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Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia Federica Caponi Pisa 23 febbraio 2016

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Organismi partecipati:

il decreto di riforma

della legge Madia

Federica Caponi

Pisa – 23 febbraio 2016

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Raccolta Prassi

di Federica Caponi

Pisa – 23 febbraio 2016

La pubblicazione del presente Volume avviene per gentile concessione di:

Federica Caponi.

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Organismi partecipati:

il decreto di riforma

della legge Madia

Federica Caponi

Pisa – 23 febbraio 2016

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INDICE

Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati

Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016)

Pag. 6

Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia Pag. 7

La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come

danno erariale

Pag. 8

Il recesso degli enti locali dalle società di capitali

a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini

Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti

Pag. 10

Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il

blocco delle assunzioni

Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015

Pag. 21

Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe

gestionali dirette

Pag. 23

Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali

Legge 7 agosto 2015, n. 124

Pag. 25

Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati

Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015)

Pag. 30

Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il

giudice del lavoro

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014

Pag. 35

In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che

strumentali

Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014

Pag. 36

La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014

Pag. 38

Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e

quindi assoggettata alla Corte dei Conti

Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609

Pag. 40

Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate

Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014

Pag. 42

Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l.

66/2014

Pag. 55

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5

Le società pubbliche possono fallire

Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014

Pag. 57

Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota

Pag. 59

Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla

Corte dei Conti

Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013

Pag. 59

Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento

negli organici della p.a.

Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013

Pag. 61

Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa

ALL. I

L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa

ALL. II

Partecipate: la revoca dei vertici non è un atto amministrativo Sole24Ore 26 gennaio 2015

ALL. III

Competenza del giudice amministrativo in caso di nuove assunzioni Azienditalia 6-14

ALL. IV

Il Comune non può costituire una fondazione per ricerca di finanziamenti Azienditalia 6-14

ALL. V

La Spa può diventare azienda speciale Sole24Ore 3 febbraio 2014

ALL. VI

Società pubbliche revoca del Cda Diritto e Pratica amministrativa 11/12-13

ALL. VII

La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda Sole24Ore 11 novembre 2013

ALL. VIII

Revoca del consiglio di amministrazione delle società pubbliche Azieditalia 12-13

ALL. IX

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Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati

Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016)

di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti

La Legge di stabilità 2016, legge n. 208/2015, pubblicata sulla G.U. n. 302 del 30

dicembre 2015, ha previsto numerose novità in materia di:

Organismi partecipati

Commi 672/674 – Limiti ai compensi delle società a controllo pubblico

Entro il 30 aprile 2016, il Ministro dell’economia e delle finanze dovrà definire, con

proprio decreto, indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare

fino a cinque fasce per la classificazione delle società direttamente o indirettamente

controllate dallo Stato e dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra

cui regioni, province e comuni), ad esclusione delle società emittenti strumenti

finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate.

Per ciascuna fascia sarà determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi

erogabili agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque

eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e

assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario (tenuto conto anche dei

compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni).

Il rispetto di tale limite dovrà essere verificato da parte dei consigli di amministrazione

delle società.

Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono

limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal nuovo decreto.

Fino all’entrata in vigore delle nuove regole, restano validi i tetti attuali previsti dal

D.M. 24 dicembre 2013, n. 166 (Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con

deleghe delle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo

23-bis del decreti-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22

dicembre 2011, n. 241).

Una volta adottato il nuovo decreto, devono ritenersi abrogati i commi 5-bis e 5-ter

dell’articolo 23-bis del d.l. 201/2011.

Commi 675/676 – Obblighi di informazione a carico delle società controllate

Le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato e dalle p.a. di cui

all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra cui regioni, province e comuni), nonché

le società in regime di amministrazione straordinaria, ad esclusione delle società

emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate

devono pubblicare – in caso di conferimento di incarichi di collaborazione o di

consulenza o professionali – il tipo di procedura seguito per la selezione del contraente

e il numero di partecipanti alla procedura.

Dovranno essere pubblicate, entro 30 giorni dal conferimento dell’incarico e fino ai due

anni successivi alla cessazione, le seguenti informazioni:

a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico, l'oggetto della prestazione, la

ragione dell'incarico e la durata;

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b) il curriculum vitae;

c) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di

collaborazione, nonché agli incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali;

d) il tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero di

partecipanti alla procedura.

La pubblicazioni di tali informazioni è condizione di efficacia per il pagamento del

relativo compenso.

In caso di omessa o parziale pubblicazione, il soggetto responsabile della

pubblicazione ed il soggetto che ha effettuato il pagamento sono soggetti ad una

sanzione pari alla somma corrisposta.

__________________________

Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia

E’ stato pubblicato lo schema di decreto discusso dal Consiglio dei Ministri negli

scorsi giorni in materia di società partecipate.

Numerose le novità per gli enti locali che detengono partecipazioni in società di

capitali, tra cui l’obbligo di sottoporre a forme di consultazione pubblica lo schema di

deliberazione consiliare in caso di acquisizione di nuove partecipazioni e di inviare tale

atto alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.

L’articolo 5 dello schema di decreto prevede, infatti, esempio che nel caso in cui l’ente

locale intenda acquisire una nuova partecipazione societaria, debba prima

dell’approvazione non solo sottoporre lo schema dell’atto a forme di consultazione

pubblica, ma inviarlo anche alla Corte dei Conti, sez. controllo, che potrà formulare

rilievi o richieste di chiarimenti.

La delibera consiliare dovrà quindi indicare gli eventuali rilievi presentati dalla Corte e

conseguentemente fornire motivazioni in merito.

All’articolo 20 sono state dettate le regole per la dismissione delle partecipazioni in

essere, prevedendo che gli enti debbano annualmente (entro il 31 dicembre di ciascun

anno) predisporre un piano di riassetto delle loro partecipazioni per la

razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o

cessione.

I piani di razionalizzazione, corredati da un'apposita relazione tecnica, con indicazione

di modalità e tempi di attuazione, devono essere adottati laddove l’ente abbia

partecipazioni societarie che, tra l’altro:

non svolgano servizi di interesse generale, né siano strettamente connessi alle

finalità istituzionali;

siano prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a

quello dei dipendenti;

svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate

o da enti pubblici strumentali;

nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore

a un milione di euro;

siano diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse

generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque

esercizi precedenti.

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Inoltre, lo schema prevede che gli amministratori delle partecipate siano soggetti alla

legislazione del giudice ordinario “salvo il caso di danno erariale”.

Il danno erariale (è specificato) è solo quello subito dagli enti partecipanti.

In pratica, i magistrati contabili potranno chiedere all'amministratore infedele di

risarcire le finanze pubbliche quando i suoi comportamenti causino danno

direttamente ai bilanci degli enti proprietari, mentre le vigenti disposizioni, anche in

base alla giurisprudenza della Cassazione, prevedono che le società pubbliche titolari

di affidamenti diretti siano trattate come p.a. perché gestiscono soldi pubblici e quindi

sono automaticamente soggette agli stessi controlli.

___________________________

La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come danno erariale

I comuni sono tenuti a provvedere, indipendentemente dalla consistenza più o meno

ampia della propria partecipazione azionaria, ad un effettivo monitoraggio

sull’andamento delle società partecipate, al fine di prevenire fenomeni patologici e

ricadute negative sul bilancio dell’ente.

Si ricorda, infatti, che per consolidato orientamento della giurisprudenza contabile,

dalla trasgressione di questi obblighi e dal perdurare di scelte del tutto irrazionali e

antieconomiche, può scaturire una responsabilità per danno erariale dei pubblici

amministratori.

Questo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti, sez. Veneto, nella deliberazione n.

529 depositata il 20 novembre 2015.

Il legislatore nazionale, nel corso degli ultimi anni, ha introdotto vari vincoli ed

obblighi in materia di società partecipate, al fine di limitare le ricadute negative sui

bilanci pubblici derivanti dalle perdite, talvolta reiterate, registrate dalle società

partecipate da enti pubblici.

In tale orizzonte normativo si pongono varie disposizioni, tra le quali l’articolo 3,

commi 27, 28, 29 della legge 244/2007 e l’articolo 1, comma 569, della legge 147/2013

(oltre ad altre, poi abrogate dalla legge 147/2013).

Da ultimo, l’articolo 1, comma 611, della legge 190/2014 (legge di stabilità per il 2015),

ha introdotto nuove disposizioni in materia di società partecipate.

Nello specifico è stato imposto l’avvio di un processo di razionalizzazione delle società

e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, tale da

consentire, entro il 31 dicembre 2015, la riduzione degli oneri, il miglioramento in

termini di economicità ed efficienza, ovvero la cessione di quelle non coerenti con il

perseguimento delle finalità dell’ente interessato.

Il richiamato iter di razionalizzazione deve tener conto, in base alla norma, di

predeterminati criteri, ovvero:

a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al

perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in

liquidazione o cessione;

b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un

numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività

analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici

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strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle

funzioni;

d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;

e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione

degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché

attraverso la riduzione delle relative remunerazioni.

A chiusura del processo di razionalizzazione, i legali rappresentanti degli enti

dovranno predisporre, entro il 31 marzo 2016, una relazione sui risultati conseguiti, che

dovrà poi essere trasmessa alla competente Sezione regionale di controllo della Corte

dei conti, nonché pubblicata nel sito internet dell’amministrazione interessata.

Ciò a ribadire che l’intera durata della partecipazione deve essere accompagnata dal

diligente esercizio di quei compiti di vigilanza (es., sul corretto funzionamento degli

organi, sull'adempimento degli obblighi contrattuali), d’indirizzo (es., attraverso la

determinazione degli obiettivi di fondo e delle scelte strategiche) e di controllo (es.,

sotto l'aspetto dell'analisi economico finanziaria dei documenti di bilancio) che la

natura pubblica del servizio (e delle correlate risorse), e la qualità di socio comportano.

La partecipazione legittima in organismi societari, che svolgono attività “strettamente

necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, richiede, in sostanza, una

valutazione in ordine alla stretta strumentalità del negozio societario rispetto ai fini

istituzionali dell’ente.

Inoltre, in occasione della delibera ricognitiva delle partecipazioni, l’amministrazione

deve valutare non solo i presupposti di legge per il mantenimento delle stesse, bensì

anche verificare se l’andamento complessivo della gestione sia conforme ai criteri di

economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa condotta secondo

schemi di diritto civile.

In definitiva, l’ente è tenuto ad effettuare approfondite valutazioni in merito alla

coerenza dell’attività societaria. Ciò, rispetto:

- alla missione istituzionale dell’ente;

- all’effettiva produzione di servizi di interesse generale, nonché in merito a

relativi costi/benefici;

- all’appropriatezza del modulo gestionale;

- alla comparazione con i vantaggio/svantaggi e con i risparmi/costi/risultati

offerti da possibili moduli alternativi;

- alla capacità della gestione di perseguire in modo efficace, economico e

efficiente, in un’ottica di lungo periodo, i risultati assegnati, anche in termini di

promozione economica e sociale.

Soprattutto in presenza di gestioni connotate da risultati negativi, l’ente è tenuto a

mantenere un costante, attento e prudente monitoraggio sull’andamento economico

della società, anche al fine di valutare la permanenza di quelle condizioni di natura

tecnica e/o economica nonché di sostenibilità politico-sociale che giustificano a monte

la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici.

La decisione partecipativa, dalla prima assunzione alle successive scelte strategiche,

presuppone in capo all’ente locale una prodromica valutazione in termini di efficacia

ed economicità, quali corollari del buon andamento dell’azione amministrativa ex

articolo 97 della Costituzione.

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Non si può inoltre prescindere da un costante e attento monitoraggio in ordine

all'effettiva permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta

partecipativa iniziale, nonché da tempestivi interventi correttivi in relazione ad

eventuali mutamenti che interessino, nel corso della vita della società, gli elementi

valutati in origine.

Emergono, quindi, per le amministrazioni pubbliche controllanti importanti obblighi e

adempimenti per mettere a punto idonei strumenti di corporate governance.

A tal fine, come evidenziato dai magistrati contabili, è necessario prestare particolare

attenzione allo sviluppo di strutture organizzative e di professionalità interne capaci di

supportare efficacemente gli organi di governo nel monitoraggio delle società

partecipate.

_______________________________

Il recesso degli enti locali dalle società di capitali

a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini

Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti

1. L’istituto del recesso societario previsto per le società di capitali dal Codice

Civile dopo la riforma del 2003

Il diritto di recesso del socio è un istituto generale previsto dal Codice Civile che si

sostanza in un atto unilaterale recettizio tramite il quale un socio esercita il proprio

diritto in merito allo scioglimento del rapporto sociale. Tale potere si esercita mediante

una dichiarazione negoziale che tuttavia non ha autonoma efficacia, ma è appunto

recettizia, ovvero deve pervenire all’altra parte al fine di produrre i propri effetti1.

La ratio dell’istituto, profondamente riformato ad opera del D. Lgs. 6/2003, può essere

ravvisata nella tutela della minoranza societaria. Essendo infatti l’azione deliberativa

della società permeata sul principio maggioritario, si delinea un’inevitabile prevalenza

dell’interesse del gruppo rispetto all’interesse del singolo azionista. Il favor legislativo,

mediante l’adozione delle deliberazioni a maggioranza, ha difatti privilegiato la

stabilità societaria, nonchè l’efficienza ed il funzionamento dell’organo assembleare,

determinando tuttavia al contempo una penalizzazione per i soci di minoranza.

Pertanto, in tale contesto normativo, il diritto di recesso del socio può essere

interpretato come un istituto posto a tutela della minoranza della compagine sociale

che, in presenza di particolari delibere modificative o di peculiari situazioni in cui

versa la società, può esercitare il proprio diritto relativamente allo scioglimento del

rapporto sociale e alla conseguente liquidazione della propria quota o azioni.

2. Le cause di recesso: cenni

I confini del diritto di recesso sono stati notevolmente ampliati dalla riforma del 2003.

La previgente disciplina prevedeva infatti solamente tre cause di recesso, ovvero il

cambiamento dell’oggetto sociale, la trasformazione e il trasferimento della sede

sociale all’estero. L’articolo 2437 del C.C. per le S.p.a. e l’articolo 2473 C.C. per le S.r.l.

espandono il novero delle circostanze che consentono il recesso, che possono ora essere

1 Tribunale di Milano 5.3.2007 “Il recesso del socio rappresenta l'esercizio di un atto unilaterale recettizio e, come tale, non è revocabile, né assoggettabile a condizione (nella fattispecie: la condizione che la quota del socio sia liquidata ad un determinato prezzo), sia perché l'oggetto economico dell'atto di recesso non è soggetto a trattativa, sia perché la valutazione della quota va effettuata secondo un criterio predeterminato, rapportato al valore del patrimonio e alle prospettive reddituali dell'impresa gestita dalla società”.

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suddivise in cause legali inderogabili, cause legali derogabili per espressa previsione

statutaria e cause convenzionali espressamente stabilite dallo statuto.

Cause di recesso Tipologia

societaria Derogabilità

Soggetti che

possono recedere

1. Ipotesi di recesso a seguito di decisioni prese dai soci tramite delibera assembleare

Modifica della clausola

dell’oggetto sociale quando

consente un cambiamento

significativo dell’attività della

società

S.p.a.; S.a.p.a.;

S.r.l.

Inderogabile

Soci dissenzienti,

assenti o astenuti

dalla delibera che

fa sorgere il diritto

di recesso

Trasformazione della società

Trasferimento della sede sociale

all’estero

Revoca dello stato di

liquidazione

Eliminazione di una o più cause

di recesso previste dallo statuto,

in aggiunta a quelle disposte per

legge

Introduzione o soppressione di

clausole compromissorie

Modifica dei criteri di

determinazione del valore

dell’azione in caso di recesso

S.p.a.; S.a.p.a.;

Inderogabile

Modificazioni dello statuto

concernenti i diritti di voto o di

partecipazione

Proroga del termine di durata

della società Derogabile dallo

statuto Introduzione o rimozione di

vincoli alla circolazione dei titoli

azionari

Delibera di fusione o scissione

della società

Solo S.r.l.

Inderogabile

Compimento di operazioni che

comportano una sostanziale

modifica dei diritti particolari

attribuiti ai soci riguardanti

l’amministrazione o la

distribuzione degli utili

Compimento di operazioni che

comportano una sostanziale

modifica dei diritti particolari

attribuiti ai soci riguardanti

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l’amministrazione o la

distribuzione degli utili

Delibere particolari per le

società soggette ad attività di

direzione e coordinamento

Società soggette

ad attività di

direzione e

coordinamento

Inderogabile

2. Ipotesi di recesso previste dall’atto costitutivo

Cause di recesso previste dallo

statuto

Solo società che

non fanno

ricorso al

mercato del

capitale di

rischio

/

Socio che si trova

nelle situazioni

descritte dallo

statuto

3. Situazioni relative alla società

Società con durata

indeterminata o non specificata Solo società non

quotate Inderogabile

Ogni socio con un

preavviso di 180

giorni

Conferimento di beni in natura

o crediti e in sede di revisione

della relazione di stima risulta

che il loro valore è inferiore di

oltre 1/5 a quello per cui

avviene il conferimento

S.p.a.; S.a.p.a.;

Inderogabile Socio conferente

3. La procedura di recesso per le società per azioni e per quelle a responsabilità

limitata

Nelle società per azioni, la volontà del socio di sciogliere il rapporto sociale deve essere

comunicata, mediante lettera raccomandata alla società, entro 15 giorni dall’iscrizione

della delibera nel registro delle imprese, qualora il recesso sia legittimato da una

delibera assembleare ed entro 30 giorni dalla sua conoscenza da parte del socio in tutti

gli altri casi 2 . Se, infine, il recesso avviene a seguito di costituzione a tempo

indeterminato della società, tale diritto può essere esercitato con un preavviso di 180

giorni purché la società non sia quotata in un mercato regolamentato. Per la corretta

osservazione di tali termini temporali, l’art 2437 bis riformulato, sancisce

espressamente che si deve fare riferimento alla data di spedizione della raccomandata

e non a quella del ricevimento della stessa da parte della società.

Il perfezionamento del diritto di recesso si ha, invece, con la ricezione da parte della

società della suddetta comunicazione, essendo infatti la dichiarazione di recesso un

atto unilaterale recettizio, è solamente a seguito dell’avvenuta conoscenza della volontà

del socio recedente ad opera della controparte che si producono gli effetti giuridici.

Pertanto, da tale momento, le azioni recedute divengono incedibili e devono essere

depositate presso la sede sociale, tuttavia, il socio, anche se receduto, non perde

2 Si segnala tuttavia che in deroga a quanto stabilito nell’art. 2437 bis, il termine per l’esercizio del diritto di recesso in caso di deliberazione che introduca una clausola compromissoria statutaria è di 90 giorni.

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immediatamente la sua qualifica e rimane tale fino a che la società non porta a

compimento l’operazione di liquidazione delle azioni. La società diviene dunque

obbligata al rimborso delle azioni al quale può sottrarsi solo ed unicamente se revoca la

delibera che legittima il recesso entro novanta giorni dal suo perfezionamento.

Affinché gli effetti del recesso si producano anche nei confronti dei terzi, sarà

necessario che il recesso sia reso pubblico mediante iscrizione della delibera presso il

registro delle imprese. Solamente da tale momento infatti, il socio receduto non

risponderà più delle obbligazioni sociali verso i terzi.

La procedura di recesso per le società a responsabilità limitata è invece caratterizzata

da un silenzio normativo in merito alle modalità ed ai termini da osservare. Autorevole

dottrina 3 ha dunque ritenuto che ci si debba rifare alle disposizioni statutarie,

formulate secondo la disciplina delle S.p.a. alla quale si ricorre in via analogica. L’unica

norma di carattere procedurale prevista dall’art. 2473 del C.C. riguarda il termine entro

il quale deve essere effettuato il rimborso delle partecipazioni per le quali è stato

esercitato il diritto di recesso che viene stabilito in centottanta giorni, decorrenti dalla

comunicazione di recesso del socio.

Le azioni o quote del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione

agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione al capitale sociale. Se nessuno dei

soci è interessato all’acquisto, per le S.p.a., le azioni non acquistate potranno essere

collocate sul mercato, mentre per le S.r.l. le quote potranno essere offerte ad un terzo

concordemente individuato dai soci medesimi. Se neppure la procedura di

collocamento presso terzi ha esito favorevole, sarà la stessa società a doversi fare carico

delle azioni o quote recedute secondo una procedura che differisce in base alla

tipologia societaria considerata. Per le S.p.a., le azioni saranno acquistate dalla società

medesima, rispettando il limite delle riserve disponibili e degli utili disponibili, in

assenza dei quali sarà necessario convocare l’assemblea straordinaria per deliberare la

riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società. Per le S.r.l., invece, poiché

per tale fattispecie societaria vige un divieto assoluto in merito all’acquisto di azioni

proprie, il rimborso delle quote recedute verrà effettuato utilizzando riserve

disponibili. L’immediata conseguenza sarà quindi un proporzionale accrescimento

delle quote dei soci superstiti (si delinea, quindi, un risultato assimilabile all’acquisto

proporzionale della quota da parte dei soci medesimi). In mancanza di riserve

disponibili si dovrà inevitabilmente procedere alla riduzione del capitale sociale o allo

scioglimento della società.

4. Criteri per la determinazione del valore delle azioni o quote recedute

La riforma del 2003 ha apportato sostanziali modifiche anche alla determinazione del

valore delle azioni o quote per le quali è stato esercitato il diritto di recesso.

Per le S.p.a. non quotate, tale valore non viene più quantificato sulla base del

patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, ma viene determinato

dagli amministratori, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue

prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni, purchè lo

statuto non abbia disposto diversamente. Questa riformulazione dell’art 2437 ter, come

enunciato nella relazione accompagnatoria del D. Lgs. 3/2006, ha quindi determinato

3 Massima del Comitato Notarile del Triveneto 2004 I.H.2

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la “non vincolabilità dei dati contabili ponendo l’accento sulle prospettive reddituali come

elemento correttivo della situazione patrimoniale”.

Dalla lettura dell’art. 2437 ter emergono, in particolare, tre differenti ed alternativi

criteri di valutazione ai quali gli amministratori dovranno obbligatoriamente attenersi

nel seguente ordine: innanzitutto un criterio statutario, se infatti lo statuto preveda

esplicite modalità di determinazione del valore delle azioni in caso di recesso

bisognerà osservare tali disposizioni statutarie nel determinare il valore delle azioni da

rimborsare; in assenza di espresse previsioni dello statuto, ci si dovrà rifare al criterio

legale enunciato nell’art. 2437 ter il quale tiene conto tanto della consistenza

patrimoniale della società quanto delle sue prospettive reddituali, nonché

dell’eventuale valore di mercato delle azioni4. In caso di disaccordo in merito al valore

così determinato sarà necessario ricorrere al terzo ed ultimo criterio fondato

sull’arbitrium boni viri di un esperto nominato dal Tribunale.

Gli amministratori, una volta quantificato il valore delle azioni da rimborsare, hanno

l’obbligo di chiedere un parere in merito ai criteri di valutazione al collegio sindacale e

al soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Tuttavia, tale parere non è

vincolante in quanto gli amministratori possono non osservarlo dandone adeguata

motivazione nella relazione informativa che devono obbligatoriamente redigere al fine

di esporre le modalità di determinazione del valore delle quote da liquidare. In caso di

mancata informativa ai soci, difatti, è possibile ravvisare un difetto di procedimento

della deliberazione che pertanto diviene annullabile5.

Il valore delle azioni recedute deve essere comunicato, almeno 15 giorni prima

dell’assemblea relativa alla delibera di recesso, ai soci recedenti i quali possono, in caso

di disaccordo, contestare il valore di liquidazione che verrà così determinato da una

relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale.

Nelle società con azioni quotate, invece, fino alla modifica introdotta dall’art. 20

comma 3 del D.L. 91/2014, il valore di liquidazione delle azioni recedute veniva

determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura

nei sei mesi che precedono la convocazione dell’assemblea. A seguito della novità

legislativa, si prevede che il valore di liquidazione possa essere determinato, oltre che

sulla base della previgente disposizione normativa, anche secondo il criterio statutario

o legale sopra descritti, purché, dall’applicazione di questi ultimi, non emerga un

valore inferiore rispetto a quello che si avrebbe calcolando la media aritmetica dei

prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti.

Infine, per le S.r.l. il valore di liquidazione viene determinato, ex art. 2473, in

proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale al momento della

dichiarazione di recesso. La prassi prevede quindi che gli amministratori redigano una

situazione patrimoniale straordinaria dalla quale deve emergere il valore di mercato

del patrimonio riferito al momento della comunicazione del recesso. Quest’ultimo

verrà determinato sulla base dei criteri di valutazione previsti dalla dottrina aziendale

ed, in particolare, utilizzando il modello valutativo che risulterà più idoneo rispetto

alle caratteristiche della società, al settore in cui essa opera ed alla composizione del

4 Il valore di mercato delle azioni potrà essere desunto, qualora vi siano state transazioni recenti, dal prezzo di cessione delle suddette azioni o, in alternativa, dal valore di mercato di imprese con caratteristiche analoghe ed operati nel medesimo settore. 5 Tribunale di Milano 30.4.2008

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suo patrimonio 6 . In caso di disaccordo la relazione viene redatta da un esperto

nominato dal Tribunale.

La valutazione della quota da liquidare si basa dunque sul valore effettivo della società

e non su quello legale risultante dal bilancio di esercizio, facendo sì che il valore di

liquidazione della partecipazione risulti il più aderente possibile al suo valore di

mercato.

Tali conclusioni devono tuttavia essere verificate per la liquidazione delle quote di

partecipazioni di società degli enti locali in quanto la formazione del patrimonio

sociale può essere avvenuta con contributi o finanziamenti pubblici o con conferimenti

di reti, impianti e dotazioni patrimoniali del demanio comunale o comunque asserviti

a pubblico servizio come in appresso precisato.

5. La dismissione delle società a partecipazione locale

Molteplici e frammentari sono stati i recenti interventi legislativi volti a regolare il

fenomeno delle società partecipate dagli enti pubblici, finalizzati al perseguimento di

una progressiva riduzione di tali partecipazioni societarie.

In tal senso opera infatti l’art. 3 della legge 244/2007 che testualmente recita:

“27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui

all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono

costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente

necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne' assumere o mantenere

direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la

costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di

committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di

lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei

contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,

n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui

all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi

livelli di competenza.

28. L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere

autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei

presupposti di cui al comma 27. La delibera di cui al presente comma è trasmessa alla sezione

competente della Corte dei conti.

29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le

amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,

nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le

partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. (…)”

La ratio della norma è chiaramente desumibile dalla sentenza n. 148/2009 della Corte

Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla norma per presunta eccezione di

incostituzionalità richiesta da una Regione: “lo scopo delle norme censurate, le quali, in

considerazione del loro contenuto, sono appunto dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi

svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il

perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse

generale (casi compiutamente identificati dal citato art. 3, comma 27), al fine di eliminare

eventuali distorsioni della concorrenza, quindi sono preordinate a scongiurare una commistione

6 Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti, “La valutazione della partecipazione del socio recedente”

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che il legislatore statale ha reputato pregiudizievole della concorrenza (sentenza n. 326 del

2008).

Sulla base del più recente arresto giurisprudenziale si deduce che: “ l’art. 3 comma 27

della legge 244/2007, che non si limita a regolare le società strumentali, o a ricondurle nello

schema dell’affidamento in house, ma vieta agli enti pubblici di assumere o conservare

partecipazioni azionarie quando le stesse non siano strettamente necessarie per il perseguimento

delle finalità istituzionali. Così impostata, la norma ha un’estensione molto ampia, e può essere

riferita a tutte le società partecipate, comprese quelle che si occupano di servizi di interesse

generale (ossia di servizi pubblici). La specificazione che segue immediatamente, ossia l’inciso

sull’ammissibilità delle partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale,

individua una facoltà, non un obbligo. In altri termini, la norma pone un principio (la

tendenziale coincidenza tra partecipazioni azionarie e funzioni istituzionali), ma quando si

tratta di servizi pubblici lascia alle singole amministrazioni ogni valutazione circa l’estensione

dei rispettivi interessi istituzionali, con il solo limite che non vengano superati i livelli di

competenza stabiliti dalla legge” (TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n.

1305).

Si deve concludere che le amministrazioni locali sono legittimate a detenere

partecipazioni in società di capitali unicamente nel caso in cui queste abbiano ad

oggetto: (i) la produzione di beni servizi strettamente necessari al perseguimento del

fine istituzionale dell’ente stesso; (ii) nel caso in cui la società abbia ad oggetto la

produzione di servizi di interesse generale e nei livelli di competenza degli enti locali

(rectius servizi pubblici locali). Per servizi pubblici di interesse generale deve intendersi

l’attività che, per le sue caratteristiche oggettive, riguarda un interesse diffuso nella

collettività alla continuità di tali prestazioni, alla loro effettività ed alla loro qualità

minima. Nella categoria dei servizi pubblici di interesse generale vi rientrano i servizi

pubblici locali (cfr., da ultimo, Corte dei Conti, sez. Lombardia, parere n. 506 del 27

novembre 2012). Sul punto, inoltre, si osserva che l’art. 1 della direttiva 2006/123/CE e

l’art. 14 del TFUE rimettono agli Stati membri il compito di definire, in conformità del

diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale

ed in che modo essi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole

sugli aiuti concessi dagli Stati, ed a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti.

L’espressione “servizi di interesse generale” non è presente nel trattato, ma è derivata

nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che

invece è utilizzata nel trattato. E’ un’espressione più ampia di “servizi di interesse

economico generale” e riguarda sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le

autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi

di servizio pubblico. (cfr. Libro Verde sui servizi di interesse generale, Commissione

della Comunità Europea COM/2003/270)7.

7 Le nuove discipline dei servizi pubblici - Libro dell'anno del Diritto 2013 (2013) di Giuseppe Caia Nella materia dei servizi pubblici si registra una costante attenzione delle istituzioni comunitarie. Sul piano nazionale si segnala la scelta del legislatore italiano di consolidare la regolazione attribuendo le relative competenze ad apposite Autorità ma anche una persistente incertezza sulla disciplina dei servizi pubblici locali (nonostante gli sforzi del legislatore). (……) 1. La ricognizione Le novità intervenute e da registrare riguardano gli atti europei, le nuove norme nazionali e le posizioni della giurisprudenza sui servizi pubblici. 1.1 I servizi di interesse generale negli atti comunitari La locuzione «servizi pubblici» e l’istituto giuridico che essa identifica sono tipici dell’ordinamento italiano ed oggetto di ripetuti approfondimenti e di un dibattito non ancora pervenuto a risultati stabili1. Nel diritto

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Per quanto attiene invece la definizione di servizi strumentali si deve fare riferimento a

due concetti distinti: da un lato un rapporto bilaterale fra il Comune e la società che si

connatura come un rapporto di appalto e non di concessione e dall’altro lato la

configurazione della società, e non del singolo servizio svolto, come strumentale.

In tale senso: “….. le società strumentali costituiscono una longa manus delle amministrazioni

pubbliche, operando essenzialmente per queste ultime e non già per la collettività, il che spiega

la deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza, poiché il divieto di cui

all'art. 13 in parola discende non tanto dalla partecipazione delle amministrazioni pubbliche al

capitale delle società predette, ma dall'elemento oggettivo della strumentalità, che fa di questo

tipo di persone giuridiche null'altro che una naturale proiezione delle amministrazioni

costituenti o partecipanti (Cons. Stato, V, 10 settembre 2010, n. 6527; id., 5 marzo 2010, n.

1282; id., 22 febbraio 2010, n. 1037; id., 16 gennaio 2009, n. 215; id., 14 aprile 2008, n. 1600).

Ciò posto e ricordato ancora che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione

dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle

imprese partecipanti ad essa, atteso che il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti,

colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano

attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi

pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici (Cons. St., sez. V, 29 dicembre

2011, n. 6974), le stesse deduzioni dell’appellante, secondo cui Te. Am. Teramo Ambiente

S.p.A. svolge effettivamente anche servizi pubblici (come del resto confermata anche dalla

certificazione della Camera di Commercio), esclude in radice che essa possa essere considerata

una mera società strumentale del Comune di Teramo e che possa svolgere attività solo per

comunitario, viene impiegata la più ampia locuzione «servizi di interesse generale»2; in particolare, le istituzioni europee, muovendo dall’art. 14 del TFUE3 hanno formulato i seguenti concetti base, ricavabili soprattutto dalle comunicazioni della Commissione: Servizi di interesse generale (SIG): i SIG sono servizi che le Autorità pubbliche degli Stati membri considerano di interesse generale e pertanto sono oggetto di specifici obblighi di servizio pubblico (OSP). Il termine riguarda sia le attività economiche che i servizi non economici. Questi ultimi non sono soggetti ad una normativa UE specifica né alle norme del Trattato in materia di mercato interno e concorrenza. Servizi di interesse economico generale (SIEG): i SIEG sono attività economiche i cui risultati contribuiscono all’interesse pubblico generale e che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento statale o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento o accesso universale. Servizi sociali di interesse generale (SSIG): comprendono i regimi di sicurezza sociale che coprono i rischi fondamentali dell’esistenza e una gamma di altri servizi essenziali forniti direttamente al cittadino con un ruolo preventivo e di coesione/inclusione sociale. Obbligo di servizio universale (OSU): gli OSU sono un tipo di OSP con i quali si stabiliscono le condizioni per assicurare che taluni servizi vengano messi a disposizioni di tutti i consumatori e utenti di uno Stato membro, a prescindere dalla loro localizzazione geografica, a un determinato livello di qualità e, tenendo conto delle circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile. La definizione di OSU specifici è stabilita a livello europeo come componente essenziale della liberalizzazione del mercato nel settore dei servizi, quali le telecomunicazioni, i servizi postali e i trasporti. Servizio pubblico: a livello europeo si ritiene che questa locuzione presenti ambiguità. Pertanto, si ritiene preferibile utilizzare la terminologia “servizio di interesse generale” e “servizio di interesse economico generale”, che peraltro ricomprendono il servizio pubblico in senso proprio. Da segnalare la Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale 2012/C 8/02 dell’11.1.2012. Taluni SIEG possono essere forniti da imprese pubbliche o private senza ricevere un sostegno finanziario specifico dalle Autorità degli Stati membri; altri servizi possono invece essere prestati solo se le Autorità offrono una compensazione finanziaria al gestore. In assenza di norme specifiche dell’Unione, gli Stati membri hanno in genere la facoltà di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento dei loro SIEG. In relazione a ciò, la Comunicazione delinea le condizioni da rispettare affinché le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscano aiuti di Stato. É poi in corso l’esame della nuova proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione del 20.12.2011 - COM (2011)897 def. Si disciplinano i presupposti e le procedure per le concessioni di servizi e i limiti in cui sono ammesse le gestioni in house providing. Nulla si prevede per il modello del partenariato pubblico privato (società miste), lasciando dunque aperto il problema della identità o meno di regime rispetto alle concessioni.

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quest’ultimo ente, circostanza che sola avrebbe potuto determinare l’illegittimità della sua

partecipazione per violazione della normativa invocata. (CDS sez. V sent n. 257/2015).

Il dato che è emerso con chiarezza è che nonostante gli enti locali abbiano provveduto

nel termine del 31.12.2010 ad effettuare la ricognizione delle società detenibili, con

riferimento alle società ritenute non più detenibili, le procedure di evidenza pubblica

per la vendita hanno dato esiti del tutto infausti.

Né gli altri istituti propri del diritto commerciale per ottenere l’exit del socio privato si

sono rilevati efficaci: si fa riferimento al recesso e all’anticipato scioglimento del

contratto sociale.

La norma è rimasta, nella maggior parte dei casi, inapplicabile.

Per ovviare a questo stato di empasse, il legislatore è intervenuto con una serie di norme

al fine di agevolare o favorire la fuoriuscita dalla società del socio ente locale.

6. Il regime speciale di exit dalle società a partecipazione pubblica locale

La prima norma emanata dal legislatore è stata il comma 569 bis dell’art. 1 della legge

147/2013, introdotto con il D.L. 78/2015 che recita:

“569. Il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre

2007, n. 244, e' prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,

decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad

ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore

della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del

codice civile.“

Con tale norma si è introdotto un nuovo regime di exit dalla società a partecipazione

pubblica che solo marginalmente può essere associato al diritto di recesso.

In primo luogo si sono riaperti i termini per effettuare la ricognizione delle società

partecipate discriminando la detenibilità secondo il disposto dell’art. 3 comma 27 della

legge 244/2007: termine portato al 31.12.2014. Entro tale data l’ente locale poteva

deliberare la detenibilità o meno della partecipazione in società. Emerge un doppio

effetto: da un lato la riapertura del termine ha avuto valenza di “sanatoria” a chi non

avesse adempiuto nei termini originari e dall’altro lato ha determinato la possibilità di

rivedere anche decisioni già assunte. La procedura indicata dalla legge prevede poi che

entro il termine riaperto debba procedersi anche al tentativo di vendita, con forme di

evidenza pubblica, come stabilisce anche lo stesso art. 3 comma 27 della legge

244/2007 (fase, peraltro, ritenuta indefettibile dalla Corte dei Conti sezione per il

controllo Marche 16/04/2014 deliberazione n. 25/2014/PAR). Vale la pena

evidenziare che se la delibera di dismissione della partecipazione fosse già stata

assunta a suo tempo e anche la procedura di vendita infruttuosa fosse anch’essa già

stata esperita allora i presupposti per l’applicazione della portata della norma sono già

perfezionati ora per allora.

Trattandosi di norma di carattere eccezionale, in quanto introduce un regime speciale

di exit dalla società, risulta necessario il rispetto della procedura presupposta per

rendere efficace la portata della norma stessa.

E’ l’effetto della norma che è del tutto innovativo in quanto si afferma che la

“partecipazione cessa ad ogni effetto” introducendo la cessazione automatica della

condizione di socio di società a fronte del quale, a compensazione della automatica

perdita di tutti i diritti di socio, rimane unicamente il diritto di credito alla liquidazione

della quota di partecipazione.

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Liquidazione che deve avvenire secondo i criteri “stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo

comma, del codice civile.“, unico punto di contatto con il recesso del codice civile e dal

quale invece si discosta sia per la procedura che soprattutto per l’effetto. Infatti nel

recesso previsto dal codice civile non vi è una cessazione ex lege della partecipazione

ma un articolato procedimento, fra l’altro revocabile rimuovendo da parte degli altri

soci la causa che ha dato luogo al diritto di recesso, scandito da tempi e compiti fra

organi societari diversi ed infine con un esito differenziato ai fini patrimoniali. Infatti il

recesso può essere attuato con la vendita delle partecipazioni ai soci o terzi ovvero

riduzione di riserva ed infine riduzione di capitale.

L’elemento critico della norma è l’avere attribuito un automatismo alla cessazione “ad

ogni effetto”, come se decorso il termine di legge (31.12.2014), avendo esperito la

procedura di cui si è detto, anche contro la volontà dello stesso socio ente locale, egli

perde ( cessa ) la partecipazione senza più potere eccepire. Parimenti gli altri soci, la

società e gli amministratori della società sono del tutto impossibilitati ad intervenire

nel procedimento, se si esclude la determinazione del valore da liquidare, stante

l’automatismo di cui si è detto.

In merito alla norma, autorevole dottrina ha rilevato che la cessazione ad ogni effetto

significa che: “ l'amministrazione pubblica cessa di essere socia fin dal 31 dicembre 2014:

scaduto il termine finale, essa è ipso iure estromessa dall'organizzazione societaria e, medio

tempore, in attesa della liquidazione della quota, non conserva affatto i diritti sociali e le

eventuali prerogative attribuite dall'atto costitutivo (diversamente da quel che accade al socio

receduto). Per contro, scattano subito gli adempimenti pubblicitari che caratterizzano le

variazioni della compagine societaria: occorrerà procedere, per le Spa, all'annotazione a libro

soci e, per le Srl, all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione della partecipazione ex

articolo 1, comma 569 della legge 147/2013). La società, entro un anno dalla cessazione (quindi

entro il 31 dicembre 2015), deve procedere alla liquidazione della partecipazione «cessata» e, ai

fini della determinazione del valore, dovrà attenersi ai criteri indicati dall'articolo 2437-ter,

comma 2 del Codice civile (quindi in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle

sue prospettive reddituali nonché dell'eventuale valore di mercato) da applicarsi – stabilisce il

comma 569 – sia alle Spa sia alle Srl.” ( Davide Di Russo - “Partecipate contra legem, così i

rimborsi all’ente socio dopo la “cessazione” in il Quotidiano enti locali PA de il sole 24 ore

del 18/2/2015).

Tale norma ha subito recentemente un intervento legislativo avente portata di norma

di interpretazione autentica.

E’ stato introdotto il comma 569 bis, da parte dell’art. 7 comma che recita: “569-bis. Le

disposizioni di cui al comma 569, relativamente alla cessazione della partecipazione societaria

non alienata entro il termine ivi indicato, si interpretano nel senso che esse non si

applicano agli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014,

n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano

operativo di razionalizzazione, in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di

produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità

istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d'impresa, e che la

competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione

societaria appartiene, in ogni caso, all'assemblea dei soci. Qualunque delibera degli

organi amministrativi e di controllo interni alle società oggetto di partecipazione che si

ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di

razionalizzazione e' nulla ed inefficace.”

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In prima lettura si evidenzia che si tratta di norma di interpretazione autentica e quindi

con efficacia retroattiva, vale a dire a valere dal 1/01/2015 e cioè dal momento in cui la

norma avrebbe esplicato gli effetti dell’exit del socio privato .

In merito alla cessazione ex lege della partecipazione, si rileva che essa è stata eliminata

in quanto:

- non opera quando l’ente locale abbia deciso, nel piano di razionalizzazione delle

società partecipate, di mantenere la partecipazione in società ed altri organismi aventi

per oggetto attività di produzione di beni e servizi indispensabili al

perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche solo limitatamente ad

alcune attività o rami d'impresa;

- è necessaria l’approvazione del provvedimento di cessazione da parte dell’assemblea

dei soci.

Non sfugge che diventa dirimente comprendere la portata della locuzione

“approvazione da parte dell’assemblea”. Soffermandosi al tenore letterale sembra che

l’assemblea debba esprimersi con le maggioranze statutarie perché deve assumere un

atto di volontà e non meramente di ratifica o di ricognizione.

Essa dunque ha potere di sindacare il merito della richiesta di recedere. Potrà pertanto

sindacare la corretta applicazione dell’art. 3 comma 27 L.F. 2008 nel senso che potrà

eventualmente eccepire che l’oggetto della società è conforma alla disposizione di

legge e quindi non può trovare applicazione la procedura speciale di exit prevista dalla

norma in discussione, fatto salvo l’eventuale exit secondo l’ordinaria disciplina del

recesso previsto per legge e per statuto.

L’assemblea potrebbe anche eccepire la scadenza dei termini o vizi di procedura.

Su altro piano si pone invece la valutazione degli effetti patrimoniali del recesso

quando eseguibile unicamente con la riduzione del capitale della società, allorché ciò

possa configurare un danno indiretto agli altri soci. In questo caso si verrebbe a

scontrare il diritto di recedere con il diritto degli altri soci a mantenere inalterato il

patrimonio sociale: la questione non può che trovare un giusto contemperamento nella

determinazione del valore economico della quota da liquidare .

Ne consegue quindi che solamente a seguito di opportuna delibera assembleare, la

partecipazione potrà considerarsi cessata ed il Comune recedente avrà diritto alla

liquidazione del valore delle azioni.

7. Primi arresti giurisprudenziali

Si registra il primo arresto giurisprudenziale sull’art. 1 comma 569 della Legge

147/2013 ed è del TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n. 1305 poiché la

società alla quale era stata rivolta la richiesta di recesso ha impugnato la deliberazione

del consiglio dell’ente che aveva stabilito che la partecipazione non era più detenibile e

quindi procedeva ad uscire dalla compagine invocando la norma in discussione.

Deve precisarsi però che il giudicato non ha tenuto conto della sopravvenuta

disposizione dell’art. 1 comma 569 bis la cui portata invece appare, come precisato

precedentemente, elemento decisivo.

Tuttavia sono da tenere presente alcune precisazioni del giudice amministrativo di

prime cure.

In primo luogo si afferma che la disposizione di carattere speciale in discussione

contenuta nell’art. 1 comma 569 si applica alle società a totale partecipazione pubblica

ed anche quelle ove partecipano privati.

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In secondo luogo il giudice rileva che se il legislatore statale non impone direttamente

l'uscita degli enti pubblici dalle società che gestiscono servizi pubblici, non esprime

nemmeno una qualche opposizione a tale ipotesi, e certamente non costringe le pp.aa.

a rimanere prigioniere delle società partecipate. Una volta che l'ente pubblico,

esercitando la propria discrezionalità, abbia qualificato come non più strategica la

presenza nel capitale di società affidatarie di servizi pubblici, si verifica una situazione

equivalente al divieto di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità

istituzionali. Tale affermazione del giudice andrebbe ora rivista alla luce degli effetti

dell’approvazione del provvedimento del recesso da parte dell’assemblea dei soci.

In terzo luogo il fatto che nell'art. 1 commi 611 e 612 della l.190/2014, che contiene la

disciplina dei piani di razionalizzazione delle società a partecipazione locale, non sia

richiamata la facoltà di recedere, e di ottenere così la liquidazione delle azioni, non

sembra costituire un ostacolo all'estensione di questo strumento in via interpretativa.

A tal riguardo non sfugge che la determinazione del valore della quota da liquidare in

denaro non può seguire i normali criteri enunciati ai paragrafi precedenti.

Infatti il recesso prevede la liquidazione della quota in denaro e nel caso si debba

procedere con la riduzione delle riserve o del capitale sociale, attraverso il reperimento

delle relative risorse finanziarie da parte della società, diversamente dall’anticipato

scioglimento del contratto sociale ove invece è prevedibile anche l’assegnazione del

capitale sociale in natura ai soci.

In questo caso la società deve quindi rendere liquido il proprio patrimonio. Inoltre si

deve considerare che nelle società a partecipazione locale, soprattutto quelle che

svolgono servizi pubblici locali, il patrimonio sociale è stato costituito attraverso

finanziamenti o contributi pubblici erogati anche da soggetti non soci e comunque a

destinazione vincolato. Come peraltro non è infrequente che il patrimonio sociale sia

stato costituito con conferimento di beni mobili o immobili del demanio comunale (in

vigenza l’art. 113 comma 13 del Tuel) ovvero asserviti a pubblico servizio.

Da ciò discende che nella determinazione del patrimonio sociale per la liquidazione

della quota del socio i cespiti suddetti non potranno essere considerati in quanto:

- da un lato non oggetto di contributi o di finanziamenti del socio recedente;

- dall’altro lato segregati alla funzione strumentale per l’esercizio di pubblico

servizio. In questo caso particolare attenzione andrà posta alla liquidazione del

patrimonio quando l’ente locale recedente revoca alla società anche il servizio

pubblico di cui è titolare.

______________________________

Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il blocco delle

assunzioni

Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015

di Federica Caponi

L’inquadramento stabile di un dipendente nel livello contrattuale superiore, in

presenza di limiti a nuove assunzioni posti dall’ente locale socio, integra una condotta

obiettivamente censurabile, perché in violazione di una direttiva del socio, ma ha

compromesso, in modo irrimediabile, anche la soluzione organizzativa realizzata dalla

società con contestuale danno erariale.

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Se infatti a seguito di tali avanzamenti di carriera la società non dimostra di aver

fornito prestazioni più altamente qualificate, questi non possono che essere considerati

strumento inidoneo per il miglioramento delle attività, quindi, solo causa di maggiori

costi.

Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizione della Sicilia,

nella sentenza in commento con la quale ha condanno gli amministratori di una società

a rifondere il danno arrecato alla stessa per aver attuato progressioni verticali di alcuni

dipendenti, nonostante l’ente socio avesse imposto il blocco delle assunzioni e un

limite al costo del personale.

Nel caso di specie, la Regione aveva costituito, unitamente alle aziende sanitarie

provinciali e le aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie una società interamente

pubblica, quale «strumento operativo» dei soci per l’erogazione del servizio di

trasporto per l'emergenza-urgenza.

Il Consiglio di Gestione della società dopo un anno aveva disposto in via definitiva

l’inquadramento di alcuni dipendenti nel livello contrattuale superiore.

La Procura della Corte ha ritenuto che tali avanzamenti di carriera fossero stati

illegittimamente conferiti e che i maggiori emolumenti corrisposti al personale,

beneficiario di un inquadramento più elevato di quello riconosciuto in sede di

assunzione, per un importo pari a € 455.236,01, integrassero per la società un danno

erariale e ha invitato a dedurre i membri dell’organo esecutivo.

Gli interessati hanno sostenuto, preliminarmente, il difetto di giurisdizione della corte

dei conti.

In merito alla giurisdizione contabile in materia di responsabilità degli amministratori

o degli organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici, è necessario

ricordare quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, S.U. nella sentenza 5491/2014.

La Corte ha ribadito il principio secondo cui è competente il giudice ordinario, in

ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione

pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, se la

società è totalmente autonoma nell’effettuare le proprie scelte strategiche e gestionali e

non ha un rapporto di servizio con l'ente pubblico titolare della partecipazione.

Sussiste invece la giurisdizione della Corte dei Conti, quando il danno sia stato

prodotto dal rappresentante dell'ente socio, lo stesso ente pubblico abbia il potere

decisionale e abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio,

pregiudicando il valore della partecipazione.

La Corte dei conti quindi ha giurisdizione sull'azione di responsabilità nei confronti

degli amministratori di una società partecipata quando tale azione sia diretta a far

valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio

di una società “in house”, cioè costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di

pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che

statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e

la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello

esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.

Pertanto, nel caso di una società totalmente pubblica, costituita per lo svolgimento di

servizi in favore dei soci, non ci sono dubbi in merito alla competenza della Corte dei

Conti in merito al giudizio di responsabilità degli amministratori.

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Sul merito delle questioni sollevate dalla Procura, i giudici contabili hanno chiarito che

il ricorso a delle “progressioni verticali”, in presenza di precetti dell’ente socio di

maggioranza, che ne precludevano l’effettuazione, integra una condotta

obiettivamente censurabile, che ha tra l’altro determinato stabilmente una modifica

organizzativa della società.

La Corte ha inoltre rilevato che nel caso di specie, tale nuovo assetto organizzativo, più

costoso, non ha rappresentato lo strumento essenziale ed irrinunciabile per assicurare

l’operatività della società, anzi. A seguito di tale modifica “l’oggetto sociale è stato

perseguito non diversamente da come avvenuto prima dei conferimenti delle più elevate

qualifiche (…) dunque, quelle progressioni non si ponevano come mezzo condizionante lo

svolgimento di attività altrimenti non realizzabili, tant’è che sia a monte che a valle del periodo

in cui la società si è avvalsa dei dipendenti meglio inquadrati, i servizi aziendali sono stati resi

con immutata quantità e qualità”.

Tra l’altro, la Procura ha rilevato che quello della violazione del blocco delle assunzioni

non ha costituito l’unico scostamento dall’alveo della corretta gestione, segnalando

altri aspetti della sequenza procedimentale in contrasto con precetti di riferimento.

Le progressioni di carriera sono risultate svincolate:

da qualsiasi pianificazione;

da qualsiasi regolamentazione interna.

I giudici hanno chiarito infine che a prescindere dalle censurabili modalità con le quali

sono stati realizzati tali avanzamenti di carriera, si trattava di misure organizzative

precluse dall’ente socio e

in quanto vietate, non avrebbero dovuto essere compiute e, anche laddove fossero state

poste in essere con modalità proceduralmente corrette, avrebbero mantenuto intatto il

loro disvalore ed immutata l’attitudine a cagionare un danno erariale per l’ente socio.

I profili di illegittimità che investono i conferimenti di inquadramenti più elevati sono

stati causati dalle condotte poste in essere dai rappresentanti nominati dagli enti soci

negli organi di gestione, con colpa grave.

I giudici hanno infatti rilevato che il divieto imposto dall’ente socio era inequivocabile i

soggetti coinvolti che dovevano darvi esecuzione avevano una qualificazione

professionale di livello elevato, considerato che erano stati chiamati a ricoprire uffici

apicali nell’ambito di una società neocostituita, con una cospicua dotazione organica

(oltre 3200 unità di personale) ed impegnata nella gestione di un servizio pubblico

essenziale che presentava rilevanti criticità da gestire (fra cui l’esubero di oltre 650

unità di personale).

Pertanto, il ricorso alla soluzione organizzativa degli avanzamenti di carriera disposto

in violazione di vincoli e limiti posti chiaramente dal socio è espressione di una grave

colpevolezza degli agenti, esponenti aziendali di livello apicale provvisti di elevati

requisiti di professionalità.

_______________________________

Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe gestionali

dirette

Un Sindaco ha chiesto all’Anac chiarimenti circa la possibilità di assumere l’incarico di

Presidente all’interno del CdA di una Società Consortile a responsabilità limitata il cui

comune insieme ad altri Comuni e Enti pubblici fa parte.

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In particolare, secondo l’istante detta società non sarebbe identificabile negli “Enti di

diritto privato in controllo pubblico”, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 d.lgs. 39/2013,

atteso che non ricorrono le condizioni di soggetto sottoposto a controllo ai sensi

dell’art. 2359 c.c.

La disposizione citata definisce “enti di diritto privato in controllo pubblico”, le società

e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di

produzione di beni e servizi a favore delle p.a. o di gestione di servizi pubblici,

sottoposti a controllo ai sensi dell'articolo 2359 c.c. da parte di amministrazioni

pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle p.a., anche in assenza di una

partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.

L’Anac con il parere rif. UPAG/ AG 23/15/AC del 1° aprile 2015 ha chiarito che

sussiste una situazione di inconferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2 lettera d) del

d.lgs. 39/2013, nel caso di attribuzione della carica di Presidente, con deleghe

gestionali dirette, di una società consortile in mano pubblica di livello locale a colui che

rivesta il ruolo di Sindaco di un comune della medesima regione, socio della citata

società.

Sul punto l’Autorità si era in precedenza pronunciata con l’orientamento 19/2014

secondo cui “Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, le società consortili per azioni,

costituite ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile e dell’art. 22, comma 3, lett. e) della l. n.

142/1990, oggi trasfuso negli artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), sono ricomprese

nella categoria degli enti di diritto privato in controllo pubblico, in quanto esercitano

attività di gestione di servizi pubblici e sono sottoposte a controllo da parte di diverse

amministrazioni pubbliche” e, da ultimo, con l’orientamento 79/2014 in base al quale

“Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, sono annoverabili nella categoria degli “enti di

diritto privato in controllo pubblico” le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano le

funzioni elencate nell’art. 1, comma 2, lettera c) del citato decreto e in cui, alternativamente, le

pubbliche amministrazioni esercitano un controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. oppure hanno il

potere di influire fortemente sull’attività dell’ente, attraverso il potere di nomina dei vertici o dei

componenti degli organi dell’ente”.

Le disposizioni richiamate fondano, quindi, la sussistenza dell’annoverabilità di tale

società consortile nella categoria dell’ente di diritto privato in controllo pubblico di cui

all’art. 1, comma 2 lettera c) del d.lgs. 39/2013, dal momento che secondo lo statuto la

società esercita funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a

favore di pubbliche amministrazioni e i soci (soggetti pubblici al 98% della Società)

hanno poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi della medesima

Società.

Relativamente all’incarico di Presidente della società che comporti deleghe gestionali

dirette, ai sensi del citato articolo 1, comma 2 lettera l) del d.lgs. 39/2013 , l’Autorità ha

chiarito che la definizione di tale figura si riferisce alla carica ricoperta dal Presidente a

cui sono state conferite le suddette deleghe direttamente dal consiglio di

amministrazione dell’ente, salvo quanto previsto dallo Statuto (orientamento

106/2014) e che sussiste inconferibilità tra l’incarico politico e quello Presidente con

deleghe gestionali dirette qualora sia attribuita la rappresentanza in giudizio dell’ente

(orientamento 128/2014).

Previsione, nel caso di specie, contemplata dallo statuto della società, il quale

attribuisce la rappresentanza legale della società di fronte a qualunque autorità

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giudiziaria e amministrativa e di fronte a terzi, nonché la firma sociale, al Presidente

che, ove autorizzato, può nominare procuratori speciali e mandatari per determinati

atti o categorie di atti e nominare procuratori alle liti.

Quanto al requisito previsto dall’articolo 7, comma 2 del d.lgs. n. 39/2013 consistente

nell’esser stato, nell’anno precedente, componente della giunta di un amministrazione

locale, nel caso di specie, rilevava il fatto che l’istante fosse sindaco in carica e quindi

che, in prima battuta, poteva ritenersi non applicabile l’ipotesi prospettata.

Tuttavia, considerato che la finalità della norma è quella di garantire la massima

imparzialità e la mancanza di una situazione di conflitti di interesse in capo a coloro

che ricoprono o saranno chiamati a ricoprire incarichi “amministrativi”, qualora si

aderisse ad un’interpretazione letterale della stessa, nel senso di limitare

l’inconferibilità solo a coloro che nell’anno precedente erano titolari di cariche

politiche, tale finalità verrebbe ad essere elusa.

Per tale ragione la corretta interpretazione, già assunta in casi analoghi dall’Autorità, è

quella di equiparare, ai fini dell’applicabilità di tali situazioni di inconferibilità, coloro

che attualmente rivestono una carica politica a coloro che nell’anno precedente o nei

due anni precedenti ricoprivano tale cariche nelle amministrazioni locali che

conferiscono l’incarico.

Circa, infine, il presupposto “dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico”,

previsto dall’art. 7, comma 2 del d.lgs. 39/2013, l’Autorità ha chiarito che sussiste

inconferibilità anche nel caso in cui l’incarico di amministratore di ente di diritto

privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione

superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi la medesima

popolazione, sia stato conferito da un organo dell’ente di diritto privato in controllo

pubblico da parte di una regione, di una provincia o di un comune e non direttamente

dall’ente locale (orientamento n. 100 del 21 ottobre 2014).

__________________________________

Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali

Legge 7 agosto 2015, n. 124

di Federica Caponi

E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 187 del 13 agosto 2015, la legge 124/2015 concernente

“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrata

in vigore il 28 agosto 2015.

Deleghe per la semplificazione normativa

Art. 16 - Procedure e criteri comuni per l'esercizio di deleghe legislative di

semplificazione

Saranno adottati decreti legislativi di semplificazione dei seguenti settori, secondo

quanto previsto nei successivi artt. 17-19:

lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di

organizzazione amministrativa;

partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche;

servizi pubblici locali di interesse economico generale.

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Inoltre, è stata prevista anche l’adozione di appositi d.p.r. di attuazione dei decreti

legislativi

Art. 17 - Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni

pubbliche

I decreti legislativi per il riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze

delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa

dovranno essere adottati entro diciotto mesi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri

direttivi:

previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione

finalizzati a valorizzare l'esperienza professionale acquisita da coloro che hanno

avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche, con

esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione

degli organi politici e ferma restando, comunque, la garanzia di un adeguato

accesso dall'esterno;

previsione di prove concorsuali che privilegino l'accertamento della capacità dei

candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni

teoriche;

svolgimento dei concorsi, per tutte le amministrazioni pubbliche, in forma

centralizzata o aggregata;

gestione dei concorsi per il reclutamento del personale degli enti locali a livello

provinciale;

definizione di limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi,

per gli idonei non vincitori;

riduzione dei termini di validità delle graduatorie;

per le amministrazioni pubbliche e aventi graduatorie in vigore alla data di

approvazione dello schema di decreto legislativo, introduzione di norme

transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi

pubblici;

soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai

concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni;

previsione dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue,

quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle

commissioni giudicatrici;

valorizzazione del titolo di dottore di ricerca;

introduzione di un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di

indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la

programmazione delle assunzioni;

rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici;

riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle

assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici;

definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli

effettivi fabbisogni;

istituzione di una Consulta nazionale per garantire un'efficace integrazione

nell'ambiente di lavoro delle persone con disabilità

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disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative

fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di

lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze

organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato;

previsione della facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il

ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile

dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere

collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria, la possibilità

di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel

contempo, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa

vigente in materia di vincoli assunzionali;

progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni,

fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità;

semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici;

riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una

maggiore integrazione con il ciclo di bilancio;

coordinamento della disciplina in materia di valutazione e controlli interni;

introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici

dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di

espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare;

rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e

gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, attraverso

l'esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile

per l'attività gestionale;

razionalizzazione dei flussi informativi dalle amministrazioni pubbliche alle

amministrazioni centrali e concentrazione degli stessi in ambiti temporali definiti;

riconoscimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e

di Bolzano della potestà legislativa in materia di lavoro del proprio personale

dipendente;

previsione della nomina di un responsabile dei processi di inserimento dei disabili,

da parte delle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, senza

maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse disponibili.

E’ stato modificato il comma 9 dell’articolo 5 del d.l. 95/2012, stabilendo che è fatto

divieto alle p.a. inserite nel conto economico consolidato pubblicato dall’Istat, nonché

alle autorità indipendenti di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già

lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.

A tali amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi

dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle p.a. e degli enti e società da

esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei

componenti o titolari degli organi elettivi.

Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni sono comunque consentiti a titolo gratuito.

Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può

essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna

amministrazione.

Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati

dall'organo competente dell'amministrazione interessata.

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Art. 18. Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle

amministrazioni pubbliche

Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni

societarie delle amministrazioni pubbliche sarà adottato al fine prioritario di assicurare

la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione

della concorrenza, prevedendo, tra l’altro:

la distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi

pubblici di riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura

diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza

pubblica dell'affidamento;

ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche, la

ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di

società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte delle

p.a.;

la precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle

amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di

controllo delle società partecipate;

la definizione della corretta gestione delle risorse e della salvaguardia

dell'immagine del socio pubblico;

la razionalizzazione dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del

personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al

contenimento dei costi;

promozione della trasparenza e dell'efficienza attraverso l'unificazione, la

completezza e la massima intelligibilità dei dati economico-patrimoniali e dei

principali indicatori di efficienza, nonché la loro pubblicità e accessibilità;

attuazione del consolidamento dei bilanci delle partecipazioni coi bilanci degli enti

proprietari;

possibilità di piani di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale

commissariamento;

regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione

pubblica e società partecipate secondo i criteri di parità di trattamento tra imprese

pubbliche e private e operatore di mercato;

con riferimento alle società partecipate dagli enti locali:

1) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative,

definizione di criteri e procedure per la scelta del modello societario;

2) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale,

individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che

comportino obblighi di liquidazione delle società;

3) rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di

qualità, efficienza, efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione

dell'entità e del numero delle partecipazioni e l'incentivazione dei processi di

aggregazione;

4) promozione della trasparenza mediante pubblicazione, nel sito internet degli

enti locali e delle società partecipate interessati, dei dati economico-patrimoniali

e degli indicatori di efficienza;

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5) introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei princìpi

di razionalizzazione e riduzione, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti

dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in

materia;

6) introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli

occupazionali nei processi di ristrutturazione e privatizzazione relativi alle

società partecipate;

7) revisione degli obblighi di trasparenza e di rendicontazione delle società

partecipate nei confronti degli enti locali soci, attraverso specifici flussi

informativi che rendano analizzabili e confrontabili i dati economici e

industriali del servizio.

Art. 19. Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico

generale

Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali

di interesse economico generale sarà adottato nel rispetto dei seguenti princìpi:

individuazione da parte degli enti locali, quale propria funzione fondamentale,

delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di

assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali;

soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai princìpi generali in materia

di concorrenza;

individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e

organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale;

definizione dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici

locali di rilevanza economica;

individuazione, anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della

concorrenza nel mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della

gestione dei servizi;

introduzione di incentivi e meccanismi di premialità o di riequilibrio economico-

finanziario nei rapporti con i gestori per gli enti locali che favoriscono

l'aggregazione delle attività e delle gestioni secondo criteri di economicità ed

efficienza;

individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari;

revisione delle discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e

coordinamento con la disciplina generale in materia di modalità di affidamento

dei servizi;

previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le

funzioni di gestione dei servizi;

revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti;

definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di

violazione della disciplina in materia;

definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di

servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte

degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio tipo per

ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale.

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Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati

Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015)

di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti

E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29 dicembre 2014 la legge di stabilità 2015

(legge 190/2014) che ha modificato numerose disposizioni in materia di:

Organismi partecipati

Comma 609 – Ato dei servizi pubblici locali a rete

Al fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale

dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (acqua, gas e rifiuti) la legge di

stabilità ha modificato il comma 1 –bis dell'articolo 3-bis del d.l. 138/2011.

La novellata disposizione prevede che spettano unicamente agli enti di governo degli

ATO (ambiti territoriali ottimali e omogenei), cui gli enti locali partecipano

obbligatoriamente, le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di

rilevanza economica (compresi i rifiuti urbani), di scelta della forma di gestione, di

determinazione delle tariffe, di affidamento della gestione e relativo controllo.

Qualora gli enti locali non aderiscano a tali enti entro il 1º marzo 2015 o entro sessanta

giorni dall'istituzione o designazione dell'ente di governo (ex comma 2, art. 13 d.l.

150/2013), il Presidente della regione dovrà esercitare i poteri sostitutivi, previa diffida

all'ente locale ad adempiere entro trenta giorni.

Gli enti di governo degli ATO dovranno pubblicare la relazione che dia conto delle

ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma

di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio

pubblico, indicando le compensazioni economiche se previste (ex comma 20, art. 34 d.l.

179/2012).

La relazione dovrà essere allegata alla deliberazione con cui verrà disposto

l’affidamento, senza necessità di ulteriori deliberazioni (né preventive, né successive),

da parte degli enti locali aderenti. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi

infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione dovrà

comprendere un piano economico-finanziario che contenga anche la proiezione, per il

periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei

relativi finanziamenti, con la specificazione, nell'ipotesi di affidamento in house,

dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e

dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio.

Il piano economico-finanziario dovrà essere asseverato da un istituto di credito o da

società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso e iscritte nell'albo degli

intermediari finanziari o da una società di revisione.

Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procederanno,

contestualmente all'affidamento, all’accantonamento pro quota nel primo bilancio

utile, e successivamente ogni triennio, di una somma pari all'impegno finanziario

corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio

consolidato con il soggetto affidatario in house.

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E’ stato anche inserito il comma 2-bis al citato articolo 3-bis del d.l. 138/2011.

La nuova disposizione stabilisce che l’operatore economico, che subentri al

concessionario iniziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure

trasparenti, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste.

In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto competente dovrà

accertare la persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di

equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro

rideterminazione, anche tramite l'aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di

alcune delle concessioni in essere, previa verifica del rendimento della concessione, del

prezzo e dei rischi connessi alle condizione del mercato (ex art. 143, comma 8, d.lgs.

163/2006), oltre che facendo riferimento al programma degli interventi definito a

livello di ATO.

Inoltre, è stato novellato il comma 4 della stessa disposizione.

La nuova norma stabilisce che i finanziamenti relativi ai servizi pubblici locali a rete di

rilevanza economica, concessi a qualsiasi titolo, saranno attribuiti agli enti di governo

degli ATO o ai relativi gestori del servizio a condizione che tali risorse siano aggiuntive

o a garanzia dei piani di investimento approvati.

Tali risorse saranno prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura

di gara ad evidenza pubblica o di cui comunque l’ATO attesti l'efficienza gestionale e

la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti o che abbiano deliberato

operazioni di aggregazione societaria.

E’ stato aggiunto il comma 4-bis, che prevede che le spese in conto capitale, ad

eccezione di quelle per l’acquisto di partecipazioni, effettuate dagli enti locali con i

proventi derivanti dalla dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di

partecipazioni in società, individuati nei codici del SIOPE E4121 e E4122 (alienazione

di partecipazioni societarie e alienazione di titoli di Stato) e i medesimi proventi sono

esclusi dal patto di stabilità interno.

Infine, è stato aggiunto il comma 6-bis, il quale stabilisce che si applicano anche al

settore dei rifiuti urbani e ai settori sottoposti alla regolazione ad opera di un'autorità

indipendente le norme contenute nell’articolo 3-bis e le altre disposizioni, comprese

quelle di carattere speciale, in materia di servizi pubblici locali a rete di rilevanza

economica.

Comma 610 – Cooperative sociali di tipo b)

E’ stato modificato il comma 1 dell'articolo 5 della legge 381/1991.

Tale disposizione disciplina la possibilità per gli enti pubblici (compresi quelli

economici), e le società partecipate di stipulare convenzioni con le cooperative sociali

di tipo b) [ex art. 1, comma 1, lett. b), legge 381/1991] per la fornitura di beni e servizi

diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, di importo inferiore a € 207.000, purché tali

convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone

svantaggiate.

La legge di stabilità ha previsto che tali convenzioni possano essere stipulate “previo

svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza,

di non discriminazione e di efficienza”.

E’ opportuno ricordare che la disciplina contenuta nel citato articolo 5 è stato

considerato dalla giurisprudenza maggioritaria avente “carattere assolutamente

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eccezionale” e il rinvio allo strumento della convenzione “non può consentire una completa

deroga al generale obbligo di confronto concorrenziale in caso di utilizzo di risorse pubbliche per

l'individuazione di un soggetto privato cui affidare lo svolgimento di servizi pubblici, per cui

occorre il ricorso ad un confronto nel rispetto dei principi generali della trasparenza e della par

condicio” (Tar Lazio, sez. III quater, sent. 11093/2008).

Infine, è opportuno ricordare che anche l’Avcp è intervenuta più volte, e in particolare

con la determinazione n. 3 del 1° agosto 2012, concernente “Linee guida per gli

affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991”, in cui

ha dettato indicazioni operative sugli affidamenti alle cooperative sociali di tipo b), alla

luce di una sempre maggiore volontà, a livello nazionale ed europeo, di dare

attenzione all’integrazione di aspetti sociali nella contrattualistica pubblica.

Commi 611/614 – Piano di razionalizzazione delle società

La norma, preliminarmente, ha ribadito che gli enti locali (ex art. 3, commi 27-29, legge

244/2007 e art. 1, comma 569, legge 147/2013):

possono mantenere o costituire società partecipate esclusivamente per lo

svolgimento di attività di produzione di beni e di servizi strettamente

necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali;

devono autorizzare l’assunzione di nuove partecipazioni con delibera consiliare

che deve essere inviata alla competente sez. reg. di controllo della corte dei

conti;

dovevano autorizzare, sempre con delibera consiliare, il mantenimento delle

partecipazioni in essere entro il 31 dicembre 2010 e poi nuovamente entro il 31

dicembre 2014, atto da inviarsi anch’esso alla competente sez. reg. di controllo

della corte dei conti;

dovevano deliberare entro il 31 dicembre 2014 la cessione a terzi delle società e

delle partecipazioni vietate. Decorso tale termine, la partecipazione non

alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto ed entro

il 31 dicembre 2015 la società liquiderà in denaro il valore della quota del socio

cessato, considerato il valore di liquidazione determinato dagli amministratori,

sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione

legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle

sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni

(ex art. 2437-ter, comma 2, c.c.).

In base a tale premesse, la disposizione in commento ha stabilito che gli enti locali (e le

regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le camere di commercio,

industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria

pubblici e le autorità portuali) dal 1º gennaio 2015, devono avviare un processo di

razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o

indirettamente possedute, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica,

il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela

della concorrenza e del mercato.

Tali interventi di razionalizzazione devono portare a una la riduzione delle società

entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:

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a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al

perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in

liquidazione o cessione;

b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un

numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività

analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici

strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle

funzioni;

d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;

e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli

organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso

la riduzione delle relative remunerazioni.

Il comma 612 ha stabilito che spetta ai presidenti delle regioni, ai presidenti delle

province e ai sindaci definire e approvare, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo

di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie, le modalità e i tempi

di attuazione, nonché l'esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire.

Tale piano, corredato da una relazione tecnica, dovrà essere trasmesso alla competente

sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicato nel sito internet

istituzionale dell’ente.

Entro il 31 marzo 2016, i presidenti e i sindaci coinvolti dovranno predisporre una

relazione sui risultati conseguiti e anche questa relazione dovrà essere trasmessa alla

competente sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicata nel sito

dell’ente.

Il legislatore ha precisato che la pubblicazione del piano e della relazione costituisce

obbligo di pubblicità ai sensi del d.lgs. 33/2013.

Il comma 613 ha stabilito che le deliberazioni di scioglimento, di liquidazione e gli atti

di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate per espressa

previsione normativa sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del codice civile

e, in quanto incidenti sul rapporto societario, non richiedono né l'abrogazione né la

modifica della previsione normativa originaria.

Il comma 614 ha previsto che per quanto riguarda le decisione in merito alla

razionalizzazione delle società, definite nei piani operativi, si dovrà tener conto delle

disposizioni che disciplinano la mobilità del personale tra società (ex art. 1, commi 563-

568-ter, legge 147/2013), e lo speciale regime fiscale per le operazioni di scioglimento e

alienazione.

Nell’attuazione dei piani di razionalizzazione deliberati entro il 31 dicembre 2015 si

applica la disciplina contenuta nel comma 568-bis dell'articolo 1 della legge 147/2013.

Tale disposizione ha stabilito che gli enti locali e le società controllate possono

procedere:

a) allo scioglimento di società o aziende speciali. Se lo scioglimento è deliberato non

oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere sono esenti da

imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività

produttive, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro,

ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso, i dipendenti in organico

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al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle procedure di mobilità tra società

previste di cui ai commi da 563 a 568 della legge di stabilità 2014.

Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze

realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del

reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili

nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi;

b) all’alienazione delle partecipazioni detenute, a condizione che questa avvenga con

procedura a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per

cinque anni a decorrere dal 1º gennaio. In caso di società mista, al socio privato

detentore di una quota di almeno il 30% deve essere riconosciuto il diritto di

prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività

produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore

della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono

realizzate e nei quattro successivi.

Comma 615 – Affidamento diretto del servizio idrico

E’ stato novellato il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 149-bis del d.lgs.

152/2006.

La nuova disposizione stabilisce che l’ATO, nel rispetto del piano d'ambito e del

principio di unicità della gestione, deve deliberare la forma di gestione fra quelle

previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento

del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei

servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.

L’affidamento diretto del servizio idrico, pertanto, può avvenire a favore di società

interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo

per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito.

Comma 616 – Scioglimento società e aziende speciali

Come già in precedenza anticipato, è stato modificato il comma 568-bis dell’articolo 1

della legge di stabilità 2014.

La nuova disposizione stabilisce che gli enti locali e le società da esse controllate

direttamente o indirettamente possono procedere:

a) allo scioglimento delle società o aziende speciali controllate. Se lo scioglimento è

deliberato non oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere in

seguito allo scioglimento sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui

redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’iva. Le

imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa.

In tal caso, i dipendenti in servizio al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle

procedure di mobilità per le società disciplinate dai commi 563-568 della citata legge

147/2013.

Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze

realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del

reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili

nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi;

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b) all’alienazione delle partecipazioni, a condizione che questa avvenga con procedura

a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a

decorrere dal 1º gennaio 2014.

In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30%

deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e

dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla

formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono

deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi.

Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il giudice del lavoro

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014

Le società di capitali, benché interamente pubbliche, seppure soggette a discipline

particolari per determinati aspetti e a determinati fini per tutelare interessi di natura

pubblica, sono assoggettate alla disciplina privatistica del diritto societario.

Pertanto, le società interamente partecipate dagli enti locali restano pur sempre società

di capitali, anche se fortemente caratterizzate da peculiari aspetti.

Nel caso in cui una società interamente pubblica attui una procedura pubblica per

l’assunzione di nuovo personale non sussiste la riserva della giurisdizione del giudice

amministrativo.

La competenza del giudice amministrativo “in materia di procedure concorsuali per

l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, di cui all’articolo 63, comma 4,

d.lgs. 165/2001, sussiste solo nel caso in cui le procedure sia attuate da una p.a. di cui

all’articolo 1, comma 2, del citato decreto.

L’obbligo di adottare “criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il

conferimento degli incarichi”, di cui all’articolo 18, comma 2, d.l. 112/2008, si inserisce

pur sempre nell’agire jure privatorum della società, senza comportare esercizi di

pubbliche potestà e senza incidere sulla giurisdizione.

Questi i principi ribaditi dal Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, con la

quale ha rigettato il ricorso promosso da una signora per l’annullamento della sentenza

del Tar Lazio che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice

amministrativo in merito all’impugnazione dell’avviso pubblico con cui una società di

capitali, interamente partecipata da un comune, aveva indetto una selezione per

l’assunzione di nuovi dipendenti.

E’ necessario, infatti, ricordare che la riserva della giurisdizione del giudice

amministrativo in materia di procedure concorsuali, ex articolo 63, comma 4, d.lgs.

165/2001, presuppone l’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure

contrattualizzato, alle dipendenze di una p.a., fattispecie che non può configurarsi in

presenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, benché il

capitale sia interamente pubblico.

Il Consiglio di Stato ha ribadito il principio sancito dalla Corte dei Cassazione, S.U.

nella sentenza 28329/2011.

Alle società di capitali, non essendo qualificabili come organismi di diritto pubblico,

non è applicabile il d.lgs. 165/2001 e, pertanto, in merito alle procedure selettive da

queste indette sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

I magistrati amministrativi hanno chiarito che:

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le società di capitali, benché interamente partecipate dagli enti locali, hanno natura

privata e non sono annoverabili tra le p.a. cui all’articolo 1, comma 2, del citato

d.lgs. 165/2001;

la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 2, c.p.a. presuppone in

ogni caso la riconducibilità dell’atto, del provvedimento o del comportamento,

all’esercizio di un potere pubblico, che non è configurabile quando una società di

capitali assume nuovo personale, anche se attua procedure selettive che rispettano i

principi di trasparenza e imparzialità tipiche di una p.a.;

il vincolo disciplinato dall’art. 18, comma 2, del d.l. 112/2008, che impone alle

società a partecipazione pubblica totale o di controllo di adottare “con propri

provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli

incarichi nel rispetto dei principi, anche di natura comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed

imparzialità”, si inserisce in ogni caso nell’agire jure privatorum delle società

(essendo espressione dei più generali principi di comportamento secondo buona

fede, oggettiva e soggettiva), senza necessariamente comportare esercizio di

pubbliche potestà e senza incidere direttamente sulla giurisdizione;

la giurisdizione del giudice amministrativo presuppone la finalità dell’instaurazione

di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una

pubblica amministrazione e non può neppure ipotizzarsi in relazione all’insorgenza

di un rapporto di lavoro privato alle dipendenze di una società privata.

la natura di organismo di diritto delle società interamente pubbliche è rilevante ai

soli fini dell’aggiudicazione degli appalti pubblici.

__________________________

In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che strumentali

Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014

di Federica Caponi

Il vincolo dell’affidamento di servizi strumentali tramite gara, disciplinato dall’articolo

4, comma 7, del d.l. 95/2012, è derogabile in quanto l'affidamento diretto può avvenire

a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti

dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house.

Questo il principio sancito dal Tar Puglia nella pronuncia in commento, con la quale ha

respinto il ricorso presentato da una società che aveva impugnato l’atto del Direttore

Generale di una Asl, con il quale era stato disposto l’affidamento diretto a una società

in house della gestione del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della

azienda sanitaria.

La ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità di tale scelta gestionale in ragione del

(supposto) divieto di costituzione di società strumentali in house introdotto

dall'articolo 4 del d.l. 95/2012 e del divieto disciplinato dal comma 7 del citato articolo

4 che impone l’affidamento dei servizi strumentali tramite gara dal 1° gennaio 2014.

I giudici amministrativi hanno precisato che l’articolo 4 del d.l. 95/2012, dispone che al

fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli

operatori nel territorio nazionale, dal 1° gennaio 2014 le p.a., le stazioni appaltanti, gli

enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al d.lgs. 163/2006, devono acquisire

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sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure

concorrenziali.

La norma, che enuncia il principio dell’evidenza pubblica, è tuttavia derogata dal

successivo comma 8, secondo cui “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può

avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti

richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house”.

Il Tar ha chiarito che le p.a. possono ricorrere al modello dell’in house per la gestione

dei propri servizi strumentali anche dopo la sentenza della Corte costituzionale

229/2013 che ha reso inapplicabile alle Regioni a statuto ordinario il comma 8

dell'articolo 4 del d.l. 95/2012. L’immediata applicabilità erga omnes delle sentenze

della Corte di giustizia, infatti, con riguardo all’affermazione dei principi e

all’interpretazione, rende pleonastica tale norma, poiché quanto dalla stessa disposto

sarebbe stato egualmente desumibile, pure in sua assenza, dai principi comunitari in

materia.

Infine, il Tar ha chiarito, nel caso di affidamento a un nuovo gestore del servizio, è

legittima la decisione della p.a. di prevedere l'assunzione a tempo indeterminato del

personale utilizzato dai precedenti gestori del servizio.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 68/2011, ha chiarito che in tale fattispecie,

l’assunzione a tempo indeterminato non può riguardare in modo automatico e

generalizzato tutti i lavoratori transitati, compresi quelli assunti con contratto a

termine, ma solo quelli già assunti a tempo indeterminato dal precedente gestore, non

creando nuovi diritti, ma conservando solo quelli esistenti.

In tal caso, inoltre, secondo il Tar non c’è violazione dei principi del pubblico concorso

e del buon andamento, ma mero rispetto delle garanzie dei diritti dei lavoratori

previste dalla legge e dai contratti collettivi per le ipotesi di subentro nell’appalto e di

trasferimento d’azienda.

La clausola sociale, anche nota come clausola di «protezione» o di «salvaguardia»

sociale o «clausola sociale di assorbimento», è un istituto previsto dalla contrattazione

collettiva e da specifiche disposizioni legislative statali, quali ad es. l’articolo 69 del

d.lgs. 163/2006, che opera nell’ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di imprese o

società appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità del servizio e

dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario.

La conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda è prevista

dalla Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE e dall’articolo 2112 c.c., la cui applicabilità,

ricorrendo determinate condizioni, è stata estesa dalla giurisprudenza ai casi in cui il

trasferimento derivi non da un contratto fra cedente e cessionario, ma da un atto

autoritativo della p.a., come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, sez. lav., nelle

sentenze 21023/2007, 5708/2009 e 21278/2010).

Infine, il Tar ha precisato che l’istituto dell’in house, più che un’eccezione al diritto

comunitario degli appalti e delle concessioni, è espressione di un principio generale

riconosciuto sia dal diritto dell’Unione, che dall’ordinamento nazionale, cioè quello

dell'auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, in forza del

quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno per

offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalità

istituzionali.

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L’affidamento diretto, “in house, lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e

residuale di gestione dei servizi pubblici locali costituisce invece una delle (tre) normali forme

organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta

gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell’affidamento diretto, in

house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi per effetto

della normativa comunitaria e della relativa giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta

ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di

convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice

amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza,

irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico

travisamento dei fatti” (Cons. St., sez. V, 4599/2014; Cons. St., sez. V, 4832/2013; Cons.

St., sez. VI, 762/2013).

Tali principi, benché riferiti alla materia dei servizi pubblici locali, secondo il Tar, ben

possono essere estesi anche ai servizi strumentali, in quanto siamo sempre di fronte

alla scelta di una p.a. di autoprodurre servizi strettamente necessari al perseguimento

delle proprie finalità istituzionali, considerato che il modello dell’in house providing

nasce a livello comunitario proprio come alternativa all’appalto di servizi (Corte di

Giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98).

Pertanto, anche nel caso di specie, l’opzione tra in house providing e outsourcing

costituisce una scelta discrezionale fra modelli organizzativi alternativi, che l’azienda è

chiamata a operare entro margini di autonomia pienamente riconosciuti

dall’ordinamento comunitario e la motivazione addotta dalla Asl, a fondamento della

propria scelta gestionale (maggiore convenienza economica della gestione in house

rispetto all’acquisizione del servizio sul mercato, con un risparmio previsto di circa

300.000 euro) è stata ritenuta dal Tar logica, razionale e adeguata.

Infine, la mancata contestualità tra scelta della gestione in house e l’approvazione del

disciplinare non appare idonea a determinare l’illegittimità dell’atto impugnato, in

quanto la decisione dell’Azienda di differire l’adozione del disciplinare in prossimità

del concreto affidamento del servizio appare, nella specie, giustificata dal processo di

riorganizzazione in atto.

Pertanto, il Tar ha respinto il ricorso presentato dalla società e ha dichiarata legittimo

l’atto del direttore generale che aveva disposto l’affidamento diretto di alcuni servizi

strumentali alla società in house dell’azienda sanitaria.

______________________

La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014

di Federica Caponi

La riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di un'attività di servizio

pubblico, pertanto, la decisione in merito alla modalità di gestione è di competenza del

Consiglio Comunale, afferendo alla materia dell’organizzazione di un servizio

pubblico ex art. 42, comma 2, lett. e) del d.lgs. 267/2000.

Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, con la

quale ha respinto il ricorso presentato da un Comune avverso la decisione del Tar che

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aveva riconosciuto la titolarità della società già concessionaria del servizio di

riscossione alla prosecuzione diretta del rapporto concessorio con l'ente locale.

Nel caso di specie, un Comune aveva deliberato l’esternalizzazione della gestione delle

proprie entrate mediante affidamento del servizio di riscossione a mezzo ruolo, a una

società per azioni.

Dopo l’entrata in vigore della legge 248/2005, l’ente aveva preso atto del trasferimento

da parte della società del ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di

concessione per conto dei comuni e del possesso in capo alla cessionaria del necessario

requisito di iscrizione all'apposito albo e aveva affidato la gestione della riscossione

volontaria e coattiva delle proprie entrate a quest'ultima.

Successivamente, con la deliberazione consiliare era stato approvato il Regolamento

per la disciplina generale delle entrate comunali, in cui era tra l'altro previsto che

l'esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dei tributi fosse riservato al

funzionario responsabile di ciascun tributo, designato dalla Giunta comunale.

In applicazione di tali disposizioni e in assenza di un'espressa deliberazione del

Consiglio in ordine alla modifica della modalità di gestione del servizio di

accertamento e riscossione con il passaggio al modello della gestione diretta, il

funzionario responsabile del Servizio finanziario con determinazione aveva indetto

una procedura di selezione per l'affidamento del servizio triennale di riscossione delle

entrate comunali ad un soggetto terzo.

Avverso tale decisione l’uscente concessionaria aveva proposto ricorso al Tar che lo

aveva accolto.

Il Comune ha quindi impugnato la pronuncia di fronte al Consiglio di Stato.

L’articolo 3, comma 24, della legge 248/2005, nel riformare il sistema di riscossione dei

tributi statali attraverso la creazione di una società a totale capitale pubblico

(Riscossione s.p.a. in seguito denominata Equitalia s.p.a.), ha disciplinato il periodo

transitorio prevedendo che “fino al momento dell'eventuale cessione (…) del proprio capitale

sociale alla Riscossione s.p.a. (…) le aziende concessionarie possono trasferire ad altre società il

ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali,

nonché a quelle di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446.

In questo caso:

a) fino al 31 dicembre 2010 ed in mancanza di diversa determinazione degli enti stessi, le

predette attività sono gestite dalle società cessionarie del predetto ramo d'azienda, se queste

ultime possiedono i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al medesimo articolo 53, comma uno,

del decreto legislativo n. 446 del 1997, in presenza dei quali tale iscrizione avviene di diritto”.

Alla stregua di tale disciplina transitoria, quindi, nel caso di trasferimento del ramo

d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per gli enti locali o di

scissione di una società già concessionaria del servizio di riscossione, le società

cessionarie o risultanti da tale scissione societaria sono titolate ex lege alla prosecuzione

diretta del rapporto concessorio con l'ente locale, salvo che quest'ultimo non adotti al

riguardo una specifica “diversa determinazione”.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che la dizione “diversa determinazione” richiamata dalla

norma debba esplicarsi in una delibera di natura regolamentare assunta dall'organo

consiliare e non in un atto di carattere gestionale adottato da un suo organo

burocratico, come sostenuto dal Comune.

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Il termine “determinazione” usato dal legislatore ha una valenza oggettivamente neutra

e, pertanto, non è di per sé dirimente.

Con tale espressione vengono comunemente indicati sia gli atti propri degli organi

burocratici dell'Ente comunale, sia quelli emessi dai suoi organi elettivi.

L’articolo 42 del Tuel prevede la competenza consiliare relativamente all'adozione, tra

gli altri, dei seguenti atti:

“organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali,

concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali,

affidamento di attività o servizi mediante convenzione” (lett. e);

“appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio

o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nell'ordinaria

amministrazione e funzione servizi di competenza della giunta del segretario o di altri

funzionari” (lett. l).

I magistrati amministrativi hanno inoltre richiamato un consolidato orientamento della

giurisprudenza secondo cui la riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di

un'attività di servizio pubblico (Cons. Stato, sez. V, sent. 3672/2005).

In particolare, la decisione circa la modalità di gestione del servizio di riscossione delle

entrate comunali, nonché la conseguente determinazione di indire una procedura

negoziata per la scelta del soggetto incaricato del servizio stesso, costituiscono una

scelta di organizzazione del servizio pubblico di riscossione che rientra nell'ambito di

applicazione del comma 2, lett. e), dell’art. 42 del Tuel.

Secondo il Consiglio di Stato, quindi, il provvedimento con cui sono state effettuate

scelte organizzative del servizio avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio

comunale e non dal Dirigente del settore finanziario, trattandosi di atto di natura

regolamentare preordinato a fissare specifiche disposizioni organizzative dell'ente.

_____________________________

Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e quindi

assoggettata alla Corte dei Conti

Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609

di Federica Caponi

La verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società “in house”, da cui

discende la giurisdizione della Corte dei Conti sui componenti degli organi sociali per i

danni da essi cagionati al patrimonio della società, deve essere realizzata in base alle

previsioni contenute nello statuto in vigore al momento in cui è stata realizzata la

condotta.

La società in house, infatti, non è un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, ma una

longa manus dello stesso, che ne dispone come di una propria articolazione interna.

L’in house non può ritenersi terzo rispetto al Comune socio, ma deve considerarsi

come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento,

con la quale ha accolto il ricorso presentato dall’amministratore di una società per

azioni, partecipata interamente da comuni, con funzioni di servizio pubblico, avverso

la sentenza della prima sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che lo aveva

condannato al pagamento di euro 50.000 per il danno all'immagine della società

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causato dall'accertamento di un delitto di corruzione ex art. 319 c.p., commesso in

qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione.

La Corte dei Conti aveva ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti, in

quanto la società sarebbe stata un vero e proprio organo dei comuni partecipanti,

attraverso la quale essi perseguivano le loro finalità pubblicistiche, gestendo risorse

pubbliche.

Pertanto, la società avrebbe avuto un fine sostanzialmente pubblico, a tutela del quale

può esercitarsi l'azione di responsabilità della Procura della Corte dei Conti.

La Corte di Cassazione ha invece ritenuto insussistente la giurisdizione contabile,

perché la società non rispetta i requisiti dell’in house.

Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 26283/2013, avevano già

chiarito che la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità quando è

diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al

patrimonio di una società in house.

Sono qualificabili come tali le società costituite da uno o più enti pubblici per l'esercizio

di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che

statutariamente esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti

partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a

quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.

La società può essere definita “in house” quando vi sia contemporaneamente il rispetto

di tre requisiti:

1. il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per

l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a

privati;

2. la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti

partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una

significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale;

3. la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle

esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità dì comando

non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (Cass. sent.

5491/2014).

La presenza di tali condizioni fa si che la società non possa essere considerata un’entità

al di fuori dell'ente pubblico, in quanto essa non è altro che una longa manus della p.a.,

al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente

veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte Cost.

46/2013).

La società in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma

deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.

“L'uso del vocabolo società qui serve solo a significare che, ove manchino più specifiche

disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario;

ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un

autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è

più possibile parlare” (Cass. S.U. sent. 26283/2014).

Le società in house hanno della società solo la forma esteriore, mentre in realtà

costituiscono delle articolazioni della p.a. da cui promanano e non dei soggetti

giuridici ad essa esterni e da essa autonomi.

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Gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla

p.a., sono preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna

dell’ente pubblico socio, cui sono personalmente legati da un vero e proprio rapporto

di servizio, come accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente

pubblico.

La verifica in ordine all’esistenza di tali condizioni deve essere svolta riguardo alle

previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta

ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento

in cui risulti proposta la domanda di responsabilità alla Corte dei Conti.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto non sussistenti i requisiti dell’in house, in

quanto dallo statuto vigente all’epoca dei fatti contestati emerge l'assenza:

del primo requisito, relativo al capitale interamente pubblico, poiché è previsto

che i soci fondatori, di diritto pubblico, dovessero detenere la maggioranza

assoluta del capitale, restando possibile la sottoscrizione delle azioni ordinarie

da parte di persone fisiche o giuridiche;

della clausola dell’attività svolta prevalentemente in favore degli enti

partecipanti, atteso che l'oggetto sociale prevede la possibilità di svolgere un

vastissimo spettro di attività, non necessariamente riconducibili a servizi

pubblici (quali ad esempio la commercializzazione di acque minerali e derivati)

in proprio o per conto terzi - non meglio precisati - per il tramite di società

controllate o collegate;

di alcuna forma di controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici sui

propri uffici, in quanto l’unico controllo previsto è quello attribuito al Collegio

sindacale in materia contabile.

Alla luce di tali verifiche, la Corte ha ritenuto non sussistente il controllo della Corte

dei Conti.

_______________________________

Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate

Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014

di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti

E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 190 del 18 agosto 2014 la legge 114/2014 di

conversione del decreto-legge 90/2014 concernente “Misure urgenti per la semplificazione

e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, in vigore dal 19

agosto 2014.

Il provvedimento contiene rilevanti novità in materia di personale, società partecipate

e appalti.

Personale e società partecipate

Articolo 1 - Disposizioni per il ricambio generazionale nelle p.a.

La disposizione in commento abroga le disposizioni che consentivano il trattenimento

in servizio dei dipendenti che avessero raggiunto i requisiti per il pensionamento.

In particolare sono abrogati:

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- l'art. 16 del D.Lgs. n. 503/1992, che prevedeva la possibilità per i dipendenti che

avessero maturato i limiti di età per il collocamento a riposo di richiedere

all’amministrazione di appartenenza la permanenza in servizio per un ulteriore

biennio;

- i commi 8, 9 e 10 dell'art. 72 del decreto legge n. 112/2008, che stabilivano la

facoltà per le amministrazioni, sulla base dell'esperienza professionale acquisita

dal richiedente in determinati o specifici ambiti e in funzione dell'efficiente

andamento dei servizi, di accogliere l'istanza di trattenimento in servizio;

- il comma 31 dell'art. 9 del decreto legge n. 78/2010, che aveva ulteriormente

limitato l’istituto, riconducendo i trattenimenti in servizio nel contesto dei limiti

alle facoltà assunzionali.

I trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto

(25 giugno 2014) sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se

prevista in data anteriore.

I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,

comma 2, del d.lgs. 165/2001, tra cui rientrano gli enti locali, e non ancora efficaci alla

data di entrata in vigore del presente decreto sono revocati.

Fanno eccezione a quanto sopra indicato, al fine di salvaguardare la funzionalità degli

uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio dei magistrati ordinari, amministrativi,

contabili, militari nonché degli avvocati dello Stato, i quali restano validi fino al 31

dicembre 2015 o alla loro scadenza se prevista in data anteriore.

Dette disposizioni non trovano applicazione con riferimento ai richiami in servizio del

personale militare di cui agli articoli 992 e 993 del d.lgs. 66/2010, fino al 31 dicembre

2015.

E’ stato novellato il comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112/2008 il quale stabilisce che le

p.a., con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di

scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, a decorrere

dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al

pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1° gennaio 2012, dall'articolo 24,

commi 10 e 12, del d.l. 201/2011, possono risolvere il rapporto di lavoro e il contratto

individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque

non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione

percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24.

Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai

professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario

nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno

di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario.

Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresì ai soggetti che

abbiano beneficiato dell'articolo 3, comma 57, della legge 350/2003 e s.m.i. ossia del

prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego per un periodo corrispondente

alla sospensione ingiustamente subita e al periodo di servizio non espletato per

l'anticipato collocamento in quiescenza in pendenza di procedimento penale conclusosi

con l’assoluzione.

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Articolo 3 - Semplificazione e flessibilità nel turn over

Per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli

enti pubblici non economici ivi compresi quelli di cui all'articolo 70, comma 4, del

d.lgs. 165/2001, sono fissati i seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo

indeterminato:

anno 2014, pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno

precedente

anno 2015, pari al 40% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno

precedente

anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno

precedente

anno 2017, pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno

precedente

dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato

nell'anno precedente.

Ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al comparto Scuola e alle

Università si applica la normativa di settore.

Per gli enti di ricerca, la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi

l'80% delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio

consuntivo dell'anno precedente, è possibile procedere ad assunzioni di personale con

rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel rispetto dei seguenti limiti di spesa:

anno 2014 e 2015, pari al 50% di quella relativa al personale di ruolo cessato

nell'anno precedente.

anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno

precedente

anno 2017 pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno

precedente

dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato

nell'anno precedente.

Dette assunzioni sono autorizzate con il decreto e le procedure di cui all'articolo 35,

comma 4, del d.lgs. 165/2001, previa richiesta delle amministrazioni interessate,

predisposta sulla base della programmazione del fabbisogno, corredata da analitica

dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti

economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri.

Il Dipartimento della funzione pubblica e la Ragioneria generale dello Stato

opereranno annualmente un monitoraggio sull'andamento delle assunzioni e dei livelli

occupazionali che si determinano per effetto delle suddette disposizioni.

Nel caso in cui dal monitoraggio si rilevino incrementi di spesa che possono

compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, con apposito decreto

saranno adottate misure correttive volte a neutralizzare l'incidenza del maturato

economico del personale cessato nel calcolo delle economie da destinare alle

assunzioni previste dal regime vigente.

Per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, sono fissati i

seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo indeterminato:

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2014 e 2015, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2013

e 2014;

2016 e 2017, pari al 80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2015

e 2016;

dal 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato dal 2017 in

poi.

Gli enti dovranno continuare a rispettare i vincoli previsti dall'articolo l, commi 557,

557-bis e 557-ter della legge 296/2006 (finanziaria 2007).

A decorrere dal 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per

un arco temporale non superiore a tre anni (2011-2013), nel rispetto della

programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile.

L’articolo 76, comma 7, del d.l. 112/2008 è abrogato, pertanto, gli enti locali per

effettuare nuove assunzioni non dovranno più verificare che l’incidenza della spesa

di personale rispetto a quella di parte corrente sia inferiore al 50%.

Inoltre, non dovrà più essere considerata a tal fine la spesa degli organismi

partecipati.

Le Regioni e enti locali dovranno coordinare le politiche assunzionali dei soggetti di

cui all’articolo 18, comma 2-bis del citato d.l. 112/2008 (aziende speciali, le istituzioni e

le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo) al fine di garantire

anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di

personale e spese correnti, fermo restando quanto previsto dal medesimo articolo 18,

comma 2-bis.

Resta fermo il divieto di assunzioni a tempo determinato disposto per le province

dall’articolo 16, comma 9, del d.l. 95/2012.

E’ stato introdotto nella legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) il comma 557-quater, il

quale ha previsto che a decorrere dal 2014, per l’applicazione del comma 557 gli enti

assicurano, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il

contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio

precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (2011-2013).

Le regioni e gli enti locali applicano i principi di cui all'art. 4, comma 3, del d.l.

101/2013 secondo il quale l'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo

35, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001, è subordinato alla verifica dell’esaurimento delle

graduatorie, in particolare:

a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i

vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per

assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non

temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate;

b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie

graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio 2007, relative alle

professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza.

Nel rispetto dei vincoli generali sulla spesa di personale, le regioni e gli enti locali (gli

enti indicati al comma 5), la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente

sia pari o inferiore al 25%, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a

decorrere dal 1° gennaio 2014, nel limite dell'80 per cento della spesa relativa al

personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente e nel limite del 100% a

decorrere dall'anno 2015.

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I limiti di cui al presente articolo non si applicano alle assunzioni di personale

appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d'obbligo.

I contratti di lavoro a tempo determinato delle province prorogati fino al 31 dicembre

2014, ai sensi dell'art. 4, comma 9, del d.l. 101/2013, possono essere ulteriormente

prorogati, alle medesime finalità e condizioni, fino all'insediamento dei nuovi soggetti

istituzionali, così come previsto dalla legge 56/2014.

Dall'attuazione della suddetta disposizione non devono derivare nuovi o maggiori

oneri per la finanza pubblica.

Sono state introdotte modifiche all'articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 (le più

rilevanti sono indicate al successivo articolo 11) attraverso la previsione di una deroga

ai limiti al ricorso al lavoro flessibile prevedendone la non applicabilità qualora il costo

del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione

europea.

Nell’ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla

sola quota finanziata da altri soggetti.

Tale disposizione vale anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di

pubblica utilità e ai cantieri di lavoro.

Il rispetto degli adempimenti e delle prescrizioni di cui all’articolo 3 del decreto in

commento da parte degli Enti locali deve essere certificato dai revisori dei conti nella

relazione di accompagnamento alla delibera di approvazione del bilancio annuale

dell’ente. In caso di mancato adempimento, il Prefetto presenta una relazione al

Ministero dell’interno.

Articolo 4 - Mobilità obbligatoria e volontaria

La disposizione in commento ha novellato l'articolo 30 del d.lgs. 165/2001 prevedendo

che “le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto

di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in

servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso

dell'amministrazione di appartenenza”.

Le amministrazioni fissano preventivamente i requisiti e le competenze professionali

richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a 30

giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso

passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da

possedere.

Il novellato articolo 30 ha stabilito ESCLUSIVAMENTE per il trasferimento tra le sedi

centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali

che ”in via sperimentale e fino all’introduzione di nuove procedure per la determinazione dei

fabbisogni standard di personale non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di

appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta

dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che

l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore

all'amministrazione di appartenenza”.

Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento

della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di

mobilità.

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L'amministrazione di destinazione provvede alla riqualificazione dei dipendenti la cui

domanda di trasferimento sia accolta, eventualmente avvalendosi, ove sia necessario

predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione, della Scuola nazionale

dell'amministrazione.

Nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, i dipendenti possono

essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le

amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio

dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 chilometri dalla sede cui

sono adibiti.

Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell'art.

2103 del codice civile con la conseguenza che:

- per attuare un trasferimento non è necessario che il provvedimento di

trasferimento sia motivato da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e

produttive”;

- è eliminato il riferimento all'unità produttiva.

Con decreto del ministero per la semplificazione e la pa. potranno essere fissati criteri

per realizzare passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo

accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle

amministrazioni che presentano carenze di organico.

Tali disposizioni si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che

hanno diritto al congedo parentale, e ai lavoratori che assistono persone con handicap

in situazione di gravità ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, con il consenso

degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un'altra sede.

Eventuali accordi, atti o clausole dei contratti collettivi in contrasto con tali nuovi

vincoli sono nulli.

E' stato abrogato l'articolo 1, comma 29, del d.l. 138/2011, che stabiliva che i dipendenti

delle p.a. di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, esclusi i magistrati, su

richiesta del datore di lavoro, potevano essere obbligati a effettuare la prestazione in

luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e

produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione,

secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.

Dovrà essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione

del decreto in commento (al massimo entro il 23 ottobre 2014) il decreto (ex art. 29-bis

d.lgs. 165/2001) finalizzato alla definizione dell’equiparazione fra i livelli di

inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi dei diversi comparti,.

Decorso tale termine, la tabella di equiparazione sarà adottata con decreto del

Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione.

Articolo 5 - Assegnazione di nuove mansioni

La disposizione in commento ha modificato l'articolo 34 del d.lgs. 165/2001,

concernente la gestione del personale in disponibilità.

E’ stato introdotto il comma 3-bis che ha previsto l’obbligo di pubblicazione degli

elenchi del personale in disponibilità sui siti istituzionali delle amministrazioni

competenti.

Il comma 4 è stato integrato con la previsione della possibilità per i lavoratori, nei sei

mesi antecedenti la scadenza del periodo di collocamento in disponibilità, di

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presentare istanza di ricollocazione, alle amministrazioni competenti alla tenuta degli

elenchi, in deroga all'articolo 2103 del codice civile, nell'ambito dei posti vacanti in

organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore della

stessa o di inferiore area o categoria di un solo livello per ciascuna delle suddette

fattispecie, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione.

In tal caso, la ricollocazione non potrà avvenire prima dei 30 giorni anteriori alla data

di scadenza del termine di collocamento in disponibilità di cui all'articolo 33, comma 8.

Il personale ricollocato non ha diritto all'indennità di cui all'articolo 33, comma 8

riconosciuta al personale collocato in disponibilità, e mantiene il diritto di essere

successivamente ricollocato nella propria originaria qualifica e categoria di

inquadramento, anche attraverso le procedure di mobilità volontaria di cui all'articolo

30 del d.lgs. 165/2001.

In sede di contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali maggiormente

rappresentative possono essere stabiliti criteri generali per l'applicazione delle

disposizioni relative alla procedura di ricollocazione.

Il successivo comma 6 ha previsto per le p.a., che prevederanno nel programma

triennale del personale, procedure concorsuali e nuove assunzioni a tempo

indeterminato o determinato per un periodo superiore a 12 mesi, l’obbligo di verificare

preliminarmente l’impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto

nell'apposito elenco.

I dipendenti iscritti negli elenchi potranno essere assegnati, nell'ambito dei posti

vacanti in organico, in posizione di comando presso amministrazioni che ne facciano

richiesta o presso quelle individuate dal Dipartimento della Funzione Pubblica ai sensi

dell'articolo 34-bis, comma 5-bis.

Gli stessi dipendenti potranno, altresì, avvalersi della disposizione di cui all'articolo 23-

bis che disciplina la mobilità tra pubblico e privato per dirigenti statali, diplomatici e

magistrati.

Durante il periodo in cui i dipendenti saranno utilizzati con rapporto di lavoro a tempo

determinato o in posizione di comando presso altre amministrazioni pubbliche o si

avvarranno dell'articolo 23-bis, il termine di 24 mesi per la percezione dell’80% della

retribuzione di cui all'articolo 33 comma 8 resta sospeso e l'onere retributivo è a carico

dall'amministrazione o dell'ente che utilizza il dipendente.

E’ stato, infine, introdotto il comma 567-bis alla legge 147/2013 (legge di stabilità 2014),

con la previsione del termine di 60 giorni per le procedure di ricollocazione, da parte

dell’ente controllante o della società, del personale eccedentario nell’ambito della stessa

società ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti

strumentali.

Inoltre, è stato previsto il termine di 90 giorni dall’avvio, per la conclusione degli

accordi collettivi con le organizzazioni sindacali comparativamente più

rappresentative finalizzati alla realizzazione di forme di trasferimento in mobilità dei

dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori

del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di

personale.

Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure, il personale potrà

presentare istanza alla società di cui è dipendente o all'amministrazione controllante

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per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessa società

o in altra società.

Articolo 6 - Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza

E’ stata estesa la portata del divieto ex articolo 5, comma 9 del d.l. 95/2012 applicabile

alle amministrazioni, di cui all’articolo 1 comma 2 del d.lgs. 165/2001 e per quelle

inserite nel conto economico consolidato.

Dette amministrazioni non possono conferire incarichi dirigenziali o direttivi o in

organi di governo delle amministrazioni e degli enti e società da esse controllati ai

soggetti già lavoratori, privati o pubblici, collocati in quiescenza.

Tale divieto non si applica ai componenti delle giunte degli enti territoriali e ai

componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis,

del d.l. 101/2013 (ordini, collegi professionali e relativi organismi nazionali; enti

aventi natura associativa).

Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una

durata non superiore a un anno, non prorogabile ne' rinnovabile, presso ciascuna

amministrazione.

Eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente

dell'amministrazione interessata, devono essere rendicontati.

Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito

della propria autonomia.

Tali modifiche trovano applicazione relativamente agli incarichi conferiti a decorrere

dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto).

Articolo 7 - Prerogative sindacali nelle p.a.

Dal 1° settembre 2014 i contingenti complessivi dei distacchi, aspettative e permessi

sindacali, già attribuiti al personale delle p.a. (ex artt. l, comma 2, e 3 d.lgs. 165/2001),

sono ridotti del 50% per ciascuna associazione sindacale.

Per ciascuna associazione sindacale, la rideterminazione dei distacchi è operata con

arrotondamento delle eventuali frazioni all'unità superiore e non opera nei casi di

assegnazione di un solo distacco.

La ripartizione dei contingenti ridefiniti tra le associazioni sindacali può essere

modificata con le procedure contrattuali e negoziali previste dai rispettivi ordinamenti.

In tale ambito e' possibile definire, con invarianza di spesa, forme di utilizzo

compensativo tra distacchi e permessi sindacali.

In merito alle modalità applicative si segnala la Circolare della Funzione Pubblica n. 5

del 20 agosto 2014.

Articolo 9 - Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle

avvocature degli enti pubblici

In sede di conversione la disposizione in commento è stata oggetto di integrale

riformulazione.

I compensi professionali corrisposti dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs.

165/2001, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale

dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite

retributivo di cui all'articolo 23-ter del d.l. 201/2011 (il cui parametro massimo di

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riferimento è individuato nel trattamento economico del primo Presidente della Corte

di Cassazione).

E’ stato abrogato il comma 457 dell’articolo l della legge 147/2013 e il comma 3

dell'articolo 21 del r.d. 1611/1933, ridefinendo la disciplina degli onorari per

l’avvocatura pubblica.

Secondo la nuova disciplina, nei casi di sentenza favorevole con recupero delle spese

legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati

dipendenti delle amministrazioni, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi

regolamenti e in sede di contrattazione collettiva.

La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione.

Un regime differente è previsto per gli avvocati e i procuratori dello Stato.

I regolamenti e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto in base al rendimento

individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro

della puntualità negli adempimenti processuali.

In tale sede devono inoltre essere disciplinati i criteri di assegnazione degli affari

consultivi e contenziosi, da operare possibilmente attraverso sistemi informatici,

secondo princìpi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.

In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di

transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni (sentenze successive al 25

giugno 2014), e nei giudizi in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali, ai

dipendenti sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o

contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare

il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.

In ogni caso a ciascun avvocato possono essere attribuiti compensi professionali

globalmente non

superiori al rispettivo trattamento economico complessivo.

L’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi deve avvenire entro tre mesi

dall’entrata in vigore della legge di conversione (19 novembre 2014).

In assenza di adeguamento, a decorrere dal 1° gennaio 2015, non sarà possibile

corrispondere compensi professionali ai legali interni.

Articolo 10 - Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e

abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria

La disposizione in commento ha abrogato i diritti di rogito riconosciuti al segretario

comunale e provinciale (ex articolo 41, comma 4, legge 312/1980).

Inoltre, è stato novellato l’articolo 30, comma 2, della legge 734/1973, stabilendo che i

proventi annuali dei diritti di segreteria saranno attribuiti integralmente al comune o

alla provincia.

In sede di conversione sono stati introdotti i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater.

Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i

segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento

annuale spettante al comune, é attribuita al segretario comunale rogante, in misura non

superiore a 1/5 dello stipendio in godimento, per i seguenti atti:

1) Avvisi d'asta per alienazioni, locazioni, appalti di cose e di opere, concessioni di

qualsiasi natura

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2) Verbali relativi ai procedimenti degli incanti e delle licitazioni private

riguardanti gli oggetti di cui al numero 1

3) Contratti relativi agli oggetti di cui al n. 1, anche se stipulati a seguito di

licitazioni o trattativa privata e se vi sia intervento di terzi garantiti o

cauzionanti

4) Scritturazione degli atti originali contemplati ai numeri 2 e 3 e per le copie degli

atti estratti dall'archivio

(Tabella D allegata alla legge 604/1962 e smi).

Le norme di cui al presente articolo non si applicano per le quote già maturate alla data

di entrata in vigore del presente decreto (25 giugno 2014).

E’ stato modificato l'articolo 97, comma 4, lettera c), del Tuel:

Il Segretario “roga, su richiesta dell'ente, i contratti nei quali l'ente é parte e autentica

scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”.

La modifica ha previsto che l’attività rogatoria svolta dai segretari comunali e

provinciali, quando richiesta dall’Amministrazione, è obbligatoria e non più facoltativa

come nel testo previgente.

Articolo 11 - Disposizioni sul personale delle regioni e degli enti locali

E’ stato novellato il comma 1 dell’articolo 110 del Tuel.

Gli enti locali dal 25 giugno 2014 possono prevedere, nel regolamento

sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che la copertura dei posti di responsabili dei

servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, avvenga

mediante contratto a tempo determinato in misura non superiore al 30% dei posti

istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno n.

1 unità.

Tali incarichi devono essere conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in

capo ai soggetti in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, la

comprovata esperienza pluriennale e la specifica professionalità nelle materie oggetto

dell'incarico.

La legge di conversione ha ulteriormente modificato il comma 5 dell’articolo 110 Tuel,

con estensione all’incarico di direttore generale, di cui all'articolo 108 Tuel, del

trattamento previsto per i dipendenti delle p.a. con incarichi a tempo determinato di

responsabile di servizio, in dotazione organica o extra dotazione (di cui ai commi 1 e

2), ossia il collocamento in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità

di servizio.

Nel testo originario, in vigore fino al 24 giugno 2014, era prevista la risoluzione del

rapporto di pubblico impiego nel caso in cui il dipendente fosse stato incaricato ai sensi

del comma 2 (disposizione disattesa nella maggior parte dei casi).

In sede di conversione è stato nuovamente introdotto l’articolo 19, comma 6-quater, del

d.lgs. 165/2001, che ha esteso la possibilità di conferire incarichi dirigenziali di prima e

seconda fascia per gli enti di ricerca di cui all'articolo 8 del dpcm. 593/1993.

Resta confermata l’abrogazione operata dal d.l. 90/2014 della disciplina

precedentemente prevista per gli enti locali dal comma citato 6-quater.

Per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa degli

enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il limite dei posti di dotazione

organica attribuibili tramite assunzioni a tempo determinato, nonché ai sensi di

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disposizioni normative di settore riguardanti incarichi della medesima natura, previa

selezione pubblica ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del Tuel, è fissato nel 10%.

E’ stato inserito il comma 3-bis all'articolo 90 del Tuel, utilizzando una “frase sibillina”

che di fatto consente la possibilità di affidare incarichi di staff degli organi politici

indipendentemente dal titolo di studio richiesto per l’inquadramento nella categoria

contrattuale individuata.

Il nuovo comma 3-bis stabilisce infatti “Resta fermo il divieto di effettuazione di attività

gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico,

prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.

Pertanto, in modo quasi “mascherato” si stabilisce che:

gli incarichi affidati ex art. 90 del tuel possono prevedere un compenso

“parametrato a quello dirigenziale”, anche se l’incaricato non può svolgere attività

gestionale, ma lo stipendio può essere di tale livello;

l’inquadramento in una determinata categoria prevista dal ccnl. enti locali non

rileva in quanto si possono affidare incarichi a chiunque, prevedendo stipendi

anche molto elevati (nel rispetto comunque dei limiti di spesa ex art. 1, commi

557 e ss legge 296/2006 e/o ex art. 9, comma 28 d.l. 78/2010) senza

preoccuparsi del titolo di studio posseduto dall’interessato.

E’stato modificato l’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 con la previsione secondo cui

“Le limitazioni previste dal presente comma non si applicano agli enti locali in regola con

l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della

legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nell'ambito delle risorse disponibili a

legislazione vigente”.

Pertanto, in base alla nuova disciplina del comma 28, gli enti locali, rispettosi

dell’obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell’art. 1

della legge 296/2006 (Legge finanziaria 2007) potranno effettuare assunzioni a tempo

determinato oltre il limite previsto del 50% della spesa utilizzata per le stesse finalità

nell’anno 2009.

Ai fini del rispetto dell’obbligo di riduzione della spesa sopra citato, la legge di

conversione con l’introduzione del comma 557-quater alla legge 296/2006 ha previsto

che ai fini dell’applicazione del comma 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti

dovranno assicurare, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di

personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del

triennio precedente la data di entrata in vigore della disposizione, ossia 2011-2013

All'articolo 16 del d.l. 138/2011, è stato aggiunto il comma 31-bis, con la previsione che

restano escluse dal limite di cui al citato comma 557 le assunzioni a tempo determinato

effettuate dai comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti per le sole

spese di personale stagionale strettamente necessarie a garantire l’esercizio delle

funzioni di polizia locale in ragione di motivate caratteristiche socio-economiche e

territoriali connesse a significative presenze di turisti.

Articolo 12 - Copertura assicurativa dei soggetti beneficiari difforme di integrazione

e sostegno del reddito coinvolti in attività di volontariato a fini di utilità sociale

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha istituito, in via sperimentale per il

biennio 2014-2015, un Fondo finalizzato a reintegrare l'INAIL dell'onere relativo alla

copertura assicurativa in favore dei soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre

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forme di integrazione e sostegno del reddito previste dalla normativa vigente, coinvolti

in attività di volontariato a fini di utilità sociale in favore di Comuni o enti locali.

Al fine di promuovere la prestazione di attività di volontariato da parte dei suddetti

soggetti, i Comuni e gli altri enti locali interessati, promuovono le opportune iniziative

informative e pubblicitarie finalizzate a rendere noti i progetti di utilità sociale in corso

con le associazioni di volontariato.

L'INPS, su richiesta di Comuni o degli altri enti locali, verifica la sussistenza del

requisito soggettivo degli interessati alla prestazione di dette attività.

Con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali saranno stabiliti modalità

e criteri per la valorizzazione, ai fini della certificazione dei crediti formativi,

dell'attività prestata per le predette finalità.

Articolo 13 - Abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del d.lgs. 163/2006, in

materia di incentivi per la progettazione

La disposizione in commento ha abrogato i commi 5 e 6 dell’art. 92 del d.Lgs. n.

163/2006, relativi agli incentivi per la progettazione al personale interno alle

Amministrazioni.

Articolo 13-bis Fondi per la progettazione e l’innovazione

L’art. 13-bis, introdotto in sede di conversione del decreto legge, regola i fondi per la

progettazione e l'innovazione, destinati in parte ad incentivare le attività connesse alla

progettazione delle opere pubbliche svolte da personale interno all'Amministrazione, e

in parte all'investimento in innovazione.

La norma interviene sull’articolo 93 del d.lgs. 163/2006, al quale, dopo il comma 7,

aggiunge i commi da 7-bis a 7-quinquies.

Le amministrazioni pubbliche destinano al fondo per la progettazione e l’innovazione

risorse finanziarie in misura non superiore al 2% degli importi posti a base di gara di

ciascuna opera o lavoro.

Un importo pari all’80% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e

l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri stabiliti

nel regolamento adottato dall’Ente e previsti in sede di contrattazione decentrata

integrativa, tra il RUP e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della

sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli

importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico

dell’amministrazione.

Il regolamento deve stabilire:

- la percentuale effettiva delle risorse finanziarie, entro il limite del 2%, in

rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare;

- i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità

connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a

quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale

ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e

dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi

previsti dal quadro economico del progetto esecutivo;

- i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla

singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi

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previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, depurato del ribasso

d’asta offerto.

Non devono essere considerate ai fini della decurtazione i ritardi connessi alle

varianti dovute (ex art. 132, comma 1, d.lgs. 163/2006) a:

sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari (lett. a);

cause impreviste e imprevedibili o per migliorie tecnologiche o di

materiali (lett. b);

eventi inerenti la natura dei beni (lett. c);

cause geologiche, idriche e simili non previste.

La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile previo

accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti (privi di

qualifica dirigenziale) interessati.

Ciascun dipendente non può percepire a titolo di incentivi, anche da parte di più

amministrazioni, un importo superiore al 50% del trattamento economico complessivo

annuo lordo.

Le quote parti dell’incentivo che non possono essere erogate al personale, in quanto

corrispondenti

prestazioni affidate all'esterno costituiscono economie.

In caso di mancata verifica da parte del dirigente o il responsabile del servizio, le

corrispondenti risorse non possono essere erogate e costituiscono, di conseguenza,

economie.

Il restante 20% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è

destinato a finanziare l'investimento in innovazione, attraverso l’acquisto di beni,

strumentazioni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, di implementazione

delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa per centri di

costo nonché all’ammodernamento e all’accrescimento dell’efficienza dell’ente e dei

servizi ai cittadini.

Gli organismi di diritto pubblico e le società partecipate [ex art. 32, comma 1, lett. b) e

c)] possono adottare con proprio provvedimento criteri analoghi a quelli sopra

indicati.

Articolo 16 – Nomina dei dipendenti nelle società partecipate

La disposizione in commento ha apportato alcune modifiche all’articolo 4, commi 4 e 5,

del d.l. 95/2012 relativo alla composizione del Cda delle società.

Anche la legge di conversione ha confermato l’eliminazione dell’obbligo di nominare

dipendenti dell'amministrazione socia nei consigli di amministrazione delle società

partecipate.

Il novellato comma 4 disciplina le modalità di nomina dei consigli di amministrazione

di società partecipate dagli enti pubblici (ex art. 1, comma 2 d.lgs. 165/2001), che

abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di p.a.

superiore al 90% dell'intero fatturato.

La norma conferma che tali consigli non possono essere composti da più di tre membri

nel rispetto dei vincoli in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi di cui

al d.lgs. 39/2013.

La legge di conversione ha imposto a tali organismi dal 1°gennaio 2015 di diminuire

del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la

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remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, rispetto al costo

complessivamente sostenuto nel 2013.

La norma consente ancora di poter nominare dipendenti dell'ente socio, stabilendo il

“diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate”, nel rispetto del

limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i dipendenti nominati di riversare i

relativi compensi all'ente datore di lavoro.

E’ stato nuovamente novellato anche il comma 5, il quale stabilisce che i consigli di

amministrazione delle società che nel 2011 hanno avuto un fatturato da prestazione di

servizi a favore di p.a. inferiore o pari al 90% dell'intero fatturato possono essere

composti da tre o da cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità

delle attività svolte.

Anche tali società devono ridurre del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi

degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari

cariche, rispetto al costo complessivamente sostenuto nel 2013.

Infine, anche per tali organismi è stato confermato che possono nominare dipendenti

dell'ente socio, fatto salvo il “diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese

documentate”, nel rispetto del limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i

dipendenti nominati di riversare i relativi compensi all'ente datore di lavoro.

Le nuove regole si applicano dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione

successivo al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del d.l. 90/2014).

Articolo 17, comma 4 - Ricognizione degli enti pubblici e unificazione delle banche

dati delle società partecipale

Tale disposizione prevede che, dal 1° gennaio 2015, il Ministero dell’economia e delle

finanze debba acquisire le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di

diritto pubblico e di diritto privato, detenute direttamente o indirettamente dalle p.a.

individuate dall'Istat ex lege 196/2009, attraverso:

l’utilizzo di banche dati esistenti;

la richiesta di comunicazioni da parte delle amministrazioni pubbliche ovvero

da parte delle società da esse partecipate.

Tali informazioni saranno rese disponibili nella banca dati delle p.a. di cui all'articolo

13 della legge 196/2009 (banca dati ISTAT).

Entro il 17 novembre (90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di

conversione del d.l. 90/2014), il Ministro dell'economia e delle finanze dovrà adottare

un decreto contenente le informazioni che le amministrazioni dovranno comunicare,

nonché le modalità tecniche di attuazione.

Sul sito istituzionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle

finanze e su quello del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del

Consiglio dei Ministri, sarà pubblicato l'elenco delle amministrazioni adempienti e di

quelle non adempienti all'obbligo di comunicazione.

_________________________

Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l. 66/2014

Dal 24 giugno 2014 le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo

devono attenersi al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il

contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale.

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A tal fine, spetta all’ente controllante definire con proprio atto di indirizzo, tenuto

anche conto dei propri divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, per ciascun

organismo partecipato, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di

contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun

organismo opera.

Questa la novità introdotta dalla legge di conversione del d.l. 66/2014 che ha inserito

all’articolo 4 il comma 12-bis.

Tale disposizione ha novellato nuovamente il comma 2-bis dell’articolo 18 del d.l.

112/2008 che, nella formulazione precedente, disponeva l’estensione automatica dei

divieti e delle limitazioni alle assunzioni di personale previste dalla normativa vigente

per le amministrazioni pubbliche anche in capo alle società a partecipazione pubblica

locale totale o di controllo.

Allo stato attuale, pertanto, alle società da ultimo citate, i vincoli assunzionali e di

contenimento delle politiche retributive trovano applicazione mediante la mediazione

dell’ente controllante di riferimento.

Le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo dovranno adottare tali

indirizzi con propri provvedimenti e, laddove l’ente controllante disponga indicazioni

in materia di contenimento degli oneri contrattuali, questi dovranno essere recepiti

nella contrattazione di secondo livello adottata dalla società, fermo restando il

contratto nazionale in vigore al 1º gennaio 2014.

Per le società che gestiscono servizi pubblici locali, occorre però ricordare che l’art. 3-

bis del d.l. 138/2011, così come modificato dalla legge di stabilità 2014, ha stabilito che

le stesse devono adottare, “con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento

del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3

dell'articolo 35 del d.lgs. 165/2001, nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle

politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante, ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis,

del d.l. 112/2008”.

Le società che gestiscono servizi pubblici a rilevanza economica, quindi, devono

approvare un atto interno (anche avente natura di atto di indirizzo oppure quale atto

integrativo del regolamento in cui sono disciplinate le procedure assunzionali e di

affidamento di incarichi a professionisti esterni) in cui devono essere previsti criteri di

contenimento della spesa di personale ed eventuali limitazioni per le nuove assunzioni

stabiliti dagli enti pubblici soci.

Atto necessario e propedeutico affinché le società si dotino di atti di programmazione

per il contenimento dei costi del personale è l’atto di indirizzo dell’ente socio.

A seguito dell’approvazione di tale atto del socio pubblico, le società in house

potranno adottare atti di pianificazione e programmazione del personale adeguati a

darne attuazione.

Le società dovranno inoltre approvare un atto organizzativo, in cui dovranno essere

indicate le risorse umane necessarie, sia da un punto di vista quantitativo, che

qualitativo, per l’erogazione dei servizi affidati in quel momento.

A tal proposito, appare utile richiamare quanto precisato dalla Corte dei Conti, sez.

contr. Veneto, nella deliberazione 212/2012, ai fini di fornire concrete indicazioni alle

società per l’attuazione di tale vincolo.

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I magistrati contabili hanno chiarito che in relazione alle disposizioni finalizzate al

rispetto di principi giuslavoristici che prevedono dei necessari adempimenti, deve

essere realizzata dagli organismi interessati:

la valutazione periodica, almeno triennale della consistenza ed eventuale

variazione delle dotazioni organiche, previa verifica degli effettivi fabbisogni;

la programmazione triennale del fabbisogno di personale, in linea con gli

strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale.

Difatti quest’ultimo nell'esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo dovrà

stabilire le modalità con cui verranno applicati i citati vincoli, modalità che verranno

adottate con propri provvedimenti.

______________________________

Le società pubbliche possono fallire

Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014

di Federica Caponi

Una società di capitali, partecipata della p.a., non muta la propria natura di diritto

privato solo perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni, la stessa infatti opera

nell'esercizio della propria autonomia negoziale.

Il contemperamento fra tutela dei creditori e necessità di un’efficiente gestione del

servizio non consente l’applicazione di istituti di privilegio, tipicamente previsti per

enti pubblici, come l’esenzione dal fallimento.

Pertanto, una società di capitali, di cui un comune detenga la maggioranza del capitale

può essere ammessa al concordato fallimentare come una qualsiasi altra società.

Questo il principio sancito dal Tribunale di Pescara, nel Decreto 14 gennaio 2014, con

cui ha ammesso al concordato una società, a maggioranza pubblica, che svolgeva

servizi a favore dello stesso socio pubblico.

Il Tribunale ha preliminarmente chiarito alcuni elementi in ordine alla tematica della

fallibilità delle società a partecipazione pubblica, ricordando che si sono contrapposte

due impostazioni di fondo, volte rispettivamente ad affermare e a negare la soggezione

a procedure concorsuali di tali società.

Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene possibile estendere

l’applicazione del comma 1 dell’articolo 1 della legge fallimentare.

Una primo orientamento ha aderito alla tradizionale teoria degli indici sintomatici

della pubblicità, in forza della quale la qualificazione, ai fini della disciplina

applicabile, in senso privatistico o pubblicistico, di un ente, pur formalmente definito

società per azioni, va operata caso per caso, dando prevalenza alla sostanza sulla forma

e avendo riguardo al carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al

perseguimento di finalità pubblicistiche e all'esistenza di una disciplina derogatoria

rispetto a quella propria dello schema societario.

Pertanto, l’applicazione analogica del citato articolo 1 ad un ente formalmente privato

avviene sulla base di una riqualificazione pubblicistica operata in via interpretativa,

secondo i c.d. indici esteriori sintomatici della pubblicità, individuati, ad esempio nella

costituzione ad iniziativa pubblica, nella nomina o designazione pubblica degli organi,

nello scioglimento ad iniziativa pubblica, nella sottoposizione ad amministrazione

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straordinaria, nel controllo pubblico sul bilancio preventivo e sul conto consuntivo, o

sullo statuto, nel finanziamento pubblico e nella titolarità dell'ente di potestà

pubblicistiche.

Tale interpretazione si scontra con il principio stabilito dalla legge 70/1975, che, nel

prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non

per legge, richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa

disposizione di legge, debba desumersi da un quadro normativo di riferimento chiaro

ed inequivoco.

La seconda impostazione ritiene applicabili le disposizioni di diritto pubblico, qualora

espressamente previste, e di diritto privato, in assenza di diverse previsioni, quando

non vi sia ragione di derogare ad esse in considerazione degli interessi protetti.

In questa prospettiva, l'esenzione dal fallimento viene considerata una norma posta a

garanzia della continuità di una determinata funzione, come tale suscettibile di

applicazione analogica nei confronti di società per azioni, allorquando queste ultime

siano destinate allo svolgimento di attività che abbiano rilievo pubblicistico.

Tale posizione presuppone una lacuna nell'ordinamento che comporterebbe la

“necessità di tutelare l'interesse pubblico mediante l'esenzione dal fallimento”.

L’applicazione della procedura fallimentare potrebbe comportare la lesione di interessi

meritevoli di tutela, in tutti i casi in cui l'esistenza della società sia considerata

necessaria dall'ente territoriale di riferimento.

La necessità viene ancorata al dato dell'erogazione di un servizio pubblico essenziale,

rispetto al quale, se intervenisse la dichiarazione di fallimento, si avrebbe

un'inammissibile, sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria a quella

amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere pubblicistico, quali la

decisione in ordine alla continuità o meno nella gestione del servizio.

Si sostiene che la procedura fallimentare lederebbe interessi pubblici, ponendo

problemi di compatibilità con i principi costituzionali che regolano l'agire

amministrativo.

Tale interpretazione, però, potrebbe prospettare l’esclusione dal fallimento anche per

soggetti privati che erogano, ad esempio in forza di una concessione, un servizio

pubblico.

Per quanto riguarda le società in house, qualunque sia l'indirizzo interpretativo che si

intenda seguire in ordine alla qualificabilità di una società quale ente pubblico, alcuna

conseguenza ne deriverebbe rispetto all'applicazione della legge fallimentare.

La natura del rapporto funzionale con l'ente proprietario non si riflette nei rapporti con

i terzi, né sulla disciplina normativa applicabile all'organizzazione societaria, che

rimane quella ordinaria stabilita dal codice civile.

Questo è vero anche nel caso in cui la società sia interamente partecipata da soci

pubblici e in quanto tale debba essere considerata espressione organica dell'ente

pubblico.

Il Tribunale ha chiarito che le società di capitali con partecipazione pubblica non

mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché vi sono soci pubblici

che ne posseggono le azioni.

Non assume rilievo la persona dell'azionista, dato che tale società, quale persona

giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale e gli strumenti

utilizzati per regolare il rapporto tra società ed ente locale non possono essere quelli

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autoritativi di diritto pubblico, ma l'ente può avvalersi unicamente degli strumenti

propri del diritto societario.

La legge non prevede “alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina

privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi

pubblici istituiti dall'ente locale. La posizione del Comune all'interno della società è unicamente

quella di socio di maggioranza, derivante dalla prevalenza del capitale da esso conferito; e

soltanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società avvalendosi

non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto

societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della

società” (Corte Cass., sez. civ., sent. 7799/2005).

Pertanto, il contemperamento fra la tutela dei creditori e la necessità di un’efficiente

gestione del servizio non ammette l’applicazione di istituti di privilegio che operano

sul piano dell'attività, quale l’esenzione dal fallimento.

Alla luce delle considerazioni evidenziate, il Tribunale di Pescara ha ritenuto che, in

base alla concreta situazione patrimoniale e finanziaria emergente dalla

documentazione contabile, fosse opportuno disporre la nomina di un commissario

giudiziale, fissando un termine per il deposito della proposta di concordato

preventivo, del piano e della documentazione richiesta dalla legge fallimentare o di

una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione.

___________________________

Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota

I Consiglieri non hanno diritto di accedere agli atti di una società mista, se il Comune

possiede una limitata quota del capitale sociale.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 4403 del 4 settembre

2013.

Nel caso di specie un consigliere comunale aveva chiesto di accedere agli atti di una

società partecipata dal Comune, accesso negato dalla società e successivamente accolto

dal Tar.

La società ha proposto appello al consiglio di Stato ritenendo, tra l’altro, non

ammissibile l’accesso non potendo essere assoggettata a controllo da parte del Comune

a fronte dell’esigua partecipazione in essa detenuta.

Il consiglio di Stato ha accolto il ricorso della società sulla base dell’interpretazione

dell’articolo 43 Tuel che riferisce il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti e

documenti delle aziende ed enti dipendenti dal Comune, nonché dello statuto

comunale che prevedeva tale diritto solo nei confronti di società di cui il Comune

doveva avere il controllo.

_____________________________

Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla Corte dei

Conti

Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013

di Federica Caponi

Se la società controllata da un ente pubblico svolge attività commerciale, d’impresa,

non è assoggettata alla giurisdizione della Corte dei Conti.

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La giurisdizione della Corte dei Conti infatti sussiste per responsabilità degli

amministratori di società a partecipazione pubblica, quando sia ravvisabile

contemporaneamente l’intero capitale pubblico, la società operi per statuto in via

esclusiva o prevalente in favore dell’ente socio e vi sia un reale controllo analogo da

parte dell’ente pubblico o una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria

da parte della p.a.

Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale d’appello

nella sentenza in commento, con la quale ha dichiarato la competenza del giudice

ordinario in merito ad una società che svolge attività economica sul mercato, benché il

capitale sia interamente pubblico.

Nel caso di specie, la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio aveva

condannato i membri del consiglio di amministrazione di una società a totale

partecipazione pubblica, sottoposta a poteri di vigilanza del Ministero dei beni

culturali in quanto aveva ritenuto tali soggetti responsabili del danno cagionato alla

società a causa della costituzione di una società per azioni di gestione del risparmio

(SGR), istituita con finalità di associare capitale privato.

Il carattere pubblicistico della società, secondo la Corte sarebbe dimostrato dal capitale

interamente pubblico e dallo statuto, che prevedeva poteri incisivi di direttiva e di

indirizzo riconosciuti al Ministero quale socio unico, tra cui il fatto che la società è

totalmente finanziata con danaro pubblico, è inserita funzionalmente nell'ambito delle

politiche statali nel settore di riferimento ed è assoggettata a poteri di vigilanza da

parte del Ministero che nomina i componenti degli organi societari.

I consiglieri di amministrazione hanno rilevato che il danno contestato si

sostanzierebbe in una diminuzione diretta del patrimonio della società per azioni con

capitale totalmente pubblico (e non invece in un pregiudizio per l’erario) e che, di

conseguenza, andrebbe esclusa la giurisdizione della Corte dei Conti secondo quanto

statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 26806/2009.

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei

danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite

degli amministratori o dei dipendenti quando non sussiste tra la società e l’ente socio

un rapporto di servizio, né un danno direttamente arrecato alla p.a.

Sussiste invece la giurisdizione dei magistrati contabili quando il rappresentante

dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere ha colpevolmente

trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della

partecipazione, ovvero sono stati realizzati comportamenti tali da compromettere la

ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al

perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o

quando si sia realizzato direttamente un danno al patrimonio pubblico.

E’ escluso che sussista un idoneo collegamento, per radicare la giurisdizione contabile

nei confronti degli amministratori di una società per azioni, per il solo fatto che vi sia la

totale o maggioritaria partecipazione societaria dell'ente pubblico, mentre è necessario

verificare se la società sia “un soggetto non solo formalmente, ma anche sostanzialmente

privato” (giurisdizione del giudice ordinario) o, invece, rappresenti un “mero modello

organizzatorio utilizzato dalla p.a. al fine di perseguire le proprie finalità” (Cass. SS.UU. sent.

10063/2011).

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La giurisdizione della Corte dei Conti sussiste anche in ragione della natura

sostanzialmente pubblica delle società e della loro “specialità” ravvisabile in uno

specifico e differenziato statuto giuridico o, ancora, in una specifica disposizione

legislativa che prevede, come oggetto sociale esclusivo della società per azioni, la

produzione di beni e servizi strumentali all'attività delle amministrazioni (regionali e

locali).

In merito al caso di specie, la Corte dei Conti ha ritenuto non sussistente la propria

competenza in quanto la società, nonostante sia totalmente a partecipazione pubblica e

assoggettata a un pregnante controllo da parte della p.a.:

a) non opera “in via esclusiva o prevalente in favore dell'ente pubblico socio;

b) non svolge attività “amministrativa”;

c) svolge attività di impresa, commerciale vera e propria, improntata a parametri di

concorrenza non astratta (in quanto riferibile ad un segmento di mercato) e di

economicità.

Inoltre, il danno contestato agli amministratori della società è stato individuato nel

pregiudizio sofferto dalla stessa e non dalla p.a. socia, come conseguenza di una

fallimentare iniziativa.

Infine, la società avendo creato una nuova società di gestione del risparmio, ha

realizzato sostanzialmente attività di impresa, certamente non qualificabile come

attività amministrativa.

La Corte dei Conti ha così chiarito che in merito all’accertamento della responsabilità

degli amministratori per i danni cagionati alla società pubblica in ragione di scelte

imprenditoriali connesse alla creazione di una società per la gestione del risparmio,

spetta al giudice ordinario.

_____________________________

Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento negli organici

della p.a.

Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013

di Federica Caponi

In caso di messa in liquidazione di un organismo partecipato, per il personale trasferito

dall’ente pubblico socio l’obbligo di riassunzione da parte della p.a. di provenienza

sussiste in caso di rispetto dei vincoli assunzioni, di regolamentazione al momento del

trasferimento del reintegro nel ruolo del comune e di reinternalizzazione dei servizi e

delle attività precedentemente esternalizzate.

A tal fine, inoltre, è necessario che l’ente pubblico abbia una carenza organica nei ruoli

e per le funzioni di competenza dei dipendenti già trasferiti presso l’organismo

esterno, la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al

reinquadramento, e che intenda procedere alla copertura dei posti scoperti mediante la

riammissione dei dipendenti, i quali devono essere inquadrati nella medesima

posizione giuridico – economica rivestita anteriormente al trasferimento.

Questi i principi ribaditi dalla Corte dei Conti, sezione controllo del Piemonte, con la

deliberazione 295/2013, con cui ha risposto alla richiesta di chiarimenti di un ente che

intendeva sciogliere un consorzio di cui faceva parte unitamente ad altri due comuni.

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In particolare, l’ente aveva chiesto se era possibile derogare ai vincoli in tema di spesa

di personale (riduzione tendenziale della spesa ex art. 1, comma 557, legge 296/2006;

incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente ex art. 76 del d.l. 112/2008) a

seguito del riassorbimento da parte dell’ente del personale dipendente dal consorzio.

I magistrati contabili hanno chiarito che la disciplina vincolistica in materia di spesa di

personale deve essere riferita non solo al singolo ente locale, ma anche a tutte quelle

forme di cooperazione e di esternalizzazione, che tendono a disarticolarne l’unità in

più centri giuridici (di diritto pubblico o privato), dotati di propria soggettività e

competenze, su cui l’ente, tuttavia, mantiene il controllo gestionale dall’esterno, quali

le unioni di comuni, ma anche i consorzi e le società interamente partecipate o

controllate dall’ente locale.

Pertanto, la spesa di personale deve essere valutata in senso sostanziale, sommando

alla spesa di personale propria di ciascun comune la quota parte di quella sostenuta da

un organismo partecipato, ancorché questo sia formalmente un soggetto terzo, secondo

un principio valevole per tutte le forme di esternalizzazione.

In caso di trasferimento di personale, a qualsiasi titolo, fra comuni e le varie tipologie

di organismi partecipati, in entrambe le direzioni, si deve tenere conto della somma

complessiva delle spese, calcolata sommando i dati degli enti locali che costituiscono

l’ente terzo e quelli di quest’ultimo soggetto.

La Corte ha ricordato infatti che attraverso l’utilizzo da parte degli enti locali di tali

forme organizzative non devono essere attuate operazioni elusive dei vincoli posti dal

legislatore.

Il dato relativo alla spesa per il personale transitato alla società partecipata (o

all’unione, al consorzio, etc.) e ritrasferito ad un ente partecipante, pertanto, deve

essere consolidato al dato della spesa del comune presso il quale fa rientro.

Tale modalità di calcolo deve essere attuata anche per individuare le spese di personale

sostenute nell’esercizio precedente, imputabili al comune, quale parametro di

riferimento per l’applicazione dell’obbligo di riduzione tendenziale della spesa ex art.

1, comma 557, della legge 296/2006.

La spesa di personale degli organismi partecipati, dovendo essere conteggiata in quella

complessiva per il personale dei comuni, nell’annualità in cui si verifica il rientro dei

dipendenti, soggiace ai parametri di contenimento previsti dalla legge al momento

della riassunzione negli enti di provenienza e alle relative conseguenze in caso di

violazione.

In merito al reinserimento nell’organico dell’ente locale dei dipendenti a seguito della

reinternalizzazione di un servizio, già svolto da un soggetto esterno, i magistrati

contabili del Piemonte hanno richiamato quanto chiarito dalle Sezioni riunite con la

deliberazione 8/2010, che hanno definito alcune condizioni necessarie.

In particolare, nella citata delibera, i magistrati contabili hanno precisato che i requisiti

che consentono il reinserimento di personale negli organici delle p.a. sono i seguenti:

la persistenza di una carenza organica nei ruoli e per le funzioni di competenza dei

dipendenti già trasferiti presso l’organismo esterno;

la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al

reinquadramento;

l’espressa volontà dell’amministrazione di procedere alla copertura dei posti

scoperti mediante la riammissione dei dipendenti;

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l’inquadramento dei dipendenti nella medesima posizione giuridico – economica

rivestita anteriormente al trasferimento.

Infine, la Corte dei Conti del Piemonte, ha ricordato che in caso di soppressione dei

consorzi di funzione [ex art. 2, comma 186, lett. e), legge 191/2009] sono fatti salvi i

rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione da parte dei comuni

delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con

successione dei comuni agli stessi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro

effetto.

In base al citato comma 186, tutto il personale del consorzio ha diritto al mantenimento

dell’impiego e in sede di scioglimento dell’organo associativo, i comuni devono

accordarsi in ordine al trasferimento di tutto il personale e, in particolare,

all’individuazione degli enti di destinazione di ciascun dipendente.

In ogni caso, i magistrati contabili del Piemonte hanno chiarito che i merito al

riassorbimento di personale proveniente da un consorzio disciolto i relativi

trasferimenti dovranno sottostare alle regole generali che disciplinano la materia e, in

particolare, a quelle finanziario-contabili in materia di contenimento delle spese di

personale.

Per quanto riguarda il personale delle società in house, l’ente locale, in caso di

reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni, non può

derogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della

spesa, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che rispondono a imprescindibili

esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento

finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi

comunitari (Corte dei Conti, sez. riunite, del. 26/2012).

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2/2/2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea

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02 Feb 2016

Per la dismissione delle partecipate «contralegem» l'ultima parola spetta all'assembleadi Federica Caponi

L'ente locale che ha deliberato la dismissione di una partecipata senza essere riuscito a vendere lequote, ha diritto a essere liquidato dalla società, ma la decisione deve essere discussadall'assemblea della società, che dovrà adottare misure idonee a garantirne l'attuazione. Il legislatore ha disciplinato una forma di liquidazione peculiare rispetto ai presupposti stabilitinel Codice civile per il recesso, introducendo un'ipotesi speciale valida solo per le societàpartecipate da enti pubblici, disciplinata dal comma 569 della legge 147/2013, ulteriore rispetto aquelle ordinarie contemplate dall'articolo 2437 del Codice civile; ma le decisioni assunte dall'entepubblico non vincolano automaticamente la società, essendo rimessa all'assemblea dellapartecipata la valutazione sulle modalità attuative più idonee della decisione espressa dal socio.

La vicenda Questi gli interessanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione di controllo Friuli VeneziaGiulia, nella deliberazione 158/2015 (su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Padel 25 gennaio), con cui ha risposto a una società in house, interamente controllata da entipubblici territoriali; uno degli enti partecipanti, per reperire risorse finanziarie per ripristinare ipropri equilibri di bilancio, aveva manifestato l'intenzione di dismettere una parte delle azioni insuo possesso. In particolare, la società aveva chiesto se era obbligata a liquidare la quota dell'ente socio, che nonaveva trovato un acquirente terzo, o se fosse possibile a fronte di legittime e oggettive ragioniopporsi alla richiesta, anche per evitare la riduzione delle partecipazioni dei soci a mere quotesimboliche, utili solo al mantenimento dell'affidamento in house.

Le regole «speciali» La problematica sottoposta ai magistrati contabili riguarda l'acquisizione di quote socialidismesse da un ente partecipante al capitale di una società in house, materia che è stata oggetto dinumerosi interventi legislativi negli ultimi anni, oltre che dello schema del decreto attuativo dellalegge 124/2015, appena approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri. L'articolo 2357 del Codice civile stabilisce che «la società non può acquistare azioni proprie senon nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancioregolarmente approvato. (…) L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa lemodalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, nonsuperiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed ilcorrispettivo massimo». Nel caso delle società pubbliche, però, questa disciplina, vincolante per le società di dirittocomune, è integrata da un'ulteriore serie di previsioni. Per ridurre il peso delle partecipazioni societarie degli enti locali, il legislatore ha previsto che,una volta che l'ente pubblico socio abbia qualificato come non più strettamente indispensabile la

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2/2/2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea

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presenza nel capitale di società estranee alle proprie finalità istituzionali, se per qualsiasi causanon sia riuscito a dismetterle, possa farsi liquidare dalla società il valore del suo investimento exarticolo 2437ter, comma 2, del Codice civile. In base al rinvio a questa disposizione, il socio pubblico ha diritto alla liquidazione delle azionisecondo un valore determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e delsoggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimonialedella società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delleazioni. In base a quanto previsto dall'articolo 2437ter, comma 5, i soci hanno diritto di conoscere ladeterminazione del valore di liquidazione e a presentare eventuali contestazioni. La disciplina introdotta dal comma 569 non può essere completamente assimilata al recessocodicistico, ma secondo i magistrati contabili è corretta una lettura più ampia, individuando inessa un'ipotesi di recesso sui generis, conseguente alla mancata individuazione di un acquirente.L'intento del legislatore, infatti, con la previsione del comma 569, è proprio quello di superare ledifficoltà di cessione a terzi.

Il passaggio in assemblea «Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socioriconosciuto e regolato dal Codice civile, e viene conseguita indipendentemente dallacomposizione sociale e dalla quota detenuta – altrimenti verrebbe vanificato l'obiettivo fissatodal legislatore e in definitiva costringerebbe l'ente pubblico a rimanere associato a un rischio diimpresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recessoappare come l'elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioniazionarie non strategiche», come chiarito anche dal Tar Brescia con la sentenza 1305/2015.La Corte dei conti ha però rilevato che un aspetto problematico della normativa è costituitodall'assemblea dei soci, cui compete l'approvazione del provvedimento di cessazione dellapartecipazione societaria. La natura discrezionale della scelta di strategicità, che appartiene all'ente pubblico partecipante alcapitale, non "elimina" o riduce il ruolo dell'assemblea dei soci, che deve essere convocata performalizzare la decisione, facendola recepire agli altri soci, e definirne le modalità attuative. L'assemblea potrà eventualmente individuare forme alternative al recesso dell'ente pubblico,procedendo (ad esempio) al riacquisto di azioni proprie, qualora ricorrano le condizioni previstedall'articolo 2357 del Codice civile (acquisto esclusivamente di azioni interamente liberate neilimiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmenteapprovato) o disporre misure diverse. I magistrati contabili hanno infine precisato che in coerenza con le generali regole in tema digiurisdizione, la società potrebbe anche contestare la dismissione e gli altri soci potrebberoeventualmente rivolgersi al giudice competente territorialmente e per materia con riguardo a vizieventualmente ravvisati nella regolarità del procedimento di dismissione.

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11 Feb 2015

di Federica Caponi

È illegittima costituzionalmente la legge regionale che sopprime una propria società in house e,assegnando le funzioni a un'agenzia regionale, dispone il trasferimento del personale dellapartecipata alla costituenda agenzia regionale. Non conta che la neo-costituita agenzia regionale,cui sono state affidate tutte le funzioni che prima erano della società in house, abbia la necessitàdi risorse umane per operare. Non è possibile disattendere il principio del concorso pubblico,perché tale fattispecie non configura una peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico.

La decisioneQuesto il principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza 7/2015, con la quale hadichiarato illegittimo l'articolo 13, comma 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 15gennaio 2014, n. 4, concernente «Istituzione dell'Agenzia regionale per la bonifica e l'eserciziodelle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione – Arbam» La normain questione disponeva il trasferimento del personale a tempo indeterminato della società inhouse della Regione, contestualmente soppressa, alla neocostituita agenzia regionale per labonifica e l'esercizio delle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione.La Presidenza del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale perviolazione degli articoli 97 e 117 della Costituzione.

Le motivazioniLa Corte ha ribadito che il pubblico concorso è forma generale e ordinaria di reclutamento delpersonale della pubblica amministrazione, cui si può derogare solo in presenza di peculiari estraordinarie esigenze di interesse pubblico, che devono essere funzionali al buon andamentodell'amministrazione. Il principio del pubblico concorso ad esempio non è incompatibile, nellalogica dell'agevolazione del buon andamento della Pa, con la previsione per legge di condizioni diaccesso che consentano il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessaamministrazione, ma non è ammissibile, salvo circostanze del tutto eccezionali, la riservaintegrale dei posti disponibili in favore di personale interno. La Corte ha più volte ritenutoillegittimo il mancato ricorso al concorso pubblico in relazione a norme regionali di generale edautomatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di regioni o entipubblici regionali, «perché un simile trasferimento si risolve in un privilegio indebito per isoggetti beneficiari di un siffatto meccanismo», in violazione dell'articolo 97 Cost. (sentenza134/2014).

Il casoSecondo i magistrati costituzionali, anche nel caso in cui vi sia il passaggio di attività da uno a unaltro soggetto, con conseguente trasferimento anche del personale addetto consente diprescindere dal concorso e dall'esigenza di pari condizioni di accesso di tutti i cittadini e diselezione dei migliori. In tal caso, infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro con una p.a. nonpuò che risolversi nell'insorgenza di un rapporto di impiego pubblico alle dipendenze diquest'ultima. La corte ha rilevato che è legittima la deroga al pubblico concorso quando lo

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scostarsi da tale principio «si riveli maggiormente funzionale al buon andamentodell'amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d'interesse pubblico». I giudici dellaconsulta hanno però ritenuto che la necessità della neo-costituita agenzia di garantire l'immediataoperatività, essendole state assegnate le stesse funzioni della soppressa società in house, con laconseguente, primaria esigenza di dotarsi di personale idoneo, non costituisce valido motivo perdisattendere il principio del concorso pubblico, non potendo qualificarsi tale condizione comeuna «peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico».

Le conseguenzeLa pronuncia della Corte si ritiene dovrebbe imporre alcune riflessioni se consideriamo che:• le società in house da diversi anni devono assumere nuovo personale nel rispetto delleprocedure selettive di cui all'articolo 35, comma 3 del d.lgs. 165/2001 (ex art. 18, d.l. 112/2008),ma formalmente sia ha pubblico concorso solo quando la selezione è svolta da una Pa in sensostretto;• le società sono considerate, ormai di fatto, pubbliche amministrazioni, non rilevando nellamaggioranza dei casi la loro natura di soggetti privati se non in rarissime "eccezioni";• si dovrebbe aprire presto il tema della razionalizzazione e riorganizzazione di tali organismi e laproblematica del personale costituisce un aspetto rilevantissimo, anche alla luce della crisieconomica.

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NORME E TRIBUTI 26 GENNAIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

Giurisdizione. Competenza del giudice ordinario e non del Tar

L’atto del presidente di una provincia che dispone la revoca dell’amministratore di unasocietà interamente partecipata dall’ente non è un atto amministrativo in quanto la fattispeciedifetta del potere pubblicistico. Pertanto, in caso di controversia è competente solo il giudiceordinario, al quale è rimessa la verifica della vicenda e anche quella dell’eventuale profilorisarcitorio. L’atto è addirittura inesistente come atto amministrativo.È questo il principio sancito dal Tar Calabria, sezione di Reggio Calabria, che, nella sentenza4 del 15 gennaio scorso, ha dichiarato il difetto di giurisdizione e la competenza del giudiceordinario.Al Tar si era rivolto l’ex amministratore di una società, interamente partecipata da unaprovincia, che aveva impugnato il decreto con il quale il presidente dell’ente locale lo avevarevocato dalla carica. L’interessato aveva anche proposto domanda risarcitoria per ottenere lacondanna dell’amministrazione provinciale al ristoro di tutti i pregiudizi patrimoniali(individuati nell’ammontare dei compensi non percepiti a causa della revoca anticipata,ritenuta illegittima) e non patrimoniali.Il Tar ha chiarito che tra le società a capitale interamente pubblico devono differenziarsiquelle che svolgono attività di impresa da quelle che esercitano attività amministrativa. Leprime sono assoggettate, in linea di principio, allo statuto privatistico dell’imprenditore, leseconde soggiacciono allo statuto pubblicistico della pubblica amministrazione. Per stabilirequando ricorre la prima o la seconda fattispecie occorre aver riguardo:alle modalità di costituzione;alla fase dell’organizzazione;alla natura dell’attività svolta e al fine perseguito. Il che significa applicare il principiosancito dalla sentenza 326/2008 della Corte costituzionale, la quale ha distinto tra attivitàamministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici.I giudici amministrativi, relativamente al caso esaminato, hanno precisato che:?la società è stata costituita per iniziativa della provincia, che è socio totalitario al 100 percento;?l’organo amministrativo, a regime, è composto da un consiglio di amministrazione di tremembri, dei quali uno nominato dal socio unico, gli altri due nominati dal consiglioprovinciale, uno per la maggioranza e uno per la minoranza a maggioranza semplice e convotazione separata;?la società ha a oggetto una serie di molteplici attività anche di natura economica;?il finanziamento dell’ente, oltre che dal capitale sociale ovvero dai finanziamenti del sociounico, viene ritratto dai proventi e dagli introiti derivanti dall’esercizio delle attività conferitesecondo una logica corrispettiva;?nello statuto non è disciplinata espressamente la revoca dell’organo amministrativo.Alla luce di queste considerazioni, dall’analisi delle scritture contabili e del bilancio lasocietà ha natura privatistica, nonostante abbia un’indubbia caratterizzazione pubblicistica.La società è qualificabile, secondo i giudici amministrativi, come un organismo esercenteattività di impresa, seppur di rilievo pubblicistico. Pertanto, la società per quanto riguarda gliistituti della nomina e della revoca degli amministratori è assoggettata al diritto societario,alle prescrizioni statutarie e alle disposizioni organizzative derivanti dall’applicazione delleregole di diritto privato.Secondo il Tar, quindi, il presidente della Provincia difettava di un potere pubblicistico direvoca e il ricorrente è titolare di un diritto soggettivo dinanzi all’esercizio di una revoca(privatistica) di competenza del giudice ordinario, al quale spetta anche la verifica in meritoal conseguente ed eventuale risarcimento. Manca infatti una norma che riconosca questopotere a una Pa; quindi, più che di nullità dell’atto, dovrebbe parlarsi di inesistenza dellostesso come atto autoritativo.© RIPRODUZIONE RISERVATAFederica Caponi

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Aziende speciali e assunzioni di personale

Competenza del giudiceamministrativo in caso di nuoveassunzionidi Federica CaponiConsulente di enti locali

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L’azienda speciale e una forma peculiare di articolazione del comune di riferimento, quindi,in caso di nuove assunzioni vige il principio del concorso pubblico, tramite procedure intutto e per tutto assimilabili alle procedure selettive dell’ente pubblico. Pertanto, il regimegiuridico pubblico, che deve essere rispettato in caso di nuove assunzioni effettuate dagliorganismi partecipati, impone il rispetto del principio di imparzialita amministrativa, e nonla logica imprenditoriale, determinando la competenza del Giudice amministrativo

Premessa

Le aziende speciali, cosı come le societa in house,possono essere considerate enti che rappresentanodelle vere e proprie articolazioni della p.a., attesoche gli organi di queste sono assoggettate a vincoligerarchici facenti capo all’ente locale di riferimen-to.Pertanto, i dipendenti di tali organismi sono legatial comune da un rapporto di servizio come avvieneper i dirigenti preposti ai servizi direttamente ero-gati dall’ente pubblico.L’art. 7, comma 2, del c.p.a. stabilisce espressa-mente che ‘‘Per pubbliche amministrazioni, ai finidel presente codice, si intendono anche i soggettia esse equiparati o comunque tenuti al rispettodei principi del procedimento amministrativo’’,quindi, tale norma e gia di per se idonea a radicarela giurisdizione del G.A. in relazione ad atti di sog-getti che, pur avendo una natura privatistica, comenel caso delle aziende speciali e degli enti pubblicieconomici in generale, sono tenuti al rispetto deiprincipi del procedimento amministrativo.Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato,sez. V, nella sentenza n. 820 del 20 febbraio2014, con la quale ha accolto il ricorso presentatoda una dipendente di un’azienda speciale avversoil provvedimento di approvazione degli atti dellaselezione comparativa per la scelta del direttore ge-nerale dell’azienda.Il Tar, in primo grado, aveva dichiarato il difetto di

giurisdizione del Giudice amministrativo in favoredel giudice ordinario.Secondo il Tribunale, sarebbero di competenza delgiudice ordinario le controversie relative al rappor-to di lavoro del personale degli enti pubblici econo-mici, tra cui sono annoverabili anche le aziendespeciali.Gli interessati avrebbero dovuto adire il giudice dellavoro anche in caso di procedura concorsuale, inquanto la discrezionalita di un ente pubblico econo-mico che permea la fase selettiva non e espressionedi una potesta pubblica di autorganizzazione, masempre esercizio di capacita e poteri di matrice pri-vatistica.Pertanto, vi sarebbe la competenza del giudice or-dinario sia sotto il profilo del rispetto delle disposi-zioni normative e contrattuali, che sotto quello del-l’osservanza dei principi generali di correttezza, ditutela dell’affidamento legittimo e di divieto dell’a-buso del diritto.Tale pronuncia e stata impugnata di fronte al Con-siglio di Stato.I giudici amministrativi hanno chiarito che le azien-de speciali in quanto enti strumentali del comune,devono essere considerate alla stregua di una p.a.Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter, della leggen. 241/1990, ulteriormente rafforzato dalla legge n.190/2012, ‘‘I soggetti privati preposti all’eserciziodi attivita amministrative assicurano il rispetto deicriteri e dei principi di cui al comma 1’’, ovverodei principi del procedimento amministrativo.

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L’azienda speciale, quindi, anche se qualificabileformalmente come soggetto privato, in quanto pre-posta (anche) all’esercizio di attivita amministrati-ve, e un organismo assoggettato al rispetto di taliprincipi.

Le peculiarita dell’azienda speciale

L’azienda speciale e qualificabile come ente pub-blico economico e in quanto tale e vincolata, oltreall’iscrizione nel registro delle imprese, alla disci-plina di diritto privato per quanto attiene al profilodell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipenden-ti (come confermato anche dalla Corte di cassazio-ne, sez. un., sentenza n. 12654/1997 e dal Tar Ligu-ria, sez. II, sentenza n. 272/1995).I contratti collettivi di lavoro non sono quelli delsettore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in ri-ferimento al settore merceologico di appartenenza.La giurisprudenza amministrativa ha escluso ancheche i dipendenti di un’azienda speciale possano in-vocare l’applicazione del testo unico sul pubblicoimpiego, in quanto gli enti pubblici economicinon rientrano nella nozione di amministrazionepubblica (Cons. Stato, sez. V, n. 641/2012).L’azienda speciale, inoltre operando come unaqualsiasi impresa commerciale, soggiace al regimefiscale proprio delle societa di diritto privato e,quindi, e soggetto passivo di imposta distinto dal-l’ente locale, ai fini del pagamento di Iva, Ires eIrap (Cass., sez. V, sent. n. 7906/2005).Tale organismo pero, in quanto ente strumentaledel comune, e un elemento del sistema ‘‘ente loca-le’’, che nel proprio agire deve conciliare il rispettodell’autonomia decisionale che, in astratto, consen-te all’azienda speciale stessa di effettuare scelte ditipo imprenditoriale, e l’essere sostanzialmente par-te della p.a.I connotati caratteristici dell’azienda speciale, comeespressamente previsto dall’art. 114 del Tuel, sonola strumentalita, la personalita giuridica el’autonomia imprenditoriale.L’attribuzione alle aziende speciali della personali-ta giuridica e dell’autonomia imprenditoriale rap-presenta, indubbiamente, il punto di arrivo di unlungo processo normativo teso ad avvicinare sem-pre piu le aziende al modello organizzativo dell’en-te pubblico economico.In sostanza, la personalita giuridica, l’autonomiaimprenditoriale e la strumentalita dell’azienda spe-ciale, rispetto all’ente locale conferente, evidenzia-no come la scelta del legislatore sia ricaduta, perquanto attiene al modello astratto di gestione, senzadubbio sul cd. ‘‘modello aziendale’’ rispetto al piuarcaico sistema delle ‘‘municipalizzate’’.

L’azienda speciale, quindi, non e piu vista come unorgano di esecuzione delle determinazioni dell’entelocale, ma e un’impresa retta da principi pubblici-stici alla quale si applica, sostanzialmente, la disci-plina del Codice civile.Non vi e alcun dubbio in ordine all’ascrivibilitadelle aziende speciali alla categoria degli enti pub-blici economici.A tal proposito, e necessario ricordare infatti chesono enti pubblici quegli organismi:— la cui personalita giuridica e riconosciuta diret-tamente dalla legge, secondo norme di diritto pub-blico;— diversi dallo Stato;— strumentali alla p.a. di riferimento che svolgeattraverso questi la propria funzione amministrati-va;— idonei a essere titolari di poteri amministrativi;— svolgono una funzione di pubblico interesse.Si ricorda che secondo quanto chiarito dall’Istitutonazionale di statistica (Istat), nella ‘‘Classificazionedelle forme giuridiche delle unita legali’’, che haclassificato le forme giuridiche disciplinate dal di-ritto privato e dal diritto pubblico (1) in 16 divisio-ni e 62 classi, attribuendo a ciascun organismo uncodice a quattro cifre, dove la prima cifra individuala sezione, la seconda la divisione e le ultime due laclasse, le aziende speciali sono state inserite nellasezione 1.6 - Ente pubblico economico, aziendaspeciale e azienda pubblica di servizi (2).Per quanto riguarda le aziende speciali, in dottrinae in giurisprudenza, negli anni si e consolidato l’o-rientamento secondo il quale queste sono ‘‘entiche, operando nel campo della produzione di benie servizi e svolgendo attivita prevalentemente oesclusivamente economiche, informano la propriaattivita al criterio della obiettiva economicita, intesa

Note:(1) Le fonti giuridiche prese in considerazione per la realizzazione della classifi-cazione sono la Costituzione della Repubblica, il Codice civile e la legislazionespeciale. Inoltre, per cogliere alcuni fenomeni non riconducibili alle forme giu-ridiche tipiche l’Istat ha fatto riferimento alla giurisprudenza.

(2) 1.6.10 - Ente pubblico economicoGli enti pubblici economici pur essendo regolati da norme di legge, possiedonoun accentuato grado di autonomia finanziaria patrimoniale amministrativa econtabile: personalita giuridica e patrimonio proprio, propri organi di gestionee controllo, bilanci propri (ma vi era anche un controllo esterno, contabile e digestione, affidato alla Corte dei conti).1.6.20 - L’azienda speciale e ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. n. 267/2000.E un ente di gestione di pubblici servizi locali, dotato di autonomia imprendito-riale nonche statutaria. Tale modalita di gestione e stata prevista quando losvolgimento dei servizi pubblici locali implica un’attivita imprenditoriale caratte-rizzata dalla snellezza, managerialita.Rappresenta una delle forme con cui gli enti locali possono provvedere alla ge-stione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e attivitarivolte a realizzare fini sociali.

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quest’ultima come necessita minima di coperturadei costi dei fattori di produzione attraverso i rica-vi’’ (Cass., sez. unite, sent. 15 dicembre 1997, n.12654; Cass. sez. unite, sent. n. 7639/2008).E principio consolidato in giurisprudenza che ‘‘none l’oggetto dell’attivita che determina il discriminetra ente pubblico non economico, ente pubblicoeconomico e azienda speciale, ma la struttura giuri-dica e il modo in cui l’ente esercita la propria atti-vita’’ (Cass. sez. unite, sent. n. 15661/2006).A riprova della qualita di ente pubblico economico,l’art. 114 comma 4 del Tuel statuisce che l’aziendaha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguireattraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, com-presi i trasferimenti.

Strumentalita

La qualificazione dell’azienda speciale quale entestrumentale dell’ente locale rivela l’esistenza diun collegamento inscindibile tra l’azienda e il co-mune.Il principio di strumentalita dell’attivita di gestionedeve essere inteso come identificazione dello scoposociale nella cura degli interessi della comunita lo-cale, perseguibili attraverso l’attivita di gestionefunzionalmente svolta dall’azienda nei settori deiservizi pubblici per i quali la stessa e stata costituita(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 4586/2001).L’ente locale ‘‘si serve’’ dell’azienda speciale perlo svolgimento di un servizio e, quindi, per soddi-sfare un’esigenza della collettivita.In quest’ottica, spetta all’ente locale esclusivamen-te la fase ‘‘politica’’ della determinazione degliobiettivi e della vigilanza sul perseguimento e rag-giungimento di questi.La strumentalita dell’azienda speciale e il regimenormativo vigente in materia pretendono, in defini-tiva, un collegamento molto saldo, seppur di natura‘‘funzionale’’, tra l’attivita dell’azienda e le esigen-ze della collettivita stanziata sul territorio dell’enteche l’ha costituita.I vincoli che legano l’azienda speciale al comunesono pertanto molto stretti sia sul piano della for-mazione degli organi, che su quella degli indirizzi,dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere‘‘elemento del sistema amministrativo facente capoallo stesso ente territoriale’’ (Corte cost., sent. n.28/1996).

Personalita giuridica

L’attribuzione della personalita giuridica, ai sensidel citato art. 114 del Tuel, rende l’azienda specialeun soggetto a se stante rispetto all’ente locale di ri-ferimento che l’ha costituita.

L’azienda dunque non e piu un organo dell’ente lo-cale a legittimazione separata, come era l’aziendamunicipalizzata prevista dal R.D. n. 2578/1925.L’attribuzione della personalita giuridica pero nonha mutato la natura pubblica e non ha trasformatol’azienda in un soggetto privato, ma l’ha solo con-figurata come un nuovo centro di imputazione disituazioni e rapporti giuridici, distinto dal comune,con una propria autonomia decisionale.Tale riconoscimento ha reso necessario che l’a-zienda effettui autonome scelte di tipo imprendito-riale e organizzative, connesse ai fattori della pro-duzione, secondo modelli propri dell’impresa pri-vata, compatibilmente pero con i fini sociali del-l’ente titolare, per il conseguimento di un maggio-re grado di efficacia, efficienza e economicita delservizio.L’azienda speciale e soggetto istituzionalmente di-pendente dall’ente locale ed e legata a questo dastretti vincoli (sul piano della formazione degli or-gani, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza),al punto da farla ritenere un elemento del sistemaamministrativo facente capo allo stesso ente territo-riale, ovvero, pur con l’accentuata autonomia deri-vante dall’attribuzione della personalita giuridica,anche parte dell’apparato amministrativo del comu-ne (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4850/2000; sent. n.2735/2000; sent. 4586/2001; Corte cost., sent. n.28/1996).Il riconoscimento della personalita giuridica all’a-zienda speciale comporta, oltre l’iscrizione nel regi-stro delle imprese, alla sua assoggettabilita al regi-me fiscale proprio delle aziende private (Cons. Sta-to, sez. III, sent. 18 maggio 1993, n. 405) e alla di-sciplina di diritto privato per quanto attiene al pro-filo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei di-pendenti (Tribunale di Milano, sez. lavoro, sent.n. 4776/2011; Tribunale di Ragusa, sez. lavoro,sent. n. 711/2013; Tar Liguria, sez. II, sent. 24maggio 1995, n. 272).

Autonomia imprenditoriale

Con il riconoscimento dell’autonomia imprendito-riale il legislatore ha voluto evidenziare che l’azien-da non deve essere vista come un organo di esecu-zione delle determinazioni dell’ente locale, ma co-me un’impresa alla quale si applica, salvo eccezio-ni, la disciplina del Codice civile.La capacita imprenditoriale non va oltre tali confi-ni, anzi subisce restrizioni.E sufficiente a rilevarlo il fatto che spetta al comu-ne la fissazione delle tariffe dei servizi prodotti dal-l’azienda speciale.L’azienda speciale, comunque anche nella sua nuo-va configurazione, resta un soggetto pubblico e la

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sua azione e regolata dal diritto pubblico e si espri-me con atti amministrativi autoritativi.Per l’azienda speciale, come per tutti i soggetti pub-blici, anche la negoziazione privatistica e regolatada procedure di diritto pubblico, da atti amministra-tivi e deliberazioni, attraverso i quali si concretizzain forma procedimentale la volonta dell’ente cheprecede la conclusione del negozio (Cons. Stato,sez. V, sent. n. 4850/2000 e sez. V, sent. n.2735/2000).Il patrimonio delle aziende speciali e sottoposto alregime della proprieta privata e il rapporto di lavo-ro con i dipendenti rientra nella contrattazione col-lettiva di diritto privato.L’economicita della gestione, non riconducibile aun fine di lucro, pretende come per tutti gli entieconomici la copertura dei costi corrispondenti allaremunerazione dei fattori della produzione impie-gati.L’autonomia imprenditoriale esclude che gli entilocali possano sostituirsi alle aziende nelle sceltedi espletamento dei servizi loro affidati, fatta ecce-zione per i poteri di indirizzo, controllo e vigilanzariconosciuti all’ente di appartenenza, che ne appro-va il bilancio e tutti gli atti fondamentali.

Vincoli e limiti

L’azienda speciale deve informare la propria attivi-ta a criteri di efficacia, efficienza ed economicita eha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguireattraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, com-presi i trasferimenti.Nell’ambito della legge, l’ordinamento e il funzio-namento delle aziende speciali e disciplinato dallostatuto e dai regolamenti.Dal 2013, le aziende speciali e le istituzioni devonoiscriversi e depositare i propri bilanci al registrodelle imprese o nel repertorio delle notizie econo-mico-amministrative della camera di commercio,industria, artigianato e agricoltura del proprio terri-torio entro il 31 maggio di ciascun anno.Le aziende speciali inoltre devono rispettare le di-sposizioni del D.Lgs. n. 163/2006 e le disposizioniche stabiliscono, a carico degli enti locali di riferi-mento, divieti o limitazioni alle assunzioni di per-sonale, contenimento degli oneri contrattuali e del-le altre voci di natura retributiva o indennitaria eper consulenza anche degli amministratori, oltreagli obblighi e limiti alla partecipazione societariadegli enti locali.Spetta agli enti locali conferenti vigilare sull’osser-vanza di tali vincoli e prevedere eventuali deroghea favore delle aziende che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, servizi scolastici e perl’infanzia, culturali e farmacie.

Inoltre, tutte le aziende speciali, in quanto enti stru-mentali dell’ente locale, sono assoggettate a unvincolo di territorialita per quanto riguarda lapossibilita di svolgere attivita a favore di enti diver-si rispetto a quello di appartenenza.Tale limite sussiste nel caso in cui l’azienda intendaacquisire direttamente l’affidamento di uno o piuservizi da parte di un soggetto diverso dall’enteconferente.L’art. 5 del D.P.R. n. 902/1986 ha previsto che ‘‘ilcomune puo deliberare (...) l’estensione dell’attivitadella propria azienda di servizi al territorio di altrienti locali, previa intesa con i medesimi, sulla basedi preventivi d’impianto e d’esercizio formulatidall’azienda stessa. Con lo stesso atto deliberativoe approvato lo schema di convenzione per la disci-plina del servizio e per la regolazione dei conse-guenti rapporti economico-finanziari, fermo restan-do che nessun onere aggiuntivo dovra gravare sul-l’ente gestore del servizio’’.A tal proposito, e necessario ricordare che il Consi-glio di Stato, in numerose sentenze (tra cui, n.6325/2004; n. 4586/2001; n. 475/1998) ha chiaritoche l’estensione dell’attivita delle aziende specialial di fuori del territorio dell’ente che le ha costitui-te, richiede il rispetto delle regole procedimentali edei limiti sostanziali posti dalle norme positive epresuppone l’interesse della collettivita dell’enteconfinante.La giurisprudenza infatti ha ribadito piu volte chel’azienda speciale puo svolgere attivita esclusiva-mente per l’ente locale di riferimento.Nel caso in cui il comune sottoscriva accordi conaltri enti confinanti per lo svolgimento di servizidi interesse per i propri cittadini, gestiti dall’azien-da speciale, e possibile, previo accordo tra gli enti,che l’azienda sia affidataria da parte del proprio co-mune, dello svolgimento delle attivita anche a fa-vore dei cittadini degli enti aderenti all’accordo.La giurisprudenza ha infatti da sempre richiesto uncollegamento funzionale tra il servizio eccedentel’ambito locale e le necessita della collettivita loca-le (3).L’azienda speciale di un comune, infatti, ‘‘puo an-

Nota:(3) Il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23 aprile 1998, n. 475, ha chiarito chel’estensione dell’attivita delle aziende speciali comunali al di fuori del territoriodell’ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamentofunzionale - che non puo essere ridotto al puro dato dell’interesse imprendito-riale - tra il servizio eccedente l’ambito locale e le necessita della collettivita lo-cale.Tale collegamento funzionale sussiste, ad esempio, nel caso dell’integrazionefunzionale della propria attivita con quella del comune confinante, sicche ven-gono in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettivita stanziata sulterritorio dell’ente che l’ha costituita.

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che estendere il proprio servizio in un altro comu-ne, ma a patto che cio realizzi un’integrazione fun-zionale della propria attivita con quella del comunevicino’’.L’azienda speciale, quindi, puo esercitare attivita aldi fuori del territorio dell’ente costituente sulla basedi specifiche convenzioni tra enti locali, nell’ambi-to delle quali i comuni possono disporre l’affida-mento di taluni servizi all’azienda speciale.Il Consiglio di Stato ha precisato che tali limiti epossibilita per le aziende speciali derivano dall’ele-mento della strumentalita e sono le stesse norme aindicare il nesso eziologico che necessariamentedeve sussistere tra le funzioni, che e chiamata adassolvere l’azienda, quale ente strumentale del co-mune che l’ha costituita, e la tutela degli interessidi cui sono portatori i cittadini residenti nel comunestesso.L’azienda pertanto puo realizzare la propria attivitaverso l’esterno, oltre la stretta dimensione localedell’ente di riferimento, solo nei casi e con le mo-dalita previste dalle speciali disposizioni in tema diconvenzioni (ed eventualmente di consorzi), ai sen-si degli artt. 30 e 31 del Tuel e dell’art. 5 del D.P.R.n. 902/1986 (4).Al contrario, al di fuori degli speciali moduli con-venzionali e consorziali tra enti locali previsti dallenorme di legge e regolamentari, le aziende specialinon sono legittimate a partecipare alle gare perl’appalto di pubblici servizi da svolgersi presso al-tri enti locali (5), in concorrenza con altri soggettiprivati e alla stregua di una qualsiasi impresa ope-rante sul mercato.L’eventuale convenzione sottoscritta tra gli enti lo-cali dovra disciplinare le modalita attuative e i rap-porti economici tra gli enti.Una tale scelta organizzativa potra essere adottatadal comune tramite delibera del consiglio comunaleche, oltre ad approvare lo schema convenzionale,potra disporre l’affidamento del servizio alla pro-pria azienda speciale.

Le procedure assunzionali

Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commen-to (6), ha chiarito che le procedure selettive perl’assunzione di dipendenti di un’azienda speciale,considerato che questa e qualificabile come unap.a. per la quale vige il principio del concorso pub-blico, sono in tutto e per tutto assimilabili alle pro-cedure concorsuali di un ente locale, di cui l’azien-da speciale e ente strumentale.Il Consiglio di Stato ha ricordato che per pubblicheamministrazioni, secondo il Codice amministrativo,si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o

comunque tenuti al rispetto dei principi del proce-dimento amministrativo.Inoltre, l’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 241/1990 stabilisce che ‘‘i soggetti privati preposti al-l’esercizio di attivita amministrative assicurano ilrispetto dei criteri e dei principi di cui al comma1’’, pertanto, secondo i giudici amministrativi ‘‘ealtrettanto indubbio che un’azienda speciale, anchese qualificabile come soggetto privato, e preposto(anche) all’esercizio di attivita amministrative’’.Sotto il profilo sostanziale, le aziende speciali, cosıcome le societa in house, come di recente affermatodalle sezioni unite della Corte di cassazione (sen-tenza 25 novembre 2013, n. 26283, ribadito con or-dinanza 2 dicembre 2013, n. 26936), possono esse-re considerate come enti che rappresentano dellevere e proprie articolazioni della p.a.Gli organi di tali organismi sono assoggettati a vin-coli gerarchici nei confronti delle p.a., i cui compo-nenti sono legati a quest’ultima da un rapporto diservizio, come avviene per i dirigenti preposti aiservizi direttamente erogati dall’ente pubblico(per le aziende speciali, qualificate espressamentequali enti strumentali dei comuni, Cass., sez. un. ci-vili, sent. n. 14101/2006).Gli organismi controllati dalle p.a., tra cui rientranole aziende speciali, altro non sono che forme pecu-liari di articolazione della stessa p.a.Pertanto, anche per quanto riguarda le procedureassunzionali poste in essere dalle aziende speciali,in quanto hanno la stessa natura delle procedure se-lettive per l’assunzione dei dipendenti pubblici, ecompetente il giudice amministrativo.Infine, e necessario ricordare che l’art. 18 del D.L.n. 112/2008, modificato dalla legge n. 147/2013

Note:(4) Il Consiglio di Stato, sez. V, n. 2360 del 27 aprile 2010, ha chiarito che uncomune puo legittimamente avvalersi dell’azienda speciale di altro comune perla gestione di un proprio servizio, a seguito di convenzione stipulata nel conte-sto della normativa di cui al D.P.R. n. 902/1986, in quanto, sulla base del com-binato disposto dell’art. 5 del D.P.R. n. 902 cit. e dell’art. 24 della legge n. 142/1990, puo delinearsi un modello procedimentale tipizzato (conclusione diun’intesa disciplinante aspetti predeterminati, deliberazione con maggioranzaqualificata dell’estensione dell’attivita dell’azienda speciale al territorio dell’altroente locale) per l’adozione di una formula organizzatoria alternativa alla conclu-sione di contratti con imprese in concorrenza tra loro. Rispetto a tale moduloconvenzionale rimane interdetta anche l’applicazione della disciplina comunita-ria in tema di procedure di appalto, posta a tutela del mercato e della concor-renza (Riforma della sentenza del Tar Lombardia - Milano, sez. III, n. 1905/1997).In tal senso, Tar Lazio Roma, sez. II, sent. n. 11799/2006.

(5) Il Tar Sicilia, Palermo, sez. II, con la sentenza n. 331/2005 ha ribadito cheun’azienda speciale non puo partecipare a una gara per l’affidamento della ge-stione di un servizio pubblico al di fuori del proprio territorio, tranne che nei casidi avvenuta stipula di apposite convenzioni.

(6) Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 820/2014.

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(legge stabilita 2014) ha previsto che gli organismiche gestiscono servizi pubblici locali a totale parte-cipazione pubblica, sono obbligati a dotarsi, me-diante ‘‘propri provvedimenti’’, di criteri e modali-ta per il reclutamento del personale conformi aiprincipi richiamati dall’art. 35, comma 3, delD.Lgs. n. 165/2001 in materia di reclutamento delpersonale.Il legislatore ha inteso introdurre, a carico di tali en-ti vincoli di trasparenza, imparzialita, pubblicita edeconomicita in particolare per il reclutamento delpersonale che l’art. 97 della Costituzione imponeper le p.a. e gli enti pubblici strettamente intesi.

Tale nuova attenzione posta dal legislatore rendedunque obsoleto e non piu condivisibile l’indiriz-zo espresso dalla giurisprudenza amministrativafino ad ora, secondo cui ‘‘appartengono alla co-gnizione del giudice ordinario le controversie rela-tive al rapporto di lavoro del personale degli entipubblici economici, anche se inerenti alla proce-dura concorsuale che precede la costituzione delsuddetto rapporto, in quanto la discrezionalitache permea la fase concorsuale non e espressionedi una potesta pubblica di autorganizzazione maesercizio di capacita e poteri di matrice privatisti-ca’’.

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Reperimento risorse per interventi in ambito culturale e sociale

Il comune non puo costituireuna fondazione per ricercadi finanziamentidi Federica CaponiConsulente di enti locali

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Non e legittima la costituzione di una fondazione da parte di un comune per il reperimentoe la gestione di risorse per attivazione di interventi nel campo della cultura, della solidarietasociale e del turismo. Tale ‘‘scopo’’ istitutivo e qualificabile come attivita di raccolta e digestione di provvista finanziaria per la realizzazione di politiche di carattere sociale, didiretto interesse comunale, ma data la strumentalita della fondazione rispetto all’entelocale, questa incasserebbe somme in entrata al di fuori delle garanzie e delle procedureprescritte dall’ordinamento, in quanto fattispecie gestionale di carattere atipico

PremessaUn comune si e rivolto alla sezione di controllodella Corte dei conti della Sardegna per sapere sesia legittima la costituzione di una fondazione perla raccolta di risorse finanziarie (consistenti in libe-ralita, donazioni e similari da parte di enti e privaticittadini), per la loro successiva gestione/destina-zione da parte della stessa fondazione in favore dispecifici eventi culturali e di solidarieta socialenel territorio del comune.Il comune ha anche precisato che in favore dellafondazione avrebbe concesso l’utilizzo gratuito diuno specifico immobile di proprieta comunalecon spese di gestione, utenze, pulizia, manutenzio-ne e similari interamente ed esclusivamente a cari-co della fondazione, che non avrebbe beneficiato dinessun altro ausilio economico da parte dell’ente,ne di ‘‘sovvenzionamenti’’ in natura.I magistrati contabili della Sardegna, con la delibe-razione n. 19 del 10 aprile 2014, hanno risposto ne-gativamente, ritenendo il reperimento e la gestionedi risorse per attivazione di interventi nel campodella cultura, della solidarieta sociale e del turismo,di diretto interesse comunale, attivita afferentiesclusivamente alla sfera di intervento proprio delcomune.Se tali attivita fossero trasferite a una fondazione,‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate aldi fuori delle garanzie e delle procedure prescritte

dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispeciegestionale di carattere atipico.’’.La fondazione al massimo potrebbe essere costitui-ta solo come struttura amministrativa di supporto alcomune, cui affidare esclusivamente l’attivita am-ministrativa, propedeutica di back office.Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolverei compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso lapropria struttura organizzativa.Il reperimento delle risorse per la realizzazione difinalita istituzionali non puo essere ‘‘demandato otrasferito’’ a un organismo terzo, esterno al comu-ne, in quanto trattasi di una funzione propria del-l’ente locale, cui lo stesso deve far fronte esclusiva-mente attraverso la propria struttura burocratico-amministrativa, con propri dipendenti.

Le fondazioni e gli enti locali

La Corte dei conti ha aumentato negli ultimi annil’attenzione verso le fondazioni costituite da entilocali, non mostrando particolare favore verso talemodello organizzativo.I magistrati contabili hanno sempre posto l’atten-zione sulla natura giuridica di tali organismi, qualienti morali riconosciuti, dotati di personalita giuri-dica, disciplinati dal Codice civile, che hanno qualeelemento costitutivo essenziale l’esistenza di un

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‘‘patrimonio’’ destinato alla soddisfazione di uno‘‘scopo’ di carattere ideale (artt. 14 e segg.).Il ‘‘patrimonio’’ non e solo elemento costitutivodella fondazione, ma ‘‘e la caratteristica che distin-gue e differenzia questo istituto dall’associazione,che ha quale elemento essenziale la personalita del-la partecipazione di una pluralita di soggetti, fina-lizzata al raggiungimento di uno scopo’’, comechiarito anche dalla Corte dei conti, sez. contr.del Piemonte, nella deliberazione n. 24/2012.Le fondazioni, come chiarito anche dalla giurispru-denza costituzionale, hanno natura privata e sonoespressione delle ‘‘organizzazioni delle liberta so-ciali’’, costituendo i cosiddetti corpi intermedi,che si collocano fra Stato e mercato, e che trovanonel principio di sussidiarieta orizzontale, di cui al-l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione,un preciso richiamo e presidio rispetto all’interven-to pubblico (Corte cost., sentenza n. 300/2003 e n.301/2003).I magistrati contabili hanno evidenziato che la ca-ratteristica essenziale della fondazione e l’esistenzadi un patrimonio che deve consentirle di svolgerel’attivita ordinaria.Si tratta di un requisito essenziale, tant’e che, ove ilpatrimonio non sia sufficiente per raggiungere loscopo o addirittura venga meno, il Codice civileprevede che la fondazione si estingua (art. 27Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasfe-rito a soggetti che abbiano una finalita analoga (art.31 Cod. civ.), a meno che la competente autoritanon provveda alla trasformazione della fondazionein altro ente (art. 28 Cod. civ.).Secondo il modello tradizionale, la fondazione e te-nuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonioper lo svolgimento della sua ordinaria attivita e pro-seguire la stessa sino a che il patrimonio non siesaurisca o diminuisca in misura tanto significativada impedire il regolare svolgimento del compitoper lo svolgimento del quale e stata istituita.Nel caso in cui la fondazione sia affidataria di ser-vizi di interesse per la collettivita rientranti nelle fi-nalita perseguite dall’ente locale, l’erogazione di uncorrispettivo ‘‘non equivale a un depauperamentodel patrimonio comunale, a fronte dell’utilita chel’ente locale (e piu in generale la collettivita dicui e esponenziale) riceve dallo svolgimento delservizio di interesse pubblico effettuato dal sogget-to terzo’’ (Corte conti, sez. contr. Lombardia, del.n. 350/2012).Tali vincoli evidenziati dalla magistratura contabilesono stati recepiti dal legislatore con l’art. 4, com-ma 6 (norma ancora in vigore) del D.L. n. 95/2012.Tale disposizione stabilisce che ‘‘dal 1º gennaio2013 le p.a. di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs.n. 165/2001 possono acquisire a titolo oneroso ser-

vizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni,da enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42del Codice civile esclusivamente in base a proce-dure previste dalla normativa nazionale in confor-mita con la disciplina comunitaria’’.Gli enti di diritto privato di cui agli artt. 13-42 delCodice civile ‘‘che forniscono servizi a favore del-l’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito,non possono ricevere contributi a carico delle fi-nanze pubbliche’’.Sono escluse da tali vincoli, tra gli altri:— le fondazioni istituite con lo scopo di promuo-vere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazionetecnologica;— gli enti e le associazioni operanti nel campodei servizi socio-assistenziali e dei beni e attivitaculturali, dell’istruzione e della formazione.A tal proposito, e opportuno evidenziare quantochiarito dalla Corte dei conti, sez. controllo dellaPuglia, nella deliberazione n. 97/2012, in rispostaa un ente che aveva chiesto chiarimenti sull’appli-cabilita del citato art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012 a una fondazione costituita da enti locali e re-gione per ‘‘valorizzare il territorio soprattutto attra-verso la musica popolare e la cultura’’.Nel caso di specie, l’attivita essenziale della fonda-zione si sostanziava nell’organizzazione e gestionedi un noto evento musicale e la stessa riceveva da-gli enti aderenti quote annuali costituenti il fondo digestione e, per quanto attiene l’organizzazione del-l’evento, contributi finanziari pubblici che copriva-no il suo fabbisogno per piu del 90%.L’ente aveva chiesto se l’attivita svolta dalla fonda-zione potesse essere qualificata come servizio e sesussistesse la possibilita di mantenere forme di con-tribuzione a favore della Fondazione ‘‘quantomenonei limiti delle attivita meramente culturali svolteattraverso di essa’’.La Corte dei conti ha fornito interessanti chiari-menti sulla natura ‘‘culturale’’ di un servizio.I magistrati contabili hanno precisato che costitui-scono ‘‘indici presuntivi’’ di tale natura il fattoche la fondazione svolga attivita di valorizzazionedel ‘‘territorio soprattutto attraverso la musica po-polare e la cultura’’, che, prima della costituzionedella stessa fondazione, tale attivita fosse organiz-zata e gestita dai singoli comuni e contabilizzatatra i ‘‘servizi culturali’’ svolti dagli stessi.Si pone come elemento necessario e sufficiente adirimere il dubbio ‘‘se un ente sia o meno da ri-comprendere nel novero degli ‘‘esclusi’’ (dai vin-coli di cui all’art. 4 del D.L. n. 95/2012), il fattoche sia possibile ravvisare, all’interno dello statutoo dell’oggetto sociale dell’ente medesimo, il carat-tere culturale dell’attivita svolta che puo estrinse-carsi, tra l’altro, anche come finalita di valorizzare

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al massimo la realta culturale del territorio di perti-nenza delle amministrazioni che ricevono il servi-zio’’.Nella misura in cui una fondazione svolga attivitadi:— approfondimento e valorizzazione di una realtaculturale, anche attraverso l’organizzazione di unevento a cio deputato;— studio, approfondimento e conservazione delletradizioni e culture locali;— promozione del territorio ‘‘attraverso la valoriz-zazione del patrimonio culturale locale’’,‘‘difficilmente potra considerarsi come rientrantenell’ambito applicativo della norma di divieto sumenzionata. Al contrario, essa potra a buon dirittoconsiderarsi compresa nel novero degli enti operan-ti nel campo dei beni e attivita culturali, come taliesenti dal divieto’’.Il tutto, giova ribadirlo, pur sempre nei limiti delleattivita prettamente culturali svolte, venendo meno,in tal caso, la ratio che ha indotto il legislatore afissare l’elenco dei soggetti esenti da divieto e, diconseguenza, non giustificandosi piu l’esclusionedal divieto contenuto nel citato art. 4 del D.L. n.95/2012.Il quesito che e stato presentato alla Corte dei conti,sez. contr. della Sardegna, attiene invece alla veri-fica dei limiti posti dal legislatore alla facolta deglienti locali di costituire organismi partecipati.La figura giuridica della fondazione, disciplinatadagli artt. 14 e ss. del Codice civile, e quella di enteavente personalita giuridica di diritto privato, chenon persegue scopi di lucro, ma puo essere costitui-ta per il perseguimento di fini educativi, culturali,religiosi, sociali o di altri scopi di pubblica utilita.La figura giuridica della fondazione si caratterizza‘‘in negativo rispetto alla tipologia societaria, perla non lucrativita dello scopo sociale, che, conse-guentemente, implica l’assenza di distribuzione diutili’’, come chiarito anche dalla Corte dei conti,sez. contr. Lazio, nella deliberazione n. 151/2013.Essa e dotata di una propria organizzazione e dipropri organi di governo e utilizza le risorse finan-ziarie, ‘‘attribuitele con il negozio di dotazione perlo/gli scopo/i indicati dal fondatore nel negozio difondazione’’ (cit. Corte dei conti, sez. contr. La-zio).E lo statuto a dettare le norme organizzative per ilfunzionamento dell’organismo, costituendo parteintegrante del negozio unilaterale di fondazione.La scarna disciplina del Codice civile e integratadal D.P.R. n. 361 del 10 febbraio 2000, che all’art.1, comma 3, richiede che lo scopo ‘‘sia possibile elecito e che il patrimonio risulti adeguato alla rea-lizzazione dello scopo’’, dizione dalla quale dottri-na e giurisprudenza concordemente deducono la

neutralita dello schema in esame rispetto alla rile-vanza pubblica del fine.Dalla particolare struttura della fondazione, caratte-rizzata dalla mancanza di un’organizzazione a basepersonale, cioe di una collettivita organizzata per ilraggiungimento di un determinato scopo (comenelle associazioni), e dall’inesistenza di una assem-blea degli associati che possa esprimere la volontadell’ente, si deduce l’immodificabilita dell’atto co-stitutivo e dello statuto, anche da parte dello stessofondatore (soggetto pubblico o privato che sia), unavolta che esso abbia ottenuto il riconoscimento giu-ridico dall’autorita pubblica regionale.In un’interpretazione evolutiva, e stata anche elabo-rata la diversa figura della ‘‘fondazione di parteci-pazione’’, che costituisce un modello atipico dipersona giuridica privata, di recente teorizzazionedottrinaria, in cui e sintetizzato l’elemento persona-le, tipico delle associazioni, e l’elemento patrimo-niale, caratteristico delle fondazioni.In entrambi i casi, caratteristica essenziale della fon-dazione e l’esistenza di un patrimonio che deve con-sentire all’ente di svolgere la sua attivita ordinaria.Si tratta di un requisito essenziale, tant’e che, ove ilpatrimonio non sia sufficiente per raggiungere loscopo o addirittura venga meno, il Codice civileprevede che la fondazione si estingua (art. 27Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasfe-rito a organi che abbiano una finalita analoga (art.31 Cod. civ.), a meno che la competente autoritaprovveda alla trasformazione della fondazione inaltro ente (art. 28 Cod. civ.).Secondo il modello tradizionale, la fondazione e te-nuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonioper lo svolgimento della sua ordinaria attivita e pro-seguire la stessa sino a che il patrimonio non siesaurisca o diminuisca in misura tanto significativada impedire il regolare svolgimento del compitoper la quale e stata istituita (Corte dei conti, sez.contr. Piemonte, del. n. 24/2012).Secondo la Corte dei conti della Sardegna, le nor-me che impongono vincoli agli organismi parteci-pati dagli enti locali ‘‘si devono intendere estensi-vamente e ricomprendono qualsiasi organismo, co-munque denominato, dotato di personalita giuridi-ca, non strettamente societario, ma caratterizzatodalla dominanza pubblica’’.Pertanto, secondo i magistrati contabili, di volta involta deve essere verificato se l’organismo, indi-pendentemente dalla natura giuridica, sia legatofin dalla costituzione o in sede organizzativo-finan-ziaria con l’ente locale e con il suo bilancio.Laddove tali indici siano verificati, a tali organismisi applicano le norme che impongono limiti di spe-sa e assunzionali nell’ottica del contenimento dellafinanza pubblica.

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I vincoli alla costituzione di nuoviorganismi partecipatiIl legislatore da alcuni anni ha introdotto vincolistringenti alla facolta degli enti locali di costituiresocieta o altri organismi comunque denominatiper la gestione di servizi o attivita esternalizzate.A partire dalla legge finanziaria per il 2008, in par-ticolare, il legislatore ha introdotto numerose dispo-sizioni dirette a razionalizzare e contenere l’utilizzodello strumento societario da parte delle Ammini-strazioni pubbliche.Con l’art. 3, comma 27 della legge n. 244/2007 estato previsto che ‘‘non possono costituire societaaventi per oggetto attivita di produzione di beni edi servizi non strettamente necessarie per il perse-guimento delle proprie finalita istituzionali, ne as-sumere o mantenere direttamente o indirettamentepartecipazioni, anche di minoranza, in tali societa.E sempre ammessa la costituzione di societa cheproducono servizi di interesse generale e l’assun-zione di partecipazioni in tali societa da parte delleamministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del de-creto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambi-to dei rispettivi livelli di competenza’’.Dopo aver previsto in modo esplicito la possibilitadi conservare le partecipazioni sociali collegate einerenti le finalita dell’ente pubblico, il legislatorenel 2010 ha introdotto un ulteriore limite in relazio-ne agli enti locali, riferito alle loro dimensioni, nuo-vo limite che fino al 31 dicembre 2013 ha concorsocon il precedente a definire i casi nei quali i comunipotevano ricorrere allo strumento societario perperseguire le loro finalita.Inoltre, l’art. 4 del D.L. n. 95/2012 aveva previstoaltri stringenti vincoli in merito alla possibilita per icomuni di poter mantenere partecipazioni di orga-nismi strumentali.Il quadro legislativo e stato notevolmente modifica-to dalla legge n. 147/2013 che all’art. 1, comma561 e comma 562 ha abrogato le disposizioni limi-tative sopra richiamate.In particolare, il comma 561 ha abrogato il comma32 dell’art. 14 del D.L. n. 78/2010, mentre il com-ma 562 ha disposto l’abrogazione di alcune dispo-sizioni del D.L. n. 95/2012 (cosı detto decreto‘‘spending review’’) che imponevano il divieto diistituire enti, agenzie e organismi comunque deno-minati e di qualsiasi natura, esercitanti funzionifondamentali o amministrative conferite agli entilocali e l’accorpamento o la soppressione di quelligia esistenti per evidenti ragioni di risparmio e ra-zionalizzazione della spesa (art. 9, commi 1-7,D.L. n. 95/2012).Nonostante tale significativa modifica, secondo laCorte dei conti della Sardegna, ‘‘il vigente quadro

normativo determina rigorosi parametri operativo-

gestionali espressamente rivolti a condizionare l’i-

stituzione (o la conservazione) delle istituzioni e

delle fondazioni, oltreche delle aziende speciali e

delle societa partecipate, i cui bilanci sono preva-

lentemente se non esclusivamente alimentati da

fondi pubblici’’.

La Corte ha precisato infatti che le fondazioni, co-

stituite dagli enti locali, in quanto alimentate da ap-

porti patrimoniali di provenienza pubblica, unita-

mente a tutti gli altri organismi partecipati dagli en-

ti locali, ‘‘concorrono alla realizzazione degli obiet-

tivi di finanza pubblica, perseguendo la sana ge-

stione dei servizi secondo criteri di economicita e

di efficienza’’, interpretando in maniera estensiva

la disciplina contenuta nell’art. 1, comma 553, del-

la legge n. 147/2013 (legge di stabilita 2014).

Inoltre, secondo i magistrati contabili della Sarde-

gna, alle fondazioni sarebbe applicabile anche l’art.

3 comma 27 della legge n. 244/2007, che limita la

facolta degli enti locali di costituire o partecipare a

societa di capitali.

Tale disposizione, in particolare, stabilisce che gli

enti non possono mantenere o costituire organismi

aventi per oggetto attivita di produzione di beni e

servizi non strettamente necessarie per il persegui-

mento delle proprie finalita istituzionali, ne assu-

mere o mantenere direttamente partecipazioni, an-

che di minoranza.

La fondazione deve ‘‘intendersi in via interpretati-

va ricompresa nel genus delle partecipazioni’’ e ri-

spettare i vincoli posti dall’art. 3, commi 27-32 del-

la citata legge n. 244/2007.

Secondo i magistrati contabili il reperimento e la

gestione di risorse per attivazione di interventi nel

campo della cultura, della solidarieta sociale e del

turismo, di diretto interesse comunale, rientra nella

sfera di intervento proprio del comune.

Se tali attivita fossero trasferite a una fondazione

‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate al

di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte

dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie

gestionale di carattere atipico.’’.

La fondazione al massimo potrebbe essere costitui-

ta legittimamente per tale scopo solo come struttura

amministrativa di supporto al comune, cui affidare

esclusivamente attivita amministrativa di back offi-

ce.

Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolvere

i compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso la

propria struttura organizzativa del comune.

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Il servizio di reperimento delle risorsefinanziarieLa Corte dei conti sezione controllo della Sarde-gna, con la citata deliberazione n. 19/2014, ha chia-rito che il reperimento delle risorse per la realizza-zione di finalita istituzionali non puo essere ‘‘de-mandato o trasferito’’ a un organismo terzo, esternoal comune, in quanto trattasi di una funzione pro-pria dell’ente locale, che deve essere assolta attra-verso la propria struttura burocratico-amministrati-va.Considerato infatti che la fondazione e un organi-smo strumentale del comune, tale specifico scoposi concretizzerebbe nell’acquisizione di entrate aldi fuori delle garanzie e delle procedure prescrittedall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispeciegestionale di carattere atipico.Gli organismi, che e consentito di costituire (o con-servare), sono solo quelli il cui scopo o attivita as-sicuri aderenza/coincidenza con le finalita istituzio-nali del comune.

L’acquisizione di eventuali liberalita/donazioni dicarattere finanziario o patrimoniale provenienti daterzi (enti o cittadini) ‘‘integrano fattispecie di en-trate da ricondurre ai moduli procedimentali pre-scritti a garanzia dell’erario e devono essere assuntedirettamente dal comune, a mezzo delle attivita in-testate ai suoi organi amministrativi, secondo le ri-spettive competenze e responsabilita, gia delineatedall’ordinamento generale’’.Anche l’appostazione nelle scritture e la successivaimputazione a spesa di tali fonti d’entrata deve se-guire le regole che presiedono alla predisposizionedei bilanci pubblici.Infine, i magistrati contabili hanno rilevato che lacostituzione di una fondazione da parte dell’entenon configura mai un’ipotesi ‘‘a costo zero’’ peril bilancio del comune, in quanto in sede istitutivadella fondazione deve essere assicurata una dota-zione patrimoniale (‘‘patrimonio adeguato alla rea-lizzazione dello scopo’’, ex D.P.R. n. 361/2000;art. 14 e seguenti c.c.) e ovviamente una dotazionedi personale.

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03 Febbraio 2014 Con questo numero Pagina 1 di 42 AUTONOMIE LOCALI E PA 03 Febbraio 2014 Il Sole 24 Ore lunedì Moduli societari. Sì alla «trasformazione eterogenea» La Spa può diventare azienda speciale Federica Caponi La trasformazione eterogenea di una società di capitali che gestisce un servizio pubblico in azienda speciale è compatibile sia con le norme civilistiche, trattandosi di organismi entrambi dotati di patrimonio separato a garanzia dei creditori, sia con le disposizioni pubblicistiche, intese a ricondurre tali organismi a un regime uniforme, quanto al rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Inoltre, dal 1° gennaio 2014 è possibile anche mettere in liquidazione una società di capitali e costituire ex novo un'azienda speciale, grazie all'abrogazione dell'articolo 9, comma 6 del Dl 95/2012. Questi i rilevanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione delle Autonomie con la deliberazione 2/2014 (su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 25 gennaio), con la quale ha posto fine al dibattito che aveva visto contrapporsi numerose sezioni regionali di controllo in merito alla possibilità applicare estensivamente l'istituto della «Trasformazione eterogenea da società di capitali» (articolo 2500-septies del Codice civile) al passaggio da una società di diritto privato a un ente di diritto pubblico. L'ipotesi di trasformare una società di capitali in un'azienda speciale costituisce oggi per gli enti un'interessante opzione, che potrebbe essere valutata soprattutto per la gestione di servizi sociali, culturali ed educativi, ma non solo. Ovviamente la scelta va adeguatamente motivata, tenuto conto della convenienza economica dell'operazione e di una valutazione prospettica, anche alla luce dell'articolo 153 del Tuel sulla tenuta e sulla salvaguardia degli equilibri finanziari complessivi della gestione e dei vincoli di finanza pubblica. La scelta in merito all'individuazione del modello gestionale più idoneo è sempre ammessa, purché si dimostri che ne conseguiranno risultati migliori dal punto di vista dell'efficienza, efficacia ed economicità della gestione, oltre al mantenimento o implementazione della qualità dei servizi erogati. La qualificazione fornita dal legislatore dell'azienda speciale quale ente strumentale del Comune rivela l'esistenza di un collegamento inscindibile tra l'azienda e l'ente locale. In effetti, "strumentalità" sta a significare che l'ente locale, attraverso l'azienda, realizza sostanzialmente una forma diretta di gestione del servizio. La sezione delle autonomie ha chiarito che proprio per i vincoli posti dal legislatore alle aziende speciali, in ultimo dalla legge di stabilità 2014, questo istituito è sempre più assimilabile alle società di capitali. Si può ritenere allora che l'elemento di continuità debba essere identificato nell'azienda, quale complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di un'attività di impresa e che la trasformazione trovi, quindi, la sua giustificazione sistematica nell'esigenza di salvaguardare la continuità dell'organismo produttivo e di evitare la disgregazione del patrimonio aziendale. L'azienda speciale, che risulterebbe dalla trasformazione della società a totale partecipazione pubblica, è dotata di un patrimonio separato a garanzia dei terzi e dei creditori, fermo restando che, sia nell'organismo di partenza sia in quello di arrivo, esistono i necessari raccordi con gli enti pubblici di riferimento. Da un lato, sussiste una società partecipata da enti territoriali, presumibilmente dotata delle caratteristiche dell'in house providing e, quindi, da intendersi come una longa manus degli enti soci, dall'altro, un'azienda speciale, che in quanto ente strumentale del comune è inserita nel sistema amministrativo dell'ente locale. La legge di stabilità 2014, inoltre, se ha escluso l'applicazione diretta del patto nei confronti delle società in house, ha imposto vincoli all'insieme ente territoriale/organismo partecipato, prevedendo il concorso di questi organismi alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Alla luce del quadro legislativo di riferimento, secondo la corte dei conti, non ha ragione di esistere la preoccupazione del possibile impiego dell'istituto dell'azienda speciale a scopi elusivi dei vincoli

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di finanza pubblica, poiché la relativa normativa prevede misure severe come per le società di capitali. In ogni caso, l'operazione di trasformazione deve essere corredata da un'attività di revisione economica-patrimoniale (due diligence) della società trasformanda, a garanzia dei terzi e dell'ente che istituisce l'azienda speciale. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA MOTIVAZIONE La Sezione delle Autonomie della magistratura contabile sottolinea la continuità tra i due modelli, rafforzata dalla legge di stabilità

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11 Novembre 2013 Pagina 40/41 di 52 AUTONOMIE LOCALI E PA 11 Novembre 2013 Il Sole 24 Ore lunedì Cassazione. I poteri del socio La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda Federica Caponi È illegittima la revoca degli amministratori di una partecipata disposta per aver rotto il rapporto di fiducia non avendo ottemperato a direttive impartite dal Comune e agli indirizzi formulati dall'assemblea, perché queste carenze non determinano necessariamente inadempienze gestionali nella direzione dell'azienda. Per integrare una giusta causa di revoca del mandato, le condotte che violano il rapporto di fiducia sono di per sé irrilevanti se non sono oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse le capacità gestionali degli amministratori. La Corte di Cassazione, con la sentenza 23381/2013, ha ritenuto sancito la non revocabilità per giusta causa dei membri del cda di una società controllata da un Comune che hanno posto in essere condotte che attestavano chiaramente il venir meno del rapporto di fiducia con l'assemblea dei soci. Nel caso, un Comune, socio di maggioranza di una spa di igiene ambientale, aveva chiesto la convocazione dell'assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica in quanto avevano disatteso, tra l'altro, gli indirizzi approvati dall'assemblea e le direttive del consiglio comunale. L'assemblea ha deliberato la revoca degli amministratori e uno di questi ha chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni per l'assenza di giusta causa (articolo 2383, comma 3, del Codice civile). La società ha evidenziato che gli amministratori avevano adottato condotte in contrasto con quanto deliberato dall'ente socio di maggioranza, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra assemblea e l'organo gestionale. Gli amministratori avevano, tra l'altro, respinto la richiesta presentata da alcuni consiglieri comunali di accedere agli atti della società, non avevano ottemperato a direttive impartite dal Comune socio di maggioranza, avevano proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dall'ente socio, e non avevano presentato la propria situazione reddituale e la relazione semestrale espressamente indicate nell'atto di affidamento del servizio. La Cassazione ha chiarito che gli amministratori di una partecipata non sono tenuti a derogare alla disciplina dell'accesso agli atti della società o a privilegiare l'interesse del socio pubblico nei rapporti con la società se tali condizioni non sono state previste nello statuto della società. L'inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive dell'assemblea non producono automaticamente inadempienze nella gestione della società, se non qualificate come tali dagli strumenti di controllo e gestione approvati dagli enti soci. I giudici hanno anche spiegato che l'accertamento della giusta causa di revoca non può riguardare l'eventuale logoramento del rapporto di fiducia derivante da comportamenti ostili posti degli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti. Questa valutazione è estranea alla normativa societaria che non riconosce agli amministratori l'obbligo di agire nell'interesse dei singoli soci, ma della società. Secondo la disciplina civilistica, la revoca può avvenire solo quando i fatti contestati siano oggettivamente idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore. La Cassazione ha così condannato la società pubblica al risarcimento del danno a favore dell'amministratore revocato. In questo caso, addirittura, il comportamento dell'ente locale potrebbe essere sanzionato anche dalla corte dei conti sotto due aspetti: per la mancata tutela dell'interesse pubblico nell'agire con gli strumenti del diritto societario, e per il danno arrecato alla società derivante dall'obbligo del risarcimento a favore del soggetto revocato. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL PRINCIPIO «Licenziamento» illegittimo se gli amministratori non commettono fatti che mettono in dubbio le loro capacità gestionali

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