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Pieve di S. Martino 4 ottobre 2011

OSEA (II lezione)

ORACOLI E SALVEZZA don Stefano Grossi

Conoscenza di Dio, amore e fedeltà

Le tre parole (conoscenza, amore e fedeltà) che stanno scorrendo sul video sono i tre punti chiave dell’annuncio profetico di Osea, per cui l’obiettivo di stasera è soprattutto quello di cogliere alla fine il senso che queste tre parole: conoscenza di Dio, amore e fedeltà perché rappresentano, all’intermo del testo di Osea, il senso specifico del suo messaggio e ci aiutano anche a coglierlo. Un buon modo per avere un’idea della novità di Osea o, comunque, della specificità del suo messaggio, è quello di confrontare Osea con Amos. Amos è un profeta che vive nel regno del nord, sostanzialmente negli stessi anni di Osea. Quindi un confronto tra i temi di questi due profeti potrebbe aiutare a mettere a fuoco tutta una serie di particolarità e di differenze. Potrebbe essere un lavoro da fare a casa. Quello di stasera è un compito un po’ più limitato. Intanto per chi non era presente la volta scorsa, vorrei dire due parole di riassunto per ricollegarci velocemente. - Primo punto fondamentale: i primi tre capitoli del libro di Osea costituiscono la sintesi di tutto quello che ritroveremo nei capitoli successivi, perché ci raccontano la storia personale di Osea, di sua moglie e dei loro figli, leggendola come un segno della storia tra Israele e Dio. E’ una storia abbastanza complessa dal punto di vista matrimoniale, perché la donna che egli sposa non è la sposa perfetta di cui si legge nel libro dei Proverbi, ma è una prostituta. Che sia una delle appartenenti al mestiere più antico del mondo o sia una prostituta sacra cioè una di quelle che seguiva culto di Baal non lo sappiamo. Però è chiaro che Osea legge la sua difficile storia matrimoniale come la storia, altrettanto difficile della relazione tra Dio ed Israele. In questa storia non c’è soltanto una presa di coscienza: c’è un salto di qualità determinato dal fatto che, come Dio non si arrende di fronte all’infedeltà di Israele e la sua carta vincente non sarà il castigo ma un perdono gratuito, così Osea dovrà imparare a fare lo stesso. Il cuore della proposta del libro è quella in cui Osea, dopo aver imparato che la sua relazione è un segno del rapporto tra Dio e Israele, deve imparare da Dio a non arrendersi: come Dio, per fare ritornare a sé Israele passa attraverso un’offerta gratuita di perdono e di misericordia, così dovrà fare lui nei confronti della moglie. Il modo di riconquistare il cuore della donna che, nonostante tutto, lui ama, non sarà quello della punizione e dell’allontanamento ma piuttosto sarà il tentativo di farla di nuovo innamorare di lui, di rifidanzarsi, di ripartire per un nuovo cammino d’amore. Questo è lo schema di fondo del libro di Osea. Stasera passiamo agli altri capitoli che, come dicevo si dividono in due grandi blocchi: i cap. 4-11 e i cap.12-14. Il nucleo più grosso è costituito dai cap. 4-11, dove sono raccolti più ampiamente gli oracoli attraverso cui Osea denuncia i vari modi in cui si realizza in Israele l’infedeltà verso Dio. Analogamente essi sono accompagnati da tutta una serie di minacce, di possibili castighi, ma vedremo anche come in questi capitoli si nasconde già la proposta nuova: come Dio sa creare una situazione alternativa rispetto a quella senza sbocchi che egli ha davanti a sé; come Israele vive la propria esperienza di fede che fa perno su questa dimensione di misericordia gratuita. I capitoli 12- 14, in piccolo, ribadiranno ulteriormente questo schema. Quindi lo schema fondamentalmente è questo: presa di coscienza di una infedeltà; minacce di castighi; una specie di una falsa conversione, molto interessata; una iniziativa strana, fuori

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schema, totalmente inaspettata da parte di Dio che può invece diventare la molla per una fedeltà rinnovata. Questi due elementi noi li vediamo se cogliamo un parallelismo tra il cap. 2, 4-15, contenenti minacce di castigo e di sventura (“Accusate vostra madre, accusatela, / perché lei non è più mia moglie/ e io non sono più suo marito! / Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni / e i segni del suo adulterio dal suo petto; /altrimenti la spoglierò tutta nuda/e la renderò simile a quando nacque,/ e la ridurrò a un deserto, come una terra arida ,/ e la farò morire di sete.) e i capp. 4-10 i quali allargano, danno spessore a quelle che sono le infedeltà che il profeta legge nella vita di Israele. Il problema è che questo atteggiamento duro non porta a un vero cambiamento interiore, ma ad una conversione solo apparente, di facciata. La vera svolta si compie al cap. 11 dove il profeta ci mette davanti al pathos di Dio, alla commozione profonda di Dio che per fedeltà a se stesso non può lasciare che la sua ira distrugga Israele, ma deve trovare una strada diversa, una strada creatrice. E quindi nei cc. 12- 14 noi leggiamo quello che è l’analogo, il parallelo, di Osea 2, 16-25, la parte in cui questa storia di Osea e anche la storia di Israele e di Dio riparte verso l’alto, si rinnova a partire da un gesto di misericordia gratuita di Dio. E’ questo perdono e salvezza che dovrebbero portare a una conversione reale, non più apparente. Questa è la linea di lettura, il grande tragitto che il libro di Osea vuole farci fare dopo avercelo annunciato nei primi tre capitoli, in contro luce, con la sua vicenda personale.

Come dicevamo, il profeta è colui che vive sulla propria pelle l’esperienza profetica e non semplicemente la pensa o la scrive. I capitoli successivi, dal 4 al 14, la realizzano, la ampliano, la specificano proprio su Israele. Dal cap. 4 rimane in contro luce, sparisce, la vicenda personale di Osea, di sua moglie e dei suoi figli e va in primo piano, in modo più diretto, quella di Israele e di Dio. Questi capitoli affrontano il punto fondamentale: la relazione tra Dio e Israele. Gli oracoli da 4 a 10 mostrano la caduta, la discesa, lo svilimento della relazione tra Dio e Israele; il cap. 11 un Dio che si commuove e che potrebbe aprire alla speranza alla speranza di una conversione di Israele. Ma questo non avverrà perché, come vi dicevo, nel 722-21 la Samaria sarà annientata insieme al regno del nord dagli eserciti assiri. I capitoli 4-11 Entriamo un po’ più intensamente nei cap. 4-11. Io ho fatto una scelta assolutamente personale: leggere tutto Osea può essere un po’ noioso perché i testi dei profeti sono talvolta ripetitivi. L’importante è leggere quello che ci dà un’idea effettiva del messaggio di Osea ed io ho pensato di soffermarmi su Os 4,1 10; 5,1-7 ; 5,15; 6,6 perché sono tre oracoli contro la classe sacerdotale e il suo modo di vivere il sacerdozio levitico. Questo è il primo bersaglio polemico di Osea: contro un culto ipocrita, che vorrebbe essere professione di fede e di obbedienza a Dio e invece nasce da una vita in completa dissonanza con la volontà di Dio. Primo obiettivo polemico. Accanto a questo c’è un secondo obiettivo polemico rappresentato dai re. L’altra volta, nella breve sequenza storica, vi facevo vedere come dopo la morte di Geroboamo II si succedono molti re che durano pochissimo e finiscono invariabilmente ammazzati da chi li spodesta; essi sono spesso ingannati dai notabili e dai profeti di professione, mentre Osea – ricordianolo – è un profeta di vocazione. Questi tre testi mi sembrano particolarmente significativi: ma se ne potrebbe scegliere altri; sono quelli che mostrano l’altro versante: quello strettamente religioso e quello religioso-politico. C’è poi un terzo livello (Os 9,10-11,11): la cosiddetta serie storica, dove il libro di Osea raccoglie oracoli che mettono in evidenza il “peccato originale” della storia di Israele: gli episodi emblematici della corruzione di Israele. E’ un fatto caratteristico della profezia di Osea: il passato, ad eccezione dell’uscita dall’Egitto, non è affatto nobile; l’avvento della monarchia, a partire da Saul, non ha nulla da insegnare se non in negativo. C’è una critica molto forte nei confronti dell’istituzione monarchica fin dall’inizio. Questi capitoli contengono dunque tutta una serie di oracoli, ciascuno dei quali è centrato su un episodio storico che mostra come la storia di Israele non abbia mai avuto momenti positivi: la radice non è molto buona e non c’è da aspettarsi buoni frutti. L’inutilità di

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rivolgersi continuamente al passato come se fosse stata un’età dell’oro verrà ribadita anche da Qoelet (Qo 7,10), che è però scritto molti anni dopo Osea. Apro a questo punto una parentesi, soffermandomi su una parola che ho usato: idolatria. Ci sono nel libro alcuni testi esemplari che riguardano l’idolatria religiosa e l’idolatria politica. Questa parola è molta generica e assume significato diverso nei vari periodi della storia di Israele: diversi anche i mezzi con cui i profeti la combattono. Quella che troviamo nel tempo di Osea va colta nella sua caratteristica specifica: non è la stessa del tempo di Mosè, anche se vi ritorna l’immagine del vitello d’oro; e non è neppure quella dei Filistei che prendono l’arca e la mettono nel loro tempio; né quella contro cui ha combattuto il profeta Elia. Nel cap. 4 si trova è uno degli esempi sull’idolatria religiosa: Ascoltate la parola del Signore, o figli d’Israele, perché il Signore è in causa e con gli abitanti del paese. Non c’è infatti sincerità nè amore, né conoscenza di Dio nel paese. Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue. Per questo è in lutto il paese E chiunque vi abita langue, insieme con gli animali selvatici e con gli uccelli del cielo, persino i pesci del mare periscono. Ora comincia l’invettiva contro i sacerdoti: Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l’accusa. Tu inciampi di giorno e anche il profeta (il profeta di mestiere) con te inciampa di notte e farò perire tua madre. ( Questa frase è poco chiara: è uno di quegli esempi che dimostra che il testo ebraico di Osea è corrotto. La traduzione precedente della CEI cercava di tradurlo: Allora farò perire tua madre, come fosse una invettiva) Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e anch’io dimenticherò i tuoi figli. Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in ignominia: Essi si nutrono del peccato del mio popolo E sono avidi della sua iniquità. Il popolo e il sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro condotta e li ripagherò secondo le loro azioni. Mangeranno, ma non si sazieranno, si prostituiranno, ma non aumenteranno, perché hanno abbandonato il Signore per darsi alla prostituzione. Ho sottolineato la parola conoscenza, perché il verbo conoscere è fondamentale in Osea.

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E’ abbastanza chiaro con chi ce l’ha il profeta, come si può vedere in altre parti, ad es. al cap 5,1-2 in cui di nuovo c’è un’invettiva. Ascoltate questo, o sacerdoti, state attenti, casa d’Israele, o casa del re, porgete l’orecchio, perché a voi toccava esercitare la giustizia; voi foste infatti un laccio a Mispa, una rete tesa sul Tabor e una fossa profonda a Sittim. Tutte queste invettive, che poi si allungano ulteriormente, portano a quella che nel libro di Osea è una conversione “di facciata” del popolo. Questo è un testo che si trova spesso nelle letture del periodo di Pasqua o all’interno della quaresima perché sembra richiamare alla resurrezione di Cristo. Alla fine del capitolo, v, 15 dice: Me ne ritornerà alla mia dimora, finché non sconteranno la pena e cercheranno il mio volto e ricorreranno a me nella loro angoscia. Di fronte al ritiro di Dio Israele risponde così (6,1-3): Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita E il terzo giorno ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. Affrettiamoci a conoscere il Signore, (Nel cap. 4 non c’era la conoscenza di Dio) la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà come la pioggia di primavera che feconda la terra. Dio riprende la parola per bocca del profeta e di fronte a questa che sembra una bellissima professione di conversione sembra scuotere il capo e commenta: (6,4-6) Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: perché voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più che gli olocausti. Su quest’ultimo versetto ci soffermeremo la prossima volta quando vedremo come questo testo è stato ripreso in modo molto forte e interessante da Gesù. Qui c’è la logica già vista nel cap. 2: ora non c’è la moglie, ma ci sono i sacerdoti che non sono come dovrebbero essere. Essi dovrebbero essere le guide del popolo, ma non lo sono. Le guide religiose non richiamano ad una fedeltà, ad una coerenza tra vita e culto, ma pensano che fare gli olocausti, fare sacrifici sia sufficiente. L’idolatria al tempo di Osea E’ necessario adesso mettere a fuoco l’idolatria al tempo di Osea: essa non è uno scontro di religioni. Non è la religione di YHWH contro quella dei Filistei, degli Ammoniti, dei Fenici… Non è più questo il tempo: avveniva al tempo dei giudici e all’inizio della monarchia. E non è nemmeno

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quello in cui Israele sostituiva YHWH con altri dei, meno esigenti: questo avviene al tempo di Elia che si scontra con i profeti di Baal. E non è nemmeno il ritorno ai culti antichi, ai culti degli spiriti della fecondità. Piuttosto, per dare un volto al male religioso che Osea legge alla luce della rivelazione, dovremmo chiamarlo la dimensione del sincretismo. Secondo Osea il vero problema di Israele è che a Dio viene data una localizzazione ben precisa: i centri cultuali del Regno del nord – Betel e Galgala in particolare – diventano i luoghi in cui Dio è localizzato in un santuario e perde quella caratteristica tipica di YHWH di essere colui che accompagna il suo popolo, di non essere il Dio di un solo luogo, ma il Dio che vive nella storia. Questo è uno dei punti chiave della fede e della spiritualità di Israele ed è uno degli errori che secondo Osea si sta facendo: chiudere Dio in un santuario dove fare sacrifici, ma usciti di lì fare ciò che piace. L’altro aspetto è quello del trasferimento di caratteristiche per cui la figura di YHWH non è più la figura di colui che è al di là dell’immagine che ci si può fare di lui: è il Dio tre volte santo che non si può racchiudere nei nostri schemi, è quel Dio per cui a vedere il suo volto si può morire. A YHWH vengono piano piano attribuite le caratteristiche di Baal, cioè Dio viene letto come lo sposo della terra, che dà fertilità alla terra. Nel culto di YHWH vengono per tanto inseriti quei culti della sessualità e della fecondità che vi accennavo l’altra volta. Osea non può accettare tutto questo perché è sincretismo: significa attribuire a Dio le cose che ci fanno comodo. Allora Osea ribadisce continuamente tre cose: -l’unicità di YHWH: Dio è il Dio che si è manifestato sul Sinai, che ci ha accompagnato nell’esodo, che ha continuato a manifestarsi: - Dio non è il signore di un luogo, ma è il Dio della storia: Dio si manifesta nelle vicende della storia e non nei fenomeni della natura, nei fenomeni della crescita e della morte ecc. - YHWH non è lo sposo della terra ma di Israele. Cioè YHWH non è la parte maschile che si unisce a una deità femminile, la terra. La sposa di Dio è Israele, il popolo che Dio si è scelto. Ecco cosa intende Osea per idolatria e questo ci aiuta a capire gli oracoli del profeta contro i sacerdoti, i re, i notabili che si stanno creando un dio a proprio e uso e consumo. Proviamo a fare un po’ di sintesi. 1ª sintesi. Se prendo i tre brani di cui vi dicevo si ha questo meccanismo: Dio chiama a giudizio Israele: Israele si illude di conoscerlo, ma non lo ha minimamente capito e i sacerdoti che avrebbero il compito di farlo conoscere sono peggio di tutti gli altri. Sono false guide (brano del cap. 5). Non bastano allora i buoni propositi: se Israele vuole convertirsi non deve fare uno sforzo di desiderio, ma deve modificare il proprio agire e nel cap. 5, abbiamo letto, c’è l’accusa della prostituzione, come infedeltà matrimoniale che per Osea è immagine tipica dell’idolatria. Ecco perché da tutto questo non può esserci vera conversione, perché Dio viene trattato come se fosse un idolo. L’accusa fondamentale si può sintetizzare nell’ultima frase. La fedeltà (in ebraico hesed) di Israele è effimera, è senza stabilità, è polvere, è qualcosa su cui non si può costruire E c’è questa accoppiata nel linguaggio profetico tra i due termini hesed (traduciamola per ora come fedeltà) e ‘emet (la stabilità, la verità). Lo schema, abbastanza semplice, mantiene sempre quel meccanismo che abbiamo visto nei primi tre capitoli. Lo stesso avviene nei confronti del re, dei nobili, degli intellettuali del tempo. Prendiamo il cap, 7,3 in cui Osea descrive la corte del re: Con la loro malvagità rallegrano il re, rallegrano i capi con le loro falsità. Sono tutti adulteri, ardono come un forno in cui il fornaio non attizza più il fuoco, in attesa che la pasta preparata lieviti. Nel giorno della festa del nostro re

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sommergono i capi in fiumi di vino, fino a far sì che egli si comprometta con i ribelli. Perché il loro intimo è come un forno, pieno di trame è il loro cuore, tutta la notte sonnecchia il loro furore e al mattino divampa come una fiamma. Immagine disastrosa della politica in cui vino, banchetti ecc. sono fatti apposta perché il re faccia alleanze con i ribelli. In altri passi specifica che il re fa alleanze con altri re che promettono una falsa sicurezza ma che si rivelano essere assolutamente nulla di fronte a Dio. Al v. 11 il profeta commenta: Efraim è come un’ingenua colomba, priva d’intelligenza; ora i suoi abitanti domandano aiuto all’Egitto, ora invece corrono verso l’Assiria Efraim, la maggiore delle 10 tribù del nord, qui sta a indicare tutta Israele che ora si affida all’Egitto ora alla Siria, le due superpotenze del tempo. L’altro grande peccato lo si trova al cap. 8, v. 4 e segg.: Hanno creato dei re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa. Con il loro argento e con il loro oro Si sono fatti idoli, ma per la loro rovina. Ripudio il tuo vitello, o Samaria! La mia ira divampa contro di loro; fino a quando non si potranno purificare? Qui la critica nei confronti della politica nasce da questa dimensione religiosa: i capi che Israele si è scelto (andate a vedere la lista dei re che si succedono in quei 25-30 anni presi in esame nella prima sezione) sono tutti capi che Dio non ha indicato. Dio li ha scelti perché fossero non solo guide politiche ma anche religiose per il suo popolo. Invece è gente che fonda il proprio potere politico solo sulla violenza; sulla cerchia di amici di cui si circondano, non sul diritto, sulla giustizia, sulla fedeltà. Perciò Dio, per bocca di Osea, dice: «Io li ripudio». In sintesi: per prima cosa, Osea è contro le alleanze politiche fatte per comodo. Le alleanze politiche vissute in questo modo sono deleterie: portano Israele alla rovina perché i capi agiscono solo per brama di potere e non nell’interesse di Israele; A sua volta Israele trasforma le potenze straniere in un dio. Ecco l’aspetto dell’idolatria politica: questo tipo di politica trasforma le potenze terrene (Egitto, Assiria ecc) in coloro da cui ci si aspetta la salvezza. «No - dice Osea - Israele ha un solo Dio salvatore». La politica di Israele è un’idolatria pratica – è l’accusa del profeta - che genera false sicurezze: i capi si sentono sicuri dell’alleanza fatta anche se vivono fuori della legge; Israele confida in questa sua capacità di tessere alleanze e relazioni e non confida invece nella sua osservanza della legge. Di nuovo torna questa dimensione di idolatria non più religiosa, direttamente espressa nella forma del culto, ma nella pratica, nella dimensione concreta delle scelte che si fanno e che il profeta mette in discussione. In tutto questo una parte rilevante ce l’hanno anche i profeti e i veggenti di professione, (9,8-9) perché facendo dire a Dio quello che Dio non ha mai inteso dire generano nella gente false sicurezze, fanno credere alla gente che le alleanze fatte dal re sono positive, volute da Dio. Ecco perché, di nuovo, Osea si scaglia contro questo atteggiamento che rafforza le false alleanze politiche, sconsiderate sia dal punto di vista umano che religioso.

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Come possiamo porci davanti a questa lettura? Io vi propongo. due approcci. Il primo possiamo chiamarlo una sintesi esistenziale: i capitoli 4 e 11 non possiamo che leggerli come una riflessione penitenziale. L’oracolo con cui il profeta avvisa gli uomini che ci sono cose che stridono con loro fede, è per noi un punto di riferimento per una riflessione che ci guidi e ci indirizzi ad una riflessione personale e comunitaria. Le linee fondamentali sono le due che ho cercato di evidenziare con i brani che ho scelto. E’ chiaro che non sono solo queste perché Osea non è l’unico profeta né l’unico libro della Bibbia; però lui ci aiuta a mettere a fuoco questi due elementi specifici: da un punto di vista religioso Osea ci fa interrogare sul fatto che il culto gradito a Dio non può che nascere da una vita che si spende per la giustizia e per la rettitudine e ci aiuta a mettere a fuoco quanto, anche nelle nostre espressioni di fede, non solo personali ma anche comunitarie ed ecclesiali, è solo gesto esteriore di fede ma non ha questo fondamento nella giustizia e nella rettitudine. La dimensione politica ci richiama a come viviamo le relazioni sociali e comunitarie, a quanto nelle nostre relazioni c’è di calcolo, di astuzia, di abitudine, di sfruttamento dell’altro, di accondiscendenza piuttosto che obbedienza alla verità, alla parresìa. Secondo approccio. Io vi propongo questa sintesi meditativa: credo che sia utile accompagnare la riflessione e lo scambio di idee sulla Parola con la preghiera. Personalmente vi suggerisco come esempio i due salmi, il 49 e il 50. Vedrete che leggendoli di seguito sono una grande liturgia penitenziale che ci aiuta a mettere a fuoco quanto dice Osea. Il salmo 49 , tra l’altro, termina con un’espressione che sembra essere del profeta: Chi offre la lode i sacrificio, questi mi onora: a chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio Difficile non sentire in queste parole una eco di quanto si legge al cap. 6: perché voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più che gli olocausti. Questo potrebbe essere un modo di impostare una serata: dopo avere letto, commentato, riflettuto insieme, tentato di attualizzare questi brani, mettersi davanti a Dio partendo dalla sua Parola. E’ un modo bello di vivere il rapporto con Dio. Il capitolo 11: la svolta a partire dalla misericordia I capitoli che abbiamo preso in esame sono quelli che precedono il punto chiave, il cap. 11, quello della svolta, quello in cui Dio mostra tutto il suo pathos in positivo: ecco allora l’espressione che esce fuori quasi dal nulla, che non sembra preparata da nessuna precedente affermazione, se non quella del cap. 2,16-25. Dopo la nota negativa di 11,7: Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo ecco il punto di svolta: Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Adma, ridurti allo stato di Seboim? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira.

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Dio butta all’aria tutte le logiche che umanamente ci si poteva costruire: i sacerdoti sono infingardi, i politici sono corrotti, il popolo li segue credendo di fare bene, quindi ci sarà il castigo... Dio invece si muove con un’altra logica profondamente diversa da quella umana. Spezza la logica dell’errore-punizione che gli uomini gli avevano attribuito e si muove su un altro piano, quello del suscitare tenerezza, dell’usare bontà e misericordia per suscitare il positivo nel cuore di Israele, positivo che viene fuori non dalla punizione ma da una fiducia rinnovata, dalla misericordia. Il profeta lancia una speranza (vv. 10-11): Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall’occidente, accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore. E’ una speranza non magica, ma è affidata alle mani di Israele. Se il popolo coglie questa opportunità della bontà di Dio per convertirsi c’è un futuro nuovo che lo attende; come l’occasione che Osea offre a Gomer , così Dio offre a Israele l’opportunità di convertirsi. Purtroppo nel regno del nord questa opportunità non viene colta. Anche qui si ha di nuovo lo stesso passaggio. Il punto chiave è il cap. 14. E’ importante che il libro di Osea si concluda in questa dimensione di speranza che parte da un possibile ritorno sincero di Israele a Dio, ritorno sincero motivato di nuovo da un agire inusitato di Dio. Osea si chiude su questa speranza come offerta di una possibilità di futuro mentre tutto intorno c’è distruzione e desolazione. Torna, dunque, Israele, al Signore, tuo Dio, poiché hai inciampato nella tua iniquità. Preparate le parole da dire E tornate al Signore; ditegli:” Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene: non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra. Assur non ci salverà, non cavalcheremo più su cavalli, né chiameremo più “dio nostro” l’opera delle nostre mani, (idolatria religiosa) perché presso di te l’orfano trova misericordia”. Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano. Dio è colui che apre possibilità nuove di salvezza. Tocca poi a chi le percepisce, viverle ed appropriarsene. Dio può offrire, esortare, ma non può costringere ad agire contro la propria volontà. Di nuovo una sintesi. Ecco dove tornano le prime tre parole: fedeltà, amore, conoscenza di Dio. Intorno a queste tre parole noi articoliamo la sintesi del pensiero di Osea. Quali sono temi chiave? Il primo tema chiave è quello della commozione, della compassione. Non voglio essere polemico perché tradurre Osea è un compito non facile, ma la maggior parte delle traduzioni che ho

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consultato non rendono comprensibile in italiano la differenza tra una serie di termini ebraici. Primo esempio: il nome della prima figlia di Osea, viene tradotta Non Amata. In realtà il termine ebraico dice compassione, quella compassione che ti stringe lo stomaco,”le viscere di misericordia”, che nasce dal profondo, che ti attanaglia, che tocca ogni persona. Nei primi capitoli dunque quando c’è la parola amore, si parla di compassione che è una forma speciale, profonda, intensa di amore che coinvolge e, in certa misura, travolge. Quindi Non Amata si potrebbe rendere con Indifferenza. Non è semplicemente non le voglio bene; è come dire “per me non sei niente”. La parola ‘amore’ per Osea è un termine molto generale che può andare da un sostituto della preferenza (es. Israele ama – preferisce - le schiacciate d’uva) all’amore come passione travolgente (Israele ha amato il compenso della sua prostituzione, 9,1) qui dice l’avidità del possesso. Comunque la parola ‘amore’ in Osea non sembra avere una sua specificità, mentre ce l’ha la parola hesed anche se è difficile da tradurre. Gli stessi esegeti dicono che si può tradurre con fedeltà, lealtà, benevolenza. E’ un termine che nasce nell’ambiente del clan familiare. Se noi siamo una famiglia un po’ allargata e viviamo come seminomadi nel deserto non potendo contare che su noi stessi, è necessario che le relazioni fra noi siano positive. Relazioni in cui ci si fida gli uni con gli altri, in cui io so che posso contare su di te e viceversa. La prima idea della hesed nasce in questo contesto familiare e dice: «Io posso contare sempre su di te e tu sai che puoi contare su di me sempre». Infatti l’accusa principale che Dio, tramite Osea, muove ad Israele è che Israele non ha fedeltà, e questa infedeltà di Israele nei confronti di Dio avviene perché i sacerdoti, i re, i capi, i profeti ecc. cercano solo il proprio interesse. Perciò in 10,12 c’è l’esortazione: Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà (hesed) cioè secondo fedeltà, secondo lealtà, secondo bontà, una fedeltà benevolente, una benevolenza fedele. Capite che è difficile tradurre il termine hesed, per cui accettiamo la scelta del traduttore. però, Quando leggete i brani di Osea, ricordatevi che quello che la traduzione italiana rende con amore, non è sempre effettivamente questo. Ecco allora il punto chiave. Sia l’amore, sia la fedeltà per Osea sono unilaterali: è Dio che ama Israele e gli è fedele, mai viceversa. Per Osea non c’è reciprocità; amore e fedeltà sono relazioni a senso unico e il Signore non chiede reciprocità, come sarà nel Deuteronomio (Ascolta Israele … amerai il Signore…). In Osea l’amore e la fedeltà sono solo di Dio verso Israele. E l’amore di Dio è un amore geloso, esigente, che si attende una risposta da parte di Israele. Così la fedeltà, uno dei termini molto belli di Osea, è piuttosto il termine della sequela. Quando Dio chiede a Israele di essere fedele, non chiede tanto di essere fedele a lui, ma che le relazioni fra gli uomini e le donne all’interno di Israele siano improntate alla fedeltà, cioè alla benevolenza, alla giustizia, alla lealtà. La reciprocità è la reciprocità fra gli uomini. La fedeltà di Dio, dice Osea, dovrebbe far sì che la comunità di Israele viva relazioni di fedeltà reciproca, sia un’unica grande famiglia. Dove invece il profeta vede la dimensione della reciprocità è nella conoscenza Dio. Questa è lo specifico di Osea. Conoscere è un verbo che dice una intimità, una esperienza; non a caso usa l’immagine del matrimonio per parlare del rapporto fra Dio e Israele. Conoscere infatti nel linguaggio biblico esprime anche la relazione sessuale, esprime quell’intimo dono dell’uno con l’altro. Dio chiama Israele a conoscerlo, cioè a sperimentarlo, a vivere in intimità con lui. In 6,6 dice: … voglio l’amore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti. E l’accusa che Osea muove è quella generazione in cui non c’è conoscenza di Dio. I sacerdoti e il popolo periscono perché mancanza di conoscenza, perché i sacerdoti non conoscono YHWH e non lo fanno conoscere al popolo. Il cap. 13,4-5 riprende questo concetto: Eppure io sono il Signore, tuo Dio, fin dal paese d’Egitto,

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non devi conoscere altro Dio fuori di me. Io ti ho protetto nel deserto, in quella terra ardente. Il conoscere di Israele è fare esperienza della salvezza che viene da Dio, è quel rapporto così intimo di scelta, di attenzione, di dono della sua legge, della sua volontà per cui Israele dovrebbe dire: «Sì, da questo noi conosciamo Dio come colui che ci accompagna e ci salva». Qui sta la reciprocità. Tra i vari modi con cui si stabilisce una relazione tra Dio e Israele per Osea solo qui c’è reciprocità. E la richiesta di Dio è una richiesta di reciprocità: affrettati a conoscermi. Accanto a questo si potrebbero mettere dei verbi simili: cercare, ricercare e, al contrario, dimenticarsi che sono usati in modo sinonimico che ampliano il concetto. In questi testi di Osea c’è un rimando importante a ricordarsi che la fede non è un insieme di verità teoriche e neppure un insieme di gesti: la fede per Israele è, come per l’esperienza cristiana, un’esperienza vivente e vitale in cui si stabilisce una relazione profonda con Dio attraverso il proprio agire, attraverso gli eventi della storia, attraverso un culto che nasce da questa verità della vita. Per Osea la fede non è l’applicazione di una teoria, ma è un’esistenza che sia coerente, di una vita vissuta che la incarni, che la traduca nella propria vita, che ne faccia il nutrimento, il cuore, il centro nella propria vita e in quella della comunità. Un pensatore ebreo contemporaneo, Franz Rosenzweig, che, insieme a Martin Buber tradusse negli anni Venti la Bibbia in tedesco, diceva che la verità per la Bibbia è ciò che si può dimostrare vero solo a partire dalla propria vita e dalla vita di tutto un popolo. E’ un’esperienza vivente e vitale che accompagna l’esistenza umana dal nascere alla morte. ------------------------------------------- Lezione registrata e trascritta. Rivista dall’autore