Ortega y Gasset

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filosofiabreve riassunto del pensiero e delle opere del filosofo Ortega y Gasset tratto dal sito di Diego Fusaro

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ORTEGA Y GASSET

"La condizione dell'uomo , in verit, stupefacente. Non gli viene data n gli imposta la forma della sua vita come viene imposta all'astro e all'albero la forma del loro essere. L'uomo deve scegliersi in ogni istante la sua. , per forza, libero." ("Il tema del nostro tempo")

INDICEBREVE SINTESI DEL PENSIEROESPOSIZIONE DEL PENSIERO

BREVE SINTESI DEL PENSIEROE' difficile dare una precisa collocazione alla filosofia di Jos Ortega y Gasset (1883-1955), poich essa pare per sua natura sfuggire ad ogni definizione, ad ogni ingabbiamento. Nel percorso filosofico del pensatore spagnolo occupano un posto privilegiato le riflessioni di Husserl, di Dilthey, di Heidegger e, solo in un primo momento, dei neokantiani. Rispetto alla filosofia dell'altro grande protagonista del panorama filosofico spagnolo del '900, Unamuno, il pensiero di Ortega y Gasset si colloca in posizione pressoch antitetica: se Unamuno insisteva costantemente sul piano mistico del riscatto dal mondo e dell'immortalit, Ortega y Gasset, invece, pone laicamente l'accento sulla destinazione assolutamente terrestre dell'uomo, sul primato indiscusso del bisogno di felicit e di sicurezza da soddisfare nella dimensione storica e mondana. Unamuno, legato alla Spagna mistica dei Caldern e dei Giovanni della Croce, si propone di ispanizzare l'Europa; Ortega, intriso di quella cultura centro-europea che trova i suoi massimi esponenti in Goethe e Kant, auspica che la Spagna possa ad essa integrarsi. Dopo una iniziale adesione alle tesi dei neokantiani di Marburgo, il pensatore spagnolo se ne distacca, rinfacciando ad esse un eccesso di idealismo e di intellettualismo: il neokantismo cede in lui il passo all'attenzione per la fenomenologia di marca husserliana, di cui Ortega non esita ad accogliere il metodo e, soprattutto, il presupposto costituito dal "mondo-della-vita" (pur criticandone l'impostazione a suo avviso ancora troppo idealistica che trapelava dalla nozione di "epoch"). In particolare, Ortega y Gasset fa sua la centralit della vita valorizzata da Husserl, il suo ritorno alle cose stesse: resta soprattutto colpito da una pagina delle "Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica", in cui si parla del "mondo nel quale mi trovo e che insieme il mio 'mondo circostante'". Proprio dalla nozione di "circostante" nasce l'elaborazione della filosofia orteghiana, la quale sostituisce per alla "coscienza" di cui parla Husserl l'uomo concreto, calato nel mondo materiale: infatti, ci che veramente "esiste non la coscienza - e in essa le idee delle cose - bens un uomo che esiste in un contesto di cose, in una circostanza anch'essa esistente" ("La idea de principio en Leibniz y la evolucin de la teoria deductiva"). La vita , secondo Ortega, una relazione tra un io e una circostanza, poich "ci che veramente c' ed dato la mia coesistenza con le cose, insomma questo fatto assoluto: un io nella sua circostanza". Nelle "Meditazioni sul Don Chischotte" (1914) aveva scritto: "io sono io e la mia circostanza, e se non salvo questa non mi salvo nemmeno io". La vita circostanziale a cui allude Ortega l'accadimento originario per via del quale l'uomo, catapultato fuori di s, lontano dalla sua intimit, si trova ad esistere fuori di s, in quell'oggettivit delimitata spazialmente e temporalmente che , per l'appunto, la circostanza. E' un rapporto problematico: l'uomo vive le cose circostanziali come a lui straniere, quasi ostili, e deve piegarle ai bisogni del suo vivere. In questa prospettiva, "salvare la circostanza" per salvare noi stessi significa darle un senso, e ci il compito della cultura e di quello che ad essa sta a fondamento: la ragione, ma non quella fredda ed astratta del razionalismo, che pretende di dar leggi alla vita; bens quella che al servizio della vita, quella cio che crea teorie che la chiariscano a se stessa e le diano sicurezza. Questa tipologia di ragione viene da Ortega definita - per distinguerla da quella del razionalismo di matrice cartesiana - "ragione vitale", con un evidente riferimento alla sua internit rispetto alla vita stessa, di cui strumento. La verit a cui conduce questa ragione non quella della scienza, ma quella della vita: a questa tematica, il filosofo spagnolo dedica due saggi, "Sensazione, costruzione e intuizione" (1913) e "Verit e prospettiva" (1916). Con lo sguardo rivolto a Leibniz, Ortega si schiera contro ogni teoria che propugni "l'erronea credenza che il punto di vista dell'individuo sia falso", giacch, viceversa, esso "l'unico da cui il mondo possa essere guardato nella sua verit". Ne consegue che, se la realt "si offre in prospettive individuali", allora si pu dire che ciascuno di noi assolutamente necessario, insostituibile; non solo ogni singolo, ma addirittura ogni gruppo, ogni specie, poich ciascuno " un organo di percezione distinto da tutti gli altri e come un tentacolo che raggiunge frammenti di percezione dell'universo inattingibili da tutti gli altri". Ecco perch, nel saggio "Le Atlantidi" (1924) Ortega y Gasset arriva alla conclusione che nessuna cultura, neppure quella europea, ha il diritto di pretendere di avere un'egemonia sulle altre; ogni cultura uno specchio della verit. Soprattutto durante gli anni Venti e Trenta, il filosofo spagnolo elabora - sulla base della circostanzialit della vita - un'antropologia volta ad evitare riduzionismi (sia naturalistici, sia spiritualistici): l'uomo un animale fantastico, del tutto diverso da ogni altro, poich il solo a non potersi mai definitivamente adattare al mondo circostante; in virt del suo potere immaginativo, l'uomo duplica la realt, creando un mondo interno e suo. Certo, l'uomo anche un animale "tecnologico", che si serve delle innovazioni tecnologiche per piegare la circostanza, aggredendo il mondo, ma si tratta di vittorie fragili e di breve durata, che in definitiva vedono l'uomo sempre come perdente. E' durante gli anni '30 che Ortega intensifica il suo rapporto con la filosofia di Heidegger, protagonista indiscusso di quegli anni: ne scaturisce la ferma convinzione che la filosofia debba affrontare il problema dell'essere, scavalcando l'alternativa tra idealismo e realismo (l'essere non n le cose esistenti in s, n le cose pensate). L'essere dev'essere secondo Ortega cercato nella datit della vita, cio nella "pura coesistenza di un io con le cose, delle cose dinanzi all'io" ("Algunas lecciones de metafisica"). All'ontologia spetta quindi il compito di individuare le categorie costitutive della vita: vivere - heideggerianamente - "trovarsi nel mondo" a patire e insieme ad agire le cose in una mutua relazione, nella condizione di poter progettare se stessi in un margine di libert; allora, se la vita "un fa farsi", l'essere non un qualcosa di gi costituito, e che n le cose n l'uomo hanno per s l'essere, il quale , pertanto, "ci che manca alla nostra vita, l'enorme buco o vuoto della nostra vita" ("Algunas lecciones de metafisica"). Ma - distaccandosi in questo da Heidegger - la domanda metafisica intorno all'essere non originaria e costitutiva dell'esistenza: anzi, la filosofia come ricerca dell'essere inerisce sempre a una determinata situazione storico-culturale, e dunque non detto che sia perenne. Con queste considerazioni sullo sfondo, Ortega, nella maturit del suo pensiero, approda allo storicismo: la ragione vitale diventa ragione storica. Gli scritti che documentano questa nuova stagione della riflessione orteghiana sono soprattutto "Intorno a Galileo" (1933), "Storia come sistema" (1935) e "La ragione storica" (1940): in esplicito contrasto con la tesi hegeliana della razionalit salvifica della storia, Ortega afferma con Dilthey che la ragione stessa ad essere storica (e non la storia ad essere razionale), in quanto intrinseca alla vita dell'uomo (che, come abbiam detto, un "da farsi"). Ma con questo Ortega non vuol ridurre la storia ad una mera sequenzialit caotica di eventi: in sintonia con Heidegger, sostiene la storicit dell'uomo e, come conseguenza, la necessit di porre un nucleo a priori, una sorta di ontologia della realt storica ("istoriologia" la chiama Ortega), il cui ufficio di dare la teoria della struttura essenziale della vita storica. In quest'ottica, il sapere storico si edificher attraverso ipotesi che permettano di connettere quel nucleo a priori con i fatti empirici: per la conoscenza storica, in definitiva, bene adottare lo stesso procedimento ipotetico-deduttivo adottato da Galileo per costruire la scienza della natura. In opposizione a Dilthey, Ortega respinge la distinzione tra spiegare e comprendere, sostenendo che la comprensione della vita umana debba sempre far in qualche modo riferimento a spiegazioni causali. Ne "La ribellione delle masse" (1930), che fu salutato dai contemporanei come un testo destinato ad avere il successo de "Il capitale" di Marx o de "Il contratto sociale" di Rousseau, Ortega prende in esame la crisi culturale e spirituale che travaglia l'Europa a lui contemporanea, ravvisandone l'origine nell' "avvento delle masse al pieno potere sociale". Ci il segno del venir meno della funzione della cultura, minacciata dalla massificazione dei valori e dei comportamenti: "la massa travolge tutto ci che diverso, singolare, individuale, qualificato e selezionato. Chi non sia 'come tutto il mondo', chi non pensi come 'tutto il mondo' corre il rischio di essere eliminato". L'uomo-massa, non identificabile con una particolare classe sociale, l'uomo medio, senza qualit, soddisfatto di essere quel che , non intenzionato a migliorare perch si considera gi perfetto. La sua 'cultura' fatta di "luoghi comuni, di pregiudizi, di parvenze di idee, o semplicemente di vocaboli vacui che il caso ha ammucchiato nella sua coscienza". Insomma, essa non che barbarie: l'unico desiderio che ha l'uomo-massa di soppiantare gli uomini a lui superiori; ed cos che, appunto, nasce la ribellione delle masse, l'azione diretta e la violenza comeprima ratio, quando in una civilt fondata sulla volont di convivenza, sulla democrazia liberale, non potrebbero che essere l'ultima ratio. E' questa - dice Ortega - la "Magna Charta" della barbarie, di cui fulgido esempio il fascismo. A questa degenerazione della civilt, Ortega contrappone la formazione di una minoranza aristocratica, composta da uomini eletti, nobili, che facciano dello sforzo, dell'urgenza di trascendersi la norma trascendente della propria vita. Il filosofo spagnolo continuer a lungo ad interrogarsi sul ruolo delle minoranze intellettuali nel bel mezzo della crisi di civilt che affligge l'Europa negli anni '30 e nei decenni successivi: maturer la convinzione che il compito dell'intellettuale non immediatamente politico, ma semmai quello di educare l'opinione pubblica, di promuovere l'eticit e la formazione di credenze idonee a rilanciare la vita degli uomini.ESPOSIZIONE DEL PENSIEROOrtega y Gasset, ritenuto da Albert Camus il pi grande scrittore europeo, dopo Nietzsche, si afferm come il pi brillante saggista della sua generazione con la pubblicazione, nel 1914 poco pi che trentenne, delle Meditaciones del Quijote; nello stesso anno accolto nella Real Acadmia de Cencias Morales y Polticas. Lanno successivo fonda con Azorn e E. DOrs la rivista Espaa (Semenario de Vida Nacional). Le Meditaciones, il primo libro di Ortega, dopo la pubblicazione di alcuni Articulos (1902-13), ritenuto fondamentale nella sua vasta produzione socio-politico-filosofica, emblematico: si tratta, infatti, quasi come tutte le successive opere orteghiane, di una raccolta di vari saggi pubblicati da un professore di Filosofia in partibus infidelium; alcuni come questa serie di Meditazioni del Chisciotte trattano temi elevati; altri, temi pi modesti; altri ancora, temi inutili; tutti, direttamente o indirettamente finiscono per riferirsi alle circostanze spagnole. Per lautore, questi saggi sono - come la cattedra, il giornalismo o la politica - modi diversi di esercitare una stessa attivit, di esprimere uno stesso sentimento... Il sentimento che mi muove il pi vivo che trovo nel mio cuore; ... si tratta, o lettore, di saggi di amore intellettuale (Meditazioni del Chisciotte). Il libro comprende un prologo al Lettore, una Meditazione preliminare, e una Meditazione prima: il Leit motiv il Don Chisciotte di Cervantes, che lopera darte e di cultura pi alta che la Spagna abbia prodotto. Ma lungo la traiettoria che parte da Cervantes, Ortega giunge a Stendhal, Dostojewskij, Proust, Yoyce, attraverso anche Shakespeare, Goethe, Schelling, Heine, Dickens, Flaubert, ma anche attraverso lIliade e lOdissea di Omero; e attraverso, Platone, Galileo, Descartes, Leibniz, Kant, Nietzsche, e cos via. Libro quindi strategico e fondamentale nella biografia intellettuale orteghiana, in cui, peraltro, affronta il Don Chisciotte. Cos Ortega continua: insieme ad argomenti rilevanti, in queste Meditazioni si parla frequentemente di minuzie; si prendono in considerazione dettagli del paesaggio spagnolo, del modo di conversare dei contadini, delle danze e dei canti popolari, dei colori e degli stili nel vestire e negli arredi, delle peculiarit della lingua, e, in generale, delle piccole manifestazioni in cui si rivela linteriorit di una razza. Ma ecco il punto: come suo stile abituale, in tante digressioni, divagazioni accessorie, dettagli, citazioni, antinomie, spesso paraboliche, Ortega inserisce dei pensieri - chiave, delle riflessioni pi o meno apodittiche che attraversano tempi e luoghi (oltre il XX secolo, la Spagna e lintera Europa): la piena coscienza delle circostanze, in queste Meditazioni. Ortega, infatti, avverte: Facendo molta attenzione a non confondere ci che grande e ci che piccolo, affermando sempre la necessit della gerarchia.. considero urgente concentrare anche la nostra attenzione riflessiva, la nostra meditazione, su ci che si trova nei pressi della nostra persona. Luomo d il massimo delle sue capacit quando acquisisce la pien coscienza delle sue circostanze; attraverso di esse comunica con luniverso. La Circostanza! Circum - stantia! Le cose mute che ci circondano! Vicine, vicinissime a noi, mostrano le loro tacite fisionomie con un gesto di umilt e di desiderio, come bisognose di farci accettare la loro, offerta ... Tutti, in varia misura, siamo eroi e tutti suscitiamo umili amori. Sono stato un lottatore: un uomo sono stato, prorompe Goethe. La caducit, limmediato, il momentaneo nella vita ci rende, insieme, eroi della circostanza e umili: La vita, moltitudine di necessit private che nascondono pudiche il viso nei recessi dellanimo perch non si vuole concedere loro cittadinanza; intendo dire, senso culturale. ... Vita individuale, immediatezza, circostanza, sono nomi diversi per una stessa cosa: quelle parti della vita dalle quali non si ancora estratto lo spirito che racchiudono, il loro logos. E poich spirito, logos non sono altro che senso, connessione, unit, tutto lindividuale, limmediato, il circostante, sembra casuale e privo di significato. Ed ecco che, a poco a poco, si delinea la vita individuale come res dramatica, insecurites, pathos, skepsi, e infine come naufragio e ricerca di approdo: limmediato, il circostante, loccasionalit soggiogano la vita delluomo. La vita come circostanza e come ricerca; a tale riguardo Ortega prorompe: dobbiamo cercare per la nostra circostanza, il luogo appropriato nellimmensa prospettiva del mondo, scavando esattamente in ci che essa ha di limitato, di peculiare. Non bisogna restare perpetuamente in estasi di fronte ai valori ieratici, ma conquistare per la nostra vita il posto che le spetta in mezzo ad essi. Insomma: il riassorbimento della circostanza il concreto destino delluomo. Ed ancora: io sono io e la mia circostanza, e se non la salvo non salvo neanche me stesso. Pertanto la speculazione filosofico - culturale di Ortega, che parte dal Don Chisciotte di Cervantes (un Cristo gotico, macerato da angosce moderne, un cristo ridicolo del nostro quartiere, creato da unimmaginazione dolente), si sostanzia di unangoscia tutta moderna, lacerante, - a volte per anche ludica, sportiva (com la vita) -: luomo dis-orientato in un mondo che non conosce, naufrago, smarrito, incerto, dubbioso; alla ricerca, coma il Don Chisciotte, di nuovi lidi. Il Chisciotte luomo moderno. Ora, proprio Ortega ci autorizza, con le sue meditazioni sulla vita individuale, a cogliere con particolare evidenza alcune circum-stantiae della propria vita, le cui circostanze hanno chiaramente influito in varia maniera, sulla vita intellettuale, esistenziale di Ortega: una vita intensa, lacerante, spesso angosciante che ha portato Ortega esule, profugo, inquieto, ramingo per il mondo; un novello Ulisse alla ricerca di sempre nuovi approdi; ma, a volte, anche un tragico Don Chisciotte; non diversamente dalluomo folle della pagina nietzschiana, venuto troppo presto: troppo presto per le generazioni che ci hanno preceduto. La complessa e multiforme produzione orteghiana non monolitica, rigida, bens aperta, flessibile, poliedrica, variamente sfaccettata: allinterno di essa vi sono opere prettamente filosofiche (o sociologiche, o politiche o estetiche, o storico-filosofiche), ma pi spesso il pensiero orteghiano pur sempre intessuto di riflessioni sparse che vanno dallarte alla politica, dalla filologia alla storia, e alla filosofia, ecc... Ci nondimeno la filosofia orteghiana, pur nella sua a-sistematicit (che per altro ha fatto uscire dai gangheri filosofi come M.F. Sciacca, che lo liquida accusandolo di essere un filosofo senza filosofia, ed altri filosofi nostrani), pu essere raggruppata e scandita, sia pure con grosse aperture e in modo molto flessibile - con notevoli e ripetute eccezioni -, in quattro fasi fondamentali, proprio per evitare ulteriori fraintendimenti e grossi scivoloni di critici poco disponibili alle fratture del pensiero di un grande filosofo. Ci ovviamene non contrasta con lispirazione sostanzialmente unitaria della sua meditazione incentrata sulluomo, pur nel mare dei dubbi che Ortega ha continuamente attraversato: dubbio, interrogazione, ricerca incessante; da qui anche antinomie, aporie, contraddizioni, incertezze, prospettive, che caratterizzano la filosofia vitale-esistenziale orteghiana. In particolare si possono evidenziare, in modo duttile e senza alcuna rigidit, tenuto anche conto che spesso il pensatore madrileno riprende temi accennati o trattati in precedenza, in rapporto alla propria circostanza e alla circostanza spagnola e agli influssi di volta in volta subiti o superati, quattro fasi:1) una prima fase giovanile di neo-kantismo critico (dal 1902 al 1914), in cui Ortega, influenzato dai maestri marburghesi rispetto ai quali alla ricerca di una propria via, si apre al tema della vita come problema di individualizzazione rispetto al mondo della natura e della cultura;2) una seconda fase antropologica (dal 1914 al 1928), durante la quale, dopo la pubblicazione delle Meditazioni, privilegia la dimensione biologio-vitale, per poi concentrarsi sulla conoscenza delluomo e della circostanza;3) una terza fase (dal 1920 al 1934), in cui Ortega, sotto linflusso di Heidegger e Dilthey, approda allontologia della vita come biografia e storia, coniugando lo storicismo esistenziale con la sociologia, in modo molto personale ed originale;4) una quarta fase, verso gli Anni Quaranta, nella quale Ortega avvia una radicalizzazione dellidea di filosofia in rapporto con quel pessimismo ed ansia sistematica, non disgiunti dalle preoccupazioni per la situazione sociale e politica spagnola ed europea.Con le Meditaciones del Quijote del 14 Ortega aveva abbandonato il continente idealista, considerando luomo non un essere ontologicamente indipendente, bens un essere legato alla sua circostanza e alla sua Umwelt; in tal senso Ortega fu uno degli anticipatori dellesistenzialismo europeo (e di M. Heidegger di Essere e Tempo, in particolar modo). Il suo pensiero, oltre ad anticipare alcune tematiche heiggeriane (per esempio il concetto di verit come aletheia: dispiegarsi luminoso delle possibilit proprie delluomo), riprende, in modo del tutto originale, il concetto di Nietzsche di prospettivismo: la realt sempre in un rapporto dinamico con lio (io sono io e la mia circostanza), sicch la vita da intendersi come un molteplice di possibilit umane mai esaurite. Al razionalismo metafisico e scientifico, Ortega oppone la ragione vitale che si manifesta essenzialmente nel dar forma al fare, muovendo non da astratte categorie gnoseologiche, ma dalla concretezza storica delle sistuazioni e degli usi sociali. Di qui la funzione della cultura, che il pensatore spagnolo vede gravemente minacciata dalla moderna massificazione. Il suo pensiero eminentemente aporetico, problematico, intessuto di notevoli contraddizioni, che fanno di lui un controcorrente, un accentuatore di tutti i motivi critici e delle pi acute istanze polemiche, non - conformiste (avanzate sempre con il suo charme di grande scrittore paradossale); sostenitore accanito del laicismo e dellantidogmatismo in ogni campo, dalla politica alla pedagogia, denuncia ogni forma di misticismo come fenomeno patologico della mente umana. Ortega pi europeista e continentale di Unamuno, in conformit alla sua educazione germanica (studi per dodici anni in Germania), che fin per fare di lui pi un figlio di Kant e di Goethe che di Calderon e della Croce, ha incarnato il momento dellEuropa in Spagna, offrendoci, nella sua filosofia come stile di vita, una perfetta reincarnazione iberica delluomo faustiano, delloccidente problematico, scisso, ansioso, preoccupato, continuamente in preda alla febbre della conoscenza e del dubbio. Il filosofo per Ortega, a differenza di ogni altro scienziato, si immerge nellignoto; il pi o meno noto particella, porzione, scheggia delluniverso. Il filosofo si situa dinanzi al suo oggetto in un atteggiamento diverso da quello di ogni altri ricercatore. Egli ignora quale sia il suo oggetto; alle altre scienze dato un oggetto, ma loggetto della filosofia come tale totale e poich non dato, si potrebbe definirlo, molto essenzialmente, loggetto di indagine, ci che perennemente ricercato. La filosofia una scienza senza supposizioni: Ortega intende un sistema di verit che si costruito senza ammettere come suo fondamento nessuna verit; non sufficiente il non errare: molto meglio laccertarsi (il controllo critico). Bisogna eliminare dalla conoscenza la democrazia del sapere, secondo la quale esisterebbe solo ci che tutti possono conoscere. Il Leit-motiv di Cos filosofia : la filosofia conoscenza di tutto quanto esiste; queste parole suonano, per Ortega, con tutta la loro carica di elettricit intellettuale, con tutta la loro ampiezza e tutta la loro drammaticit. La prima delle esigenze che si impone al tipo di verit filosofica quella di non accettare come vero nulla che noi stessi non abbiamo gi provato e verificato. E pertanto sospendiamo le nostre credenze pi abituali e plausibili, quelle che costituiscono il supporto o il retroterra nativo su cui noi viviamo. In questo senso la filosofia antinaturale e paradossale, nella sua stessa radice. La doxa lopinione spontanea e abituale; ma in quanto tale essa lopinione naturale. La filosofia si vede obbligata a superarla, ad andare al di l di essa o, sempre nei suoi limiti, a cercare sotto di essa unaltra opinione, unaltra doxa, pi ferma di quella spontanea: insomma la filosofia para-doxa. Filosofare non vivere: una dimostrazione grandiosa della causa per cui la filosofia costitutivamente un paradosso; filosofare non vivere; disfarsi coscientemente delle credenze vitali. In questo mare di dubbi (antinomie, aporie, incertezze, prospettive), in tutto lirrompere di momenti cos contrastanti luomo non deve fermarsi in una sola cosa perch allora diviene matto: bisogna avere mille cose, una confusione nella testa, ci avverte Ortega (Nietzsche diceva ci vuole un caos dentro di s per generare una stella danzante), ci sembra di poter affermare che una certa continuit si disegna a rivelare una sotterranea coerenza nel pensiero orteghiano, pur cos aporetico, scisso, a-sistematico: il dogmatismo e il bigottismo che Ortega combatte per tutta la vita sono quelli di una ragione che procede noncurante della realt circostanziale, nella superba costruzione di ventosi edifici di concetti e di scienza: Ortega ha sempre negato lesistenza di una verit assoluta e afferma che la realt si compone di infinite prospettive tutte ugualmente vere e autentiche, e che la sola prospettiva falsa quella che pretende di essere lunica vera. Perch mai, si chiede Ortega qualche anno dopo, dei miei studi in Germania, cos rigorosamente scientifici, compiuti soprattutto in quelluniverso dove la filosofia era allora pi difficile, pi tecnica, pi esoterica, ho tratto la conclusione che avrei dovuto dedicarmi per non pochi anni a scrivere articoli di giornale?. Questa la questione centrale per la comprensione di tutta la speculazione filosofica di Ortega che forse non mai stata affrontata con sufficiente chiarezza. Ortega ci spiega che aveva studiato per un semestre a Lipsia, combattendo il suo primo disperato corpo a corpo con la Critica della ragion pura che presenta difficolt davvero immense per una mente latina. Nel semestre successivo and a Berlino; verso il 1908 pass un anno intero a Marburgo e nel 1911 vi torn; Marburgo era la citt del neo-kantiano: si viveva nella filosofia neokantiana coma in una cittadella assediata, in costante, chi va l!. Tutto ci che stava intorno era sentito come un nemico mortale: i positivisti e gli psicologisti, Fichte, Schelling, Hegel. erano considerati cos ostili che non venivano nemmeno letti. A Marburgo si leggeva soltanto Kant e, previamente tradotti in kantismo, Platone, Cartesio e Leibniz... Ma devo aggiungere tre cose: la prima che a Marburgo, per lesattezza, non si insegnava filosofia; era necessario conoscerla gi, averla imparato gi dal seno materno. La seconda cosa che i neokantiani non lanciavano le giovani menti verso problemi aperti sui quali fosse possibile e interessante lavorare. Non si conoscevano altre questioni se non quelle gi risolte neokantiane si caratterizzavano per lo scarso repertorio dei problemi, inquietudini e curiosit. Ma questaspetto si ricollega alla terza cosa ... che non mi azzardo a dirla adesso.... La considerazione delluomo in verit stupefacente, precisa Ortega: non gli viene data n gli imposta la forma della sua vita come viene imposta allastro e allalbero la forma del loro essere. Luomo deve scegliersi in ogni istante la sua. , per forza, libero: similmente parler Sartre. Questa libert di scelta consiste nel fatto che luomo si sente intimamente sollecitato a scegliere il meglio, e quale sia il meglio una cosa che non dipende dallarbitrio delluomo. Fra le molte cose che in ogni momento possiamo fare, possiamo essere, ce n sempre una che si presenta come quella che dobbiamo fare, che dobbiamo essere; ha insomma il carattere di necessit. Questa il meglio. La nostra libert di essere questo o questaltro non libera dalle necessit. Al contrario ci coinvolge maggiormente in essa: la necessit umana il terribile imperativo di autenticit. Chi liberissimamente non lo esegue, falsifica la sua vita, la dis-vive, si suicida. Ci si lascia la libert di accettare la necessit. Ed ancora pi paradossalmente drammatico, incalza Ortega: per noi quello che si chiama pensare scientifico psicologicamente non altro che una verit della fantasia, la fantasia dellesattezza. La vita umana innanzitutto lavoro poetico, invenzione del personaggio che ognuno di noi e che ogni epoca deve essere. Luomo romanziere di se stesso... Ebbene, la vita innanzitutto ... un genere letterario!. A lui avviso Ortega ha scelto, conformemente alla sua circostanza il suo genere letterario: essere, cio, discorsivo, dialogico, colloquiale, aperto, proprio del metodo socratico: la sua arte maieutica (Socrate, non ci ha lasciato, infatti, nessuno scritto); e larticolo di giornale, il saggio breve - frutto soprattutto di lezioni universitarie, conferenze accademiche in luoghi pubblici, discorsi politici, dibattiti che Ortega ha privilegiato per tutta la sua esistenza (poi raccolti in volumi) - costituiscono il modo pi autentico di dialogare e di interloquire con il vasto pubblico (lettori, uditori, politici, studenti, aficionados fra i giovani intellettuali di tutto il mondo europeo e americano): da ci il carattere vivo, palpitante, immediato, circostanziale, sempre attuale, serrato, polemico, ma anche asistematico, aporetico, socrativo dei saggi orteghiani. Ortega non ha mai voluto imprigionare il suo pensiero in una gabbia chiusa, la prigione del pensiero kantiano dalla quale Ortega fuggito via, per tutta la sua esistenza: luomo non deve fermarsi in una sola cosa perch allora diviene matto; bisogna avere mille cose, una confusione nella testa. Da qui la grande attualit di Ortega: sulla base degli undici volumi delle sue Obras Completas, risulta chiaro che la filosofia orteghiana una delle pi complesse, suggestive e stimolanti del XX secolo, ricca di geniali intuizioni e di profetiche anticipazioni e centrata sui temi fondamentali della cultura contemporanea.. Per Ortega luomo eredita la tradizione creata dagli altri uomini e questo lo distingue dallanimale, e aver coscienza di essere eredi significa aver coscienza storica: in ogni caso, non solo lessere sommersi nellenigma originario, fa scatenare lattivit dellintelletto. Difatti - fa presente Ortega - nellarea fondamentale delle nostre credenze si aprono, qua e l, come botole, enormi abissi di dubbi. Il dubbio agisce nella nostra vita allo stesso modo della credenza e appartiene alla sua stessa stratificazione. Il dubbio non un non-credere rispetto al credere e non neppure un credere che nega rispetto a un credere che afferma; dubbio significa stare nellinstabilit in quanto tale: la vita nellistante del terremoto permanente e definitivo. E ci troviamo nel mare dei dubbi allorch presi fra due credenze antagonistiche che cozzano fra loro e ci fanno rimbalzare dalluna allaltra, ci troviamo senza la terra sotto i piedi. Ebbene, sentendosi sprofondare nel mare dei dubbi, luomo reagisce e cerca di uscirne. Per questo, comincia a pensare. Lintelletto il congegno pi a portata di mano su cui luomo fa assegnamento. Quando crede non solito servirsene, perch uno sforzo faticoso, ma quando cade nel dubbio vi si afferra come a un salvagente. Le falle delle nostre credenze sono quindi il luogo vitale nel quale le idee compiono il loro intervento. Ed cos, allora, che capiamo subito il carattere ortopedico delle idee: esse agiscono l dove una credenza si infranta o si indebolita. Quel poco che luomo ha ottenuto costato millenni e millenni e lo ha ottenuto a forza di errori, imbarcandosi cio in fantasie assurde che sono rimaste strade senza uscita da cui dovuto tornare indietro malconcio. Ma questi errori, vissuti come tali, sono gli unici ponts de repere che possiede, sono ci che ha veramente ottenuto e consolidato... A forza di sbagliare, sta delimitando larea del possibile esito: da ci limportanza di non dimenticare gli errori e questo la storia (Idee e credenze, in Aurora della ragione storica). Ed ancora: apprendiamo dagli errori, non abbiamo certezze, i fatti scientifici sono nostre costruzioni. E le idee restano idee... Chi crede, chi non dubita, non mette in moto langosciosa attivit della conoscenza. Questa nasce dal dubbio e mantiene sempre viva la forza che lha generata. Luomo di scienza deve continuamente tentare di dubitare delle proprie verit. Queste sono verit della conoscenza, solo nella misura in cui resistono a ogni possibile dubbio. Vivono quindi un conflitto permanente con lo scetticismo. Tale conflitto si chiama prova (Intorno a Galileo). Per questo, evitare lerrore un ideale meschino (Popper); e il panico dellerrore la morte del progresso (Whitehead); come ebbe a dire Einstein, unidea - cio unidea buona - davvero rara. Avanziamo per tentativi ed errori; lerrore il debole segnale che ci permette la risalita difficile e tortuosa, dalloscurit della caverna in cui tutti ci troviamo. Ed Ortega, a tale riguardo, afferma: anche nel dubbio si sta. Solo che in questo caso lo stare ha un aspetto terribile. Siamo nel dubbio come in un abisso, ossia cadendo. Esso quindi la negazione della stabilit. Certamente, Ortega non riuscito a completare la costruzione del suo edificio teorico; spesso le opere sono incomplete: tuttavia in esse ci sono le linee generali di un grande cantiere in cui sono presenti i pi solidi materiali della cultura contemporanea, dalla filosofia della scienza alla sociologia, dalla linguistica alla fenomenologia. Si potr anche criticare il sincretismo di Ortega, ma si dovr anche riconoscere che tale sincretismo non un facile eclettismo. Esso nacque dallo sforzo di fondere correnti di pensiero che scorrevano - e tuttora scorrono - separate. Qui sta indubbiamente il suo limite, se si amano i sistemi teorici chiusi e rigorosamente unitari; ma qui sta anche il suo fascino, se si concepisce la filosofia come una ricerca senza fine, che continuamente problematizza i suoi risultati. In una lettera indirizzata a E.R. Curtius nel 1929 Ortega annunci il progetto di scrivere un purana filosofico Sobre la razn vital; qualche anno dopo precis allo stesso Curtius di aver intenzioni di enucleare il sistema filosofico che da tempo si portava dentro in due opere intitolare El hombre y la gente e Aurora de la razn histrica: nella prima avrebbe tratteggiato una statica sociale; nella seconda una dinamica. La guerra civile, lesilio e le continue malattie impedirono a Ortega di portare a termine il suo ambizioso programma di lavoro, sicch la sua teoria generale della societ e della storia rimasta una costruzione incompiuta. Tuttavia i numerosi e ampi frammenti che Ortega ci ha lasciato sono sufficienti per considerare la sua impresa teorica una delle pi suggestive e grandiose del nostro secolo, degna senzaltro di essere paragonata a quella di Croce e di Toynbee. Ogni sistema per Ortega un labirinto, un circolo chiuso, dove il pensiero, una volta compiuta la sua parabola, insegue se stesso, e dalle cose vede soltanto ci che si accorda col suo programma. Per queste evidenti ragioni la critica di Ortega non sempre pacificatrice, ma continua a gettare semi e germogli di insoddisfazione: e non sempre si sa con certezza in quale direzione.IDEE E CREDENZEScrive Ortega nel saggio "Idee e credenze": "con l'espressione 'ideedi un uomo' possiamo riferirci a cose molto differenti". Il termine idea di per s molto vago e confuso, perch include i pensieri occasionali, i pensieri ragionati, le verit scientifiche, perfino le stramberie: ma sono comunque pensieri che abbiamo in mente e che perci presuppongono l'esistenza di un uomo concreto che le pensa. Le idee presuppongono sempre l'uomo e sono necessarie per la sua vita, in quanto attraverso di esse l'uomo si orienta nel mondo e nella sua circum-stantia. Ma, pur essendo di base idee, due sono le diramazioni, le sottospecie: le idee-credenze ("ideas-creencias") e le idee-pensate ("ideas-ocurrencias" o "pensamientos"): solo queste ultime possono essere nominate di rigore "idee" ( per praticit le nomineremo rispettivamente con i termini credenze e idee, cos come Ortega fa, ma solo dopo aver specificato, appunto, la loro comune derivazione dal termine idea)."Delle idee () possiamo dire che le produciamo, le sosteniamo, le discutiamo, le propaghiamo, combattiamo a loro favore e siamo perfino capaci di morire per esse. Quello che non possiamo vivere di esse. Sono opera nostra e suppongono gi la nostra vita, la quale si colloca in idee-credenze che non produciamo noi stessi, che, in generale, neppure ci formuliamo e che, chiaramente, non discutiamo n propaghiamo n sosteniamo. Con le credenze propriamente non produciamo nulla, finch stiamo semplicemente in esse. () Il linguaggio volgare ha inventato l'espressione "stare nella credenza".In effettinella credenza si sta, e l'idea si tiene e si sostiene. Ma la credenza a tenerci e a sostenere noi stessi. Non giungiamo alle credenze dopo un raziocinio rigoroso: mentre le idee propriamente dette esistono nel momento stesso in cui noi le pensiamo, "la nostra relazione [con le credenze] consiste nelcontare su di esse, sempre, senza pausa". A tal proposito Ortega suggerisce un esempio tratto dalla vita quotidiana: siamo in casa e, per un qualsiasi motivo, vogliamo uscire in strada. Arrivando alla porta di casa nessuno si sar posto la questione che ci sia una strada, che essa esista. E' fuor di dubbio che per uscire in strada sia essenziale che una strada esista, eppure non ci si pensa e non lo si mette in dubbio. Ma non si potrebbe dire che l'esistenza o meno della strada non sia intervenuta nel comportamento di chi vuole uscire di casa. La prova consiste nel fatto che se si arrivasse alla porta e si scoprisse che la strada sparita, si avrebbe una violenta sorpresa. Perch? Perch quell'uomo nell'atto di uscire, pur non pensando all'esistenza della strada, ci contava, sapeva che c'era senza averci pensato, non l'ha messa in dubbio e non l'ha sottoposta a vaglio critico. Che la strada esista fa parte delle nostre credenze: quelle idee in cui "viviamo, ci muoviamo e siamo". Si potrebbe cambiare esempio, passando da una credenza del singolo uomo, ad una credenza collettiva. Quando frana una montagna o straripa un fiume, noi siamo soliti chiamare tempestivamente la protezione civile o i vigili del fuoco. Questo nostro atteggiamento coerente con una credenza che non mettiamo in discussione, derivante da una concezione scientifica della realt, secondo cui, in questi casi, una montagna frana e un fiume straripa se ha piovuto troppo e la terra ha ceduto. Ma se ci spostiamo in India, o in Africa, di fronte alla violenza della natura, per prima cosa i bramini o gli stregoni invocano gli dei e compiono riti che ne plachino l'ira. Da molti occidentali, questo comportamento potrebbe essere considerato ridicolo o inferiore, non vero; eppure molti di noi, di fronte ad una malattia inguaribile, chiedono grazia a Dio e si recano in chiesa o in pellegrinaggio, percorrendo magari qualche centinaio di metri in ginocchio. Non ha importanza, quindi, la questione sulla veridicit o meno di una credenza. Ci che basta che sia creduta: si tratti di un singolo o di una civilt intera. Le credenze operano in noi, noi contiamo su di esse senza pensarci: sono la nostra interpretazione della realt, anzi, "poich sono credenze radicalissime si confondono per noi con la realt stessa -sono il nostro mondo e il nostro essere". Ma in quanto interpretazione non ragionata e non pensata, nel momento in cui, per un qualsivoglia motivo, la mettiamo in dubbio ed entriamo nell'incertezza, la credenza diviene idea discussa. Cos' quindi ildubbio? Qual il rapporto tra dubbio e credenza?"Le credenze -scrive Ortega- sono la terra ferma su cui ci affanniamo. [] Il dubbio () un modo della credenza e appartiene allo stesso strato di questa nell'architettura della vita. Anche nel dubbio si sta. Soltanto che in questo caso lo stare ha un carattere terribile. Nel dubbio si sta come si sta in un abisso, cio, cadendo. E', quindi, la negazione della stabilit. All'improvviso sentiamo che sotto i nostri piedi cede la fermezza terrestre e ci pare di cadere, cadere nel vuoto () Viene ad essere come la morte nella vita, come assistere all'annullamento della nostra propria esistenza. () La differenza tra fede e dubbio non consiste in un credere. Il dubbio non un "non credere" di fronte al credere, n un "credere che non" di fronte a un "credere che s". L'elemento differenziale sta in ci che si crede. La fede crede che Dio esista o che Dio non esista. Ci pone, quindi, in una realt, positiva o "negativa", ma inequivoca, e, pertanto, stando in essa ci sentiamo collocati in qualche cosa di stabile".Il dubbio pertanto la cifra dell'instabilit. E' uno stare sulla terra scossa da un terremoto che non accenna a smettere, a placarsi. Il linguaggio volgare, ha un immagine specifica che ben rende l'idea e che Ortega riprende: "trovarsi in un mare di dubbi", l'uomo in balia di qualcosa di fluido e instabile, scivoloso, che non concede sicurezza. Esattamente l'opposto della credenza, simbolicamente definita come uno stare sulla terra ferma. Perch si dubita? Perch il dubbioso si trova a dover decidere tra due credenze antagonistiche, inconciliabili. Per uscire da questo mare di dubbi, il dubbioso deve risolversi ad aggrapparsi a qualcosa. A che cosa? All'intelletto: "[l'uomo]mentre crede non solito usarlo, perch uno sforzo penoso [Ortega usa il termine spagnolo 'penoso', che si pu rendere con 'doloroso', 'difficile'. Si capisce quindi l'accezione del termine non unicamente negativa]. Per cadendo nel dubbio si attacca ad esso come ad un salvagente". A questo punto, tramite l'uso dell'intelletto e il ragionare, entrano in gioco le idee: intervengono nei vuoti delle nostre credenze e l'instabilit, l'ambiguit, sparisce. "Come si ottiene questo? Fantasticando, inventando mondi. L'idea immaginazione. All'uomo non stato dato nessun mondo gi determinato". L'idea, quindi, non un fatto su cui contiamo, ma una conclusione: il risultato a cui perveniamo dopo un ragionamento tramite l'intelletto. Infatti, scrive Ortega:"L'idea ha bisogno della critica come il polmone dell'ossigeno e si sostiene e afferma appoggiandosi su altre idee che, a loro volta, sono a cavallo di altre formando un tutto o un sistema. Organizzano, quindi, un mondo a parte dal mondo reale, un mondo integrato esclusivamente da idee di cui l'uomo si sa produttore e responsabile. Di modo che la solidit dell'idea solida si riduce alla solidit con cui tollera di essere riferita a tutte le altre idee. Niente di meno, ma anche niente di pi () La verit suprema quella dell'evidente, ma il valore dell'evidenza stessa a sua volta teoria, idea e combinazione intellettuale. Tra noi e le nostre idee, quindi, si ha sempre una distanza insuperabile: quella che va dal reale all'immaginario. In cambio, con le nostre credenze siamo sempre uniti. Perci si pu dire che le siamo".Costruire idee, farsi delle idee, un appiglio essenziale per poter vivere in quella che una vita enigmatica, contraddittoria. L'uomo deve decidere cosa fare, come comportarsi, come e cosa scegliere per la sua circum-stantia: e lo fa immaginando, confrontando e quindi, eventualmente, accettando. "Questi mondi immaginari sono confrontati con l'enigma dell'autentica realt e sono accettati quando sembrano aggiustarsi (ajustarse) ad essa con la massima approssimazione". Aggiustarsi, non adeguarsi! Ortega usa questo termine per scostarsi dal termine tradizionale diadaequatio: vita enigmatica ed intelletto non possono uguagliarsi, pareggiarsi, sovrapporsi. Non combaciano e non potranno mai farlo, perch appartenenti a due piani diversi. Possono invece avvicinarsi, cercare un punto di somiglianza, smussando i loro estremismi inconciliabili. Con il tempo, quest'idea immaginata e ragionata, discussa e criticata, pu divenire a sua volta credenza, un punto fermo dato per scontato, un pensiero consolidato usato inconsciamente, fino a quando un uomo, o una civilt intera, non la porr nuovamente in dubbio.SUGLI STUDENTIIl professore Ortega y Gasset tiene la lezione introduttiva al suo corso di Metafisica . L' esordio a prima vista scoraggiante, quasi inaccettabile in un corso di filosofia: "studiare la metafisica una falsit". Il professore subito spiega ai suoi studenti, probabilmente alquanto perplessi, il significato specifico della sua affermazione: l'attributo non certo riferibile alla Metafisica, quanto piuttosto al fatto di studiarla in quanto disciplina. Ma "quanto ho affermato non vale solo per la Metafisica, bench per essa valga in modo eminente. In sostanza lo studiare in generale sarebbe una falsit". L' esistenza di una qualsiasi disciplina certamente dovuta allo sforzo intellettuale di alcuni uomini che, nel corso degli anni e dei secoli, hanno integrato il loro sapere e la loro esperienza. Sono dovute probabilmente all' intuizione di un uomo e alle integrazioni, ai ripensamenti successivi di altri; perch, come ben si sa, ogni pensiero ed ogni scoperta hanno una propria storia e una propria evoluzione. Ci che Ortega sottolinea, per, il fatto che le verit, cifra di ogni singola disciplina, sono state cercate e volute da uomini che ne sentivano la necessit: questo significa che se determinati uomini non avessero avuto il bisogno, la spinta di arricchire o di arrivare ad un pensiero, tale pensiero non esisterebbe e non si studierebbe."Se non ci sentiamo bisognosi di un pensiero, esso non sar per noi una verit. Verit ci che acquieta un' inquietudine della nostra intelligenza. Senza questa inquietudine non c' l' acquietamento".Ma gli studenti? Il loro compito ben risaputo: conoscere il pensiero cercato e voluto da altri uomini. La situazione mentale e psichica dello studente di fronte ad una disciplina gi pronta all' uso e da imparare, certamente opposta all'atteggiamento dello studioso: "questi non si trovato prima con la scienza stessa, sentendo poi la necessit di possederla, ma ha piuttosto sentito prima una necessit vitale, non scientifica, che lo ha portato a cercarne la soddisfazione e, avendola trovata in certe idee, risultato che queste idee erano la scienza". Per quanto riguarda lo studente, per lo meno la maggioranza degli studenti (lo sottolinea con decisione Ortega) il massimo a cui si pu pensare che trovino interessante la disciplina e la studino con piacere. Di solito lo studente non critica, non dubita sulla verit che sta studiando, ma si limita ad acquistarla e a masticarla, spesso controvoglia, magari al fine di superare un esame: per questo si trova quasi costretto, comunque spinto da una "necessit esterna", che non sente come urgente, vitale. La prova che se quel testo o quella scienza specifica, tra cui, per esempio la stessa metafisica, non gli stesse di fronte, non ne sentirebbe la necessit. Viceversa l' uomo di scienza si avvicina alle verit via via sostenute nelle diverse discipline con un atteggiamento pi cauto e sospettoso, "pi ancora: col pregiudizio che non vero quanto sostiene il libro () cercher di disfare quello che si presenta come gi fatto. Uomini siffatti sono quelli che continuamente correggono, rinnovano, ricreano la scienza". La grande maggioranza degli studenti, insomma, "coloro che realizzano il significato vero -non utopico- delle parole 'studiare' e 'studente'" fingono una necessit non veramente sentita, mentono, commettono una falsit . E' vero, sostiene Ortega, che molti studenti si applicano in discipline specifiche in cui sono particolarmente portati, per cui sentono una predisposizione. Gli eventuali obiettori della tesi orteghiana, userebbero in questo caso il termine "curiosit", che il filosofo onestamente riporta. Ma a scanso di equivoci Ortega sottolinea l' etimologia di 'curiosit' , controbattendo tempestivamente quanti attribuiscano allo studente una sincera curiosit nell' affrontare i testi e le verit in essi contenute, fortunate eccezioni a parte. 'Curiosit' deriva dal termine latino 'cura' (attenzione, premura, riguardo). Da qui termini come 'curato' (sacerdote), 'pro-curatore', 'curatore'. Da qui anche 'curiosit'. "Curiosit , dunque, accuratezza, preoccupazione. Al contrario, incuria trascuratezza, superficialit; e sicurezza assenza di attenzioni e preoccupazioni". Perci, quando si dice che la curiosit a portarci alla scienza, o si intende la "necessit immediata", oppure ci si riferisce all' accezione negativa, probabilmente molto pi in uso, di curiosare futile e puerile. "Non perdiamo tempo dietro idealizzazioni della dura realt, con ingenuit che ci portano a sminuire, sfumare, addolcire i problemi, a renderli inoffensivi. Il fatto che lo studente tipo un uomo che non sente la diretta necessit della scienza, o la preoccupazione per essa, e tuttavia si vede costretto ad occuparsene. Questa appunto la falsit generale dello studiare". L' uomo si ritrova sempre pi spesso a fare qualcosa che intimamente non gli appartiene. Si gi parlato (cfr. "L' individuo, la circum-stantia e il mondo") della necessit, per l'uomo, di seguire la propria vocazione e di auto-progettarsi. Ebbene: se studiare ritrovarsi in una condizione dovuta a necessit esterne, ad una "necessit morta", allora "lo studente una falsificazione dell'uomo. Perch l' uomo propriamente solo ci che autenticamente, per un' intima e inesorabile necessit. Essere uomo non essere, ovvero non fare, qualunque cosa, ma essere ci che si irrimediabilmente". Eppure, pur essendo ormai l' insegnamento un falso tollerato e ormai abituale, non si pu non studiare. Pur essendo una necessit mediata, una necessit. Ci che Ortega, professore di Metafisica, intende proporre come soluzione "non consiste nel decretare che non si studi, ma nel riformare profondamente quel fare umano che lo studiare e, di conseguenza, l'essere dello studente. Per questo necessario rovesciare l'insegnamento e dire: l'insegnamento, anzitutto e fondamentalmente, non altro che insegnare la necessit di una scienza; e non insegnare la scienza stessa la cui necessit impossibile far sentire allo studente".

LA CRITICASi accennata l' importanza della critica, soprattutto se in qualche modo pregiudizievole, quale metodo spontaneo di fare scienza . Ma in che senso la critica necessaria, o meglio, qual la critica necessitata nel raggiungimento della verit? A 19 anni, il primo dicembre del 1902, nella rivista "Vida Nueva" scrive e pubblica il suo primo articolo: "Glosas". Cos inizia: "parlavo ieri con un amico, uno di quegli uomini ammirevoli che si dedicano seriamente alla caccia della verit e vogliono respirare certezze metafisiche: un pover' uomo". Tagliente, sottilmente ironico come sempre, il filosofo madrileno. Questo "pover'uomo" in realt, aveva chiesto al giovane Ortega un' opinione su una critica, non meglio precisata, di un tale che, secondo il giudizio del suo interlocutore, mancava di imparzialit: "lo lasciai perdere e non risposi. Se avessi infranto la sua credenza nell' imparzialit, avrei ottenuto solo di fargli versare qualche lacrima sul nuovo idolo morto. E' un uomo che si nutre di certezze indubitabili". Prescindendo ora dal notare quanto gi sia presente il suo pensiero non ancora formulato, soffermiamoci ora sulla modalit in cui il giovane (e poi maturo) Ortega intende il termine "imparzialit". E' freddezza, personalit annullata a favore di un punto di vista che tralasci la soggettivit e l' unilateralit specifiche dell' interpretazione, a favore dell' oggettivo punto di vista della maggioranza. E qual la critica che ne deriva? "Inchiodare sul davanti delle cose e dei fatti un distintivo bianco o uno nero; trascinarli nella parte dei cattivi o nella parte dei buoni. Sempre inchiodare, sempre trascinare". Il punto di vista della massa; la massa non che un "innumerevole serie di zeri", ci che la fa essere l' unit, dietro la quale i singoli individui sono vuoti: mero raggruppamento, grande numero, insomma. Criticare secondo l'opinione della massa, cercare a tutti i costi una verit apatica e poi lavarsene le mani l' impegno della critica oggettiva : costruire una normalit di bello, di giusto, di bene e accattivarsi la simpatia e il benestare della maggioranza. Eppure, sottolinea il giovane madrileno, la critica impersonale non ottiene l' affermazione della massa di cui tale critico esprime il parere, "non entra nel cervello plumbeo della folla". E' interessante notare la scelta orteghiana di questo termine. La gamma di sinonimi che l' aggettivo ingloba in s spazia metaforicamente in diverse direzioni: grigio, pesante, ottuso, lento, noioso. La massa, quindi, come simbolo che incarna l' oggettivit, l' impersonale e morta trasposizione della vivacit personale del singolo. La scelta del termine lascia certamente trasparire il giudizio del giovane Ortega, che poi verr sviluppato e portato a maturazione, nei confronti dell' universalizzazione, l' astrazione, il sistema. E' un esempio pratico di cosa intenda veramente per critica. E ora lo vedremo attraverso le sue parole: "bisogna essere personalissimi nella critica se si vogliono creare affermazioni o negazioni possenti; personale forte e buon giostratore. Cos le parole sono credute, cos si fanno rimbalzare nel tempo e nello spazio i grandi amori e i grandi odi. Ah! Dimenticavo! Bisogna anche esser sinceri () Morale: non si pu far critica senza sporcarsi le braghe". E' difficile staccarsi dal coro, dissociarsi, esprimere con passione la propria critica: "quando vedranno nell'appassionarsi una cosa magnifica e buona? 'Paradossi', esclamano. Tutti gli uomini si giudicano capaci di passione; ignorano che le passioni sono dolori immensi, purificatori". La critica una lotta.

"Bisogna essere personalissimi nella critica se si vogliono creare affermazioni o negazioni possenti; personale forte e buon giostratore. Cos le parole sono credute, cos si fanno rimbalzare nel tempo e nello spazio i grandi amori e i grandi odi.

SCIENZA E REALTA'Ortega non critica la scienza in se stessa, il suo valore: tende piuttosto a sottolineare il carattere limitativo che la costituisce. Certamente, riconosce il contributo essenziale della tecnologia, che ha consentito uno sviluppo tale da rendere l'uomo autosufficiente in confronto alla vita animale dipendente direttamente dalla natura. La tecnologia una sorta di veicolo che conduce l'essere umano verso la felicit; ma resta il fatto, incontrovertibile, che tale mezzo e rimane esterno all'uomo, non ha una morale, e lascia all'uomo una sensazione di vuoto. La scienza, in generale, di cui la tecnologia solo una parte, ci offre affermazioni, leggi, teorie che altro non sono se non idee ben riuscite,fantasie sperimentatee generalizzate. L'uomo inventa tali idee tramite l'uso dell'intelletto a cui si aggrappa nel momento in cui, senza pi alcun appiglio, si scopre naufragare nel mare di dubbi, in cui si trova quando determinate credenze e pensieri dati per scontati iniziano a vacillare. Soffermandoci ancora un attimo sui termini idea/credenza, abbiamo sottolineato l'importanza che la credenza ha per ognuno di noi, via via fino a includere generazioni o nazioni intere. Con la credenza l'uomo ha un rapporto del tutto particolare che opera al suo interno senza che intervenga un uso cosciente e consapevole dell'intelletto. L'uomo conta sulle proprie credenze, sta nelle proprie credenze. Viceversa, le idee (e con tale termine si indicano anche le teorie scientifiche) intrattengono con l'uomo che le formula, o che semplicemente le accoglie, un rapporto che esula dall'atto di fede, in quanto prodotti di lucida razionalit, conseguenza ragionata di un calcolo attento. L'idea il prodotto di un agire e mantiene, quindi, una forte peculiarit attiva e cosciente, rispetto al passivo e interno credere nella propria credenza, in cui l'uomo si adagia (nel senso positivo del termine). Certo, le teorie scientifiche, e le idee in generale, non restano fuori dal dubbio: importante imparare dagli errori, farne tesoro e mettere continuamente a prova le ipotesi. Nel saggio "Intorno a Galileo", Ortega y Gasset scrive:"L'uomo di scienza deve continuamente tentare di dubitare delle proprie verit. Queste sono verit della conoscenza, solo nella misura in cui resistono ad ogni possibile dubbio. Vivono quindi in un conflitto permanente con lo scetticismo. Tale conflitto si chiama prova".La prova ci che consente ad una teoria di divenire verit scientifica:"Oggi l'uomo sa che quelle figure del mondo che immaginava in passato non sono la realt. A forza di sbagliare, sta delimitando l'area del possibile esito. Da ci l'importanza di non dimenticare gli errori e questo storia".Ma qual il rapporto tra scienza e realt? Ortega a tal proposito preciso:"In confronto ad un romanzo, la scienza sembra la realt stessa. Ma in paragone alla realt autentica si avverte ci che la scienza ha di romanzo, di fantasia, di costruzione mentale, di edificio immaginario".Ci significa che la realt eccede sempre le formule intellettuali. La struttura stessa delle teorie scientifiche impedisce l'entrata in gioco della realt concreta. Questo perch la scienza converte ogni singolo caso in ci che lo accomuna ad altri: livella un dato, un oggetto concreto, un particolare fenomeno ad altri dello stesso genere, smussando e prescindendo dalle intrinseche e naturali differenze concrete. In altre parole: astrae. Ben si comprende, dunque, quanto poco si concilii la scienza astraente con l'incomparabile vita individuale e la concreta realt.Non si tratta, dunque, di criticare la validit della scienza, ma di individuarne il limite. La concezione scientifica della realt va integrata perch non esauriente. L'astrazione, d'altra parte, essa stessa limitata. E' impossibile scoprire una formula universale che abbracci la totalit delle relazioni in cui un uomo, un oggetto, un dato si trovano al momento della sperimentazione o della formulazione della teoria. E' certamente all'interno della vita che ogni cosa si affaccia per essere conosciuta. La vita resta un fatto radicale da cui non possiamo prescindere: ma qui non si sta trattando di un ideale di vita o di un'astratta idea della vita, che accomuni tutto e tutti: si parla di vita concreta e reale, autentica per me, autentica per te, inserita nella circum-stantia. Si intende ora meglio quanto sia tangibile la lontananza : astratto versus cocreto e, meglio specificando, astrazione universalizzata versus parte concreta. Scrive Ortega nelle "Meditazioni": "nella realt non ci sono che parti; il tutto l'astrazione delle parti e ha bisogno di loro". I limiti strutturali della scienza, non vanno ad indicare la scienza in senso stretto ma include, in ambito filosofico per esempio, i 2400 anni di filosofia sistematica, che ha in s il predominio assoluto della ragione quale facolt umana superiore. Su questo punto di vista sono perfettamente d'accordo Ortega e la sua allieva Maria Zambrano: la Spagna si distingue dal resto dell'Europa per il suo impatto negativo con i sistemi filosofici. La Spagna spagnolit, non spagnolismo, spagnolit nel senso di biografia dell'essere, che si contrappone alla bibliografia dell'essere tipica dell'europeismo. In altre parole: la critica, seppur ben mirata, alla scienza e al sapere scientifico in genere, ben si concilia con il sentimento e l'atteggiamento mentale spagnolo, che forma come un'isola di poesia circondata da un mare europeista di ragione dogmatica."Vivere significa, fin dall'inizio, essere costretti ad interpretare la nostra vita" ("Aurora della ragione storica")

L' INDIVIDUO, LA CIRCUM-STANTIA E IL MONDONelle "Meditazioni sul Chisciotte", Ortega scrive una frase che ben circoscrive la sua concezione dell'uomo: "io sono io e la mia circostanza". Per "circostanza", Ortega non vuole indicare soltanto l'ambiente fisico in cui ogni essere umano vive, ma anche l'ambiente sociale. La "circostanza" orteghiana la base che si impone ad ogni uomo gi a partire dalla sua nascita: il luogo, il tempo, la societ: "circostanza! Circum-stantia! Le cose mute che stanno nei nostri pi prossimi dintorni!". Con questo insieme di poliedriche concretezze, con questo orizzonte al cui centro il singolo, l'uomo deve costantemente rapportarsi. Si giunge ad una prospettiva che non mai decisa una volta per tutte, anzi, la prospettiva adottata va di volta in volta messa tra parentesi. L' Io deve continuamente impegnarsi in questo rapporto gnoseologico-etico con il suo circostante e operare uno sguardo di se stesso proiettato all'esterno per non arenarsi in una visione soggettiva e unilaterale delle decisioni prese, seguendo la propria personalissima vocazione. La visione orteghiana della circostanza quale cifra del vitale soggettivismo, non da confondere con un esasperato individualismo. Anzi, si crea un legame, un ponte di connessione estremamente inscindibile tra il mio mondo e il mondo. Si all'interno di uno scambio alchemico tra ambiente ed essere. Non vi in Ortega un essere ontologico astratto, certo, perch la metafisica sistematica, come lo spirito spagnolo vuole, non accettata dal filosofo del razio-vitalismo. Per essere si intende l'essere concreto, proprio come l'amico filosofo Unamuno, che parlava di "uomo in carne ed ossa", o della sua allieva Maria Zambrano, che ebbe la fortuna di assistere alle lezioni di Ortega, docente di metafisica all'Universit di Madrid. E' essenziale mettersi in relazione problematica ed autentica con la propria "circostanza", perch questo rapporto elastico, mai rigido, permette all'uomo di trovare il senso della vita, della propria vita, trovando la propria vocazione e permettendogli di attuarla. Cos spiega Jos Ortega: "il senso della vita consiste nell'accettare ciascuno la propria inesorabile circostanza e, nell'accettarla, convertirla nella propria vocazione". Riassumendo questi passaggi essenziali: Ortega presenta l'essere reale che deve essere legato all'osservazione delle cose concrete e non astratte e universali: la loro immediatezza non costituisce la totalit, cos come la circostanza individuale non un mondo chiuso, ma una parte dell'universo. L'uomo singolo esamina parti dell'universo, costituito dalla sua circum-stantia in cui egli stesso incluso, e ha un'idea astratta del totale. Le parti e il totale hanno bisogno l'uno dell'altra al fine di un'autentica comprensione: come non ammissibile una scelta estrema tra i due poli, cos imprescindibile un vitale e prospettico dialogo tra il limitato conosciuto e l'illimitato sconosciuto. Per conosciuto e sconosciuto, si intende una conoscenza fenomenologica. La verit pertanto la verit di singole parti della realt, del circum-stante di cui ho avuto percezione sensoriale: l'ho visto, l'ho toccato. Io ne ho fatto esperienzahic et nunc. La verit assoluta riscontrabile, quindi, nell'immediatezza di una personale percezione, nasce dall'incontro tra il punto di vista soggettivo e corporale con l'oggetto osservato, scoperto, esperito. Per fare un semplice esempio: se dico che qui c' un cane, nessuno pu dubitare che ci sia, nemmeno Dio, ma questo vero qui e ora, non in un altro luogo e in un altro momento. La verit ha quindi sempre un valore prospettico: ci che ho visto in quel ben determinato momento esattamente ci che ho visto e non detto che, ad uno sguardo successivo, non scopra un aspetto prima magari celato o da me ignorato. Allo stesso modo non detto che la mia personale scoperta successiva non implichi una verit opposta alla precedente. Quando osservo un oggetto non ho mai una visione tridimensionale, ma bidimensionale. Per vedere ci che sta dietro o di lato, devo cambiare prospettiva e allora scopro qualcosa che precedentemente non avevo visto perch non potevo vederlo. Quindi: il punto di vista mi offre una verit, s, ma mai globale bens prospettica. Si potrebbe fraintendere Ortega e attribuirgli un certo dualismo tra soggetto/oggetto. In realt, per quanto finora si sia fatta menzione di soggetto conoscente e oggetto conosciuto, era solo a fini esemplaristici. Non dimentichiamo la frase iniziale con cui si aperto il paragrafo: "io sono io e la mia circostanza" e la spiegazione successiva con cui si indicava il legame di continuit (continuum) tra i due termini. C' un soggetto, l' "io", e c' un oggetto, che la circum-stantia, ossia una realt che composta dal concreto sociale, temporale, esperenziale del singolo. "Io" e "circostanza" non sono due insiemi separati e nemmeno la contiguit sarebbe un termine adatto: perch "io" e "circostanza" non si toccano soltanto, bens si integrano e uno d senso all'altro, si situano sul medesimo piano del reale: "questo settore della realt circostante costituisce l'altra met della mia persona: solo con il suo tramite posso integrarmi ed essere pienamente me stessoio sono io e la mia circostanza, e se non salvo lei non salvo neppure me ". Quali sono le implicazioni nell'ambito della vita del singolo, dell'uomo? Viverehic et nunc, essere operanti, presenti, adattarsi all'ambiente e adattare l'ambiente a noi stessi, scoprire ed attuare la propria vocazione. Vita non mera biologia, ma anche biografia e soprattutto una particolare autobiografia che si scrive in tempo reale: si pi volte accennato alla "vocazione" del singolo e alla necessit di scoprirla ed attuarla. Questo implica un ulteriore passaggio: "l'uomo l'essere condannato a tradurre la necessit inlibert". Analizziamo innanzitutto il concetto orteghiano di libert: alla sua base c' la fantasia. E' questo il tramite per cui l' "io" inventa la propria esistenza. Si tratta di una forza che rende l'uomo essere progettante, che senza tregua confronta i progetti elaborati nel mondo interiore del soggetto con la situazione del mondo esterno. Si esercita la libert per "decidere ci che dobbiamo essere in questo mondo": "dobbiamo", scrive Ortega. Quindi esercitare la libert individuale, fantasticare e attuare il proprio personale progetto seguendo la propria vocazione unanecessit. E' necessario esercitare la libert e autoprogettarsi. La vita necessariamente anche immaginazione, fantasia che guida la ragione nella scoperta di nuovi orizzonti, dando corpo a concetti inediti per la formulazione di nuove idee. Cosa che la ragione, per sua costituzione, non potrebbe fare da sola.. Chi quindi l'uomo? Niente di estremo, n angelo n bestia (corre il ricordo all'Oratio de hominis dignitatedi Pico della Mirandola e al discorso di Dio ad Adamo al momento della creazione) ma un essere finito e limitato dalla propria circostanza, da un punto di vista prospettico del mondo e da ci che la realt concreta gli offre, un essere concreto che deve cercare di corrispondere alla sua vocazione, migliorando se stesso e il circostante. L'uomo quindi agisce e trasforma non solo il suo "io", ma anche la realt fisica e quella sociale. In tal caso utile soffermarsi sul concetto digenerazione. Ortega ne individua ben tre, ognuna con una propria peculiarit. La generazionecumulativa la generazione all'interno della quale ogni individuo appartiene, un insieme di persone che condividono, nella stessa categoria spazio-temporale, il medesimo retroscena fatto di problemi, emergenze, difficolt, speranze. La generazionepolemica invece formata da quell'insieme di uomini che si oppongono al lascito di chi li ha preceduti, anche se spesso una rottura pi apparente ed ideologica che reale, perch i mutamenti collettivi hanno in genere vita breve. Tuttavia la generazione polemica pu diveniredecisivae apportare vere e proprie rivoluzioni che concretizzano una nuova configurazione alla collettivit. All'interno della generazione (cumulativa), questi individui sono sempre minoranze scelte dotate di fantasia e coraggio. La storia quindi si muove, si sviluppa, si trasforma. E' uno sviluppo comprensibile a partire dall'azione creatrice di individui intraprendenti, che hanno corrisposto alla propria vocazione.