Omesso Versamento Ritenute Certificate

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OMESSO VERSAMENTO RITENUTE CERTIFICATE Disciplina normativa : D. lgs 74/2000 E’ punito con la reclusione da 6 mesi e 2 anni chiunque non versa ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti entro il termine previsto per la dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (oggi fissato al 31 Luglio dell’anno successivo a quello in cui le ritenute furono operate). Il reato si configura se il totale delle ritenute certificate e non versate supera 50.000 € per periodo d’imposta. Elementi costitutivi del reato : - La condotta che è del tipo “omissivo proprio” : il reato si configura in conseguenza del mancato compimento dell’azione dovuta entro il termine prefissato. - Il rilascio della certificazione ai sostituiti (ex CUD, ora CU) delle ritenute effettuate e l’omesso versamento da parte del sostituto. - Il superamento della soglia di punibilità che è pari a 50.000 € per ogni periodo d’imposta.

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OMESSO VERSAMENTO RITENUTE CERTIFICATE

Disciplina normativa :

D. lgs 74/2000 E’ punito con la reclusione da 6 mesi e 2 anni chiunque non versa ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti entro il termine previsto per la dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (oggi fissato al 31 Luglio dell’anno successivo a quello in cui le ritenute furono operate).

Il reato si configura se il totale delle ritenute certificate e non versate supera 50.000 € per periodo d’imposta.

Elementi costitutivi del reato :

- La condotta che è del tipo “omissivo proprio” : il reato si configura in conseguenza del mancato compimento dell’azione dovuta entro il termine prefissato.

- Il rilascio della certificazione ai sostituiti (ex CUD, ora CU) delle ritenute effettuate e l’omesso versamento da parte del sostituto.

- Il superamento della soglia di punibilità che è pari a 50.000 € per ogni periodo d’imposta.

Elemento psicologico :

Dolo generico : e’ sufficiente la volontà di “non versare” , mentre non è richiesto il dolo specifico (finalità di evasione fiscale) come per gli altri reati tributari.

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Giurisprudenza :

Causa di esclusione della responsabilità penale

Nel reato di omesso versamento di ritenuta certificate (art. 10bis D.Lgs. n. 74, del 2000), l'imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto dell’impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. (Fattispecie in cui la Corte ha considerato irrilevante la mancata riscossione di crediti osservando che l'inadempimento dei clienti rientra nel normale rischio d’impresa).

(Sez. 3, Sentenza n. 20266 del 08/04/2014)

Prova dell’elemento costitutivo

Nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova dell'elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, il cui onere incombe all'accusa, non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro. (In motivazione la Corte ha evidenziato che il modello 770 e la certificazione rilasciata ai sostituti sono documenti disciplinati da fonti normative distinte, rispondono a finalità non coincidenti, e non devono essere consegnati o presentati contestualmente).

(Sez. 3, Sentenza n. 40526 del 08/04/2014)

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Profitto del reato

La confisca per equivalente può essere disposta sul prezzo o sul profitto del reato che, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, coincide con l'importo delle ritenute non versate.

(Sez. 3, Sentenza n. 45735 del 08/11/2012)

Caso pratico

La società ALFA S.r.l. ha 66 dipendenti ed è rappresentata legalmente da Pasquale. Nel corso del periodo d’imposta 2012, Pasquale, nella sua qualità di sostituto d’imposta, paga regolarmente i dipendenti, effettua le dovute ritenute Irpef, applica la rivalsa, rilascia le buste paga, ma non provvedere né a versare le ritenute operate (entro il 16 del mese successivo a quello in cui sono state effettuate), né tantomeno a rilasciare la certificazione unica dipendente (c.d. CUD) entro il termine previsto dalla legge (ossia entro il 28/02/2013). L’8 marzo 2013 cede il 52% delle quote della società a due soggetti, Giuseppe e Stefano, che rispettivamente ne acquistano il 26% ciascuno, nonché l’amministrazione della società a Stefano, il quale diviene amministratore unico. In data 3 giugno 2013 Giuseppe e Stefano decidono di vendere le loro quote ad Antonio il quale assume anche la rappresentanza legale della società (ma da mero prestanome). Antonio non provvede a versare, entro il temine previsto dall’art. 10bis del D.lgs. 74/2000 (coincidente con la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ovvero entro il 31/07/2013) le ritenute Irpef per un ammontare di 147.000 €.

Preliminarmente, occorre verificare se siano stati rilasciati i CUD ai dipendenti e se l’ammontare delle ritenute certificate superi, per il periodo d’imposta considerato (2012), la soglia dei 50.000 €, perché altrimenti il reato non si realizza essendo la certificazione elemento essenziale della fattispecie. Ammettiamo che sia così, Pasquale ha, però, certificato per 30 dei 66 dipendenti i redditi e le ritenute tramite rilascio del CUD e lo ha fatto in data 05/03/2013. Non ha adempiuto cioè entro il

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termine previsto dalla legge ossia il 28/02/2013 e per questo potrebbe essere applicata la sanzione prevista dall’art. 11, comma 1, lett. a), D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che consiste nel pagamento di una somma compresa tra 258 € e 2.065 €. In questo caso, tuttavia, dovrebbe trovare applicazione l’esimente prevista dall’art. 6, comma 5bis del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 che sancisce la non applicazione di sanzioni in caso di violazioni meramente formali che non incidono: né sulla determinazione dell’imponibile o dell’imposta; né sull’attività di accertamento. Pasquale, inoltre, non ha adempiuto, in parte, all’obbligo di versare le ritenute operate entro il 16 del mese successivo a quello in cui le ha effettuate, a partire dal mese di febbraio 2012, per tutto l’anno e per tutti di dipendenti. Le ritenute vanno versate entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui sono state operate, tramite F24. La sanzione amministrativa per l’omesso versamento è prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 471/1997. Adesso, verifichiamo l’esistenza del reato e cerchiamo di imputarlo all’autore. Supponiamo a tal fine che l’Amministrazione finanziaria abbia eseguito una verifica fiscale nel mese di settembre 2013 ed abbia constatato, sulla base delle buste paga relative al 2012 trovate presso la società controllata, un ammontare di ritenute operate di 160.000 € e, di queste, l’omesso versamento di 147.000 €. La somma è, evidentemente, superiore alla soglia dei 50.000 € prevista dalla norma penale, ma ciò non implica necessariamente la sussistenza del reato. I versamenti effettuati sono facilmente verificabili accedendo agli archivi dell’Anagrafe Tributaria (applicativo Serpico) dove si possono consultare gli F24 con i relativi codici tributo. Nondimeno, non possiamo affermare l’esistenza del reato sebbene il temine ultimo per il versamento era il 31/07/2013, data di consumazione del reato, poiché non abbiamo accertato se l’omesso versamento di 147.000 € è parte, o tutto, riconducibile a ritenute certificate. Come stabilito dal legislatore nell’art. 10bis del D.lgs. le ritenute devono essere certificate dal sostituto d’imposta tramite il rilascio del CUD (adesso CU2015). La certificazione, a prescindere che si voglia considerare presupposto o elemento costitutivo del reato, è parte della condotta attiva della fattispecie. Supponiamo che nel nostro caso l’ufficio procedente al controllo fiscale riesca ad accertare che effettivamente Pasquale ha certificato, per 30 dei 66 dipendenti, i redditi e le ritenute tramite rilascio del CUD. La somma certificata ai 30 dipendenti ammonta a 63.000 €, quindi parte dei 147.000 € non versati, ma pur sempre superiore alla soglia penale. A questo punto si pone un problema: Pasquale ha messo in atto vari elementi del reato, ma non l’ultima condotta omissiva al 31/07/2013 (data di consumazione) in

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quanto non più amministratore. Essendo la fattispecie un reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, il dolo deve riguardare l'omissione della condotta doverosa realizzata nel momento della scadenza del termine per la realizzazione dell'azione come indicata dalla fattispecie astratta. Sappiamo che in data 31/07/2013 amministratore unico della società è Antonio, ma sappiamo anche che è un mero prestanome. Dobbiamo interrogarci innanzitutto sulla presenza dell’elemento soggettivo in capo ad Antonio. Essendo il reato punibile esclusivamente a titolo di dolo, nessun rilievo può assumere, di conseguenza, il mancato versamento delle ritenute riconducibile a una dimenticanza o a mera negligenza. L'elemento soggettivo è strutturato nella forma del dolo "generico", e consiste nella semplice coscienza e volontà di omettere il versamento delle ritenute certificate nel periodo d'imposta e, aggiungerei, necessita la consapevolezza dell’esistenza del debito tributario certificato. Se Antonio ha agito come prestanome, difficilmente ha consapevolezza dell’esistenza del debito tributario, del fatto che questo sia stato certificato da Pasquale per 30 dipendenti e che quindi sta per realizzarsi il reato. Mancherebbe il dolo. Tuttavia, secondo la Cassazione il prestanome risponde a titolo di concorso sulla base della posizione di garanzia, in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale e impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi (infra approfondimenti). Se accettiamo l’idea che Antonio, nella sua qualità di amministratore di diritto (rectius prestanome), risponde comunque a titolo di concorso, dobbiamo tornare indietro nella gestione societaria per scoprire chi possa essere amministratore di fatto. Ebbene dall’08/03/2013 al 03/06/2013 amministratore di diritto è stato Stefano. Per complicare un po’ le cose diciamo che, indagando più a fondo, si scopre che la società in realtà non era operativa già dalla fine del mese di marzo, nel senso che era pressoché abbandonata a sé stessa. Giuseppe e Stefano sarebbero subentrati a Pasquale con l’intento di liquidare i beni strumentali della società, senza cioè alcuna prospettiva di continuità aziendale, già peraltro pregiudicata dalla crisi del mercato, da un precedente contratto di affitto di ramo d’azienda data 13/06/2012 con cui Pasquale aveva diminuito notevolmente la capacità della società di produrre ricavi, dalla circostanza che gran parte dei dipendenti si trovavano in Cassa Integrazione. Comunque, posto che Antonio è un mero prestanome di Stefano, possiamo avanzare l’ipotesi che in realtà l’amministratore di fatto alla data di consumazione del reato (31/07/2013) sia ancora Stefano e come tale, anche lui, responsabile dell’omesso versamento delle ritenute. Se inoltre, si dovesse appurare che anche Giuseppe ha gestito la società nel periodo di

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consumazione del reato, allora è possibile ipotizzare il concorso anche per lui. Il concetto di “amministratore di fatto” postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale (infra Sent 35346 del 20/06/2013). Stefano e Giuseppe avendo continuato a svolgere attività amministrativa relativa alla vendita dei beni aziendali oltre la data del 03/06/2013, in concorso quindi con Antonio, sono nella posizione di poter rispondere del reato di omesso versamento delle ritenute certificate. Sarà compito del giudice valutare in concreto la sussistenza, in capo ai tre soggetti, del dolo generico, del concorso, nonché della qualità di amministratori di fatto di Stefano e Giuseppe. Pasquale, vero sostituto d’imposta, risponderà a livello amministrativo per le ritenute operate e non versate concernenti il periodo d’imposta 2012 (147.000 € più la sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato entro il 16 del mese successivo). Per altro verso, i 63.000 € di ritenute certificate e non versate, costituendo profitto diretto del reato, sono sequestrabili ex artt. 322 ter c.p., 321 c.p.p., 92 e 104 disp. att. c.p.p. (supra giurisprudenza). Certamente è possibile che questa somma di denaro non esista più nelle casse della società, anzi, ipotizziamo, giusto per complicare ancora la cosa, che Pasquale nel vendere le proprie quote societarie e cedere la rappresentanza della società a Stefano abbia, volutamente, omesso l’esistenza del debito tributario e non abbia consegnato materialmente una somma corrispondente alle ritenute operate. Supponiamo, quindi, che Pasquale abbia truffato Giuseppe e Stefano proprio al fine di tenersi il denaro corrispondente alle ritenute operate ai dipendenti, inducendo, con artifizi e raggiri, i due malcapitati a subentrargli nella gestione societaria. A questo punto ci rendiamo conto che le cose si sono veramente complicate poiché il reato si compie il 31/07/2013, data in cui Pasquale già da tempo non è più amministratore, ma al tempo stesso Giuseppe, Stefano e Antonio difficilmente possono essere accusati penalmente giacché la fattispecie è dolosa e quindi presuppone la consapevolezza dell’esistenza debito tributario oltre alla coscienza e volontà di non adempiere quanto previsto dalla legge (l’esatta conoscenza della norma, con i suoi presupposti ed elementi costitutivi). Né si può sostenere che avendo Giuseppe e Stefano acquistato le quote e avendo assunto la rappresentanza legale Stefano, quest’ultimo sia responsabile per ciò solo perché significherebbe attribuirgli il reato a titolo di colpa (nel caso in

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specie la negligenza nel non essersi informato bene da Pasquale), colpa che, tra l’altro, sarebbe tutta da provare visto che Pasquale ha fatto uso dell’inganno. Ipotizziamo, infine, che Giuseppe e Stefano si siano resi conto di essere stati truffati ad Aprile, ossia di avere saputo del debito tributario in epoca comunque precedente alla scadenza del termine ultimo per il versamento e che proprio per tale motivo abbiano deciso di cedere la società e la rappresentanza ad Antonio. Le cose allora cambiano: essi hanno agito con la consapevolezza dell’esistenza del debito tributario, hanno vissuto il momento rappresentativo del dolo avendo coscienza degli elementi della fattispecie penale e hanno deciso intenzionalmente di scaricare su altri la responsabilità penale. Fatto sta che, in una situazione normale in cui Pasquale, pur omettendo di versare le ritenute mensili, accantoni la somma per poi consegnarla a chi lo segue nella società (nell’esempio Stefano) e quest’ultimo faccia lo stesso con Antonio, il problema dell’imputazione della responsabilità penale non si pone perché è chiaro che l’unico responsabile sarebbe stato Antonio. Con questo caso pratico volevasi solo dimostrare come nella realtà, spesso, le cose siano un po’ più complesse.

Conclusioni

1) Affinchè si concretizzi l’illecito penale è necessario che la ritenuta sia stata effettivamente operata ovvero l’importo trattenuto, all’atto del del pagamento al dipendente. Operativamente tale circostanza si verifica solo laddove il datore di lavoro paghi il dipendente : senza pagamento la ritenuta non è stata operata.

2) Nel procedimento penale l’onere di provare che il pagamento non è stato effettuato è a carico del datore di lavoro. Tuttavia, come si è visto, ai fini della concreta dimostrazione dell’avvenuto pagamento, rileva ESCLUSIVAMENTE il rilascio della certificazione ex CUD (ora CU) , non essendo sufficiente l’autodichiarazione tramite 770.

3) Pertanto, per i clienti in stato di difficoltà, sarebbe poco avveduto continuare ad elaborare le normali buste paga ed effettuare le

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comunicazioni previste dalle norme fiscali come se il dipendente venisse effettivamente pagato.

4) In via generale è sempre preferibile pagare tra retribuzione al dipendente e ritenute solo le somme che si hanno effettivamente a disposizione, eventualmente computando delle buste paga in acconto con l’accorgimento di accantonare sempre le somme delle ritenute relative agli acconti pagati, in modo da evitare l’omissione.