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0 Ognuno ha limiti e attitudini particolari; io, ad esempio, non so disegnare, non capisco la grammatica, non riesco a esprimermi in alcuna lingua diversa dall’italiana, mi ci vogliono tre o quattro anni per memorizzare i nomi degli alunni di una classe ecc.; in compenso sono sempre stato piuttosto bravo a bigliardino, in topografia, nel prendere le mosche e nei calcoli a mente. Inevitabilmente, allora, anche tra di voi ci sarà chi, pur faticando, raggiungerà nella mia materia risultati inferiori di altri che si impegneranno meno. La mia comprensione e il mio apprezzamento andranno solo ai primi; gli altri, sulla base della parabola evangelica, li punirò: sfruttare i propri talenti è, infatti, un dovere per ognuno, quindi chi più ha attitudini verso la mia materia non ne approfitti, accontentandosi della sufficienza, per non faticare ma si sforzi per arrivare all’ottimo. Le pagine che in genere vi propongo le penso cercando di renderle impegnative e utili per tutti; anche queste, quindi, ho provato a scriverle in modo che possano essere comprese a vari livelli di profondità: chi ha minori attitudini le capirà a un livello più superficiale mentre i più “talentuosi” andranno più in profondità; ognuno, studiandole, dovrà però comprendere e imparare non solo “qualcosa” bensì il “massimo possibile” in funzione della testa che ha. Chi, pur sforzandosi, capirà poco, non si crucci però più di tanto; nella sempre più complessa società moderna la scuola ha ormai quasi completamente perso la sua funzione direttamente professionalizzante e sempre più dovrebbe assumere quella che gli attrezzi da palestra hanno per gli sportivi d’oggi: bilancieri e panche non insegnano a stoppare di petto in corsa o a derapare in controsterzo, ma sono ormai indispensabili per sviluppare la struttura muscolare necessaria per rendere possibili quelle azioni a calciatori e motociclisti. Ecco allora che l’utilità “professionalizzante” della mia materia non sta tanto nell’imparare a fare le registrazioni contabili o a riclassificare un bilancio, quanto nel contribuire a sviluppare le capacità intellettuali che permetteranno di imparare rapidamente a svolgere le chissà quali mansioni vi saranno richieste nel vostro futuro lavorativo. Poiché ho l’impressione che già troppe materie le stiate usando come semplici palestre per la memoria, la mia dovete sforzarvi di usarla in modo più nobile, soprattutto come attrezzo per sviluppare la logica e anche, sarebbe il massimo, come stimolo di curiosità e interessi. Finita la predica, vi do ora quattro avvertimenti utili per lo studio non solo di queste pagine ma anche delle altre che vi somministrerò; a voi ora resta da impegnarvi (e a me lo stipendio). 1. Le parantesi, che uso frequentemente, vanno lette con attenzione, esattamente come il resto. Le scrivo con questo carattere diverso e ridotto per meglio evidenziarle così da permettere, saltandole, una rilettura più fluida del testo una volta sicuri che sia stato compreso; 2. Se alcuni punti che propongo nelle pagine vi sembrano semplici o addirittura banali, allora è meglio che vi impegniate di più perché probabilmente significa che siete ancora lontani dall’averli realmente compresi a fondo. 3. Se davvero siete sinceramente convinti di aver afferrato compiutamente il senso di tutti i punti, allora tornateci sopra dopo alcuni giorni: quei concetti non vanno solo compresi, vanno assimilati, interiorizzati, devono cioè divenirvi naturali come vi risulta naturale e facile lo scendere le scale della scuola al suono dell’ultima campanella, e questo nonostante il fatto che scendere i gradini implica l’utilizzo e il coordinamento di centinaia di muscoli diversi, una capacità che avete affinato nel corso di non pochi anni. 4. Se qualcuno dei punti vi sembra troppo difficile, dovete ugualmente impegnarvi al massimo perché è solo la completa comprensione dell’intero testo che vi può permettere di affrontare la materia nel giusto modo, cioè costruendo il vostro percorso su fondamenta solide. Se anche impegnandovi a fondo non comprendete tutto, non scoraggiatevi: sappiate che a capire i concetti qui proposti io ho impiegato, tanti anni fa, più tempo di voi. Intanto studiate e imparate definizioni e termini, comprendete qualcosa e, col tempo e la volontà, potrete capire sempre di più.

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Ognuno ha limiti e attitudini particolari; io, ad esempio, non so disegnare, non capisco la

grammatica, non riesco a esprimermi in alcuna lingua diversa dall’italiana, mi ci vogliono tre o

quattro anni per memorizzare i nomi degli alunni di una classe ecc.; in compenso sono sempre stato

piuttosto bravo a bigliardino, in topografia, nel prendere le mosche e nei calcoli a mente.

Inevitabilmente, allora, anche tra di voi ci sarà chi, pur faticando, raggiungerà nella mia materia

risultati inferiori di altri che si impegneranno meno. La mia comprensione e il mio apprezzamento

andranno solo ai primi; gli altri, sulla base della parabola evangelica, li punirò: sfruttare i propri

talenti è, infatti, un dovere per ognuno, quindi chi più ha attitudini verso la mia materia non ne

approfitti, accontentandosi della sufficienza, per non faticare ma si sforzi per arrivare all’ottimo.

Le pagine che in genere vi propongo le penso cercando di renderle impegnative e utili per tutti;

anche queste, quindi, ho provato a scriverle in modo che possano essere comprese a vari livelli di

profondità: chi ha minori attitudini le capirà a un livello più superficiale mentre i più “talentuosi”

andranno più in profondità; ognuno, studiandole, dovrà però comprendere e imparare non solo

“qualcosa” bensì il “massimo possibile” in funzione della testa che ha.

Chi, pur sforzandosi, capirà poco, non si crucci però più di tanto; nella sempre più complessa

società moderna la scuola ha ormai quasi completamente perso la sua funzione direttamente

professionalizzante e sempre più dovrebbe assumere quella che gli attrezzi da palestra hanno per gli

sportivi d’oggi: bilancieri e panche non insegnano a stoppare di petto in corsa o a derapare in

controsterzo, ma sono ormai indispensabili per sviluppare la struttura muscolare necessaria per

rendere possibili quelle azioni a calciatori e motociclisti. Ecco allora che l’utilità

“professionalizzante” della mia materia non sta tanto nell’imparare a fare le registrazioni contabili o

a riclassificare un bilancio, quanto nel contribuire a sviluppare le capacità intellettuali che

permetteranno di imparare rapidamente a svolgere le chissà quali mansioni vi saranno richieste nel

vostro futuro lavorativo.

Poiché ho l’impressione che già troppe materie le stiate usando come semplici palestre per la

memoria, la mia dovete sforzarvi di usarla in modo più nobile, soprattutto come attrezzo per

sviluppare la logica e anche, sarebbe il massimo, come stimolo di curiosità e interessi.

Finita la predica, vi do ora quattro avvertimenti utili per lo studio non solo di queste pagine ma

anche delle altre che vi somministrerò; a voi ora resta da impegnarvi (e a me lo stipendio).

1. Le parantesi, che uso frequentemente, vanno lette con attenzione, esattamente come il resto. Le

scrivo con questo carattere diverso e ridotto per meglio evidenziarle così da permettere, saltandole, una rilettura

più fluida del testo una volta sicuri che sia stato compreso;

2. Se alcuni punti che propongo nelle pagine vi sembrano semplici o addirittura banali, allora è meglio

che vi impegniate di più perché probabilmente significa che siete ancora lontani dall’averli

realmente compresi a fondo.

3. Se davvero siete sinceramente convinti di aver afferrato compiutamente il senso di tutti i punti,

allora tornateci sopra dopo alcuni giorni: quei concetti non vanno solo compresi, vanno assimilati,

interiorizzati, devono cioè divenirvi naturali come vi risulta naturale e facile lo scendere le scale

della scuola al suono dell’ultima campanella, e questo nonostante il fatto che scendere i gradini

implica l’utilizzo e il coordinamento di centinaia di muscoli diversi, una capacità che avete affinato

nel corso di non pochi anni.

4. Se qualcuno dei punti vi sembra troppo difficile, dovete ugualmente impegnarvi al massimo perché

è solo la completa comprensione dell’intero testo che vi può permettere di affrontare la materia nel

giusto modo, cioè costruendo il vostro percorso su fondamenta solide. Se anche impegnandovi a

fondo non comprendete tutto, non scoraggiatevi: sappiate che a capire i concetti qui proposti io ho

impiegato, tanti anni fa, più tempo di voi. Intanto studiate e imparate definizioni e termini,

comprendete qualcosa e, col tempo e la volontà, potrete capire sempre di più.

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CONCETTI DI BASE di economia e di ragioneria

1. E’ nella natura umana cercare di soddisfare i bisogni e i desideri, ed è nella natura umana cercare di soddisfarli minimizzando gli sforzi (in modo da risparmiare risorse e avere così la possibilità – a parità di risorse disponibili – di

massimizzare la soddisfazione dei bisogni e desideri).

2. Per soddisfare qualsiasi bisogno o desiderio materiale (mangiare, stare al caldo d’inverno e al fresco d’estate, andare in

vacanza, vedere i mondiali di calcio, ascoltare musica, tatuarsi il lobo sinistro ecc.) occorrono i beni (materiali e immateriali, cioè servizi).

3.a Sono pochissimi i beni naturali e gratuiti, i cosiddetti “beni non economici”, quelli per la cui esistenza non è stato necessario alcun impegno umano, per il cui utilizzo nessuno ha dovuto sostenere costi, cioè impiegare risorse scarse (i beni non economici sono i beni non scarsi, come la luce del sole, l’aria, l’acqua del mare, il chiaro di luna e

ben poco d’altro, beni il cui uso da parte di qualcuno non ne limita l’uso da parte degli altri).

3.b Quasi tutti i beni devono infatti essere prodotti dall’attività umana, e questi sono i “beni economici”, il cui ottenimento impone un costo; (i “beni economici” sono, cioè, i beni scarsi, come l’energia elettrica, il pane e l’acqua del

rubinetto ecc., il cui uso da parte mia ne impedisce l’uso da parte tua: se in quella casa ci abito io tu non puoi usarla, se quel grissino lo mangio

io tu te ne devi comprare un altro). D’ora in poi i “beni economici” li chiameremo, semplicemente, “beni” (perché i

beni non economici, se anche indispensabili alla vita, non essendo scarsi nulla hanno a che fare con l’economia e quindi non ci interessano).

4. I beni possono essere “di consumo” e “di produzione”: sono beni di consumo quelli destinati a soddisfare immediatamente un bisogno umano (come il pane comprato al forno o la bottiglia da ½ litro d’acqua nel

distributore al primo piano); sono beni di produzione quelli che servono a produrre altri beni (come la farina

comprata dal fornaio o la macchina per il caffè che è sempre lì, al primo piano). I beni di consumo soddisfano direttamente i bisogni, i beni di produzione soddisfano indirettamente i bisogni (perché producono altri beni che, prima o poi,

direttamente o indirettamente, soddisferanno bisogni).

5. I beni sono prodotti dalle “aziende”, essendo l’azienda un “organismo che produce beni utilizzando lavoro umano e altri beni”. E’ utile distinguere le aziende fra “aziende di erogazione”, cioè quelle che producono beni con lo scopo ultimo di soddisfare esigenze umane (come le famiglie o le associazioni caritatevoli), e “aziende di produzione”, quelle che (come i bar o le case automobilistiche) producono beni che soddisfano esigenze umane allo scopo di arricchirsi. D’ora in poi per “aziende” intenderemo le “aziende di

produzione” (anche se molte cose che diremo su quelle di produzione valgono anche per le aziende di erogazione).

6.a Il valore di un bene dipende dal valore dei bisogni che, direttamente o indirettamente, può soddisfare. Non esistendo l’unità di misura della soddisfazione (non esiste il “feliciometro”) non si può nemmeno misurare oggettivamente il valore dei beni.

6.b Non essendo il valore misurabile con certezza, non esiste il “giusto” valore, cioè non ha senso chiedersi quale sia il valore corretto di un bene. Il valore non è, infatti, una caratteristica oggettiva dei beni (come

invece lo sono, ad esempio e per i beni fisici, la lunghezza e il colore). Questo perché: 1) il valore è soggettivo (una vacanza

al mare d’estate vale per te più di una in inverno mentre per me è l’opposto); 2) l’utilità marginale dei beni è decrescente (e

quindi il valore di un bene, per lo stesso soggetto, varia col variare della sua disponibilità: per chiunque ½ litro d’acqua nella bottiglia vale molto

se è nel deserto, vale nulla se sta annegando nel Po); è certo che l’utilità complessiva dell’acqua potabile è enorme (senza di essa non ci sarebbe vita sulla Terra) mentre l’utilità complessiva dei tartufi è piccola (la mancanza di tartufi non

peggiorerebbe più di tanto la vita di nessuno), ma quel che conta ai fini del valore non è l’utilità totale ma l’utilità marginale, cioè dell’ulteriore unità che vogliamo di quel bene: poiché di acqua potabile se ne trova ovunque e a metri cubi, mentre i tartufi si trovano difficilmente e a grammi, l’utilità di un grammo in più di tartufo risulta ben maggiore di quella di un ulteriore metro cubo d’acqua, ed ecco perché un grammo di tartufo ha in genere un prezzo maggiore a quello di mille litri d’acqua; 3) il valore di un bene dipende anche dalla disponibilità di altri beni (ora che il petrolio e quindi la benzina sono abbondanti (e perciò costano

poco) per chiunque il tuo scooter vale più della mia bicicletta, ma se il petrolio scarseggiasse e così il prezzo di un litro di benzina diventasse 100

€, tutti preferirebbero la mia bici al tuo scooter (varrebbe di più perché sarebbe più utile a soddisfare i bisogni di trasporto).

6.c Il valore di un bene influisce sul suo prezzo, ma valore e prezzo sono cose differenti, tanto è vero che il valore è soggettivo mentre il prezzo è oggettivo. Il prezzo che pago per comprare un bene non è né il valore che io do a quel bene (il suo valore è per me maggiore, altrimenti non mi sarei privato di quel prezzo per averlo), né il valore che

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ha per il venditore (per lui vale meno del prezzo, altrimenti non lo avrebbe ceduto per quell’importo). Quando un bene è sia offerto che domandato da un numero elevato di operatori allora il suo prezzo, pur variando continuamente perché di continuo variano le valutazioni degli operatori, tende sempre verso un “prezzo di equilibrio”, cioè il prezzo che rende uguali la quantità offerta e quella domandata di quel bene in quel momento, prezzo che, quindi, si trova all’incrocio della curva discendente della domanda e di quella ascendente dell’offerta (in un piano cartesiano che veda il prezzo sull’asse orizzontale e la quantità su quello verticale).

- - - - - - domanda ______ offerta Quantità

(kg)

500.000

220.000

133.333 60.000

0 1,00 Peq. 3,00 4,00 5,00 Prezzo (€/kg) 2,14

Nel grafico si legge che 2,14 € al chilo è, in quel momento e in quel luogo, il prezzo di equilibrio di quel bene in quanto è l’unico prezzo che rende la quantità domandata (133.333 kg) uguale a quella offerta: un prezzo inferiore impedirebbe a qualcuno che desidera acquistarlo di entrarne in possesso in quanto non ci sarebbero sufficienti operatori disposti a venderlo, mentre un prezzo superiore impedirebbe a qualche produttore di venderlo perché non troverebbe chi è disposto a comprarlo.

Poche cose sono meno stabili del “prezzo di equilibrio”, il quale infatti, una volta formatisi, è immediatamente abbandonato a causa degli incessanti mutamenti di un ambiente economico che si fa sempre più dinamico e imprevedibile anche a causa dell’approfondirsi della globalizzazione e della conseguente concorrenza fra operatori.

7. La frase “nulla si crea e nulla si distrugge” è vera nel mondo fisico, ma nel mondo economico è totalmente falsa: l’azione umana, infatti, crea o distrugge valore. Mentre l’attività di consumo distrugge sempre valore (la soddisfazione di un bisogno umano inevitabilmente porta a deteriorare un bene), l’attività di produzione normalmente crea valore, ma a volte lo distrugge e, in ogni caso, trasferisce valore da un

bene a un altro, e precisamente dagli input all’output. Una produzione (un’attività produttiva) è efficiente se crea valore, cioè se il valore del suo output è superiore al valore degli input utilizzati per ottenerlo. Questo maggior valore è chiamato “utile” (o anche “profitto”). In caso contrario, quando cioè per ottenere un output che vale 100 si consumano input per un valore di 110, si dice che l’attività è inefficiente e ha provocato una “perdita”, ma sarebbe più chiaro parlare di “distruzione” (di un valore pari a 10).

8. In tutte le attività umane, e quindi anche nell’attività di produzione, per decidere cosa fare occorrono informazioni, cioè dati. I dati necessari all’azienda per prendere le decisioni si distinguono fra dati di stock (che si riferiscono a un dato istante, come la quantità di gasolio nella cisterna, il valore dei debiti, delle attrezzature, del capitale

netto e tutti gli altri dati “Patrimoniali”) e dati di flusso (quelli che, per avere significato, devono riferirsi a un dato periodo di tempo, come

la quantità di gasolio consumata, le vendite, gli stipendi, l’utile e tutti gli altri dati cosiddetti “Reddituali” (o anche, da alcuni, “Economici”)). Se i dati disponibili sono tanti e affidabili allora le decisioni potranno essere buone e l’attività aziendale efficiente; se i dati disponibili sono insufficienti o errati allora le decisioni saranno sbagliate e l’azienda

distruggerà ricchezza (o ne creerà meno di quello che potrebbe fare se avesse a disposizione dati validi).

9. I dati relativi all’azienda vengono raccolti nei “conti”, cioè in prospetti ognuno intestato a un elemento di cui interessa conoscere il valore. I conti sono di due tipi: conti Patrimoniali (in cui si annotano i dati di stock) e conti Reddituali, da alcuni chiamati anche “Economici” (e in cui si annotano, invece, i dati di flusso).

10. I dati confluiscono nei conti attraverso l’annotazione (la “registrazione”) dei fatti che accadono e che sono relativi all’azienda. Le cose che capitano e che riguardano l’azienda possono distinguersi fra fatti “interni” (come, per un ristorante, il cuocere gli spaghetti, tritare il basilico, apparecchiare i tavoli o la rottura di un piatto) e fatti “esterni” che collegano l’azienda all’ambiente in cui opera (come, sempre per il ristorante, l’acquistare la pasta, il saldare

un debito a un fornitore, l’incassare il prezzo del servizio prodotto, il pagare la tassa rifiuti comunale o lo stipendio al cameriere).

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11. Come già detto, la contabilità (o, per usare un termine più alla moda, il “sistema informativo aziendale”) ha la funzione di

fornire i dati necessari per prendere decisioni corrette al fine di migliorare l’efficienza aziendale (cioè

per fare in modo che l’azienda massimizzi la creazione di ricchezza). In modo piuttosto brutale, la contabilità si può distinguere fra “contabilità industriale” (o “contabilità dei costi”) e “contabilità generale” (o, semplicemente,

“contabilità”). La contabilità industriale ha la funzione principale di informare sui costi di produzione e sull’efficienza dei singoli reparti produttivi, e di questo si occupano soprattutto i tecnici (gli ingegneri); la contabilità generale, di cui invece si occupano soprattutto gli amministrativi (i ragionieri), ha cinque funzioni principali: 1. Informare sulla dimensione che ogni elemento patrimoniale dell’azienda ha in un qualsiasi momento (e in questo caso fornisce dati di stock: quanti € di credito abbiamo ora verso il cliente

X, quanti di debito verso il fornitore Y, quale era il saldo del c/c CREDEM il 31.3.2018, quale è adesso il valore del nostro fabbricato di via Zatti,

quanti € di debito residuo avevamo il 31.12.2012 nel mutuo alla B.N.L., quanti sono adesso i crediti complessivi verso i nostri clienti in U.S.A.); 2. Informare sulla dimensione che ogni elemento reddituale dell’azienda raggiunge in un qualsiasi periodo di tempo (fornendo così dati di flusso: quanti € di vendite abbiamo avuto nel 1° trimestre 2018 verso il cliente “Ferrero S.p.A.”,

quante vendite negli U.S.A. nell’anno 2017, quanti euro di gasolio abbiamo acquistato dal fornitore “SCAT Punti di Vendita S.p.A.” nel 2°

semestre 2017, quanta energia elettrica nell’anno 2016, quanti interessi passivi sono maturati nel primo semestre 2018 sul mutuo CREDEM); 3. Informare sulla situazione patrimoniale complessiva che l’azienda ha (aveva) in un qualsiasi momento della sua esistenza, dalla sua nascita a oggi. Nella “fotografia” che si scatta si evidenziano da una parte (a sinistra) i valori attivi patrimoniali e, dall’altra (a destra), i debiti e il “Capitale Netto” aziendale (ottenuto come

differenza fra attivo e debiti). I debiti (capitale di terzi) e il “Capitale Netto” (capitale proprio) sono le due uniche “fonti

di finanziamento” dell’attivo aziendale, le fonti attingendo dalle quali si è acquisito l’attivo. 4. Informare su ciò che l’azienda ha fatto in un qualsiasi periodo della sua vita. In questo “filmato” appare da una parte (a destra di un prospetto chiamato “Conto Economico”) cosa l’azienda ha prodotto nel periodo che ci interessa e

quanto vale questo output; dall’altra (a sinistra) ci mostra cosa ha utilizzato nel periodo e quanto è stato il valore consumato degli input utilizzati (valore che si è trasferito nell’output ottenuto). La differenza fra valore

della produzione ottenuta e valore consumato degli input è il reddito aziendale del periodo considerato. 5. Ricostruire in un qualsiasi momento le vicende aziendali accadute in un qualsiasi periodo della vita aziendale, anche lontano molti anni; ciò, tra l’altro, rende possibile il controllo di ciò che è stato fatto.

12. La “situazione patrimoniale” esistente nell’istante T1 e il “conto economico” del periodo compreso fra un momento precedente T0 e l’istante T1 sono i due documenti di gran lunga più importanti che formano il “Bilancio” (dell’esercizio (o periodo) da T0 a T1). Poiché (come già sappiamo dal punto 6.) il valore non è un dato oggettivo, le voci che appaiono nel bilancio [ad eccezione del valore della cassa e dei debiti (ma vedremo che dal 2017 una

legge ha reso soggettivo anche il valore dei debiti a lunga scadenza) ] sono inevitabilmente incerti, soggettivi, stimati da chi redige il

bilancio. Il bilancio “falso” non si contrappone, quindi, al bilancio “vero” (che non può esistere, come non esiste il

“vero” valore dei beni); il bilancio “falso” è un bilancio “disonesto”, cioè un bilancio in cui sono indicati valori ritenuti sbagliati da chi lo redige, valori messi lì allo scopo di ingannare chi li legge, per dare a chi legge

il bilancio una immagine della situazione aziendale diversa da quella che ha chi lo ha redatto.

13. Per giungere ai suoi scopi e quindi anche per redigere il bilancio aziendale, la contabilità (generale) può tranquillamente non occuparsi dei fatti interni di gestione e rilevare solo quelli esterni, adottando un sistema di registrazione dei fatti (la “partita doppia”) che prevede essenzialmente queste sei regole:

1. Un miglioramento nel valore di un elemento patrimoniale dell’azienda si registra a sinistra (in “Dare”) del conto patrimoniale interessato; ogni suo peggioramento, invece, si inserisce a destra (in “Avere”) del conto patrimoniale coinvolto.

2. Il valore consumato di un fattore produttivo (input) si registra a sinistra (in “Dare”) di un conto di reddito; il valore dell’output prodotto si registra a destra (in “Avere”) di un conto di reddito.

3. La registrazione di ogni fatto aziendale provoca l’inserimento nel Dare (di uno o più conti) di un importo complessivo esattamente uguale all’importo complessivo che viene annotato in Avere (di uno o più conti).

4. I fattori produttivi destinati a esaurire la loro utilità in poco tempo (meno di un anno) si considerano consumati già al momento dell’acquisto, e quindi (vedi punto 2. I parte) il loro acquisto si annota in Dare di un conto di reddito (si finge di averli già consumati).

5. I consumi dei fattori produttivi destinati a dare utilità per molto tempo (più di un anno) si registrano solo quando si redige il bilancio, e quindi l’acquisto delle “immobilizzazioni” si registra in Dare di un conto patrimoniale (vedi punto 1. prima parte) .

6. Il valore dei beni prodotti lo si registra al momento in cui li si vende. Al momento del bilancio si tiene poi conto, in aumento, di eventuali beni prodotti ma non ancora venduti e, in diminuzione, di eventuali vendite realizzate nel periodo di beni però prodotti nel periodo precedente o prima ancora.

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14. Come già detto al punto 7., l’attività umana crea, distrugge e trasferisce valore da un bene a un altro: nell’attività di consumo, che è tipica delle aziende di erogazione, si ha in ogni caso distruzione di ricchezza (il valore dei beni esistenti diminuisce e in compenso ci sono più bisogni soddisfatti); nell’attività di produzione si ha in ogni caso trasferimento di ricchezza da un bene all’altro (dagli input all’output) e inoltre o si crea ricchezza (se l’azienda è efficiente e perciò “in utile”) o se ne distrugge (se l’azienda è inefficiente e perciò “in perdita”).

15. Quando durante un certo periodo - ad esempio dal primo gennaio al 31 dicembre 2018 - l’azienda produce beni di valore superiore a quello dei fattori produttivi consumati, allora si dice che in quel periodo ha un

reddito positivo (è “in utile”); questo utile, questo maggior valore, spetta all’azienda perché è lei che lo ha creato, e perciò la sua ricchezza netta (la differenza fra il valore patrimoniale dei beni che possiede e i debiti che ha) aumenta.

Analogamente, quando durante un periodo di tempo l’azienda produce beni di valore inferiore a quello perso dai fattori produttivi usati, allora ha un reddito negativo (è in perdita); questa perdita, questa distruzione di valore, è giusto che rimanga a carico dell’azienda perché è lei che l’ha provocata (perché

inefficiente o sfortunata) e perciò la sua ricchezza netta diminuisce, cioè l’azienda si impoverisce. Ecco, quindi, che il reddito di un certo periodo può essere calcolato in due modi: 1. come differenza

fra ricavi e costi (nel loro significato corretto di, rispettivamente, valore dei beni prodotti e valore consumato degli input usati per produrre); 2. come differenza fra capitale netto finale e capitale netto iniziale (cioè come differenza fra la ricchezza netta che

l’azienda ha alla fine del periodo e quella che aveva all’inizio).

16. Nel corso della storia l’uomo ha creato molta più ricchezza di quanto ne abbia distrutta, tanto è vero che mentre i nostri progenitori decine di migliaia d’anni fa soffrivano tutti il freddo e la fame nelle caverne e ancora pochi secoli fa morivano di peste e di colera nei lazzaretti (e tantissimi continuavano a soffrire la

fame e il freddo in misere stamberghe puzzolenti), oggi noi ci ammaliamo per l’eccesso di calorie derivante dal troppo

cibo nello stomaco e il troppo caldo in casa e in classe. Se oggi abbiamo a disposizione cibo in abbondanza, termosifoni caldi, auto comode, cure efficaci ecc. è perché non tutto il valore creato da noi e dalle precedenti generazioni è stato distrutto, nonostante i tanti bisogni soddisfatti e le tante attività inefficienti o irrazionali che mai l’uomo ha interrotto. La parte non distrutta del valore creato è il “risparmio”, quel risparmio che è anche “investimento”, cioè valore in grado di soddisfare in futuro sempre più bisogni, direttamente con le “scorte” ma più spesso indirettamente con le “immobilizzazioni”.

17. Se, invece, da decine di migliaia d’anni le gazzelle continuano a essere mangiate dai leoni e i pettirossi continuano a morire di fame negli inverni nevosi, questo è principalmente dovuto al fatto che, al contrario dell’uomo, gazzelle e pettirossi non scambiano. Tutti gli animali, come l’uomo, tendono a riprodursi; tutti gli animali, come l’uomo, cercano di soddisfare i propri bisogni; tanti animali, come l’uomo, producono beni per soddisfare meglio i bisogni (il pettirosso fa il nido, il ragno la ragnatela, lo scoiattolo fa scorta

di nocciole ecc.). L’unica differenza che distingue l’attività istintiva del genere umano da quella di tutti gli altri esseri viventi è l’attitudine a scambiare (nessuno ha mai visto un cane dare un osso a un altro in cambio di una crosta di

formaggio). E’ l’attitudine allo scambio il vero regalo fatto da Prometeo al genere umano, non l’intelligenza e la memoria: intelligenza e memoria le hanno anche gli animali (certamente noi abbiamo più

intelligenza – ma probabilmente meno memoria – di loro, ma è una mera questione quantitativa; la qualità dell’attitudine allo scambio, invece, è

solo nostra); è questa attitudine che ha permesso all’uomo di diventare sempre più efficiente nella sua azione produttiva, perché ha reso possibile la specializzazione delle attività: ognuno tende a fare solo ciò in cui riesce meglio e lo produce soprattutto per gli altri, poi scambia la sua produzione con tutto ciò che gli serve per soddisfare i propri bisogni e che gli altri sanno fare meglio di lui.

18. Poiché lo scambio è la base della civiltà umana l’uomo, dopo decine di migliaia d’anni di baratto, nell’arco degli ultimi tre millenni ha progressivamente perfezionato un mezzo che ha reso gli scambi sempre più agevoli e fluidi e perciò più frequenti: questo strumento è la moneta, ovvero qualcosa che tutti accettano in cambio dei loro beni. Con lo sviluppo della moneta, a fianco del mondo dell’economia reale [fatta di produzione e di consumo di beni che possiedono l’utilità di soddisfare (direttamente – i beni di consumo – o

indirettamente – i beni di produzione – i bisogni umani] è nato ed è cresciuto un mondo parallelo: il mondo della finanza, ovvero della moneta e del credito, essendo il credito nient’altro che moneta disponibile in un momento successivo rispetto all’attuale. Né la moneta né (gli altr)i diritti di credito (e quindi i debiti, che sono solo

i crediti visti di spalle) servono direttamente a qualcosa (i soldi non si mangiano, non deodorano le ascelle, non tolgono il mal di

denti ecc.); nonostante ciò moneta e diritti di credito, moltiplicando gli scambi e di conseguenza la specializzazione delle attività, hanno contribuito enormemente all’arricchimento del genere umano.

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19. I due sistemi – quello dell’economia reale e quello della finanza – vivono nello stesso ambiente, l’ambiente dell’azione umana; vivono in simbiosi fra loro, una simbiosi mutualistica, non parassitaria: entrambi, cioè, traggono vantaggi dall’esistenza dell’altro. La priorità va, però, all’economia reale, perché senza beni i diritti (tutti, non solo quelli di credito) non hanno alcun valore: a fronte dei diritti di credito, del diritto alla casa, del diritto alla salute, del diritto alla scuola, del diritto di tutti all’acqua potabile ecc. stanno, rispettivamente: i debiti, l’obbligo di far godere le proprie case agli altri, l’obbligo di produrre i servizi sanitari e scolastici, l’obbligo di scavare pozzi e collegarli con le tubazioni ai rubinetti ecc., e questi obblighi – avendo un valore esattamente uguale ma di segno contrario a quello dei relativi diritti – annullano, per la collettività, il valore dei diritti che gli appartenenti a quella collettività si sono messi in testa di avere ma che sono solo frutto della loro fantasia e ignoranza; infatti per una collettività il valore dei diritti, al netto del peso dei doveri, è zero. Ma se il mondo dei diritti è un mondo vuoto e non può esistere staccato dal mondo dell’economia reale, non significa che la finanza sia un parassita che succhia valore al mondo dell’economia reale, tutt’altro: i prodotti finanziari non assorbono certo il valore dei beni reali, semplicemente quel valore lo rispecchiano e lo misurano. Il valore dei prodotti finanziari è un riflesso del valore dei beni (fisici e servizi) reali (e, soprattutto,

dei beni di produzione), e come tutti i riflessi è solo un’immagine: per ogni “X” di valore (cioè di utilità) di un bene reale ci sono “Y” € (o $, o £ ecc., dipende dal metro con cui si misura il valore) di crediti (di diritti) e quindi anche “– Y” € (o

$, o £ ecc.) di debiti (di doveri). Il mondo dell’economia reale, anche ammesso che possa esistere da solo, senza il mondo della finanza langue e si sviluppa (se si sviluppa) molto meno di quanto può fare grazie all’esistenza parallela del mondo della finanza, la cui funzione di lubrificante per gli scambi migliora enormemente l’efficienza del sistema economico e quindi la vita materiale dell’intero genere umano.

20. Per comprendere il mondo della finanza è fondamentale capire la vera natura dell’interesse e della sua misura, il tasso. Non è certo sufficiente intendere l’interesse e il tasso come remunerazione per l’uso del denaro altrui: occorre anche familiarizzare con il concetto di tasso d’interesse come velocità con cui il valore “attuale” dei beni, cioè il valore che si dà oggi ai beni che saranno disponibili solo tra qualche tempo, diminuisce all’aumentare di quel tempo, cioè allontanarsi del momento in cui quei beni saranno utilizzabili.

Se un ettaro di terreno produce ogni anno una tonnellata di frumento ed è destinato a farlo per l’eternità (la produttività del terreno non cala col passare del tempo come invece capita al trattore che si usura e invecchia, ed infatti il trattore si

ammortizza e il terreno no), non per questo il suo valore è infinito (nonostante la somma degli infiniti futuri raccolti dia una quantità infinita

di frumento e, quindi, si potrebbe pensare di valore infinito): il valore di un ettaro di terreno agricolo è, invece, finito, ad esempio 25.000 €, perché (anche nell’ipotesi di costi di produzione del frumento pari a zero e ricavi di vendita costanti nel tempo, ad esempio

1.000 €) la somma delle infinite rese (degli infiniti 1.000 euro) che il terreno produrrà in futuro è un valore finito proprio in quanto le tonnellate che saranno disponibili in futuro, anno dopo anno, valgono, oggi, sempre meno man mano ci si allontana da oggi; la tonnellata di frumento che sarà disponibile fra un anno vale oggi solo poco di meno (ad esempio il 4% in meno) di quella già disponibile oggi; la tonnellata disponibile fra due anni vale, oggi, ancora un po’ di meno [ nell’esempio di tasso d’interesse costante del 4% l’(1,042 -1)% in meno ], quella che sarà disponibile fra tre anni ha un valore attuale pari all’(1,043 -1)% in meno della tonnellata disponibile già ora e così via, all’infinito, asintoticamente verso il valore zero; ma la somma di una serie infinita di valori, pur tutti positivi, che si riducono progressivamente verso lo zero è pari a un numero finito (altrimenti Achille non raggiungerebbe mai la tartaruga, e se non ricordi la questione va su Wikipedia “paradosso di Zenone Achille e la tartaruga). Infatti: 1.000*1/1,041

+ 1.000*1/1,042 + 1.000*1/1,043 + ... … + 1.000*1/1,04999

+ ... … + 1.000*1/1,04∞ … … = 1.000 / 0,04 = 25.000

Questa velocità di diminuzione del valore attuale dei beni all’allontanarsi nel tempo della loro disponibilità, questo prezzo del tempo, è il “tasso d’interesse”, il cui importo (0,04 all’anno, nell’esempio) è, come tutti i prezzi, determinato dalla forma delle curve di domanda e offerta (vedi punto 5.) ed è il risultato della sommatoria di tre elementi: a) il rischio che si pensa di correre nell’anticipare oggi un valore la cui futura esistenza è comunque, poco o tanto, sempre incerta; b) il compenso che spetta a chi si priva del godimento di un valore per un certo periodo di tempo (e questo è il tasso “puro” d’interesse); c) l’inflazione, e questo terzo elemento riguarda tipicamente l’anticipazione (il prestito) di moneta in quanto misura la perdita di potere d’acquisto che si prevede il denaro subirà durante il periodo dell’anticipazione.