Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis ... · Bambino nel Presepe: Hussein,...

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Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis Beteseb – ONLUS Anno 20 – numero 4 (78) Dicembre 2017 - Trimestrale POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

Transcript of Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis ... · Bambino nel Presepe: Hussein,...

Organo ufficialedell’Associazione Nuova Famiglia

– Addis Beteseb – ONLUS

Anno 20 – numero 4 (78) Dicembre 2017 - Trimestrale

POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

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RIEPILOGO DEL PROGETTO “CENTRO DI FORMAZIONE A SAO DOMINGOS – GUINEA BISSAU”

Nella parrocchia di São Domingos, in Guinea Bissau, nel 2014 è stata costruita una falegnameria per coinvolgere i giovani in un progetto di lavoro che potesse aiutarli ad uscire dal problema della disoccupazione e della delinquenza. Oggi è attivo un solido Centro di Formazione Tecnico Professionale che rilascia il diploma ai giovani che completano con profitto i due anni di formazione. A pag.10 trovi maggiori dettagli su questo progetto che la nostra Associazione sta sostenendo. La tua donazione, scelta liberamente secondo le tue disponibilità, potrà preziosamente contribuire ad incrementare il fondo di manutenzione del Centro che ogni anno accoglie 20 giovani lavoratori. Ricordati di indicare nella causale: “Centro di formazione São Domingos”. Grazie!

Anno 20 – numero 4 (78) – Dicembre 2017 – TrimestraleOrgano ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS

in copertina foto di Erika OrtileCodice Fiscale 00211260286

QUOTA ASSOCIATIVA ANNUA: socio ordinario € 55,00CONTRIBUTI A PROGETTI: specificare sempre la causale (il nome del progetto da sostenere)PARLIAMO AFRICA: abbonamento annuale (4 numeri) € 15,00 ADOZIONI A DISTANZA: Aiuto ad un minore: € 150,00/anno (per Brasile: € 250,00/anno)Aiuto ad una famiglia: € 250,00/anno Per il pagamento SPECIFICARE SEMPRE LA CAUSALE O IL NUMERO DI ADOZIONE

Pagamenti con bonifico: bonifico su c.c.b. con coordinate: IT - 84 - P - 08728 - 62890 - 000000453689 presso Banca Patavina - Credito Cooperativo di Sant'Elena e Piove di Sacco, agenzia di Selvazzano Dentro (PD), intestato a: Nuova Famiglia Addis Beteseb (ONLUS) vicolo Ceresina 6, 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD)

Pagamenti con bollettino postale: c.c.p. n. 13772355 intestato a: “Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS".

L E N O S T R E C O O R D I N A T E

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S O M M A R I Os o m m a r i o

D I C E M B R E 2 0 1 7

EDITORIALEdi Giulia Consonni

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GRAZIE ADRIANA!a nome di Nuova Famiglia

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QUANDO L’ALBERO DELLA SOLIDARIETÀ GERMOGLIA IN UNA SCUOLA di Lucio De Rocco

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I MIEI PARADOSSI. COERENZA?di Marcello Massaro

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PROGETTO “CENTRO DI FORMAZIONE” A SAO DOMINGOS

a cura della redazione

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UN NEONATO SPECIALE A SHEBRABHER di Alessandra Ometto

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5X1000: QUALE DESTINAZIONE? di Nicola Zanella

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MITI E LEGGENDE D’AFRICAa cura della redazione

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UN CARCERE CHIAMATO TRIPOLIa cura di Vanity Fair

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RIFLESSIONI DI UN MISSIONARIO

a cura della redazione

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INCONDIZIONATAMENTEdi Deborah Favarato

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PRANZO SOLIDALE PER GUINEA BISSAU

a cura della redazione

15CAMPI 2018: INIZIA LA FORMAZIONE!di Cecilia Conte

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CI SCRIVONO …a cura della redazione

11FARAJA HOUSE S.L.P. 1350 – Iringa - TANZANIA I - CARE Tel. +255 715 982 939/ [email protected]

NATALE 2017 Carissimi Amici, il 18 Nov. scorso ci ha lasciati Filimon: aveva finito la Scuola Tecnica ed era ‘emigrato’ a Dar in cerca di lavoro, come fanno molti giovani ogni giorno scappando dai villaggi e andando nelle grandi città. Sono stati momenti di tristezza, ma anche di gioia nel vedere l’ unità degli ex della Faraja

assieme ad alcuni che studiano a Dar: l’hanno curato, assistito, portato all’ospedale e infine riportato a casa per la sepoltura. Si sono uniti altri che lavorano qui in città ed assieme hanno organizzato e partecipato con un coro triste e gioioso allo stesso tempo. Scrivo soprattutto per augurare a TUTTI un sereno Natale. Il nostro quest’anno sarà un po’ speciale perchè ancora ‘accampati’ in quell che rimane dopo l’incendio dell’anno scorso. Ma la serenità e la gioia per un piccolo regalo , i canti ‘ballati’ e i più piccoli addormentati durante la Messa a sera tarda...e poi il ‘risveglio’ e le risate all’arrivo dei Babbo Natale per la distribuzione dei regali: ognuno il suo sacchetto con scarpe, vestiti, cancelleria e qualche dolciume! Si accontentano di ben poco e la loro felicità è contagiosa. Abbiamo passato un periodo difficile e laborioso: complicato e dispendioso riprendere i lavori interrotti dopo una lunga pausa! Ora abbiamo la difficoltà dell’acqua: non piove dall’Aprile scorso. Praticamente 8 mesi e sorgenti e pozzi sono asciutti. Un lavoro ‘ciclopico’ per restaurare un vecchio pozzo che ha un po’ d’acqua ma è molto profondo e lontano oltre 800 mt. Quanti problemi anche per rimettere in funzione un ‘antico’ generatore per avere un po’ di elettricità. Il coraggio per andare Avanti ci viene dal vostro sostegno e anche dalla condivisione di tantissimi Amici ‘locali’ vecchi e nuovi che vengono ancora oggi a farci visita, a pregare con noi, a portarci qualche dono! L’ultima una giovane mamma col suo bambino che ha voluto condividere con tutti noi la torta del suo compleanno.

Ed è così che ogni tanto smetto la ‘preghiera dei libri’ e me ne sto in silenzio con nel cuore un unico ritornello ‘Sei grande o Signore’. ‘Pace in terra agli uomini di buona volontà’: e mi passano per la testa tante storie tristi di schiavitù, di morti nel deserto e nel mare, di bambini abbandonati, di malati di Aids... Mentre America e Corea del Nord giocano alla Guerra e tutti assieme collaboriamo a rovinare la ‘grande e bella casa’ che Dio ci ha affidato da custodire e tenere pulita. Anche quest’anno avremo le nostre mascotte che metteranno il Bambino nel Presepe: Hussein, 9 anni, è tra gli ultimi arrivati e uno di quelli che ha sofferto di più. Legato mani piedi dal patrigno per una

notte intera e liberato dalla polizia. Unica sua colpa il non voler andarsene dalla specie di capanna dove abita anche sua madre, che ha altri 4 figli ma ognuno da padre diverso. Con lui ci sarà Karen, 9 anni, che ha visto alla luce della lanterna mentre fingeva di dormire, picchiare e poi impiccare suo padre per mano della madre e di due ‘aiutanti’. E’ sempre seria ed è difficile farla sorridere. Se dimentica la sua ‘storia’ per un momento la sua gioiosa risata diventa ‘medicina’ anche per me. Auguri!

LETTERA AMICI 44

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3 esperienze che meritano la nostra attenzione

Care lettrici e Cari lettori,ben trovati! Mi scuso del ritardo con cui ricevete questo numero del giornale (nota: sono i primi giorni di gennaio e il numero è relativo allo scorso dicembre), ma capita che motivi personali (nel mio caso, di salute) costringano al riposo forzato e quindi a tardare impegni e incombenze, quelle di volontariato comprese. Ricevuto il vostro generoso perdono e tornata in pista più carica di prima (tutto bene), sempre supportata dalla mia insostituibile redazione, vorrei porgervi a nome di tutti noi un caloroso augurio per l’anno nuovo e dedicare queste righe di apertura del nostro giornale a 3 esperienze che, come recita il titolo, meritano qualche minuto di attenta lettura. Cominciamo!

UNA RIFLESSIONE, DA CONDIVIDERE Dal Sudan al Venezuela, dopo 10 anni torna a crescere la fame nel mondo. Dopo 10 anni di calo, la fame nel mondo torna a crescere: nel 2016 ha colpito 815 milioni di persone. È l’11% della popolazione del pianeta. Lo dice il rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World 2017 a cura delle agenzie dell’Onu Fao, l’organizzazione per cibo e agricoltura, Ifad, il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, e Wfp, il programma alimentare mondiale. Sono 38 milioni gli affamati in più nel 2016 rispetto al 2015. Secondo il rapporto sono stati causati dalla «proliferazione di conflitti violenti e dagli shock climatici». Le vittime sono soprattutto bambini. Circa 155 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni sono sottosviluppati, 122 milioni vivono in paesi in guerra, 52 milioni soffrono di deperimento cronico. Nell’altra metà del mondo circa 41 milioni di bambini sono invece in sovrappeso. 613 milioni le donne in età riproduttiva sono affette da anemia e sempre dall’altra parte sono 641 milioni gli adulti colpiti da obesità. Degli 815 milioni di persone che soffrono la fame 489 milioni vivono in paesi colpiti da conflitti. La prevalenza della fame in questi paesi è superiore a quella di altri da 1,4 a 4,4 punti percentuali. Agli inizi del 2017 la carestia ha colpito alcune parti del Sud Sudan e c’è il rischio che possa tornare anche in Nigeria, in Somalia e nello Yemen. In Asia sono 520 milioni le persone che soffrono la fame, 243 milioni in Africa e 42 milioni fra Caraibi e America Latina. RIFLETTIAMO.

UN BILANCIO, PER CUI RINGRAZIARVI L’ultima festa della nostra Associazione (tenutasi a Limena domenica 24 settembre 2017) è stato un momento di grandissima gioia, confronto e amicizia. Un po’ di numeri che senza la vostra presenza e il vostro sostegno non potremmo dare.

6 le Associazioni che hanno partecipato al Forum: “Africassociamoci”315 le persone presenti al pranzo, compresi i volontari addetti alla cucina4.275 l biglietti della lotteria venduti5.900,00 € il ricavo netto (pranzo + biglietti della lotteria) destinato al progetto di “Manutenzione e fornitura attrezzature didattiche scuole del Guraghe, in Etiopia” 872,00 € il ricavo dalla vendita dei prodotti del Mercatino

Un ringraziamento particolare va:al vescovo Abuna Musié Gebreghiorghis dell’Eparchia di Emdibir, Etiopia per aver partecipatoai soci arrivati dalle località più lontane (Grosseto, Torino, Firenze); ai partecipanti dell’ultimo campo di conoscenzaagli amici della cucina, che ogni anno si dedicano alla preparazione del pranzoai rappresentanti delle 6 Associazioni presenti al ForumGRAZIE!

UN INCONTRO, DA SEGNARE IN AGENDA L’anno nuovo è appena cominciato ma la nostra Associazione è già al lavoro e vi invita al tradizionale “weekend di Gallio”, aperto a tutte le coppie e famiglie (non per forza iscritte alla nostra Onlus): appuntamento dal 28 al 30 aprile 2018 - e, per chi lo desidera, anche il giorno Primo Maggio - presso la “Casa don Calabria” a Gallio (VI), una location che abbiamo già frequentato negli anni scorsi per due motivi in particolare: la vicinanza di Gallio alle abitazioni in cui si alloggia, pertanto le famiglie sono meno impegnate nei viaggi di andata e ritorno, e la possibilità di essere raggiunti in giornata da chi non volesse/potesse pernottare, soprattutto nel giorno dedicato al momento di riflessione (il cui tema sarà comunicato prossimamente). Per chi desiderasse partecipare (o semplicemente avere maggiori chiarimenti sul programma e la modalità di adesione) e condividere un’esperienza di grande serenità nella pace del verde Altopiano, con un incontro guidato da professionisti su tematiche riguardati figli/genitori/famiglia, contatti la nostra segreteria nell’orario di apertura della sede o per email ([email protected]). VI ASPETTIAMO!

CHI NON SI FERMA, E’ PERDUTO

Chi va di fretta...non pensa, imita.non sceglie, si adegua.non respira, sta in apnea.non cambia, ripete.non si fa domande, obbedisce.non si guarda dentro, ma solo fuori.non si nutre, ingoia.non ama, ha paura.

Che il nuovo anno porti a tutti noi più “lentezza” per gustarci ogni attimo, ogni gesto, ogni emozione lungo il nostro cammino. Buona lettura e buona vita!

di Giulia Consonni

E DI TOR I A L E

“Impronta” umana sempre più pesante

Ne abbiamo già parlato più volte nel nostro giornale: l’impatto delle attività dell’uomo sul pianeta fa sì che ogni anno il giorno nel quale le risorse naturali della terra (quelle che essa è in grado di rigenerare da sola) si esauriscono, arrivi sempre prima. Per il 2017 questo giorno (Earth Overshoot Day) è stato il 2 agosto. Dunque, a partire dal 3 agosto scorso ciò che noi stiamo togliendo alla Terra sarà irrimediabilmente perduto, poiché non potrà essere rigenerato in modo naturale dagli ecosistemi. Al momento attuale, secondo gli studi fatti dall’organizzazione internazionale “Global Footprint Network”, stiamo consumando il pianeta ad un ritmo 1,7 volte più veloce della sua capacità di rigenerarsi. C’è di che riflettere, non trovate?

L’ecologia ai tempi di Trump

In perfetta coerenza con le preoccupazioni mosse dalle righe che avete appena letto qui sopra, lo scorso novembre negli USA l’amministrazione Trump ha concesso all’ENI l’autorizzazione per le esplorazioni petrolifere al largo dell’Alaska, più precisamente nel mare di Beaufort, nonostante le proteste ed i moniti delle associazioni ambientaliste.

È pur vero che il tycoon USA, dopo poco tempo dall’inizio del suo mandato presidenziale, si è distinto per avere portato gli States fuori dagli accordi mondiali COP21 sul clima ratificati a Parigi a fine 2015. In compagnia di Siria e Nicaragua, gli Stati Uniti risultano così il solo paese a non avere aderito agli accordi sulla riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera. Dunque, una certa coerenza in fondo c’è, non trovate?

SOS Facebook

Sensazionale annuncio, a fine novembre scorso, di Mark Zuckerberg: Facebook sta mettendo a punto un sistema che usa l’intelligenza artificiale per provare a prevenire i suicidi. Si sfrutta la tecnologia per riuscire ad identificare “in tempo reale” chi esprima attraverso i social network l’intenzione di farla finita, intervenendo in modo tempestivo con il primo soccorso in caso di necessità, o fornendo il sostegno di cui queste persone hanno bisogno. “Il suicidio è una delle prime cause di morte tra i giovani, e questo è un nuovo approccio alla prevenzione”, ha scritto il CEO di Facebook. Notizia dalla valenza positiva dunque, non c’è che dire; ma sempre più spesso ci giunge notizia di suicidi di persone in giovane età, che vengono istigate al gesto estremo proprio attraverso Facebook o altri network analoghi, evidentemente utilizzati in maniera impropria e distorta.

Mah, devo ancora mettere a fuoco, c’è qualcosa che non mi torna... non trovate?

Altra pillola miracolosa...

Udite, udite: sta per nascere la “pillola dell’esercizio fisico”, un rimedio sintetico che, grazie all’inibizione della produzione di miostatina (una proteina capace di bloccare la crescita muscolare) può migliorare la salute di cuore e reni, oltre a proteggere dai danni dell’obesità. Recenti studi condotti sui topi da un’università statunitense hanno dimostrato l’efficacia della pillola in questione. Ora, pensando ad una persona obesa, viene naturale pensare che non sia propriamente disposta alla pratica dell’esercizio fisico, perciò ben venga la pillolina che aiuti a costruire una massa muscolare degna di tale nome e migliori le funzionalità cardiache; ma pensando anche a quanto

sia diffusa l’obesità proprio negli USA, viene da dire: ma non si poteva pensare (prima) ad investire risorse per l’educazione a migliorare gli stili di vita e correggere abitudini alimentari scorrette e dannose, che sono la causa principale dell’obesità?

Coerenza... ne trovate? 5

I MIEI PARADOSSI. COERENZA?di Marcello Massaro

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GRAZIE ADRIANA!a nome di Nuova Famiglia

GRAZIE ADRIANA!Il suo motto è: CONDIVIDIAMO

e lo diffonde in decine di scuole, raccogliendo ottimi frutti

E un GRAZIE di cuorea tutte le scuole che ci aiutano!

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Alcune letterine che gli alunni hanno scritto ad Adriana per ringraziarla dei laboratori e delle preziose testimonianze condivise nella loro scuola.

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QUANDO L'ALBERO DELLA SOLIDARIETÀGERMOGLIA IN UNA SCUOLA

di Lucio De Rocco

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Venerdì 15 dicembre 2017. Mi trovo nella scuola media di Bolzano Vicentino. Sono invitato a testimoniare l’esperienza vissuta nella Missione di Manda - Tanzania di padre Antonio Zanette. Assieme a me c’è Mauro che ha partecipato a due campi di conoscenza negli anni scorsi.

La mattinata è dedicata al tema della SOLIDARIETÀ e dei DIRITTI.

Tanti anni fa con la professoressa Franca Zanette ( che da 10 anni è volata in cielo ) e un gruppo di insegnanti è nato un ponte di solidarietà con la missione di Padre Antonio che da allora non ha mai smesso di produrre benefici, contagiando generazioni di studenti e di famiglie.

Percorriamo un corridoio che ci porta in palestra non senza osservare con interesse numerosi cartelloni che rappresentano il lavoro di approfondimento delle varie classi sui temi della giornata. La missione di Manda e i progetti che nel tempo sono stati sostenuti dalla scuola sono li descritti. Manda è nel cuore della scuola.

Entriamo in palestra. Ci attendono 120 alunni e tutti gli insegnanti al completo. Inizia il programma con una recita corale intervallata da alcuni canti che si conclude con questo messaggio SCRIVEREMO SUI MURI CHE L’ AMORE è LA RICCHEZZA CHE OGNUNO HA IN SE. FORTE TU SENTIRAI L’ AMORE CHE CRESCE INTORNO A TE.

Entrano cinque gruppi di ragazzi che presentano il loro lavoro sui DIRITTI che le società degli ultimi dovrebbero garantire :

UGUAGLIANZA AMORE PACE SVILUPPO ISTRUZIONE.

Recitano frasi da brividi e l’ atmosfera si fa commovente. Poi arriva il nostro turno.

Il mondo dei ragazzi è saturo di immagini. Per questo abbiamo deciso con gli insegnanti di non proiettare foto o filmati e lasciare spazio alle testimonianze verbali. La voce deve ritrovare un proprio spazio che non è secondario alle immagini.

Per mezzora raccontiamo dell’ associazione, dei progetti, di Manda, dell’ opera missionaria, della vita, della lotta all’ AIDS, delle famiglie, delle scuole. Raccontiamo che i pochi fortunati studenti che vengono strappati all’ analfabetismo (che coglie oltre il 70% della popolazione) tengono il grembiule come una reliquia e gettano una matita solo quando è ridotta ad un mozzicone che non si riesce a tenere nelle dita.

Testimoniamo che ci sono famiglie che vivono nell’ indigenza e che spesso non possono permettersi più di un pasto al giorno.

Il silenzio in palestra è totale. Gli insegnanti sono meravigliati di un comportamento così composto, inusuale. Lasciamo spazio alle domande. Vedo gli occhi dei ragazzi puntati su di noi e mi sembra di ritrovare quelli dei ragazzi di Manda che ci fissavano intensamente quando andavamo nelle scuole a visitarli oppure nelle pause pomeridiane dove ci inventavamo qualche gioco per farli divertire.

Oggi come altre volte durante l’anno scolastico, i ragazzi hanno rinunciato alla merendina per solidarietà con Manda versando il corrispettivo come donazione il quale, assieme al ricavato di mercatini e tante altre iniziative che vedono coinvolte anche le famiglie, arriva all’associazione Nuova

Famiglia per sostenere le adozioni a distanza, e altri progetti in cui la scuola si è adoperata negli anni quale il progetto acquisto aratri conclusosi con successo.

Sono felice perché mi sento missionario e perché sono certo che nelle scuole medie di Bolzano Vicentino l’ albero della solidarietà continuerà a produrre germogli rigogliosi.

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“Sin dalla nascita della Parrocchia di São Domingos in Guinea Bissau, avvenuta nel 2012, il gruppo dei giovani ha iniziato a pensare a progetti o iniziative che potessero aiutarli ad uscire dal problema della disoccupazione e della delinquenza. Due furono le proposte: o la costruzione di orti, o l’apertura di una falegnameria. Si è optato per la falegnameria anche grazie alla presenza di un giovane falegname che accettò di insegnare ai ragazzi la propria arte.

Purtroppo, questo falegname all’epoca lavorava in una piccola baracca di pochi metri quadrati, del tutto inadeguata all’accoglienza degli apprendisti.

Noi, padri del Pime, abbiamo preso a cuore il progetto e nell’ottobre 2014 e, con l’aiuto di alcuni benefattori italiani, abbiamo comprato un terreno e, sempre presso la Parrocchia, abbiamo costruito una falegnameria più grande e più solida. Siamo riusciti anche ad attrezzarla con una macchina universale, una pialla, una sega a nastro ed una levigatrice.

Ora, finalmente, abbiamo un bel Centro di Formazione Tecnico Professionale chiamato “Santa Bakhita”, la Santa a cui è dedicata la nostra Parrocchia, che può accogliere una ventina di giovani all’anno.

Nel maggio 2017 il Ministero dell’Istruzione della Guinea Bissau ha riconosciuto il nostro Centro e gli ha dato la facoltà di lavorare e di rilasciare il diploma ai giovani che completano con profitto i due anni di formazione.

Lo scorso 4 giugno 2017, alla presenza del Vescovo Ausiliare di Bissau e del Sindaco di São Domingos, abbiamo consegnato i diplomi per il primo gruppetto di giovani falegnami.

Normalmente la formazione dei ragazzi si svolge al mattino, mentre durante il pomeriggio il mastro falegname lavora per sostenere economicamente il Centro affinché non debba vivere per sempre con gli aiuti provenienti dall’Italia ma possa diventare, in futuro, economicamente indipendente, e sostenersi completamente con i proventi del proprio lavoro. Per riuscire in questo è necessario accumulare un buon fondo per la manutenzione dell’officina, investendo ancora un po’ di soldi ed aiutando il Centro con alcune spese fondamentali come l’acquisto del legname (che è la spesa più incisiva) e degli strumenti di lavoro (sega, pialla, martello, ecc.).

Il progetto Centro di formazione São Domingos ha lo scopo di lanciare la produzione e di incrementare il fondo manutenzione del Centro”.

Padre Franco Beati (PIME)

Per un anno di formazione (20 giovani) si utilizzano circa 200 tavole di legno. Ciascuna tavola costa 6.000 franchi CFA. Quindi, la spesa annuale per il legname è di 1.200.000 franchi CFA. Gli attrezzi da lavoro per una ventina di giovani apprendisti costano in tutto 600.000 franchi CFA, per un totale di 1.800.000 franchi CFA (2.775euro).

PROGETTO "CENTRO DI FORMAZIONE"A SAO DOMINGOS

a cura della redazione

Padre Franco Sordella ci invia dalla Tanzania degli auguri molto toccanti che vogliamo condividere con voi.

CI SCRIVONOa cura della redazione

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FARAJA HOUSE S.L.P. 1350 – Iringa - TANZANIA I - CARE Tel. +255 715 982 939/ [email protected]

NATALE 2017 Carissimi Amici, il 18 Nov. scorso ci ha lasciati Filimon: aveva finito la Scuola Tecnica ed era ‘emigrato’ a Dar in cerca di lavoro, come fanno molti giovani ogni giorno scappando dai villaggi e andando nelle grandi città. Sono stati momenti di tristezza, ma anche di gioia nel vedere l’ unità degli ex della Faraja

assieme ad alcuni che studiano a Dar: l’hanno curato, assistito, portato all’ospedale e infine riportato a casa per la sepoltura. Si sono uniti altri che lavorano qui in città ed assieme hanno organizzato e partecipato con un coro triste e gioioso allo stesso tempo. Scrivo soprattutto per augurare a TUTTI un sereno Natale. Il nostro quest’anno sarà un po’ speciale perchè ancora ‘accampati’ in quell che rimane dopo l’incendio dell’anno scorso. Ma la serenità e la gioia per un piccolo regalo , i canti ‘ballati’ e i più piccoli addormentati durante la Messa a sera tarda...e poi il ‘risveglio’ e le risate all’arrivo dei Babbo Natale per la distribuzione dei regali: ognuno il suo sacchetto con scarpe, vestiti, cancelleria e qualche dolciume! Si accontentano di ben poco e la loro felicità è contagiosa. Abbiamo passato un periodo difficile e laborioso: complicato e dispendioso riprendere i lavori interrotti dopo una lunga pausa! Ora abbiamo la difficoltà dell’acqua: non piove dall’Aprile scorso. Praticamente 8 mesi e sorgenti e pozzi sono asciutti. Un lavoro ‘ciclopico’ per restaurare un vecchio pozzo che ha un po’ d’acqua ma è molto profondo e lontano oltre 800 mt. Quanti problemi anche per rimettere in funzione un ‘antico’ generatore per avere un po’ di elettricità. Il coraggio per andare Avanti ci viene dal vostro sostegno e anche dalla condivisione di tantissimi Amici ‘locali’ vecchi e nuovi che vengono ancora oggi a farci visita, a pregare con noi, a portarci qualche dono! L’ultima una giovane mamma col suo bambino che ha voluto condividere con tutti noi la torta del suo compleanno.

Ed è così che ogni tanto smetto la ‘preghiera dei libri’ e me ne sto in silenzio con nel cuore un unico ritornello ‘Sei grande o Signore’. ‘Pace in terra agli uomini di buona volontà’: e mi passano per la testa tante storie tristi di schiavitù, di morti nel deserto e nel mare, di bambini abbandonati, di malati di Aids... Mentre America e Corea del Nord giocano alla Guerra e tutti assieme collaboriamo a rovinare la ‘grande e bella casa’ che Dio ci ha affidato da custodire e tenere pulita. Anche quest’anno avremo le nostre mascotte che metteranno il Bambino nel Presepe: Hussein, 9 anni, è tra gli ultimi arrivati e uno di quelli che ha sofferto di più. Legato mani piedi dal patrigno per una

notte intera e liberato dalla polizia. Unica sua colpa il non voler andarsene dalla specie di capanna dove abita anche sua madre, che ha altri 4 figli ma ognuno da padre diverso. Con lui ci sarà Karen, 9 anni, che ha visto alla luce della lanterna mentre fingeva di dormire, picchiare e poi impiccare suo padre per mano della madre e di due ‘aiutanti’. E’ sempre seria ed è difficile farla sorridere. Se dimentica la sua ‘storia’ per un momento la sua gioiosa risata diventa ‘medicina’ anche per me. Auguri!

LETTERA AMICI 44

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UN CARCERE CHIAMATO TRIPOLIa cura della redazione di Vanity Fair

Prima chi fuggiva fame e guerre in Africa passava di qui per tentare l’odissea in mare verso l’Europa. Ora dalle coste libiche non si parte più e migliaia di migranti vengono bloccati e rinchiusi dentro a garage e prigioni illegali di ogni tipo dai trafficanti di esseri umani. Siamo stati nei nuovi «centri di detenzione», dove per donne e bambini è ancora più terribile. Guidati dalla piccola Kuduyaz.

Kuduyaz ha nove anni, due intensi occhi neri e un sorriso velato di malinconia. Cammina a piedi scalzi e indossa una tuta malconcia. Un pezzo di stoffa rosso le avvolge la nuca.Kuduyaz l’ha messa per non mostrare il capo rasato: due soldati libici le hanno tagliato tutti i capelli perché nel centro di detenzione dove vive ormai da un anno sono comparsi i pidocchi.Kuduyaz è la prima persona che ho notato mentre Bishar, la guardia carceraria addetta alla sicurezza dei tre cancelli che separano l’entrata del centro di detenzione dalle celle della sezione femminile, mi suggeriva di non credere alle parole delle donne. «Inventano», mi ha detto, «perché vogliono mangiare di più, non fanno altro che chiedere di uscire».

Mentre Bishar apre i lucchetti e il suono del ferro che scatta rimbomba nel corridoio alle nostre spalle, le donne tacciono e si fermano, tutte insieme, come se quel suono fosse l’eco di una minaccia imminente.Kuduyaz no, non si ferma. Cammina avanti e indietro nello stanzone scarno, con capo chino e mani nei pantaloni della tuta. Sembra distante, non cerca lo sguardo di nessuno, come se non avesse bisogno di conforto.La sezione femminile del centro di detenzione di Abu Salim, a Tripoli, è un grande camerone di cemento. Dentro ci vivono duecento donne e decine di bambini. Molti di loro arrivati in Libia da soli dopo aver attraversato il deserto e da soli sono finiti in prigione. A terra ci sono decine di materassi, sporchi, stesi l’uno accanto all’altro, alcuni recipienti d’acqua, qualche asciugamano.Il centro di Abu Salim è uno dei circa trenta centri di detenzione ufficiali gestiti dal ministero dell’Interno libico che dipende dal governo di Fayez al Sarraj, appoggiato dalla comunità internazionale. Ma in Libia ci sono decine di altri centri di detenzione, illegali, gestiti dalle mafie locali, dalle milizie armate che controllano le città, le campagne e soprattutto controllano le coste e sono in affari sia con guardie corrotte, sia con il personale delle prigioni.Per questo, spesso, i migranti recuperati dalla guardia costiera libica spariscono per mesi in garage e capannoni adibiti a carceri, finché le famiglie spediscono altri soldi, pagando un riscatto per dar loro la possibilità di provare di nuovo ad attraversare il mare.Tutte le donne che incontro ad Abu Salim sono state arrestate dai soldati libici mentre tentavano di imbarcarsi sui gommoni per attraversare il Mediterraneo o mentre erano già in mezzo al mare, su mezzi spesso in difficoltà, con motori in avaria già a poche miglia dalla costa. Molte di loro hanno vissuto anche l’esperienza delle prigioni illegali. Lo sguardo smarrito di Kuduyaz viene da lì.Lei, sua madre e suo fratello sono stati catturati un anno fa a Sabratha, a settanta chilometri a ovest di Tripoli, dalla guardia costiera della zona. Da allora, da quando il sogno di arrivare in Europa si è infranto, i centri di detenzione sono la nuova casa. Kuduyaz non sa quando uscirà, non sa nemmeno perché ci è finita in una prigione. Come tutte le donne che incontro dice solo: «Non ho fatto niente, quando potrò uscire di qui?».«Prima di andare via dalla Nigeria ho detto a mia madre che avrei voluto diventare un medico e mia madre mi ha promesso che una volta lì, in Europa, avrei potuto studiare come tutti i bambini del mondo», dice, dopo aver raccolto il fratello minore da terra e averlo stretto a sé. «Nostro padre è morto per una bomba di Boko Haram. Mamma ci ha portato via pochi giorni dopo».Così, con il sogno di diventare medico e il dolore per il padre ucciso, al mercato, una mattina qualunque di

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un anno e mezzo fa, Kuduyaz attraversa il deserto, patisce la fame e la sete, vede morire un uomo nel camion che portava lei e altre quaranta persone dalla Nigeria alle coste della Libia. Vede il suo corpo gettato dal finestrino del camion, senza nemmeno la dignità di una sepoltura.Una volta arrivate sulle coste della Libia, Kuduyaz e sua madre, invece di essere consegnate ai trafficanti per imbarcarsi verso l’Italia, sono state vendute ad altri trafficanti: miliziani armati, le mafie libiche, che le hanno tenute per cinque mesi in un garage di Sabratha, dove la bambina ha vissuto e visto sofferenze inimmaginabili. «La sera arrivavano gli uomini, i libici, e portavano via le donne a gruppi di quattro, cinque, poi quando il giorno dopo le riportavano, piangevano per giorni, gridavano e le altre cercavano di consolarle», dice Kuduyaz, inconsapevole che la cronaca di quelle lacrime sia la cronaca delle violenze e degli abusi quotidiani che le donne subiscono nelle carceri libiche. «C’era una ragazza incinta e quando ha partorito non c’era nemmeno l’acqua, io ero accanto a lei con mia madre e i libici ci hanno portato solo un po’ di acqua salata, l’acqua del mare. L’abbiamo aiutata a partorire e abbiamo lavato sia lei che il bambino con l’acqua salata. Non c’erano medicine, non c’erano dottori, non c’era nessuno». Chiedevano pane e medicine, e ottenevano percosse e minacce.Il tempo nei centri di detenzione libici non esiste, esiste solo uno stato di sospensione, tra il desiderio di una vita migliore e il mare.Il tempo è un istante sempre uguale, fatto di gabbie, grate, silenzio, buio e solitudine.Il tempo è l’attesa di una risposta che non arriva mai alle domande: quando uscirò? Perché sono in prigione? Domande ascoltate mille volte, in tutti i centri visitati, e ogni volta ascoltare le stesse preghiere: sto scappando dalla guerra, dalla fame, volevo solo una vita migliore.Domande ascoltate mille volte perché la durata della detenzione dei migranti in Libia è del tutto arbitraria, queste donne non sanno quanto a lungo sono costrette a vivere in una prigione. Non sanno quando usciranno di lì, né per andare dove.La strada che ci porta a Surman è stata chiusa per due anni per gli scontri armati tra tribù rivali, così per raggiungere il centro di detenzione femminile della zona ci muoviamo su un gommone.Abdo, il traduttore che mi accompagna, negli ultimi mesi ha tentato di organizzare degli aiuti per i centri, di fondare una piccola associazione di cittadini libici a Zawhia per aiutare le persone in difficoltà nelle prigioni. «Ma anche gli aiuti in Libia sono gestiti dai trafficanti», mi dice mentre osserva la costa dal nostro gommone. «Non ci fanno entrare nei centri, ci impediscono di pagare i medici per far curare le donne e i bambini, così li tengono sotto scacco.Più stanno peggio, più è semplice ricattare le loro famiglie nei Paesi di origine. Fanno le fotografie alle donne e ai bambini e le spediscono ai familiari per avere soldi. Chi non riceve denaro viene picchiato, gli uomini anche uccisi».Le donne, come sempre, sono le più vulnerabili.Nei centri di detenzione i medici non arrivano quasi mai, i dottori libici infatti vogliono essere pagati e il ministero dell’Interno non eroga fondi sufficienti per la gestione delle prigioni.Per le organizzazioni internazionali molte aree sono troppo pericolose da raggiungere e le organizzazioni locali troppo spesso sono coinvolte anche loro nei traffici illeciti. Le donne e i bambini non ricevono aiuti per mesi.Nel centro di detenzione femminile di Surman ci sono trecento donne e trenta bambini. Dieci di loro nati lì dentro. In un capannone nelle campagne della parte occidentale della Libia, in mezzo a donne chiuse a chiave per ventiquattro ore al giorno.Non sono mai usciti di lì, non hanno mai visto un luogo al di là di quelle grate.Il guardiano della prigione è Khaled, 26 anni, non indossa la mascherina quando entra nello stanzone perché, dice, vuole mantenere un po’ di umanità. «Perché queste donne non sono delle bestie».I bambini più grandi lo chiamano Baba (papà), cercando una parvenza di intimità in un luogo di reclusione.Le donne lo implorano di portare del latte in polvere, perché non sanno come sfamare i loro figli.Tecle è scappata dall’Eritrea incinta con suo marito, il trafficante che ha organizzato il loro gommone ha detto che avrebbero dovuto guardare le stelle per orientarsi. «Seguite le stelle e arriverete in Europa», diceva.Così Tecle ha stretto forte la mano di suo marito e ha guardato le stelle, pensava che l’Italia si stesse avvicinando, a mano a mano che seguiva il movimento delle stelle.«Il gommone era in mezzo al mare e tutti piangevano quando il vento ha cominciato ad agitare l’imbarcazione. Le donne hanno gridato e pianto tutte insieme, e il gommone si è ribaltato.

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Siamo rimasti in acqua una notte intera», dice, con in braccio suo figlio, di tre mesi appena.La mattina dopo lei e suo marito sono stati separati, e oggi, a distanza di sei mesi, Tecle non sa nulla di lui e non sa come ritrovarlo. E lui non sa di essere diventato padre.«Non immaginavo che sarebbe andata così, nessuno ci aveva avvertiti che sarebbe stata così dura, né i nostri conoscenti, né i gruppi di trafficanti a cui abbiamo dato seimila dollari per arrivare in Libia. E ora sono qui, passo le mie giornate a elemosinare dalle guardie un po’ di latte per mio figlio perché non so come sfamarlo, non so come lavarlo, non so cosa mettergli addosso».I bambini nel centro di detenzione di Surman non hanno mai visto un dottore, non hanno un giocattolo, non hanno pannolini, non hanno abiti a sufficienza. Non hanno un libro. Non leggono, non scrivono.Le donne si stringono, mostrando le scritte sui muri, memorie di chissà quante altre detenute prima di loro, dicono: «Libyan racist», «libico razzista». Dicono: «I want my freedom», «Voglio la mia libertà».«Non importa se mi hanno fermato, proverò di nuovo», mi dice Tecle, senza staccare lo sguardo dal suo bambino che accenna un sorriso. «La Libia è pericolosa, resisterò. Perché anche l’Eritrea è pericolosa, e non voglio destinare i miei figli alla leva obbligatoria, non voglio che mio figlio impari a sparare. Non voglio che mio figlio sia costretto a combattere e uccidere. Tu lo vorresti?».

CAMPI 2018: INIZIA LA FORMAZIONE!

Anche quest’anno Nuova Famiglia senza esitazioni parte con la preparazione del campo Etiopia per l’anno 2018. Con l’obiettivo di inquadrare e definire lo scopo e il significato di questa esperienza di conoscenza, si vuole accompagnare il gruppo che verrà a formarsi durante questo percorso di (in)formazione, sotto la tutela di un’équipe d’eccezione.

Io e mia sorella Benedetta abbiamo avuto l’opportunità di partire per l’Africa la scorsa estate e, fresche del viaggio, siamo state arruolate nella squadra di accompagnatori per contribuire con la nostra testimonianza. Ci piacerebbe trasmettere a chi ci ascolterà non solo la bellezza dell’Etiopia ma anche dell’essere Nuova Famiglia.

Le date degli incontri sono pubblicate nella quarta di copertina di questo numero di Parliamo Africa: segnatele sul calendario e venite carichi e numerosi!

Cecilia Conte

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PRANZO SOLIDALE GUINEAa cura della redazione

Domenica 3 Dicembre 2017 abbiamo organizzato un pranzo solidale presso la parrocchia di Sarmeola Di Rubano (PD) per sostenere, ancora una volta, i bambini della Guinea Bissau. E ancora una volta la vostra numerosa partecipazione ci ha permesso di passare una giornata di festa in vista del Natale e di raccogliere la somma di circa € 2.000,00 per acquistare il latte per un centro nutrizionale. La nostra Teresa è già partita alla volta della Guinea Bissau e ci ha inviato le foto del momento di acquisto e consegna del latte: un’altra grande e bella soddisfazione che abbiamo voluto condividere con voi. Grazie a tutti e alla prossima!

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La nuova maternità della Health Clinic di Shebrabher è stata inaugurata nel mese di febbraio di quest’anno e in questi nove mesi sono già nati 186 bambini, ma l’8 novembre è nato un bambino davvero speciale!

Si potrebbe dire che la nascita di un bambino è ovunque un evento speciale, ma in Africa lo è ancor di più per l’elevata mortalità di mamma e bambino durante il parto. In Etiopia ancor oggi il 50% delle donne rischia di morire se partorisce nella propria capanna, senza assistenza, ed è egualmente elevata anche la mortalità dei neonati che in tali condizioni non possono essere assistiti adeguatamente.

A Shebrabher, oltre alla nuova maternità, c’è una “casa per le mamme” che accoglie le donne nell’imminenza del parto, dove le partorienti possono soggiornare in attesa dell’inizio delle doglie (senza essere costrette a raggiungere a piedi la clinica a travaglio già iniziato, rischiando di partorire per strada), dove possono prepararsi il cibo e fare una doccia.

La piccola maternità è composta da una sala parto ampia e luminosa, da una stanza adibita ad accettazione, da una stanza per l’ecografia preparto e da una stanza per il postparto dove la mamma può restare con il suo bambino per allattarlo e per riposare, consentendo un monitoraggio di entrambi per almeno 6 ore dopo il parto.

Ma torniamo al bambino “speciale”, nato l’8 novembre. Alle 9 del mattino, l’infermiere di turno viene a cercarmi nella Casa delle Suore della missione, dove alloggio: “alle 5 del mattino è nato un bimbo in modo del tutto fisiologico, che ora attende la visita, prima di rientrare al villaggio con la sua mamma”.

Con gioia corro nella maternità, a visitare un bel neonato di 3 chili e mezzo, che si sta godendo la sua prima poppata al seno della mamma, giovane, ma già al suo 5° figlio. La sua suzione è vigorosa e lui è proprio un bel bambino, tonico e “vigile”, come solo i neonati Africani sanno essere.

Quella mattina era prevista una visita alla Scuola materna di Mazoria, un villaggio vicino, per cui dico che la mamma e il bambino rimangano in osservazione sino alle prime ore del pomeriggio, quando sarei ripassata a vederli prima delle dimissioni.

Arrivo per le 14.30 e tutto sembra andare per il meglio: i parenti hanno già preparato una barella di canne intrecciate per riportare la mamma e il neonato al villaggio, ma l’infermiere mi avvisa che il neonato non ha più voglia di succhiare. In effetti non è più il bambino reattivo e vigile che avevo visto solo 5 ore prima: è sonnolento, difficilmente risvegliabile, non reagisce sentendo il capezzolo in bocca anche se la mamma, accorta, gli fa scorrere qualche goccia di latte in bocca.

Lo prendo tra le mie braccia e decido di fargli un bagnetto per provare a stimolarlo. Il contatto con l’acqua calda è gradevole e il bambino si riattiva, cerca la mia mano per succhiare, ma subito dopo ricade nella sua sonnolenza…. Ipotizzo che possa avere una ipoglicemia, forse la mamma non ha avuto subito la montata lattea. Nel dubbio è necessario somministrare dello zucchero per bocca, meglio se sotto forma di glucosata al 10%.... ma questo intervento che è di una banalità estrema da noi, in Italia, laggiù non è fattibile: alla mia richiesta di “una glucosata al 10%” gli infermieri mi guardano attoniti…non ce n’è, hanno solo delle fiale di glucosio al 40 %, troppo concentrato per somministrarlo ad un neonato! Che fare? Chiedo dello zucchero da diluire in acqua, ma anche questa alternativa non è percorribile: l’acqua non è potabile; attendere la bollitura e il successivo raffreddamento farebbe

UN NEONATO SPECIALE A SHEBRABHERdi Alessandra Ometto

perdere tempo prezioso. Alla fine troviamo delle fiale di acqua sterile per iniezioni che utilizzo per diluire la fiala di glucosio al 40% , portandolo al 10. Preparo una siringa senza ago da 10 cc e inizio a somministrare la soluzione di glucosio al 10% al neonato. Lui succhia, prima piano piano, poi sempre più avido; nel frattempo l’infermiere ha una idea: perché non utilizzare il Glucometro che abbiamo da poco portato in Clinica? Geniale! Proveremo a dosare la glicemia nel neonato con questo apparecchio che in realtà viene utilizzato nei pazienti adulti, diabetici e non, ma in questa situazione d’emergenza possiamo tentare.

L’infermiere prepara la lancetta e lo stik ma…non sa dove prelevare il campione di sangue, pensa al dito, come nell’adulto…. intervengo immediatamente indicando il tallone come la zona adatta in un neonato; riscaldo bene il piedino del bambino massaggiandolo, pungo con la lancetta la cute e la goccia di sangue arriva .... lo stik dà il suo risultato: glicemia = 53%. Decisamente bassa per un neonato a cui ho già somministrato almeno 5 cc di soluzione glucosata al 10 %.! Mentre la glicemia testata nella madre risulta normale. Questa è la controprova che il neonato ha una ipoglicemia; ora possiamo continuare a somministrare la soluzione preparata, lentamente, sino a quando vediamo il neonato più sveglio, finalmente interessato al seno della mamma, al suo latte caldo che gli cola in bocca.

Il bambino e la mamma resteranno ancora qualche ora in osservazione sino a quando uno stik, ripetuto dopo un paio d’ore, dimostra che la glicemia del bambino ha superato gli 80mg%. Solo allora mamma e bambino lasceranno la clinica per tornare al loro villaggio.

Perché questo lungo e dettagliato racconto? Perché questa è Africa, dove con nulla, o quasi, si può salvare un neonato: perché quella mamma non è andata a casa dopo un paio d’ore, come avveniva abitualmente sino a soli 10 mesi fa in mancanza di “un posto” dove poter stare dopo il parto, perché c’è stato qualcuno che ha donato un Glucometro alla Clinica di Shebrabher, perché gli infermieri di quella clinica, attenti e appassionati, hanno immediatamente capito come poter utilizzare al meglio uno strumento arrivato nelle loro mani da poche settimane, al di fuori di quello che loro conoscevano sino a quel momento.

Ecco perché questo neonato, di cui non conosco nemmeno il nome, è un neonato “speciale” ! A me, neonatologa, questo neonato ha dato l’opportunità di “insegnare facendo”, forse il modo più efficace per parlare dell’ipoglicemia, complicanza ben conosciuta e temuta nei reparti di neonatologia occidentali, e sono sicura che quegli infermieri di Shebrabher si ricorderanno bene di questo neonato “speciale” e faranno tesoro di quest’esperienza.

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Dal 09 febbraio al 2 marzo 2018 le due Ostetriche, Vicentini Silvia e Molendi Chiara, andranno in Etiopia presso la clinica di Shebrabher a sviluppare un programma di formazione, ideato e formalizzato dalla Dott.ssa Ometto dopo l’esperienza raccontata nell’articolo qui sopra.Il programma è il seguente:IGIENE DELLA SALA PARTO. Come pulirla, con che cosa, come lavarsi, come vestirsi, come spogliarsi, come lavare gli strumenti utilizzati, come lavare un lettino, ecc.VISITE ANTENATALI. Quando inserire semplici test diagnostici come: l’ematocrito, l’albumina nelle urine e la glicemia (ora possibili a Shebrabher), a che epoca gestazionale, quando il controllo ecografico.TRAINING ECOGRAFICO (se ritenuto opportuno) dell’ecografia applicata in travaglio di parto, concetti essenziali, minimi.TRAINING DELL’APPLICAZIONE DELLA VENTOSA KIWI (portare materiale iconografico, le ventose già ci sono).UTILIZZO DELLA OSSITOCINA solo dopo che è uscito il bambino, come conservarla, in che dosaggio, per che via.IMPIEGO DEL CYTOTECSe ci saranno dei parti, tutto questo potrà essere fatto dimostrativamente lavorando con donne e neonati, altrimenti lo faremo attraverso lezioni frontali, brevi, ricche di immagini, in inglese se possibile.

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RIFLESSIONI DI UN MISSIONARIOa cura della redazione

Ciao! Come va la vita? Spero di cuore che tu stia bene.

Sono ancora qui con il mio lavoro missionario, insieme al mio popolo della Guinea, più specificatamente con la gente di São Domingo. Il lavoro che faccio non smette di darmi gioie e soddisfazioni. Le frustrazioni non sono poche, soprattutto perché sto lavorando in una cultura e in un paese dove il ritmo è molto più lento di quello a cui sono abituato e le risposte delle persone alle varie attività non sempre corrispondono alle aspettative. In ogni caso, tutto procede bene, nella normalità.

In questi giorni riflettevo su questa “normalità” della missione. Mi ricordo che quando sono arrivato tutto era nuovo per me e classificavo quasi tutto come un’avventura.

I sentimenti erano forti: grandi emozioni per ogni superamento, per il contatto con la gente, per le attività svolte ... e tante commozioni per le varie situazioni di povertà, di esclusione, di stagnazione ... che permeano l’intera Guinea-Bissau. Credo di essere riuscito a trasmettere a tutti alcuni di questi sentimenti attraverso le varie lettere che ho già scritto.

Dopo quasi tre anni, mi chiedo spesso dove è finito tutto questo, tutta quelle emozioni e tutti quei sentimenti. Qui ci sono tantissime situazioni di degrado che sembra che tutto quello che io faccia sia molto inferiore alla famosa goccia nell’oceano. Per questo mi rendo conto che ci sia il rischio che io venga sopraffatto dall’indifferenza, la quale è tutto il contrario di ciò che il Signore vuole da me qui.

Ci sono tantissime persone che muoiono a causa della scarsa assistenza sanitaria o, come è il caso della maggioranza, per la sua mancanza. Si muore senza che si conosca la causa della morte. Molti giovani muoiono da un momento all’altro e quanto al motivo dicono soltanto: “i ka sintiba kurpu” (non si sentiva bene) e basta. Nel caso dell’istruzione, ad eccezione di alcune scuole private con acceso selettivo e di una piccola parte della popolazione, tante scuole, in particolare le statali, non hanno la minima qualità strutturale ed educativa (insegnanti ubriachi, senza la minima formazione necessaria, scuole di paglia o cadenti a pezzi ...), producendo così un’enorme povertà culturale nella popolazione. Molti inoltre non hanno accesso ad un’alimentazione adeguata, una parte della popolazione mangia fino a tre volte al giorno, ma mangiare solo riso ad ogni pasto è vero che uccide la fame ma uccide anche la salute.

Vari aspetti della cultura Guineana, come ho già detto altre volte, sono oppressori e vincolano le persone e la società. Questo è il caso di alcune tradizioni e rituali come il “Toka Tchur” per esempio: una grande cerimonia piena di riti, balli, cibo e bevande e quando parlo di cibo, a seconda della possibilità della famiglia che svolge questa cerimonia, parlo di decine di mucche, maiali e capre che vengono uccisi per i tre giorni di cerimonia e festa allo stesso tempo.

Questo tipo di cerimonia si svolge durante il giorno del funerale di alcuni membri specifici di una famiglia o pochi anni dopo la loro morte, in modo che le anime cessino di vagare in questo piano terreno e passino verso il lato degli antenati. Se la cerimonia non viene eseguita, credono che tante disgrazie potranno sopraggiungere alla famiglia del defunto che sarà anche accusata di fronte alla società di essere cattiva e non onorare la memoria del morto. Si capisce che con questo tipo di tradizione una famiglia spende i risparmi di tutta una vita e se possiede un gregge, sarà solo al fine di essere utilizzati per il Toka Tchur e non per il benessere di sè stessi e neanche per l’istruzione e la salute dei bambini o di un altro suo membro. Questo è solo un esempio, tra molti altri, degli aspetti e delle tradizioni che sono radicate nella vita delle persone e non è facile far capire loro quanto perdono con tutto ciò.

Per tutto questo e anche per alcuni altri motivi, che non sto a nominare, che a volte mi sento debole, limitato, o come qualcuno che nuota contro corrente. La Guinea mi lancia sfide in ogni senso. Ma quando mi rendo conto che mi sto perdendo d’animo una cosa mi aiuta, ricordare le parole di padre Dionisio Ferraro, che ho incontrato quando ero qui in visita nel 2013, che diceva: “Se noi missionari che abbiamo sentito dal Signore una chiamata e da Lui abbiamo ricevuto una vocazione e che da Lui siamo sostenuti, se ci scoraggiassimo, chi altri potrebbe stare vicino a queste persone? “

Forse ora che sono meglio inserito nella realtà della Guinea e con i piedi ben piantati in questa terra, non è più il momento delle forti emozioni e dei tanti sentimenti, ma il tempo di affrontare la realtà così come si presenta e contribuire con il massimo che io possa fare. Anche se per farlo dovrò a

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5X1000, QUALE DESTINAZIONE?di Nicola Zanella

volte lottare per non cedere spazio ad un’apatia che potrebbe minacciare ogni mio lavoro.

Tuttavia, è sempre dal sostegno del Signore che emana ogni giorno l’impulso di fare sempre un passo in più. Prezioso il sostengono che si svolge attraverso diversi fratelli, per esempio: i tanti amici dal Brasile, come i miei cari amici della parrocchia di Porecatu, mia parrocchia di origine, che nonostante la forte crisi brasiliana, si sono resi disponibili per organizzare e contribuire con una tombola per appoggiare la nostra missione; così come gli amici del Pime della città di Ibiporã che in due anni consecutivi hanno contribuito con una parte del ricavato della festa missionaria; i miei carissimi fratelli italiani e i miei amici della parrocchia di Canzo, che fanno raccolte di cose di ogni genere, oltre all’aiuto economico, per sostenere la missione; e specialmente le preghiere di tutti per me.

Ecco perché non mi sento solo e non sono soltanto io il missionario. Insieme a te e a tutti coloro che con me hanno abbracciato la missione siamo come quel colibrì che va e torna del fiume con una goccia d’acqua nel becco, cercando di spegnere il grande incendio della foresta. Anche se agli occhi degli altri e forse anche dentro di sé quel gesto può sembrare una cosa inutile, lui continua e insiste nel fare la propria parte.

Spero che questa volta io non sia sembrato pessimista. È vero che ho elencato molti aspetti negativi, ma la Guinea oltre a tutti questi disagi è bella, ha un sacco di positività e della gente di grande valore. Le sfide che lei mi propone, mi fanno riflettere e crescere come uomo e come sacerdote missionario.

Sto preparando le mie vacanze. Partirò dalla Guinea alla fine di giugno, farò prima un salto in Portogallo e poi subito per il Brasile. A settembre farò dieci giorni di formazione per giovani sacerdoti del PIME in Cambogia e farò anche un salto in Thailandia. Poi verrò in Italia dove rimarrò 20 giorni e all’inizio di ottobre rientrerò in Guinea. Sono contento di poter riposare, vedere la mia famiglia, i parenti e gli amici. Conto le ore.

Ora è arrivata la fine del tempo di Quaresima dove abbiamo avuto l’opportunità di ricordare e contemplare il più grande atto d’amore della storia umana, il Dio che si è fatto uomo e ha subìto le peggiori atrocità per redimere l’uomo che nega il suo Dio. Ora è il momento di assaggiare il frutto di questa redenzione, il Dio che amato e rinnegato libera l’uomo dal suo carico più pesante, la morte, per un giorno ci concede il privilegio di acquisire la vita perenne.

Assumi la Resurrezione nella tua vita, assaggia-la e vivi-la.

Dal tuo padre Celo

Al fine di essere trasparenti e chiari con i nostri soci e benefattori, comunichiamo che l’importo erogato dallo stato a favore dell’Associazione Nuova Famiglia “Addis Beteseb” Onlus nel mese di novembre 2016 e relativo all’anno finanziario 2014 è di € 18.002,63.N. 466 le scelte sulle dichiarazioni dei redditi a favore dell’Associazione.Ecco come gli importi sono stati utilizzati dall’Associazione nel corso dell’anno 2017:Euro 1.000,00 Progetto costruzione clinica di Manda (TANZANIA)Euro 500,00 Sostegno costi scuola elementare (UGANDA)Euro 1.000,00 Sostegno costi scuola materna Ciranda-Cirandinha - Mucunà (BRASILE)Euro 2.500,00 Progetto attrezzature per studenti scuola di falegnameria (GUINEA BISSAU)Euro 500,00 Corso studi universitari studentessa Ngah Flor. (CAMERUN)Euro 900,00 Corso di studi per Direttore scuola Dakuna (ETIOPIA)Euro 1.700,00 Progetto ampliamento scuola Wogepecha (ETIOPIA)Euro 500,00 Sostegno famiglia Ato Kassa - Addis Abeba (ETIOPIA)Euro 2.000,00 Sostegno costi sanitari clinica Suor Luciana - Maganasse (ETIOPIA)Euro 903,70 Sostegno costi sanitari reparto pediatrico ospedale di Attat (ETIOPIA)Euro 3.000,00 Progetto Centro Servizi Emdibir (ETIOPIA) – completamento casa del volontarioEuro 1.000,00 Quota parte costi di stampa giornale ‘Parliamo Africa’Euro 1.897,47 Costi amministrativi (cancelleria, spese postali e telefoniche)Euro 601,46 Abbonamenti software contabilità e sito web

GRAZIE!!!

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INCONDIZIONATAMENTEdi Deborah Favarato

«Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi,

passerà tutta la vita a credersi stupido». Albert Einstein

Eccomi. Quando la redazione mi chiede di scrivere un articolo sono sempre molto restia. Poco tempo, poche idee, senso di inadeguatezza costante. A cui si aggiunge in questo periodo una sensazione di cupo che rende grigi i pensieri e anche le parole. Ma alla fine cedo per senso del dovere, principalmente, per la sindrome della crocerossina, come la chiama la mia psicologa, che mi impedisce costantemente di dire un no senza provare un gran senso di colpa. E allora oggi, per svolgere un compito che mi ha prescritto la mia analista, faccio qualcosa per me e scrivo più per me stessa che per chi mi leggerà. Il pretesto è la solita recensione; non che sia degna, certo, di esprimere un qualsivoglia giudizio sullo scrivere di un altro essere umano, anzi, il massimo rispetto nei confronti di chi si espone. Perché è così: scrivere è esporsi, è dare in pasto a chiunque un pezzo di se stessi, di pensiero, di intelletto ma soprattutto di cuore e chi non sarebbe spaventato a mettere in mano agli altri il proprio cuore, è un pezzo troppo delicato...

Il libro è “Mio fratello rincorre i dinosauri” di Giacomo Mazzariol. L’ho acquistato per caso, quando ancora non era un caso mediatico. In anticipo sull’orario di un colloquio aspettavo guardando attraverso il vetro sporco di una cartoleria piuttosto fatiscente. Ho visto la copertina e devo dire che mi ha attratta il disegno, un bambino in punta di piedi che tenta di afferrare una mela rossa, nulla di che, ma ammetto che mi ha riportata a Newton e mossa dalla mia anima scientifica sono entrata e l’ho comprato. Finché aspetto l’ora esatta dell'appuntamento prendo un caffè ed inizio a leggere. È la storia di un ragazzo di Castelfranco, Giacomo, e di suo fratello, Giovanni, che ha la sindrome di Down. È la storia di un adolescente, delle sue paure, delle sue insicurezze, della passione per la musica, della prima cotta e fin qui nulla di diverso da tutti i nostri adolescenti, ma è anche la storia del bullismo nei confronti del fratello, della paura di mostrare ai suoi amici la diversità, la paura di gettarsi a capo fitto nella relazione con tutti i sentimenti che questa relazione comporta.

Ma soprattutto è la storia di un grande amore. Non un amore innato, spassionato, sempre facile e naturale, neanche l'amore sdolcinato di un romanzo o quello immaturo a cui pensiamo noi adulti rimasti adolescenti, questo è un amore scelto.

È l’amore più nobile. “Scegliere di amare …” scrive Giacomo “scegliere di amare, non scegliere la persona da amare”. "Nella vita ci sono cose che si possono governare, altre che bisogna prendere come vengono. E' talmente più grande di noi la vita." È una scelta nella difficoltà, nella fatica, nella paura.

Questo è amore incondizionato, sine conditio, senza condizioni, totale, gratuito. Giacomo dopo anni bui in cui la vergogna lo distacca dal fratello, sceglie e torna all’amore. Ne nasce una storia semplice fatta di quotidianità che diventa magia e stupore quando riesci a diventare complice di un fratello e non hai paura del giudizio di nessuno. “ insomma è la storia di Giovanni questa. Giovanni che ha tredici anni e un sorriso più largo dei suoi occhiali. Che ruba un cappello ad un barbone e scappa via; che ama i dinosauri e il rosso; che va al cinema con una compagna e annuncia: ”Mi sono sposato”… e questa è anche la mia storia. Io di anni ne ho diciannove, mi chiamo Giacomo.”

In ogni riga che affronto mi chiedo come possa esserci tanta profondità in un ragazzo così giovane. Mi appassiono di Giacomo, lo seguo su Facebook (poco attivo) e nei suoi video YouTube. Scopro che è promotore di un progetto “Generazione Z” promosso da Repubblica (segnaliamo il sito: http://generazionez.blogautore.repubblica.it/). Vuole cercare di avvicinare il mondo degli adulti con quello dei ragazzi, un altro utopico, penso, mi ci ritrovo e inizio a volergli bene.

Intanto mi informo, Generazione Z è il termine tecnico utilizzato per indicare la generazione circoscritta tra i nati dalla seconda metà degli anni novanta fino al 2010, conosciuta anche come iGen, Post-Millennials, Centennials, o Plurals e identifica le persone nate dopo i Millennials e generati dalla Generazione X (che sarebbero i matusa della mia età).

"Caratterizzata dal diffuso utilizzo di Internet sin dalla giovane età, i membri della Generazione Z sono considerati come avvezzi all'uso della tecnologia e i social media, che incidono per una parte significativa nel loro processo di socializzazione." (cito da Wikipedia). Un documento redatto dalla Frank N. Magid Associates rileva che questo gruppo generazionale mostra sentimenti positivi nei riguardi della crescente diversità etnica e che sono più disposti rispetto ai loro predecessori ad includere nelle proprie cerchie sociali persone di diversi gruppi etnici, religioni e razze.

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Poi un giorno, sono scappata a Torino, mi sono fatta il regalo della vita, quello che sogno da quando ero bambina: "La fiera del libro". Ho scelto due giorni a caso (in realtà quelli meno complicati da far gestire alla famiglia abbandonata), tra viaggio e spostamenti vari ho solo un pomeriggio da dedicare alla fiera, ma sono felice. È nel primo pomeriggio, dopo un paio di ore a girare a casaccio fra i vari stand che guardo la locandina degli eventi. C’è Giacomo che parla tra mezz'ora. Credo nel karma, nelle coincidenze e nei messaggi di Dio e quindi mi porto alla sala dove è previsto il suo intervento. Sono in anticipo (come sempre nella mia vita e questo forse è uno dei problemi...), così mi siedo ad ascoltare l’autore precedente, una signora sud-americana di cui non ricordo il nome, ci sono un paio di classi, la sala è semivuota, un paio di domande costruite ad hoc dalle maestre e fatte recitare ai bambini e poi la sala si svuota. Mancano dieci minuti e il brusio inizia a salire, la sala si riempie di ragazzi, nel giro di 5 minuti straripa, sono seduti ovunque, gli ultimi stanno in piedi addossati ai muri ed è in quel momento che la sento: sento vibrare, nel corpo e nella pelle, una carica di energia positiva che corre fra tutti quei ragazzi e mi entra dritta nella mente e nel cuore. È in quel momento che mi vengono in mente tutti i discorsi standardizzati con cui noi, che ci definiamo maturi, etichettiamo questi giovani, siamo la fiera della banalità…il cellulare è il male di questo mondo, internet la morte della socializzazione, giovani vuoti, giovani superficiali, giovani…

Recita Wikipedia sulla nostra Generazione "La Generazione X è generalmente identificata dalla mancanza di ottimismo nel futuro, dallo scetticismo, dalla sfiducia nei valori tradizionali e nelle istituzioni." Già...

Io in questa sala non vedo "giovani", non vedo "ragazzi", quello che vedo sono tanti volti, tante mani, tanti sorrisi, vedo persone che scherzano, ridono, chiacchierano e c'è gioia quella vera, quella che schiatta, è vita. Giacomo inizia a parlare, racconta che dopo un po' di presentazioni del suo libro nelle librerie, di fronte all’ennesima domanda di un critico letterario sul cercare la correlazione esistenziale fra una frase del suo libro e il senso antropologico di un qualsivoglia filosofo, ha un lampo di illuminazione e consapevolezza che gli fa intuire che quello che vuole è andare ad incontrare i ragazzi nelle scuole, parlare con loro, ascoltarli e intervistarli. E quando incontra e ascolta questi ragazzi capisce che adulti e ragazzi non riescono a comunicare, in realtà non per mancanza di volontà, ma soprattutto per mancanza di un linguaggio comune o di un codice che decifri il mondo dei ragazzi agli adulti incapsulati nei loro rigidi schemi semplicistici di interpretazione del mondo giovanile. Adulti e ragazzi parlano un linguaggio talmente diverso tanto da non capirsi più. Quello che vuole fare Giacomo è cercare di far dialogare questi due mondi attraverso video e filmati. Un film è usufruibile tanto da ragazzi quanto dagli adulti.

Io l’ho ascoltato, ho sentito gli applausi e le urla di tutti quei ragazzi, ho ascoltato e capito per la prima volta su che piano si muove la relazione e la comunicazione fra ragazzi che non è peggiore, o negativa, o distruttiva, è semplicemente diversa da quella a cui noi adulti siamo abituati. Difficile da capire per noi che siamo nati nell’era di carta e penna e del telefono fisso quello che dovevi girare la rotella per fare i numeri.

E ascoltando con il cuore e con la pancia, ho pianto: mi sono commossa e ho chiesto scusa a questa generazione per averla nella mia ottusa cecità giudicante non ascoltata e non accolta. Da quel giorno vedo cose che prima non avevo visto, vedo ragazzi che anche se chattano al cellulare alla fermata dell'autobus in realtà parlano fra loro e ridono, vedo ragazzi che con un auricolare condiviso ascoltano la stessa musica, vedo ragazzi che sfogliano giornali e libri su i-pad e cellulari, vedo persone che costruiscono un mondo, un mondo interconnesso in cui non ci sono barriere di colore della pelle o lingua o cultura o religione.

Giacomo con la sua simpatia, la sua ironia, la sua vitalità ha acceso in me quello che dice che suo fratello ha acceso in lui: "Giovanni si stava trascinando dietro un oceano di novità. Era una scintilla, e noi ci saremmo lasciati incendiare." Da quel giorno ho iniziato a parlare davvero con i ragazzi, a stare dentro alla relazione, a mettermi sul loro piano, mi sono accorta che con loro non è necessario parlare di integrazione, di accettazione, loro vivono già in una realtà multietnica, dinamica, variegata. L’informazione è accessibile in ogni momento, siamo noi ad essere rimasti indietro, è la nostra scuola che non si adegua alla loro realtà costantemente in divenire, siamo rimasti aggrappati alla regola della lezione frontale quando questi ragazzi vivono in una dimensione multidimensionale, forse non sono poi tutti iperattivi o disattenti, forse sono semplicemente annoiati e noi troppo ancorati ad un utopico quanto irrealistico ritorno al passato, solo perché il diverso ci spaventa, fatichiamo a capirlo, non riusciamo a praticarlo. Da quel giorno, da quando parlo e ascolto i ragazzi senza il filtro negli occhi del pregiudizio, ho una fiducia immensa sul fatto che questa nuova generazione sarà in grado di costruire un mondo più giusto, più uguale, più ricco di sentimenti, perché dei sentimenti loro non hanno paura. Credo in questi giovani e mi sconforta sentire costantemente adulti che li etichettano, li abbattono, li denigrano. Forse il plumbeo di questo mio periodo è dovuto anche alla difficoltà di riconoscermi fra i miei pari, alla frustrazione di cercare di spiegare al mondo dei grandi che basterebbe un po' di spensieratezza e di fiducia nel mondo arcobaleno di questi ragazzi. La consapevolezza in fondo porta sempre con sé un retrogusto di tristezza.

Di questa bella storia, di Giacomo, di Giovanni, di tutti questi ragazzi mi porto dentro questa frase che è diventato un bel proposito di vita: “La sua vita è come un’istantanea. Giò scatta una foto, ci entra dentro e la vive, la tocca, la sporca, magari la straccia, poi ne fa subito un’altra. Tutto si esaurisce nel presente.” Questo è vivere, esserci, sporcarsi, toccare, stare dentro. Questo è quello a cui ci riportano i giovani. In fondo non è poi così diverso da quello che ci insegnava qualcuno 2000 anni fa a proposito della ricetta della felicità “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.”

LA FAVOLA DEL COLIBRÌUn giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà. Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento. Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: “Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”. Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco. Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume. Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.In quel momento gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato. Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.

FA...VOLARE L'AFRICAa cura della redazione

CINQUEMILA VOLTE GRAZIE!tratto da "La voce di Sarmeola" - Novembre 2017

Grazie a tutti quelli che sono passati (e ripassati!) a “pescare”, e che si sono fermati a scambiare due chiacchiere e un sorriso, grazie alla Parrocchia di Sarmeola che ci ha dato spazio e fiducia, grazie ai volontari del gruppo parrocchiale “Giovani Famiglie” che hanno dato una mano ad arrotolare i bigliettini, numerare i premi ed allestire la scalinata e che si sono offerti per la copertura dei turni, grazie a tutti gli sponsor che hanno contribuito economicamente e offrendoci premi … Grazie al contributo di tutti la pesca si è conclusa positivamente, è stata una bella esperienza per tutti noi anche se eravamo alle prime armi e la risposta non è mancata! Tutti i biglietti sono infatti stati venduti, con un ricavato al netto delle spese di cinquemila euro che sono stati destinati, come inizialmente condiviso, a due realtà legate

alla nostra Comunità. Domenica 24 settembre, a nome della Parrocchia, abbiamo consegnato al Vescovo di Emdibir (Etiopia), in occasione della sua partecipazione alla Festa Annuale dell’Asso-ciazione Nuova Famiglia, un assegno di duemilacinquecento euro destinati alla comunità di S. Marco a Nadene con noi gemellata. I restanti duemilacinquecento saranno invece devoluti al Centro di Ascolto Caritas per le persone bisognose della nostra Comunità. Ancora un grazie a tutti e un arrivederci alla Sagra di Sarmeola 2018!

Il gruppo Pesca

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La Nuova Famiglia è un’associazione nata il 2 maggio 1994. E’ composta da persone diverse per idee politiche e religiose. Ci accomuna il desiderio di fare interventi, piccoli ma concreti, a favore delle popolazioni, e soprattutto dei bambini, dei paesi più poveri del mondo. I filoni principali del nostro lavoro sono:

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• INTERVENTI E PROGETTI (sulla persona e sul territorio)

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• INIZIATIVE CULTURALI

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ADDIS BETESEB O.N.L.

INCONTRI DI (IN)FORMCAMPO DI CONOSCENZA

ETIOPIA 2018

1° INCONTRO: “CONOSCERSIDOMENICA 28 GENNAIO 2018 ORE 15 2° INCONTRO: “NUOVA FAMIGLIA PEZZO PER PEZZO” DOMENICA 25 FEBBRAIO 2018 ORE 10:00 3° INCONTRO: “PARTIRE PERCHÉ…”DOMENICA 18 MARZO 2018 ORE 10:00 4° INCONTRO: “NATURA, PASSI, PANE E SALAME!” DOMENICA 13 MAGGIO 2018 DALLE ORE 10:00 5° INCONTRO: “1 FILM E 2 VALIGIE”DOMENICA 17 GIUGNO 2018 ORE 10:00 6° INCONTRO: “UN VIAGGIO E… DI CORAGGIO” DOMENICA 8 LUGLIO 2018 ORE 10:00

Gli incontri di formazione si terranno presso la sede dell’Associazione in Piazza Carlo Leoni, 11 (secondo piano) 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD).Il 4° incontro si terrà a Enego (VI).

Chi desidera partecipare può contattarci per informazioni ed eventualmente confermare la propria

…vi aspettiamo!

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L’UTILE E L’INUTILE

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INCONTRI DI (IN)FORMAZIONE CAMPO DI CONOSCENZA

ETIOPIA 2018

CONOSCERSI” 2018 ORE 15:00 - 17:30

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E PERCHÉ…” 18 ORE 10:00 - 17:00

, PASSI, PANE E

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E 2 VALIGIE” 018 ORE 10:00 - 17:00

UN VIAGGIO E… POCHI GRAMMI

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Gli incontri di formazione si terranno presso la sede ssociazione in Piazza Carlo Leoni, 11 (secondo piano)

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