Oltrona il mio paese

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dedicato ai nostri padri e...ai nostri figli

“Vi diedi una terra, che voi non avevate lavorata, e abitate in città,che voi non avete costruite, e mangiate i frutti delle vigne e degli oliveti,che non avete piantati.”

(Gs, 24, 13)

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Oltrona ... il mio paese

Coordinamento redazionaleSilvano Galimberti, Assessore alla Cultura

Redazione, ricerca iconograficaLuigino FerrarioSantino GalliLuciano Luraschi

ImpaginazioneFrancesco Ferrario,Presidente Biblioteca Comunale

CopertinaFernando Mattaboni

© Foto Fernando Mattaboni

Cogliamo l’occasione per ringraziare tutticoloro che a vario titolo hanno collaboratoalla realizzazione di questo libro, anche il lorolavoro merita di essere ricordato:

Aurelio MelettoBiagio MillefantiMaria di NuzzoMaurizio CastelliPiersandra GalimbertiSergio CastelliSonia Millefanti

Edizione speciale edito dal Comune di Oltrona S. Mamette

© 2007 Comune di Oltrona S. Mamette

Tutti i diritti riservati

Finito di stamparenel mese di febbraio 2007in arte da Tecnografica - Lomazzo

Printed in Italy

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7 SALUTO Ass. Cult. Prov. diComo Edgardo Arosio

9 SALUTO sindacoDott. Antonio Cesare Giussani

11 PRESENTAZIONE

13 OLTRONA E I PECÌT

17 LE ORIGINI E IL NOME

19 UNO SGUARDO AL PAESE

20 STORIA: INTRODUZIONE

25 STORIA: 962 - 1757 27 STORIA: 1757 - 179729 STORIA: 1798 - 1809

31 RISORGIMENTO E INDIPENDENZA:1812 - 1865

32 STORIA: 1859 - 1911

34 STORIA: 1912 - 1949

38 STORIA: 1950 - 2005

41 ANDAMENTO DEMOGRAFICO

44 IL TERRITORIO: INTRODUZIONE

45 IL TERRITORIO:

Sommario

le mappe di Oltrona nel Catasto Teresiano

50 IL TERRITORIO:risorse idriche e acquedotti adOltrona San Mamette

54 IL TERRITORIO: il lavatoio

58 ISTRUZIONE:scuola Gabriele Castellini

62 ISTRUZIONE: la scuola materna

64 ISTRUZIONE:la scuola elementare

67 POESIA:A gh’ emm pü famm, di Luciano Luraschi

70 ATTIVITÀ: l’agricoltura

74 ATTIVITÀ: i patti colonici nei primi anni del 1900

76 ATTIVITÀ: Oltrona San Mamettesenza alloggio

78 ATTIVITÀ: paghe giornaliere nelle filande

80 ATTIVITÀ: lo sviluppo industriale dagli anni ‘50 adoggi

84 ATTIVITÀ: la fornace di Oltrona

90 I CORTILI

94 VITA DI CORTILEANNI 1920 - 1950

95 POESIA:Cinquant’ann fa,di Luigino Ferrario

96 LA VITA NEL CENTRO STORICODAL 1920 AL 1950

101 VITA RELIGIOSACronistoria del santuario di

San Mamette

104 Estratto della relazione di Leonetto Chiavone

107 La statua di San Mamette

108 La chiesa parrocchiale di San Fiovanni Decollato

110 LA RELIGIOSITÀ POPOLARE

114 La Madonna Pellegrinae la 4a visita pastorale delCard. Schuster

116 Confraternita del SantissimoSacramento, XVII - XIX sec.

120 GIUSEPPE BROGGI

122 BIBLIOGRAFIA

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“Memor esto, fili,quam pauperes vitam gerimus.Habebis multa bona,si timueris Deum”.

(Ricordati, figlio,quanto poveramente abbiamo vissuto.Possiederai molti beni,se avrai il timor di Dio).

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L’occasione della pubblicazione di questo libro è spunto per salutare que-sto paese che pur essendo di piccole dimensioni suscita ammirazione e be-nevolenza.

Chi guarda le colline che caratterizzano il paesaggio di Oltrona sovente im-magina gente semplice e laboriosa, legata alle proprie tradizioni popolari,ancora unita per vincoli di parentela o cordiale vicinanza.

Questo libro evidenzia la fortuna di risiedere in un angolo di terra ancoraricco di verde e di una buona qualità di vita che nessuno mi auguro vuoleperdere.

Sono stato lieto nello scorrere queste pagine di leggervi le caratteristichedel territorio comasco, i suoi valori e le profonde radici che ci accomunano.

Questa pubblicazione resta concretamente la migliore eredità che possiamolasciare ai nostri giovani.

Cordialmente

Assessore alla Culturadella provincia di Como

Edgardo Arosio

Care/i Oltronesi,

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Che uomo è colui che non cerca di migliorare il suo futuro?

“Nel frattempo che la trafelata Europa le cercava,noi le abbiamo ritrovate e con te vogliamo condividere… le nostre radici”

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Care/i cittadini,

Fin dall’inizio a questa amministrazione è parso importante cercare di raccogliere in qualcosa di più articolato i tanti e preziosi appunti apparsisull’Eco dei Ronchi nelle passate Amministrazioni, arricchendoli con ulteriori documenti e fotografie .

Oltrona è un piccolo paese schiacciato fra tre grandi centri; le vie di comunicazione sono arrivate tardi, chi viene qui non ci passa per caso, maci viene proprio per scelta. Penso in particolare alle famiglie di recente inserimento calate in una nuova realtà .

La semplicità e la tranquillità di questo angolo del comasco che abbiamoereditato sia la prerogativa prima da non perdere negli anni futuri.

Un ringraziamento particolare al gruppo di lavoro per la dedizione e la passione che hanno profuso. Spero che questo libro sia da stimolo ad altrigenerosi cittadini affinché proseguano l’opera fin qui compiuta.

In momenti di diffuso disimpegno questo lavoro di “archeologia nostrana”assume il valore il una perla preziosa, che ognuno di noi dovrà opportuna-mente valorizzare.

Il Sindaco Dott. Antonio Cesare Giussani

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“Tra le mani ho solo questi valori e spero che tu li accoglierai …

sono ricco solamente per l’amore che ho ricevutoe che voglio donarti ….

alla sera della mia esistenza sarò felice di darti quello che anch’io ho ricevuto,spero che tu non lo sciuperai,ma saprai tramandarlo ai figli, dei tuoi figli”

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Cari Amici

Il lavoro che vi presentiamo è il frutto di tanta passione.

Non è stato semplice cercare di realizzare un progetto che facesse sintesidi tanti punti di vista.

Abbiamo scelto di narrare una storia scritta da persone che per direttaesperienza, testimonianze tramandate con scritti e documenti fotografici,hanno avuto memoria di un tempo trascorso.

Le persone più anziane faranno un tuffo nel passato e nei loro ricordi, lenuove famiglie ed i giovani potranno scoprire le semplici ma robuste radicidei valori di questo borgo.

È un lavoro che è durato diversi mesi e che volentieri offriamo alla comu-nità, con la speranza che i lettori ritrovino il gusto e l’interesse che ci hannoaccompagnato nella realizzazione di queste pagine.

Francesco FerrarioLuigino Ferrario Silvano GalimbertiSantino Galli Luciano Luraschi Fernando Mattaboni

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Occorre sapere e ricordare che i nostri padri solevano distinguersi tra loro,da paese a paese, con appellativi che richiamavano, tra il serio e il faceto,con acume ed efficacia, i preminenti aspetti delle comunità in cui vivevanocon riferimento ai luoghi, alle attività, alle vicende, alle debolezze ed alledoti che più li caratterizzavano.

Questa identità potrebbe oggi parere anacronistica a molti, soprattutto per-ché vi è sempre meno spazio per badare alla propria essenza umana ed aquella degli altri, per conoscersi, considerarsi, ed accettarsi, così come si è,in un contesto di civile convivenza, ricco di reciproca indulgenza e di ca-lore umano.

Oltrona, minuscolo borgo cinto in ogni lato da brughiere e boschi era par-ticolarmente ricco di selvaggina, e tra i volatili, i pettirossi (pecìt in dialetto)erano senz’altro ricercati per rendere più appetitoso quella magra e immu-tabile vivanda famigliare che corrisponde al nome di polenta. Per tenereviva nella memoria l’abilità degli oltronesi dediti alla cattura di questi pic-coli uccellini, simpatici, combattivi, individualisti, è giunta fino a noi unafacezia popolare: “gli uccellatori oltronesi quando si dedicavano alla catturadei pettirossi erano capaci di far ballare le civette, pur di raggiungere il loroscopo”.

“fasevan balà i sciguett (civette) per ciapà i pecitt”

Oltrona e i pecìtt

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Regio decreto di Sua Maestà Vittorio Emanuele II con il quale si autorizza il comune di Oltronaad assumere la denominazione

“di San Mamette”

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LE ORIGINI DEL NOME

L’etimologia del nome

Per avere un’idea del molteplice e sfuggente significato del toponimo Ol-trona, è necessario scomporlo in unità linguistiche minori, relitti di anti-chissimi idiomi che si sono sovrapposti ed amalgamati nel corso dei secoli,senza dimenticare la prima versione, scritta in latino-medioevale: Altrona,e la doppia tradizione dialettale: Ultrona, Vultrona.

� OL.: è una radice di parola di matrice indo-europea che significa “oltre”,“ultimo”, Per alcuni studiosi invece si tratterebbe di un tema celtico conil significato di “grande”.

� TRONA: deriva dalla lingua latina “thronus”, proveniente a sua volta dalgreco “thrònos”, che significa “trono”, Nella lingua etrusca invece il ter-mine “thruna” identificava una “rocca”.

� ONA: a parere di molti linguisti i nomi di luogo che terminano con que-sto suffisso appartengono ad un remoto strato linguistico ligure e signi-fica una notevole presenza dell’elemento “acqua”. Per altri, lo stesso suf-fisso, potrebbe invece indicare un “cucuzzolo tondeggiante”.

Per quanto riguarda il resto del nome, infine, Oltrona ha acquistato la spe-cifica “di San Mamette” in data 8 febbraio 1863, grazie ad un Regio decretodel Re Vittorio Emanuele II, questo per distinguerlo dall’omonimo Oltronaal Lago (ora frazione di Gavirate) in provincia di Varese.

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Veduta aerea

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Il nucleo più antico di Oltrona, posto fra i colli del Ronco e del San Ma-mette, nella posizione più soleggiata e riparata dai venti, è costituito dalleclassiche corti lombarde, un tempo promiscuamente adibite ad abitazionidei contadini, stalle, granai e fienili, chiuse da arcate, portoni o cancelli.In alcuni di questi cortili si poteva ancora rintracciare, prima delle modifi-che apportate nel corso degli anni per ristrutturazioni varie, l’antica im-pronta di un convento(1) ed incontrare i resti della pila(2) o di vecchi pozziartesiani.L’immagine di Oltrona agli inizi del 1900 è quella che appare nella foto se-guente, se si escludono le varie frazioni o cascinali poste fuori dal centroabitato(3).L’abitato si è progressivamente esteso a macchia d’olio sui fianchi delle col-line e lungo le principali vie d’accesso:� VIA ROMA (già detta strada del Cèrcc) che gli oltronesi percorrevano a

piedi per raggiungere la fermata della tramvia Como-Appiano inauguratanel 1910;

� VIA CADUTI OLTRONESI, realizzata nel 1954, onde permettere il pas-saggio dell’autolinea per Como in sostituzione del tram;

� VIA GIAMMINOLA(4) realizzata negli anni sessanta con lo scopo di faci-litare il passaggio dei mezzi pesanti e dell’autolinea Grattoni, Olgiate-Mi-lano, che incontravano notevoli difficoltà ad attraversare le strettoie delcentro abitato, mettendo direttamente in comunicazione via per Appiano(tir da la Vigna Lunga) con via Dominioni(5) e via per Olgiate.

Nella piccola vallata del torrente Antiga sono stati edificati diversi capan-noni per attività artigianali ed industriali, quasi a ridosso della strada pro-vinciale 23 Lomazzo-Bizzarrone. Questa importante arteria, asse di collegamento viario tra l’autostrada e ilconfine svizzero, delimita in modo netto la gran parte del territorio comu-nale compreso nel Parco Pineta, finora ben salvaguardato da fenomeni spe-culativi.

UNO SGUARDO AL PAESE

(1) Così apparivano i cortili delle vie Maz-zini e Garibaldi con portici, colonnati e qual-che cenno di affresco ormai scomparso.

(2) Grosso mortaio in pietra usato per lafrantumazione dei cereali.

(3) Crusò, Zerbone, Zerbo inferiore e su-periore, Cascina Santa Giuliana e Tavorella.

(4) Battista Giamminola (1874-1960), pri -mo sindaco dopo la liberazione, resse il co-mune dal 1946 al 1955, dando così inizio alleprime opere di modernizzazione del paese.Di lui si legge in un bollettino parrocchialedell’epoca: “Possidente di varie proprietà im-mobiliari e benestante, per circa mezzo secolosi occupò diligentemente della sua diletta terredi Oltrona, sempre interessato per l’asilo, lacooperativa ed il municipio”.

(5) Carlo Dominioni (1833-1902), benefat-tore del comune, avendo donato i terreni perla costruzione del municipio e dell’asilo.

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Oltrona anni ‘20

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CENNI STORICI

Il villaggio celtico del Gerbo

Nel. Libro Antiquario della Diocesi di Milano del 1856 possiamo leggere:“Oltrona è situata su di un colle e ha il vantaggio di un aere purissimo, Si pre-tende che sia luogo molto antico”.

Durante i lavori di sterro, nel maggio 1989, presso il colle del Gerbo ven-nero alla luce resti di un insediamento abitato risalente all’età del ferro (VI-V sec. a.C.) e appartenente all’antica civiltà pre-romana della Lombar-dia occidentale: la cosiddetta “Civilità di Golasecca”.

Il complesso archeologico è composto da una vasta pavimentazione in ciot-toli di fiume, degradante lungo il pendio che volge ad est e da un allinea-mento di pietre, probabile indizio della base di un muro perimetrale co-struito a secco.Tra i ciottoli vi erano gran quantità di frammenti ceramici: vasi e ciotole diuso quotidiano, bicchieri ed altre suppellettili con decorazioni di vario tipo,frammenti di contenitori di grandi dimensioni ed inoltre , un ripiano in ter-racotta con fori a distanza regolare, nel quale gli archeologi credono di averindividuato un elemento di forno.

Ed in effetti numerose scoperte hanno confermato questa opinione. I primiabitanti delle nostre zone discendevano dall’incrocio di popolazioni balca-niche con altre ibero-francesi. Ad esse si unirono più tardi gruppi di etru-schi che vennero però sopraffatti dai Celti, provenienti dal nord-ovest delleAlpi, che dominarono queste zone fino all’arrivo dei Romani all’inizio delII secolo a.C. dai quali vennero chiamati Galli Insubrés.Già nel 1957, a dimostrazione della dominazione Romana che a Como sap-piamo essere datata 196 a.C., in località “La Rossa” (Piana Piangiurina), invia Giamminola, angolo via Ferrario, venne alla luce una tomba romana co-stituita da tegoloni in cotto racchiudenti ceramiche di più pregiata fatturain terra sigillata e vasetti vitrei utilizzati come contenitori di unguenti.Sempre nella stessa zona di epoca romana sono le tombe ritrovate nel 1971.Alla dominazione romana seguì quella dei longobarda. I Longobardi, scesiin Italia nel 568 d.C. avevano promosso Castelseprio capoluogo del distrettomilitare e giudiziario della Contea omonima, al quel distretto appartenevala pieve di Appiano che comprendeva Oltrona. Il primo documento che at-testa l’esistenza del borgo di Oltrona risale all’agosto del 962 d.C. e fu tro-vato nell’Archivio della Chiesa di San Fedele in Milano. Si tratta di una compravendita di terreni di Oltrona (nel documento “vico

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et fundo Altrona”): una tal Adeltruda di Coello (frazione di Gallarate) in-cassò 33 denari d’argento dal compratore, il presbitero Teodebertus di Ge-ronico. Entrambi questi personaggi, cosi come altri che figurano come te-stimoni del contratto, portano tipici nomi di origine franco-longobarda.Risale al 1160 la presenza certa di un fortilizio sul colle di San Mamette,che servì da baluardo nel sistema difensivo di Milano, contro l’imperatoreFederico Barbarossa. In proposito bisogna ricordare la peculiarità del no-stro paese; dal colle dove ora sorge la chiesetta, alto solo 422 metri s.l.m.,ma che gode di un’ottima visuale, gli oltronesi avevano l’opportunità di te-nere sott’occhio un vasto orizzonte: la pianura fino a Milano, la Brianza,ma soprattutto le importanti torri di avvistamento di Castelseprio, di Ro-dero e del Baradello.Per circa 600 anni le sorti di Oltrona seguono quelle del Contado del Se-prio, nel 1178 il paese viene confermato feudo dei monaci Benedettini diSan Simpliciano. Nell’anno 1374 per decisione di Papa Urbano IV, Oltronaviene assoggettata direttamente all’Abate benedettino di Lurate, che avevala sua residenza nel monastero fortificato di Castello. Nel 1384 i Visconti con un’azione di forza condotta dal milite Bertetto siimpossessano del feudo benedettino, ma per poco tempo; infatti con labolla di Papa Urbano VI, emanata nel 1389, le terre di Lurate e Oltrona ven-gono restituite ai monaci benedettini qui residenti, ma sempre vincolati almonastero milanese di San Simpliciano. Caccivio, più fortunata di noi,verrà dichiarata qualche anno più tardi “terra libera”.Dai documenti a disposizione risulta che il territorio di Oltrona contava4680 pertiche (1 pertica = 654 mq circa), compresi i vigneti delle cascineGerbo, Gerbone, Robbiano, Ronco, Bagarello (oggi Tavorella) e Palude cherifornivano di vino i conventi dei Benedettini. Oltrona, a differenza dei paesi circostanti, non può vantare personaggi sto-rici di rilevante importanza e nemmeno dimore o ville nobili e prestigiose.Ragione di ciò era la presenza dei frati che impediva l’ascesa di famiglie difeudatari laici. Nel 1651, periodo in cui il Ducato di Milano appartenevaalla Corona di Spagna, si registrò la rivolta dei contadini affittuari che,spalleggiati dai nobili Castiglioni e Pozzo di Appiano, miravano a rendersiindipendenti, ma questa aspirazione fu delusa da un ordine emanato dallaRegia Camera. Fu questo un periodo storico: segnato da carestie e pesti-lenze come quella famosa del 1630, ma che conobbe anche il diffondersidella coltura del mais e dell’allevamento del baco da seta con le onnipre-senti piante di gelso. Le schiere di questi alberi esotici, frammisti ai filari

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Rinvenimenti Archeologici a Oltrona e neiluoghi immediatamente vicini:

in località La Rossa di Oltrona, il 17dicembre 1957 in seguito a forti piogge,alla profondità di due metri venne allaluce una tomba romana del III secolo.Nell’aprile del 1976, la famiglia Giam -minola consegnava al museoArcheologico di Como quei repertitrovati nel 1957 e precisamente: 1balsamario in vetro, 3 olpi, 2 balsamariin vetro a forma globulare, 1 balsamarioa fiala, 1 lucernetta, 2 tazze con orlosporgente e 1 piatto in ceramica rossa,una moneta e uno specchiorettangolare in bronzo.Nella primavera del 1971 al mappale122a della cosidetta Piana Piangiurina,mentre si scavava per gettare lefondamenta di una nuova casa,venivano rinvenuti reperti d’epocaromana estremamente fram mentati edunque di scarso interesse ar cheo-logico.Nell’autunno del 1979, anche in questocaso dopo un periodo di forti piogge,Valentino Gerosa rinviene unasepoltura, apertasi spontaneamente,presso un sentiero al confine conOltrona (la ben nota Strada Cavallina).La tomba conteneva bronzi dell’età delferro e fra l’altro una fibula asanguisuga, il tutto databile al periodoGolasecca II.Nel 1979, in località Benedetta, furonoscoperte 4 tombe d’epoca romana deltipo a cremazione, all’interno furinvenuto tra i vari reperti un pezzo dipane carbonizzato e una monetadedicata all’Imperatore Domiziano.

A lato: resti di ceramiche ritrovati al Gerbo

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d’uva, caratterizzeranno per parecchio tempo il paesaggio agrario delpaese. L’eco del connubio delle due coltivazioni si ritrova in una strofa po-polare, cantata nei momenti di allegria collettiva: “A Ultrona i murùn fanl’üga, leraj quel ciondo, leraj quel ciondo, leraj in sü la riva del mar...”.Al dominio Spagnolo si sostituì quello Austriaco che dal 1706, se esclu-diamo il periodo napoleonico, resisterà fino al 1861. Importanti novità, co-munque intercorsero con l’avvento della Repubblica Cisalpina, in seguitoalla Rivoluzione francese, negli ultimi anni del 1700. Le proprietà ecclesiali vennero secolarizzate ed immediatamente acquisiteda alcune famiglie benestanti locali, i terreni di Oltrona vennero da questi,concessi in affitto ai contadini che già li coltivavano, sotto una particolaree medioevale forma di contratto detta “di livello”.Nonostante questi mutamenti, in una visita pastorale l’Arcivescovo di Mi-lano Gaetano Gaysruck rimase impressionato dalla povertà della chiesaparrocchiale di Oltrona, definita addirittura da Cesare Cantù “forse la piùbrutta di tutta la Diocesi di Milano”. Intervennero allora donazioni consi-stenti di pregevoli marmi, reliquie, quadri e arredi sacri provenienti dachiese milanesi demolite.Le condizioni di vita di quei tempi non erano certo quelle di oggi e a ri-cordarcelo sono due epidemie di colera, che si verificano nel 1836 e nel1867. Gli affetti dalla malattia venivano segregati in un “casàrich” in viaUmberto I ed i morti sepolti sulle prime ripe della collina del Ronco, al-l’inizio di via Appiano. Fino a pochi decenni fa, una piccola croce di ferrone ricordava il luogo di sepoltura.

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Affresco del XV sec. rappresentante la Vergine tra S. Rocco e S. Antonio Abate, già situato all’esterno di una casa del centro storico ed ora conservato nel santuario di S. Mamette

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Storia

962 - 1757

La comunità di Oltrona risulta citata come entità amministrativa auto-noma, a parere dello storico Bognetti, già nel noto documento dell’anno962, dove Oltrona risulta dotata del “concilibis loci” che si può tradurre: as-semblea pubblica dei capi famiglia del villaggio, ovvero una sorta di consi-glio comunale. Fu feudo del Monastero di San Simpliciano di Milano perconcessione pontificia, sicuramente fin dal XII secolo.Negli “Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano” emanati nel1346 Oltrona risulta incluso nella pieve di Appiano e viene elencato tra lelocalità cui spetta la manutenzione della “strata da Bolà” sotto il nome di“el locho da Oltrona”(6). Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del1552 e dei successivi aggiornamenti sino al XVIII secolo Oltrona risulta an-cora compreso nella pieve di Appiano(7), dove ancora lo si ritrova nel 1644(8).Nel “Compartimento territoriale specificante le cassine” del 1751 Oltronarisultava sempre inserito nel Ducato di Milano e aggregato alla pieve di Ap-piano; il suo territorio comprendeva anche i cassinaggi di Zerbo di sopra,Zerbo di sotto e Tavorelle(9) . Dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del cen-simento del 1751 emerge che il comune è sempre un feudo dell’abate be-nedettino residente al Castello di Lurate, a sua volta dipendente dal mona-stero milanese di San Simpliciano. A queste autorità ecclesiasticheproprietarie del territorio la comunità oltronese, che contava circa 217anime, non versava alcun tipo di tributo. In quel tempo Oltrona disponeva di un consiglio che si riuniva nella pub-blica piazza. Con l’approvazione di tutta la comunità, e a seguito di incantopubblico, venivano eletti il console e l’esattore. Il console prestava giura-mento presso un’autorità pubblica di ordine superiore detta “banca crimi-nale” con sede a Gallarate, già capoluogo del Vicariato del Seprio(10). Il no-stro comune era sottoposto come tutti gli altri alla giurisdizione di unpodestà feudale e si avvaleva della consulenza di un cancelliere che venivaretribuito con un salario annuo. Sempre inserito nella pieve di Appiano enel territorio del Ducato di Milano, il villaggio di Oltrona compare nell’“In-dice delle pievi e comunità dello Stato di Milano” redatto nel 1753(11).

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(6) Compartizione delle fagie, anno 1346.(7) Estimo di Carlo V, Ducato di Milano,

cart. 2 e 3.(8) Relazione Opizzone 1644.(9) Compartimento Ducato di Milano,

1751.(10) Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3039.(11) Indice pievi Stato di Milano, 1753.

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Storico divieto tuttoravisibile in via Manzoni

(seconda metà del XIXsecolo)

Ingresso della curt di Paternosterrestaurato di recente

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Storia

1757 - 1797

Nel nuovo compartimento territoriale dello Stato di Milano(12), pubblicatodopo la “Riforma al governo e amministrazione delle comunità dello Statodi Milano”(13), Oltrona venne confermata per l’ennesima volta tra le comu-nità della pieve di Appiano, nel territorio del Ducato di Milano. Nel 1771 il comune contava 266 abitanti(14). Con la successiva suddivisionedella Lombardia austriaca in province(15) il comune di Oltrona venne inse-rito nella Provincia di Gallarate. In forza del nuovo compartimento territoriale per l’anno 1791, la pieve diAppiano, compresa dunque Oltrona, venne trasferita nel XXXI distrettocensuario della provincia di Milano.

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(12) Editto 10 giugno 1757.(13) Riforma Stato di Milano 1755.(14) Statistica anime Lombardia, 1771.(15) Editto 26 settembre 1786.

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Disegno a china raffigurante la chiesa di S. Mamette prima dei lavori di restauro

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Storia

1798 - 1809

A seguito della suddivisione del territorio in dipartimenti, prevista dalla co-stituzione della Repubblica Cisalpina dell’8 luglio 1797 (Costituzione, 20messidoro - anno V) e con legge del 26 marzo 1798 il comune di Oltronavenne inserito nel dipartimento del Verbano, distretto di Appiano (legge, 6germinale - anno VI).Con successiva legge del 26 settembre 1798 il comune venne aggregato aldipartimento dell’Olona, distretto XX di Appiano (legge 5 vendemmialeanno VII). Nel gennaio del 1799 contava 300 abitanti (determinazione, 20nevoso - anno VII). Secondo quanto disposto dalla legge 13 maggio 1801,il comune di Oltrona, inserito nel distretto secondo di Varese, venne a farparte del ricostituito dipartimento del Lario (legge. 23 fiorile - anno IX).Con la riorganizzazione del dipartimento, avviata a seguito della legge diriordino delle autorità amministrative (legge, 24 luglio 1802) e resa defini-tivamente esecutiva durante il Regno d’Italia, Oltrona venne in un primotempo inserito nel distretto XXXI ex milanese di Appiano(16), classificato co-mune di III classe (Elenco comuni dipartimento del Lario, 1803), e succes-sivamente collocato nel distretto I di Como, Cantone VI di Appiano. Il comune di Oltrona nel 1805 contava 323 abitanti(17). Il successivo inter-vento di concentrazione disposto per i comuni di II e III classe(18), vide l’ag-gregazione del comune di Oltrona al comune di Appiano, che fu inserito neldistretto I di Como, Cantone VI di Appiano(19). Tale aggregazione venne con-fermata con la successiva compartimentazione del 1812(20).Come si vede, l’infinito e caotico cambio di dipartimenti, distretti e pro-vince, fu indiretta conseguenza della rivoluzione francese; il nuovo “verborivoluzionario” venne diffuso in Lombardia da Napoleone col suo esercitodi soldati e funzionari pubblici. L’alterna fortuna avuta dalle varie giunte digoverno lombarde, succedutesi in così breve tempo al potere, ora filo-fran-cesi dunque innovative, ora filo-austriache e conservatrici, generavano que-sta perenne e conflittuale instabilità logistico - amministrativa. I milanesi econ loro tutti i lombardi, si accorsero ben presto che Napoleone e i sui con-nazionali avevano sì portato: Liberté, Egalité, Fraternité, ma anche che... iFrancées in caròza e nün a pée (i rivoluzionari francesi di stanza in Lom-bardia proclamano l’uguaglianza, ma loro vanno in carrozza e noi comesempre a piedi).

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(16) Quadro distretti dipartimento delLario, 1802.

(17) Decreto 8 giugno 1805 a.(18) Decreto 14 luglio 1807.(19) Prima della aggregazione Oltrona con-

tava 271 abitanti. Decreto 4 novembre 1809 b.(20) Decreto 30 luglio 1812.

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Il garibaldino oltronese Carlo Ferrario (1835 - 1912)

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(21) Tra questi si ricorda l’oltronese CarloFerrario nato a Oltrona (1835-1912) il qualearruolatosi nell’esercito piemontese preseparte all’assedio di Gaeta, ultima roccafortedei Borboni e fu decorato con la medagliad’argento al valore militare. In occasione delcentenario dell’unità d’Italia, nel 1961, ilConsiglio Comunale intitolò allo stesso la viaFerrario (da piazza libertà a via Giammi-nola).

(22) Parroco dal 1842 al 1866.

RISORGIMENTOE INDIPENDENZA

1812-1865

Da uno scritto di Giuseppe Broggi del 31 gennaio 1944 basato sui racconti del padre Alessandro

“Nel 1848, scacciati gli Austriaci da Milano e Como, il Governo provvisorio diLombardia invitava la balda gioventù italiana ad arruolarsi nei corpi dei franchi tira-tori per la difesa dei passi alpini.Nel distretto di Appiano si formò una centuria di 121 volontari, composta da profes-sionisti, artigiani, lavoratori dei campi e delle officine al comando del dott. GiuseppeGrilloni.A codesta centuria appartenevano 10 volontari di Oltrona. Più tardi detta centuria fusciolta ed i volontari che volevano combattere dovevano arruolarsi nell’esercito piemon-tese che si era mosso con Carlo Alberto a liberare la Lombardia ed il Veneto. Do-dici appianesi e quattro oltronesi (21) si recarono a Milano nell’esercito piemontese.Dopo l’insuccesso subito, i patrioti lombardi si costituivano in comitati segreti per pre-pararsi alla riscossa; di questo comitato ne era a capo il dott. Grilloni di Appiano, ilcui padre era amico dei Broggi pure oriundi di Tradate; di Oltrona ne facevano parteAlessandro Broggi ed il parroco don Catenacci (22), ferventi garibaldini.Il 21 maggio 1859 il nucleo degli appianesi si recò a Varese nel corpo garibaldinoCacciatori delle Alpi: il curato Don Catenacci, uomo ardimentoso con la coopera-zione del podestà Broggi manteneva il contatto per mezzo di fidenti emissari con ilcorpo garibaldino.La messaggera dei patrioti comaschi la marchesina Giuseppina Raimondi si fermavaad Oltrona in casa Broggi a cambiarsi d’abito e di cavallo per raggiunger, fra sen-tieri di pinete, il campo garibaldino e consegnare al generale le notizie della città diComo.Durante la battaglia di San Fermo tanto il Broggi che il don Catenacci e il dott.Grilloni, si prodigarono a curare i feriti nell’ospedaletto da campo a Cavallasca. Sulcampanile di Oltrona sventolava il tricolore, appena che le truppe austriache lascia-rono Olgiate incalzate dagli spavaldi garibaldini.Nel maggio 1865 quando Garibaldi da Varese si recò a Como ad ispezionare il reg-gimento garibaldino, la guardia nazionale di Appiano alla quale appartenevano anchegli oltronesi con bandiera si recarono sulla strada provinciale in località Benedetta adossequiare il generale Garibaldi, che strinse la mano al Dott. Grilloni, a don Cate-nacci e al sindaco Broggi”.

§ Ndr - Gaeta era la roccaforte dei Borboni in cui si era rifugiato anche il Papa Pio IX,mentre Garibaldi nel 1860 avanzava da Reggio Calabria, un corpo d’armata agli ordinidel generale Cialdini prese d’assedio Gaeta che capitolò dopo tre mesi di bombarda-menti mentre le navi francesi di Napoleone III si astenevano dall’intervenire.

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Foto del 1887 che ritrae un soldato oltronese tra i suoi commilitoni

nella caserma di Como (Antonio Galli, terzo in alto da sinistra)

Storia

1859 - 1911

In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sar-degna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 otto-bre 1859, il comune di Oltrona con 475 abitanti, retto da un consiglio co-munale di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nelmandamento XIII di Appiano, circondario I di Como, provincia di Como.Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia il comune aveva una popola-zione residente di 488 abitanti(23). Sino al 1863 il comune mantenne la de-nominazione di Oltrona e successivamente a tale data assunse la denomi-nazione di Oltrona di San Mamette. In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune venivaamministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio.

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(23) Censimento 1861.

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Fante oltronese della prima guerra Mondiale

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Storia

1912 - 1949

Oltrona, fatta di gente semplice, contadini e tessitori, capisce ben prestoche l’unità d’Italia impone doveri che vanno oltre il confine territoriale ealla grande guerra partecipa con il sacrificio di 20 giovani vite.

Al termine della prima guerra mondiale gli abitanti sono 818(24).Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Como della provin-cia di Como. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale dispostanel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà.

A bloccare una lenta e faticosa ripresa economica fu la dichiarazione diguerra del 10 giugno 1940 che fa precipitare di nuovo l’Italia negli orrori diun secondo conflitto mondiale. Anche in questa occasione Oltrona pagheràun pesante tributo; al termine della guerra si conteranno sette caduti equattro dispersi.

Nel 1946, in seguito alla riforma dell’ordinamento comunale, il comune diOltrona di San Mamette veniva amministrato da un sindaco, da una giuntae da un consiglio.

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(24) Censimento 1921.

Anno 1951: la sezione alpini di Oltrona, in Piazza Libertà, ricorda i caduti della

seconda guerra mondiale alla presenzadei familiari del capitano

Gaetano Gianminola

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Storia

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GUERRA 1915-1918

Caporale Maggiore Marazzi FermoBroggi ValentinoFerrario Carlo

Soldato semplice Dominioni LuigiArlati DomenicoBianchi AntonioTettamanzi LidioRusconi CarloFerrario AntonioGalli Luigi di GiovanniZaffaroni CesareCorti LuigiCappelletti Giovanni

DISPERSI

Soldato Roncoroni DiegoDominioni Pilade

MORTI PER MALATTIA

Paternoster EugenioTettamanzi FlaminioRusconi GiulioGalli Luigi di CarloSeregni ErnestoMognoni AmbrogioFerrario Alfredo

GUERRA 1940-1945

Capitano Giamminola Gaetano

Caporale Finazzi Alessandro

Soldato Giamminola GiuseppeCorti MarcoTettamanzi CamilloBollini DionigiZaffaroni Fiorenzo

DISPERSI

Soldato Ferrario PierinoGalimberti StefanoGrigioni FrancescoLuraschi Lorenzo

VITTIME DEL BOMBARDAMENTO

Suor Evelina GirolaPagani Mario

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Al cuore Sacro di Maria. Sempre grati aperenne ricordo dei prodi caduti i fedeli

Oltronesi restaurarono 9-11-1947.La presente dedica compare all’interno della

Cappelletta di Piazza Libertà

La cappelletta sacrario, edificata non prima del XVIII secolo, ha come ar-redo sacro un altare a muro sormontato dalla statua di Maria Ausiliatrice.La parete di fondo è decorata con una scena struggente: a sinistra, compareil colle di S. Mamette con in primo piano una donna in ginocchio cheprega; a destra, un appena accennato campo di battaglia fa risaltare la fi-gura del soldato ferito sorretto e confortato da un suo commilitone.

Storia

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La fontana di piazza Statuto dopo il recente restauro voluto dai coscritti del 1950 Scorcio di via Cavour

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Storia

1950 - 2005

Sono gli anni del così detto miracolo economico nazionale e tutti gli oltro-nesi concorrono all’impresa; già non è finita la Guerra di Liberazione chesi avviano le costruzioni di nuovi stabilimenti tessili. Nel 1949 vengono edi-ficate ed assegnate a famiglie di operai le prime case popolari, passate allastoria col nome di “case Tupini”, cui fecero presto seguito le “case Fanfani”:erano così denominate dal cognome dei parlamentari promotori dell’ini-ziativa.Mentre gli oltronesi col lavoro ed il risparmio si davano alla costruzione dinuove abitazioni per se e per i propri famigliari, nel vecchio centro storicovenivano ad abitare, per il tempo necessario e con la volontà di una mi-gliore sistemazione, nuove famiglie di immigrati specialmente dal meri-dione d’Italia.

Non di meno tutte le amministrazioni comunali succedutesi nel tempo sisono impegnate cominciando con la realizzazione di nuove strade come lavia Caduti Oltronesi e la via Giamminola, fu estesa la rete idrica e nel 1966si scavò il primo vero pozzo per l’approvvigionamento autonomo dell’ac-qua. Quella fondamentale risorsa idrica, posta in località Margè, divennepurtroppo inservibile quando nel 1982 fu scoperto nell’acqua un notevoleinquinamento da solventi clorurati. Immediatamente si dovette correre airipari; superata la prima emergenza col ripristino di allacciamenti ai paesivicini, nel volgere di breve tempo fu installato un sistema di depurazione acarboni attivi, all’impianto fu aggiunto nel 2000 un sistema di clorazioneper contrastare inquinamenti di tipo batteriologico. Fatto tesoro di questa brutta esperienza, venne ben presto collocata unacondotta fognaria industriale, allacciandola con una pompa di solleva-mento al depuratore consortile di Bulgarograsso.

Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 viene appaltata e costruita lastrada provinciale Lomazzo-Bizzarone, una grande e utile arteria che faci-lita la comunicazione tra la Svizzera e l’autostrada Milano - Como; in que-sto modo il nome ed il paese di Oltrona San Mamette venne conosciuto ediffuso da una moltitudine di persone come non fu mai prima di allora.Nel 1979-80 arrivò la metanizzazione, e così venne dato l’addio all’uso delcarbone e delle bombole a gas per il riscaldamento e la cottura dei cibi. Al-l’anno 1982 risale la costruzione delle nuove Scuole Primarie a cui si ag-giunse la vicina palestra.I calciatori oltronesi, prima di utilizzare il nuovo centro sportivo nei pressi

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Foto aerea dello stabilimento Ravasi primadell’intervento urbanistico con il quale è stata

realizzata Piazza Europa

delle scuole elementari, da diversi anni dispongono e si possono divertiresu un piccolo campo di calcio posto alla periferia del paese in località Lu-sciano.Per ultimo, ma non meno importante, è da ricordare l’urbanizzazione del-l’area dell’ex stabilimento Ravasi (1988 - 1995) che ha trasformato quelcomparto nella scenografica Piazza Europa.

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Foto dell’anno 1915 che ritrae una mamma con la sua numerosa prole Gli anni di nascita dei figli sono 1905,1906,1908,1909, 1910, 1913, 1914 (...) l’ultimo figlio nascerà solo nel 1921

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ANDAMENTODEMOGRAFICO

Dati desunti da:

Repertorio Toponomastico Lombardo

Compendio statistico provincia di Como del 1967

Anagrafe Comunale

Alcune riflessioni sull’andamento de mo-grafico esposto in tabella:

1861-1901 incremento dovuto agli ef-fetti dei primi tentativi di industrializza-zione e conseguente miglioramentodelle condizioni sociali;1901-1931 vendita di varie proprietà im-mobiliari da parte dei pochi e ricchipossidenti (Broggi, Bonomi e altri) conl’ingresso di nuove e numerose fami-glie, tra cui da Lurago e Limido i Pa-gani, i Millefanti e i Rudi; dalla Valtel-

lina i Fomiatti, i De Tocchi, i Mattaboni,i Piovaso, i Sceresini, i Rinaldi; dal Ve-neto i De Zaiacomo, i Paternoster, i Tra-bacchin;1961-2005 incremento dovuto agli ef-fetti del boom economico, con il feno-meno dell’espansione edilizia primacon abitazioni monofamiliari e succes-sivamente di cooperative edilizie e so-cietà immobiliari; non è da trascurare ilcrescente flusso migratorio.

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2500

2000

1500

1000

500

0217 266 323 488 505 680 831 813 818 959 1059 1256 1450 1626 1936 2097 2182

1751 1771 1805 1861 1871 1881 1901 1911 1921 1931 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2006

Nella foto: gita domenicale in giacca e cravatta

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IL TERRITORIO

1722: così appariva Oltrona sulle mappe del catasto Teresiano. Dalla simbologia, il vigneto risulta la coltivazione principale del paese

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Nell’archivio di Stato di Como, assieme ad una mole enorme di altri docu-menti si può visionare, nel fondo U.T.E., catasto mappe, la cartografia det-tagliata del nostro territorio, realizzata nell’anno 1722 in occasione dellaformazione del primo catasto che fu poi chiamato Teresiano.In quegli anni, infatti, nell’intento di riorganizzare in modo radicale il si-stema tributario, in precedenza basato sull’arbitrio dei potenti e sulla spre-giudicatezza dei gabellieri, Carlo VI d’Asburgo diede avvio alle operazionidi rilevamento del territorio, l’operazione di base che permetteva di deter-minare in seguito, assegnando ad ogni parcella il relativo reddito, l’impo-nibile delle varie proprietà. Poiché, però, il tutto entrò in vigore nell’anno1760, sotto il regno di Maria Teresa d’Austria questo catasto fu chiamato,appunto, Teresiano. I lavori procedettero fra enormi polemiche e feroci cri-tiche da parte dei proprietari che vedevano pubblicamente esporre i propriinteressi e quindi mettevano in campo ogni possibile ostacolo alla realiz-zazione del progetto. Ma anche nella realizzazione tecnica dell’opera nontutto fu facile. In un’epoca in cui l’aerofotogrammetria, il teodolite assistitodall’elettronica, l’uso dei satelliti per determinare i punti sul terreno eranoancora nel libro dei sogni, si dovette ricorrere ad uno strumento già cono-sciuto, semplice da usare ed abbastanza preciso: la tavoletta pretoriana. In pratica si trattava di una tavoletta quadrangolare, montata su un trep-piede, sulla quale veniva fissato il foglio da disegnare. Una riga, poggiatasulla tavoletta, era munita di goniometro e di 2 traguardi, come il mirinodi un fucile, con i quali si traguardavano i punti da rilevare.Si eseguivano quindi delle triangolazioni basandosi sul noto teorema chepermette di ricostruire un triangolo conoscendo un lato e due angoli o duelati ed un angolo.Prima di decidere quali strumenti usare per i rilievi furono sperimentati di-versi metodi, mettendo in concorrenza diverse squadre di rilevatori, nellanostra zona, per tutto il Regno vennero scelte, per la campionatura, due lo-calità, una in pianura ed una in montagna sulle pendici del Bisbino. Ad Ol-trona le operazioni topografiche ufficiali furono eseguite dal geom. Gio-vanni Della Torre e da Carlo Maggiorati che si avvalsero di altre personeche evidentemente conoscevano bene il territorio e le proprietà. Gli aiutantisi chiamavano Ambroggio Alfiere, Ambroggio Girola, Gio’ Cattaneo e Pro’Rimordi. Così è scritto nei documenti dell’epoca. Tutto il lavoro venne compiuto tra il 13 marzo e il 2 aprile dell’anno 1722ossia nel periodo più favorevole a questo genere di operazioni sia per ilclima che per l’assenza di vegetazione. Occorre anche dire che i mappali, le

LE MAPPE DI OLTRONANEL CATASTO TERESIANO

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particelle in cui era diviso allora il territorio di Oltrona, erano soltanto circa400 contro le oltre 2400 attuali, dopo gli innumerevoli frazionamenti ese-guiti sulle proprietà. Inoltre le brughiere ad ovest del torrente Rozzeu eranoriunite in un solo mappale di 1063 pertiche perché erano di uso comuneper la legna ed il brugo. Un particolare interessante può essere segnalato alriguardo di queste brughiere ora integrate nel Parco Pineta. Quando neglianni successivi furono passate a proprietà privata, la determinazione deiconfini non fu fatta con l’apposizione dei normali cippi, ma con lo scavo ditrincee alcune delle quali molto profonde. Forse si temeva che i cippi ve-nissero spostati oppure si voleva con questi fossi, consolidare ancora di piùil diritto di proprietà in un posto che fino a quel momento era stato pub-blico.Diamo ora uno sguardo alle carte che adesso, dopo quasi 300 anni, hannoassunto un alto valore documentaristico. Salta subito all’occhio la limita-tezza del centro abitato costituito dalle case adiacenti all’ovale delle attualivie XX Settembre, Cavour, Vittorio Emanuele con i piccoli comparti esternidi Via Volta e Mazzini-Garibaldi. Lontano nei campi le 4 cascine storiche: Zerbo superiore e inferiore, Zer-bone, Tavorella oltre alla chiesa di San Mamette. Nient’altro. La viabilitàera ancora costituita dalle carrarecce medioevali per la maggior parte an-cora adesso rintracciabili. Due di queste, una ad ovest, l’altra ad est dellacollina del Ronco, portavano verso Appiano evitando accuratamente lazona della palude (al Paü) che sulle carte di quel comune viene denominata“Mortizia” forse perché malarica. Verso Caccivio il tracciato copiava l’at-tuale via Roma fino all’incrocio con via Dante per poi voltare a sinistra eattraversando la Cavallina raggiungere l’abitato con un bel rettifilo. VersoOlgiate si andava dalla via S. Mamette o dalla via Verdi di oggi. In direzionedi Beregazzo la strada attraversava l’Antiga con un guado (attuale via Ro-biano), proseguiva nella profonda trincea scavata nei secoli dal passaggiodei carri e dalle acque piovane, quindi passando dietro il Zerbone raggiun-geva l’allora importante strada che collegava l’Olgiatese con Appiano pas-sando per la Cà Bianca (zona confinante con il territorio di Beregazzo).A proposito del guado suddetto molti ricordano ancora che fino agli anni‘50, prima della costruzione del ponte, una stretta trave di ferro, posatasopra il torrente, appena a monte della carreggiata stradale, facilitava, manon tanto, l’attraversamento ai pedoni in presenza di acqua.Non esistevano le odierne strade denominate via Manzoni, via Dominioni,via Beregazzo che vennero aperte negli ultimi anni di governo austriaco. In

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particolare, con il terreno di riporto dello scavo sotto la collina di S. Ma-mette venne costruito un terrapieno sull’Antiga con il relativo ponte (1848).Intersecando la stradina acciottolata che collegava la via S. Mamette conl’ultimo cortile in fondo a via Mazzini passando per un androne ancora esi-stente, risultò una differenza di quota fra i due piani viabili che venne rac-cordata con la posa di alcuni scalini (i scalitt). La scarsa affidabilità delmuro di contenimento (in ciottoli di torrente e malta) nella prima parte el’alta ripa risultante nella seconda, unita all’inconsistenza del terreno, det-tero luogo nel tempo, durante i periodi piovosi, ad una serie innumerevoledi scoscendimenti che creavano allora molti problemi, sia per il ripristino,fatto unicamente a mano, sia per la viabilità che allora non offriva altre al-ternative per l’entrata nell’abitato da ovest. I numerosi rappezzi, ancora vi-sibili nel muro, testimoniano quanto detto, anche se con l’urbanizzazionedella zona e la messa in sicurezza delle scarpate tutto sembra risolto e di-menticato.Un altro particolare interessante emerge osservando le mappe. Il corso deltorrente Antiga, nitidamente disegnato altrove, sparisce del tutto nel trattotra la via Robiano ed il ponte sulla Lomazzo-Bizzarone. E’ quindi evidenteche in questo punto il corso era indefinito e quindi l’acqua dilagava nelpiano adiacente senza un alveo stabile, che presumibilmente venne co-struito negli anni successivi per poter bonificare e coltivare a prato i terrenilimitrofi.Infine si ricordano una serie di nomi dei “pezzi” di Oltrona, reperibile inarchivio; nomi che, comunemente usati (direi vissuti) dai nostri genitorifino a poche anni fa, ora rischiano di essere completamente dimenticati. Edè stata veramente un’opera meritoria averne inseriti alcuni nella topono-mastica ufficiale. Ecco l’elenco: Zerbo, Roccolo, Apponto, Valle, Lurasca,Pigozzo, Cantone, Lentiggia, Bozzoli, Roncate, Rogorèe, Valli Chiuse,Rossa, Lusciano, Fontana, Crosetta, Margèe, Rossum, Vignalunga, Stra-done, Monte Vilano, Monte Ghislone, Tobiello, Ronco, Vigna Almasia, Ca-savico, Ronchetti, Boavescia, prati Magri, Era, Giobb. Questi toponimi emergono dalla consultazione dei registri delle proprietà,una visura che fornisce dati interessantissimi Oltrona dell’epoca. Si precisasull’argomento, che a parte le 1063 pertiche della brughiera appartenential comune, il resto era di proprietà piena di pochi notabili ed in misuramolto inferiore di alcuni enti religiosi. Fra i possidenti laici si ricordano:Paolo Retti (pertiche 1267), Giobatta Bagliacca, Giuseppe Biumi, AgostinoCabiati, rev. Carlo Maria Olgiati. Fra gli enti religiosi: l’abbazia di S. Sim-

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pliciano in Milano, l’abbazia di S. Giovanni Evangelista in Appiano, il Ca-pitolo dei Canonici di S. Stefano di Appiano, la Cura di Oltrona, le Mona-che di S. Marco di Como. La proprietà più vistosa, quella dei Retti, che abi-tavano in una palazzetta di fronte alla chiesa parrocchiale, passòsuccessivamente ai Bonomi, figli di un macellaio di Como, che nel 1792 ri-sultavano intestatari di circa la metà dei terreni di Oltrona, mentre la pro-prietà Olgiati venne ceduta in affitto perpetuo, nel 1778, a dei Broggi pro-venienti da Tradate. Gli stessi Broggi, in epoca successiva, avrebberoacquisito anche i beni dei Bonomi, visto che la loro casa di famiglia divennela palazzetta appena citata.

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Foto d’epoca di piazza della Fontana a Oltrona. Sulla destra è visibile il serbatoio dell’acquedotto con alcuni particolari. Sul fondo si intravvedono gli scalini, ancora oggi esistenti,

anche allora tradizionale punto di ritrovo ove si consumava la prima colazione

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RISORSE IDRICHE E ACQUEDOTTI AD OLTRONA SAN MAMETTE

A Oltrona, ma naturalmente anche nei paesi limitrofi, fino ai primi anni del1900, fare provvista di acqua per le necessità familiari o per abbeverare glianimali era una impresa ardua che diventava quasi impossibile durante iperiodi di siccità. Esaurite le poche riserve del pozzo o della cisterna nelcortile, che raccoglievano l’acqua piovana del tetto, essiccata la “boza”, l’in-vaso esistente in qualche cascina, bisognava mettersi alla ricerca nellepoche sorgenti del circondario, oppure attingere al Pravasc, al Paü o affi-darsi alla benevolenza di qualche fortunato nei paesi vicini. E le massaieprendevano i panni da lavare e ...avavano dove si poteva.Dovevano passare ancora molti anni con l’avvento di epidemie di tifo e co-lera incentivate dalla scarsa igiene e dall’uso di acque non potabili finché ilcambio di mentalità dovuto al progresso ed ai fermenti sociali dell’Otto-cento posero in primo piano la necessità di portare a soluzione il problemadell’approvvigionamento dell’acqua.Fino a quegli anni, quindi, anche nella vicina Como non esistevano acque-dotti che potevano chiamarsi tali. A metà secolo (1850) prima gli ingegnerimunicipali con vari studi e progetti e quindi l’iniziativa privata, che in que-sto campo intravedeva margini di profitto, realizzarono il primo acque-dotto. Fu l’impresario ligure Giovanni Garrè che incanalando le sorgenti delRefrecc nella valle del Cosia portò l’acqua nella convalle ultimando i lavorinel 1890. Ad Oltrona, appunto, come recita la lapide in Piazza Libertà, il salto di qua-lità si ebbe nel 1893 con la realizzazione dell’acquedotto del Lusciano. Unacondotta di 800 metri circa, con un dislivello utile di circa 10 metri, inter-cettando anche un’altra piccola sorgente lungo il percorso, portava l’acquaad un serbatoio posto nella piazza, “la Ca da l’acqua” le cui cannelle disse-tavano, ma non sempre, gli abitanti. Accostata al serbatoio, verso sud, unavasca lavatoio era alimentata da un’altra cannella. Il progetto di questo ac-quedotto fu affidato allo stesso ing. Garrè, e per questo la piazza veniva co-munemente chiamata dai nostri vecchi “al Garè”.Anche l’acqua di un’altra piccola sorgente era incanalata fino al “Nivel” inpiazza della chiesa, una fontana che era costituita da un caratteristicomuro a semicerchio sormontato da lastre di granito su cui gli uomini si se-devano a conversare all’uscita dalla messa.Probabilmente la stessa acqua alimentava anche la fontana, tuttora visibilein piazza Statuto, ed un’altra in via XX Settembre, ora demolita.Le due edicole, quella di piazza Statuto e quella di piazza Libertà, abba-stanza simili come disegno architettonico, ma diverse nei materiali e quindi

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costruite in periodi diversi, sono la testimonianza più accessibile dei vecchiacquedotti di Oltrona.Dall’acquedotto del Lusciano fu in seguito derivata una conduttura che por-tava l’acqua ad una bocca davanti all’ingresso della “Ca Matta” (è ancora vi-sibile il pilastrino che portava la cannella) che costituiva la meta agognatadai contadini che di lì passavano per l’andata o il ritorno dai campi con lacarriola stracarica o la cavagna sul braccio, durante i mesi estivi di calura.Ma a volte, durante i periodi di siccità, l’acqua del Lusciano scarseggiava ele file dei secchi in attesa si allungava a dismisura. Il messo comunale eraallora incaricato della distribuzione che avveniva in proporzione ai com-ponenti delle famiglie mettendo in atto una specie di razionamento. In-torno alla metà degli anni ‘20, per ovviare alla cronica mancanza d’acqua,in molti cortili di Oltrona si costruirono cisterne che, tra l’altro, erano pre-ziose in caso d’incendio.La fine del periodo di approvvigionamento dell’acqua alle pubbliche fon-tane si ebbe intorno al 1931 con l’allacciamento all’acquedotto di Appianoche, come dice l’altra lapide, “fu fatto con il concorso volontario della po-polazione”. Infatti come era consuetudine allora, anche nei paesi vicini, irichiedenti l’allacciamento prestavano gratuitamente la loro opera per l’ese-cuzione della canalizzazione per le singole utenze.Probabilmente durante questi lavori venne demolita la “Ca da l’acqua” evennero costruiti sia la nuova fontana sotto via Umberto I che un nuovo la-vatoio all’inizio di via Appiano.Continuando la cronistoria si evidenzia che dopo la costruzione dello sta-bilimento Noberasco, ora Star, negli anni ‘40 si dovette ricorrere alla posadi una conduttura dal confine con Caccivio allo stesso stabilimento essen-doci stato il rifiuto da parte dell’amministrazione appianese alla forniturain quanto avrebbe creato problemi di approvvigionamento anche alla stessaAppiano.Questo acquedotto che, come detto, inizialmente soddisfaceva alle neces-sità idriche del solo stabilimento, fu successivamente intercettato nei pressidel lavatoio e con la costruzione, dietro il lavatoio stesso, di un nuovo im-pianto per la messa in pressione, si provvide ad alimentare la rete pubblicadi Oltrona.Le due alternative di fornitura (da Caccivio e da Appiano) davano ora unacerta sicurezza anche in caso di interruzione o guasto in uno dei due comuni. Si arriva pertanto agli anni ‘60 quando il “miracolo economico” portò adun benessere fino ad allora sconosciuto. L’avvento delle lavabiancheria in

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ogni casa, le accresciute necessità igieniche che portavano ad avere serviziin ogni casa, ma anche le nuove industrie sorte in quegli anni portarono adun vertiginoso aumento dei consumi di acqua e quindi alla necessità di re-perire sempre nuove fonti.Si ricorse così , nel 1966, alla perforazione del nuovo pozzo al Margè (pro-fondità circa 90 metri) e alla successiva costruzione dietro alla chiesa diS.Mamette di un serbatoio di circa 350 metri cubi che serviva da accumulonotturno e “polmone - vaso di espansione” per la rete.Le opere per l’adeguamento della rete seguivano a fasi alterne ed in partecontinuano tuttora anche allo scopo di eliminare le inevitabili perdite in unimpianto ormai datato. Tutto sembrava sistemato anche per gli anni a ve-nire senonchè guai grossi erano in agguato dietro l’angolo.Le acque luride delle fogne e gli scarichi delle stamperie che per anni ave-vano appestato il letto dell’Antiga in un terreno molto permeabile, con com-portamenti più colpevoli che incoscienti, favoriti da carenze di legislazionein materia, dovevano per forza portare a delle conseguenze.Nell’agosto del 1982 si riscontrò nel pozzo del Margè una concentrazionesuperiore alle norme di percloroetilene, un componente di solventi alta-mente inquinante usato nelle stamperie.L’acqua “DOC” di Oltrona era finita. Dopo l’immissione in rete di acqua fornita da un pozzo Star non inquinatosi dovette ricorrere precipitosamente alla messa in opera di un impianto difiltrazione a carboni attivi.Nel gennaio 1992, per tentare di reperire acqua non inquinata, ma ancheallo scopo di ridurre i costi della filtrazione, si dette mano alla perforazionedi un nuovo pozzo in via Verdi. Nonostante la notevole profondità rag-giunta (circa 150 metri) il lavoro non diede i risultati sperati e l’impiantonon venne connesso alla rete.Alcune considerazioni conclusive: l’aumento dei consumi pro capite, (in 50anni siamo passati dai pochi litri agli attuali 250 circa), la costante crescitadel numero degli abitanti ed il ripetitivo succedersi di stagioni poco piovoseporrà, in un futuro ormai prossimo, grossi problemi di approvvigiona-mento di questo bene ambientale prezioso, insostituibile, ma limitato. Si ri-correrà certamente anche a Oltrona, in una rete che già adesso comprendealtri comuni, alle risorse costituite dai laghi prealpini con un probabile sca-dimento della qualità. Un uso dell’acqua più responsabile da mettere in attoper evitare l’interruzione di un servizio che oggi sembra così scontato mache in futuro potrebbe anche esserlo un po’ meno.

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Scorcio di piazza Garrè, oggi piazza Libertà, durante una manifestazione sportiva negli anni ‘20

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IL LAVATOIO La costruzione, un semplice portico chiuso da tre lati e aperto verso sud,venne realizzata negli anni ‘30 in sostituzione della vasca-lavatoio esistenteal Garrè, ora piazza Libertà, in adiacenza alla fontana chiamata “Ca da l’ac-qua”, alimentata dalla sorgente Lusciano, che venne demolita dopo la co-struzione della nuova rete di distribuzione alimentata dal pozzo del co-mune di Appiano. Il terreno venne donato dalla famiglia Pagani Santino inopzione alla richiesta del Comune che chiedeva, a pagamento, una dislo-cazione più vicina all’abitato. Una lapide posta su di un pilastro ricordavala donazione. Inizialmente il lavatoio era dotato di una doppia fila di baci-nelle in cemento, ognuna occupata da una sola lavandaia. In epoca suc-cessiva, forse per limitare il consumo di acqua, le vaschette furono sosti-tuite dalle due vasche classiche dei nostri lavatoi, intercomunicanti, con lepietre inclinate in granito. Alcune di queste bacinelle in cemento si possonoancora vedere in qualche cortile di Oltrona. Qualcuno ricorda ancora che,per molto tempo, le vasche erano alimentate da due cannelle, una con l’ac-qua del Lusciano, l’altra con l’acqua di Appiano. Con l’avvento delle lava-trici nelle case, negli anni ‘60, il lavatoio diventò sempre meno indispensa-bile alla popolazione, e negli ultimi anni, prima della demolizione, avvenutanei primi mesi del 1982, era frequentato solo da poche nostalgiche massaie.Anche il muro con cui era stata tamponata la parete sud, forse per favorirela privacy (pare infatti che nessun lavatoio nei dintorni fosse così chiuso).La porzione di terreno resasi disponibile dopo l’abbattimento fu usata perl’installazione degli impianti di pompaggio e filtrazione dell’acquedotto. Eun’altra memoria storica del nostro paese cadeva nell’oblio. Questo perun’arida cronistoria. Se invece si vuole parlare di folclore si può, per esem-pio, immaginare di quanti e quali argomenti si sia dissertato sotto queltetto: il lavatoio è sempre stato, dappertutto, il luogo dove la cronaca pae-sana ed il pettegolezzo trovavano facile terreno sostituendo le funzioni at-tualmente svolti dai media. È possibile anche ricordare il piacevole diver-sivo, per le donne che si trovavano a lavare nelle torride sere d’estate,rappresentato dal bagno nelle vasche, dei ragazzi che avevano lavorato du-rante il giorno alla vicina trebbiatrice, la machina da bat, autentiche ma-schere di polvere. Oppure dell’avventura tragicomica, ma non troppo, vis-suta da alcune lavandaie alla fine degli anni ‘60, che durante un furiosotemporale estivo si videro assalite da una enorme fiumana d’acqua prove-niente dal paese che le costrinse a salire sulle pietre per lavare o su alcunecataste di tubi ammonticchiate sulle pareti, aggrappandosi alle travi deltetto. In effetti la costruzione dell’attuale via Giamminola, con innalza-

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Il lavatoio come si presentava prima della demolizione

mento del terreno circostante, aveva relegato il lavatoio in una buca che im-pediva il deflusso delle acque meteoriche. Solo dopo ripetute invocazioni diaiuto le sventurate furono soccorse evacuandole attraverso il tetto. In chiu-sura si ricorda il potere socializzante che aveva allora la struttura (non solopettegolezzi) e di cui oggi si ha così bisogno ma ... non si può tornare in-dietro.

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(25) Castellini G., Autobiografia, Como - Biblioteca Comunale.

ISTRUZIONE

Scuola Gabriele Castellini

Gabriele Castellini nacque il 26 marzo 1812 nel borgo di San Bartolomeoin Como da una famiglia “popolana”, così dallo stesso definita, compostada quattro femmine e tre maschi. “Il padre di professione postiglione, ossia conducente di diligenza e di altrimezzi di trasporto dell’epoca, metteva da parte ogni anno piccoli guadagni. Lamadre pia, soccorrevole ai poveri e sagace, governava le cose domestiche, ondein santa pace vivevano tutti senza disagio e contenti del proprio stato”(25).Nel 1828, a sedici anni, Gabriele lascia Como e con i risparmi della madrefrequenta la scuola Normale di Milano e l’Accademia di Belle Arti di Brera.Fatto ritorno tra i suoi: “incominciò il tirocinio magistrale nel villaggio di Ol-trona, in una umile casa di educazione retta da quel buon parroco aiutato daun ottimo prete, maestro di lettere italiane e latine”. Quella casa di educa-zione era un piccolo collegio che il parroco don Giusto Corbella, con l’aiutodi don Sebastiano Cadenazzi, aveva iniziato nel 1821 con pochi ragazzi eche ora aveva una trentina di allievi. Il tirocinio era necessario per ottenere,in base alle leggi del tempo, la patente di maestro. Il collegio era situatonell’attuale via XX Settembre, una volta chiamata “Contrada di là”, già sededella Guardia di Finanza (Curt di Guardi) e, dal 1954, del Circolo Acli.Sull’arco dell’androne si notava ancora negli anni Cinquanta un’insegna inmuratura che recava la seguente scritta: “Casa privata educazione del rettoreCastellini (proprietà Bonomi) 1836-1842”.Per ricordare quali fossero le condizioni dell’istruzione nei centri rurali du-rante la prima metà del secolo scorso, basterà ricordare che Appiano avràsoltanto nel 1884 il suo primo edificio scolastico. Il “collegetto” di don Cor-bella costituiva dunque una notevole rarità. Negli anni 1835-1836 il piccolo collegio di Oltrona fu seriamente minac-ciato di crisi a causa di due provvedimenti presi dalle autorità ecclesiasti-che della diocesi ambrosiana dalla quale dipendeva la parrocchia di Ol-trona: prima il maestro-coaudiotore fu promosso parroco a Bareggio, poilo stesso parroco don Giusto Corbella venne chiamato a reggere la prepo-situra di Desio, prospettando così l’impossibilità di tenere ancora aperto ilcollegio senza il suo rettore. Il parroco gli offrì la cessione del collegio, invitandolo ad assumerne la di-rezione, l’economia e l’insegnamento. “prese consiglio dalla sua famiglia e dauomini coscienziosi e pratici nell’educazione... e assistito dall’opera di un’af-fettuosa e diligente sorella per le faccende domestiche, un giovane di 21 annidiventa ad un tratto educatore, maestro, padre a trenta figliuoli”.Alla ripresa dell’anno scolastico 1836-1837 gli alunni scesero a venti, con-

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Ingresso della scuola Castellini in via XX settembre come appariva fino agli anni ‘60

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traccolpo del tutto prevedibile dell’ascendente goduto dal sacerdote pressole famiglie degli allievi e dalla scarsa fiducia che esse potevano accordareallo sconosciuto neo-rettore. A questo proposito sembra possibile ritenereche fra Gabriele e don Giusto i rapporti non fossero stati interrotti, ma chefosse il sacerdote a sostenere con preziosi consigli il giovane rettore al finedi risollevare le sorti della loro istituzione, adoperandosi nel far conoscerela volontà dell’insegnamento ivi impartito. Gli allievi tornarono tanto chenegli anni seguenti il numero dei ragazzi registrò continui aumenti e il “ru-stico colleggetto” di Oltrona si convertì in una vera casa di educazione doveil dovere dell’insegnare si accompagnava con quello dello studiare e dove“tutto si svolgeva secondo ragione sul tipo di una savia e operosa famiglia,con la sorella Maddalena che aveva parte amorosamente materna per i tenerifanciulli”.Verso il 1840, a causa delle difficoltà a reperire maestri disposti a trasferirsinell’isolamento di Oltrona, Castellini pensò di trasferire il collegio a Como.Questa operazione fu compiuta negli anni 1842-1843, trasferendo il colle-gio a Camerlata presso villa Terzaghi. Con la sistemazione a Camerlata eglipoté estendere i corsi d’insegnamento all’agricoltura, alle scienze naturali ealla ginnastica. Organizzò corsi di lingue estere, danza, canto e musica stru-mentale assicurandosi eccellenti insegnanti. L’istituto fiorì in alcuni anni glialunni aumentarono fino a 120. Castellini, grato a Oltrona, fece costruire e decorare nella chiesa parroc-chiale l’artistica cappella della Madonna Addolorata così cara agli oltronesi.

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Anni ‘40 - Campo Solare con ragazzi e ragazze nati tra il 1930 ed il 1935

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(26) Le Suore dell’Istituto Maria Consola-trice presenti con la loro opera di educatricifin dal 1908 hanno definitivamente lasciato ilnostro Asilo nel 2001. Si ritiene opportuno ri-cordare che dal 1915 al 1935, ben 15 giovaniragazze Oltronesi, ora sepolte nel nostro ci-mitero, sono entrate a far parte di questo be-nemerito ordine religioso.

La scuola materna Agli inizi del ‘900 era assai sentita tra la popolazione la necessità di un’isti-tuzione che si prendesse cura dei bambini in età prescolare. Le famiglie del-l’epoca erano molto numerose ed i genitori dovevano affrontare il duro la-voro dei campi e delle prime fabbriche.Questa aspirazione si concretizzò nel 1906 su iniziativa della Congrega-zione di Carità e della Società di mutuo Soccorso tra operai e contadini,fondata nel 1893, e del circolo familiare.L’asilo ebbe sede nei primi anni in un edificio prospiciente la piazza dellaChiesa. Dalla sua costituzione fino al 1909 fu retto da una commissione for-mata dai fondatori: don Francesco Conti, Battista Giamminola, UmbertoCroci e Davide Magni.Nel 1913 divenuto insufficiente l’edificio in piazza della Chiesa, venne de-ciso di costruire una propria sede su un terreno adiacente al palazzo co-munale donato dal benestante oltronese Carlo Dominioni. Il costo della co-struzione fu di lire 15.219.Nel 1949 il sindaco Giamminola dava inizio alla pratica per la conversionedell’Asilo in Ente Morale, pratica conclusasi nel 1952 con decreto del pre-sidente della repubblica. Con la trasformazione in Ente Morale l’Asilovenne retto da un Consiglio di Amministrazione.Durante il corso degli anni l’Asilo ha dovuto affrontare grossi impegni peradeguare una ormai vetusta costruzione alle moderne esigenze sociali edigieniche. Si è così provveduto alla recinzione della proprietà, e ad impor-tanti lavori di ristrutturazione quali: chiusura del porticato, rifacimento deltetto, realizzazione degli impianti sanitari, di riscaldamento, di adegua-mento dell’impianto elettrico, della creazione di un’area giochi su diun’area adiacente concessa in comodato dalla parrocchia.Negli anni 1991-92 è stata realizzata la grande veranda sul lato sud, modi-ficando completamente l’aspetto primitivo e le rampe di accesso, creandouna sala giochi, il guardaroba ed un ufficio a piano terra. Questo grandeprogetto è stato finanziato dall’ingente contributo della Ditta STAR, dalleditte locali e dai privati oltre che dal contributo dell’amministrazione co-munale.Attualmente il piano superiore dell’edificio, già adibito ad abitazione delleSuore(26) e del custode è in fase di completa ristrutturazione e verrà adibito,su prescrizione delle autorità di vigilanza a refettorio, raggiungibile conascensore esterno.

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Anni ‘50: ai funerali era d’uso la partecipazione (previa offerta all’ente) dei bambini dell’Asilo che aprivano il corteo

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(27) Molti anziani ricorderanno ancora lesorelle Rosa e Clara Ferraris, di origini pie-montesi, che dedicarono all’insegnamentotanti anni della loro vita in momenti partico-larmente difficili.

(28) Da qui il famoso detto “hai studiato ilgiovedì”.

La scuola elementare Il censimento del 1861 per l’Italia settentrionale, ormai riunita al regno delPiemonte, rilevava che il 67% della popolazione era analfabeta: percentualecertamente più elevata se riferita solo ai piccoli centri rurali dove l’inse-gnamento primario era effettuato dai parroci aiutati da qualche volontario.Detto insegnamento si limitava per lo più ad impartire quei pochi rudi-menti strettamente necessari alla lettura ed alla scrittura del proprio nome.Ad Oltrona le prime scuole elementari si tennero presumibilmente nei lo-cali già in uso al Collegio Castellini dopo che questo si era trasferito a Ca-merlata. Giova ricordare che gli alunni del collegio provenivano anche dallefamiglie più abbienti dei centri vicini.Successivamente le scuole si trasferirono nel palazzo Comunale, edificatotra il 1890 ed il 1900, con una sola insegnante e dagli anni ‘30 con due in-segnanti(27).Solo verso il 1940 si aggiunse una terza insegnante dando la possibilitàanche agli oltronesi di frequentare la 5° classe, prima di allora possibilepresso le scuole di Caccivio. Naturalmente ogni insegnante doveva occu-parsi di più classi con l’abbinamento di prima e seconda, terza e quarta, oquarta e quinta, in funzione del numero degli alunni.L’abbigliamento e l’equipaggiamento degli alunni in quegli anni era il se-guente: blusa nera, zoccoli , cartella in legno o cartone con sillabario o sus-sidiario, due quaderni, un astuccio con cannuccia pennini e matita. Nonesisteva certamente il problema dello zaino pesante né dello scuola-bus.Le due aule a piano terra ai lati est ed ovest dell’edificio comunale erano ri-scaldate con grandi stufe in terracotta ed i banchi in legno massiccio dotatidi calamai che il messo comunale nonché bidello e custode provvedeva ariempire.Gli orari scolastici erano tassativamente i seguenti: dalle 9 alle 12 e nel po-meriggio dalle 14 alle 16 con il giorno di vacanza di giovedì(28).Dopo gli anni cinquanta le due grandi aule furono dotate di pareti diviso-rie in modo da permettere la presenza di cinque aule ed una insegnante perogni classe.Nel 1976 si dette corso alla ristrutturazione del palazzo comunale soprae-levando di un piano le ali dell’edificio adibite a scuola elementare e trasfe-rendo le scuole ai piani superiori dell’edificio.Negli anni ‘80 la limitata disponibilità degli spazi a disposizione degli ufficicomunali, la ristrettezza delle aule a seguito dell’aumento del numero deglialunni spinsero l’amministrazione comunale guidata dal Sindaco ing. Gia-como Bergui a realizzare le nuove scuole elementari di via IV Novembre,

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inaugurate nel 1982 e giustamente intitolate a quel Gabriele Castellini chead Oltrona aveva iniziato i primi passi della sua brillante carriera di inse-gnante.

La scuola Materna ed il Municipio

con la scuola Elementare visti dall’oratorio anno 1950

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1912: la maestra Maddalena Sacchi (1859-1924) con gli alunni maschi delle classi 1903, 1904, 1905, 1906 e 1907

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A gh’ emm pü famm A me ma par che adess a vivum benanca se un quai vün al dis da noa mangium tutt i di cunt ul piatt pienpar dì ca le mia vera bisogn ves fö da cò

‘ na volta par fa ‘na gran mangiadaparchè a ghera propi in gir nagottdopu setimann da pulenta cun quagiadaandavan a spusa par mangià ‘l risott

la carna la mangiavan i sciurittparchè la custava tropp e al paisanla testa par fa l’bröd e dü usitte i quart da dree i a mandavan giò a Milan

e quand mazavan ul pulastarl’è parchè ul regiu a l’era in lecco parchè in pulee gh’era un disastare ‘l gall l’era dree a murì o l’era vecc

adess a l’incuntrari ai nost fiösemm li a pregai da mangià sü in dal piatte pö ga disum “bravu, te mangià anca incö”ma ta ga pensat, ma par ca semm tut matt

infatti quai vün a Netal al porta a cà i scirèese in primavera la bel’uga biancae i tumatis d’invernu e gh’ em pretesche quai cos a pensag ben ammò ‘l ma manca

e quand ca vegnan fö dal risturantdopu tri menü g’an sempar su ‘l müsume ai disan sempar istess, tra ‘l poc e ‘l tant“stavolta al ma fregaa quel imbruiumm”

un dì sum andaa in dal Giani macelare lü ‘l ma dii “ul me l’è ‘n mistee gramma sa sa pü cus’è dag ai gent, disemal ciaarparchè ga dem da mangià a chi ga minga famm”.

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ATTIVITA’

L’agricoltura

Si descrive l’agricoltura oltronese iniziando con alcune notizie storiche co-muni a tutto il territorio circostante. Dopo il ritiro definitivo verso le Alpidelle masse glaciali (circa 15000 anni fa) la superficie spoglia del terreno co-mincia ad essere colonizzata dalle prime piante pioniere come la betulla, ilpino e l’abete, e, più tardi, con l’avvento di un clima più temperato, estese fo-reste di querce e faggi ospitarono lupi, cinghiali e cervi. Attirati dalla ric-chezza di cibo e acqua comparvero nelle nostre zone i primi cacciatori no-madi (circa 9000 anni a.C.), mentre, attorno al 3000 a.C. l’uomo preistoricosì stabilì, con le sue capanne, sui fianchi delle nostre colline poiché i fondo-valle erano acquitrinosi. Solo verso il IX secolo a.C. le tribù dei Celti, prove-nienti da nord, arrivati qui da noi, aprirono radure nelle foreste, servendosianche del fuoco, costruirono capanne abitative ed iniziarono la coltivazionedei primi campi con cereali primitivi e legumi. Praticarono anche l’alleva-mento di animali domestici in particolare suini e ovicaprini. In epoca suc-cessiva, la conquista romana dei nostri territori portò alla fondazione dinuovi villaggi, alla costruzione di nuove strade e, con la centuriazione dei ter-reni, la assegnazione degli stessi ai coloni. Risale a questo periodo l’introdu-zione nelle nostre zone del castagno e dell’ulivo attorno ai laghi, mentre lavite era già coltivata in età celtica. In età medioevale, un documento dell’anno962 inerente la compravendita di terreni a Oltrona, dove vengono citaticampi, prati, frutteti e boschi, lascia immaginare un’agricoltura già organiz-zata ed anche in fase di espansione economica, dunque una situazione cheattirava nuovi interessi da parte di persone residenti lontano da Oltrona. Nel 1566, il visitatore apostolico mandato dall’arcivescovo Carlo Borromeocita nella sua relazione le rendite di allora della nostra parrocchia che, co-m’era allora in uso, erano quantificate in cereali: 10 moggia di frumento, se-gale e miglio in parti uguali. Naturalmente il mais e le patate erano ancora,da noi, sconosciuti. In quell’epoca, o in periodi di poco antecedenti, i monacibenedettini dell’abbazia di Castello in Lurate, che possedevano il feudo, or-ganizzavano ad Oltrona alcune loro aziende agricole, disboscando, terraz-zando e costruendo le cascine Zerbo, di sopra e di sotto, Zerbone, Tavorellee Padule allo scopo di produrre vino per i loro conventi. In effetti, i decliviesposti al sole delle nostre colline moreniche si prestavano ottimamente allacoltivazione della vite. Gli stessi monaci introdussero l’uso del torchio e delmulino (al Tapela, sul Lura). Continuando, merita una citazione l’atto am-ministrativo del governo austroungarico che all’inizio del 1800 alienava, pas-sandolo a proprietà privata, l’enorme mappale di 1063 pertiche di brughierasituato ad ovest del torrente Rozzeu fino ad allora (si dice fin da epoca cel-

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tica) usato comunitariamente dagli abitanti del paese per procurarsi la legnae il brugo. La decisione fu seguita dalle proteste di quanti fino a quel mo-mento avevano usufruito gratuitamente di questi prodotti, ma in seguitocambiò radicalmente l’assetto del territorio, evitando, con la crescita delbosco, le conseguenti disastrose alluvioni che seguivano dopo periodi di fortipiogge, a sud di Mozzate.Dopo aver descritto il territorio, con riferimento all’agricoltura, è il momentodi parlare adesso delle condizioni di vita dei contadini. Se il coltivatore me-dioevale era considerato poco più che una bestia da soma, ancora 200 annifa poco era cambiato, anzi, con la secolarizzazione delle proprietà seguitealla Repubblica Cisalpina, la situazione era peggiorata. Sottomesso al pa-drone da patti colonici e da consuetudini a dir poco inique, conduceva unavita grama segnata da fatica, malattie indotte da scarsa igiene, pessima ali-mentazione, abitazioni malsane, assenza d’istruzione. Bastava una stagioneavversa perché i debiti si accumulassero, e, molte volte, contenziosi col pa-drone lo costringevano ad andarsene, e “fa S. Martin”. Per la donna era an-cora peggio dovendo dividersi fra lunghe ore nei campi, la cura della casa edei (sempre numerosi) figli. Forse ad Oltrona non era del tutto così. Infatti,

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Falciatori al lavoro nei prati agli inizi del 900

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moltissimi durante le pause nei lavori agricoli tessevano sul telaio a manoprocurandosi un po’ di contante. Dovevano passare ancora molti anniprima di un effettivo miglioramento. Solo intorno al 1920 il cambio di men-talità, indotto anche dalle manifestazioni di protesta sempre più frequentitra gli operai dell’industria, portò alle prime ribellioni. È storia del nostropaese che in quell’anno, a seguito dei tumulti, molti contadini furono im-prigionati insieme con altri dei comuni vicini. Finalmente, dopo secoli dipassiva subordinazione, i tempi erano maturi per un cambiamento. Pianpiano si diffuse la piccola proprietà (ad Oltrona anche di pochissime perti-che), il cavallo che tirava l’aratro sostituiva il faticosissimo lavoro con lavanga necessario nella preparazione dei terreni alle semine primaverili.Dopo decenni in cui erano già in uso in altri stati, forzatamente impostidalla necessità di lavorare con minore manodopera grandi estensioni, arri-varono anche da noi le prime falciatrici a trazione animale ed i primi vol-tafieno. Nei primi anni ‘50 fecero la loro comparsa ad Oltrona i primi trat-tori guardati con sufficienza o fastidio dai vecchi coltivatori. Si stavaverificando un cambiamento epocale. Infine le mietitrebbie eliminaronoanche l’avvenimento che catalizzava l’interesse dell’intera popolazione per

poche settimane durante l’estate: latrebbiatura del grano sull’aia con “lamachina da bat”. Il resto è storia diquesti giorni. Dai cortili sono spariti icarri (erano costruiti da 2 famiglied’artigiani oltronesi) sostituiti da ungran numero d’automobili. “Ultronagent catif e tera bona” recitava un an-tico proverbio, ma ormai di terra dacoltivare n’è rimasta poca.Gli antichi attrezzi a mano usati permillenni e portati dai nostri vecchi finoalla consunzione prima di essere sosti-tuiti (la ranza, la vanga, la furca, ul re-stèl, ul fulcìn, la sapa, la müsüra) sonoormai oggetti da museo. A proposito di“ranza”, qualcuno ricorda ancora ilsuono cadenzato del martello picchiatosulla falce, nei cortili, durante i giornicaldi della fienagione?

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Nella foto compare il vecchio attrezzoimpiegato per tagliare il fieno

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La Repéga: attrezzo artigianale trainato da uncavallo che gravato dal peso del conducente

serviva e livellare il terreno dopo l’aratura

La brunza del giüus73

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I PATTI COLONICI NEI PRIMI ANNI DEL 1900

I terreni in affitto (affitto diretto dal PROPRIETARIO o nella maggior partedei casi, attraverso il FITTABILE) erano così suddivisi:

1) un quarto era coltivato a frumento che veniva consegnato tutto al pro-prietario per l’affitto, dedotta la semente.

2) un quarto era coltivato a granoturco, segale e patate. Questi prodotti ser-vivano al sostentamento della famiglia.

3) un quarto a prato stabile per l’alimentazione del bestiame da lavoro ac-quistato e curato dal contadino.

4) un quarto a lino e ortaggi che per metà andavano al proprietario.

C’era poi l’obbligo annuale dell’allevamento dei bachi da seta nell’abita-zione del contadino. Il raccolto dei bozzoli andava consegnato tutto al pro-prietario che doveva corrispondere metà del ricavo al colono, trattenendosiperò metà delle spese per seme bachi ed altro, la pigione della casa e quotedi eventuali crediti. (Si ricorda, per inciso, che l’ombra prodotta dei gelsiriduceva in modo sensibile la produzione delle altre culture per cui si ge-neravano continui contenziosi.)Ogni famiglia era tenuta a prestare giornate di lavoro per coltivare i terrenidel proprietario non affittati. Tali giornate erano compensate con sommeirrisorie che venivano segnate in “avere” dall’affittuario. Le donne facevanocorvée gratis (ad esempio lavare i panni del padrone). Tali giornate toglie-vano parecchio tempo e quindi, quando i lavori stagionali incalzavano, siricorreva al lavoro delle donne di casa che, tra filanda, casa e campi, con-ducevano una vita misera e disgraziata.C’erano infine gli “appendizii” o “regalie” costituite dalla periodica conse-gna al proprietario di pollame, uova e ortaggi. I conti venivano saldati sem-pre a S. Martino (11 novembre). Raramente il contadino era in attivo. So-vente, per motivi banali o per controversie, il contadino con tutta la suafamiglia era costretto a cambiare masseria e a traslocare in questo periododell’anno a ridosso dell’inverno. Le giornate di “appendizio” non effettuatepoiché gli uomini erano al fronte durante la prima guerra mondiale, veni-vano addebitate (2 o 4 lire al giorno). Gli “appendizii” erano dovuti per con-tratto, ma anche per consuetudine.

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Foto realizzata nell’odierna piazza Libertà nel sito ove attualmente sorge il negozio di alimentari della Cooperativa

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OLTRONA S. MAMETTESENZA ALLOGGIO

Giuseppe BroggiComo, Luglio 1950Breve cronistoria del primo sviluppo industriale con descrizione del modo di vita di quei tempi

Nel 1880 Oltrona con circa 700 abitanti, con una sola industria serica, il GiulioTorriani di Como che aveva rilevato fin dal 1864 la tessitura serica Broggi con 100telai ed aveva messo a dirigerla Isaia Noseda aumentando poi fino a 200 telai.C’erano molti telai a domicilio che lavoravano per i Bressa; i Bertolotti ed i Stuc-chi di Como, che venivano semanalmente a sorvegliare il lavoro.Non esistevano ancora la ferrovia e la tram-via e le corriere e neppure si andava inbicicletta; si andava a Como, a Saronno ed a Varese a piedi. Medico, levatrice, far-macia, posta, panetteria e macelleria dipendeva tutto da Appiano. La Chiesa era unsalone rettangolare con soffitto di legno. Però aveva due buone osterie con alloggio estallazzo.In piazza, quella delle sorelle Testoni, la Claudia e la Teresòù che avevano anche lavendita “Sale e Tabacchi” si mangiava molto bene, avevano due camere con tre lettiben arredate per alloggio. I setaioli di Como che venivano ad ispezionare le loro tes-siture si fermavano a colazione ed a riposare i loro cavalli. Alla domenica poi, sape-vano preparare una squisita “busecca alla milanese” ed i succulenti tortelli. Molti diAppiano e di Caccivio venivano ad assaporarli e si ballava fino a ora inoltrata alsuono di un organetto.L’altra osteria si era installata in un edificio a cento metri dal paese, nell’incrocio dellastrada Olgiate - Beregazzo - Oltrona - Appiano - Caccivio. Disponendo di un lo-cale spazioso, due camere con quattro letti per alloggio sempre occupate, poichè era ilpunto di riposo di molti venditori ambulanti che venivano da Como, Varese, Saronnoe fin da Milano, con un buon stallazzo. Si mangiava bene si beveva meglio e si gio-cava alle bocce.Era pure il raduno dei cacciatori della zona. Una volta al mese si riunivano i cac-ciatori di Oltrona: I Bonomi ed il Noseda; di Olgiate: i Rossi, i Sala; da Be-regazzo: i Villa ed i Monti; da Binago: il Mistò; da Solbiate: i Bianchi; da Ap-piano: i Cetti; da Caccivio: i Rubini ed i Testoni:Si mangiava la prelibata lepre con la polenta, che solo la “Bigia” sapeva così benepreparare. Si parlava di Caccia, di politica ed anche di pettegolezzi che riferiva laBigia, che con lo splendore delle sue spadine d’argento ed il suo incantevole sorriso,troneggiava tra loro.Ad Oltrona c’erano pure le guardie di finanza, era una nota allegra nelle osterie emolti di loro sposarono delle oltronesi e si radicarono. Più tardi le sorelle Testoni sisposarono, l’osteria passò in altre mani e finì languendo. Morì la Bigia, anche quellaosteria sparì. I venditori ambulanti si eclissarono quà e là: I cacciatori trasferirono leloro riunioni all’albergo Ghioldi di Olgiate, rimpiangendo la saporita lepre e l’incan-

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tevole sorriso della formosa Bigia. Le Guardie di Finanza furono soppresse ed il paesepiombò nell’inerzia.Oggi giorno, benchè gli abitanti siano aumentati, vi sia la ferrovia e il tram, le corrieree le automobili ed anche le “lambrette ; con cinque stabilimenti serici che producono piùdi 300 mila metri di tessuti al mese, una tintoria ed una stamperia, la Chiesa ingran-dita e a volte non solo non vi ha ancora un medico nè una levatrice nè farmacia nè te-legrafo, ma nemmeno un’osteria decente con camere dove alloggiare e senza un bar.Oltrona che diede tessitori a tutti i paesi vicini, adesso importa giornalmente impiegatied operai da Como, da Camerlata e con pulman fin da Milano poichè non vi sonocase d’abitazione.Sembra ironia pensare che settant’anni or sono tre donne di Oltrona seppero mante-nere l’allegria, il buon vivere e l’alloggio. Ciò che oggi con cinque grandi stabilimentied un immenso transito di persone con produzione di stoffe di seta per centinaia di mi-lioni, non seppero aprire un cinema, istituire un campo sportivo, aprire un bar, un al-bergo con alloggio e garage.Oltronesi destatevi da questa sonnolenza! Già che siete buoni lavoratori, che Berto-lotti soleva dire: ad Oltrona si nasce tessitori. Oltrona sia messa alla parità e non allacoda dei paesi circonvicini che impararono cinquant’anni orsono l’arte del tessitore. Ol-tronesi! Destatevi! In piedi! Fate valere il valore del vostro braccio, l’iportanza dellavostra intelligenza, retaggio di vostri antenati.

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Modello di navetta utilizzato in tessitura fino agli anni ‘60

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(29) Appunti dalla mostra su don GiulioRusconi, Appiano G. 11/11/ 01.

PAGHE GIORNALIERENELLE FILANDE

Nelle filande lavoravano (sempre per 12 ore, anno 1902) ragazze dai 12 ai16 anni. Le più giovani, addette all’operazione di ricerca del capo del filodel bozzolo immerso nell’acqua calda con l’aiuto di uno scopino (scuinere),erano pagate meno. Le filatrici (filere) prendevano di più. Le paghe gior-naliere erano di 20 centesimi per le ragazze dai 10 ai 14 anni, 40 centesimiper quelle dai 14 ai 16 anni. Le filatrici prendevano 80 centesimi. I pochiuomini della filanda erano pagati 1 lira e 20 centesimi(29).(Una lira del 1902 è paragonabile a 3,3 euro attuali).

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Vista aerea della stamperia STAR

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Moderno reparto di orditura in un’azienda oltronese

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(30) Istituzione della CECA (Comunità Eu-ropea Carbone e Acciaio) nonché gli aiuti for-niti dagli USA (piano Marshall).

(31) Il primo piano regolatore o di azzona-mento fu redatto negli anni ‘70, con grandidifficoltà e disappunto dei proprietari a se-guito dell’eccessivo frazionamento dei ter-reni.

(32) La forza lavoro complessivamente im-piegata nelle industrie oltronesi era di circa800 addetti.

LO SVILUPPO INDUSTRIALE DEGLIANNI ‘50 AD OGGI

Consegnati alla storia i tragici avvenimenti della seconda guerra mondialee della lotta di liberazione, l’Italia si riprese dando inizio ad un periodo diespansione economica senza precedenti, quello che fu poi chiamato “il mi-racolo economico degli anni ‘60. Fu questo l’origine di una rivoluzione chestravolse la società intera e le nostre popolazioni avviarono un decennio diriscossa, con l’espansione dei consumi a seguito di un crescente benessere,lo sviluppo dei trasporti ed il progressivo tramonto della società rurale. Leragioni sono da ricercare nel costo ancora relativamente basso della manod’opera, nella disponibilità di materie prime a seguito di importanti accordiinternazionali(30), ma soprattutto da una mentalità che favoriva la “voglia difare”, fino a quel momento sconosciuta.In ambito oltronese erano attive fin dagli anni venti, la fornace per laterizie la tessitura Ravasi fondata in quegli anni per la ottima fama di cui ave-vano sempre goduto gli oltronesi.In pochi anni, sparse fra nuove case d’abitazione, sorte senza una precisapianificazione a causa della mancanza di piani regolatori(31), vennero rea-lizzati numerosi stabilimenti tessili che in seguito avrebbero dato lavorooltre che agli oltronesi, anche a maestranze provenienti dai centri vicini, in-vertendo la direzione del flusso dei pendolari fino ad allora sempre inuscita.Si citano lo stabilimento Noberasco, poi Ditta STAR, la tessitura Ferrarioderivata dall’ampliamento di un preesistente laboratorio tessile Zaffaroni,la tessitura Giamminola, la Vinci, poi Bombix, le tessiture Pagani e Walter,infine ma non meno importante la fabbrica di mangimi Monti(32). Contem-poraneamente fuori dalle fabbriche si sviluppava il lavoro a domicilio connumerosissimi telai che lavoravano al pian terreno delle nuove abitazioniappena costruite, ma anche nei locali ristrutturati dei vecchi cortili. Conti-nuava così la secolare tradizione del lavoro in casa degli oltronesi che inpassato tessevano la seta con i telai a mano oppure nelle stesse case alle-vavano i bachi. Erano questi laboratori artigianali sezioni staccate degli sta-bilimenti suddetti in quanto questi ultimi fornivano il filato od anche i mac-chinari, ritirando il tessuto.Alternandosi i diversi componenti del nucleo familiare alla cura del lavorodi tessitura, si coprivano una gran numero di ore lavorative realizzando di-screti guadagni.Negli anni ‘70, con i primi sintomi di crisi nel settore tessile l’attività di la-vorante a domicilio diventò sempre più rara fino a cessare quasi completa-mente: molti di questi tessitori trovarono occupazione negli stabilimenti e

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Maestranze della ditta Ravasi riprese con il proprietario e le autorità politiche dell’epoca

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(33) I paesi emergenti riuscivano a fornireprodotti a prezzi notevolmente i inferiori acausa del basso costo della mano d’opera.

(34) Le unità locali iscritte all’albo delleimprese artigiane alla fine del 2000 risultanoessere 64.

con buona qualifica. Negli anni ‘80-‘90 le difficoltà del settore aumentaronoulteriormente(33) e si ebbe una drastica riduzione di questa attività, por-tando alla chiusura definitiva di diverse fabbriche. Sull’area della storicatessitura Ravasi fa ora bella mostra di sè la nuova piazza Europa mentresono stati conservati i locali della direzione adibiti ad abitazioni private, ne-gozi ed una banca.La situazione odierna si è evoluta verso il cosiddetto terziario avanzato enon si contano le imprese artigianali oltronesi(34) che abbracciano diversicampi produttivi; essi spaziano dalla superstite attività tessile o affine, allameccanica di precisione, all’elettromeccanica, inoltre vi sono varie officinedi autoriparazione e carrozzerie e grafiche artigiane; tutto questo è ancorauna conferma del notevole senso imprenditoriale della nostra gente.Nel giro di una generazione, dimenticata una società contadina dalle radicimillenarie, si raggiunse un generalizzato benessere. Una prosperità cheperò non è sempre sintomo di progresso civile, a cui si contrappone il de-clino dell’uso collettivo e socializzante del tempo libero ed una aggressioneindiscriminata all’ambiente ed al paesaggio.

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Foto d’epoca di capitelai e meccanici tessili

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LA FORNACE DI OLTRONA La fornace venne edificata nei primi anni ‘20, utilizzando il sistema “Hoffmann” con forno anulare a fuoco continuo: un’importante innova-zione che, oramai da 50 anni, aveva rivoluzionato il modo di fare mattonisostituendo i metodi arcaici in uso da millenni che prevedevano la cotturadei mattoni in cataste all’aperto. Il ciclo di lavorazione era ancora manuale;all’impastatura dell’argilla seguivano la formazione dei mattoni, l’essicca-zione e la cottura.

La produzione di laterizi con questo sistema era in uso ad Oltrona già daalcuni anni. L’iniziativa della costruzione della nuova fornace venne presada alcuni intraprendenti Oltronesi che avevano maturato esperienza di la-voro nelle fornaci della Svizzera Tedesca.

All’inizio dell’attività gli edifici produttivi erano semplicemente costituiti daun capannone coperto da coppi su travi di legno, che serviva da alloggioper gli operai, dal forno, da altri caratteristici spazi coperti per il lavoro al-l’aperto e, naturalmente, dalla ciminiera. Tutti i mattoni necessari alla co-struzione della fornace furono ottenuti sul posto con l’antico metodo di la-vorazione.Col passare del tempo i proprietari che si sono succeduti nella gestionedella fornace hanno via via modificato la tipologia e l’ampiezza degli edi-fici spinti dalla necessità di alloggiare nuove macchine seguendo così l’evo-luzione della tecnologia. Anche il forno è stato ampliato.Attualmente il complesso, che si presenta ancora in buone condizioni, è co-stituito da un vasto capannone sovrastante il forno e dall’area sulla qualeera piazzata la “mattoniera”, mentre l’attiguo edificio adibito a mensa ed adormitorio degli operai è oggi diventato un’abitazione privata. I vasti piaz-zali dove venivano essiccati i mattoni sono adesso coltivati a cereali. Suglistessi sorgeva anche il campo di calcio sul quale venivano disputati rego-lari incontri di campionato dilettantistico di calcio.Sopra la copertura dei tetti fa bella mostra di sé la ciminiera, simbolo diun’epoca industriale oramai conclusa, l’unica costruita ad Oltrona. Da ri-marcare l’elegante gioco di lesene che ne decora la sommità.

Le numerose buche esistenti nelle vicinanze (alcune interratesi nel corsodei decenni, altre mascherate con piantagioni di Pino Strobo) testimonianol’attività di estrazione dell’argilla. Una collinetta che sorgeva a sud ovestdella fornace è stata asportata dalle successive escavazioni. L’impatto am-

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Operai oltronesi e appianesi in una fornace di Zurigo negli anni ‘30. Erano lavoratori stagionali che tornavano nei loro paesi nei mesi invernali

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bientale della fornace è stato quindi notevole, soprattutto durante il periododi attività più intensa; ora permane in alcune pozze un ristagno perma-nente d’acqua, dovuto all’impermeabilità del terreno, che favorisce la pre-senza di interessanti piccoli biotopo palustri caratterizzati da specie difauna e flora tipiche degli ambienti umidi. In particolare vengono segnalatesporadicamente alcune specie di uccelli palustri avvistate nei dintorni dellafornace in cerca di cibo e la presenza di numerose specie di anfibi.Il trascorrere del tempo, l’attività meteorologica e lo sviluppo della vegeta-zione hanno ben sanato quelle ferite.La produzione di laterizi, prevalentemente mattoni, è cessata verso la metàdegli anni ‘60. L’impetuoso progresso della tecnologia ha decretato la finedel ciclo vitale del forno “Hoffmann”, sostituito da altri sistemi di produ-zione in cui automazione e meccanizzazione sono spinte al massimo per ri-durre i costi ed eliminare in gran parte le estenuanti fatiche che nel passatocomportava la movimentazione e la lavorazione dell’argilla e dei manufatti.Tutte le fornaci della nostra zona hanno chiuso, alcune sono state demolite,altre si vedono invase da rovi ed erbe infestanti, ma al pari di altri monu-menti, religiosi o civili, devono essere considerate oltre che patrimonio sto-rico, un bene culturale, in quanto espressione di un sistema di vita che èparte integrante delle nostra storia e della nostra tradizione, testimone diquanto veloci siano i mutamenti che stanno intervenendo, suscitando ri-flessioni e giudizi su quanto ci ha appena preceduti: per questo meritanodi essere conservate.

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Il massiccio del Monte Rosa visto dal campanile della chiesa di S. Mamette: in primo piano gli edifici della fornace

ed il pianalto del Parco Pineta

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Mappa del centro storico con i cortili

I CORTILI

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1 CURT DI NOSEDA E BARZEGOTA 15 CURT DI RÜBIÀN

2 CURT DI MASCÌT 16 CURT DI GUÒRDI

3 CURT DI GIRÖLA 17 CURT DI VANGELISTA POI CURT DAL PIU

4 CURT DI MINÈLA 18 CURT DI MASENÖOF POI CURT DAL CÙNSUR

5 CURT DAL RUÈL 19 CURT DI ABISÌT POI CURT DI PATERNOSTER

6 PALAZ BUNOM 20 CURT DI ÀNGIAR

7 CURT DI GERBÙNI POI CURT GRANDA 21 CURT DI CROCI

8 CURT DI CAPÜSC POI DI FIRÀTA 22 CURT DI MALINVERNI

9 CURT DI BUNDI 23 CURT DI BASÒT

10 CURT E PALAZ CALATI / BROGGI 24 CURT DI DULFITT

11 CURT DI BALÈTA POI CURT DI MUNTAGNÉE 25 CURT DI CANTÜ

12 CURT DAL PIVÈL 26 CURT DI MAGNI

13 CURT DAL ‘LEGRÌA 27 LA CAMÀTA

14 CURT DI STALÌT

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Per quanto riguarda la denominazione dei vecchi cortili, si faceva riferi-mento a:

1. luogo di provenienza dei proprietari o di coloro che vi abitavano:RUÈL provenienti da Rovello Porro

BASOTT cascinali oltronesi i cui abitanti si eranoGERBUN trasferiti nel centro storicoRUBIANCANTÜ provenienti da Cantù

CAPÜSC località tra Lurate e Villaguardia

FIRATA cascina Filata di Appiano Gentile

MUNTAGNÉE provenienti dalla Valtellina

MASCÌT dalla cascina Mascètt presso Beregazzo

2. cognome o nome degli stessi:GIROLA una delle più antiche famiglie oltronesi

MALINVERNOCROCI grossi proprietari che avevanoBONOMI successivamente venduto i loro beniCALATIMAGNI da Magni Davide

BUNDI da Ferrario Abbondio(35)

VANGELISTA da Ferrario Giovanni Evangelista

DULFITT da Ferloni Adolfo

(35) Per dare un’idea dei costi dell’epoca,la CURT di BUNDI, con annesse 36 pertichedi terreno posto in varie zone del paese fu ac-quistata, agli inizi del 1900, per la somma diLire 36.000.

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(36) Si faceva probabilmente riferimentoalla prima guerra coloniale di Abissinia(1895/96) conclusasi tragicamente con la ca-duta del forte di Macallè.

(37) Era la grande strada proveniente dallaBenedetta che univa il nostro territorio a Mi-lano, passando per Oltrona, Appiano, Ve-niano, Lurago, Fenegrò, Lomazzo e Saronno.

3. Soprannome, essendo molto frequente in quell’epoca, per diversi casidi omonimia, affibiare i più strani soprannomi

PIVÈL, LEGRÌA, MASENÖOF, BALÈTA, ABISÌT (36)

Facevano eccezione la Curt di Guordi, così chiamata perché vi risiedevauna stazione della Guardia di Finanza, addetta ai controlli delle merci sullastrada Cavallina(37) e la Curt di Angiar, residenza del Parroco prima della co-struzione della canonica realizzata nell’anno 1906.

Per quanto concerne la denominazione di vie e piazze si ritiene opportunonotare che:

via 11 Febbraio: fu successivamente intitolata, col nome del benemeritoParroco, via Don Francesco Conti;

Piazza G. Carducci: denominata Piazza San Giovanni Decollato in quantonon era ben gradito al Parroco Don Giuseppe Cappelletti l’intitolazionedel piazzale della Chiesa ad un grande poeta di idee anticlericali;

Piazza Fontana: qui faceva bella mostra di sé la costruzione in cottodell’acquedotto, poi abbattuto; assunse in seguito il nome di PiazzaLibertà.

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Ingresso della curt di Masenöofpoi chiamata Curt dal Cùnsur

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(38) Così la curt di Gerbuni o curt Grandaera stata acquistata dai fratelli Galimberti, lacurt di Capusc dai fratelli Castelli, il Crusòdai fratelli Millefanti, la curt di Basot dai fra-telli Zaffaroni.

(39) In alcuni cortili del centro storico erameno evidente l’attività agricola in quantogià abitati fin dall’inizio del ‘900 solo da fa-miglie di tessitori - vedasi curt di Malinverno,di Magni, dei Croci o abitate dai ricchi possi-denti curt e palaz Calati.

VITA DI CORTILE ANNI 1920 - 1950

In diversi cortili del centro storico e delle cascine abitavano famiglie stret-tamente imparentate poiché l’acquisto degli immobili e dei terreni annessiera stato effettuato unendo i risparmi di più fratelli o parenti stretti(38).In caso di necessità come la crescita e cura dei numerosi bambini, gravimalattie, lutti, non mancava l’aiuto dei vicini di casa e, salvo il caso di li-tigi ed incomprensioni presenti anche nel passato, il cortile era come unagrande famiglia.Gli anziani si occupavano del lavoro dei campi coadiuvati dai figli che nelfrattempo avevano trovato occupazione nelle tessiture, nell’attività ediliziao artigianale, contribuendo ad incrementare i magri bilanci familiari(39).Al piano terreno si trovavano le cucine con camini o stufe, credenza, tavoloe sedie.Ai piani superiori una o più camere, prive di riscaldamento, con letti,grandi armadi ed i comodini con i vasi da notte.Per i servizi igienici infatti ci si doveva servire di una o più latrine, poste aiconfini delle stalle, costituite da angusti e puzzolenti manufatti privi diacqua che convogliavano i liquami in apposite cisterne (pozzi neri o pozzdal giüs), che venivano periodicamente svuotate per la concimazione deiprati.Per la pulizia personale erano a disposizione, sotto i porticati, grandi baci-nelle in graniglia, sostituite nei mesi estivi da grandi mastelli di lamiera conl’acqua riscaldata dai raggi solari, nei quali i bambini sguazzavano felici.All’esterno dei cortili erano posizionate le letamaie, gli orti per la produ-zione di verdure per l’uso quotidiano ed i pollai per l’allevamento degli ani-mali da cortile.Poi arrivarono i primi telai a domicilio azionati ad energia elettrica, con illoro frastuono. La nuova generazione, con la scomparsa dei vecchi capi fa-miglia, abbandonò definitivamente l’agricoltura ed il miglioramento dellecondizioni economiche portò alla graduale e totale trasformazione dei no-stri cari e vecchi cortili. Scomparvero le stalle, le cascine colme di fieno, igranai, sostituiti da garage, bi e trilocali, mansarde.Fortunatamente scomparvero anche le latrine ed i pozzi neri, anche se con-sumismo e motorizzazione hanno portato a nuove forme di inquinamento.

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Persone semplici nella vita quotidiana del cortile

Mà regordi anca mò ben, cumè sel füss propri adèss,quand gh’era minga tucc stu lüsu e stu prugress:la nostra vita la pasavum in di curt vècc,d’està a pè biot, d’invernu sempar al frècc.Ghe n’era minga d’apartament cui sanitari e de nocc, se la scapava, ghe vureva l’urinari:a pian teren la stüa, ul tavul, quatar cadregh e una cardenzade frigurifar, lavatris e televisium an fasevum senza.Al segund pian, dopu ul lubià gh’era la stanza da lecc,senza riscaldament, cul cumò e ul guardaroba cul so bel spèccsöta ul portic gh’era un rubinet e un lavandinduvè i don lavavan i pagn, i fioeu i pè e ul cupin.In ogni curt gh’era tre o quatar stallcunt vac, manzö, vedei e un quai cavalogni famiglia la gh’era ul so pulè e ul so stabielcunt pulisit, galin, anatr e un bel purcel.Sura i stall gh’era la casina cun fenn, legn e föiad’està la sa impieniva, finì l’invernu l’era sempar vöia:sura i stanz gh’era ul granè par ul carlum e ul furmentmetu su a secà par ul murnè o in atesa d’acquirent.Ai ses ur de matina gh’era già muviment,i pusè vecc in campagna, i giuvin in stabliment:spazà la stala, muncc i vac e catà sü pomme se lavuravan no in paes, ciapà ul tram par andà a Comm.Se cüntavan tucc i machin e i mutura rivavum a cinq o sés, di pusé sciuri e del dutur;ghe n’era minga de spuza de benzinama i strad eran sempar pien de buascia e de pulina.Par tucc gh’era un pasatemp par ogni stagiun:taià legn, vultà fen, segà furment e spuià carbun.

Cinquant’ann fa

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(40) Rizada: sassi di fiume posati in posi-zione verticale.

(41) Il mercato era situato in piazza Sta-tuto e poi trasferito in Piazza della Chiesa .Ogni commerciante o ambulante era chia-mato con il nome del paese di provenienza:ul fiè, ul beregazz, ul ruvelasca, ul fenegrò ocon soprannomi ul Pucia, ul Paciöo.

LA VITA NEL CENTRO STORICO DAL 1920 AL 1950

Le pavimentazioni delle strette vie del centro erano in selciato(40) e tra-smettevano lo stridore delle ruote dei carri e lo scalpitìo degli zoccoli deicavalli che si mischiavano con il muggito delle mucche, il canto del gallo,il vociare delle mamme e dei loro bambini.Passavano con le loro grida ul magnàn, ul cadregàt, l’umbrelàt, ul mulìta,ul spazacamìn ed ul murnée, che ritirava grano e granoturco e riconse-gnava sacchi di crusca, farina gialla e bianca. Era ancora buio quando transitavano con i loro carichi di ortaggi e fruttai negozianti di Rovello e Rovellasca, i carri provvisti di una lanterna e di-retti verso l’olgiatese ed il varesotto.Alle 5.30 dava la sveglia il suono dell’Ave Maria e la prima Messa delle seied alle otto un’altra campanella segnalava la presenza del medico pressol’ambulatorio comunale.Non mancava il venerdì un piccolo mercato(41) con bancarelle di tessuti emerci varie ed i venditori ambulanti di frutta e verdura.Poi arrivarono le prime motociclette, le lambrette, i trattori, le prime utili-tarie.Le sirene della ditta Noberasco, costruita trasportando i materiali con carrie cavalli, sostituirono quasi il suono delle campane segnalando l’inizio e lafine dei turni di lavoro. Motivi economici ed igienici fecero sparire stalle,letamai, allevamenti avicoli e la comparsa delle prime antenne televisive suivecchi tetti del centro storico, negli anni ‘55-‘56, segnava l’inizio di unanuova vita non certo più tranquilla.

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Caratteristico cortile “curt di Giröla” del centro storico

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Così si presentava la chiesa di San Mamette prima dei lavori di restauro,situata su una ristretta sommità e priva di fondazioni

VITA RELIGIOSA

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Cronistoria del santuario di San Mamette

Chi non ha visto di persona com’era il santuario di San Mamette, prima deirestauri decisi e fatti realizzare dal parroco Don Giuseppe Cappelletti, trail 1960 e il 1967, non può rendersi conto del completo stravolgimento ar-chitettonico che l’edificio sacro ha subito; eppure nonostante quel “re-stauro” da molti criticato, la piccola chiesa è pur sempre lì, adagiata su quelpiccolo cocuzzolo verde e si fa ogni giorno ammirare d’ovunque la siguardi.

La seguente breve cronologia storica, tratta dall’opuscolo S. Mamette in Ol-trona, dice pure l’inevitabile continua lotta per tenere in vita tutte quelleopere umane che il trascorrere del tempo logora, corrode, seppellisce edalle volte fa risorgere sotto nuova forma.

X/XI secolo (d.C.) Il famoso storico milanese Giampiero Bognetti, in se-guito ad una sua visita al santuario avvenuta il 27 set-tembre del 1946, fa risalire intorno all’anno millel’edificazione di una prima cappella.

XIII secolo Per la prima volta l’edificio sacro è segnalato in anti-chi documenti scritti. Infatti il cronista Goffredo daBussero, compilò verso la metà del secolo un elencodi tutti i santi venerati nella Diocesi Di Milano. A Ol-trona in Monte, così era appellato in quel tempo il no-stro paese, la nostra chiesa era intitolata al Santis-simo Salvatore, e possedeva al suo interno unsecondo altare dedicato a San Mamette.

XIV secolo Nel 1398 la chiesa diventa cappellania e da quel mo-mento dipenderà dall’abate benedettino residente aCastello di Lurate Caccivio.

XVI secolo Nell’anno 1566 è visitata da un vicario dell’arcive-scovo di Milano che la trova in completo stato d’ab-bandono.

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XVIII secolo Da documenti milanesi del 1747 appartenenti al car-dinale Pozzobonelli, si ha notizia che la chiesa è ad-dirittura interdetta al culto: il tetto e i cornicionierano in rovina ed il pavimento in sfacelo, sprofon-dava a causa delle sottostanti tombe; infatti qui veni-vano sepolti i monaci Benedettini defunti. Alla fine diquesto secolo l’edificio sacro assume di fatto per tuttigli oltronesi e non, il titolo di Chiesa di San Mamette,l’antica dedicazione a San Salvatore viene dimenti-cata.

XX secolo Il parroco Don Francesco Conti, all’inizio del ‘900, lasalva da una incombente e definitiva rovina, dotan-dola di un soffitto a volta e di un piccolo campanile.Tra il 1960 e il 1967, il parroco Don Giuseppe Cap-pelletti attua un totale rifacimento del santuario, cosìcome appare oggi.

XXI secolo Nell’anno 2002 il parroco Don Luigi Discacciati, prov-vedeva al consolidamento del tetto, alla tinteggiaturaesterna e faceva dipingere i due cartigli che sonosotto il pronao, recanti i famosi brani sulla potenzataumaturgica del santo martire Mamette, brani trattidalle omelie di San Basilio Magno e San Gregorio Na-zianzeno, suoi concittadini di Cesarea di Cappadocia.

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Angelo Millefanti 1898-1979 ... “e vuna, e dò e dò e meza e meza trè” ... così sbraitava sul piazzale della chiesa ul ‘N’giulin sacrista, banditoreeccezionale di ogni genere di mercanzia: animali da cortile, prodotti della natura e dolci donati alla parrocchia in occasione

della festa patronale di S. Giovanni Decollato del 29 agosto... alla fine il povero secrista aveva perso la voce

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Estratto dalla relazione di Leonetto Chiavone visitatore generale dell’arcivescovo Carlo Borromeo successiva alla visita alla chiesa parrocchiale di San Salvatore

OLTRONA

(f15) 1566 die lunae undecima mensis novembris. Visitavit rev.dus dominusLeonetus, visitator generalis rev.mi et ill.mi domini domini archiepiscopi Me-diolani in plebe Aplani ducatus Mediolani, parochialem ecclesiam sancti Sal-vlltoris (16) loei Oltronae plebis Aplani suprascriptae, positam super montemprope dictum locum Oltronae, in qua non adest sacramentum nec olea sacranec baptisterium et in qua adsunt duo altaria quorum maius est sacratum;et non est solata, sed pIena immunditiarum, cooperta cupis, sed parietes malecompositae et perforatae.Campanille adest cum campanela et hostia ecclesiae sunt sine clavibus et no-viter facta. Cimiterium apertum est; cum cassio uno domus dirrupatae in quasolebat habitare rector ipsius ecclesiae; quae ecclesia est latitudinis brachio-rum duodecim circumdata buscho juris ipsius ecclesiae perticarum viginti velcirca et redditus horum bonorum dictae ecclesiae, prout asserunt hominiesloci Oltronae, ascendunt ad summam modioroum decem, trium bladorum,videlicet frumenti, sichalias et (f15v) milij equaliter. Rector huius ecclesiaeestvenerabilis dominus presbyter Andrea de Regibus adsens et habitans propecivitatem Mediolani ad celebrandum aliam ecclesiam et loco cuius celebratdomunis presbyter Jacobus de Ferrarijs in prefata parochiali ecclesia sanctiSalvatoris, sed, ut aseruerunt homines dicti loci Oltronae, raro, et hodie, pre-cipue, non aderat cum sit festum sancti Martini de praecepto in hijs partibus.Paramenta autem ipsius ecclesiae sunt infrascripta videlicet (segue elenco deiparamenti)Die suprascripto praefatus rev.dus dominus visitator visitavit quamdam ca-pellam parvam constructam in dicto loco Oltronae, quae vocatur sanctaMaria et est aperta et in qua alias (f16) ... la parte successiva risulta man-cante.

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OLTRONA (1)

(V ed. ff 15 e 15v) Lunedì 11 novembre 1566 il padre Leonetto Chiavone vi-sitò la chiesa parrocchiale di S. Salvatore, posta sopra un monte vicino adOltrona. In essa non si conservano né il Santissimo Sacramento, né gli olisacri; manca il fonte battesimale; vi sono due altari. La chiesa, piena di im-mondizie, non ha pavimento ed è larga 12 braccia; il tetto è ricoperto concoppi; le pareti sono in cattive condizioni. C’è il campanile con una cam-panella. Le porte sono state appena rifatte, ma non hanno la chiave. Il ci-mitero non è recintato. Vi è una casetta diroccata in cui abitava il prete. Lachiesa è circondata da un bosco di 20 pertiche di pertinenza della stessa.Gli uomini di Oltrona affermano che il reddito di questi beni della chiesaammonta a 10 moggia di frumento, segale e miglio in parti uguali. Il par-roco, Andrea Re, è assente e sta vicino a Milano; in sua vece celebra, ma diraro, Giacomo Ferrari, che oggi infatti non c’era, nonostante la ricorrenzadella festività di S. Martino.Lo stesso giorno fu visitata, sempre in Oltrona, una piccola cappella dettadi S. Maria, aperta e...

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Nella foto in bianco e nero è raffigurata la vecchia statua in gesso di San Mamette realizzata nel 1926. A fianco la nuova statua in legno attualmente presente in Santuario

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(42) Erano due sorelle nubili e benestantidi Como, d’estate erano solite far campagnaa Oltrona; sono ricordate col nomignolo “Batistèes”.

La statuadi San Mamette

“Sabato, domenica e lunedì furono tre giorni che rimarranno indimenticabiliin questa laboriosa popolazione.Il paese scompariva sotto variopinte decorazioni che raggiungevano il colledove sorge il santuario di San Mamette che per tre notti risplende su tutta lapianura lombarda come una nuova costellazione, nel bell’azzurro del plenilu-nio”.

È questo un pezzo di cronaca dei festeggiamenti avutosi nell’anno 1926 peril XXV di parrocchia dell’allora parroco Don Francesco Conti, e per l’inau-gurazione della statua in gesso di San Mamette donata da due benefattrici(42),in sostituzione di un vecchio quadro raffigurante il Santo.

Ma più che dalla cronaca si ha l’idea di che cosa furono quei festeggiamentidai ricordi dei più anziani; tra bande musicali di Appiano, Lurate ed Ol-giate, confraternite di numerosi paesi vicini, case sepolte sotto un manto difiori, vie trasformate in pinete, cortili invase dalle carrozze e dai biroccidella fiumana di gente convenuta ad Oltrona.

E qualcuno, profeta in patria disse:

”gli oltronesi non ammireranno più una festa del genere”.

Dopo la ristrutturazione del santuario anche la vecchia statua del Santopresentava diverse incrinature dovute all’umidità. Il parroco don GiuseppeCappelletti trasmise allora, a degli scultori della Val Gardena, una fotogra-fia della stessa per la realizzazione di una nuova scultura in legno. L’operache venne consegnata, tuttavia, non rispondeva alle aspettative del com-mittente in quanto poco rassomigliante alla precedente e con un solo leone.A tal proposito recitava una poesia di allora:

Prima eran dü e adess l’è dumà vüne mágar cum’è l’è e piscininAl par propri no un leun, ma un cagnulin.

Si pensò allora di far pervenire agli scultori la vecchia statua del Santo, ot-tenendo una nuova statua molto più simile rispetto alla precedente.La prima statua, con un solo leone, è stata collocata nell’altare dei santidella Chiesa Parrocchiale.

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Chiesa parrocchiale così come appariva alla fine degli anni ‘60, con il fontanile

(nivèl) al centro della piazza

“Lunedì, 11 novembre 1566... lo stesso giorno fu visitato, sempre in Oltrona,una piccola cappella detta di Santa Maria, aperta e”, con questo mozziconedi frase il visitatore diocesano Leonetto Chiavone, molto probabilmente vo-leva informarci dell’esistenza di un edificio che sarebbe diventato negli annia venire, l’odierna chiesa parrocchiale. In mancanza di altri documenti,questa non è altro che una supposizione seppure plausibile, considerandoche l’edificio viene visitato e descritto immediatamente dopo la chiesa par-rocchiale che in quel tempo era quella di San Salvatore, in cima al colle.

Nel 1596 l’edificio sacro compare ufficialmente in un documento e si è intal modo venuti a conoscenza dell’esistenza al suo interno di un solo altarecoronato da un dipinto raffigurante la scena del Battesimo di Gesù attor-niato da alcuni santi, tra i quali San Mamette.

La chiesa è ampliata e munita di una massiccia torre campanaria nel-l’anno 1777 data incisa su un blocco di granito fissato sul muro esterno delcampanile e subisce nuove modifiche nel 1880. Nel secolo successivo altrevariazioni portarono al prolungamento verso est dell’edificio sacro; l’ultimae più importante innovazione fu la predisposizione di una serie di aperturead arco nei muri portanti del presbiterio. Questa soluzione architettonicapermise di valorizzare al meglio quell’inconsueto e singolare ambiente chia-mato, in architettura, deambulatorio; qui alle spalle dell’altare maggiore viera la cantoria con l’organo ora non più in uso. Il 19 dicembre del 1927, una giornata estremamente gelida, ma confortata

La chiesa parrocchiale di San Giovanni Decollato

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da una corale partecipazione di popolo, così la ricordano gli ultimi soprav-vissuti, il vescovo di Como Adolfo Luigi Pagani consacra, per la prima voltanella sua storia, la chiesa; l’invito a presiedere questa rara cerimonia vennedirettamente dal parroco Don Francesco Conti. Si decise in questo modo invirtù della vecchia amicizia sorta negli anni di studio in seminario.Tra i pochi e più preziosi arredi sacri custoditi ancora oggi nella parroc-chiale ci sono le reliquie di molti santi; di queste reliquie la più rilevante èil frammento della Croce di Cristo; da ricordare è inoltre la reliquia del co-patrono San Mamette. L’icona più pregevole e soprattutto cara agli oltro-nesi è la settecentesca statua lignea dell’Addolorata con in grembo il Cristomorto. Merita particolare attenzione anche il busto reliquiario raffiguranteSanta Giuliana: questa giovane martire vissuta nel III secolo a Nicomedia(Turchia), è molto venerata in paese e maggiormente invocata dalla popo-lazione di Caccivio, perché più di altre popolazioni vicine era oppressa daun endemico e mortifero tifo petecchiale. Notevole dal punto di vista arti-stico è infine il grande dipinto a olio raffigurante la scena crudele del mar-tirio di San Giovanni Battista; l’opera viene attribuita al pittore secentescoErcole Procaccini il Giovane. Tornado a ritroso nel tempo, a proposito delle molteplici donazioni ricevutedalla nostra parrocchia è bene ricordare ancora una volta il suo più grandebenefattore, l’austriaco Carlo Gaetano conte di Gaysruck, ovvero il cardi-nale di Milano che resse la nostra diocesi tra il 1818 e il 1846, quando adOltrona era parroco Don Giusto Corbella. Questo ottimo prete, come ebbea sentenziare Gabriele Castellini, era sicuramente ben conosciuto dal ge-neroso ma “todescòn” cardinale nativo della Carinzia; infatti Don Giusto,lasciata la nostra parrocchia nel 1836, fu chiamato a reggere l’importantechiesa prepositurale di Desio; pure l’allora Imperial Regio Governo Au-striaco che comandava in Lombardia e Veneto, lo nominò Economo eIspettore delle Scuole Elementari dello stesso distretto.Nel 1955, il parroco Don Giuseppe Cappelletti fa dipingere ed abbellisce lavolta del transetto con le insegne araldiche di Papa Pio XII e del cardinaleGiovanni Battista Montini mentre, con intenti catechistici, orna il presbi-terio di figure simboliche affiancate da scritte bibliche in latino.Nei primi anni del 2000, il parroco Don Luigi Discacciati propone e fa effet-tuare una definitiva rimozione dell’umidità che da secoli impregnava findalle fondamenta tutte le pareti della chiesa, arreda con nuovi marmi e sup-pellettili sacre il presbiterio e, per ultimo, effettua una completa rinnovazionedelle decorazioni murali, ripristinando fedelmente il disegno originale.

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LA RELIGIOSITA’ POPOLARE

“Così al mattino di Natale il massaro bagnava con l’acqua santa i graticcisu cui in primavera avrebbe allevato i bachi, e serbava una scheggia delciocco di Natale per bruciarla in bigattiera il primo giorno di vita dei ba-colini. Sopra la porta della bigattiera appendeva una croce di fieno; di notteun lumino ardeva davanti all’immagine di S. Giobbe protettore dei bachi”.Basta la lettura di questo breve brano, tratto da un libro sulla seta, per in-tuire quanto fosse stretto, nei nostri paesi e nei nostri vecchi, il rapportofra le attività agricole e le pratiche religiose. Erano rituali e scadenze, insincronismo con i cicli stagionali, che davano una dimensione al tempo, alcalendario, e che si avvalevano di “simboli”, “segni” e “gesti” tramandati neltempo che, forse, avevano anche qualcosa di superstizioso e di magico.Così la croce di paglia posta sulla sommità della bica (il mucchio di covoniche dopo la mietitura restava nel campo in attesa di essere portato alla treb-biatrice) doveva servire ad allontanare i fulmini, oppure era un segno di rin-graziamento per il raccolto ormai riposto. Lo stesso simbolo (due tagli incroce col coltello) era fatto sul pane prima di essere posto nel forno per lacottura. E chi non ricorda come, durante un violento temporale estivo, perevitare una grandinata, si bruciasse sul camino un rametto di ulivo pa-squale benedetto, recitando una preghiera. Per S. Biagio protettore controil mal di gola, si mangiava il pane portato in chiesa per essere benedetto,riservandone una piccola porzione anche agli animali domestici.Il soprannaturale era quindi, allora, l’unica entità amica, quasi un avvocatodifensore che si frapponeva fra la povera gente e le difficoltà della vita esa-sperata dalle angherie dei potenti e dai capricci delle stagioni. Per implo-rare, appunto, la clemenza del tempo e “l’abbondanza” dei raccolti si face-vano le Rogazioni, reminiscenza di antichi riti pagani. Ad Oltrona ci sirecava processionalmente, cantando le litanie dei santi, al Ronco, al S. Ma-mette e nelle campagne del Gerbo, in aprile per S. Marco e nei tre giorniche precedevano l’Assunzione. “A fulgore et tempestate libera nos Domine”.Altre processioni avevano luogo in festività o ricorrenze più importanti conla partecipazione di tutte le Confraternite la cui posizione nel corteo dovevarispettare un rigoroso ordine gerarchico. In alcune, il corteo era aperto daun drappello di cavalieri, i nostri cavalant. E’ facile immaginare a quali ac-curate operazioni di toelettatura fossero sottoposti i cavalli dopo settimanedi duro lavoro nei campi, prima di essere infiocchettati e cavalcati. Nelleoccasioni particolarmente importanti, lungo il percorso della processione onei crocicchi, erano realizzate, a cura delle famiglie vicine, gareggiando perla migliore realizzazione, delle spettacolari porte trionfali in cui la grande

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Processione con la statua della Beata Vergine Addolorata

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Nelle processioni solenni il corteo erasolitamente aperto da un gruppo di cavalieriche altri non erano se non i nostri contadini

che disponevano di un cavallo

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intelaiatura in legno era completamente ricoperta dal muschio, allora ab-bondantissimo nei nostri boschi (oggi sarebbe vietato raccoglierlo) e dasempreverdi; completavano l’opera: fiori veri e finti, e, sull’arco, scritte in-neggianti al santo o al personaggio festeggiato. Nelle vie era tutto un tri-pudio di drappi, tovaglie ricamate, lumini sulle soglie.Ed era festa. Nelle Messe solenni, rigorosamente in latino, gli anziani storpiavano icanti, ma c’era tanta fede. Era una religiosità più ingenua ma piena di con-solante fiducia. Così erano i tempi.Ma anche dove c’era la cultura (e l’autorità) non si era da meno. Duranteun’epidemia di colera, sulle Istruzioni emanate per allontanare il morbo,dopo 18 paragrafi concernenti misure profilattiche, un capoverso recitava:“Gioverà la benefica influenza dei Parroci per risvegliare negli abitanti la fi-ducia nella Divina Provvidenza”.

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Chiesa parrocchiale

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Interno della chiesa parrocchiale come si presenta dopo i lavori di restauro

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La Madonna Pellegrina e la 4a visita pastorale del Card. Schuster

Oltrona, 27 agosto 1948 (da una lettera di Stefano Galli)

Sebbene nell’intenzione precipua dei promotori della Peregrinatio vi sia lo spirito dipenitenza e di preghiere, tuttavia questi nostri paesi chi più chi meno, non abbiamosaputo esimerci da manifestazioni esterne e, basta cominciare, chi trattiene più dal faremeglio degli altri? Campanilismo!Che nel nostro paese assai più che i vicini per la sua posizione preminente ha richia-mato l’attenzione delle vaste regioni circostanti. Perchè, immàginati, ora il nostro belSan Mamete, chissà quale attraente visione da lontano, in queste notti di agosto conla completa illuminazione elettrica dal campaniletto al cornicione e facciata della aereachiesetta. Anche il campanile e la chiesa parrocchiale e poi in tutte le vie del paese il-lumunazione a giorno. Come già altre feste e celebrazioni in tutte le vie ghirlande e or-nati di verde e fiori.Alle 10 di sera di sabato scorso in processione ci siamo portati ai confini della par-rocchia verso Beregazzo, oltre la fornace e da quei parrocchiani abbiamo ricevuto lagrande statua della madonna Pellegrina. Mestizia in essi nel dover lasciare partire laMadonna da loro, allegrezza in noi perchè finalmente venuto il gran momento di ac-coglienza.Novità assoluta e visione singolare questo snodarsi di processioni da paese a paeseoltre l’abitato in aperta campagna alle tenui luci delle fiaccole.Nella notte da sabato a domenica Santa Messa e Comunione degli uomini e gio-vani. Nella giornata di domenica varie e predicazione in Chiesa. La domenica serasolenne Via Crucis predicata in passaggio a tutte le vie del paese con l’immagine ve-nerata; nella notte da domenica a lunedì S.Messa e Comunione delle donne e fi-gliole. Il lunedì dalle 9 alle 12 visita col simulacro ai 4 stabilimenti del paese e con-sacrazione delle maestranze alla Madonna.Lunedì sera, alle ore 6, ricevimento solenne del Card. Arcivescovo e funzioni dellasacra Visita Pastorale e conferimento della Santa Cresima.Martedì mattina alle 5 Santa Messa dell’Arcivescovo e chiusura della S.Visita.Martedì sera processione con la statua della Madonna a S.Mamete, mercoledì serauguale funzione sul colle del Ronco sempre con le fiaccole e devota partecipazione deiParrocchiani tutti. nella notte da mercoledì a giovedì mattino Santa Messa e vegliadi suppliche e preghiere.Giovedì alle 10 del mattino santa Messa solenne cantata da Monsignor Prevosto di Olgiate.A sera con viva commozione di tutti ultime preghiere alla Madonna Pellegrina e com-miato quindi processione sulla via di Appiano ove quei ferventi parrocchiani da oltreun’ora erano ad attendere la Madonna Pellegrina.

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Solo la nostra parrocchia ha avuto l’ambito privilegio di avere per 5 giorni la Madonna.Diventeremo cristiani più fervorosi? Alcuni parrocchiani han preferito andare altroveper le ferie anzichè rimanere a celebrare questi giorni indimenticabili. A compenso que-sti giorni e queste sere scorse moltissimi dei vicini paesi devoti o curiosi sono venuti ad Oltrona.

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Sosta della Madonna Pellegrina nella piazza Libertà

Sotto il baldacchino di intravede la figuradell’allora Cardinale di Milano, Beato Alfredo

Ildefonso Schuster. Ora ricordato con unabella statua lignea nella chiesa parrocchiale

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Nelle foto: la confraternita del Santissimo Sacramento apre la processione della Beata Vergine

LA VITA RELIGIOSA

Confraternita del Santissimo Sacramento, XVII - XIX sec.

Nella parrocchia di Oltrona era istituita la confraternita del Santissimo Sa-cramento, eretta dal cardinale Caccia il 7 marzo 1694, che fu censita nel1747 durante la visita pastorale dell’arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli, vi-sita effettuata nella pieve di Appiano. La confraternita risulta fondata in forma canonica solo nel 1820.Gli associati erano donne e uomini adulti, denominati rispettivamente:Consorelle e Confratelli.Una terza associazione, solo femminile, ma sempre nell’ambito di questotipo di confraternita, era costituita dalle giovani, a tutti note come “Figliedi Maria”. In Oltrona era pure presente la Compagnia del Santo Rosario acui potevano aderire tutti.

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Medaglia delle Consorelle appartenenti alla Confraternita del Santissimo Sacramento

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Dettaglio della mantella indossata dai confratelli durante le processioni

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(42) Alessandro Broggi (1792-1872), sin-daco negli anni dell’unità d’Italia, discen-dente del primo dei Broggi venuti ad Oltronada Tradate, Filippo Broggi (1715-1802).

(43) Questa operazione era possibile inquanto non erano ancora stati costruiti nél’ex tessitura Ferrario, né l’attuale oratorio.

GIUSEPPE BROGGI Tra i personaggi del passato che hanno dato lustro al nostro paese è dove-roso ricordare la figura di Giuseppe Broggi, autore di una breve monogra-fia su Oltrona e di due storici e brillanti articoli compresi in questo volume.Da una sua autobiografia redatta nel 1923, estraiamo quanto segue:“Figlio di Alessandro(42) e di Margherita Zolla nacque in Oltrona il 17 settem-bre 1859.Suo padre fin dal 1830 fu dei primi che installò la tessitura di seta in questazona... Curò i suoi studi a Como fino al 1874 e successivamente al collegioMaria Hilf in Svizzera impiegandosi successivamente a Milano. Nel 1880 de-cise di varcare l’oceano in cerca di emozioni americane trasmessegli da gio-vani sudamericani che studiavano in Svizzera... Arrivato a Buenos Aires co-nobbe molte famiglie italo-argentine, impiegandosi nel commercio, nelladogana, nelle banche e nella borsa... Nel 1888 alla morte della madre venne inItalia per rimanervi, ma la nostalgia di quella grande repubblica lo richiamòed al suo ritorno si dedicò a vaste colonizzazioni...Fu uno dei primi che portòla civilizzazione dell’aratro nell’immensa pampa argentina, trasformandoquelle steppe in ubertosi campi di granaglia e verdeggianti pianure... Corri-spondente ufficiale del ministero dell’agricoltura partecipò alle vicissitudini diquelle fugaci presidenze, ottenendo la medaglia d’oro come collaboratore perpiù di vent’anni nella direzione di statistica e agricoltura di quella nazione...Durante la Prima Guerra Mondiale fu delegato della croce rossa italiana, pre-sidente del comitato Pro-Patria e propagandista nelle colonie, entusiasmandoi giovani connazionali a partire per il fronte italiano... Al ritorno in Italia con-tinuò il suo affetto per l’Argentina come corrispondente onorario del Ministerodell’Agricoltura e di diversi giornali di Buenos Aires”.Uomo di grande cultura, ritornato in Italia nel 1920 dopo la morte dellamoglie italo-argentina di origine genovese, si interessò delle sorti del co-mune assumendo anche la carica di podestà. Si racconta che, abituato allegrandi estensioni argentine ed affascinato dalla grandiosa monumentalitàdi città come Roma e Buenos Aires, avesse avuto intenzione di collegare di-rettamente il palazzo comunale alla via Roma(43), incontrando tuttavia fortiopposizioni dai proprietari dei terreni interessati.Trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni economiche non certoagiate presso l’Istituto Don Guanella di Como dove si spense nel 1954. Come sua ultima volontà donò l’ultimo locale rimastogli delle sue proprietàalla parrocchia, sede della ex biblioteca parrocchiale ed ora sede UNITALSI; qui erano conservati i ricordi della sua avventurosa esistenza.

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Diploma attestante l’assegnazione della medaglia di bronzo vinta da Giuseppe Broggi all’Esposizione Universale di Saint Louis (USA) del 1904, per aver presentato una sua nuova varietà di frumento

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