Origini e sviluppo delle macchine per mietere

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Tutti i diritti riservati, a norma della Legge sul Diritto d’Autore e le sue successive modificazioni. Ogni utilizzo di quest’opera per usi diversi da quello personale e privato è tassativamente vietato. Edizioni L’Informatore Agrario S.r.l. non potrà comunque essere ritenuta responsabile per eventuali malfunzionamenti e/o danni di qualsiasi natura connessi all’uso dell’opera. Edizioni L’Informatore Agrario www.vitaincampagna.it

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La mietitura a mano era uno dei lavori più duri: sotto il sole di luglio schiere di uomini e donne falciavano e riunivano il frumento in covoni e poi in biche, lasciandolo seccare in campo per qualche giorno prima di portarlo sull’aia per la trebbiatura. Non c’è quindi da stupirsi se, a metà dell’Ottocento, uno degli obiettivi della nascente meccanizzazione agricola fosse proprio quello di realizzare macchine per la mietitura. In queste pagine vi raccontiamo la storia di una delle innovazioni che hanno rivoluzionato il lavoro dei campi

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Tutti i diritti riservati, a norma della Legge sul Diritto d’Autore e le sue successive modificazioni. Ogni utilizzo di quest’opera per usi diversi da quello personale e privato è tassativamente vietato. Edizioni L’Informatore Agrario S.r.l. non potrà comunque essere ritenuta responsabile per eventuali malfunzionamenti e/o danni di qualsiasi natura connessi all’uso dell’opera.

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Chi oggi ammira, nelle nostre cam-pagne, il lavoro di una moderna mietitrebbia che, in poche ore,

divora ettari di grano riversando un pro-dotto perfettamente pulito in grandi ri-morchi destinati ai silos di stoccaggio,

diffi cilmente può im-maginare l’im-pegno che com-portava la mie-titura di quello stesso grano fi -no a pochi de-cenni fa.

Fin dall’antichità, la raccolta dei ce-reali ha rappresentato, tra tutti i lavo-ri agricoli, quello più impegnativo e pe-sante. Infatti raccogliere e portare in fat-toria, per la successiva trebbiatura, il gra-no e gli altri cereali vernini come l’orzo, la segale, l’avena, in tempi rapidi e sen-za perdite di prodotto, richiedeva moltis-sima manodopera che lavorava in condi-zioni particolarmente dure.

Così la ricerca di soluzioni tecniche per alleviare la fatica dell’uomo si è svi-luppata fi n dagli albori della meccaniz-zazione agricola.

Nei primi anni dell’Ottocento, con la rivoluzione industriale, furono l’Inghil-terra e gli Stati Uniti i luoghi di incuba-zione delle nuove tecnologie.

Già nel 1826 uno studente inglese, Patrick Bell, sperimentava una innova-tiva macchina per mietere (1), che nel-la procedura di lavoro era molto simile alle macchine attuali: aveva una barra di taglio a sega e un sistema per lo scarico laterale delle spighe. Curiosamente, per evitare il calpestio del cereale da mietere, la macchina era spinta da due cavalli po-steriormente. L’invenzione, però, non eb-be un immediato sviluppo pratico.

Fu invece Cyrus Mc Cormick, un giovane della Virginia (Stati Uniti), a realizzare, nel 1831, quello che sarà il prototipo delle moderne mietitrici mec-caniche. Figlio di un agricoltore, egli

aveva a disposizione un mulino e un’of-fi cina da fabbro dove il padre già si de-dicava alla costruzione di attrezzi agri-coli, tra cui un aratro di nuova concezio-ne. Qui il giovane mise a punto la mac-china (2) che, nel 1845, brevettò e iniziò a produrre in modo cospicuo, diffonden-dola in molti stati americani prima del-l’Est e poi dell’Ovest.

Nel 1851 pensò di proporla anche in Inghilterra, allora considerata la patria dello sviluppo tecnologico e così, alla Grande Esposizione di quell’anno svol-tasi al Crystal Palace di Londra (Gran Bretagna), si trovarono, fi anco a fi anco,

le invenzioni di Bell e di Mc Cormick. Le macchine furono provate in campo e la Mc Cormick surclassò tutte le altre malgrado le diffi cili condizioni ambien-tali. Questo evento può essere conside-rato l’inizio della diffusione delle mieti-trici meccaniche in Europa.

Le prime mietitrici semplici prodotte negli Stati Uniti, in Germania e Svezia

Le mietitrici semplici che ricalcava-no il progetto di Mc Cormick furono, dunque, le prime macchine che consen-tivano di mietere con minimo impiego di manodopera.

Si trattava di apparecchiature trainate da coppie di cavalli o buoi, con l’appa-rato di taglio posto lateralmente in mo-do da evitare che gli animali calpestas-sero il grano da raccogliere. ll cereale, tagliato per mezzo di una barra con la-ma a sega a movimento alternato, ana-loga a quella di una falciatrice da forag-gi, veniva adagiato su una piattaforma e, a mezzo di una serie di rastrelli rotanti, deposto a intervalli regolari sul terreno per formare il covone.

Uno o più operai, che seguivano a piedi la macchina, provvedevano alla le-

La mietitura a mano era uno dei lavori più duri: sotto il sole

di luglio schiere di uomini e donne falciavano e riunivano il frumento

in covoni e poi in biche, lasciandolo seccare in campo per qualche giorno

prima di portarlo sull’aia per la trebbiatura. Non c’è quindi

da stupirsi se, a metà dell’Ottocento, uno degli obiettivi della nascente meccanizzazione agricola fosse

proprio quello di realizzare macchine per la mietitura. In queste pagine vi raccontiamo la storia di una delle

innovazioni che hanno rivoluzionato il lavoro dei campi

Piergiorgio Laverda

Origini e sviluppo

delle macchine

per mietere

3-Una scena tipica della mietitura negli anni Trenta del secolo scorso: una falcia-trice meccanica con apparecchio a mietere, seguita dai braccianti che legano i co-voni di frumento

2-La Adriance, una tipica mietitrice nor-damericana costruita alla fi ne dell’Ot-tocento secondo il sistema Mc. Cormick e importata in Europa

1-La prima macchina per mietere ideata dall’inglese Patrick Bell nel 1826

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gatura dei covoni che, disposti in muc-chi, sarebbero stati poi trasferiti in fatto-ria per la trebbiatura (3).

Queste macchine, prodotte dalle indu-strie nordamericane e, in Europa, princi-palmente da tedeschi e svedesi, si diffu-sero rapidamente in molte aree cerealico-le, ma non ebbero un grande successo in Italia dove giunsero con un certo ritardo.

In Italia erano diffusi gli «apparecchi a mietere»

Diversamente una tecnica di raccolta molto diffusa nelle nostre campagne è stato l’uso del cosiddetto «apparecchio a mietere» (3 e 4). Si trattava di un ac-cessorio, applicabile a tutte le macchine falcianti (falciatrici trainate, barre fal-cianti per trattori, motofalciatrici) com-posto da uno scivolo a pettine in legno applicato alla barra di taglio, ribaltabile meccanicamente, e da un sedile per un secondo operatore che agiva con un ap-posito rastrello. La macchina provvede-va al taglio del grano e l’operatore, con movimento ritmico, preparava con il ra-strello il covone e lo scaricava a terra. Dietro di lui un terzo operaio provvede-va alla legatura manuale del covone.

Questo sistema fu molto utilizzato a partire dagli anni Trenta del secolo scor-so, specialmente nei piccoli appezzamen-ti inframmezzati da fi lari di viti o olivi. Una spesa modesta consentiva di sfrut-tare per la mietitura una macchina da ta-glio già presente in azienda. I dati a di-sposizione mostrano come circa i due ter-zi delle falciatrici trainate italiane fossero attrezzate anche per la mietitura.

Si trattava comunque di un lavoro lungo e faticoso che necessitava di mag-

giore manodopera e che progressiva-mente fu abbandonato in favore della mietilegatrice o del moto-mietilegatore.

L’avvento delle mietilegatricirivoluzionò la raccolta dei cereali

Le mietitrici semplici e gli apparecchi a mietere avevano facilitato enormemen-te il lavoro, ma restava l’impegno di le-gare manualmente il covone impiegando più persone, con i relativi costi.

Fu possibile risolvere il problema a partire dal 1878, grazie all’inventiva del tecnico americano Appleby; egli ideò un geniale sistema meccanico per la legatu-ra automatica del covone. Cuore dell’ap-parecchiatura era l’annodatore (5) che, con il suo movimento rotatorio, riusciva a realizzare un perfetto nodo a cappio.

Grazie a questa invenzione, fu possi-bile costruire una macchina, che, oltre a formare il covone di spighe, provvedeva anche a legarlo saldamente: era nata la mietilegatrice (6).

Il grano falciato era deposto su una te-la a scorrimento trasversale e convoglia-to, sempre a mezzo di tele, all’apparec-chio legatore. Una volta formato e lega-to, il covone veniva espulso lateralmente alla macchina. Per la legatura venivano utilizzate bobine di spago in fi bra natura-le. Il traino necessitava di due o più ani-mali, solitamente buoi o cavalli, e la forza motrice necessaria a muovere i vari mec-canismi era fornita dalla ruota principale della macchina, in ferro, che perciò dove-va avere una forte aderenza al terreno.

Le prime mietilegatrici furono co-struite negli Stati Uniti e in Canada in-torno al 1880 e videro impegnate dit-te allora famose nel settore agricolo co-me Deering, Noxon, Mc Cormick, Mas-sey-Harris.

Nei decenni successivi molte di que-ste macchine furono importate anche in Europa e poi prodotte in Inghilterra, Francia, Germania e Svezia.

In Italia lo sviluppo della mietitura meccanica subì notevoli ritardi: la na-tura del territorio, la limitata superfi cie

delle aziende e l’abbondante disponibi-lità di manodopera contadina, ostacola-rono la diffusione di mietitrici e mietile-gatrici. Addirittura in Emilia, negli anni Trenta, appositi decreti prefettizi ne vie-tavano l’uso per non privare del lavoro i numerosi braccianti.

Dopo una limitata diffusione di mac-chine d’importazione, nel 1938 fu pre-sentata la prima mietilegatrice italiana, la Laverda ML 6 (7), con barra da 6 pie-di (metri 1,82), seguita dall’analogo mo-dello della OMI Reggiane.

Superate le diffi coltà produttive causa-te dalla Seconda Guerra Mondiale (1940-1945), queste macchine si diffusero rapi-damente in tutto il Paese grazie anche al-la maggiore disponibilità di trattori.

Laverda, leader del settore con 1.500-2.000 macchine prodotte annualmen-te, mise in commercio nel 1946 la ML 5 BR, una macchina di piccole dimensioni con barra da 5 piedi (metri 1,52), legge-ra nel traino e molto adatta alle zone col-linari e alle varietà di grano coltivate nel Centro-Sud. Questa macchina, costrui-

5-Nel 1878 l’americano Appleby inven-ta il meccanismo dell’annodatore: nella figura la sequenza di funzionamento, tratta da A. Carena «Tecnologie delle macchine agricole», Torino 1942

4-Anche le piccole motofalciatrici pote-vano essere attrezzate per la mietitura con l’intervento di un secondo operatore

6-Le mietilegatrici nordamericane,

come questa Noxon, si diffusero

rapidamente in patria e

successivamente in Europa. La barra di

taglio è posta a sinistra, a

differenza delle macchine europee

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ta poi fi no al 1968, è stata in assoluto la mietilegatrice più diffusa in Italia.

Per le aziende di maggiore dimensio-ne vennero prodotti modelli con barra di taglio da 7 piedi (metri 2,10) e anche 8 piedi (metri 2,40), con trasmissione del-la forza motrice dal trattore tramite giun-to cardanico, questo per consentire una maggiore regolarità di funzionamento.

I moto-mietilegatori: motofalciatrici trasformate in macchine per mietere

La diffusione nelle piccole aziende agricole delle motofalciatrici, che ini-ziarono a essere prodotte su grande sca-la negli anni Cinquanta del secolo scor-so, spinse i produttori a studiare delle applicazioni per utilizzarle nella mieti-legatura. Furono proposte varie piccole mietilegatrici con legatore frontale, con o senza aspo; tra queste vanno segnalate le BCS, le Bertolini e le Laverda. Esse consentivano di trasformare rapidamen-te una motofalciatrice in un moto-mieti-legatore (8 e 9).

L’apparecchio Laverda LF 140 sfrut-tava praticamente il gruppo legatore della mietilegatrice ML 5 BR opportunamente adattato e veniva applicato alle motofal-ciatrici MFS, dotate di ponte rialzato, o al monoasse semovente MAS 4.

Il covone veniva formato e legato in posizione verticale e successivamente scaricato a terra.

Queste piccole macchine condotte da un solo operatore, erano maneggevoli e adatte a mietere anche piccoli appezza-menti in collina; per questi pregi, uni-ti a quello di un costo limitato, ebbero un buon successo diffondendosi in mol-te zone, specie del Nord Italia.

La conservazione e il restauro delle vecchie macchine per mietere

Le macchine per la mietitura, come le falciatrici meccaniche trainate e le mie-tilegatrici, rappresentano oggi una testi-monianza importante della nostra civiltà rurale ed è bene poterle conservare.

Il loro restauro per esposizione non presenta particolari difficoltà, a parte una buona dose di tempo e passione. Per ottenere un buon risultato è importante cercare di riprodurre colori e scritte fe-deli all’originale utilizzando come rife-rimenti foto o depliant dell’epoca, ricor-dando comunque che a volte è preferibi-le mantenere, dove possibile, la macchi-na nel suo aspetto «vissuto» che ne testi-monia l’età e la storia di lavoro.

Un po’ più complesso è l’intervento per utilizzare di nuovo la macchina per mietere, magari nel proprio piccolo ap-pezzamento, o per esibirla in qualche manifestazione rievocativa. Certamente

le mietilegatrici, data la loro complessi-tà, sono quelle che richiedono maggiore cura ed esperienza: in particolare le tele trasportatrici, costruite in stoffa o tessu-

to gommato, sono spesso deteriorate ma possono essere ricostruite ricorrendo al-l’opera di qualche abile artigiano.

Solitamente queste macchine erano accompagnate da accurati libretti di uso e manutenzione che consentono di fa-re un’adeguata messa a punto e persino ricostruire qualche pezzo mancante. Per reperire questi manuali, oltre ai soliti ca-nali come siti internet o mercatini specia-lizzati, ci si può rivolgere alle ditte tuttora attive, come ad esempio BCS o Bertolini, mentre per la produzione Laverda l’Ar-chivio storico «Pietro Laverda» mette a disposizione degli appassionati un’ampia documentazione tecnica e fotografi ca.

Il collezionista potrebbe poi fare un passo ulteriore accompagnando la mac-china restaurata con una tabella che ri-porti la marca, il modello, l’anno di co-struzione, il tipo di lavoro svolto e ma-gari alcune caratteristiche tecniche, dati che si possono ritrovare in libri, pubbli-cazioni e siti specializzati. Contribuireb-be così a trasmettere alle generazioni fu-ture qualche utile elemento di storia del-la nostra agricoltura.

Altri articoli pubblicati sulle attrezza-ture storiche. • Motoagricola (n. 1/2010)

• Macchine per la difesa dai parassiti (n. 4/2010) • Motofalciatrice (n. 7-8/2011)

• Pigiatrici e torchi (n. 10/2011) • Moto-zappa (n. 1/2012) • Macchine per prepa-rare l’alimento del bestiame (n. 2/2012)

• Seminatrici (n. 3/2012) • Macchine per mietere (n. 6/2012).

Le foto numerate da 1 a 9 sono dell’Archivio storico «Pietro Laverda» - Breganze (Vicen-za) - Internet: www.laverdastoria.com

Inviateci le foto delle vostre macchine per mietere restaurate, specifi cando costruttore, modello, anno di costru-zione e quant’altro utile all’identifi ca-zione della macchina: provvederemo a pubblicarle sulla nostra rivista.

9-Una soluzione più semplice prevedeva un apparecchio legatore montato fron-talmente, qui applicato a una motofal-ciatrice Laverda MAS 4

8-L’applicazione di un apparecchio le-gatore consentiva di trasformare una motofalciatrice in un moto-mietilegato-re. Nella foto un modello della Bertolini

7-La prima mietilegatrice di costruzione italiana fu la Laverda ML 6, qui trainata da una coppia di buoi

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