Origini italiane dell'oppio?

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8/16/2019 Origini italiane dell'oppio? http://slidepdf.com/reader/full/origini-italiane-delloppio 1/7 Erboristeria Domani | 396 - Maggio-Giugno 2016 66 ETNOBOTANICA C u l t u r a Origini italiane dell’oppio? di GIORGIO SAMORINI 396_Etnobotanica.indd 66 04/05/16 09:58

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Originiitalianedell’oppio?

di GIORGIO SAMORINI 

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Nell’immaginario comune l’oppio richiama un certo orientalismo decanden-tista e porta a vedere nell’estremo Oriente la culla del suo impiego quale

 potente stupefacente.Gli studi antropologici e archeologici collocano al contrario nel versanteeuropeo del Mediterraneo, e proprio in Italia, le tracce più antiche del pro-cesso di domesticazione, e vera e propria selezione agronomica, che ha portato alla specie Papaverum somniferum, un percorso certamente ritualee religioso, ma originato prima di tutto dalla constatazione della sua insosti-tuibile azione antidolorifica.

Per molto tempo si è ritenuto che ilpapavero da oppio fosse giunto inEuropa dall’Oriente; una credenzatutt’ora in voga presso buonaparte della popolazione, compresidiversi ambiti accademici. Questoluogo comune così radicato èdovuto probabilmente a eventistorici quali le “guerre dell’oppio”del XIX secolo intercorse fra Cinae Inghilterra, così come al carat-tere orientale, cinese, delle fumeried’oppio, incluse quelle che inva-

sero Parigi, sempre nel XIX secolo,e così ben raffigurate in immagini,romanzi e film del XX secolo.Ma i dati archeologici raccolti dallametà del 1800 hanno evidenziatouno scenario alquanto differente,che vede le origini di questa piantafocalizzate in una qualche area delMediterraneo occidentale. Questodifferente punto di vista originò nelbiennio 1853-54, quando si veri-ficò un’insolita siccità nell’arcoalpino, che fece abbassare note-volmente il livello delle acque deilaghi montani. Con grande sor-presa degli abitanti del luogo, dallaloro superficie emersero numerosipali di legno conficcati vertical-mente: ciò portò alla scoperta dellacultura palafitticola, rappresentatada antichi abitati opera di popola-zioni del Neolitico Antico e Medio,che avevano scelto come dimorale rive di questi laghi. La loro data-zione sulle Alpi si aggira attorno al

4800-3200 a.C. In seguito al loro

abbandono, questi villaggi neoliticisi ricoprirono di torba, e ciò favorìla conservazione del materialeorganico.Gli scavi archeologici dei siti pala-fitticoli portarono alla luce unasignificativa quantità di semi e dicapsule di papavero da oppio. Condatazioni così antiche, l’ipotesi diun’origine orientale dell’oppio fudefinitivamente abbandonata dagliarcheobotanici. Gli scavi modernidell’arco alpino continuano a evi-

denziare una forte presenza delpapavero da oppio in quei conte-sti neolitici. Ad esempio, nel sito diSchicht 3, vicino a Zurigo e datatoal 3200 a.C., sono venuti alla luceoltre 120.000 elementi vegetaliriconducibili alla specie coltivata diPapaver somniferum (1). Da questidati, gli archeologi svizzeri sospet-tarono un’origine alpina del papa-vero da oppio.Un altro ritrovamento avvenutonella seconda metà del XIX secolo,che risultò importante per la nuovadelineazione della genesi dell’op-pio, riguarda la scoperta dellaCueva de los Murcielagos, localiz-zata in provincia di Granada, nellaSpagna meridionale. In questagrotta furono incontrati oltre ses-santa resti umani disseccatisi inmaniera naturale e in ottimo statodi conservazione. In una delle saledella grotta, una dozzina di corpiera stata curiosamente disposta in

semicircolo attorno a quello di una

donna, un dato che ha fatto ipo-tizzare che quella donna avessericoperto in vita un ruolo impor-tante all’interno della comunità.Accanto a ciascun corpo v’era uncesto di sparto, che conteneva fral’altro capsule e semi della speciecoltivata di P. somniferum  (2). Ladatazione al C-14 più antica dellosparto associato a queste inuma-zioni è risultata del 4080 a.C. (3).Altre rimanenze, ancor più antiche,sono state ritrovate presso una

grotta che porta il medesimo nomedella precedente, Cueva de losMurciélagos, localizzata questavolta in provincia di Córdoba,sempre nella Spagna meridio-nale. Rimanenze di papaverosono apparse in tutti gli strati neo-litici della grotta, a partire dal 5360a.C., e questo vegetale è il piùabbondante fra i reperti archeobo-tanici del sito (4). Appare evidenteil ruolo funerario del papavero inqueste antiche inumazioni del neo-litico iberico, trattandosi di unadelle più antiche testimonianze diun culto associato a questa piantainebriante, ben adatta per le sueproprietà soporifere a simboleg-giare l’“eterno sonno”. Con questiritrovamenti, più antichi di quellialpini, gli archeologi spagnoli ini-ziarono a sospettare un’origineiberica del papavero da oppio.Un ulteriore interessante ritro-vamento iberico riguarda un’an-

tica miniera neolitica venuta alla

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luce a Giavà, nelle vicinanze diBarcellona, e in questo sito èstato utilizzato un secondo tipo

di evidenza diretta della relazioneumana con l’oppio, quello chimico.L’entrata della miniera fu impiegatacome ipogeo, dove sono stati ritro-vati gli scheletri di 12 individui cheavevano lavorato nella miniera,con una datazione che si aggiraattorno al 3500 a.C. Nel calcolodentale di due scheletri, apparte-nuti a uomini di 30 e 40 anni d’età,è stata riscontrata la presenza diframmenti di capsula di P. somni-

ferum, mentre è stata determinata

la presenza di morfina e codeinanei loro tessuti ossei: una testi-monianza diretta di assunzione dioppio da parte di questidue antichi minatori (5).

Una specie creata dall’uomoParallelamente al molti-plicarsi dei ritrovamenti diresti di papavero da oppionei siti neolitici europei, ibotanici e gli archeobo-

tanici iniziarono a com-prendere il meccanismodi formazione di questaspecie vegetale, sco-prendo che si tratta diuna delle specie createdall’uomo mediante colti-vazione e selezione par-tendo da una specie sel-vatica. Si conoscono altrepiante create dall’uomo:fra quelle inebrianti, citoil caso della vite da vino,Vitis vinifera, differenziatabotanicamente nelle duesubspecie sylvestris  - laforma selvatica - e vinifera - la forma coltivata; il kavadell’Oceania, la cui speciecoltivata, Piper methysti-

cum, originò dall’operadi selezione della specieselvatica P. wichmanii  (il“kava degli antenati”); lacoca, la cui assidua col-

tivazione della specie

selvatica, Erythroxylum coca var. coca, portò alla formazione dellavarietà amazzonica ipadu, oltre

a un’altra specie a sé stante, E.novogranatense  (6). L’assiduaopera umana di coltivazione dellavite e di produzione del vino portòalla formazione anche di unanuova specie di lievito responsa-bile della fermentazione alcolica,il noto Saccharomyces cerevisiae,sviluppatosi dalla specie selvaticaS. paradoxus (7).Tornando al papavero, il candidatoselvatico più probabile è il P. setige-

rum, e la maggior parte dei tasso-

nomisti riconosce oggigiorno l’esi-stenza di una sola specie, Papaver

somniferum L., differenziata nelle

due sottospecie somniferum Kadereit (quella coltivata) e seti-

gerum  (DC.) Corb. (quella selva-

tica) (8). La specie selvatica cresceoggigiorno nelle regioni occiden-tali del Mediterraneo, avendocome estrema propaggine orien-tale l’isola di Cipro (9).Come caratteristica singolare delprocesso di addomesticamentodel papavero, nella parte superioredella capsula (frutto) della specieselvatica sono presenti numerosiforellini per la fuoriuscita dei semi,che vengono espulsi attraversoun meccanismo di iattazione.

Nella specie coltivata questi forel-lini non sono presenti, la capsularesta chiusa ermeticamente e non

si decompone tanto facil-mente (sono state ritro-vate capsule ancora chiuseantiche di settemila anni),con la conseguente impos-sibilità di fuoriuscita deisemi. In tal caso si parla dicapsule non deiscenti, edè probabile che ciò sia ilrisultato dell’opera dell’an-

tica selezione umana, cheaveva lo scopo di ottenerecapsule sempre più grandie con il maggior numero disemi possibili (ogni capsulacontiene almeno 5000semi), i quali erano usatiper scopi alimentari e perricavarne l’olio, e l’otteni-mento di capsule prive dipertugi avrebbe evitato laloro dispersione (10). Pervia di questa deiscenza edella mancanza dei forellininella capsula, il papaveroda oppio creato dall’uomoancora oggigiorno dipendeda questi per la sua propa-gazione e riproduzione.È assai probabile che il rap-porto col papavero sia statooriginariamente di tipo ali-mentare, poiché sappiamoche i semi di papavero sonostati un’importante fonte

di cibo nei tempi passati

Capsule di Papaverum somniferum var. somniferum (sinistra) e var. seti-

gerum (destra) (da Mihalik, 1998)

Semi di Papaver somniferum  var. setigerum  (sopra) e var. somniferum 

(sotto) (da Knörzer, 1971)

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presso diverse popolazioni eura-siatiche (11). Tuttavia, l’uomo prei-storico si sarà presto accorto di

quel lattice biancastro che fuori-esce dalla capsula del setigerum.Questa specie selvatica contienei medesimi alcaloidi morfinanimorfina, codeina e tebaina pre-senti nel somniferum, sebbene inminor quantità (12); quantità purtuttavia sufficienti a far scoprireall’uomo le proprietà medicinali, inparticolar modo sedative e antido-lorifiche, e le proprietà inebrianti evisionarie di questo essudato.È importante considerare lo speci-

fico habitat  del papavero da oppio,il quale predilige quasi esclusi-vamente gli  habitat   pionieri, siadirettamente creati e mantenutidall’uomo, sia ai margini di questi,sulle discariche e sugli sterri e aibordi dei campi coltivati (13).È stato proprio questo tipo dihabitat   antropico a permettereall’uomo, diversi millenni fa, diaccorgersi di questa pianta (lasubsp. setigerum, quella selva-tica) e di entrarvi in relazione,

sino alla scoperta delle sue pro-prietà alimentari (i semi), medici-nali e psicoattive. L’inizio di questarelazione potrebbe essere datatoalla fase Epi-Paleolitica, quelladei Cacciatori-Raccoglitori. Nepotrebbe essere una testimo-nianza il ritrovamento di un paio disemi di P. setigerum in un livello delPaleolitico Superiore del 12.000a.C. nella Cueva del Juyo, nellaregione cantabrica della penisolaiberica. Il contesto del ritrovamentoha fatto pensare inizialmente a unutilizzo di questi semi per scopi ali-mentari, ma Guerra Doce (14) haosservato come i due semi sianostati ritrovati in associazione aun luogo sacro, probabilmenteun santuario, per cui non escludeuna loro funzione rituale. Non sap-piamo se a quei tempi fossero giàstate scoperte le proprietà medi-cinali e psicoattive, oltre a quellealimentari, della specie selva-

tica di papavero; resta il fatto che

questo dato evidenzia una proba-bile relazione dell’uomo magdale-niano con le piante selvatiche delgenere Papaver , e proprio con laspecie da cui, millenni dopo, conl’acquisizione neolitica delle tec-niche di coltivazione, fu ricavato ilvero e proprio papavero da oppio,la subsp. somniferum.

Dalla Spagna all’Italia,a ritroso nel tempoContinuando la rassegna dei ritro-vamenti archeologici, resti di papa-vero da oppio sono venuti allaluce in diversi siti della cosiddettaCultura dei Vasi a Banda Lineare

(LBK), un complesso culturale neo-litico diffuso in Germania, Olandae altre regioni dell’Europa cen-trale. Le datazioni più antiche peril papavero raggiungono il 4900a.C. (15). La maggior parte deisiti LBK in cui sono state ritrovaterimanenze del papavero da oppioè localizzata a ovest del Reno, inRenania (16) e nella regione olan-dese di Limbourg, e appare evi-dente che il papavero raggiunse

l’area LBK dalle regioni mediterra-nee (17).Anche in Italia sono venuti allaluce resti di papavero da oppio neimedesimi contesti dei ritrovamenti

Disco stigmatico nella parte superiore della capsula di papavero

Mappa dei ritrovamenti archeologici più antichi di papavero da oppio

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alpini, cioè nei siti della culturapalafitticola del Neolitico Anticoe Medio, ma con datazioni piùantiche. A Spilamberto (provin-cia di Modena), durante la partefinale della Cultura di Fiorano,attorno al 5000 a.C., è stata osser-vata una significativa presenza delpapavero da oppio della subspe-cie somniferum  (18), mentre condatazioni più recenti è stato incon-trato nei siti nord-italiani di Isolino

Virginia di Varese (4800 a.C.) e di

Palù di Livenza (4400 a.C.) (19).Un ulteriore ritrovamento degnodi nota riguarda quello del sito diLagozza in provincia di Varese,che ha dato nome alla omonimacultura del Neolitico Finale (3000-2600 a.C.), diffusa nelle odierneregioni della Lombardia e dell’E-milia: in scavi della fine del XIXsecolo furono rinvenuti alcuniinvolti di stoffa, probabilmente dilino, in cui erano presenti numerosi

semi di papavero, che erano stati

conservati con l’evidentescopo di una loro seminae coltivazione (20).

Da alcuni decenni,dunque, la PenisolaIberica e l’Italia si “con-tendono” i primati deireperti più antichi di semie capsule di papaveroda oppio, e appare evi-dente che il luogo d’ori-gine dell’addomestica-mento del papavero sel-vatico (setigerum) risiedein una qualche loca-lità del Mediterraneo

Occidentale. Durantegli anni ‘90 è giunto iltassello archeobota-nico mancante, chesembra aver risolto la“disputa” a favore dell’I-talia. Questi dati pro-vengono dal sito subac-queo di La Marmotta,localizzato nel comunedi Anguillara Sabazia(Roma), sulle spondedel lago di Bracciano.

Gli scavi hanno restituitoresti di papavero, sia car-bonizzati che non, e dallaforma dei dischi stigma-tici delle capsule se neè dedotto che si trattadi una varietà interme-dia fra la subspecie sel-

vatica (setigerum) e quellacoltivata (somniferum). Il

disco stigmatico è quella pro-tuberanza piatta raggiata che si

forma sulla cima della capsula eche la rende così caratteristica. Ladatazione di questi reperti, la cuipresenza in questo sito è sorpren-dentemente abbondante, risalealla metà del VI millennio a.C.(21). Non è tanto il fatto di rappre-sentare la data più antica in asso-luto finora nota - dato che la diffe-renza di 1-2 secoli rispetto ai ritro-vamenti iberici non è così significa-tiva - bensì è la presenza di formeintermedie fra le due specie a testi-

moniare a favore del preciso luogo

Pianta di Papaver somniferum

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in cui l’uomo neolitico, con un pro-cesso di selezione che non durònemmeno troppo tempo (qualche

secolo), ricavò le grosse capsulepiene di nutrienti e oleosi semi cheoggi conosciamo come papaveroda oppio.Sino a che non sopraggiunge-ranno eventuali nuovi dati archeo-botanici che la contraddicono, peril momento l’ipotesi più probabileè quella di un’origine tutta italianadel papavero da oppio, nello spe-cifico nella regione dei laghi vul-canici dell’Italia centrale, e conuna datazione che ruota attorno

al 5600 a.C.Dal luogo d’origine il papaverosi diffuse alquanto velocementeattraverso le vie commerciali neo-litiche: verso nord, in direzionedell’Europa centrale, e poco piùtardi verso il Levante mediterra-neo e il Vicino e Medio Oriente.Come potente antidolorifico, ilpiù potente che l’uomo abbia maiconosciuto prima dell’avvento dellamedicina moderna, il papavero daoppio in breve tempo si trasformò

in un bene prezioso e di conse-guenza in un importante oggettocommerciale.

La papagna dei DauniIl fatto che il papavero da oppiocon buona probabilità sia statocreato in Italia, contribuisce a giu-stificare la sua presenza in questoterritorio come specie inselvati-chita; una presenza che era con-siderata massiva, almeno sino aqualche decennio fa, soprattuttonelle regioni meridionali. Standoalle mie osservazioni e a quelle diinformatori locali, l’uso indiscrimi-nato degli anticrittogamici e altrifattori antropici ne hanno oggi-giorno ridotto notevolmente lapresenza.Il papavero, con il nome popolare di

 papagna, resta nei detti di diverseregioni italiane, sia meridionali chesettentrionali, ad esempio: “ti douna papagna” (“ti do un pugno”,

nel senso di “ti do un pugno tale

da farti addormentare”), “m’èvenuta una papagna” (“sono statocolto dal sonno”), e appapagnarsi  

(“addormentarsi”) (22). Il termine papagna viene fatto derivare, forseun po’ pigramente, dal latino papa,“pappa”, e il termine latino papaver  sarebbe costituito da  papa e ver ,essendo quest’ultima particellauna contrazione di verum, quindicon il significato di “pappa vera”,poiché “anticamente usavasi uniresemi di papavero alla pappa desti-nata ai fanciulletti per conciliar loroil sonno” (23). Pur essendo bennota la pratica del Meridione di

addormentare i neonati con succodi papavero (24), ma anche con ilsucco di lattuga selvatica (25), per-sonalmente sospetto che il termine

 papagna origini dal greco dialet-tale della Magna Grecia, e che daquesto sia in seguito stato assor-bito dal latino. Un’altra possibilitàlo vedrebbe d’origine autoctona,italiota, assorbito nel gergo deiGreci colonizzatori, e quindi, nuo-vamente e solo in ultimaistanza, introdotto nel

latino.Come in tut to i lMediterraneo antico,sino al Vicino e MedioOriente, raffigurazioni

del papavero da oppio, in par-ticolare della sua caratteristicacapsula, si trovano presso diverse

culture italiche pre-romaniche,dagli Etruschi (26) ai Siculi e aiSicani.Un caso interessante riguarda l’an-tico popolo dei Dauni, che abitavala Daunia, corrispondente all’at-tuale regione settentrionale dellaPuglia. Questo popolo pre-romanoè stato promotore di uno stile arti-stico alquanto eccentrico, immor-talato nelle sue stele datate fral’VIII e gli inizi del VI secolo a.C.Queste stele, che possono rag-

giungere l’altezza di oltre un metro,hanno sembianze antropomorfee sono costituite da un “corpo” eda una “testa”. I “corpi” sono isto-riati mediante tecnica incisoriacon complessi motivi geometrici escene di carattere cultuale.L’archeologa pugliese LauraLeone ha formulato

Scena di cura in una stele daunia (daLeone, 1995)

Frammento di olla daunia da Herdonia (foto L. Leone)

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un culto magico-terapeutico incen-trato sull’utilizzo del papavero daoppio (27).Questa pianta sarebbe rappresen-tata da un grafema sferoidale, cor-rispondente alla capsula, unito auno stelo rettilineo, accompagnatodi frequente da un’ornamentazionefogliare. Si tratta di un grafemariprodotto sulle statue-stele conuna frequenza quasi assillante.Questa identificazione ha portatoa un’interessante rilettura delle

scene delle stele.I bastoni-scettro agitati nelle scenerituali-terapeutiche, le olle sacrifi-cali (sphageion) portate sulla testa

delle donne rappresentate in pro-cessione, le figure femminili con latesta a forma di “capsula” e ben

radicate nel terreno - che la Leonevede come divinità del papa-vero da oppio - tutto d’un trattomostrano un loro coerente signifi-cato. Anche le scene che rappre-sentano guaritori, più spesso gua-ritrici, che offrono un vaso medi-cinale a individui dolenti e amma-lati, assumono un preciso signifi-cato, se si tiene conto delle pro-prietà medicinali del papaveroda oppio, prima fra tutte quella dilenire il dolore fisico. Ma nell’arte

daunia, arte di spiccato caratterereligioso, non parrebbe essere rap-presentato un mero uso terapeu-tico di una pianta dalle portentose

virtù medicinali; v’è espresso qual-cosa di più, e cioè un culto reli-gioso dove il papavero da oppio

ricopriva il ruolo di pianta visiona-ria, rivelatrice dei mondi “altri”.Un ulteriore reperto indicativodell’importanza del papavero daoppio presso i Dauni è un frammentodi olla dipinta appartenente alla faseGeometrico Daunio III, ritrovato aHerdonia, nel quale si osserva alcentro una pianta riconoscibile comepapavero da oppio; sul lato sinistrosi intravede una seconda capsuladi papavero, mentre sul lato destrosi distingue una figura femminile

nell’atto di offrire un vegetale, pro-babilmente sempre una pianta dipapavero, a una figura maschile, unguerriero (28).

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