Ogni cicatrice è poesia

2
44 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 20 SETTEMBRE 2015 Percorsi Il racconto Bret Anthony Johnston ha appena esordito con un romanzo sorprendente applaudito dalla critica. Ma in realtà ha anche un’altra grande passione, oltre alla letteratura. Che qui svela Ogni cicatrice è poesia Filosofia di uno skateboarder che a 43 anni corre ancora di BRET ANTHONY JOHNSTON Un recente scambio di opinioni sullo skateboard a un party elegante del mondo editoriale È stato a Nantucket alla fine dell’estate, in una casa con vista panoramica sull’Oceano Atlantico tutta arredata in tonalità di bianco, una casa che si diceva fosse la più co- stosa dell’isola. Conversavo con una coppia che aveva da poco venduto una società per 64 milioni di dollari, quan- do si è intromesso un notissimo scrittore americano di legal thriller. Era piccolo, aveva l’aria impertinente e un completo gessato. Lo chiamerò «L’Avvocato». Mi ha det- to, con aria piuttosto seccata: «Una domanda sullo skate- board. Sono un cattivo padre, se lascio che mio figlio va- da sullo skateboard senza casco?». «Dove va a fare skateboard?», gli ho chiesto. «Per stra- da, in piscine svuotate, su rampe ripide?». «Ma, non ricordo. È stato decenni fa. Come tutti, dopo l’adolescenza si è stufato di fare skateboard». I due miliardari hanno studiato il loro drink, poi ne hanno bevuto un sorso all’unisono. «Io ho quarantatré anni e vado ancora sullo skatebo- ard», gli ho detto. «Cosa dice di me questo?». L’Avvocato si è guardato attorno per vedere se lo si stesse prendendo in giro, poi mi ha messo una mano sulla spalla, il che lo obbligava a stare in punta di piedi, e mi ha risposto con un tono di belligerante condiscen- denza, «Non le dico cosa, secondo me, questo dice di lei». «Bene, allora io non le dirò quello che, secondo me, dice di lei il fatto di essere un avvocato», ho ribattuto. La mia esperienza con lo skateboard condensata in 230 parole circa Ho cominciato a fare skateboard dopo aver visto il film Ritorno al futuro. Volevo attaccarmi al paraurti posterio- re di una macchina e farmi trascinare su uno skateboard. Ci abbiamo provato, con i miei amici, in un parcheggio. Per i primi sette minuti è stato divertente. Ma dopo esse- re salito per la prima volta su uno skateboard non ne so- no più sceso se non quando mi facevo male. Quel pome- riggio nel parcheggio è stato quasi trent’anni fa. Nel corso di tutti questi anni sono stato arrestato dalla polizia, una guardia giurata mi ha puntato contro una pi- stola, sono stato inseguito da una gang di una cinquanti- na di ragazzi che volevano rubarmi lo skateboard, sono stato bersagliato da mortaretti lanciati da un’orda di cal- ciatori ubriachi, mi sono rotto parecchie ossa, quasi tranciato delle dita, lussato un’anca, ferito praticamente ogni parte del corpo che ci si possa ferire. Eppure l’idea di smettere di fare skateboard non mi è mai venuta in mente. Anzi, sto imparando acrobazie, trick, sempre più difficili. Alcune mi vengono facilmente, per altre ho im- piegato anni, altre ancora le sto ancora tentando. Smet- tere sarebbe come chiudere un romanzo o uscire da tea- tro prima di sapere come finisce la storia. Ogni trick è una narrazione. Ogni cicatrice una poesia. Non solo vo- glio continuare a leggere questi testi, ma ho bisogno di continuare a scriverli. fai la spaccata su una ringhiera, ed è davvero orribile co- me lo si immagina. Mi piace come ci si sente quando si va a provare un nuovo trick per la prima volta, con tanta adrenalina in circolo — pura e potente — che il mondo, la realtà fisica, sembra espandersi. Mi piace guardare altri skateboarder provare nuovi trick e sentire una scossa simile, come se espandendo la loro realtà ampliassero anche la mia. Mi piace che siano sempre di più le donne che fanno skateboard. Mi piace che alcuni tra i migliori skater del mondo vengano dai quartieri più poveri delle città ame- ricane, e mi piace che altri vengano dal Brasile, dalla Francia e dall’Italia. Mi piace che pur parlando lingue di- verse, non abbiamo problemi a comunicare. I trick, la cultura e il cameratismo, l’emozione, l’agonia e la passio- ne fluiscono al di là dei nostri confini come l’acqua tra gli oceani. Duecento parole circa sulla capacità di resistere La prossima volta che vedete uno skater sbagliare una manovra, trovatevi un posto comodo per continuare a osservarlo. È probabile che riprovi a fare lo stesso trick finché non ci riesce. O finché non cade così malamente da mettere fuori uso la tavola o se stesso. (Ha spaccato la tavola? Ha fatto una di quelle cadute da manuale?) Que- sto spettacolo potrebbe durare pochissimo, o così a lun- go da costringervi a cancellare una prenotazione al risto- rante. I veri skater raramente si arrendono. In parte per via dell’adrenalina di cui abbiamo parlato — ne abbiamo bisogno come il fuoco ha bisogno di carburante — e in parte per la consapevolezza che le acrobazie si autoali- mentano. Nessuno lo dice, ma quando si prova un certo trick, si va anche dietro alle cinque o dieci varianti che porta con sé. Ogni esercizio acrobatico è una mappa e un tesoro al contempo, più ci si avvicina, più si ha voglia di metterci sopra le mani — o i piedi. Se uno skater si ar- rende — per frustrazione, per impazienza o per un inci- dente — probabilmente non durerà che pochi anni. Niente che non vada, gli auguro ogni bene. Avrà la con- creta possibilità di diventare un avvocato che scrive legal thriller. Un altro scambio di vedute sullo skateboard, questa volta nelle aule accademiche Anni fa, poco dopo aver pubblicato un articolo sulla mia storia di skater sul «New York Times Magazine», mi è stato chiesto di fare una conferenza in una prestigiosa università americana. Passeggiavo fuori della sala quan- do è passato di là il professore di letteratura probabil- mente più importante degli ultimi quarant’anni. Aveva una giacca di tweed, toppe ai gomiti, spacchi laterali. Te- neva un pacco di libri e di articoli sotto il braccio e stava andando verso il suo ufficio, non alla mia conferenza. Ho pensato che sarebbe passato oltre senza dire una parola, invece ha commentato: «Ho apprezzato molto l’articolo sulla sua gioventù sbandata che ha scritto per il “Times”». Non ho capito se intendesse farmi un complimento o Un elenco terribilmente incompleto di quel che amo dello skateboard Amo il rumore che fanno le ruote in poliuretano quando scivolano sul cemento. Non è molto diverso dal- l’abbaiare di un cane. C’è in esso una specie di affasci- nante lamento: si avverte la fatica che fanno le ruote per continuare a girare. Mi piace sentire che su una pista ca- renata posso acquistare velocità piegando le ginocchia al momento giusto, come se fossi stato sparato da un can- none. Amo la leggerezza del correre su pista. Adoro le scalfitture e le crepe, i graffi e i disegni abrasi delle tavole usate intensamente. Mi stupisce che le tavole da skate- board usate non siano collezionate come opere d’arte moderna. Se fissate il fondo di un vecchio skateboard per un po’ di tempo cercando di dimenticare cos’è, non riuscirete a non pensare a un’opera di Robert Rauschen- berg, Rothko o Pollack. Il suo stato rovinoso dimostra che è stato usato per creare. Le pareti del mio ufficio so- no piene di vecchi skateboard. Li guardo con una certa reverenza. Passo le dita su quelle superfici e le loro storie emergono come se leggessi un testo in braille. Cos’hanno in comune l’andare in skateboard e lo scrivere romanzi Bisognerebbe piuttosto cercare cosa non hanno in co- mune? Sono, senza dubbio, le due cose più difficili che ho scelto di fare, e a differenza di quasi tutto il resto, più le si pratica, più pongono sfide. Entrambe richiedono una pazienza che rasenta il masochismo, ed entrambe, per continuare a parlare di cose dolorose, ti lasciano pe- sto e sanguinante in un modo o nell’altro. Se non è così, non state rischiando abbastanza. Impongono di guarda- re il mondo da un punto di vista diverso da quello degli altri. Dove chi non va in skateboard vede una piattaforma di carico o un tavolo da pic-nic o una parete, voi vedete un invito. Dove chi non è scrittore vede cicatrici, un traf- fico tremendo o finestre rotte, voi vedete storie. Lo skate- board e la scrittura vi fanno sentire a casa in spazi limi- nali, incentivano l’empatia, rafforzano la resistenza. En- trambi richiedono livelli di autonomia e dedizione che pochi riescono ad avere, ma, paradossalmente, proprio quell’indipendenza e quell’impegno attraggono chi è co- me voi. A parte i parenti, tutte le persone importanti del- la mia vita le ho incontrate attraverso lo skateboard o la scrittura. Facendo skateboard o scrivendo si sta spesso per conto proprio, ma non si è mai soli. Quel che amo dello skateboard: parte seconda Il vocabolario. Amo i trick che si chiamano Switch Crooks, Impossibile, Hardflip, Mute Air, Wooly Mam- moth, Texas Plant, Nosebone, Lipslide e Stale Fish. Mi piace che rompere intenzionalmente una tavola si dica focusing, e che le brutte cadute siano chiamate slam, e mi piacciono i nomi di alcuni tipi di slam: i Wilson, quando la tavola va avanti e tu fai una specie di capriola all’indietro come un personaggio dei cartoni animati che scivola su una buccia di banana. Sacking, è quando L’autore Bret Anthony Johnston, texano, classe 1971, ha esordito nel 2004 con la raccolta di racconti Corpus Christi, acclamata dalla critica: libro dell’anno per «The Indipendent» e «The Irish Times», mentre la National Book Foundation lo inserì tra i cinque migliori autori sotto i 35 anni. Ha curato il volume Naming the World: And Other Exercises for the Creative Writer (Random House, 2008). I suoi lavori sono apparsi su «The Atlantic Monthly», «Esquire», «The Paris Review». Skater professionista per quasi vent’anni, nel 2012 ha lavorato alla sceneggiatura del documentario Waiting For Lightning, sullo skater Danny Way. Dirige il dipartimento di scrittura creativa di Harvard Il romanzo È da poco uscito per Einaudi Stile libero il primo romanzo di Bret Anthony Johnston, Ricordami così (traduzione di Federica Aceto, pp. 468, 21), apprezzato da critica e lettori, storia di una cittadina americana sconvolta dalla sparizione di un ragazzino

description

di Bret Anthony JOHNSTON

Transcript of Ogni cicatrice è poesia

Page 1: Ogni cicatrice è poesia

44 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 20 SETTEMBRE 2015

Percorsi Il racconto

Bret Anthony Johnston ha appena esordito con un romanzo sorprendente applaudito dalla critica. Ma in realtà ha anche un’altra grande passione, oltre alla letteratura. Che qui svela

Ogni cicatrice è poesiaFilosofia di uno skateboarderche a 43 anni corre ancoradi BRET ANTHONY JOHNSTON

Un recente scambio di opinionisullo skateboard

a un party elegante del mondo editoriale

È stato a Nantucket alla fine dell’estate, in una casa convista panoramica sull’Oceano Atlantico tutta arredata intonalità di bianco, una casa che si diceva fosse la più co-stosa dell’isola. Conversavo con una coppia che aveva dapoco venduto una società per 64 milioni di dollari, quan-do si è intromesso un notissimo scrittore americano dilegal thriller. Era piccolo, aveva l’aria impertinente e uncompleto gessato. Lo chiamerò «L’Avvocato». Mi ha det-to, con aria piuttosto seccata: «Una domanda sullo skate-board. Sono un cattivo padre, se lascio che mio figlio va-da sullo skateboard senza casco?».

«Dove va a fare skateboard?», gli ho chiesto. «Per stra-da, in piscine svuotate, su rampe ripide?».

«Ma, non ricordo. È stato decenni fa. Come tutti, dopol’adolescenza si è stufato di fare skateboard».

I due miliardari hanno studiato il loro drink, poi nehanno bevuto un sorso all’unisono.

«Io ho quarantatré anni e vado ancora sullo skatebo-ard», gli ho detto. «Cosa dice di me questo?».

L’Avvocato si è guardato attorno per vedere se lo sistesse prendendo in giro, poi mi ha messo una manosulla spalla, il che lo obbligava a stare in punta di piedi, emi ha risposto con un tono di belligerante condiscen-denza, «Non le dico cosa, secondo me, questo dice dilei».

«Bene, allora io non le dirò quello che, secondo me,dice di lei il fatto di essere un avvocato», ho ribattuto.

La mia esperienza con lo skateboardcondensata in 230 parole circa

Ho cominciato a fare skateboard dopo aver visto il filmRitorno al futuro. Volevo attaccarmi al paraurti posterio-re di una macchina e farmi trascinare su uno skateboard.Ci abbiamo provato, con i miei amici, in un parcheggio.Per i primi sette minuti è stato divertente. Ma dopo esse-re salito per la prima volta su uno skateboard non ne so-no più sceso se non quando mi facevo male. Quel pome-riggio nel parcheggio è stato quasi trent’anni fa.

Nel corso di tutti questi anni sono stato arrestato dallapolizia, una guardia giurata mi ha puntato contro una pi-stola, sono stato inseguito da una gang di una cinquanti-na di ragazzi che volevano rubarmi lo skateboard, sonostato bersagliato da mortaretti lanciati da un’orda di cal-ciatori ubriachi, mi sono rotto parecchie ossa, quasitranciato delle dita, lussato un’anca, ferito praticamenteogni parte del corpo che ci si possa ferire. Eppure l’ideadi smettere di fare skateboard non mi è mai venuta inmente. Anzi, sto imparando acrobazie, trick, sempre piùdifficili. Alcune mi vengono facilmente, per altre ho im-piegato anni, altre ancora le sto ancora tentando. Smet-tere sarebbe come chiudere un romanzo o uscire da tea-tro prima di sapere come finisce la storia. Ogni trick èuna narrazione. Ogni cicatrice una poesia. Non solo vo-glio continuare a leggere questi testi, ma ho bisogno dicontinuare a scriverli.

fai la spaccata su una ringhiera, ed è davvero orribile co-me lo si immagina.

Mi piace come ci si sente quando si va a provare unnuovo trick per la prima volta, con tanta adrenalina incircolo — pura e potente — che il mondo, la realtà fisica,sembra espandersi. Mi piace guardare altri skateboarderprovare nuovi trick e sentire una scossa simile, come seespandendo la loro realtà ampliassero anche la mia.

Mi piace che siano sempre di più le donne che fannoskateboard. Mi piace che alcuni tra i migliori skater delmondo vengano dai quartieri più poveri delle città ame-ricane, e mi piace che altri vengano dal Brasile, dallaFrancia e dall’Italia. Mi piace che pur parlando lingue di-verse, non abbiamo problemi a comunicare. I trick, lacultura e il cameratismo, l’emozione, l’agonia e la passio-ne fluiscono al di là dei nostri confini come l’acqua tra glioceani.

Duecento parole circa sulla capacità di resistere

La prossima volta che vedete uno skater sbagliare unamanovra, trovatevi un posto comodo per continuare aosservarlo. È probabile che riprovi a fare lo stesso trickfinché non ci riesce. O finché non cade così malamenteda mettere fuori uso la tavola o se stesso. (Ha spaccato latavola? Ha fatto una di quelle cadute da manuale?) Que-sto spettacolo potrebbe durare pochissimo, o così a lun-go da costringervi a cancellare una prenotazione al risto-rante. I veri skater raramente si arrendono. In parte pervia dell’adrenalina di cui abbiamo parlato — ne abbiamobisogno come il fuoco ha bisogno di carburante — e inparte per la consapevolezza che le acrobazie si autoali-mentano. Nessuno lo dice, ma quando si prova un certotrick, si va anche dietro alle cinque o dieci varianti cheporta con sé. Ogni esercizio acrobatico è una mappa e untesoro al contempo, più ci si avvicina, più si ha voglia dimetterci sopra le mani — o i piedi. Se uno skater si ar-rende — per frustrazione, per impazienza o per un inci-dente — probabilmente non durerà che pochi anni.Niente che non vada, gli auguro ogni bene. Avrà la con-creta possibilità di diventare un avvocato che scrive legalthriller.

Un altro scambio di vedute sullo skateboard,questa volta nelle aule accademiche

Anni fa, poco dopo aver pubblicato un articolo sullamia storia di skater sul «New York Times Magazine», miè stato chiesto di fare una conferenza in una prestigiosauniversità americana. Passeggiavo fuori della sala quan-do è passato di là il professore di letteratura probabil-mente più importante degli ultimi quarant’anni. Avevauna giacca di tweed, toppe ai gomiti, spacchi laterali. Te-neva un pacco di libri e di articoli sotto il braccio e stavaandando verso il suo ufficio, non alla mia conferenza.

Ho pensato che sarebbe passato oltre senza dire unaparola, invece ha commentato: «Ho apprezzato moltol’articolo sulla sua gioventù sbandata che ha scritto per il“Times”».

Non ho capito se intendesse farmi un complimento o

Un elenco terribilmente incompletodi quel che amo dello skateboard

Amo il rumore che fanno le ruote in poliuretanoquando scivolano sul cemento. Non è molto diverso dal-l’abbaiare di un cane. C’è in esso una specie di affasci-nante lamento: si avverte la fatica che fanno le ruote percontinuare a girare. Mi piace sentire che su una pista ca-renata posso acquistare velocità piegando le ginocchia almomento giusto, come se fossi stato sparato da un can-none. Amo la leggerezza del correre su pista. Adoro lescalfitture e le crepe, i graffi e i disegni abrasi delle tavoleusate intensamente. Mi stupisce che le tavole da skate-board usate non siano collezionate come opere d’artemoderna. Se fissate il fondo di un vecchio skateboardper un po’ di tempo cercando di dimenticare cos’è, nonriuscirete a non pensare a un’opera di Robert Rauschen-berg, Rothko o Pollack. Il suo stato rovinoso dimostrache è stato usato per creare. Le pareti del mio ufficio so-no piene di vecchi skateboard. Li guardo con una certareverenza. Passo le dita su quelle superfici e le loro storieemergono come se leggessi un testo in braille.

Cos’hanno in comune l’andare in skateboarde lo scrivere romanzi

Bisognerebbe piuttosto cercare cosa non hanno in co-mune? Sono, senza dubbio, le due cose più difficili cheho scelto di fare, e a differenza di quasi tutto il resto, piùle si pratica, più pongono sfide. Entrambe richiedono una pazienza che rasenta il masochismo, ed entrambe,per continuare a parlare di cose dolorose, ti lasciano pe-sto e sanguinante in un modo o nell’altro. Se non è così,non state rischiando abbastanza. Impongono di guarda-re il mondo da un punto di vista diverso da quello deglialtri. Dove chi non va in skateboard vede una piattaformadi carico o un tavolo da pic-nic o una parete, voi vedeteun invito. Dove chi non è scrittore vede cicatrici, un traf-fico tremendo o finestre rotte, voi vedete storie. Lo skate-board e la scrittura vi fanno sentire a casa in spazi limi-nali, incentivano l’empatia, rafforzano la resistenza. En-trambi richiedono livelli di autonomia e dedizione chepochi riescono ad avere, ma, paradossalmente, proprioquell’indipendenza e quell’impegno attraggono chi è co-me voi. A parte i parenti, tutte le persone importanti del-la mia vita le ho incontrate attraverso lo skateboard o lascrittura. Facendo skateboard o scrivendo si sta spessoper conto proprio, ma non si è mai soli.

Quel che amo dello skateboard: parte seconda

Il vocabolario. Amo i trick che si chiamano SwitchCrooks, Impossibile, Hardflip, Mute Air, Wooly Mam-moth, Texas Plant, Nosebone, Lipslide e Stale Fish. Mi piace che rompere intenzionalmente una tavola si dicafocusing, e che le brutte cadute siano chiamate slam, emi piacciono i nomi di alcuni tipi di slam: i Wilson,quando la tavola va avanti e tu fai una specie di capriolaall’indietro come un personaggio dei cartoni animatiche scivola su una buccia di banana. Sacking, è quando

L’autoreBret Anthony Johnston, texano, classe 1971, ha esordito nel 2004 con la raccolta di racconti Corpus Christi, acclamata dalla critica: libro dell’anno per «The Indipendent» e «The Irish Times», mentre la National Book Foundation lo inserì tra i cinque migliori autori sotto i 35 anni. Ha curato il volume Naming the World: And Other Exercises for the Creative Writer (Random House, 2008). I suoi lavori sono apparsi su «The Atlantic Monthly», «Esquire», «The Paris Review». Skater professionista per quasi vent’anni, nel 2012 ha lavorato alla sceneggiatura del documentario Waiting For Lightning, sullo skater Danny Way. Dirige il dipartimento di scrittura creativa di Harvard

Il romanzoÈ da poco uscito per Einaudi Stilelibero il primo romanzo di Bret Anthony Johnston, Ricordami così (traduzione di Federica Aceto, pp. 468, � 21), apprezzato da critica e lettori, storia di una cittadina americana sconvolta dalla sparizione di un ragazzino

Page 2: Ogni cicatrice è poesia

DOMENICA 20 SETTEMBRE 2015 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 45

Il guru delle diete, sulla breccia da quarant’anni,

con spirito e ironia svela se stesso, i suoi

«pazienti» (illustri) e regala ricette del vivere

sano, mescolando ingredienti, sfatando

credenze. Gocce di saggezza soprattutto, più

utili della bilancia che ossessiona. Libro di

avventure e consuntivo umano di un francese

che definisce missione la sua carriera. Alain

Mességué, La dieta del sorriso/La mia vita, i miei segreti (Cairo, pagine 142, � 13).

I segreti (e le diete) di Alain Mességué

{Cotture brevidi Marisa Fumagalli

Sopra: Mounir Fatmi (Tangeri, Marocco, 1970), Maximum sensation (2012, installazione realizzata con 50 skateboard usati), New York, Brooklyn Museum of art: l’artista costruisce spazi visivi e giochi linguistici con l’intenzione «di liberare lo spettatore da preconcetti». Nei suoi video, nelle sue installazioni, nei suoi disegni, nei suoi dipinti, nelle sue sculture Fatmi alterna così oggetti religiosi (come tappeti da preghiera) a skateboard: un irriverente gioco di contaminazioni che vuole «portare alla luce dubbi, paure e desideri»

offendermi, o entrambe le cose. Non so neanche se sifosse reso conto della situazione paradossale in cui miaveva messo la mia gioventù sbandata, portandomi nellastessa sacra istituzione in cui lui era di casa.

Ancora passione, e un po’ di filosofia

Mi piace che gli skater facciano uso degli ostacoli chetrovano per strada: le panchine alle fermate degli auto-bus, i pali inclinati, le scalinate, le fioriere sopraelevate, imarciapiedi pieni di radici affioranti e un sacco di altrecose. Incorporiamo nelle nostre sessioni strutture nor-mali, e usandole in questo modo le facciamo diventareoggetti straordinari.

Non è forse questo lo scopo di ogni arte? Gli artisti piùincisivi non ci fanno forse vedere luoghi comuni, rive-landone l’aspetto concreto e quello ideale al contempo?Quando vedete una skater percorrere una ringhiera, nonpensate forse contemporaneamente al passato, al pre-sente e al futuro, chiedendovi come sia riuscita a saliresu quella ringhiera con la tavola, quante volte sia cadutaprima di farcela, quanti infortuni abbia avuto, e cosa faràpoi?

Sotto un profilo più pratico, non è forse un obiettivocomune a tutti non scoraggiarsi o arrendersi di fronteagli ostacoli di un percorso, ma piuttosto affrontarli emetterli a frutto in modo che ci spingano a progredirecon più fiducia e creatività? Oprah e il Dr. Phil hanno co-struito imperi seguendo questa via. Ripensate allo skaterche vi ho chiesto di osservare, quello che non smette diprovare il trick finché non ci riesce, e che vi ha fatto can-cellare la prenotazione per la cena. Ricordate che non hachi lo alleni. Nessuno gli dice di rimanere, è semmai pro-

babile che un vigile gli dica di andarsene. Nessuno gli hafatto credere che quella perseveranza gli farà avere un la-voro o una ragazza. Al contrario, il mondo gli ha insegna-to che essere uno skater è un rischio, nel campo del-l’amore o del lavoro. Eppure, rimane. Se quel ragazzonon si arrende, nonostante i suoi stinchi abbiano un aspetto peggiore di quelli di un kickboxer thailandese, pensate davvero che da adulto vi deluderà sul lavoro? Gliskater non solo vedono il mondo in modo diverso, madal mondo si aspettano di più.

La mia tesi, anche se in coda

Lo skateboard non è arte, produce arte — i trick, il lin-guaggio, la grafica, le tavole usate che rivestono le paretidel mio ufficio. Lo skateboard è un mezzo. È un’ossessio-ne, una prospettiva, un’impronta digitale. Guardandouna persona fare skateboard, capiamo che tipo sia — nevediamo l’essenza.

Un ultimo pensierosullo skateboard e sulla scrittura

Molti scrittori, come molti skater, vi diranno che lascrittura (o lo skating) permette loro di esprimersi. Adavere questa idea sono tanti miei amici, colleghi, idoli.Eppure io, modestamente ma decisamente, dissento. Non si scrive né si va in skateboard per esprimersi. Scri-viamo e facciamo skateboard per trascendere noi stessi.Quando scrivo, mi sento liberato dalla mia esperienzapiccola e irrimediabilmente limitata. Mi concentro nonsu di me, sulle mie piccole paure, i grandi difetti e la pa-ralizzante sensazione di essere importante, ma sulla vita

dei personaggi, le cui esperienze avranno sugli altri un’influenza che le mie non avranno mai.

Quando faccio skateboard, mi concentro così intensa-mente sul mio corpo, sulla mia tavola, sulla pista e sullameccanica dei miei movimenti, che mi libero, parados-salmente e meravigliosamente, dai vincoli fisici. Con en-trambe queste attività mi lascio alle spalle me stesso. Ogni volta che salgo sulla tavola o siedo alla scrivania, miabbandono a qualcosa di molto più grande di quanto sa-rà mai la mia piccola esperienza.

Questo mi dà un conforto immenso, una rassicurazio-ne che immagino simile a quella che i credenti trovanonella preghiera o nella chiesa. Ci si sente parte di qualco-sa, miracolosamente nudi ed esposti, ed è in questa con-dizione di umiltà che riusciamo a creare in maniera piùsignificativa. La creazione avverrà su una pagina o su uncorrimano o in aria, e richiederà un giorno o un decen-nio. Ci costerà. Avremo paura. Ma sapremo anche che quello che stiamo facendo ha un valore.

Una specie di conclusione

L’Avvocato non mi ha detto cosa, secondo lui, rivelassedi me il fatto che fossi uno skater. Probabilmente soster-rebbe che mi sto aggrappando alla giovinezza, alla miagioventù sbandata, come l’aveva chiamata quel professo-re. Quei due mi hanno entrambi fatto pensare alle guar-die che cacciavano me e i miei amici dai luoghi in cui fa-cevamo skateboard. Sono dei prepotenti, ma anche sehanno un distintivo, una cattedra importante all’univer-sità o un completo gessato, non mi hanno mai spaventa-to. Cosa potrebbero farmi che mi ferisca di più del cade-re dal corrimano di una scalinata? Cosa potrebbe intimo-rire più del venir giù da una rampa alta quasi due piani?No ragazzi, dovete impegnarvi meglio se volete farmiscendere dalla mia tavola.

Questo non vuol dire che non abbia paura. Quandonon faccio skateboard o non scrivo ho, come tutti, pauradi ammalarmi e di perdere le persone che amo, di diven-tare vecchio o di non riuscire a diventare vecchio. Ho pa-ura dei film della serie Saw, di cadere nella doccia, delfurto di identità. Inspiegabilmente, ho una grande pauradi dover aiutare a far nascere un bambino. Come scritto-re ho paura delle recensioni negative, del fatto che ci sia-no sempre meno librerie indipendenti e della mia pigri-zia artistica. Come skater temo le cadute rovinose, cadu-te così devastanti che anche dopo essere guarito dai traumi, non avrei più il coraggio di tornare sulla tavola.Sono terrorizzato che le parole e i trick si inaridiscano,per quanto ci metta tutta la mia energia e tutto il miocuore.

No, non sono poche le cose che mi spaventano. Maquando sono alla scrivania o su una rampa, svanisconotutte. Sento di incarnare una versione più forte, corag-giosa, capace e amorevole di me stesso. Mi sento vivo. Misento fortunato come nessun’altro. Cosa dice di me il fat-to che continuo a essere uno skater a quarantatré anni?Dice che sono fortunato, molto, molto fortunato.

(traduzione di Maria Sepa)

© 2015 BRET ANTHONY JOHNSTON/AGENZIA LETTERARIA SANTACHIARA