ORIENTAMENTI SUL RAPPORTO DI LAVORO DEI DIRIGENTI … · Contrariamente al prevalente orientamento...

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Milano, 12 Dicembre 2018 ORIENTAMENTI SUL RAPPORTO DI LAVORO DEI DIRIGENTI UN ANNO DI DIRITTO DEL LAVORO Highlights 2018 avv. Marco De Bellis Socio fondatore Marco De Bellis & Partners

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Milano, 12 Dicembre 2018

ORIENTAMENTI SUL RAPPORTO DI LAVORO DEI

DIRIGENTI

UN ANNO DI DIRITTO DEL LAVORO Highlights 2018

avv. Marco De Bellis Socio fondatore

Marco De Bellis & Partners

ORIENTAMENTI SUL RAPPORTO DI LAVORO DEI DIRIGENTI

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I criteri arcinoti: «quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle

direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle

mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del

relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e

sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni,

dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una

retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto

organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una

sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore

decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi probatori della

subordinazione» (Cassaz. Sez. Unite 30 giugno 1999 n. 379)

LA NATURA SUBORDINATA DEL RAPPORTO

DIRIGENZIALE

ORIENTAMENTI SUL RAPPORTO DI LAVORO DEI DIRIGENTI

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I criteri arcinoti: «quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle

direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle

mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del

relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e

sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni,

dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una

retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto

organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una

sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore

decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi probatori della

subordinazione» (Cassaz. Sez. Unite 30 giugno 1999 n. 379)

ORIENTAMENTI SUL RAPPORTO DI LAVORO DEI DIRIGENTI

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La Cassazione del 19 novembre 2018 n. 29761.

La sentenza conferma la sentenza della Corte d’Appello di Roma sulla pretesa

natura subordinata, quale dirigente, di un collaboratore (che peraltro rivestiva

cariche sociali).

Sono interessanti i criteri ermeneutici utilizzati dalla Suprema Corte.

Criteri essenziali

Inserimento all’interno dell’organizzazione

aziendale

Individuazione delle specifiche mansioni

Emanazione di indicazioni generali di carattere

programmatico e coordinamento dell’attività

lavorativa in funzione delle esigenze aziendali

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Licenziamento del dirigente: la contestuale motivazione.

I principali contratti collettivi dei dirigenti prevedono che nel caso di licenziamento il datore di

lavoro sia tenuto «a specificarne contestualmente le motivazioni» (art. 22 CCNL Dirigenti

aziende industriali e art. 39 CCNL Dirigenti terziario).

Contrariamente al prevalente orientamento precedente, la sentenza del 2 ottobre 2018 n.

23894 dispone:

«anche laddove la contrattazione collettiva applicabile al rapporto dirigenziale preveda la

necessità di contestuale motivazione del recesso, ove la stessa non sia stata resa con il

licenziamento (ovvero, risulti insufficiente o generica), il datore di lavoro può esplicitarla (od

integrarla) nell'ambito del giudizio arbitrale, e, nell'ipotesi in cui il dirigente abbia scelto, in

conformità al principio di alternatività delle tutele nelle controversie del lavoro, di adire

direttamente il giudice ordinario, analoghe facoltà vanno riconosciute alla parte datoriale

nell'ambito del processo, atteso che, diversamente, la posizione del datore di lavoro verrebbe

ad essere compromessa per effetto di una autonoma ed insindacabile determinazione della

controparte».

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Il datore di lavoro può ignorare gli obblighi del CCNL e licenziare senza motivazione.

Il dirigente non conosce i motivi del licenziamento.

Dunque:

Il Dirigente

Il Datore di Lavoro

convenuto in giudizio

Il Dirigente

ricorrente in giudizio

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Secondo entrambe le sentenze: «la disciplina limitativa del potere di

licenziamento, di cui alla legge n. 604/1966 e alla legge n. 300/1970, non si

applica ai dirigenti convenzionali, ossia a quelli da ritenere tali alla stregua delle

declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali

sia di dirigenti minori, fatta eccezione per gli pseudo - dirigenti, cioè coloro le cui

funzioni non sono riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigenti)».

Da sottolineare che viene riproposta la c.d. figura degli «pseudo dirigenti».

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Dunque per valutare le conseguenze di un licenziamento sarà preliminarmente

necessario verificare:

solo le tutele

previste dal

CCNL

L. 604/1966

L. 300/1970

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Licenziamento del dirigente: la giustificatezza.

Due sentenze affrontano l’aspetto della «giustificatezza» del recesso del dirigente

confermando che essa è fattispecie diversa da quella prevista dalla normativa per i non

dirigenti.

In particolare, per quanto attiene al licenziamento per motivi organizzativi:

«Non è richiesto (…) ai fini della giustificazione del licenziamento del dirigente che le ragioni

oggettive che sorreggono il recesso coincidano con l'impossibilità della continuazione del

rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta

continuazione, essendo sufficiente la dimostrazione da parte del datore di lavoro,

dell'avvenuta riorganizzazione aziendale e del fatto che essa fosse tale da coinvolgere la

posizione del dirigente» (Cassaz. 26 ottobre 2018 n. 27199)

Sempre con riferimento al licenziamento per motivi organizzativi viene esclusa «la possibilità

del repechage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita

da un regime di piena recedibilità del datore di lavoro» (Cassaz. 2 ottobre 2018 n. 23894).

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Licenziamento del dirigente per mancanze.

Si segnalano le sentenze che ribadiscono che i principi di qualificazione del licenziamento

per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa.

In particolare la sentenza del 15 marzo 2018 n. 6429:

Giustificato

Motivo soggettivo:

Giusta causa:

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La Cassazione ha peraltro confermato che le garanzie procedimentali di cui all’art.

7 debbano essere applicate anche nel caso di licenziamento del dirigente:

«… qualora il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o

colpevole in senso lato, ovvero se, a base del re esso, siano poste condotte

comunque suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti, sicchè la loro

violazione preclude le possibilità di valutare le condotte causative del recesso...»

(Cassaz. 26 marzo 2018 n. 7426).

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procedura ex art. 7 S.L.

Mancato espletamento

della procedura ex art. 7 S.L.

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Riguardo alla contestazione disciplinare valgono gli arcinoti principi di specificità,

tempestività e asetticità (nessuna valutazione prima di conoscere le eventuali

giustificazioni)

In applicazione dei suddetti principi, correttamente, il Tribunale di Milano ha

ritenuto:

«…La contestazione avvenuta a distanza di due anni viola il principio di

immediatezza, ricavabile dall'art. 7 legge 20 maggio 1970 n. 300 ed applicabile

anche in ipotesi di licenziamento del dirigente».

(Trib. Milano, Sez. Lavoro, 25 ottobre 2018, n. 2130)

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Licenziamento del dirigente ritorsivo.

La Suprema Corte conferma il consolidato orientamento

(Cassaz. 23 marzo 2018 n. 7295)

(Cassaz. 16 agosto 2018 n. 20742)

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Licenziamento ritorsivo e giusta causa.

Qualora il lavoratore agisce in giudizio deducendo

«...l'eventuale carenza di giusta causa, pur ricavabile da circostanze di fatto

allegate, integra un ulteriore e non già compreso motivo di illegittimità del recesso

come tale non rilevabile d'ufficio dal giudice e neppure configurabile come mera

diversa qualificazione giuridica della domanda»

(…)

«…Sulla base dei principi sopra richiamati, pertanto, ai fini dell’applicabilità della

tutela reintegratoria, al Giudice del merito spetterà accertare se il lavoratore abbia

soddisfatto l’onere di provare la ritorsività del licenziamento quale ragione esclusiva

del recesso e, in caso negativo, dovrà procedere alla verifica della sussitenza della

giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, il cui onere probatorio è

posto a carico del datore di lavoro»

(Cassaz. 16 agosto 2018 n. 20742)

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La sentenza della Corte Costituzionale dell’8 novembre 2018

n. 194 e il possibile impatto sul licenziamento del dirigente.

I principi stabiliti:

«…Ricostruite le caratteristiche della tutela prevista dal denunciato art. 3, comma 1, tale

disposizione, nella parte in cui determina l'indennità in un «importo pari a due mensilità

dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni

anno di servizio», contrasta, anzitutto, con il principio di eguaglianza, sotto il profilo

dell'ingiustificata omologazione dì situazioni diverse.

(…)

È un dato di comune esperienza, ampiamente comprovato dalla casistica giurisprudenziale,

che il pregiudizio prodotto, nei vari casi, dal licenziamento ingiustificato dipende da una

pluralità di fattori. L'anzianità nel lavoro, certamente rilevante, è dunque solo uno dei tanti».

Questo con riferimento all’art. 3 cost.

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In particolare l’art. 24 della Corte Sociale Europea dichiara alla lettera b:

«b. il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione».

Ora, l’art. 19 nel vigente CCNL per i dirigenti di aziende industriali, prevede a favore dei dirigenti licenziati ingiustamente:

«a. fino a 2 anni di anzianità aziendale 2 mensilità pari al corrispettivo del preavviso»

*

Valgono anche in questo caso le censure della Corte, per la peculiarità del rapporto dirigenziale?