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Periodico della comunità di Sant’Andrea - Vicenza Sì, Cristo è risorto, Sì, Cristo è risorto, e con Lui è risorta e con Lui è risorta la nostra speranza. la nostra speranza. Alleluia! Alleluia! Giovanni Paolo II Giovanni Paolo II ANNO XXI - N. 2 - MARZO 2016 - via Pizzocaro 49 - 36100 Vicenza - tel./fax 0444512288 [email protected] - www.santandreaapostolo.it

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Periodico della comunità di Sant’Andrea - Vicenza

““Sì, Cristo è risorto, Sì, Cristo è risorto,

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Ho Sentito il Battito del Tuo Cuore!

Ti ho trovato in tanti posti, Signore. Ho sentito il battito del tuo cuore nella quiete perfetta dei campi, nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota, nell'unità di cuore e di mente di un'assemblea di persone che ti amano. Ti ho trovato nella gioia, dove ti cerco e spesso ti trovo. Ma sempre ti trovo nella sofferenza. La sofferenza è come il rintocco della campana che chiama la sposa di Dio alla preghiera. Signore, ti ho trovato nella terribile grandezza della sofferenza degli altri. Ti ho visto nella sublime accettazione e nell'inspiegabile gioia di coloro la cui vita è tormentata dal dolore. Ma non sono riuscito a trovarti nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri. Nella mia fatica ho lasciato passare inutilmente il dramma della tua passione redentrice, e la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata dal grigiore della mia autocommiserazione. Signore, io credo. Ma aiuta la mia fede.

Madre Teresa di Calcutta .

ANDREOPOLI n.1 - 2016

Redazione: Gianni Apolloni, Graziella Azzarini, don Claudio Bassotto, Maria Fagnani, Ada Iacono, Vittorio Peserico, Tiberio Valente.

Hanno inoltre collaborato: Gianni Apolloni, Annalisa Benazzato, Federica Biasi, Gabriele Carpignani, Giovanna Dal Ponte, Renato Rossi, Danilo Saccardo, Maria Grazia Scaramella, Suor Maria Zaffonato, Ugo Zorzi, Lucia e Melina.

Grafica e impaginazione: Gianni Apolloni, don Claudio Bassotto.

Stampa: Elica Cooperativa Sociale

In copertina: Il Ritorno del figliol prodigo, dipinto a olio su tela (262x206 cm) di Rembrandt, databile al 1668 e conservato nel Museo dell'Ermita-ge di San Pietroburgo. Immagine scelta in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia.

PARROCCHIA

RISORTI NELLA MISERICORDIA - LETTERA DEL PARROCO 3

COME NACQUE IL PARCO GIOCHI DI S.ANDREA 9

S.MESSA CON S.E. MONS. PIERANTONIO PAVANELLO 17

NOTIZIE DALL’O.S.A. CON NOI 21

LE STRADE DEL QUARTIERE 26

BILANCIO ECONOMICO DELLA PARROCCHIA 30

GRUPPI

INCONTRI DEL LUNEDÌ 5

GIOCHI

LA PAGINA DEI GIOCHI 28

APPROFONDIMENTI

SULLA MISERICORDIA 4

DOPO IL PERDONO : VITE SOSPESE 11

GENERARE ALLA VITA DI FEDE 13

ATTUALITÀ

LA STORIA DELLA COLOMBA PASQUALE 7

IL CORSO DIOCESANO DI CATECHESI PER NONNI 18

LA MISERICORDIA PIÙ GRANDE DELLO SCANDALO 20

CAMPI ESTIVI

INVITO AL CAMPO ESTIVO ELEMENTARI/MEDIE 23

CAMPO ESTIVO GIOVANI DI 4°/5° SUPERIORE 24

PERSONE E TESTIMONIANZE

SETTIMANA COMUNITÀ “MARCO AMATO BETTIOL 15

COSTRUIRE PONTI 25

CARITÀ

2015: UN ANNO CON IL GRUPPO CARITAS 29

QUANTO È STATO FATTO E QUANTO DA FARE ANCORA 31

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Risorti Risorti Risorti nella Misericordia di Dionella Misericordia di Dionella Misericordia di Dio

Carissimi, stiamo per vivere un’altra Pasqua, giorno di resurrezione e di speranza, festa nella quale anche noi siamo invitati a risorgere, per credere nella misericordia di Dio, la quale è molto più grande delle nostre mi-serie. C’è una fondamentale disparità tra la piccolezza delle nostre miserie e la gran-dezza della misericordia divina, distanza che viene colmata solo dalla compassione di Dio verso noi peccatori. In questo Giubileo Straordinario della Mise-ricordia siamo chiamati a riscoprire il modo di agire di Dio nei nostri confronti. Non si tratta di episodi sporadici, saltuari e del tut-to eccezionali, che Dio riserva solo ad al-cune persone meritevoli: quando parliamo di misericordia facciamo riferimento all’es-senza stessa del Signore. Non a caso l’ulti-mo libro di Papa Francesco si intitola: “Il no-me di Dio è Misericordia”, perché – come egli stesso afferma – “la misericordia è il pri-mo attributo di Dio. È il nome di Dio”. Il Pon-tefice ricorda come Dio nel corso della sto-ria ha usato soprattutto la misericordia per rivelarsi agli uomini, fino a Gesù, che non solo predica la misericordia in tutti i modi, ma ne è l’incarnazione più evidente. Gesù, con il suo modo di parlare e di incontrare i peccatori, è la rivelazione, il volto più au-tentico della misericordia di Dio. Quindi dove è il peccatore, lì c’è la miseri-cordia. Anzi, è interessante notare come l’esperienza più forte della misericordia si abbia quando c’è la maggiore esperienza di peccato. “Non sono i sani che hanno bisogno del medico” – dice Gesù. Così, so-lo chi si rende conto di essere peccatore si lascia incontrare e coinvolgere dalla mise-ricordia del Signore. Tutti noi ricordiamo la vicenda biblica dei due che vanno a pre-gare al Tempio, narrata dall’evangelista Luca al capitolo 18: uno è peccatore e si pone in fondo a testa bassa per chiedere pietà, l’altro è un fariseo che, stando ritto davanti all’altare, elenca tutte le cose che lo rendono diverso dagli altri. “Il primo e unico passo richiesto per fare esperienza di misericordia – ci ricorda Pa-pa Francesco – è quello di riconoscersi bi-sognosi di misericordia”. Il fariseo ringrazia

per non essere peccatore come tutti gli al-tri uomini, ma così facendo chiude le porte alla misericordia divina. “Se siamo come quel fariseo, se ci crediamo giusti – conti-nua il Santo Padre – non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia” (vedi l’omelia di Papa Francesco - domenica 17 marzo 2013, al mattino). C’è chi, da una parte, si ritiene a posto e non sente il bisogno di essere perdonato e, dall’altra, chi è convinto che il proprio ma-le è incurabile, credendosi irrimediabilmen-te perso e condannato. Entrambe le posi-zioni non permettono alla misericordia di fare breccia nel proprio cuore. Nel suo ulti-mo libro, il Papa ripete più volte che “Dio mette in atto molteplici tentativi per fare breccia nel cuore dell’uomo, per trovare quello spiraglio che permetta l’azione della sua grazia. Lui non vuole che qualcuno si perda. La sua misericordia è infinitamente più grande del nostro peccato”. Abbiamo iniziato la Quaresima con il profe-ta Gioele, che ci invitava a fare esperienza della misericordia di Dio, con questa esor-tazione: “Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, len-to all’ira e grande nell’amore” (Gl 2,12-13). Nella stessa celebrazione del mercoledì delle Ceneri abbiamo accolto l’accorato invito di Paolo che scrive così ai cristiani di Corinto: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 21). Da parte mia vi auguro di cuore di poter fare esperienza della misericordia del Si-gnore. Dio è veramente buono e perdona ampiamente, basta solo desiderare il suo perdono e lui ci viene incontro largamen-te, meglio e più di quanto possiamo imma-ginare. Occorre avere l’umiltà di ricono-scersi peccatori, ma non per un inutile sen-so di frustrazione o peggio per una falsa idea di umiltà che arriva alla negazione della propria validità, ma per chiedere aiu-to, per sentire che senza l’amore misericor-dioso di Dio non potremo mai risorgere dal-le nostre miserie. Vi auguro di poter credere fermamente-che la misericordia ha sempre la meglio nella nostra vita. Buona Pasqua di Resurrezione, nella misericordia di Dio!

don Claudio

PARROCCHIA

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L’ultima mia rilettura della Divina Comme-dia risale a pochi mesi fa. Mi trovavo in diffi-coltà e in sofferenza e traevo dalla sublimità di quella poesia e dalla bellezza del pensiero che la anima conforto, serenità e ottimismo. Si avvicinava, intanto, l’apertura dell’Anno Santo straordinario, il Giubileo della miseri-cordia.

Il secondo regno, il purgatorio, mi è parso in perfetta sintonia con il tema dell’anno giu-bilare e mi ha offerto spunti di riflessione le-gati a questo evento perché è la cantica del-la misericordia, del perdono, del pentimento. E, della speranza, la misericordia divina ci dona la rinascita!

Il purgatorio è una montagna che si eleva al cielo da un’isola al centro dell’oceano au-strale, contrapposta alla voragine dell’infer-no: luoghi antitetici ma anche complementa-ri, perché il primo è formato dalla terra di quella voragine.

Entrambi si trovano agli antipodi, ma pur sempre sulla terra, a significare che danna-zione e riscatto dipendono dalle scelte indivi-duali; il paradiso, elargito dalla Grazia, si tro-va nei cieli.

Il destino appare fissato in eterno per chi è dannato e per chi è beato.

Le anime penitenti, invece, salgono con fatica e dolore le pendici scoscese della loro montagna e Dante con loro e con il peso del proprio corpo!

I personaggi hanno connotati autonomi, appaiono in schiere, in gruppi, mansueti e concordi, sostenuti non solo dalla coscienza

della stessa sorte di espiazione, ma so-prattutto dalla fede e dalla speranza. Nemmeno quando si staccano dal gruppo per incontrarsi e parlare con Dante e narrano le loro vi-cende personali, di-menticano di parlare anche a nome di al-tri. Dante si conforma ai penitenti che so-no pellegrini come lui, prende parte alla

loro redenzione, solidarizza con i ricordi, le sofferenze, le speranze, le certezze dei suoi compagni di strada.

Negli incontri dell’Inferno c’è un feroce antagonismo, qui una caritatevole solida-rietà, un trepido interessamento reciproco, un incontro fra amici che si sorridono e si ab-bracciano.

I rapporti di consonanza spirituale e psico-logica s’instaurano intorno alla preghiera co-mune, recitata coralmente. La preghiera col-lega i penitenti alla patria, alla famiglia terre-na ed ai cari viventi attraverso il suffragio nella certezza “che qui per quei di là molto s’avanza” (V canto), perché consente di ab-breviare i tempi lunghi dell’espiazione. Se le anime sono misericordiose vicendevolmente e nei confronti dello straordinario pellegrino che partecipa “da vivo” al loro cammino di purificazione, su tutte si riversa copiosa la misericordia di Dio, che accoglie anche un pentimento tardivo, il grido di un cuore con-trito.

Dante incontra l’ombra del principe Man-fredi, figlio dell’imperatore Federico II; “biondo era e bello e di gentile aspetto”, no-nostante i segni della ferite che lo avevano portato alla morte. Manfredi chiede a Dante di portare alla figlia Costanza la notizia che la consolerà: il padre non è dannato, nonostan-te i suoi peccati, nonostante la scomunica.

Dice: “orribil furon li peccati miei, ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei” (III canto).

Più oltre un’altra anima si fa avanti e dice il suo nome:

“Io fui di Montefeltro, io son Bonconte” (V canto). Si tratta del condottiero ghibellino che guidò i nemici della guelfa Firenze nella battaglia di Campaldino del 1289 a cui par-tecipò il ventiquattrenne Dante. Bonconte morì in quella battaglia, ma il suo cadavere non venne più ritrovato. Dante non riesce a trattenersi e gli chiede cosa ne è stato del suo corpo. L’anima risponde e racconta i mo-menti conclusivi della sua esistenza: ferito alla gola, trapassata da una freccia, era arri-vato, macchiando il suolo del suo sangue, fino a un torrentello; qui aveva finito la sua vita “nel nome di Maria”. Basta quel nome! E

Manfredi di Svevia 1232/1266

Sulla Misericordia

APPROFONDIMENTI

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“l’angel di Dio” afferra la sua anima per la salvezza, ma il diavolo “quel d’inferno” si ar-rabbia e grida “O tu del ciel perché mi privi? Tu te ne porti di costui l’eterno per una lacri-metta che’l mi toglie”, e sfoga la sua rabbia impotente travolgendo con una burrasca e lo straripamento del torrente, il corpo di Bon-conte facendolo così scomparire.

Più oltre, al centro della cantica, voci miste-

riose ripetono “Beati misericordei”: è la quin-ta delle beatitudini, il “documento” più rivolu-zionario della buona Novella.

Con questa citazione mi congedo dai letto-ri, augurando a tutti buon cammino e un tranquillo approdo: così le anime misericor-diose del Purgatorio fanno ripetutamente con Dante.

Graziella Azzarini

Bonconte di Montefeltro

Quarto figlio di Guido da Montefeltro, apparteneva alla casa-ta dei Signori di Urbino. La sua fama è legata alla battaglia di Campaldino, avvenuta il giorno 11 giugno 1289, in cui, condu-cendo la cavalleria ghibellina, trovò la morte. Il suo corpo non fu rinvenuto e questa circostanza, assieme al resto della sua vicenda umana, colpì Dante Alighieri che combatteva fra i suoi avversari.

Incontri del lunedì Cari Amici di Sant’Andrea, come già sa-pete, molti sono i gruppi e le attività che, come doni, sono germogliati nella nostra Parrocchia. Uno degli ultimi, in ordine di tempo, è stato denominato con un verset-to del Salmo 1: “Come alberi piantati lun-go corsi d’acqua…”; si tratta di “incontri per giovani di un tempo che non vogliono smarrire la giovinezza interiore”. Gli Ebrei accompagnavano i Salmi con il salterio, uno strumento a corde e canta-vano a Dio con fede, già mille anni prima di Cristo. Il versetto citato, che dà il nome al nostro gruppo, è stato ripreso con cura e tenera attenzione per sottolineare il va-lore che ogni persona riveste in qualun-que età della vita, quando è mossa dal-l’Amore. È proprio di questi incontri, ai quali parte-cipiamo, che vorremmo parlarvi. L’idea di questo gruppo è….”di quella suora che ha un bel carattere e che ci sa fare con le anime” (1). Sicuramente avete capito di

chi stiamo parlando! Abbiamo incominciato con la lettura e il commento dialogato della Bolla di indizio-ne dell’Anno giubilare di papa Francesco: “Misericordiae vultus”. Si è poi passati al-la sintesi dei lavori dei Vescovi riuniti a Roma nell’ottobre 2015 in un Sinodo straordinario per affrontare le tematiche inerenti alla famiglia, oggi. Sono stati toc-cati argomenti del Concilio Vaticano II, contenuti nelle Costituzioni Sacrosanc-tum Concilium, Dei Verbun e Lumen Gen-tium. A seguito della presentazione del libro di papa Francesco “IL NOME DI DIO È MISERICORDIA” è stata letta e analiz-zata la toccante testimonianza del Cinese Zhang Agostino Jinqing… e qui ci fermia-mo! Non possiamo raccontare tutto ciò di cui si è parlato, ma possiamo dirvi come le letture, le spiegazioni, gli approfondi-menti, le brevi esperienze di vita vissuta, narrate liberamente da ciascuno di noi, riempiono i nostri cuori di vera gioia. So-

GRUPPI

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no “vissuti” ricchi di saggezza e di meravi-glia, perché meravigliosa è la vita! Ci sono, in questi incontri, brevi silenzi di riflessione che, talvolta, permettono alla mente voli pindarici che confortano il cuo-re, e altre volte risate sonore che qualcu-na provoca ad arte per fugare una nube di malinconia. Il tutto è accompagnato da dolcissime caramelle, gustate insieme al-la fine dell’incontro, in un clima di sincera amicizia. Si parla di santi e di sante, anche a noi contemporanei, di papa Francesco, di uo-mini candidi per purezza di linguaggio e semplicità di vita; di uomini e di donne che lavorano, faticano, pregano tanto e vivono con discrezione, senza far rumore. Ognuno di noi. seduto attorno ad un tavo-lo ovale, può riandare con la memoria alle gioie e alle tristezze che porta con sé, leggendole, a posteriori, con gli occhi del-la fede, con sentimenti di pace e talvolta di gratitudine. Interessante è approfondire o rispolverare alcuni significativi eventi ecclesiali della storia presente e del recente passato: ri-cordare laici, consacrati, sacerdoti, Ve-scovi e Papi che si sono adoperati per fa-re della Chiesa “la casa di tutti in Cristo Gesù”. Non ci dilunghiamo oltre, se non per ri-portare alcune frasi e impressioni dei par-tecipanti: …mi ha fatto riscoprire in profondità l’im-portanza della misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consola-zione ad ogni nostro fratello e sorella. Dio Perdona sempre ! …il nostro gruppo è “Chiesa”, spronato e incoraggiato a crescere sempre più nella fede. …Mi è piaciuto molto ascoltare come si è svolto il Sinodo dei Vescovi i quali hanno dimostrato una particolare attenzione per tutti noi: sposi, separati, persone sole, ammalati, bambini, giovani, anziani… …L’incontro è bello, perché l’argomento è presentato in maniera comprensibile a tutti, cosicché cattura l’attenzione e man-

tiene vivo l’interesse. …Gli argomenti e la condivisione di espe-rienze invitano a meditare sull’amore e sul perdono, ci spronano ad aprirci ai fra-telli per donare loro il nostro aiuto, il per-dono, la misericordia e a testimoniare, co-sì, le meraviglie che l’amore di Dio opera nei nostri cuori. Ho capito che non dobbiamo scoraggiarci mai! Dobbiamo coltivare la fiducia sem-pre, sempre, sempre. Questi incontri mi offrono ciò di cui sento maggior bisogno: le testimonianze positi-ve, si respira un clima di serenità, di liber-tà anche di esporre il proprio pensiero, oppure di ascoltare. Si vive in una atmo-sfera di tranquillità. Trovo veramente interessanti gli argo-menti che vengono proposti e commentati in un ambiente vivace e partecipativo (2). Ringraziamo tutti, da parte di ciascuna/o di noi. Grazie a suor Maria per l’idea e l’impegno; grazie a don Claudio per la squisita ospitalità in Canonica al gruppo degli “ANTA”! (1) Canzo- ne di Renato Zero: “Nel giar-dino che nessuno sa” (2) Le frasi e le impres-

sioni sono

GRUPPI

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La colomba pasquale si ricollega all’episodio della Genesi in cui si parla del diluvio universale: alla fine del diluvio fu proprio la co-lomba infatti a tornare da Noè, portando nel becco un ramoscello d’ulivo a te-stimonianza dell’avvenuta riconciliazione fra Dio e il suo popolo. Il che segnava la fine del castigo divino e l’inizio di una nuova epoca per tutta l’umanità. Per questo la colomba che vola in un cielo azzurro, con l’ulivo nel becco è in tutto il mondo simbolo di pace e gioia.

LA LEGGENDA DI RE ALBOINO Il dolce pasquale a forma di colomba, consumato al termine del pranzo di Pa-squa, nasce come tradizio-ne verso la metà del VI se-colo. La storia racconta che, sceso in Italia con le sue truppe, Re Alboino sovrano dei Longobardi, dopo un terribile assedio

durato tre anni, riuscì ad entrare ed occupare la cit-tà di Pavia il giorno della vigilia di Pasqua, nel 572. Alboino, prima di trafiggere gli abitanti con la spada e appiccare il fuoco alla città, ricevette dal popolo stesso di Pavia, molti regali, in se-gno di sottomissione. Tra i regali vi erano dodici bellissime fanciulle, desti-nate ad allietare le notti del re e mentre egli, sovrano feroce, ma generoso al tempo stesso, stava deci-dendo sul destino della cit-tà, si presentò davanti a lui un vecchio artigiano con dei pani dolci. Il vecchio s’inchino solennemente davanti al trono, ubicato nel sagrato della basilica e rivolgendosi con rispetto all’invasore disse: “Sire, sono venuto a porgerti queste colombe, quale tri-buto di pace nel giorno di Pasqua”. Il re assaggiò così i pani, che gli piacquero così tan-to da indurlo a sentenzia-

re: “Pace sia! Inoltre rispette-rò sempre le colombe, sim-bolo della tua delizia.” Il dono fatto dal vec-chio pasticcere altro non era che un’astuta idea per salvare

la città e i suoi abitanti. Quando Alboino interrogò le giovani ragazze chie-dendo loro il nome, tutte risposero di chiamarsi Co-lomba. Egli capì il sottile inganno, ma decise co-munque di rispettare la promessa fatta e non solo risparmiò la città ed i suoi abitanti, ma accantonò la sua bramosia sessuale e rispettò anche le giovinette a lui donate.

LA LEGGENDA DI BARBAROSSA Secondo alcuni invece la creazione del dolce pa-squale a forma di colomba è legata ad un’altra leg-genda, che risale al tempo della Battaglia di Legna-no (1176) quando i Comu-ni Lombardi sconfissero l’invasore Federico Bar-barossa. Si dice, infatti, che, proprio durante la bat-taglia, tre colombe bianche si fossero posate sopra le insegne lombarde e il con-dottiero Carroccio ritenne che proprio i tre volatili portarono fortuna al suo esercito. Per questo motivo fece creare in loro omaggio un dolce a forma di colomba.

UN’ALTRA LEGGENDA vuole la colomba pasquale legata alla regina longo-barda Teodolinda ed il

ATTUALITÀ

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santo abate irlandese San Colombano. La leggenda vuole che San Colomba-no al suo arrivo in città, at-torno al 612 venisse rice-vuto dai sovrani longobardi e invitato con i suoi mona-ci ad un sontuoso pranzo. Gli furono servite numero-se vivande con molta sel-vaggina rosolata, ma Co-lombano ed i suoi, ben-ché non fosse di venerdì, rifiutarono quelle carni troppo ricche servite in un periodo di penitenza quale quello quaresimale. La re-gina Teodolinda si offese non capendo, ma l'abate superò con diplomazia l'in-cresciosa situazione affer-mando che essi avrebbero consumato le carni solo dopo averle benedette. Colombano alzò la mano

destra in segno di croce e le pietanze si trasformaro-no in candide colombe di pane, bianche come le lo-ro tuniche monastiche. Il prodigio colpì molto la re-gina che comprese la san-tità dell'abate e decise di donare il territorio di Bob-bio dove nacque l'Abbazia di San Colombano. La colomba bianca è anche il simbolo iconografico del Santo ed è sempre raffigu-rata sulla sua spalla.

LA NASCITA DELLA COLOMBA COME DOLCE INDUSTRIALE In realtà la colomba come la conosciamo oggi (prodotto industriale di massa) è una tradizione nata da esigenze industriali, più che

da tradizioni le-gate al territorio come la torta Pa-squalina o le sfrappole. Nei primi del No-vecento l'azien-da milanese Motta decide di confezionare un

prodotto simile al panetto-ne, ma con un aspetto de-cisamente legato alla Pa-squa. Nasce la colomba, un dolce con un impasto simile a quello del panetto-ne, ma che si arricchisce di una copertura di ama-retto. Non a caso nel 1930 la Motta commissiona ad un artista specializzato in manifesti pubblicitari, Cas-sandre, un affiche sulla colomba con questo slo-gan "Colomba pasquale Motta, il dolce che sa di primavera". La forma a co-lomba del dolce è, infatti, una scelta dettata non solo dalla simbologia, ma an-che dalla stagione, la pri-mavera. Da allora sono sfornate colombe pasquali in mol-

//Massime e Perle //

AMORE: Gli amori finiscono, è l’amore che non finisce. (R. Carrieri)

OTTIMISMO: Se uno ha molto da cacciarvi dentro, una giornata ha cento tasche. (F. W. Nietzsche)

SAGGEZZA: All’uomo saggio sono più utili i suoi nemici, che allo

sciocco i suoi amici. (B. Graciàn y Morales)

ATTUALITÀ

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Da molto tempo siamo abituati a vedere

i bambini trascorrere gioiosamente le

ore nel parco giochi di sant’Andrea,

spesso anche con i genitori o con i non-

ni. Discendono dallo scivolo, si dondola-

no sulle altalene, girano sulla giostrina,

trovano un angolo per tirare il pallone.

Spesso accanto a panchine occupate

da persone più anziane che trovano nel

piccolo parco un momento di conversa-

zione o di relax. Il tutto all’ombra di al-

beri che hanno raggiunto ormai dimen-

sioni considerevoli, piante che in prima-

vera sfoggiano piacevoli fioriture, rega-

lano refrigerio ed ombra gradevole in

estate e si accendono di svariati colori

nella stagione autunnale. Nella prima-

vera del 1982, quindi 33 anni fa, tutto

ciò non esisteva, sebbene il quartiere

fosse ormai quasi completamente defi-

nito, corredato non solo di condomini e

palazzine ma anche di una nuova chie-

sa che prendeva il posto del precedente

edificio di culto famigliarmente denomi-

nato “baracca””. Proprio all’inizio del

1982 nelle stanze del Comune di Vicen-

za era Assessore ai Lavori Pubblici il

dott. Giovanni Chiesa, un ortopedico

appassionato di politica che in prece-

denza era stato Sindaco della città. Co-

me Sindaco il dott. Chiesa aveva dedi-

cato anni di lavoro per realizzare un’o-

pera di alto profilo, la ricostruzione del

teatro Verdi nell’originario sito di Campo

Marzo con una soluzione progettuale di

prim’ordine. L’obbiettivo fu mancato per

un soffio ed il progetto fu archiviato. Il

Dott. Chiesa ne uscì alquanto amareg-

giato ma, persa la poltrona di Sindaco,

dal ruolo di Assessore ai Lavori Pubbli-

ci, si ripropose subito di dar vita ad un’i-

niziativa che con una spesa contenuta

procurasse un’utilità diffusa alla città.

Pensò di intervenire per la riqualificazio-

ne di una serie di aree verdi già di pro-

prietà comunale ipotizzando un progetto

che prevedesse non solo la realizzazio-

ne in tutta la città di parchi gioco veri e

propri ma anche la sistemazione più

“soft” di altre aree consentendo, con in-

terventi di minima, di giocarvi a pallone.

Si ricorda per inciso che un esempio di

questo secondo obbiettivo è rintraccia-

bile nel nostro quartiere in un’area in

prossimità di Via Meschinelli. Per realiz-

zare tempestivamente il progetto venne

costituita una “task force” di tecnici co-

munali che vi si dedicò con passione e

competenza. E l’area di Sant’Andrea?

Era allora un terreno incolto con un de-

stino incerto. Poiché non si trattava di

un terreno interamente di proprietà co-

Come nacque il parco giochi di S. Andrea PARROCCHIA

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munale, non avrebbe avuto tutti i crismi

per diventare parco giochi nel contesto

di quell’iniziativa. Tuttavia venne fatto

presente che proprio quell’area, centra-

le rispetto al quartiere e prossima alla

nuova chiesa, era rimasta forse l’unica

e la più appropriata per fornire un simile

servizio ai cittadini di Sant’Andrea. L’a-

rea di Via Riello, contigua alla scuola

materna, era infatti già più decentrata

ed utile anche per altre zone. Questi ar-

gomenti furono condivisi dal dott. Chie-

sa che decise di includere egualmente

la nostra area nel progetto poi approva-

to dal Consiglio Comunale. La questio-

ne della proprietà dell’area venne risolta

tramite un accordo complessivo nel cui

contesto fu possibile pure la sistemazio-

ne dell’attiguo piccolo parcheggio. Ven-

ne così effettivamente realizzato l’attua-

le parco giochi che, pur di modeste di-

mensioni rispetto ad altre strutture, ha

sicuramente rappresentato e rappre-

senta tuttora un punto di forza per il

quartiere. Purtroppo il dott. Chiesa, che

aveva contribuito anche per l’attuazio-

ne di questa opera, non fece in tempo a

vederla. Venne infatti a mancare proprio

nell’estate del 1982 a seguito di compli-

cazioni insorte in un intervento chirurgi-

co ed è ora sepolto nel Famedio dei cit-

tadini illustri nel Cimitero Maggiore .

Quando l'amore vi chiama, seguitelo, anche se ha vie ripide e dure. E quando dalle ali ne sarete avvolti, abbandonatevi a lui, anche se, chiusa tra le penne, la lama vi potrà ferire. E quando vi parla, credete in lui, anche se la sua voce può disperdervi i sogni come il vento del nord devasta il giardino. Poi che, come l'amore v'incorona, così vi crocefigge, e così vi matura, così vi poterà. Come sale sulla vostra cima e accarezza i rami che fremono più teneri nel sole, così discenderà alle vostre radici, e laggiù le scuoterà dove più forti aderiscono alla terra. Vi accoglie in sé, covoni di grano. Vi batte finché non sarete spogli. Vi staccia per liberarvi dalle reste. Vi macina per farvi neve. Vi plasma finché non siate cedevoli alle mani. E vi consegna al suo sacro fuoco, perché voi siate il pane sacro della mensa di Dio. In voi tutto ciò compie l'amore, affinché conosciate il segreto del vostro cuore, e possiate farvi frammenti del cuore della vita. Ma se la vostra paura non cercherà nell'amore che la pace e il piacere,

allora meglio sarà per voi coprire le vostre nudità e passare oltre l'aia dell'amore, nel mondo orfano di climi, dove riderete, ahimè, non tutto il vostro riso, e piangerete non tutto il vostro pianto. L'amore non dà nulla fuorché se stesso, e non co-glie nulla se non da se stesso. L'amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto; poi che l'amore basta all'amore. Quando amate non dovreste dire: “Ho Dio in cuore”, ma piuttosto: “io sono in cuore a Dio”. E non crediate di condurre l'amore, giacché se vi scopre degni, esso vi conduce. L'amore non vuole consumarsi. Ma se amate e bramerete senza scampo, siano questi i vostri desideri: Sciogliersi, e imitare l'acqua corrente che canta il suo motivo alla notte. Conoscere la pena di troppa tenerezza. Piagarsi in comprensione d'amore; e sanguinare di voluta gioia. Destarsi all'alba con un cuore alato e ringraziare un nuovo giorno d'amore; riposare nell'ora del meriggio e meditare l'estasiato amore; grati, rincasare al vespro; e addormentarsi pregando per l'amato in cuore, con un canto di lode sulle labbra.

GIBRAN KAHLIL

PARROCCHIA

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DOPO IL PERDONO : VITE SOSPESE (Luca 7,36-50; 15,11-32)

“Devo farmi un’idea più precisa di que-sto maestro in circolazione, che tutti cerca-no! Si dice compia meraviglie, che richiami alla santità di Dio, ma poi non sia così deciso nel condannare violazioni del sabato o cose simili. Faccio così: lo invito con tutti i suoi, da gran signore qual sono, e vedremo!”.

Così pressappoco doveva aver pensato Simone, stimato fariseo, come racconta Lu-ca al cap. 7 del suo vangelo. Simone, inoltre, aveva sentito dire che quel rabbì non era stato tenero con i suoi colleghi farisei, così attenti, puntuali e scrupolosi osservanti del-la Torah e dei suoi precetti!

L’ospite Gesù era arrivato, ma aveva av-vertito subito di essere un osservato specia-le trattato con distacco: i servitori non gli avevano lavato i piedi, non era stato ricevu-to con il bacio di amicizia, né il suo capo profumato con olio, segni di accoglienza ri-servati agli ospiti.

A complicare il tutto nella relazione con l’ospite, ecco poi presentarsi non invitata – ma qualcuno l’avrà pure introdotta! – una nota peccatrice, che non è specificato nel testo lucano fosse una prostituta ma era co-munque una donna che qualsiasi rabbi per-bene avrebbe allontanato. Ebbene, Gesù non solo non la scaccia sdegnato, ma le permette di toccargli i piedi, di spargere sul capo un profumo costoso, il tutto condito da un pianto così imbarazzante! Che sfron-tatezza, che imbarazzo per gli altri invitati!

Così vedeva Simone. In realtà, quale co-raggio, o forse meglio quale interna dispera-zione o intuito del cuore svuotato aveva in-vece spinto una creatura ai margini ad acco-starsi a quella sala! Doveva aver sentito pro-nunciare da Gesù parole nuove, magari fur-tivamente ascoltate mescolandosi alle folle: una via di uscita dalla sua umiliante situa-zione. Ora, in quella stanza, i presenti scom-paiono: ci sono solo lei e Gesù, anzi è solo Lui che importa, il solo che con una parola può dare gioia nuova al vivere, pace infine!

Ecco allora le parole di Gesù, che con pa-catezza, ma senza fare sconti, chiede a Simo-ne stesso di giudicare: “Se tu mi dovessi 500 euro e lei 5.000 [rispettiamo solo le propor-zioni!] chi sarebbe più riconoscente se io condonassi il debito ad ambedue? Ebbene:

tu sei in debito, non solo con me ma anche con Dio perché non hai accolto con onore un tuo ospite, invece lei ha colmato il suo enorme debito con il suo amore e il suo pianto! Perciò, donna, hai avuto fede in me e io ti dico che sei riabilitata di fronte a tutti: va in pace, perché i tuoi peccati sono perdo-nati.”

La scena si conclude con i commenti degli invitati: con quale autorità questo maestro della legge pensa di poter rimettere i pecca-ti?

Possiamo ora lasciare il testo di Luca e i convitati ai loro discorsi, per abbozzare due considerazioni.

La prima è una constatazione: la Chiesa ha fatto un lungo cammino anche nella comprensione della misericordia di Dio e del segno sacramentale, la confessione, ap-plicando quanto Gesù disse a Pietro sulla necessità di perdonare il fratello settanta volta sette, cioè sempre!

Anticamente, si dibatteva se il battesimo fosse l’unica tavola di salvezza. La lunga preparazione richiesta ai catecumeni per accedere al battesimo non eliminava la pos-sibilità di ricadere nel peccato: era necessa-ria una seconda “tavola di salvezza”, una ri-conciliazione dopo un severo percorso di penitenza nel caso, ad esempio, di apostasia più o meno forzata in tempo di persecuzio-ne, o di altre gravi colpe. Si è giunti, con passi graduali, dalla confessione pubblica a quella auricolare personale sancita dal Con-

DOPO IL PERDONO: VITE SOSPESE (Luca 7,36-50; 15,11-32)

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