Omelia messa cap under 5sepolcro

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Sabato 7 luglio Omelia alla S. Messa davanti all’Edicola At 10, 34.37-43 Ps 117 Col 3, 1-4 Vangelo: Gv 20, 1-9 Ogni mattina, a questa stessa ora, qui la comunità francescana della basilica celebra la Messa. Ogni mattina, qui , davanti alla Tomba vuota, viene proclamata la Risurrezione del Signore. Ogni mattina, qui, è Pasqua. Allo stesso tempo, ogni giorno è Natale a Betlem- me, e al Calvario ogni giorno è Venerdì santo. Ogni Luogo racchiude e dispensa una gra- zia che ci fa toccare con mano la realtà storica di Gesù di Nazareth. È il qui che adesso ci coinvolge. Oggi, qui , il Signore ci invita a guardare ognuno e insieme, a ciò che crediamo: Voi cono- scete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea….(1a Lettura) E, attraverso le parole di Paolo, ci dice che la Risurrezione deve cambiare la nostra vita: dobbiamo cercare e pensare alle cose di lassù, non a quelle della terra. (2a Lettura) Per essere capaci di questa presa di coscienza e di questo cambiamento, il Vangelo ci ri- pete il racconto di quel mattino quando Pietro e Giovanni sono corsi qui e si sono fermati lì, davanti a noi, vicino alla pietra rovesciata che avrebbe dovuto chiudere definitivamen- te il sepolcro del Signore. La loro corsa si ferma davanti a questa Tomba vuota, muta te- stimone della Risurrezione. Tante vicissitudini storiche hanno segnato questo Luogo che è oggetto di pellegrinaggio per un millennio e mezzo. È qui, questa tomba, nello stesso posto dove si fermò la corsa di Pietro e Giovanni. Ed è vuota. Perché Gesù è risorto, e la sua Risurrezione dà pienezza alla nostra gioia. Vana sarebbe la nostra fede se si fermasse al Calvario e, anche se diamo per scontato che sia naturale accettare un evento gioioso, anche noi, come gli apostoli, a volte faccia- mo fatica a convertire i nostri cuori a questa sconcertante novità: siamo chiamati alla gioia. Vivere nella gioia significa vivere da risorti, da salvati, liberi della libertà dei figli di Dio. Quanta fatica facciamo a credere fino in fondo all’amore di Dio: un amore personale, una salvezza personale… Cristo è risorto. Cristo è vivo, qui e adesso. Lo stesso Gesù che ha patito la morte, che ha condiviso in modo così totale la sofferenza degli uomini da sentirsi egli stesso abbandonato da Dio, è risorto ed è con noi per sempre. E’ nella nostra storia, nella storia di questa sua Terra che continua ad essere così tormentata e violenta. E’ qui e ora per dirci che possiamo fare - se crediamo in lui - le opere che lui ha fatto, e di più grandi! Guardate a Francesco: che cosa non è stato capace di fare quest’uomo fragile e piccolo dal momento in cui ha aperto il cuore alla fede nel Signore risorto. Gli storici ancora non sono d’accordo se Francesco sia mai venuto a visitare questo Luogo Santo. Questo co- munque ha poca importanza. Perché Francesco viveva di questo mistero: ha ottenuto dal Signore la grazia di “sentire nell’anima e nel corpo il dolore che Gesù sostenne nell’ora della sua Passione e nel cuore quell’amore del quale era acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori” (come si esprime la terza considerazione sulle stimma- te). Ha cioè rivissuto in sé il mistero del Golgota (la Verna non è forse conosciuta come il Calvario francescano?). Ma ha anche sperimentato il mistero della resurrezione. La per- fetta letizia, che amava cantare, cosa è se non esperienza di resurrezione, coscienza della definitiva e assoluta vittoria di Cristo sul male e sulla morte? Da dove traeva Francesco la forza per superare le opposizioni e le malattie, se non dal mistero del sepolcro vuoto, dalla presenza del Crocifisso Risorto nella sua vita? Alle domande che il sepolcro vuoto crea nel nostro cuore, siamo chiamati a rispondere con il far tacere le cose e i pensieri del mondo, per aprirci a quel silenzio che crea l’ambiente nel quale lo Spirito e la Parola agiscono. Venite da tanti Paesi diversi, portate con voi la storia e le speranze di tanti popoli diversi: alle loro attese siete chiamati a rispondere da persone che credono nella Risurrezione, che vivono la vita nuova per la quale Cristo ha patito la morte sulla croce. Uomini di Dio per gli uomini incapaci di vederlo, per quelli che pongono la loro fiducia negli uomini, per

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Sabato 7 luglio Omelia alla S. Messa davanti all’Edicola At 10, 34.37-43 Ps 117 Col 3, 1-4 Vangelo: Gv 20, 1-9 Ogni mattina, a questa stessa ora, qui la comunità francescana della basilica celebra la Messa. Ogni mattina, qui, davanti alla Tomba vuota, viene proclamata la Risurrezione del Signore. Ogni mattina, qui, è Pasqua. Allo stesso tempo, ogni giorno è Natale a Betlem-me, e al Calvario ogni giorno è Venerdì santo. Ogni Luogo racchiude e dispensa una gra-zia che ci fa toccare con mano la realtà storica di Gesù di Nazareth. È il qui che adesso ci coinvolge. Oggi, qui, il Signore ci invita a guardare ognuno e insieme, a ciò che crediamo: Voi cono-scete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea….(1a Lettura) E, attraverso le parole di Paolo, ci dice che la Risurrezione deve cambiare la nostra vita: dobbiamo cercare e pensare alle cose di lassù, non a quelle della terra. (2a Lettura) Per essere capaci di questa presa di coscienza e di questo cambiamento, il Vangelo ci ri-pete il racconto di quel mattino quando Pietro e Giovanni sono corsi qui e si sono fermati lì, davanti a noi, vicino alla pietra rovesciata che avrebbe dovuto chiudere definitivamen-te il sepolcro del Signore. La loro corsa si ferma davanti a questa Tomba vuota, muta te-stimone della Risurrezione. Tante vicissitudini storiche hanno segnato questo Luogo che è oggetto di pellegrinaggio per un millennio e mezzo. È qui, questa tomba, nello stesso posto dove si fermò la corsa di Pietro e Giovanni. Ed è vuota. Perché Gesù è risorto, e la sua Risurrezione dà pienezza alla nostra gioia. Vana sarebbe la nostra fede se si fermasse al Calvario e, anche se diamo per scontato che sia naturale accettare un evento gioioso, anche noi, come gli apostoli, a volte faccia-mo fatica a convertire i nostri cuori a questa sconcertante novità: siamo chiamati alla gioia. Vivere nella gioia significa vivere da risorti, da salvati, liberi della libertà dei figli di Dio. Quanta fatica facciamo a credere fino in fondo all’amore di Dio: un amore personale, una salvezza personale… Cristo è risorto. Cristo è vivo, qui e adesso. Lo stesso Gesù che ha patito la morte, che ha condiviso in modo così totale la sofferenza degli uomini da sentirsi egli stesso abbandonato da Dio, è risorto ed è con noi per sempre. E’ nella nostra storia, nella storia di questa sua Terra che continua ad essere così tormentata e violenta. E’ qui e ora per dirci che possiamo fare - se crediamo in lui - le opere che lui ha fatto, e di più grandi! Guardate a Francesco: che cosa non è stato capace di fare quest’uomo fragile e piccolo dal momento in cui ha aperto il cuore alla fede nel Signore risorto. Gli storici ancora non sono d’accordo se Francesco sia mai venuto a visitare questo Luogo Santo. Questo co-munque ha poca importanza. Perché Francesco viveva di questo mistero: ha ottenuto dal Signore la grazia di “sentire nell’anima e nel corpo il dolore che Gesù sostenne nell’ora della sua Passione e nel cuore quell’amore del quale era acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori” (come si esprime la terza considerazione sulle stimma-te). Ha cioè rivissuto in sé il mistero del Golgota (la Verna non è forse conosciuta come il Calvario francescano?). Ma ha anche sperimentato il mistero della resurrezione. La per-fetta letizia, che amava cantare, cosa è se non esperienza di resurrezione, coscienza della definitiva e assoluta vittoria di Cristo sul male e sulla morte? Da dove traeva Francesco la forza per superare le opposizioni e le malattie, se non dal mistero del sepolcro vuoto, dalla presenza del Crocifisso Risorto nella sua vita? Alle domande che il sepolcro vuoto crea nel nostro cuore, siamo chiamati a rispondere con il far tacere le cose e i pensieri del mondo, per aprirci a quel silenzio che crea l’ambiente nel quale lo Spirito e la Parola agiscono. Venite da tanti Paesi diversi, portate con voi la storia e le speranze di tanti popoli diversi: alle loro attese siete chiamati a rispondere da persone che credono nella Risurrezione, che vivono la vita nuova per la quale Cristo ha patito la morte sulla croce. Uomini di Dio per gli uomini incapaci di vederlo, per quelli che pongono la loro fiducia negli uomini, per

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quelli che pongono la loro fiducia nelle cose. Essere uomini del Risorto, del Dio-con-noi, capaci di dare senso, voce, anima ad un’umanità ferita, significa credere che l’ultima pa-rola di Dio è una parola di vita e di speranza. Il messaggio del Vangelo di oggi ci dice che, per quanto importante e affascinante, non dobbiamo fermarci al S. Sepolcro, in una sorta di omaggio di pietà, ma di qui partire. Il messaggio pasquale è innanzitutto un annuncio di gioia e di slancio, guardare sempre al di là dell'orizzonte fino a scorgere i profili dell'alba. “«Andate a dire ai discepoli e a Pietro, ch’egli vi precede… » Dove? Dappertutto. In Galilea e sul monte: nel Cenacolo e lungo la strada di Emmaus: sul mare e nei deserti, ovunque l’uomo pianta la sua tenda, spezza il suo pane, costrui-sce le sue città, piangendo e cantando, sospirando e imprecando. «Egli vi precede». Ecco la consegna della Pasqua e di questo Luogo: se alzandoci dalla mensa eucaristica avremo l’animo disposto a seguirlo ovunque, «ovunque lo vedremo, com’egli ha detto» (Don P. Mazzolari).