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Un uomo e una donna si incontrano nella sala d'attesa di un ospedale. Non è la prima volta che capita loro di vedersi nel medesimo luogo. Lei è seduta fuori dal reparto dove qualche tempo prima ha perso un figlio durante il parto. Lui dorme in macchina nel parcheggio dell'ospedale da parecchi giorni; ogni notte sale le scale per andare a guardare le luci della città dall’alto. Da qui ha inizio il viaggio che li porterà in un luogo sconosciuto a entrambi, eppure in qualche modo familiare.

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renato tonozzi | onde

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© 2013 renato tonozzi

foto e progetto grafico di renato tonozzi

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Bisogna essere due - o, per lo meno, bisogna essere stati due - per comprendere un cielo blu, per nominare un'aurora!

Gaston Bachelard

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Cade una pioggia finissima che punteggia il parabrezza. Come tanti piccoli spilli. I fari dei lampioni si riflettono sull'asfalto bagnato. Alcuni cartelli pubblicitari sono appesi qualche metro sopra il marciapiede. Zeno sta guardando la modella di una compagnia di telefonia mobile. Lo sguardo è assente, fisso in un punto indeterminato. Scrolla la cenere della sigaretta dal finestrino socchiuso. Tiene il sedile reclinato all'indietro. Il fumo si allarga in spirali irregolari nella luce che filtra attraverso i vetri appannati. L'equalizzatore ondeggia sul display digitale dello stereo. Ascolta Variations: a movement in chrome primitive di Basinski a basso volume.

Da un mese Zeno dorme in macchina proprio dove si trova ora. Stava girando per la città senza una meta precisa, come ogni notte, quando all'improvviso decise di parcheggiarsi. A volte capita di raggiungere un luogo, reale o immaginario che sia, e sentirlo familiare pur nella sua estraneità. Come quando sfogli le pagine di un libro. Soffermi lo sguardo su una frase in modo del tutto casuale. Qualcosa sembra attrarti e respingerti allo stesso tempo. Continui a fare scorrere gli occhi tra le righe, ancora indeciso, ma senza accorgertene, ti sei già lasciato andare. L'inatteso è la forma che assume l'ignoto che ci attraversa senza appartenerci.

Qualche minuto prima di mezzanotte Zeno scese dalla macchina ed entrò all'ospedale dal pronto soccorso. Era la prima volta che ci andava senza un motivo per farlo. Si guardò attorno spaesato. Non trovò nessuno. In lontananza sentiva l'eco di una televisione accesa. Immaginò che a guardarla fosse l'infermiere seduto in guardiola. Decise di salire a piedi. Il marmo degli scalini era consumato, vicino al corrimano. Levigato da un numero indefinito di passi posati nel punto in cui il tragitto è più breve. Le luci neon illuminavano i corridoi deserti. I colori avevano un aspetto

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innaturale, come una fotografia cui si è aumentata la saturazione. Lunghe file di sedie erano disposte contro le pareti. Si sentiva il ronzio dei distributori di bibite e dell'impianto di climatizzazione. A fianco alle porte d’ingresso dell'ascensore c’era sempre lo stesso identico telefono pub-blico rosso. Sembrava di muoversi rimanendo nel medesimo posto. Cambiavano soltanto piccoli dettagli.

Zeno salì fino al tredicesimo piano e non incontrò nessuno. Ne ricavò una strana impressione. La sensazione che danno gli spazi abitualmente pieni di gente, quando li trovi disabitati. La spiazzante bellezza dei non luoghi o dei luoghi di pas-saggio: un aeroporto di notte, un supermercato vuoto, una fermata della metropolitana senza nessuno ad attendere. Forse qualcosa di metafisico li abita. L'assenza di dio.

Si fermò a due passi dalla vetrata. Dovette avvicinarsi fino a che, il suo riflesso sui vetri, diventò la serratura di una porta attraverso cui guardare. Il buio avvolgeva ogni cosa. Le luci della città brillavano senza posa.

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Zeno si è svegliato da qualche istante. Butta il mozzicone sull'asfalto. Lascia il finestrino un poco aperto. É seduto sul sedile del passeggero. Tiene le ginocchia appoggiate al cruscotto. Le note del pianoforte affiorano e tornano a inabis-sarsi ricorsivamente sotto un tappeto di suoni elettronici. Come una sinusoide rispetto al valore zero dell’ampiezza in un dato intervallo. Sono le undici e mezza. La pioggia sottile ha cessato di scendere. Il cielo è nuvoloso, impenetrabile, a tratti quasi bianco. Tutto ciò che vede, attraverso il para-brezza, è dilatato dalle gocce d'acqua. I fanali delle auto si infrangono in mille schegge di luce. Le cose perdono la loro forma abituale.

Fermo alla fermata davanti all'ospedale c'è un autobus con gli sportelli aperti. L'autista passeggia sul marciapiede in attesa di ripartire. Una donna esce dall'ospedale e si incam-mina verso la fermata. Zeno reclina la testa, osserva il cielo. Resta ad ascoltare i loop di Basinski fare da sfondo al rumore delle strade. Nel piazzale sono rimaste soltanto tre macchine parcheggiate sulle strisce blu. Dalla sera fino alle otto del giorno dopo non si paga la sosta. Basta ricordarsi di andare via prima. Zeno soffre di insonnia da molto tempo. Di solito dorme qualche ora subito dopo cena. Poi intorno a mezza-notte si sveglia e ascolta musica o legge fino a mattina. Appena il parcheggio comincia a riempirsi, se ne va per cercare un posto più tranquillo. A volte riesce ad ad-dormentarsi ancora. Più spesso arriva direttamente a lavoro senza avere chiuso occhio.

Sul sedile posteriore tiene appoggiato un piumone bianco dell'Ikea. Quando sente freddo se lo butta sopra e lo tira fino al mento. Gli piace avvertire un filo d'aria che entra dai finestrini, mentre rimane accucciato al caldo. Le notti non sono ancora gelide. Zeno ama in modo particolare l'autunno.

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Le foglie accartocciate sull'asfalto, i rami spogli, i cieli grigi tagliati dai fili del tram, la foschia tra i muri dei palazzi. Nelle sere di pioggia e vento, trova una bellezza meno scontata, più sottile; perfetta per chi, come lui, ama il silenzio e i viaggi senza meta. Forse soltanto dalla primavera, riceve impres-sioni altrettanto intense, anche se del tutto opposte. Quando era più giovane amava l'estate, i cieli azzurri, le piazze di notte piene di gente, la confusione. Nella solitudine ha impa-rato ad apprezzare altre cose. Altri modi di vivere la città. Luoghi cui non dava nessuna importanza, hanno ora un'attrattiva del tutto inattesa. Altrettanto come è incuriosito da persone che un tempo non avrebbe nemmeno notato.

Appena il disco finisce, scende e si sgranchisce le gambe. Fa qualche passo attorno alla macchina. Annusa l'odore della pioggia che evapora sull'asfalto. Il tepore umido di torba e smog gli riempie le narici. Dietro la fermata dell'autobus c'è il furgone del tizio che vende piadine e panini. Alcuni ragazzi stanno con i gomiti appoggiati a un tavolo rotondo. Mangiano e bevono birra. Zeno sente le loro voci sovrapporsi ai suoni che provengono dallo sportello aperto e al brusio del traffico. Ogni piccolo rumore, nel silenzio della notte, assume una rilevanza che la luce del giorno sembra negargli.

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Zeno attraversa le porte scorrevoli del pronto soccorso. Due infermiere restano in piedi davanti al punto d'accettazione. Sulle panche di legno sono sedute alcune persone in attesa di essere visitate. Hanno visi stanchi e sfiniti, posture scompo-ste, capelli spettinati e occhi spenti. Un uomo di colore è sdraiato sopra una barella fuori da un ambulatorio. La donna che sta al suo fianco gli tiene una mano. Zeno procede lungo il corridoio fino alle scale. Rivolge lo sguardo verso le porte di metallo dell'ascensore. Appoggia le dita al corrimano di legno. Solleva il piede e comincia la lenta ascesa verso il tredicesimo piano. Da quando si è fermato la prima volta nel parcheggio dell'ospedale lo ha fatto ogni sera.

Salire tutte quelle rampe di scale, in silenzio, da solo, sotto l'irreale illuminazione delle luci neon, è un'esperienza straniante. I pensieri, gradino dopo gradino, diventano sempre più aleatori, tutt'uno con il movimento via via più irriflesso dei muscoli. Si avvolge a spirale a uno spazio indefinito, sospeso tra due margini di certezza. Da una porta sul dolore altrui a una finestra sul buio illuminato dalle luci della città. Un pas-saggio che sembra abolire il tempo. Che gli fa dimenticare se stesso ma nel medesimo tempo gli dà modo di ritrovarsi. Ne ricava un piacere sia fisico che spirituale. La spinta che deve opporre per salire, sembra sgravarlo del peso del corpo. Una forma di meditazione in movimento. L'abbandono necessario a ridefinire i contorni di ciò che lo attende, fuori dalla porta scorrevole dell'ospedale.

Arrivato al nono piano nota una donna seduta sulle panche di legno. É ferma immobile, con lo sguardo fisso sul pavimento. Tiene le gambe leggermente aperte, le mani sottili appoggiate alle ginocchia. Ha i capelli mori e spettinati, sciolti davanti al viso. La pelle molto chiara. Zeno la osserva sorpreso. Come quando guardi qualcosa fuori posto. Nelle

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notti precedenti non ha mai incontrato nessuno. Questa pre-senza inaspettata è un'improvvisa e brusca uscita dal suo passaggio segreto. Spezza l'incantesimo. Il non luogo torna a essere un posto qualunque. Lei non pare nemmeno accorger-sene. Resta chiusa nei suoi pensieri o in qualcosa che gli somiglia. Zeno non ha perforato la membrana di indifferenza che la avvolge.

Arrivato all'ultimo piano, mette le mani contro il muro. Sulla vetrata è riflessa la sala d'aspetto deserta del reparto. Si intravede la luna in mezzo alle nubi. Posa la fronte al vetro freddo e vaga con gli occhi in lontananza. Prima sofferma lo sguardo su qualche particolare: un grattacielo, la cupola di una chiesa. Poi abbraccia tutto il mare di luci in una visione d'insieme. I pensieri si fermano e lasciano spazio a una vertigine diffusa. Un battito d'ali nell'oscurità di una notte di novembre. In mezzo al piazzale vede la sua macchina. Non ce ne sono altre. Quasi vorrebbe non averla parcheggiata al solito posto. Avrebbe preferito vederlo completamente deserto. Negli occhi gli torna per un istante l'immagine della donna che ha visto qualche piano più sotto.

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La donna è seduta al solito posto. Le gambe leggermente aperte, le mani sulle ginocchia, lo sguardo fisso al pavimento. É la quarta notte consecutiva che Zeno la vede. Ma lei non si è mai accorta di lui. Nemmeno uno sguardo, un battito di ciglia. Niente. Immobile nel suo silenzio. Indossa sempre gli stessi vestiti, semplici ma non privi di una loro eleganza. Forse è il modo che ha di indossarli a renderli meno anonimi. Pensa a lei quando si avvicina al nono piano. É sempre stato sicuro di trovarla. Se ascolti con attenzione la senti la presenza o la mancanza di qualcuno. Non hai bisogno di vedere per capire. A volte invece non si avverte nulla, pur davanti a un eccesso apparente di evidenza. Altrettanto come non sono le parole a dare senso a un incontro, se già prima non ci si è raggiunti senza dire niente.

Zeno l'ha sempre e solo osservata. Non vuole entrare nel suo passaggio segreto. Ciascuno ha diritto di avere i suoi non luoghi dove gli pare e piace. A tratti possono essere paralleli, l'uno dentro l'altro, persino coincidere. Il fatto che si intersechi-no non lo può decidere nessuno. Questa è la ragione per cui ci sta addosso, ma così di rado ci si raggiunge. Il tempo non ha nessuna importanza. Un momento perfetto può cambiarti la vita. Anni di assenza reciproca, lasciarti soltanto amarezza. Chi manca prima di ogni altra cosa se stesso, manca anche tutto il resto. Di questo ne è sicuro.

Zeno è fermo sul pianerottolo a osservarla. La donna volta il viso verso di lui. Ha occhiaia scure e marcate. Gli occhi chiari e taglienti. La pelle corrugata da una smorfia di dolore. Un'immagine mentale le impone un sospiro profondo. Torna a posare lo sguardo sul pavimento. Zeno fa qualche passo verso il centro della sala d'aspetto. Guarda i numeri digitali sopra la porta d'acciaio dell'ascensore. Il telefono pubblico si staglia netto contro la parete. Dentro il reparto le luci sono

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spente. Il solito ronzio di sottofondo torna a tratti a essere udibile. Ci si fa l'abitudine e non lo si avverte più. Il silenzio è soltanto un'approssimazione. Di fatto non esiste. Anche in una camera anecoica si sentono comunque la frequenza del siste-ma nervoso e la pulsazione cardiaca.

Un pensiero indefinito sfuma negli occhi di Zeno. Avvicina le panche e si mette seduto, lasciando qualche posto vuoto tra lui e la donna. Da parecchio tempo non parla con nessuno, se si esclude quel tanto che gli impone il suo posto di lavoro. I pochi amici scampati alle trincee del tempo, sono oramai più estranei di una persona qualunque conosciuta per strada. Il telefono giace spento dentro il cruscotto della macchina. Trova tutto ciò inaspettatamente piacevole. Di anni e anni di parole, spese nella convinzione di dare e trovare ascolto, non è rimasto nulla. È arrivato a pensare che l'aspetto comunica-tivo del linguaggio sia del tutto secondario e marginale. O forse si è soltanto voluto convincere di ciò per non soffrirne oltremodo. Di una cosa è certo: che per quanto ci si illuda di comprendersi, non si fa altro che ferirsi un poco ogni giorno. Fino a non potere più sopportare oltre. C'è un punto di rottura oltre cui ciò che è familiare diventa estraneo e viceversa.

… … … Vado a guardare la città dall’alto … …

… cerco di trattenere qualcosa

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… … … … … ti vedo sempre seduta nello stesso posto … … …

… trovo rassicurante la ripetizione di piccoli gesti insignificanti … … …

… fare le scale mi alleggerisce … … …

… di cosa? … … …

… non so di preciso …

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… è il mio passaggio segreto … … …

… verso dove? … …

… è il passaggio stesso la destinazione … … …

… preferisco rimanere ferma … … …

… per salire usi l'ascensore? … … … … …

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… … sono claustrofobico … … …

… io agorafobica … … …

… per questo vieni qui? … … … … anche … … … … … i neon e l'assenza di gente rendono tutto così irreale … … …

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… … tu sai cos'è reale? … … …

… credo di sì … … …

… … io che salgo le scale … … tu che sei qui seduta … … …

… inizio ad avere dei dubbi … …

… … sai che noia non averne

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… …

… …

… … mentre mi avvicinavo ero sicuro di trovarti … … … … …

… io non sento più niente … … … … …

… … hai mai guardato fuori dalle vetrate? … …

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… di sfuggita … … … …

… … una immensa distesa di luci … …

… un campo santo … … … …

… … cosa stai cercando di trattenere? … … …

… mio figlio …

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… …

… l'ho perso durante il parto … … … … … … … a volte non so cosa dire … …

… … si può anche tacere … …

… … preferisci restare in silenzio? …

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… … … mi limito a farne un uso moderato … … … … ti capisco … …

… … … … tu che ci fai qui a quest'ora? … …

… … te l'ho detto … … … … soffri di insonnia

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… …

… … un poco … … … …

… … abiti vicino? … …

… … nel parcheggio dell'ospedale … …

… … io ho una stanza d’albergo … … … …

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… … vuoi venire a guardare la città dall’alto? … …

… … … ci devo riflettere … … … … … solo se mi prometti una cosa … …

… … dimmi … …

… …

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… … non voglio che mi racconti più nulla della tua vita … … … …

… per quale ragione? … … …

… … quello che ci siamo detti è anche troppo … … … come vuoi …

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Il vetro riflette le sagome dei corpi di Zeno e della donna. Sono in piedi a un passo dalla finestra, lo sguardo rivolto fuori. In silenzio. Soltanto il ronzio intermittente dell'impianto di condizionamento. Un tepore superficiale contrasta con l'umidi-tà che si accumula nelle articolazioni. Nell'aria si avverte l'odo-re chimico dei medicinali. Ciascuno fissa un punto indefinito nell'oscurità. La luce dei lampioni crea aureole circolari nella nebbia. Sul vetro si formano aloni di vapore acqueo, a contat-to con l'anidride carbonica espirata dalle narici.

La donna traccia alcune linee sul vetro appannato. Sembrano comporre un'incisione rupestre, un geroglifico, una forma di scrittura per immagini. Zeno non riesce a inter-pretarle. Presupposto che ci sia in esse qualche intento di significazione. Forse sono soltanto la topografia emozionale di un istante. Qualcosa che non appartiene del tutto né a lei né a lui. Ma di cui loro sono una delle possibili manifestazioni.

Di tanto in tanto l'uno posa gli occhi sul riflesso degli occhi dell'altro. Le labbra trattengono le parole. Restano immobili. La donna tiene i polpastrelli di una mano sul metallo della finestra. Ha dita lunghe e diafane, percorse da un tremore appena avvertibile. Sembra che il sangue non circoli nelle vene. Zeno se le immagina fredde. La delicatezza del suo incarnato fa pensare a un dipinto di Raffaello. Il polsino del maglione scende fino a metà della mano. Tiene la testa leg-germente reclinata in avanti. I capelli le coprono parte del viso. I suoi gesti esprimono una timidezza priva di infingi-menti. Come se volesse semplicemente rimanere nascosta il più possibile. Tutto in lei viene mediato attraverso forti contrasti. La timidezza con la risolutezza dei pensieri. Le linee sottili e affilate con la rotondità marcata della bocca. La freddezza tagliente degli occhi con il calore profondo del timbro vocale. La tendenza al silenzio con un’espressività

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diffusa; fatta di tremori, rossori improvvisi, frequenti alterazioni del ritmo respiratorio. La disposizione a ripiegare dentro di sé le emozioni, rende epidermica la vita interiore. Ciò che tace assume contorni meno definiti, ma diviene più ricco di sfumature. Come le foglie sull'asfalto. Come le ultime sonate per pianoforte di Beethoven. … … Ho contato 137 gradini dal nono piano a qui … … … … come può essere? … … … … l'ultima rampa ne ha uno in più … … … un numero come un altro … … … …

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… … … … hai visto che la luna è completamente piena? … … … … sembra un buco nel cielo … … … … qualcuno ci spia … … … … … trovi che potrebbe risultare interessante la nostra parte di universo? … … … … a dire il vero non credo proprio

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… … … … una noia tremenda … … … … per non dire peggio … … … … magari è soltanto per controllarci … … … … … … … … su quella panca senti meno la sua mancanza? … …

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… … … … … perché continui a fermarti ogni sera? … … … … … … non riesco a stare altrove … … … … suo padre? … … … … non è degno di tale appellativo … …

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… … … … … … … … è un luogo di sofferenza eppure la mente si alleggerisce quando varco la porta … … … … il dolore è una faccenda del tutto privata … … … … come spiegare questa cosa? … … … … forse è soltanto suggestione …

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… … … la stessa sensazione che provo in chiesa … … … … infatti con dio non puoi condividere nulla … … … … … … tu sei credente? … … … no … … … nemmeno io … …

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… … perché ne parliamo se è soltanto per negarlo? … … … … noi siamo la negazione dell'assoluto … … … … anacronistico un dialogo del genere … … … … l'inattualità ti scoccia? … … … … in ogni caso noioso … … …

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… un poco … … … … tu sai chi sei? … … … … non posso essere altrimenti sarei dio … … … … come puoi dirti reale allora? … … … … reale senza essere attuale … … … … e sei certo che stavi salendo le scale?

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… … … … nel passaggio tutto è possibile … … nel passaggio il tempo non esiste … … … … … … … sono entrata io nel tuo o tu nel mio? … … … … si sono soltanto sovrapposti … … … … …

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… siamo a un bivio quindi? … … … … siamo un bivio … … … … hai detto che non puoi essere … … … … diveniamo un bivio … … … … occorre fare una scelta allora … … … … non è detto

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… … … … … … tu prosegui? … … … … … che altro potrei fare … … … … … … vieni con me? … … … …

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… … ci devo pensare … … … … a una condizione … … non devi dirmi come ti chiami … … … … … … niente passato e niente nomi … … … … …

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La pioggia ha ricominciato a scendere forte. I tergicristalli smuovono piccole onde d'acqua sul parabrezza. Appena il tempo di vedere la strada, tra un movimento circolare e l'altro. A tratti sembra di guardare attraverso un fondo di bottiglia. A tratti le cose perdono la loro consistenza: come un’immagine raster ingrandita fino a vedere i pixel di cui è composta. Variations for piano and tape di Basinski suona nelle casse dello stereo. Zeno tiene una mano appoggiata al volante. Gli occhi rivolti ai fanali posteriori delle auto. I pensieri e le sensazioni fluttuano in un mare di indefinitezza. Quasi fossero soltanto la coloritura interiore di ciò che ha intorno a sé. Un vortice in cui si intrecciano senza sosta le impressioni più disparate. Dalla cosa più effimera e insignificante alla più es-senziale. Tutto ha la medesima importanza, o meglio non ne ha forse alcuna. Questa l'ineffabile bellezza di ogni istante. Gli occhi si fanno di volta in volta pioggia e nebbia e oscurità e strada e striscia continua e insegna neon e semaforo. Le medesime cose si fanno a tratti impulso elettrico e nervi e connessioni neurali e sensazione e immagini e pensiero. Poi si cancellano, oppure vengono archiviate del tutto arbitraria-mente, commutate in dati immateriali.

La donna tiene un gomito appoggiato allo sportello. I capelli bagnati cadono sul viso reclinato da un lato. Ascolta le note del pianoforte in sordina su un loop di rumori e fruscii. I suoni ovattati tendono a spegnersi e immergersi sotto un drone elettrico che via via acquisisce rilievo. Si accende una siga-retta e apre leggermente il finestrino. Osserva le labbra di Zeno. La barba non troppo folta e un poco grigia in alcuni punti. Torna con lo sguardo verso la linea bianca che scorre via veloce. Ai bordi della strada si formano accumuli d'acqua che ristagna. Le ruote planano per qualche infinitesimale lasso di tempo. L'acqua sollevata si infrange contro i para-

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fanghi, talvolta arriva a schizzi fino ai vetri laterali. La donna soffia una boccata di fumo che viene risucchiata in vortici confusi fuori dal finestrino. Guarda Zeno prendere l'accendi-no dal cruscotto e fare il primo tiro. Sofferma la sua attenzione sul modo che ha di tenerla tra indice e medio. Il palmo della mano posato sul cambio.

… … … Hai mai amato qualcuno senza che lo sapesse? … … … penso di sì … … … … io non ho mai amato nessun altro … … … … … forse non hai amato nessuno … …

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… … … l'amore non ha niente a che vedere con la necessità di mani- festarsi o dichiararsi … … … reale senza essere attuale … … … … ecco … …

… … … hai paura delle conseguenze … … … … …

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riduttivo … … … … potrebbe essere un'astuzia per non farlo finire … … … … l'amore non inizia e non finisce … … … … per me invece finisce proprio per non esaurirsi … … … … … … … … … …

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… … … … … … … … preferisco il rumore della pioggia … … … … della neve sulle onde del mare … … … … del vento tra le foglie … … … … del fuoco che arde … …

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… … della città di notte … … … … … dell'ospedale deserto … … … delle ruote sull'asfalto bagnato … … … della corrente nei fili … … … … … dello schermo del cinema … … …

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del frigo quando tutto tace … … … … … dei passi sulla sabbia … … … … delle ali dei gabbiani … … … … delle lenzuola sulla pelle … … … delle pagine sfogliate … … … … delle lacrime sulle guance …

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… … … delle articolazioni di un corpo che danza … … … … delle dita sui tasti del pianoforte … … … … del silenzio … …

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L'autostrada è poco trafficata in entrambe le direzioni. Banchi di nebbia riducono la visuale a poche decine di metri. Di tanto in tanto i fanali anteriori di un’auto si riflettono sullo spec-chietto retrovisore. Dopo poco sono luci rosse che si allonta-nano, fino a sparire completamente nella foschia. Alcuni camion procedono a velocità costante sulla corsia di destra. Zeno rimane su quella centrale. Lascia scivolare la macchina premendo appena il gas. Con le ultime falangi di tre dita tiene il volante. L'altra mano è appoggiata sui pantaloni. Segue il ritmo della musica come stesse pigiando i tasti del pianoforte.

Quel suono soffocato, ripetitivo, ossessivo, quasi claustro-fobico; sembra un'immagine del passato che lotta con la coscienza per emergere. Gli ricorda Susan che suonava nella sua casa affacciata sul mare. Era poco più che un ragazzo quando la conobbe. Zeno trascorreva le vacanze estive a Lampedusa con i genitori. Ogni giorno sentiva il suono del pianoforte durante le sue passeggiate. Si sedeva su uno scoglio e rimaneva ad ascoltare la donna suonare. A tratti chiudeva gli occhi cercando di immaginare il movimento delle sue dita. Credette di cogliere tutte le sfumature della personalità di Susan, prima ancora di averla conosciuta. Gli parve di avere accesso a ogni moto della sua anima. L'aspetto erotico e seduttivo di tale coinvolgimento sensuale lo avvolgeva interamente. Scoprì il piacere senza la media-zione della vista e del tatto. Un piacere privo di carnalità ma non per questo soltanto spirituale. Se la sentiva scivolare addosso come si può avvertire la pioggia sulla pelle. Poi accadde che un pomeriggio udì una voce femminile che lo chiamava. Aprì gli occhi e la vide affacciata al balcone. Riuscì soltanto a strizzare le palpebre per mettere a fuoco il viso contro i raggi del sole. I capelli ricci erano inondati di luce. Le sue labbra si dischiusero ancora per invitarlo a salire. Quel

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pomeriggio ebbe modo di sovrapporre ai sogni a occhi aperti l'intensità della sua presenza.

Zeno visse con Susan tutto ciò che un uomo può desiderare nel rapporto con una donna. La loro storia fu breve ma senza tempo. La natura a tratti selvaggia dell'isola imponeva ritmi lenti, privilegiava i lunghi silenzi, la contemplazione calma e rapita. Il colore del cielo che si specchiava sulle onde, la sabbia grigia e gli scogli a picco sul mare, l'odore denso d'oriente del vento. Nei pomeriggi tersi e cristallini si abbando-navano alla lettura delle Mille e una notte seduti sui cuscini o sul letto. A sera bevevano vino sulla terrazza, davanti al sole che sembrava inabissarsi. Lontano dalla terra ferma ogni cosa era vissuta in maniera differente. Anche la feroce violenza del mondo pareva così lontana da potersene dimenticare.

Quando l'estate finì si guardarono un'ultima volta negli occhi, con la stessa intensità di quel primo istante. La certezza che non si sarebbero più rivisti, fu fin dall'inizio il segreto della loro passione.

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Zeno volge lo sguardo verso la donna. La trova ranicchiata sul sedile in posizione fetale. Come il bambino che ha perduto nel grembo e che non smette di cercare. Si è tolta le scarpe e ha portato le ginocchia al petto. Sembra avere dismesso la rigidezza di qualche ora fa. I lineamenti del viso sono distesi. Gli occhi hanno smarrito quella glaciale assenza di espres-sività che li rendevano così torbidi e vuoti. La piccola luce sopra il tettuccio è accesa. Ha raccolto un libro di Eliot dal cruscotto e sfoglia le pagine lentamente. Ogni tanto si soffer-ma su una poesia per leggerla più volte. Fino a sentire le parole caderle dentro. Accende una sigaretta e apre un poco il finestrino. Il rumore della pioggia si sovrappone ai suoni registrati su nastro magnetico. Un incontro inatteso ma non privo di una sua ineffabile bellezza. La donna posa la fronte contro il vetro laterale. Sorregge la sigaretta accesa tra indice e medio.

Quando ancora faceva il liceo, amava ascoltare il profes-sore di lettere mentre leggeva poesie alla classe. La voce bassa, sporcata dal fumo, parlava al suo corpo oltre che alla sua mente. Sentiva una strana vibrazione fremerle sotto la pelle. Il senso delle parole lentamente svaniva. Rimaneva questa pulsazione indistinta che le arrivava diritta nelle vene. Era il richiamo della vita che vuole riprodursi con efficacia. Quel timbro vocale custodiva una certezza biologica radica-tasi attraverso milioni di anni. Senza che potesse rendersene conto l'infatuazione divenne passione bruciante. Poi tormento e angoscia per la difficoltà di non potere essere consumata. Il richiamo aveva la necessità di un bisogno fisiologico. Non conosceva ancora il sottile piacere del rimando perenne. Là dove lo spirito sembra trovare la sua voce nel sangue. Odiava la moglie del professore, ne odiava i figli, gli amici e i parenti. Non sopportava l'idea che qualcuno dormisse al suo fianco,

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ne condividesse respiri e paure, parole e silenzi. Poi giorno dopo giorno cominciò a smussare l'implacabilità del suo desi-derio. Al tormento del sentimento non corrisposto seguirono la depressione, l'infelicità, i desideri autolesionistici; infine la rassegnazione. Le relazioni con i suoi coetanei non avevano altre attrattive oltre il piacere sessuale, spesso nemmeno quello. Si lasciava sedurre senza alcun trasporto emotivo. Sporcava il ricordo dell'amore impossibile scopando con meti-colosa freddezza. Quella vibrazione che la permeava intera-mente, al risuonare di qualche parola del professore, non la sorprese mai più. L'incontro era qualcosa da gestire con la stitica razionalità statistica dell'indagine di mercato. Era soltanto questione di incontrare e soddisfare le pretese del consumatore di turno. Si dava con l’unica gratificazione di vedere appagati i desideri altrui.

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All'interno dell'autogrill ci sono soltanto la barista e il cassiere. Lui guarda lo schermo della televisione seduto su di uno sgabello. Lei sistema un vassoio di panini dietro la vetrina del banco. Zeno sfoglia qualche quotidiano del giorno appena trascorso. Legge i titoli delle prime pagine, guarda le vignette satiriche. La donna è andata in bagno al piano di sotto. Gli ha lasciato la giacca di pelle. C'è odore di pane surgelato tolto dal forno. Di detergente per pavimenti e di alcol slavato dall'acqua. Dalle vetrate si vedono le insegne neon del distributore di benzina. I fari di un’auto che sfreccia nel buio. Anche l'interno dell'autogrill ha l'aspetto straniante di un non luogo. Di un luogo di passaggio.

Zeno prende una bottiglia d'acqua dal frigo e ordina due caffè. Nel preciso istante in cui la barista appoggia le tazzine sul banco, la donna fa l’ultimo gradino delle scale e si av-vicina. Si guardano negli occhi. Lei accenna un mezzo sorriso che si perde dentro un brivido di freddo. Ha ancora il segno rosso della mano sulla guancia destra. I capelli un poco arruffati e gli occhi pieni di sonno arretrato. Indossa la giacca senza dire nulla. Zeno posa le tazzine su un tavolo. Si mettono seduti l’uno di fronte all'altra. Un attimo di timidezza sembra ritrarre il corpo della donna dentro il maglione. Gli abiti per lei sono come il guscio per la tartaruga: una casa, un riparo, un luogo sicuro. Tira i polsini fino a metà della mano e stringe le spalle. Il profumo del caffè apre una breccia nei sensi assopiti dal viaggio e dalla nebbia. Allenta la tensione corporea, riflesso del lavorio continuo dei pensieri.

La barista esce dal banco e si ferma a parlare con il ragazzo all'angolo dei tabacchi. Guardano lo schermo piatto della televisione. Ridono complici. Lui fa qualche allusione a quello che li aspetta appena finito il loro turno. Lei finge riserbo con un cenno della mano, ma le si accendono gli occhi

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e la pelle sembra risplendere. La sala ristorante è completa-mente buia. Tra la cassa e l'uscita c'è un piccolo labirinto di scaffali colmi di merce. I neon al soffitto illuminano lo spazio vuoto che separa i tavoli dal bar.

Zeno posa la tazzina sul piatto e comincia a picchiettare una sigaretta sul tavolo. La donna allunga le dita e le ferma sul suo braccio. Segue un attimo di smarrimento. Un brusco ritorno a ciò che si è soliti chiamare realtà. Cosa ci facciamo noi qui in piena notte lontani dalle nostre piccole idiosincrasie private? La risposta è un silenzio più significativo di qualsiasi parola. Soltanto un silenzio può contenere la complessità di un evento, per quanto minimo, lasciando aperto un orizzonte di indefinitezza.

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Proseguendo verso sud l'autostrada si fa sempre più buia e deserta. Tra le corsie che vanno in direzione contraria ci sono siepi di oleandri al posto del cemento. Il riflesso della luna si sfrangia sulla superficie increspata del mare. In lontananza si vedono i fari delle navi ormeggiate lontano dalla costa. Le onde dell'equalizzatore salgono e scendono sul display digita-le dello stereo.

Zeno tiene il braccio destro disteso sul volante. Lo sguardo fisso alla linea bianca. È intensamente preso dai suoi pensieri. La donna ha i piedi posati al cruscotto e il sedile un poco recli-nato indietro. A tratti chiude gli occhi e ascolta. A tratti osserva quello che vede passare fuori dal finestrino. La pioggia ha smesso di cadere. Sui vetri si è creato un velo di condensa.

… … … Il tempo del viaggio lo vivo sempre in maniera del tutto diffe- rente … … … … così come lo intendiamo convenzionalmente non esiste … … … … e i tuoi capelli diradati? …

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… … un processo fisiologico degenerativo … … … … … … questa alterazione della percezione a cosa credi sia dovuta? … … … … a una differenza di intensità … … … … però i nostri guai restano immutati … … … … … …

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… non assumono anch'essi un valore diverso? … … … … un poco sì a dire il vero … … … … … … il viaggio ridefinisce a ogni istante il rapporto tra noi e ciò che ci circonda … … … siamo obbligati a eludere abitudini mentali troppo rigide … … … … il segreto è non rimanere a lungo nello stesso luogo … …

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… … … mi hai dato l'idea di essere una donna senza punti fermi … … … … perché? … … … hai detto che vivi in albergo … … … e allora? … … … una supposizione … … … … niente passato e niente vita privata …

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… … … … in ogni caso è soltanto durante il viaggio che ciò accade … … … … pensi che il luogo in cui si va non abbia alcuna influenza? … … … … dopo poco torniamo a indossare le nostre abitudini … … … … occorre aumentare la frequenza degli spostamenti … … … non so se sia una soluzione del problema … …

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… hai mai provato? … … … … … l'altrove va trovato dentro se stessi … … … … credi che poi si possa stare ovunque? … … … immagino di sì … … … … rimane ineludibile il problema … … … …

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… è necessario camminare lungo la propria strada … … … … tu sai qual è la tua? … … … … … … camminare è la strada … … … … … … un po' come con il passaggio segreto … … … più o meno …

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… … … …

… … … … … hai visto la luna riflessa sul mare? … … … … la stavo guardando … … … … … … non mi hai ancora detto qual è la meta … … …

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… è il viaggio la meta … … … … … non essere lezioso … … … … … … … … … ti vibra il telefono … … … … … non voglio rispondere …

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Zeno rallenta e si ferma in una piazzola di sosta in aperta campagna. La donna esce dalla macchina e lancia il cellulare sull'asfalto. Il rumore secco di plastica che si spacca è amplificato dall'eco. Parti del telefono si spargono qua e là in modo casuale, come i bastoncini durante una partita di shangai. La donna trattiene Zeno per un braccio e finisce di calpestare ciò che ne resta. Uno scricchiolio sordo proviene da sotto le suole delle scarpe. Si rivolgono uno sguardo e l'accenno di un sorriso trattenuto. Come quando si fa una stronzata e non si vuole ammettere che è stato divertente.

Zeno ha lasciato le quattro frecce accese e lo sportello aperto. Nello stereo suona Melancholia di Basinski. Le note di pianoforte si ripetono sull’incedere vibrante e convulso di sfondi elettronici. Ai margini dell'autostrada ci sono campi e colline pieni di vegetazione incolta. Il fruscio del vento tra le foglie d'erba e i rami spogli mette quasi paura. In lontananza si scorge l'orizzonte sulla superficie del mare piatto. Zeno accende una sigaretta e appoggia il sedere al cofano della macchina. La donna resta qualche passo davanti a lui con le mani infilate nelle tasche della giacca. I fari creano un'enorme ombra che si allunga sulla strada e sembra quasi arrivare fino al cielo. Osservano negli occhi l'uno dell'altra l'ambigua ineffabilità dei moti dell'animo succedersi senza sosta. Un accenno di sorriso brillare un istante prima di perdersi, nell'ineludibile malinconia di una notte di novembre.

Da quando si sono fermati non è passata nemmeno una macchina. Tutti i posti dove sono stati durante la notte ave-vano la straniante apparenza dei non luoghi. La piazzola di sosta non fa certo eccezione. Ogni cosa è quasi priva di sostanza, come fosse pura immagine. Sembra addirittura venire meno alla possibilità di essere nominata. Eppure è tutto così esatto da togliere il fiato. Il dono della perfezione, proprio

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perché non può mai essere un fine, è meno riconoscibile della prevedibile mancanza di essa. Solo l'istante che si sottrae al tempo, invece di sommarsi, conosce la bellezza di ciò che è necessario pur non dipendendo da nient'altro. L'uomo e la donna si trovano a condividere ciò che di per sé non può essere condiviso soltanto su un piano razionale. Forse è proprio il suo negarsi a qualsiasi processo di astrazione a renderlo immediatamente evidente.

Zeno prende dal sedile posteriore il piumone e si siede sul cofano della macchina. Posa la testa sul parabrezza. La donna stringe le braccia intorno alle ginocchia. Assume la sua abituale posizione fetale. Il vento continua a muovere le fronde, a fare cigolare i cartelli stradali. Tutto attorno si scorgono infinite sfumature di blu. Ogni cosa appare trasfigu-rata dall’illuminazione lunare.

… … Ti piace guidare … … … … mi rilassa … … … a me annoia … …

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… … … … … … … … … … in base a cosa hai scelto la strada? … … … … casualmente … … … … quando siamo usciti dal parcheggio come hai deciso se an- dare a destra o a sinistra? … …

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… … sempre allo stesso modo … … … relaziono le diverse possibilità ai numeri che ricavo dall'os- servazione delle cose più disparate … … … … … … non ti piace scegliere? … … … … preferisco pensare in termini di probabilità … … … … …

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… … un modo per eludere anche l'inconscio … … … … … … … … vorrei guardare degli aerei decollare … … … … … … … hai abbandonato la tua rigidezza … … … … …

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… … mi sento a mio agio … … … … forse perché parliamo poco … … … … … può essere … … … … … … ma tu proprio non hai sonno? … … … … per niente …

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… … … … puoi stare tranquilla … … … … … non te l'ho chiesto per questo … … … … … di solito mi addormento qualche ora dopo cena e poi rimango sveglio fino a mattina … … … … io cedo di tanto in tanto per sfinimento … … … …

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… … hai mai viaggiato in macchina con uno sconosciuto prima di questa notte? … … … a volte … … … … è strano riuscire a condividere qualcosa soltanto con chi ti è del tutto estraneo … … … … … …

… … … per me è indifferente … …

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… … … … … … non hai molta fiducia nei rapporti umani … … … tu ne hai? … … … … … non mi è rimasto nessuno … … … …

… … …

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… si fanno pezzi di strada insieme … … … … ci si fa un poco di compagnia … …

… … che altro? … … … … … poco di altro …

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Zeno e la donna sono in piedi davanti a una vetrata dell’aeroporto. Si scorgono le luci rosse lampeggianti che delimitano le piste di atterraggio. Una leggera coltre di foschia svanisce in lontananza. Piccole gocce d’acqua scivolano sul vetro. All’interno del bar ristorante non c’è nessuno. Si sente il fruscio meccanico delle scale mobili. Il ronzio dei condotti di aerazione. Il rumore dei tacchi di una hostess alterato dal riverbero naturale delle immense sale deserte. Proprio sotto la vetrata c’è un aereo fermo in attesa di partire. Ha ancora i motori spenti. Alcuni uomini sono in piedi vicino al camion cisterna che contiene il carburante. Improvvisamente si sente un sibilo reboante di reattori pro-venire dall’alto. Zeno e la donna voltano lo sguardo per osservare gli ultimi istanti di volo dell’aereo che sta atterrando. In fondo alla pista il velivolo rallenta, fino quasi a fermarsi, poi procede verso i punti di sbarco a bassa velocità. Lo sguardo della donna è focalizzato su ciò che accade al di fuori della vetrata. Gli occhi sono spalancati e immobili. Nemmeno un battito di palpebre a interrompere quella indecifrabile fissità. Di tanto in tanto emette un lungo respiro e stringe la mano di Zeno. La sua pelle è fredda e delicata. Un leggero tremore sembra volere comunicare qualcosa che le labbra prefe-riscono trattenere. Lui la osserva mentre ascolta il suono dei reattori infrangere il brusio proveniente dalle sale deserte. Ciò che è udibile all’interno di un aeroporto è indefinibile. L’inso-norizzazione rende lo spazio sonoro innaturale. Ogni piccolo rumore assume inattesa rilevanza, oppure si fonde in un magma confuso e ovattato, in cui perde definizione. La donna appoggia le dita al vetro con un movimento lento e delicato. Come fosse il cielo a tenerla in piedi. Ogni giorno questi vetri sorreggono le mani di chi attende qualcuno che arriva o saluta qualcuno che se ne va. Migliaia di impronte

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digitali sovrapposte su una superficie trasparente. Una performance collettiva distribuita in un tempo che dal passato si protende verso il futuro, attraverso un numero indefinito di istanti presenti. L’ineffabilità dell’opera risiede nel fatto di essere cancellata, ogni sera, dagli addetti alla pulizia dell’aeroporto. Perfetta nel suo negarsi e reiterarsi all’infinito. Sempre virtuale ma allo stesso tempo attuale e a venire. L’opera più pura è l’insieme dei suoi momenti abortiti, poco prima di essere condensati in una forma definitiva. L'irripetibile sottratto al nulla nella cancellazione che restituisce l'infinito all'oblio.

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… … Potessimo vivere soltanto nel presente penso che saremmo felici … … … … cosa credi ce lo impedisca? … … … … l'ombra immutabile del passato e quella senza volto del futuro … … … … ciò che non è più e ciò che non è ancora … … … … sono convinta sia proprio così … … …

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… ora comprendo la tua strana richiesta … … … … appena ciò che si è già vissuto comincia a fare breccia nel presente condiziona ciò che si sta vivendo … … così finiamo per ripeterci invece di reinventarci a ogni istante … … quando ci si incontra non si dovrebbe cercare di conoscersi ma di diventare qualcos'altro … … … … non so se basti il proposito di non parlarne per eludere il passato … … … … aiuta comunque a tenerne lontano una buona parte … … …

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… per quanto riguarda il futuro? … … … … non mi aspetto più niente da un pezzo … … … di peggio non può accadermi nulla … … … … è un po' il medesimo discorso della strada … … per fare sì che il viaggio sia la destinazione occorre non tene- re troppo conto del percorso già fatto … … allo stesso tempo lasciare una certa indeterminatezza riguar- do quello ancora da percorrere … … …

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… … ora capisco … … … … ma a ben guardare tale distinzione è del tutto arbitraria … … … … … … … … … hai intenzione di guidare tutta notte? … … … … fino a che non saremo arrivati … … …

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… non è il viaggio la destinazione? … … … … sì ma il luogo non è indifferente … … … … … come fare a lasciare una certa indeterminatezza eppure rico- noscere la destinazione? … … … forse questo è il vero segreto … …

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È rimasta soltanto la luna a illuminare l'autostrada deserta. Un palloncino di xeno sbucato dalle onde del mare. Le nubi un sipario di seta trasparente. Chilometri d'asfalto scivolano sotto il disegno asimmetrico delle ruote. Il vento sibila alle estremità dei finestrini socchiusi. Nelle casse dello stereo suona 92982 di Basinski. La donna fuma una sigaretta senza troppa convinzione. Una di quelle accese per inerzia o per abitudine; senza un perché, nel tentativo di colmare un istante, di rendere un silenzio meno pesante. La testa reclinata contro il vetro, gli occhi fissi allo specchietto laterale. Nel suo sguardo scorre veloce la striscia bianca che delimita la corsia. Non pone più attenzione alla musica, è divenuta quello stesso intreccio di suoni. Non c'è alcuna distanza d'ascolto. Le diverse frequenze delle onde si sovrappongono e si fondono con le frequenze emesse dai processi fisiologici del corpo. Gli occhi sono uno specchio su cui le cose proiettano la loro immagine speculare. Non assorbono nulla. Non trattengono. Le dita sbucano timide dal polsino del maglione. Sorreggono la sigaretta e la cenere in bilico su di essa. Dita sottili e affilate che tagliano lo spazio attorno a lei con gesti lenti e precisi. Nella penombra il profilo della donna ridefinisce i suoi tratti a ogni istante. Ogni minima variazione di illuminazione muta la porzione di viso visibile. I molti volti racchiusi nei suoi linea-menti prendono forma. Trovano espressione nel gioco di luci e ombre che si sussegue a ritmi irregolari.

Zeno è percorso da pensieri fulminei e privi di nessi causali. Un montaggio per forti contrasti avvicina le immagini più disparate. Qualsiasi forma di associazione per analogia sembra abolita. La sua mente è soltanto uno strumento di elaborazione e integrazione di questa moltitudine di percetti visivi. L'unica relazione è il processo stesso di computazione nel suo continuo farsi e disfarsi. Dalle labbra di Zeno esce il

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bisbiglio appena accennato di schiocchi prodotti dalla lingua sul palato. Le dita a tratti saltellano sulla pelle del volante, a tratti si fermano sul pomello del cambio. La donna lo osserva di sbieco. Cerca di ricollegare i suoi lineamenti a quelli della persona che ha incontrato dentro all'ospedale. Ma rimangono due figure distinte. Per lei c'è sempre un prima e un dopo l'istante in cui l'indifferenza e la ritrosia vengono meno. Ne è consapevole, non può farci niente. Il suo volto prima di quel momento è un viso estraneo. Come se i sensi fossero collegati alle emozioni attraverso un firewall. Fino a che non è stata aperta una porta in entrata, ogni cosa resta priva di punti di contatto con la sua interiorità.

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Qualche grumo di pioggia ghiacciata si posa sul parabrezza. Fiocchi di neve leggeri cominciano a scendere illuminati dai fari dell'auto. Il cielo perde profondità di campo, diventa piatto, sembra uno schermo analogico non sintonizzato. Frammenti bianchi e grigi si intrecciano a intermittenza nel buio. La luna ora è coperta da strati di nuvole cariche di ghiaccio. La visibilità si è ridotta di nuovo a poche decine di metri. Un sot-tile tappeto bianco di neve copre l'asfalto. Dal vetro posteriore si vedono due lunghe tracce nere, come in un quadro di Mondrian. Il candore leggero dei fiocchi che cadono, contrasta con l'asfissiante pesantezza del cielo schiacciato sul para-brezza. Il movimento continuo con l'immobilità delle cose e dei luoghi. Gli spazi vuoti scompaiono. Le distanze si annullano. Il tempo sembra ritrarsi. La macchina scorrere dentro un tunnel di vetro tra due mondi.

Zeno e la donna restano a fissare fuori trattenendo quasi il fiato. Di tanto in tanto un sospiro. Un battito di ciglia. Le mani di lei che si aggrovigliano al cordoncino degli stivali. Quelle di lui posate a ritmi alterni sul tessuto ruvido dei jeans. I suoni elettronici e le note del pianoforte si mescolano ai tanti rumori che affollano il silenzio: il rollio dei pneumatici sull'asfalto, il sibilo del motore, lo scricchiolio degli interni, il fruscio dell'impianto di riscaldamento.

… … … Che fai? … …

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… … … ascolto … … … … … … la musica a tratti mi distrae … … … … il flusso dei pensieri mi tiene avvinto … … … le immagini scorrono senza posa … … … …

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… … … … possiamo spegnere lo stereo e restare in silenzio … … … … … … … … a volte la musica mi trattiene in superficie … … … … … … c'è una dimensione in fondo a me stesso in cui mi sento più vicino a ciò che è fuori … … … …

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… … … oltre una certa soglia tutto è prossimo … ... … … … … come è possibile? … … … … … … ascoltare è un modo di partecipare … … … … per questo occorre non distrarsi troppo … … …

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… … il silenzio è vicinanza … … … … … … … … … sono sicura che dimenticherò tutto … … … … … … … le distanze sono negli occhi … …

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… … … … … allora basta chiuderli … … … … … … … o forse non guardare soltanto con quelli … … l'immagine non è mai sincera … … … … è un'illusione … … … …

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anche il tramonto e l'aurora lo sono … … … … occhi e parole si somigliano … … hanno bisogno di qualcosa cui appoggiarsi … … … … … … … la vicinanza è sentire senza oggetto né concetto … … … … come la poesia … … … …

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esiste ancora? … … … … per sentito dire … … … … … … quindi la mia presenza ti distrae? … … … … … … tu come me attraversi passaggi segreti … … … … …

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… … … hai mai visto Stalker? … … … … cosa ci aspetta nel luogo dove ci porterà la strada? … … … … … non ne ho idea … … … … … la realizzazione di tutti i desideri? … … …

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… … … quando si smette di desiderare l'assenza allora davvero si scopre il segreto del desiderio … … … … … cioè? … … … … i segreti non possono essere svelati … … … dai smettila … … … …

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… … … il desiderio non è mancanza anche se non può farne a meno … … … … … … … come mai finiamo in questi vicoli ciechi? … … … … … colpa della neve suppongo … … … … … delle sigarette … …

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… … … … dovremmo smettere … … … … o ricominciare … … … … … … … … mi sembra di essere dentro una di quelle sfere di vetro natali- zie con il polistirolo … …

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La donna sfoglia un libro di Zeno tenendolo appoggiato sulle gambe incrociate. La piccola luce sopra lo specchietto retrovisore crea un cono sbiadito nel fumo. Sul vetro la neve continua a fermarsi un istante prima di essere spazzata via. I cristalli riflettono una piccolissima scintilla di luce. Fanno il rumore dei polpastrelli di un gatto che zampetta sul para-brezza. Delle ali di una falena che si librano nel buio. Zeno spegne l'ennesima sigaretta nel posacenere colmo di cicche e di carte di caramelle. Non si distinguono più i margini della strada. Soltanto l'ombra dei rami di oleandro che si flettono per il peso. L'autostrada sembra un lago ghiacciato. Nemmeno una scia davanti a loro. Il bianco manto che ricopre le cose come un sudario. Stelle filanti e coriandoli che cadono a terra leggeri. Luoghi sconosciuti travestiti da luoghi comuni. Con la neve i posti che incontrano si assomigliano tutti. Sempre la stessa storia. Una sorta di qualunquismo dello sguardo. Ma proprio dove ogni cosa sembra ripetersi poco a poco emergono inattese epifanie. L'insensato balenio dei piccoli dettagli. La sorda e cieca seduzione del caso che avvince lo sguardo di rifrazioni e di riflessi. Profili di chiarore nel buio. Ombre che appaiono e scompaiono. Scorci di centri abitati sovrapposti ai capelli della donna. Le onde dell'equaliz-zatore sul finestrino laterale punteggiato di fiocchi di neve. Il naso di Zeno tra le foglie di oleandro.

La donna ha reclinato ancora il sedile. Tiene la schiena sollevata. Le dita della mano destra appoggiate al vetro. L'orizzonte sembra potersi chiudere dentro il palmo della mano. Ogni tanto abbassa gli occhi tra le pagine aperte del libro. Si sofferma un istante su una frase che ha appena letto. Poi lo sguardo torna a perdersi oltre i vetri. Non cerca nulla tra le parole che non possa essere suggerito anche dai sensi. Le parole sono frammenti tra altri pezzi di cose riflesse sulla

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retina dei suoi occhi. Un collage in cui nulla ha il rilievo di un primo piano. Sottratta alla pagina anche la scrittura prende vita. Dialoga con il paesaggio, la strada, con il corpo di Zeno, i suoi respiri; con gli odori, le note del pianoforte; con la luce dell'abitacolo. La leggerezza restituisce fluidità e respiro ai pensieri. Che sfuggono così all'asfissia della memoria.

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Zeno gioca con l'acceleratore. Cerca di mantenere sempre la stessa velocità. La lancetta nel cruscotto è quasi immobile ma lui non la guarda. Sono il piede e l'orecchio a fargli sentire con precisione ciò che occorre fare. Una volta che la macchina è lanciata, basta sfiorare appena il pedale del gas. La quantità di energia necessaria a mantenere il moto costante è minore. Talvolta però aumenta in modo impercettibile la pendenza e deve fare più pressione. A volte invece alza il piede perché la strada tende a scendere. É un equilibrio sottile, fatto di sensi-bilità e di un briciolo di follia. Lo strato di neve rende l'asfalto viscido e scivoloso. Un piccolo errore sarebbe sufficiente per fare perdere aderenza alla macchina.

Zeno avverte l'indifferenza della donna per il suo modo di guidare. Come se per lei sotto le ruote ci fossero i binari. Il genere di disattenzione di chi non ha mai stretto tra le mani un volante. Si è seduta sul sedile come ci si butta sul divano di casa. Questa cosa lo mette a suo agio. Sente di potersi prendere le stesse libertà di quando è solo. L'unica cosa che gli preme è non rischiare troppo con la benzina. Di solito aspetta a fare rifornimento fino a quando nel serbatoio ne sono rimasti sì e no un paio di bicchieri. Non è una questione di spilorceria. Per risparmiare occorre andare piano, non di certo tenere la lancetta sul rosso. Sono quelle stupidaggini che gli rendono la guida in autostrada meno noiosa. Tutto qui.

Poi quasi senza volere si mette ad annotare mentalmente le cose più strambe. Inizia sempre così. Come un gioco. Conta quante volte i tergicristalli scorrono sul vetro in un chilometro. Cosa avviene tra il primo suono di un brano musicale e l'ultimo. Magari questo intervallo di tempo equivale a una certa quantità di metri percorsi. Oppure alla distanza esatta tra due luoghi qualunque. Ferma gli occhi sul display dello stereo all'avvicinarsi di una variazione. Memorizza il

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minuto e il secondo esatto in cui avviene. Poi cerca delle strane corrispondenze numeriche tra questi dati. Come se potesse trovare il segreto legame che unisce tutto ciò che accade. L'ossessione di una vita. Dare un valore, non soltanto matematico, all'insieme di numeri di cui l'esistenza è colma. Il punto esatto dove confluiscono scienza e poesia, ragione e intuito, materia e spirito.

… … Pensa a una cosa qualunque … … … … … … … … … la prima che ti passa per la testa … … … …

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… … … … … … … fatto … … … … … … … … e ora? … … … … …

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… … … … … ora se riesci dimenticala … … … … …

… … … … …

… … ti prendi gioco di me? … … …

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… … … … … … … prendiamoci gioco del tempo … … … … … … … …

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L'autogrill è minuscolo e spoglio. Soltanto l'insegna sopra il distributore di benzina e la luce che proviene dal bar. Fuori dall'autostrada ci sono prati innevati e vegetazione selvaggia. Il candore della neve schiarisce l'oscurità circostante. I fiocchi che si posano sulla pelle danno un senso di piacevolezza. Come un lieve solletico. Un uomo sta facendo benzina al distributore automatico. La barista fuma una sigaretta tenendo la porta aperta per metà. Scambia qualche parola con il tizio alla pompa.

Nel parcheggio c'è soltanto uno scooter sotto la tettoia dei bagni. La donna si allaccia i cordoncini degli stivali e infila il cappotto. Zeno è in piedi fuori dalla macchina. Osserva intorno a sé. Con una mano raccoglie un poco di neve dalla capotta. Disegna una faccina sul parabrezza. Il sorriso della donna traspare sotto il vetro appannato. Si sovrappone alla mezzaluna rovesciata che Zeno ha tracciato con un dito. L'eco sordo dello sportello che si chiude risuona attutito in un soffio di vento. Lo sguardo di Zeno incrocia un istante quello della donna. É dolce e rilassato. I lineamenti hanno lasciato cadere quella smorfia di dolore che li tratteneva. Negli occhi un bagliore sottile ha forato la patina opaca che li ricopriva.

La donna coglie una manciata di neve e la lancia a Zeno. Lui si volta sorpreso e un'altra palla lo colpisce in pieno viso. Tutto accade in un istante. Senza che se ne possa nemmeno accorgere. La donna ride e scappa lungo il parcheggio. Zeno nel tentativo di raggiungerla scivola e per poco non cade a terra. Lei continua a ridere e a fare piccoli passi svelti verso il bar. Quando finalmente riesce ad arrivarle vicino, le schiaccia in testa un mucchietto di neve fresca. La donna urla e muove i capelli sciolti con le dita. Un improvviso rossore le colora il viso. Gli rivolge uno sguardo bambinesco come per dire questa me la paghi caro. Poi con un balzo salta sul marcia-

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piede asciutto sotto la tettoia. La barista sorride e borbotta qualcosa mentre spegne la sigaretta nel posacenere.

Zeno resta distante qualche metro temendo il peggio. Osserva i suoi movimenti. La donna tiene le mani dietro la schiena, mentre muove accigliata la bocca da una parte e dall'altra. Proprio mentre Zeno si china circospetto per raccogliere la sciarpa, si sente arrivare un ammasso gelido nel collo. Lo scoppio di riso della donna rompe il silenzio. Batte i piedi a terra con energia ed entra svelta nel bar prima che lui abbia tempo di reagire. Zeno resta impietrito a guardare la porta chiudersi. L'uomo che stava facendo benzina mette in moto la macchina e parte. La neve cola sotto la camicia, gli fa stringere le spalle in un brivido di gelo. Alzando gli occhi vede l'insegna dell'autogrill che si spegne un istante e si riaccende. Emette il suono graffiante di due fili elettrici di polo opposto che si toccano.

… … A cosa pensi? … … … … … … a niente … …

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… … ti vedo assente … … … … … … ti sbagli … … sono quanto mai presente … … … … … … … … … … il tuo startene in silenzio? …

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… … … non sei tu che ami farne un uso moderato? … … … … … … a volte lo dimentico … … … a volte vorrei parlare sempre … … a volte tacere all'infinito … … … … …

… … il tempo delle cose taciute non è mancante di nulla …

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… … … a forza di parlare finiamo per non sapere niente … … … … … … … … potremmo aprire un giornale a caso e prendere spunto per iniziare una discussione qualsiasi … … … … … qui ad esempio … … … … … odio i giornali …

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… … perché? … … … … pretendono di raccontarci l'accadere quotidiano … … … … e invece ce lo sottraggono … … … … … … potremmo tirare i dadi e scegliere una lettera a caso da cui partire … … … una parola … …

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… … un dialogo del tutto estraneo alle nostre intenzioni … … … … … … … … … … … come mai lo bevi senza zucchero? … … … … amo sentire i sapori per quello che sono … … senza alterarli … …

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… … sei un integralista … … … … che parola terribile … … … … un purista … … … … orribile anche questa … … … … … … non essere pedante … …

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… … ho sempre proceduto per sottrazione … … … … potresti finire come il protagonista di Sacrificio … … … … … … come mai sempre Tarkovskij? … … … … non c'è una ragione precisa … … … o forse sì … …

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… ... … è che mi ci fai pensare … … … non so … … … … … … le cose che accadono tra noi … … … … forse i nostri discorsi … … …

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La donna raccoglie un cappello dal sedile posteriore e se lo mette in testa. Un vecchio stetson nero da uomo che qualcuno ha dimenticato. Giaceva sepolto tra giacche, copertine di cd, giornali e cartoni pieni di libri. Zeno osserva allibito. È sorpreso lui stesso di vederlo sbucare dall'oblio che lo ha tenuto nascosto fino a ora. Deve tornare indietro di quattro o cinque anni, per dargli un volto e un nome. Contrariamente a quanto accade per la donna, ama ricordare il passato che gli oggetti riportano alla memoria. Non conce-pisce che ne debba seguire la necessità di raccontarne. Si limita a qualche mezzo sorriso smorzato anzitempo, per non dare adito a speranze disattese.

La neve ha ricoperto il parabrezza di un candido strato di qualche centimetro. A malapena filtra un poco di luce attra-verso i cristalli di ghiaccio. Non si vede nulla al di fuori dei vetri. Un riflesso azzurrino avvolge ogni cosa. Grani di polvere roteano nell'aria attratti da un campo magnetico. L'odore stantio di fumo e cenere pizzica nelle narici. È più fastidioso di una sigaretta accesa. Il battito cardiaco è ancora accelerato per lo sforzo impiegato a camminare sulla neve. Dalle bocche escono nuvole bianche di anidride carbonica.

La donna appoggia la schiena allo sportello laterale e abbassa il viso fino a scomparire sotto la tesa del cappello. Tiene una gamba ripiegata sul sedile. La suola dello stivale sfiora la lana delle pantacalze. Gioca con il piccolo accendino nero che stringe in mano. Zeno chiude gli occhi e ascolta i movimenti della donna. Sente il rumore delle articolazioni delle dita. Le piccole scariche elettriche prodotte dallo sfrega-mento dei tessuti. Il cigolio del sedile sotto il peso del corpo. L'altro stivale della donna che si muove sulla moquette umida del tappetino.

La mediazione per forti contrasti, caratteristica di lei, ha

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permeato anche il loro modo di comunicare. Momenti di dialogo intenso, anche se frammentato da pause frequenti, alternano silenzi precari, in cui ciascuno sembra tornare a sprofondare nel proprio tempo interiore. A tratti i loro ritmi si sovrappongono quasi perfettamente. Come quando frecce e tergicristalli, per qualche istante, si accendono e si spengono in sincrono. A tratti invece si dilatano fino a perdere qualsiasi traccia che possa avvicinarli l'uno all'altro. Anche se non ricalcato sulla pulsazione dell'orologio, ciascuno appartiene a un tempo sottratto all'eternità. Ogni attimo è la negazione dell'infinito ma anela a fuoriuscire dai cardini del tempo. Dall'inorganico fino al più evoluto stadio biologico, tutto nega l'assoluto, ma partecipa di una perfezione attuale eppure sempre di là da venire.

Improvvisamente un gatto balza sul cofano e disegna piccole tracce sul parabrezza della macchina. Sembrano i buchi che le formine dei biscotti lasciano sulla pasta. Zeno solleva il viso e rimane con lo sguardo a osservare l'inattesa apparizione dileguare.

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La donna si è sdraiata sul sedile posteriore. Tiene la testa appoggiata sul piumino di Zeno. Il cappello reclinato sul viso. Guarda il buio fuori dal finestrino. I fiocchi di neve scendere leggeri verso l'asfalto. Lo stereo crea giochi di luce all'interno dell'abitacolo. Le casse emettono i glitch freddi e minimali di Alva Noto e le note oscure e malinconiche di Ryuichi Sakamoto. Si sentono rumori che sembrano i fruscii di un cavo audio mal funzionante. Di un errore di sistema del computer nel leggere alcuni dati. Di una stampante che non riesce a raccogliere un foglio. Improvvisamente la donna ha iniziato ad ascoltarli attentamente, a isolarli dall'intreccio risultante. Non ci aveva ancora fatto caso. Alcuni di questi suoni li sente ogni giorno nelle situazioni più disparate. Inseriti in una traccia musicale creano un mondo sonoro inconsueto. Che a tratti esula completamente dall'idea di armonia e di melodia. A tratti invece si concretizza proprio nella tensione, attraverso punti di rottura e di convergenza. Un processo che assume pregnanza nel contrasto, in uno sviluppo enantiodro-mico.

La musica deve trasmettere piacevolezza ai sensi oppure attraverso di essi raggiungere l'intelletto? O forse le due cose possono e non devono necessariamente essere disgiunte? Ma fino a che punto è lecito sacrificare gli uni per l'altro? La sensualità per l'astrazione, la misura e la proporzione per la disarmonia e l'indeterminatezza riguardo agli esiti? La donna è stupita di riuscire a ricavarsi spazi di solitudine e di riflessione in presenza di Zeno. O forse a stupirla è il fatto che ciò avvenga con una naturalezza inusuale. I silenzi tra loro sembrano eludersi l'uno con l'altro come alcune porzioni di onde quando si sovrappongono. Eppure allo stesso tempo danno un ritmo e una cadenza del tutto particolare al tempo speso assieme.

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Zeno pensa all'amico proprietario del cappello che indossa la donna. Gli torna alla memoria la serata in cui lo dimenticò sul sedile della macchina. Era andato a trovarlo a Firenze dove viveva e lavorava da anni dopo la laurea. Il pomeriggio lo trascorsero tra chiese, gallerie d'arte e bicchieri di ottimo vino toscano. A sera cenarono a casa sua, con alcuni amici di lui. Qui conobbe una ragazza americana che studiava arte a Firenze. Zeno rimase parte della notte affacciato sull'Arno a bere vino con lei. Dalla finestra si vedeva lo studio di un pittore sulla riva opposta. La parete esterna dello studio era un'immensa vetrata. Quella vista diede loro l'occasione per una discussione animata sulla pittura, la fotografia e altre forme di performance. La ragazza non amava particolarmente l'arte contemporanea. Zeno invece non condivideva questa presa di posizione netta e aprioristica. Ma guardandola negli occhi dimenticava tutte le divergenze. Percepiva in tutta la sua nuda e banale evidenza la pretestuosità del discorso. Fosse stata anche noiosa e stupida, l'avrebbe trovata comunque irresistibile. L'aria un poco bohémien della ragazza, tipica degli studenti d'arte, dava soltanto ulteriore rilievo alla sua bellezza semplice e pulita. I capelli appena lavati e pettinati, il viso senza un filo di trucco, l'odore delicato della camicia trasparente a contatto con la pelle diafana. Finché si è molto giovani la bellezza, di una donna o di un uomo, sembra potere rendere ininfluente persino l’ignoranza e la grettezza. Poi poco a poco ci si accorge che, di costoro, rimangono soltanto i difetti e corpi privi di ogni grazia.

Zeno non diede alcuna importanza alla sua assenza prolungata dal tavolo dell'amico. Nell'ebrezza del vino, di tutta quella bellezza e della vista sul lungo Arno, si lasciò andare senza riserve. Non si era nemmeno reso conto che lui fosse innamorato di lei e non corrisposto. Come aveva potuto

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ignorare questa implicazione? Lui non aveva fatto alcun accenno alla cosa, ma a ben guardare era piuttosto evidente. Chi non se ne sarebbe innamorato? L'amico di Zeno fece finta di niente per tutta la serata. Soltanto dopo l'ennesimo drink, una volta abbandonato ogni freno, emerse il risentimento tenuto nascosto fino a quel momento. Così la notte scivolò via tra silenzi di imbarazzo e improvvise esplosioni di sarcasmo e di tensione. La ragazza sembrava divertita da questa contesa tra i due giovani ebbri di vino e di passione. Lei stessa aveva peggiorato la situazione, dando a Zeno quello che all'altro non aveva mai concesso: la sua attenzione esclusiva. Questa cosa aveva fatto sentire all'amico di Zeno il morso irragio-nevole della gelosia. Così finì che si ubriacò al punto di dovere essere caricato in macchina sotto braccio. Dove poi, addormentatosi sul sedile posteriore, lasciò cadere il cappello che adesso indossa la donna.

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… … Il tuo guardaroba è molto essenziale … … … … … sei ironica? … … … … un pochino … … … … … vivendo in macchina non potrei fare altrimenti … … … di tanto in tanto potresti invitarmi … …

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… … … … potremmo fare un po' di ordine e pulire … … … … … in effetti ce ne sarebbe bisogno … … … …

… come stai lì dietro? … … … … … ci voleva un po' di solitudine …

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… … … ho sempre guardato la neve cadere e tu? … … …

… … il cappello mi ha fatto pensare a delle cose … … … … vedi che il passato trova sempre modo di intromettersi … … … … … erano soltanto ricordi sbiaditi … …

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… … … pensa a cosa ti piacerebbe ricordare di questa notte … … … … tanto poi non sarà quello che ricorderò … … … … non rompere … … … … magari vorrò ricordare ciò che ancora non è stato … … … quando me lo hai chiesto tu io l'ho fatto … …

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… … d'accordo d'accordo … …

… … … … non cambi mai musica? … … … … ti ha stancata? … … … … … no al contrario … …

… …

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… sei sempre deciso a proseguire? … … … a meno che tu non voglia fermarti … … … … … spero soltanto di accorgermi quando la strada ci avrà portato a destinazione … … … … … sento che siamo sulla via giusta … … … cosa te lo fa pensare? … … …

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… … quando il luogo non è più importante … … quando il tempo sembra fermarsi … … … … … cosa accade? … … … … … niente … …

… non accade niente …

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La strada è una distesa bianca senza fine. Sono passati i mezzi spartineve ma si è già formato uno strato di qualche centimetro. Il cielo sembra una camera a bolle in cui sia entra-to un raggio cosmico. Scintille bianche esplodono ovunque illuminate dalla luce dei fari. Zeno fissa un punto indefinito nel buio punteggiato e prosegue a bassa velocità. Regge il volante con tre dita soltanto. Con la mano sinistra scrolla la cenere della sigaretta fuori dal finestrino socchiuso. Ha ab-bassato il volume dello stereo. Aurora Liminalis di Basinski e Chartier è appena avvertibile. Ascolta i respiri della donna. La cerca nello specchietto retrovisore. Vede porzioni del suo corpo tra il vetro laterale e la cintura di sicurezza. Poi un poco più in là tra i due sedili. Ne osserva i movimenti lenti delle dita sui bordi delle pagine. I capelli scendere sotto la tesa del cap-pello. Il profilo che sembra disegnato con un unico tratto di matita su un foglio bianco. Il ritmo del suo respiro viene rotto da un sospiro e poi torna a essere leggero e costante. Come il battito del cuore.

I piedi della donna sono appoggiati sul sedile posteriore. Ha tolto gli stivali e tiene le gambe ripiegate vicino al petto. Sfoglia alcuni libri trovati in mezzo alle cose in confusione. Non ha voglia di leggere. É soltanto curiosa. Cerca di collegare i dati più disparati. Le impressioni raccolte a ogni cambio di prospettiva fanno slittare qualsiasi significato. Zeno diviene un accumulo eterogeneo di impressioni senza legame tra loro. Vorrebbe che anche lui non avesse già composto un puzzle conchiuso una volte per tutte. Le piace immaginare che abbia lasciato aperta la sua mente all'indeterminato. Proprio per non precludersi la possibilità di qualcosa di nuovo da creare assieme. Spera di essere all'altezza di quello che si aspetta da lui. Cerca di immaginarsi con i suoi occhi. Gli avrò fatto pesare troppo le mie disavventure personali? Sarò riu-

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scita a eludere i cortocircuiti del dolore? Non ne è sicura ma sente che via via tra loro è andata sempre meglio. Anche se l'ultima cosa a cui pensava in una notte come questa, era proprio la possibilità che tali domande avrebbero potuto inter-rogarla. Non si aspettava certo che qualcuno riuscisse a farsi sentire, o anche soltanto a entrare nel suo campo visivo. Ma ora basta. Adesso vuole vivere il momento presente e tenere in tasca il passato. Anche quello più prossimo. Abbandonare tutti questi dover essere per qualcosa di non dovuto a nes-suno. Nemmeno a se stessa. Nemmeno al suo dolore. Anche la sofferenza ci impone le sue odiose liturgie, che accettiamo non senza un certo compiacimento. E poi vuole credere che il bambino non avrebbe mai potuto essere triste di vedere sua madre stare meglio. Qualsiasi ne possa essere il senso, una morte deve essere illuminata dalla vita che resta. Come la primavera fa con l'inverno. Chissà quanto dolore ha taciuto l'uomo che le siede davanti. Quanta sofferenza nasconde quello sguardo così indecifrabile. Vorrebbe scavalcare i sedili e tornare al suo posto, ma accucciata sul piumone bianco dell'Ikea si sente comoda. L'idea di dovere scaldare di nuovo il suo angolo di tessuto le pare poco invitante. Potrebbe comunicare a Zeno i suoi pensieri. Ma si accorge che è così bello restare in silenzio e avvertire che non fa paura.

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… … Di questo passo farà giorno prima di arrivare … … … … … secondo te che ore sono? … … … … non lo voglio sapere … … … … … … il cielo è già meno scuro … … … …

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… … non ho nemmeno idea di dove possiamo essere … … … … … lontani eppure così vicini … … … … … per questo mi sento leggera … … … una sensazione di sospensione … … … forse il viaggio … … … …

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… … il passaggio segreto … … come lo chiami tu … … … non ne sono certa … … … ma comincio a capire quello di cui parlavi … … … … … vedi che siamo sulla strada giusta … … … … … …

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… ma tu lo senti? … … … in me intendo … … … … … a dire il vero già da un po' … … … … … cosa te lo ha fatto immaginare? … … … … …

… i tuoi occhi …

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… il tuo modo di parlarmi … … … il tuo sorriso … … certi silenzi … … … … … … … annullandoci così tanto nel dolore non solo non rispettiamo la vita ma nemmeno la morte … … … … … … … come si fa a rispettare la morte? … …

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… non oltrepassa le nostre possibilità? … … … alla fine morte e vita sono due modi differenti di descrivere la stesso identico fenomeno … … … ... … ma poi l'affetto, il vuoto, il silenzio … … … … … solo il silenzio può dire la morte e la vita insieme … … … … attraverso di esso ogni cosa si esprime …

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… … … quello che si perde si perde per troppo parlare … … … … troppo ripetere sempre le stesse cose … … … … … … troviamo soltanto parole per quello che non abbiamo più da dire … … … … ma alla fine non resta che tentare … …

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Qualche chilometro dopo l'uscita dell'autostrada Zeno rallenta e accosta. Ferma la macchina davanti a un hotel che sembra chiuso. Il parcheggio è deserto. Le tapparelle dell'edificio sono tutte abbassate. Attaccata alla porta di ingresso c'è una targa di ottone con scritto suonare. L'ennesimo non luogo in cui sia capitato loro di fermarsi. Zeno scende dalla macchina e distende braccia e gambe. Sente i muscoli rattrappiti e pe-santi. La neve continua a ricoprire senza posa ogni cosa. Ora i fiocchi sono più grandi e sembrano sbuffi di riso soffiato. Il cielo è blu scuro e torbido a causa delle nubi. L'insegna neon dell'hotel è l'unica luce nei paraggi. Si sente l'eco di un cane che abbaia. La ventola di raffreddamento del motore spegner-si. Poi tutto tace. Soltanto il ticchettio della carrozzeria e lo scricchiolio del ghiaccio. L'aria è fredda e pizzica nel naso pulita e leggera. Si distingue l'odore del sale e dello iodio. Non ci fosse foschia si vedrebbe il mare in lontananza. Zeno abbassa le palpebre mentre inspira profondamente. Una vertigine lo assale. Sente vibrare l'epidermide del viso. Le gambe si flettono in modo quasi impercettibile. Apre la portiera e rimane ancora lì fermo ad ascoltare. La donna gli sorride e ritira un poco le gambe che erano distese sui vestiti. Stringe le braccia intorno al petto per ripararsi dall'improvvisa ventata gelida. Lui la guarda negli occhi. Lei scuote appena il volto. Zeno fa un poco di spazio tra le sue cose in confusione e si siede. Fissa le onde sul display dell'equalizzatore. La donna ritrae le mani dentro il polsino del maglione. Osserva il profilo di Zeno da sotto la tesa del cappello. L'inattesa vicinanza sembra di nuovo rivelare dell'altro ciò che a ciascuno sfugge. A ogni ridefinizione dell'equilibrio spaziale corrisponde un disorientamento nell'ordine temporale. Ma è soltanto un istante. L'intervallo necessario a liberare il respiro della sua gravità. Poi una nuova leggerezza sembra perva-

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dere entrambi. Zeno abbassa le spalle mentre espira e allenta i muscoli delle spalle. La donna posa la testa contro lo schienale del sedile e lascia scivolare le mani sulle gambe.

… … Mi sono addormentata … … … …

… … … ti sei accorta che sono uscito dall'autostrada? … … … … dove siamo? … … … … … a pochi chilometri dal mare …

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… … … … come mai ti sei fermato? … … … … … mi piaceva l'insegna dell'hotel … … … è l'unica luce che si vede qui intorno … … … … … ho sognato mio figlio … … mi ha chiesto di portargli un bicchiere d'acqua … … ma mentre lo portavo è evaporato …

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… … … … … … … la notte sta per finire … … … … la neve non cessa di cadere … … … … … … noi cosa ci facciamo qui? … … … … cerchiamo il luogo che non è da nessuna parte … …

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… … … … … vorrei mangiare un poco di neve … … … … … … … a quest'ora sento che il pensiero si fa labile … … … un vago senso come d'intuizioni feconde … … … sempre di là dall'essere colte … … … … …

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… … forse è soltanto paura del buio … … … vertigine della luce che arriva … … … … … … … … non sento più la musica … … … … … l'ho abbassata per ascoltarti dormire … … …

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L'ultimo tratto di strada lascia intravedere il mare intorno alle grigie scogliere. Una immensa distesa scura dai riflessi argen-tei si allarga sul filo dell'orizzonte. Il cielo risplende di un blu intenso e uniforme. Ogni cosa appare nella sua veste inconsueta, nell'immobilità che restituisce allo sguardo il volto inatteso delle cose. La pura presenza che affiora nello spettro dell'apparenza. Il silenzio perfetto del momento di passaggio tra luce e buio. Quando principio e fine mostrano il loro punto di congiunzione. L'estasi dell'istante di inazione raccolto nel movimento nascente.

Il candore della spiaggia ricoperta di neve dona un aspetto quasi lunare al paesaggio. La pietra levigata degli scogli diffonde più luce di quanta ne rifletta. Il volo dei gabbiani si specchia sull'acqua increspata e il loro grido si disperde nell'eco fino a confondersi con il fragore delle onde. La donna tiene una mano di Zeno e cammina affondando nel manto della neve. La pelle calda dell'uno incontra il palmo freddo dell'altra. La penombra sfuma le orme dei passi dietro di loro. Tutto si cancella nello sguardo per sottrarsi al pensiero. Solo un senso indefinito di sospensione. La volta del cielo che incontra il mare. Il soffio del vento che percuote la pietra. Il rumore della neve sulle onde, come piccoli pezzi di cenere che si spengono nell'acqua.

Zeno e la donna sono in piedi, mano nella mano. Guardano davanti a loro. Squarci di rosso si dischiudono facendo retrocedere l'oscurità. Il blu denso e uniforme del cielo svanisce poco a poco. Le nubi acquistano densità e le loro forme si ridefiniscono a ogni istante. Un filo di vento li attraversa. Piccoli cristalli di ghiaccio si sciolgono a contatto con la pelle dei loro visi. Il disco solare emerge vibrante dal mare. La neve continua a scendere leggera sulle onde, che l'una nell'altra scompaiono senza posa.