dello studio di efficaciail confronto è tra i risultatimisurati nei gruppi deitrattati e dei non trattati ein condizioni ottimali diconfrontabilità, mentre nelcaso degli indicatori di out-come è tra risultati misura-ti sul campo e risultati at-tesi, in condizioni in cui lamisclassificazione e la limi-tata confrontabilità tendo-no ad abbassare la proba-bilità di misurare l’effetto.Ciò non toglie che senzarisultati attesi con cui con-frontarsi non esiste indica-tore di outcome. Il risultatoatteso può essere desuntodalla letteratura, ipotizzatosulla base della presuntaefficacia, basato su datistorici o confronti geografi-ci, concordato come obietti-vo tra committenti e forni-tori. Il semplice studiodella variabilità interna tramisure di outcome effettua-te per servizi o realtà geo-grafiche diversi può solofornire ipotesi interpretati-ve, da verificare con ulte-riori approfondimenti, enon dovrebbe costituire labase per la stesura di gra-

zione del nostro principalecontributo alla salute, chesi esprime nell’abbattimen-to o nella riduzione delrischio, fenomeni dalla cuimisurazione deve derivareil ragionamento sugli out-come e sull’efficacia

�l’apertura a nuove areedi sviluppo della misura-zione del rischio potenziale,come i modelli previsionali,particolarmente importantiin contesti in cui il rischio èspesso assente, o difficil-mente misurabile, o par-zialmente ignoto, ma posso-no essere rilevabili elementidi imperfetto controllo.

La lista degli indicatori dioutcome (o dei loro surro-gati) potrebbe quindi esse-re: obiettivo di salute; azio-ne del Dip (tipologia deltest e delle azioni conse-guenti alla positività);assunzione di efficacia (nelcontrollo di un determinatorischio); indicatore di out-come (come livello di con-

duatorie. Le azioni del Dipdi cui di volta in volta ipo-tizzare e, se possibile, veri-ficare l’efficacia, sono stateda noi assimilate, nella loroquasi totalità, alla sommi-nistrazione di test diagno-stici e alla conseguenteazione terapeutica. Nelnostro caso la diagnosi èfornita dagli interventi divigilanza e controllo, di cuiandrebbero verificati iparametri di qualità tradi-zionali (sensibilità, specifi-cità, valore predittivo posi-tivo e negativo). Il verdetto di positività cor-risponde all’individuazionedi un fattore di rischio, inatto o potenziale; la terapiacorrisponde ai provvedi-menti (negazione di auto-rizzazione, interruzione diattività, prescrizioni, san-zioni, ipotesi di reato) con iquali si limita o si abbattel’esposizione al rischio e simira a un effetto “alone”dissuasivo, connesso allapenalizzazione, in sensolato, dei comportamentirischiosi.

Questa riflessione compor-ta:

�un modello di riferimen-to, già noto e studiato inaltri campi, al quale ispi-rarsi nel descrivere le spe-cifiche azioni del Dip

�un’ipotesi portanterispetto al ruolo dei servizisanitari in un contesto diinterventi integrati di pre-venzione: conoscere, indivi-duare e misurare il rischioche, sia nella sua immedia-ta presenza sia nella suapotenzialità, può prodursiper effetto di mancatemisure di analisi, conteni-mento e monitoraggio�una chiave di interpreta-

trollo del rischio e con cita-zione, se possibile, di even-tuali termini di confronto);descrizione delle misurenecessarie al calcolo dell’in-dicatore (diretto o svilup-pato all’interno di unmodello statistico).Questa base logica, svilup-pata svolgendo una ricercafinanziata dalla RegioneUmbria, sta costituendo ilpunto di avvio di un’elabo-razione collettiva in seno aiDip di questa Regione.Gruppi di servizi aggregatirispetto a macroaree diintervento stanno stilandoliste di indicatori, che poiandranno sperimentati,rispetto alla disponibilitàdelle misure necessarie ealla consistenza dei risulta-ti. Siamo ancora all’inizio,ma la rivisitazione di alcu-ni concetti ci stimola adavviare un confronto con ilcontesto nazionale e in par-ticolare con quella partedel mondo della prevenzio-ne che si è confrontata conla sfida dell’Ebp.

numero 67 • botta e risposta sull’Ebp

Il bicchiere è mezzovuoto o mezzo pieno?Alberto Baldasseroni

Botta e risposta sull’Ebp

Sono un passo avantinotevole nell’inqua-dramento del logical

framework per l’applicazio-ne di un Programma disanità pubblica (Psp).Chiedere che ogni azione disanità pubblica adottataespliciti la sua “ipotesi diefficacia”, anche in assenzao in carenza di prove diefficacia sperimentali, mi

sembra assolutamente cor-retto. In parte è ciò cheabbiamo fatto, implicita-mente, nel lavoro dellaCommissione ministerialeper l’abolizione di pratichecertificatorie, quandoabbiamo affrontato i diver-si capitoli sempre con lastessa domanda: a qualeobiettivo di salute rispon-deva l’atto sanitario consi-

Page 49: OSSIE ICEEIOI - S.N.O.PAmbiente Laboral) di Quito (Ecuador), è stato siglato un accordo di colla-borazione tra le due istitu-zioni. La Snop, in particola-re la sezione regionale Marche,

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derato? Questo concetto ècontenuto implicitamentein ciò che abbiamo chiama-to i “determinanti” del Psp,nel modello logico prelimi-nare che cerchiamo di svi-luppare ogniqualvolta civiene chiesto di fare unavalutazione di efficacia diqualsivoglia Psp. Tuttaviaquesta formulazione sotto-linea ulteriormente che sideve essere pienamentecoscienti di ciò che si stafacendo: in fondo è un’as-sunzione di responsabilitàdoverosa per dei dirigenti.

I risultati attesi

È importante abituare chi

interviene sulle comunità aragionare in modo analogoal clinico, somministrandoil proprio intervento e poiinterrogando il paziente sulraggiungimento del risulta-to atteso, tenendo presenteche nel “contratto” tramedico e paziente non c’èla clausola della guarigioneo della risoluzione obbliga-toria del problema di saluteoriginario, ma solo quelladella cura, cioè dellacosciente e giudiziosaapplicazione delle miglioritecniche al caso specifico.Quest’ultimo punto siricollega all’osservazionesull’impossibilità di attri-buire all’intervento disanità pubblica eventualirisultati di salute quandogli attori sono tanti e forsegli esiti sono determinatiin maggior misura dagli“altri”. È un punto rilevan-te, poiché è spesso il para-vento dietro il quale sinascondono molti colleghiquando vogliono scaricarele responsabilità di inter-venti malfatti e per nienteefficaci.La similitudine con il pro-cesso clinico è utile nelcostruire il paragone fra ilsopralluogo e il test dia-gnostico e i conseguentiprovvedimenti alla terapia,

soprattutto per poter pro-vare a utilizzare strumentida tempo sviluppati incampo clinico. Se fossepossibile programmaresperimentazioni in questocampo sarebbe un contri-buto di grande rilievo. E infondo l’elemento decisivo èapparentemente semplice:invece di agire su scale dipriorità eterodecise (in basealla gravità segnalata, achi grida più forte, alle fisi-me del politico locale, algradimento degli stessioperatori) basterebbe intro-durre la logica della rando-mizzazione e quindi dellarappresentatività ergaomnes di ciò che si va avedere. Molti anni fa con AnnibaleBiggeri abbiamo ragionatosu questo approccio emesso a punto modelli d’in-tervento che tenesseroconto della necessità digarantire la dovuta rappre-sentatività alle attività dia-gnostiche, rappresentatedai sopralluoghi.In definitiva, condivido lagriglia finale proposta.L’unica esigenza che rima-ne inappagata dalla letturadel testo riguarda il deside-rio di provare a cimentarsicon un caso “vero”.E in fondo questa è vera-

mente l’unica vera obiezio-ne: troppo spesso ci trovia-mo a descrivere questecose a colleghi che ci ascol-tano partecipi, a volteanche entusiasti, ma chepoi, una volta tornati alloro luogo di lavoro, nonriescono a mettere in motoi necessari meccanismi delcambiamento, richiestiquando si voglia adottareuno stile di pensiero comequello alla base della Ebp.Bisogna evitare di com-mettere l’errore di nontener conto di barriereinsormontabili all’applica-zione sul campo. Ma que-ste ultime considerazioniriflettono solo la tendenzaa vedere il bicchiere mezzovuoto: volendolo vederemezzo pieno, non si puònegare che l’interesse e lasensibilità per questi temisia cresciuto negli ultimitempi in modo veramenteconsiderevole.

botta e risposta sull’Ebp • numero 67

gli autori

� Marco Petrella, responsabile Servizio epidemiologia, Dip, Ausl 2 Umbria

� Igino Fusco Moffa, igienista, contratto diricerca

� Maria Donata Giamo,responsabile Dip, Ausl 2Umbria

� Alberto Baldasseroni,U.O. di epidemiologia,Azienda sanitaria diFirenze