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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

NON SOLO… BUFALE 9di Luigi Zicarelli

UNA BUFALA NEL PIATTO? 11di Gabriele Riccardi

LA ‘FEBBRE MALTESE’ 13di Giuseppe Iovane

LE ORIGINI DELLA MOZZARELLA CAMPANA 15di Luigi Musella

RISPETTO E RISCATTO PER UN FUTURO MIGLIORE 17di Roberto Vona

Sulla introduzione del bufalo nel Mezzogiorno d’Italia sono possibili solo delle congetture.

In ogni caso non è una specie autoctona.

L’Italia detiene appena lo 0,2% del patrimonio mondiale ma in Campania si è evoluto un sistema produttivo che resta unico al mondo:

ulteriore esempio di quanto può realizzare l’intelligenza degli uomini del SUD quando creano modelli che si fondano sulle loro radici culturali.

Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

Luigi Zicarelli, laureato in Medicina Veterinaria

nel 1969, è Professore di Zootecnica speciale

dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Dal 1986 ha ricoperto la cattedra di "Allevamento

del Bufalo", cattedra istituita successivamente in

altre sedi di Medicina veterinaria e di Agraria di

Paesi extraeuropei dove il bufalo è un’importante

risorsa economica. Dal 1973 ha effettuato

indagini sistematiche sulla stagionalità

riproduttiva del bufalo. Ha messo a punto la

tecnica di destagionalizzazione dei parti (tecnica non brevettabile) finalizzata a

conciliare la stagionalità del bufalo con la richiesta di latte da trasformare in

mozzarella che è esattamente opposta al calendario delle nascite della specie. Ne sono

scaturiti studi sulla fertilità, sull'anaestro e sulla sincronizzazione dei calori che sono

risultati utili all’impiego dell’inseminazione strumentale la cui efficienza in termini di

gravidanze è passata dal 20% a circa il 50% divenendo così ormai uno strumento

indispensabile per il miglioramento genetico della specie. Dalla fine degli anni ottanta

ha cercato di esaltare il contributo femminile al processo selettivo cercando di

aumentarne il numero di figli/anno effettuando studi sulla superovulazione e sul

trasferimento embrionale. È stato numerose volte invited speaker in congressi

internazionali ed ha, inoltre, organizzato il III Corso di Biotecnologie della

Riproduzione nel Bufalo e il III Congresso Mondiale Bufalino (1997).

È stato per due volte membro del Direttivo dell’Associazione Scientifica di Produzione

Animale, Coordinatore del Dottorato di Ricerca di “Scienze Zootecniche", Vice

Presidente della C.T.C. (Comitato Tecnico Centrale) dell’ANASB (Associazione

Nazionale Allevatori Specie Bufalina), membro della Commissione tecnica e scientifica

del “Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana DOP”.

Nel VII World Buffalo Congress fu eletto Presidente (2004 – 2007) dell’International

Buffalo Federation (IBF).

È stato l’ultimo Preside (1/11/2007 – 31/12/2012) della Facoltà di Medicina

Veterinaria dell’Università Federico II e il primo (1/1/2013) Direttore del Dipartimento

di Medicina veterinaria e Produzioni animali.

La sua attività scientifica è compendiata in oltre 400 contributi, di cui molti editi su

riviste internazionali, che hanno interessato soprattutto gli aspetti produttivi (carne e

latte) e riproduttivi dell'allevamento bufalino.

COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

NON SOLO… BUFALE Luigi Zicarelli Professore di Zootecnica speciale Università degli Studi di Napoli Federico II

La Bufala Mediterranea Italiana non è

autoctona; i ritrovamenti fossili attribuiti nel

passato al Bubalus bubalis appartenevano al-

l’Hemibos galerianus, antenato dell’attuale

bufalo domestico. A differenza del bovino, il

bufalo è quasi assente nelle incisioni rupestri e

nell’arte figurativa del passato. Il bovino nella

cultura egizia era una divinità mentre il bufalo

(religione indù) incarnava un demone tirannico.

In Italia bisogna attendere la seconda metà

dell’800 per vedere raffigurata la specie da un

artista inglese (Coleman). Chi e quando

introdusse la specie nella nostra penisola è

difficile stabilirlo. Una revisione critica dei fatti

esclude che siano stati i Longobardi mentre è

certa la presenza del bufalo nell’Italia

meridionale durante la dominazione normanna.

Verosimilmente esso fu introdotto dagli arabi (X

secolo) che precedentemente l’avevano trasfe-

rito in Egitto.

Nonostante in Italia sia presente lo 0,2%

del patrimonio mondiale, in Campania si è

evoluto un sistema produttivo che resta unico al

mondo grazie alla mozzarella di bufala il cui

“inventore” non è dato conoscere. Ulteriore

esempio di quanto può realizzare l’intelligenza

degli uomini del SUD quando essi realizzano

modelli che si integrano con le loro radici

culturali e con il territorio. Originariamente

animale da lavoro oggi è allevato per il latte, pur

non potendosi definire “animale da latte”. Grazie

al favore che la mozzarella ha incontrato nei

consumatori, la specie è cresciuta rispetto al

1961 di ventuno volte proprio quando il

patrimonio bovino è diminuito di circa il 40%.

Tra il 2008 e il 2013 nelle regioni del

NORD si è registrata una diminuzione dei bufali

del 36,8% mentre in Campania, nonostante 204

allevamenti (circa il 2%/annuo) abbiano cessato

l’attività, la popolazione e la consistenza

aziendale sono aumentate rispettivamente del

7,2% e del 22%.

Attualmente la filiera bufalina sottende

nell’area DOP un indotto di circa 15.000 unità

lavorative e un PLV di 500 milioni di euro cui la

Campania contribuisce per il 78,5%. E’ una delle

maggiori risorse regionali di cui raramente si

tiene conto. La vicenda della diossina nel

Casertano, ad esempio, che tanti danni

economici ha causato al settore, si è conclusa

con l’accertamento della sostanza nel 3% del

latte, peraltro prontamente eliminato dal

consumo. Recenti studi (Chemosphere, 2014) di

ricercatori napoletani hanno dimostrato che i

livelli di sostanze diossine simili in aree

cosiddette a rischio nel siero di abitanti della

Campania, che consumavano circa 400 g di

latticini alla settimana, sono risultati entro la

norma con valori notevolmente inferiori a quelli

di altre aree inquinate italiane ed europee.

Sono certo che la stampa diffonderà

queste notizie per ridare al settore quella

credibilità più volte messa in dubbio dalla

pubblicazione di notizie troppo superficiali.

In futuro assisteremo a quanto si è già

verificato in Italia per la vacca da latte. La

necessità di allevare bufale sempre più

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

produttive non consentirà agli imprenditori con

scarsa professionalità di continuare la loro

attività. Il miglioramento genetico e la crescita

culturale degli addetti sono gli unici strumenti in

grado di assicurare al sistema la stabilità e l’effi-

cienza necessaria per far fronte a un mercato

globalizzato; in particolare la mozzarella,

nonostante la sua bontà, dovrà confrontarsi

sempre più con il valore mercantile dei prodotti

vaccini che sono sicuramente più economici.

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

UNA BUFALA NEL PIATTO? Gabriele Riccardi Professore di Endocrinologia e Malattie del metabolismo Università degli Studi di Napoli Federico II

Le proprietà della carne di bufalo sono

diventate in questi ultimi anni oggetto di

attenzione da parte dei nutrizionisti. Le

caratteristiche nutrizionali di questo tipo di

carne, la consistenza tenera e la facilità di

digestione rendono la carne di bufalo particolar-

mente adatta per un’alimentazione attenta ai

piaceri del palato ma, al tempo stesso, mirata al

mantenimento di una buona salute.

Paragonabile a quella bovina, la carne di

bufalo si distingue per l’elevato apporto proteico

e di ferro e per il minore contenuto di grassi e di

colesterolo; in particolare, la quantità di

colesterolo nella carne di bufalo è circa la metà

rispetto alla carne bovina, mentre l’infiltrazione

di grasso nella carne è minima: il bufalo deposi-

ta il grasso fuori dal tessuto muscolare e, per-

tanto, esso è facilmente separabile dalle parti

magre. Inoltre, la composizione del grasso ha un

profilo più favorevole rispetto ad altri tipi di

carne; infatti, i grassi saturi- dall’elevato

potenziale aterogeno, sono scarsamente

rappresentati.

Ciò spiega perché la carne bufalina può

contribuire a ridurre il rischio di malattie

cardiovascolari e del metabolismo, che

rappresentano la principale causa di morte e

d’invalidità nei paesi occidentali. Per la loro

prevenzione, infatti, è fondamentale l’adozione

di uno stile di vita sano, in grado di mantenere

sotto controllo i livelli plasmatici di colesterolo e

di contenere gli altri fattori di rischio.

A conferma dei possibili benefici per la

salute del consumo abituale di carne di bufalo,

uno studio italiano, pubblicato sull’European

Journal of Clinical Nutrition qualche anno fa, ha

esaminato l’effetto di questo tipo di carne su

alcuni parametri cardiovascolari. I partecipanti

allo studio, divisi in due gruppi, sono stati seguiti

per un anno: un gruppo ha introdotto stabil-

mente nella dieta la carne di bufalo (circa

600/700 g alla settimana) e contemporanea-

mente ha ridotto il consumo di carne bovina,

l’altro ha continuato a non assumere carne di

bufalo e a utilizzare carne bovina. Alla fine dello

studio il gruppo che si alimentava con carne

bufalina ha mostrato una diminuzione significa-

tiva dei livelli di colesterolo e di trigliceridi nel

sangue e una migliore capacità di risposta allo

stress ossidativo. Un altro innegabile vantaggio

della carne bufalina è rappresentato dal suo

limitato apporto energetico. Una fetta di carne di

bufalo di 150 grammi contiene circa 150 Calorie,

a fronte delle 240 Calorie contenute in una fetta

di carne bovina di eguale peso. In Italia -e in

particolare nella nostra Regione- il sovrappeso

ha raggiunto proporzioni epidemiche,

interessando circa il 50% della popolazione. Per

poter affrontare questa diffusa patologia non

servono i farmaci: solo uno stile di vita sano,

orientato a ridurre l’introito energetico e a

incrementare l’esercizio fisico, può rappresentare

un rimedio efficace. In questo contesto, il basso

contenuto energetico della carne di bufalo

rappresenta un ulteriore motivo per preferirla

rispetto ad altri tipi di carne oggi più largamente

presenti nella nostra alimentazione.

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

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LA ‘FEBBRE MALTESE’

Giuseppe Iovane Professore di Malattie infettive Università degli Studi di Napoli Federico II

La brucellosi è una malattia infettiva e

contagiosa che ancora oggi colpisce 500.000

persone in tutto il mondo. È una delle più

importanti zoonosi che negli ultimi anni, sia in

Medicina umana che veterinaria, ha suscitato

forte interesse e preoccupazione, costringendo

molti Paesi a una strategia comune per la lotta e

la prevenzione. Si manifesta nell’uomo con

sintomi poco evidenti e specifici come febbre

alta, infezione generalizzata, localizzazioni

articolari gravi e in casi rari può portare anche a

morte. Probabilmente vittima illustre fu il

Caravaggio, in fuga da Malta, isola che ha dato il

nome all’agente eziologico ed alla malattia,

anche nota come: “febbre maltese”.

I Paesi con un sistema sanitario

efficiente, adottano “Piani di eradicazione”

dell’infezione dagli animali che, in maniera

diretta ed indiretta, trasmettono la malattia

all’uomo. Infatti, l'incidenza della malattia

dell'uomo è stata fortemente ridotta nelle aree

geografiche dove la patologia negli animali

sensibili è stata quasi del tutto eradicata. Gli

alimenti più a rischio sono il latte e i suoi

derivati. Ma è utile ricordare che la brucellosi è

anche una malattia professionale che colpisce

veterinari, macellatori ed allevatori. L’Italia con

una percentuale nazionale al di sotto dell’1%

d’infezione si avvia verso un’eradicazione. Il

bufalo e, quindi, la produzione della famosa

“mozzarella “ hanno avuto grossi problemi negli

anni da questa malattia. Oggi, dal momento in

cui nel 2007 è entrato in vigore un piano

straordinario specifico, in provincia di Caserta, le

cose sono positivamente cambiate. Si pensi che

nel 2004 dopo trenta anni di controlli

registravamo ancora 256 casi umani in

Campania l’anno. Certamente non è il bufalo

l’unico colpevole, anche altri animali come i

bovini, la pecora e la capra lo sono. Quando il

sottoscritto ha diretto l'Istituto Zooprofilattico

Sperimentale del Mezzogiorno nel 2006,

l’impegno più gravoso è stato quello di

impostare un protocollo tecnico-scientifico che

permettesse una volta per tutte di affrontare alle

radici il problema, i bufali sospetti-infetti erano,

ancora, 18.000 e nel giro di quattro anni sono

diventati, purtroppo, 40.000, per ricorsi al TAR e

altro; tutto questo ha comportato una spesa per

gli abbattimenti di circa 66 milioni di euro,

poiché gli animali sospetti-infetti vanno abbattuti

e i proprietari risarciti. Per riconoscere i malati si

ricorre a esami sul sangue che i veterinari

effettuano 2/3 volte l’anno. Gli animali, oggi,

sono tutti identificati con un microchip nel

rumine e con prove di DNA (genotipizzazione).

L’ultimo grande risultato scientifico, tutto

campano, è stato l’utilizzo di un vaccino

attenuato, da noi sperimentato, che ha

permesso di bloccare l’infezione nei bufalotti,

molte volte pericolosi portatori dell'infezione.

Regione, Ministero, IZSM, Asl, Università hanno

fatto la loro parte. Oggi quindi, con grande

soddisfazione possiamo parlare di un successo,

la prevalenza della malattia, in quattro anni, è

passata dal 44% nel 2006 all’1,7% nel

2013, tutto a vantaggio dei consumatori e degli

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

allevatori, non è da trascurare, inoltre, che

l’allevamento bufalino in Campania e la

produzione della mozzarella danno lavoro a oltre

10.000 persone, e rimangono un grosso patri-

monio italiano, supercontrollato che dobbiamo

difendere.

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LE ORIGINI DELLA MOZZARELLA CAMPANA Luigi Musella Professore di Storia contemporanea Università degli Studi di Napoli Federico II

Non è facile datare l'origine della

presenza del bufalo e, quindi, della produzione

della mozzarella in Campania. È, però, a partire

dal XIV secolo che esso si diffonde nel nostro

territorio. Veniva allevato allo stato brado e,

talvolta, utilizzato come animale da lavoro per

arare i campi o come animale da soma nelle

zone paludose. La Piana del Sele, all'epoca zona

paludosa, divenne subito l'ambiente ideale per la

diffusione del bufalo. Non essendo quelle terre

utilizzabili per le coltivazioni. I "bufalari"

usavano riunire le mandrie vicino alle "pagliere",

ove venivano munte. La mozzarella prese il

nome dalla fase di lavorazione detta

"mozzatura", attraverso la quale i casari

tagliavano con le dita l'ammasso di pasta filata.

In principio il latte di bufala veniva trasformato

nello stesso locale in cui veniva munto e

raccolto. Dal VII Sec. si crearono le "bufalare",

costruzioni in muratura di forma circolare con un

camino centrale in cui venivano allevate le

bufale. Qui i mastri casari trasformavano il latte

in formaggi, ricotta, caciocavalli, burro e

provole, oltre che, ovviamente, mozzarelle.

L'abilità e l'esperienza del Mastro Casaro

(termine derivante dal dialetto "caso" = cacio,

formaggio) era determinante per la qualità delle

mozzarelle. Dipendevano infatti da lui (come

oggi, del resto) i tempi e le fasi di lavorazione.

Prove certe dell'origine della mozzarella

risalgono al XII secolo. In un testo del Monsignor

Alicandri, storico emerito della Chiesa

Metropolitana di Capua, ("Il Mazzone

nell’antichità e nei tempi presenti") viene scritto

che i frati del Monastero di San Lorenzo in Capua

offrivano ai viandanti e ai pellegrini un pezzo di

pane e una "mozza" o "provatura" (da cui il

termine "provola"). In quel periodo si

producevano, però, in maggior parte ricotte,

formaggi e provole, prevalentemente affumicate,

per poterle trasportare più lontano. La

mozzarella, invece, per le sue caratteristiche di

estrema deperibilità, veniva prodotta in piccole

quantità e veniva consumata localmente. Per

tale motivo essa veniva considerata alla stregua

di un "sotto-prodotto" della lavorazione delle

provole ed era tenuta in scarsa considerazione

commerciale proprio per le difficoltà di

conservazione. Intorno alla metà dell’800, nella

Piana del Sele e nel Casertano le mozzarelle non

erano destinate al commercio, ma si

producevano per uso familiare e il latte bufalino

serviva per la lavorazione di provole affumicate.

La diffusione della mozzarella andava,

comunque, di pari passo con l'espansione delle

vie di comunicazione. Con l'unificazione del

Regno d'Italia ad Aversa si creò un mercato

specifico (la cosiddetta "Taverna"), nel quale si

commerciavano ricotte, provole e mozzarelle di

bufala. In alcune zone del Cilento, già dal XVI

Sec., per conservare la fragranza delle

mozzarelle più a lungo, si usava, invece di

immergerle nel liquido di governo, avvolgerle in

foglie di giunco e mortella e fiori di mirto. Il

prodotto solo a partire dal secondo dopoguerra

ha finito per affermarsi sul piano commerciale e

per assumere il ruolo che si conosce.

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II NON SOLO… BUFALE

RISPETTO E RISCATTO PER UN FUTURO MIGLIORE

Roberto Vona Professore di Economia e gestione delle imprese Università degli Studi di Napoli Federico II

Comunemente, purtroppo, ai campani e

ai napoletani in particolare, vengono scientifica-

mente e artatamente associati alcuni stereotipi,

tanto maligni e insopportabili quanto socialmen-

te ed economicamente devastanti.

Si dice di noi che siamo allegri, gioviali,

di buona compagnia, che sappiamo cantare,

raccontare barzellette, che amiamo accogliere e

accudire i nostri ospiti con grande generosità e

amicizia, orgogliosi delle nostre eccellenze (cibo,

paesaggio, spettacolo).

Si dice anche, all’opposto, che, all’occor-

renza, siamo gente che si fa rispettare con modi

ruvidi e sbrigativi, che pertanto siamo persone

da temere. Si dice che viviamo nella sporcizia,

senza rispettare nessuna regola di convivenza

civile, pronti in ogni momento a trovare il siste-

ma per truffare, con trovate sovente geniali, lo

stato, il fisco, chiunque altro, pur di ottenere an-

che un piccolo vantaggio privato, singolo o di

“famiglia”, anche se in danno della propria città,

dei propri concittadini.

In sostanza, i “napoletani” sono

considerati amabili, ma anche, simpaticamente,

tra i migliori campioni a livello mondiale di fre-

gature (i famosi “pacchi”), di contraffazioni, di

sopraffazioni.

Che dire? Per restare in tema di “bufale”, verità

o meschine bugie, frutto d’ignoranza, pregiudizio

ideologico, abile distorsione mediatica, guidata

sapientemente da interessi politici, invidie

storiche e, soprattutto, da concretissimi interessi

economici? Che dire poi delle “oggettive”

misurazioni della qualità della vita, così eviden-

temente incapaci di testimoniare e rappresenta-

re la realtà quanto diabolicamente efficaci nel

creare danni micidiali e pericolosa-mente “strut-

turali” all’immagine e all’attrattività dei nostri

luoghi.

Senza entrare nel merito di questioni che

meriterebbero ben altri approfondimenti, mi

permetto di limitare le mie brevi riflessioni sul

tema delle “bufale” all’ambito più propriamente

aziendale.

Di veramente buono i napoletani che

cosa sapranno mai fare? Di curare con la massi-

ma dedizione e professionalità i doni della natura

(paesaggio, mare, clima, ecc.), non se ne parla

nemmeno; di mantenere con la medesima

interessata e responsabile attenzione le meravi-

glie ereditate dalla straordinaria storia vissuta

(monumenti, tesori artistici, meraviglie urbani-

stiche, luoghi intrisi di bellezza e cultura

incomparabili, ecc.), figuriamoci.

Una cosa, però, il nostro popolo ribelle e

indisciplinato sa farla sicuramente: mangiare

bene, mangiare così bene che tutto il mondo

ritiene la città di Napoli il luogo in cui meglio

trovano piena soddisfazione le passioni eno-

gastronomiche più esigenti. Chi può davvero

competere con la cucina napoletana? Non certo

le esotiche ed effimere mode; forse qualche

buona soluzione in Italia si può trovare, ma

niente di minimamente comparabile oltralpe.

Non a caso il mondo globale chiede

ovunque e sempre i prodotti tipici del nostro

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territorio, quelli più famosi come la mozzarella,

la pasta, la pizza, le conserve di pomodoro, il

caffè, il babà, la sfogliatella, la pastiera, il

gelato. Ma altre tantissime meraviglie meno

famose che non molti hanno ancora avuto

l’opportunità di conoscere; solo i pochi fortunati

che sono venuti a Napoli hanno potuto

sperimentare il privilegio di scoprire sapori unici

e vivere esperienze di gusto incomparabili:

mangiando lentamente (slow food) i pomodori

del “piennolo” con i frutti di mare del Golfo;

gustando gli sconosciutissimi “friarielli”,

assolutamente inimitabili, di cui poi, una volta

assaggiati, non ci si può più privare; infilando le

dita (finger food) in un magico “coppetto”

bollente di fritture napoletane (finalmente

portate alla ribalta dai titolati e simpatici

conduttori del programma televisivo di successo

Masterchef); o anche mordendo una

profumatissima e “croccante” mela annurca.

Tutto rigorosamente senza “bollino”,

senza marca riconoscibile, senza quel pizzico di

marketing essenziale che serve a valorizzare il

talento e a rassicurare il cliente. Ma il

napoletano a questi inutili e costosi dettagli non

ha il tempo di pensare, figurarsi a considerarlo

un tema di rilevanza strategica per la

sopravvivenza stessa delle produzioni, da

affrontare con armi moderne e potenti, non con

archi e frecce, con eserciti vigorosi e

numericamente adeguati e non con piccole e

sparute squadriglie di soldatini inesperti e

malpagati, mandati letteralmente allo sbaraglio.

Il cibo è bellezza allo stato puro, ma è

anche un business mondiale straordinario. Non

ci dobbiamo sorprendere se imperversano in

questo mondo produttori che cercano di imitare

in tutti i modi, “alla napoletana”, le nostre

meraviglie, offrendo ai consumatori ignari e

indifesi montagne di spazzatura, anche

legalizzata, che le nostre piccole e innocenti

“bufale” al confronto fanno la figura delle

“mammolette”.

Naturalmente, nel caso delle nostre

eccellenze parliamo di produzioni di qualità

certificata da enti credibili e autorevoli,

realizzate in condizioni di sicurezza alimentare

assoluta, che valorizzino e garantiscano le

specificità locali con strumenti capaci di

infondere fiducia, serietà, professionalità e

affidabilità. Caratteristiche perfettamente

compatibili con la “napoletanità”, come viene

concretamente e quotidianamente attestato dal

successo di tantissime aziende di questo

territorio, che hanno intrapreso con lungimiranza

questa strada da tempo, accettando la sfida ai

pregiudizi. Perché, nonostante sia facile

continuare a fare battute comiche di successo,

ma di pessimo gusto, inserendo nel proprio

repertorio la “napoletanità” delle truffe e delle

piccole e grandi illegalità, o peggio, nonostante

le montagne di fango riversate quotidianamente

sulla nostra meravigliosa e agonizzante città -

che solo pochi eroi solitari cercano di arginare

come possono - nell’intento di annientare

scientemente un concorrente potenziale

invincibile se risvegliato, ci sono testimoni

esemplari del bello e del buono autentico di

Napoli (produttori, agricoltori, cuochi stellati,

ristoratori, viticoltori, distributori di eccellenze

campane), che fortunatamente il mondo ha

scoperto e di cui non può fare più a meno.

Un vero e proprio esercito di

“ambasciatori della napoletanità” di qualità,

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capace di fronteggiare le difficoltà cogliendo le

opportunità che ogni periodo di crisi riesce a

offrire agli imprenditori visionari e coraggiosi,

che combattono ogni giorno contro l’ignoranza

diffusa, le bassezze competitive, le strategie

raffinate di demolizione della reputazione basate

sul pregiudizio e sull’ideologia antimeridionalista,

guidate dalla sola finalità di accaparrarsi quote di

mercato nel sempre più ricco e abbondante

business del cibo. In questa sfida si potrebbe

fare molto di più, anche a vantaggio di coloro

che non hanno ancora preso coscienza delle

opportunità offerte dalla straordinaria crescita

della domanda internazionale di cibo napoletano

tipico di qualità.

Basterebbe capire che si possono

ottenere vantaggi ancora più grandi se si impara

a lavorare in squadra, considerando al pari della

propria famiglia l’intero territorio in cui si vive,

che ricomprende certamente Napoli e la sua

provincia, ma non può fare a meno delle

eccellenze che può esprimere la Campania nel

suo insieme. Fare squadra aggregando talenti,

esperienze, competenze tecniche di prodotto e

pratiche aziendali, libere da condizionamenti

politici di ogni sorta e interessate al solo

sviluppo delle attività d’impresa, che di tutto

hanno bisogno tranne che di miraggi effimeri e

di progetti perditempo.

Si è detto, il mondo chiede con forza

cibo di qualità e l’Italia con l’Expo 2015 avrà

un’occasione storica, unica e irripetibile per

consolidare e sviluppare ulteriormente il suo

primato mondiale nella produzione di alimenti di

straordinaria bellezza, che Napoli e la Campania

possono contribuire a rafforzare e implementa-

re; è necessario, però, mettere in campo senza

esitazioni, con responsabilità e lungimiranza, le

risorse necessarie per fronteggiare le debolezze,

valorizzare il talento e le specialità, neutraliz-

zando le diffidenze e le preoccupazioni in

materia di sicurezza alimentare con la tecnica e

la scienza (abbandonando la folle e discriminan-

te retorica della “tracciabilità”), aiutando gli im-

prenditori sani e validi che operano nelle zone

devastate dagli smaltimenti illegali di rifiuti

tossici a reagire e a fronteggiare il cinico e bieco

razzismo delle campagne denigratorie contro i

prodotti e la cultura del Meridione e della

Campania in particolare, diffondendo la cultura

del gusto e della tipicità, spiegando, chiarendo,

raccontando, promuovendo, in sintesi,

pretendendo il dovuto rispetto e gestendo con

professionalità la più grande, limpida, concreta e

coerente opportunità di sviluppo economico

reale che il nostro territorio potesse chiedere,

per ripartire con forza e fronteggiare il progres-

sivo impoverimento economico, sociale e valo-

riale che si sta affermando in questi anni.

Perché i “napoletani” sono davvero

generalmente più simpatici e possono fare

tesoro, specie quelli più giovani, di qualità

speciali preziose per aspirare a un futuro

migliore, creando con le proprie mani occasioni

di lavoro nella legalità, con creatività, abilità

tecniche e onestà, valorizzando i prodotti

straordinari delle vere bufale e con tutte le altre

meraviglie dell’incomparabile tradizione enoga-

stronomica campana, lasciando le false “bufale”

ad altri, azionando senza alcuna esitazione le

necessarie iniziative di contrasto organizzate,

potenti e sistemiche. Con la speranza che la

felicità, la bellezza e la legalità possano regnare

incontrastati a Napoli.

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