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Per secoli scienziati ed artisti hanno speculato sull’origine dei sogni,
tentando di comprenderne il significato. Molte teorie hanno ascritto i sogni
a forze esterne misteriose.
Oggi, grazie al progresso delle neuroscienze, è possibile costruire un modello del sogno
e degli altri stati di coscienza basato sul cervello.
Osservando le rappresentazioni dei sogni nell’arte occidentale,
possiamo finalmente cominciare a costruire una visione realistica
della creativa mente umana.
Allan J. Hobson
Harvard Medical School, Boston
In gran spolvero, stasera, un repertorio che vede protagonisti personaggi come Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Ray Charles, Duke Ellington, Louis Armstrong, Glenn Miller e altre grandi icone del jazz. Il piccolo ensemble estratto dalla Federico II Jazz Orchestra darà una scossa alla propria scaletta, per la gioia di chi ascolta, e soprattutto del prof. Hobson, il quale ha chiesto espressamente una serie di brani ai quali è evidentemente affezionato. Guai, adesso, a vederlo distratto mentre i nostri prodi (ma si può dire, in periodo di par condicio?) musicisti suonano. Tra le “hits” – pare strano chiamarle così dopo sessant’anni, ma se a suonarle è ancora buona parte del pianeta, tant’è – in programma, “Dream When You’re Feeling Blue”, conosciuta anche col più semplice “Dream”: un brano scritto da Johnny Mercer e cantato da quelli che sono stati i più grandi interpreti della musica moderna, da Sinatra alla Fitzgerald, fino ad arrivare a Ray Charles. “Did You See a Dream Walking?” accompagnava, nel 1933, il film “Sitting Pretty”. Composta da Herry Revel e Mack Gordon, ugual sorte ha avuto in tempi recenti: inserita nella colonna sonora di “The Green Mile” (a noi noto come “Il miglio verde”) la canzone ha goduto nuovamente di una certa popolarità anche al di fuori degli States. Anche per questo brano, la lista di interpreti illustri è considerevole, annoverando Bing Crosby, Gene Austin, il Fats Domino coinvolto di recente nel disastro di New Orleans, e molti altri artisti. “Laura” è uno standard tra i più suonati finanche in territorio nostrano, scritto dal grande compositore di musiche per film David Raksin, e rivisitato da buona parte dei jazzisti internazionali nei modi più disparati. L’orchestra di Glenn Miller, poi, aveva tra i suoi cavalli di battaglia un brano che ora, addirittura, si può scaricare come suoneria per il telefono cellulare (e questo è tristemente un buon indice di successo per una composizione): “In The Mood”. Accade spesso che, a furia di ascoltare lo stesso brano suonato dallo stesso artista, si finisca col commettere degli errori di attribuzione. “In The Mood” non è stato scritto da Miller, come molti, erroneamente, pensano. Il padre di questo spartito è il molto meno famoso Joe Garland, Miller la registrò per la prima volta nel ’39, con la propria, celeberrima, compagine di jazzmen. “Take The A Train” è certamente il più noto tra i brani in scaletta, e anche in questo caso le attribuzioni errate sono in agguato. Non è Duke Ellington il compositore di questo evergreen, bensì Billy “Sweet Pea” Strayhorn, uno dei più geniali creatori di musica jazz mai esistiti (che fu membro dell’ellingtoniana orchestra dai ventidue anni d’età, e ne rimase il primo arrangiatore per tutta la vita). Il brano, connotato da un forte valore metaforico per la comunità nera d’America, è stato proposto nel corso degli anni in tutte le salse: dalle sigle degli spot cinematografici alle già menzionate suonerie per telefonini. Più o meno la stessa sorte – in quanto ad attribuzioni - è toccata a ”Blueberry Hill”, portato alla ribalta da Louis Armstrong (anche conosciuto come “Satchel Mouth”, e da qui “Satchmo” a causa delle dimensioni che il suo sorriso riusciva a raggiungere) ma scritto da Al Lewis, Larry Stock, e Vincent Rose. Buon ascolto a tutti.
Stefano Piedimonte
PROGRAMMA MUSICALE
Dream when you're feeling blue (J. Mercer) You tell me your dream (G.Kahn, P. Weirick)Did You see a dream walking? (J. Mc Hugh, D. Fields)Laura (D. Raskin) In the mood (J. Garland)Blueberry Hill (Al Lewis, L. Stock, V. Rose)Five foot two, eyes of blue (S. Lewis, J. Young, R. Henderson)Take the A train (Duke Ellington)
ENSEMBLE FEDERICO II JAZZ ORCHESTRA
CARMEN VITIELLO voce GIULIO MARTINO sax BRUNO ROTOLI sax FLAVIO GUIDOTTI pianoforte GIOVANNI ROMEO batteria MICHELE FIORE contrabbasso
Allan J. Hobson
J. Allan Hobson è professore ordinario di Psichiatria presso la Harvard Medical School di Boston, nel Massachusetts. Nato il 3 giugno 1933 ad Hartford, Connecticut, consegue il bachelor degree presso la Wesleyan University nel 1955, seguito nel 1959 dalla laurea in Medicina e Chirurgia presso la Harvard Medical School. Tra il 1959 e il 1960 svolge l’internato presso il Bellevue Hospital di New York; dal 1960 al 1961 e dal 1964 al 1966 è interno in Psichiatria al Centro di Sanità Mentale del Massachusetts General Hospital di Boston. Durante l’anno accademico 1963-64, il dott. Hobson è membro straordinario dell’Istituto Nazionale di Sanità Mentale, presso il Dipartimento di Fisiologia dell’Università di Lione, in Francia. Tra i suoi incarichi clinici e accademici:
1964-67: Ricercatore associato presso il Dipartimento di Fisiologia 1965-66: Assistente di Psichiatria presso la HMS
della Harvard Medical School (HMS)
Sanità Mentale del Massachusetts (MMHC) di
universitario di Psichiatria presso la HMS
la HMS
sso la HMS University di Providence, RI
i Scienze Comportamentali
Professor Hobson ha ottenuto numerosi incarichi presso università straniere, nel 1988 come Lettore
uoi principali interessi nel campo della ricerca sono: le basi neurofisiologiche della mente e del
i particolare rilievo nell’ambito di tale progetto è il suo ruolo di ideatore, regista e produttore di
1965-67: “Psichiatra Senior” presso il Centro di Boston. 1966-67: Assistente1967-69: Professore Associato in Psichiatria presso la HMS 1967 ad oggi: Direttore del Laboratorio di Neurofisiologia presso 1967 ad oggi: Preside di Psichiatria presso la HMS 1969-74: Assistant Professor di Psichiatria pre1972-74: Professore incaricato di Psichiatria presso la Brown1972: Direttore del Programma di Training per il Gruppo di Psicoterapia 1974: Professore Associato di Psichiatria presso la HMS 1978 ad oggi: Professore Ordinario di Psichiatria presso la HMS 1980-86: Direttore del Programma HMS di Insegnamento d
Ilpresso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna in occasione del novecentesimo anniversario di tale Ateneo. Grazie alla sua brillante carriera il dott. Hobson ha conseguito numerosi premi e riconoscimenti, tra cui l’ammissione alla Boylston Medical Society e la medaglia d’oro “Benjamin Rush” per il miglior esperimento scientifico, conferitagli dalla American Psychiatric Association nel 1978. Ha conseguito il Premio della Sleep Research Society come Insigne Scienziato nel 1998. Oltre a molteplici incarichi nel collegio della Harvard Medical School, il prof. Hobson ha preso parte a svariati collegi medici nazionali e regionali, e ha collaborato al quadro editoriale di varie riviste mediche. Ha ottenuto numerosi incarichi di consulenza tra cui Consulente Esperto di Psichiatria per la Commissione di Riabilitazione del Massachusetts nel 1965.
I scomportamento; il sonno e il sogno; la storia della neurologia e della psichiatria. Ha scritto numerosi articoli per riviste scientifiche, e vari capitoli per diversi libri di medicina, tra cui: The Dreaming Brain,pubblicato da Basic Books nel 1988, e Sleep, pubblicato dalla Scientific American Library nel 1989. I lavori più recenti del dott. Hobson sono incentrati sugli aspetti cognitivi del sonno e i suoi benefici. I concetti e i risultati di questo nuovo lavoro sono riportati in The Chemistry of Conscious States (Little Brown, 1994) e Consciousness (Scientific American Library, 1998), Dreaming as Delirium (The MIT Press, 1999), The Dream Drugstore (MIT Press, 2001), Out of Its Mind: Psychiatry in Crisis (Persus Books, 2001), e Dreaming, an Introduction to Sleep Science (Oxford, 2002), From Angels to Neurones: Art and the New Science of Dreaming (Mattioli 1885, 2005).
DDreamstage, An Experimental Portrait of the Dreaming Brain, presentato al Carpenter Center for the Visual Arts nel maggio del 1977, allestito su territorio nazionale dal 1980 all’82, e a Bordeaux, in Francia, nel 1984. Il prof. Hobson è stato consulente di alcuni musei scientifici con la Società di Neuroscienze ed è stato particolarmente influente per la progettazione e il finanziamento dello Human Brain Exhibit al Boston’s Museum of Science del 1986. In occasione del cinquantesimo anniversario della ricerca sul sonno da quando, Aserinsky scoprì l’attività REM nel 1953, ha prodotto il DVD Dreamstage 2003, di cui 5000 copie sono state distribuite ai colleghi durante il meeting della Sleep Research Society nel giugno 2003.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
DAGLI ANGELI AI NEURONI L'ARTE E LA NUOVA SCIENZA DEI SOGNI
Allan J. Hobson
Professore di Psichiatria Harvard Medical School di Boston
Those dreams that on the silent night intrude,
And with false flitting shapes our minds delude,
Jove never sends us downward from the skies,
Nor can they from infernal mansions rise;
But all are mere productions of the brain,
And fools consult interpreters in vain.
Quei sogni che si insinuano nella notte silenziosa,
E che con forme ingannevoli illudono le nostre menti,
Non ce le manda Giove dai cieli,
Né possono sorgere dalle residenze degli inferi;
Bensì non sono altro che prodotti del cervello,
E stolti son coloro che invano consultano gli
interpreti.
Jonathan Swift, On Dreams, 1727
L'angelo dei cristiani è solo l'ultima
di una lunga serie di agenzie effimere a cui
venga affidata la responsabilità di spiegare
le meravigliose visioni notturne
rappresentate dai nostri sogni. Gli angeli
sono i discendenti degli dei alati pagani,
portatori delle "forme ingannevoli" di Swift.
Nel corso degli ultimi due millenni, molti
sognatori e pensatori occidentali hanno
attribuito le esperienze oniriche a dei
messaggeri alati provenienti dall'aldilà, non
essendo a conoscenza dei meccanismi di
auto-creazione insiti nelle loro teste.
Ora, all'alba del terzo millennio del
calendario cristiano, ci stiamo rendendo
conto che il sogno è uno stato di coscienza
le cui caratteristiche uniche e la cui stessa
esistenza sono generate da trasformazioni
fisiche e chimiche nel cervello che la
neuroscienza moderna ha iniziato a mettere
in chiaro. Pur non essendo affatto giunto a
completamento, questo passaggio
paradigmatico - dallo spirituale angelo al
fisico neurone in quanto principale artefice
del sogno - ha implicazioni di vasta portata
per l'umanità, in generale, e per le teorie
sulla produzione e sulla fruizione dell'arte,
in particolare.
Il passaggio paradigmatico
dall'Angelo al Neurone, che svilupperò in
questa presentazione, venne concepito un
secolo fa da Sigmund Freud. L'influenza di
Freud sul nostro modo di pensare a
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proposito della produzione e della fruizione
dell'arte è stato profondo. Secondo Freud,
dobbiamo la nostra sensibilizzazione
all'impatto di molte forze biografiche
individuali e culturali collettive che
contribuiscono a dare forma alle opere
d'arte e a determinarne il loro contenuto.
Ma, dal momento che la teoria estetica di
Freud fu formulata in assenza di specifici
dettagli neurofisiologici, essa non solo ha
bisogno di rettifiche bensì persino di essere
riformulata.
Freud era convinto che l'adulto
desideri inconsciamente fare ritorno al
mondo perduto dell'infanzia. Il sogno è uno
dei modi in cui si esprime questo desiderio,
l'arte è un altro. Secondo Freud, gli artisti
possiedono il dono esclusivo di restare in
contatto con le prime esperienze della loro
vita e di manifestarle attraverso il proprio
lavoro; e l'ispirazione creativa dipende dalla
capacità dell'artista di distillare le immagini,
le emozioni e le aspirazioni perdute della
propria infanzia.
Io suggerirò che le idee di Freud
hanno inconsapevolmente perpetuato gli
aspetti dell'agenzia angelica, come la
preordinazione, la profezia e
l'interpretazione, che invece avrebbero
dovuto rimpiazzare. Inoltre, suggerirò che
la psicoanalisi di Freud, che riguarda i
prodotti della mente, tra cui le opere d'arte,
in quanto compromessi tra impulsi
biologicamente imperativi e proibizioni
socialmente condizionate, è socialmente
discutibile. In maniera simile a quella in cui
lo scolasticismo medievale ha portato a
secoli di esegesi testuale e decodificazione
di simboli, la moderna psicanalisi ha
vincolato grandi segmenti del pensiero
accademico e popolare a uno sforzo volto a
ridurre la creatività a una prova di un
conflitto psicopatologico.
In questa presentazione, suggerirò il
fatto che il sistema autoattivante e
caoticamente aperto del cervello sognante
fornisce la base per mettere insieme arte e
scienza attraverso una sintesi nuova ed
emancipante. Pertanto, uno dei miei
obiettivi sarà indicare che la neurofisiologia
del sogno è in grado di offrire una nuova
comprensione della creatività e del processo
creativo, accettando il vincolo
dell'imprevedibilità. La mia posizione e la
sua critica della psicanalisi possono essere
illustrate dal quadro di Paul Delvaux,
L'École des Savants. Delvaux e i Surrealisti
puntavano a esplorare l'imprevedibilità
creativa della mente sognante, in quanto
fonte di ispirazione artistica, e a
descriverla, come ha fatto Delvaux nel
paesaggio onirico che sta al centro del suo
dipinto e di cui sia lo psicanalista che parla
con la persona che sta sognando davanti a
lui, sulla destra, che il neurobiologo* (* Il
neurobiologo è il Professor Lindenbrock,
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
ispirato o copiato da un'incisione di Edouard
Rion che illustra l'edizione Hertzel,
pubblicata nel 1864, di Viaggio al centro
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
della terra di Jules Verne) che esamina un
cervello senza vita, sul lato sinistro, sono
inconsapevoli.
Paul Delvaux (1897-1994)L'école des savants (1958), Museum des XX. Jahrhunderts, Vienna (Austria)
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
ECCO COSA SOGNANO GLI ANIMALI
Giancarlo Vesce
Professore di Anestesiologia Veterinaria Università degli Studi di Napoli Federico II
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
Gli elementi misteriosi del sogno
hanno accresciuto per secoli l’ipotesi,
alquanto egocentrica, secondo cui l’attività
onirica costituisse una prerogativa dei
cervelli superiori e che fosse quindi un
privilegio dell’uomo. A vantaggio dei fautori
di tale ipotesi giocava l’impossibilità di
interrogare gli animali riguardo il contenuto
dei loro sogni, unica prova tangibile
dell’attività onirica.
Che gli animali sognino o meno è
una questione da ricondurre alla natura
della loro coscienza, la quale potrebbe
compromettere la consapevolezza del
sogno. Tuttavia, anche la coscienza è una
dote fortemente dibattuta negli animali,
cosa che incrementa i dubbi sulla loro
facoltà di sogno.
Il sogno è uno stato della coscienza
caratterizzato da percezioni basate
sull’esperienza (memoria), che generano
emozioni (sentimenti): personalmente non
ho difficoltà a riconoscere agli animali le
doti di percezione, memoria e
sentimenti. Si tratta infatti di un fenomeno
comune a molte specie animali, che svolge
funzioni vitali quali archiviare le
informazioni, consolidare la memoria e
favorire l’apprendimento di nuove
procedure (memoria procedurale). Durante
il sogno, stato particolare della coscienza in
cui si verificano dei cambiamenti nel livello
di attivazione cerebrale, tutti i mammiferi
manifestano lo stesso tipo di attività
cerebrale, ovvero uno stato di massima
attivazione. Inoltre le loro manifestazioni
comportamentali, i fenomeni elettrici, gli
eventi neuro-umorali e l’effetto dei farmaci
risultano identici a quelli riscontrati
nell’uomo.
Ma andiamo per gradi. La scienza dei
sogni, come molte altre discipline mediche,
ha fondato i propri passi sull’osservazione
del comportamento degli animali. La
scoperta del sonno REM e la sua
correlazione con il sogno (Aserinsky e
Kleitman, 1953) fu seguita da una lunga
serie di indagini che ne confermarono
l’esistenza in molte specie animali; era
evidente tuttavia un’ampia variabilità tra le
specie, che non consentiva facili illazioni.
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Un quarto di secolo dopo, Allison e Cicchetti
(1976) condussero, su 39 specie di
mammiferi, una ricognizione statistica
sistematica sulle variabili del sonno,
dimostrando che il sonno REM ha una
durata inversamente proporzionale al
rischio di predazione: chi non dorme
tranquillo sogna poco! Le analogie tra uomo
e animali riguardano l’intero repertorio del
sonno, dal numero delle sue fasi alla loro
sequenza e caratteri, dal metabolismo
cerebrale all’imaging funzionale, fino alla
patologia del sonno che non risparmia agli
animali sindromi quali la narcolessia e
l’apnea ostruttiva. Molto di quanto
sappiamo sul sogno è stato osservato sul
gatto, un modello prezioso per la fisiologia
della vita di relazione; studi cui hanno
contribuito scienziati italiani quali Valentino
Moruzzi e Ottavio Pompeiano. Alla loro
scuola si è formato Adrian Morrison , autore
di studi sulla paralisi che interviene in
concomitanza della fenomenale attività
onirica (1982). L’immagine riportata
accanto dimostra il comportamento di un
gatto che, in seguito a precise lesioni del
tronco cerebrale, entrando nella fase REM
interpreta il “sogno” con un’azione disinibita
dall’assenza della paralisi: il soggetto
insegue una preda immaginaria mimando
una classica tattica di caccia. Tale “sogno”,
che dopo la lesione si ripete ad ogni nuovo
episodio di sonno REM, risulta molto
frequente negli animali predatori,
avvalorando l’ipotesi, formulata per l’uomo,
che i sogni siano piuttosto stereotipati tra
individui della medesima specie. Una più
recente evidenza dell’attività onirica degli
animali (Louie e Wilson, 2000) è stata
conseguita registrando nel ratto l’attività di
diversi neuroni dell’ippocampo, una
struttura cruciale per la formazione della
memoria. L’attività di tali neuroni veniva
registrata prima sui soggetti svegli, durante
l’apprendimento di un percorso (rinforzato
da una ricompensa), quindi durante le
successive fasi di sonno REM. Grazie alle
diverse registrazioni contemporanee
impiegate da tali autori, è stato possibile
dimostrare che durante il sogno i soggetti
ripercorrevano fedelmente il labirinto
esplorato da svegli, e persino individuare in
quale preciso punto del percorso si
trovavano in un determinato momento del
sogno. Testimonianze e rapporti dettagliati
su sogni di animali sono abbondanti e
spaziano dagli elefanti alle scimmie,
fornendo una innegabile evidenza etologica
della loro attività onirica, non di rado
segnata da manifestazioni di paura. Le
argomentazioni riferite in questa sede non
risulteranno nuove a coloro che hanno
familiarità con gli animali e con il loro
comportamento durante il sonno, e sanno
che in alcuni momenti esso è identico a
quello dell’uomo che sogna.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
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SOGNI E ARTE
Antonio Giuditta
Professore di Fisiologia Direttore del Centro Interdipartimentale per le Neuroscienze Università degli Studi di Napoli Federico II
Sulla natura e sull’origine dei sogni è
plausibile che l’uomo si sia interrogato sin
dai primi barlumi della sua coscienza, molto
prima di quanto non dicano i documenti
giunti fino a noi. E’ quindi più che
comprensibile che in quelle epoche i sogni
venissero considerati messaggi degli dei,
poi divenuti gli angeli della tradizione
cristiana. Dovevano essere convinzioni ben
radicate se ci sono poi voluti secoli e secoli
di ripensamenti per sostituire ad una genesi
del tutto estranea all’uomo, processi e
attività presenti all’interno dell’uomo.
Questo è l’affascinante cammino che viene
descritto con grande maestria da Allan
Hobson e Hellmut Wohl nel volume “Dagli
angeli ai neuroni”.
La storia di questo radicale
mutamento è tuttavia solo una parte del
libro, riconoscibile nel robusto filo di
Arianna che si intreccia ad una spendida
ricchezza di immagini pittoriche per
dimostrare che la bizzarria e la creatività
del sogno sono da sempre figlie della stessa
profonda sostanza dell’arte e della creatività
artistica. Il sottotitolo che sottolinea “Arte e
la nuova scienza del sogno” ricorda tra
l’altro che alla fine dell’affascinante
cammino si raggiunge un traguardo
ambizioso, la scienza del sogno identificata
nell’attuale visione fisiologica di Hobson. Si
entra così in un territorio controverso,
solcato da opinioni discordanti non solo
sulla natura dei sogni ma anche su quella
dell’uomo. Non sono infatti pochi quelli che
ancora sostengono che l’uomo sia fatto
della stessa sostanza dei sogni!
Ed è appunto questo convincimento
poetico, adulatorio e indimostrato, che ha
fatto lievitare le obiezioni ad una scienza
del sogno basata sulle sofisticate
conoscenze fisiologiche del cervello che
dorme di sonno attivo, quando i sogni si
fanno più numerosi, più vividi e più bizzarri.
Si propone infatti che sotto la spinta di
stimoli casuali il cervello riesca a tessere
storie oniriche variopinte e imprevedibili
che ne riflettono la straordinaria potenza
creativa, la stessa che prende forma nei
prodotti dell’arte. Ritorna così il confronto
mai sopito con l’eterogenea schiera dei
fautori dell’anima, della mente, dello spirito
considerate entità distinte dagli oggetti
materiali di cui il cervello è composto.
Parrrebbe quindi, ancora una volta, che non
riesca a farsi strada nessuna via di mezzo,
nessuna concezione unitaria capace di
superare gli opposti estremismi.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
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IL SOGNO IN LETTERATURA
Antonio Saccone
Professore di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea Università degli Studi di Napoli Federico II
Hanno congruenza i sogni di carta,
ovvero i sogni di cui è gremito l’universo
della finzione letteraria, con l’universo dei
sogni ‘veri’ che - via regia dell’inconscio,
secondo la parola di Freud - occupano parte
del nostro sonno? Senza dubbio sì, se si
riflette sul fatto che il sogno, quello che si
sogna ‘realmente’ fuori del testo letterario,
è strutturato come un linguaggio:
figurazione del carattere non univoco della
verità esso è, dunque, al pari del sogno
raccontato, suscettibile di commento e di
interpretazione. D’altro canto si può
concepire un sogno che non sia un sogno
raccontato? Se ciò non è possibile, ne
consegue che la scena onirica si può mirare
solo attraverso la mediazione linguistica. In
questo quadro, se narrare, dentro e fuori la
letteratura, è sempre mentire, il somnium
fictum costituisce una doppia menzogna.
Tuttavia la sua verosimiglianza non può non
essere presa sul serio, anche in accordo a
quella «sospensione dell’incredulità»
implicitamente pattuita da ogni atto di
lettura.
L’intercambiabilità tra sogno e
letteratura ha sollecitato Jorge Luis Borges
a formulare, nel Prologo dell’antologia Libro
de sueños, l’ipotesi, di inquietante fascino,
dei sogni come il più antico e non meno
complesso dei generi letterari, collaborando
a consolidare l’idea che lo statuto di un
sogno in un testo di invenzione letteraria
sia legittimamente apparentabile allo
statuto che un sogno ha al di fuori di
questo. Il discorso ha tanta più rilevanza se
riferito alle innumerevoli opere che nel
secolo scorso hanno assunto, all’interno
della loro configurazione narrativa, il sapere
freudiano come materiale da costruzione,
paradigma compositivo. Si prenda il caso
(canonico) della Coscienza di Zeno di Italo
Svevo in cui, se si discredita la legittimità
terapeutica della psicoanalisi, se ne
mutuano, a livello non solo tematico ma
anche retorico-espressivo, le modalità
comunicative e i fondamenti epistemologici.
In questo romanzo spicca per ampiezza e
significatività il cosiddetto “sogno di
Basedow”. Esso, raffigurando in termini
degradati l’istanza paterna, vale a dire
l’istanza del divieto, della Legge, di cui il
personaggio di Basedow dovrebbe essere
garante, conferma la singolare ambivalenza
che governa il desiderio inconscio del
protagonista, le sue continue
approssimazioni e fughe dinanzi all’oggetto
desiderato. Quel sogno soddisfa un
desiderio paradossale (che appare, in
realtà, tale solo a chi non abbia familiarità
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
con la dottrina freudiana): l’insoddisfazione
del desiderio di Zeno. Il desiderio inconscio
di quest’ultimo, infatti, non è fare all’amore
con Ada, la donna che gli si è rifiutata, ma
piuttosto che quel desiderio rimanga
interdetto. L’esito è un nevrotico
compromesso, destinato ad essere di
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
continuo disdetto e a riproporre
indefinitivamente quello strategico
andirivieni tra ordine e avventura, norma e
trasgressione che costituisce la fisionomia
sospesa del personaggio sveviano, il suo
vivere in stato di permanente lapsus.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
LO SCHERMO ONIRICO
Ettore Massarese
Professore di Discipline dello Spettacolo Università degli Studi di Napoli Federico II
Nei suoi studi sullo sviluppo mentale
del bambino Jean Piaget ci dice come,
almeno sino all’età di cinque anni, tutti noi
siamo portati a considerare il materiale
onirico come qualcosa di esterno alla
mente, come uno scenario fatto di immagini
che veleggiano nel buio della stanza,
fantasmi che attivano ancestrali paure e
fantasmagoriche emozioni; solo dopo il
sesto anno di età cominciamo a collocare i
sogni “dentro la testa” e prendiamo
consapevolezza che hanno a che fare con la
nostra attività mentale, con la sfera del
nostro privato. Forse è proprio la memoria
di questa percezione-rappresentazione
‘esterna’ del sogno che spiega lo stupore e
la fascinazione ‘infantile’ che ancora oggi ci
prende all’interno di una sala buia sul cui
fondo danzano storie e ‘fantasmatiche’
rappresentazioni di corpi. Finiamo
insomma, all’interno di un cinema, per
ritrovarci in quella condizione di soglia, di
realtà sospesa, di ‘credulità’ innocente con
la quale accettavamo le avvenienze dei
sogni come finestre o porte su altri mondi.
Non a caso, a mio avviso, J. Allan Hobson e
Hellmut Whol nel loro volume Dagli angeli
ai neuroni: l’arte e la nuova scienza dei
sogni, nell’intrecciare i fili di connessione
tra l’arte cinematografica e le
problematiche oniriche, segnalano la
rilevanza dell’opera di Ingmar Bergman. Il
film preso in esame è Il posto delle fragole,
dove grazie alla tecnica del flashback, il
protagonista sovrappone, nella drammatica
incoerenza propria dei sogni, frammenti
della propria infanzia a distorsioni spazio
temporali che prefigurano lo scenario di una
disperata solitudine prossima alla morte:
come a dire lo sguardo di un bambino che
persiste nel corpo di un vecchio.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
E’ il classico esempio di un cinema
che si fa occhio della mente, che
consapevolmente allestisce uno scenario nel
quale la realtà quotidiana fa i conti con
l’oscuro territorio dell’inconscio, deposito
dei desideri e delle pulsioni non espresse. Il
cinema in questo caso allude, più che al
sogno, alla sua narrazione, alla funzione,
cara a Freud, di portare verso i gradi della
consapevolezza e di un equilibrio possibile i
frammenti dell’io. Ma dove, a mio parere,
Bergman esemplifica, con un impatto visivo
memorabile, la disponibilità infantile a
percepire i sogni come uno scenario
indistinguibile dal quotidiano è nel film
Fanny e Alexander.
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
In quest’opera Bergman dimostra,
con forza, come il cinema possa restituirci
lo sguardo incantato dell’infanzia. La
sequenza che qui vale la pena di segnalare
è quella nella quale lo zio “fanciullone” dei
due bambini protagonisti mette in funzione,
al buio della loro cameretta, una lanterna
magica: l’incanto di immagini fiorite, fate,
paesaggi fiabeschi inonda gli occhi dei
protagonisti, le pareti della loro camera
divengono membrane porose che assorbono
e rifrangono visioni d’altri mondi. E’ il
cinema nella sua semplicità istitutiva di
luce, buio colore, movimento, in uno con il
dono infantile di sospendere e alleggerire il
peso della percezione del vero. In questa
chiave inviterei a rileggere l’autobiografia
del regista svedese che nel titolo richiama
la sequenza descritta. Potrei chiudere
queste brevi considerazioni con una
riflessione intorno al titolo del volume di
Hobson e Whol: se è vero che la nuova
scienza dei sogni ci dimostra che le
immagini oniriche sono prodotte dall’attività
elettrochimica dei neuroni, il cinema e le
altre arti della rappresentazione,
soprattutto quando queste richiamano
quella parte di noi che possiamo chiamare
‘bambino’, ci restituiscono la capacità
‘angelica’ di avvertire il sogno come
fabbrica dell’invisibile, del non materiale,
del divino infine.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Dagli angeli ai neuroni: l’arte e la scienza dei sogni
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
MITO E SOGNO
Rossana Valenti
Professoressa di Letteratura Latina Università degli Studi di Napoli Federico II
È sterminato l’universo del sogno:
fantasmi cari all’immaginazione popolare,
allegorie letterarie, passioni e incubi abitano
questo territorio, in cui ogni oggetto, ogni
esperienza si moltiplica e si prolunga in
forme nuove, continuamente diverse: non a
caso si chiama Morfeo (dalla parola greca
morphe, che significa “forma”) il
personaggio mitologico incaricato di
assumere le figure degli esseri umani e di
mostrarle ai dormienti.
Morfeo non compare nei miti greci:
probabilmente è un’invenzione dei poeti
alessandrini, dai quali attinge il poeta latino
Ovidio, che così lo descrive: Morfeo è uno
dei mille figli del Sonno, e nessuno meglio
di lui riesce ad assumere la forma,
l’incedere, l’espressione e il timbro di voce
delle persone alle quali si sostituisce. Ma -
dice Ovidio - Morfeo imita solo le forme
umane, mentre uno dei suoi fratelli, Icelo,
imita gli animali, e un altro, Fantaso, si
trasforma nelle cose inanimate.
Il Sonno (in greco Hypnos) è figlio di
Nyx (la Notte) e dell’Erebo (la Tenebra
infernale), e fratello gemello di Thanatos (la
Morte): tutte le divinità del Sonno e dei
Sogni sono alate, e con le loro rapide ali,
che sbattono senza far rumore, si spostano
in un istante alle diverse estremità della
Terra.
Nel mondo antico, infatti, i sogni
sono dotati di una loro esistenza nel tempo,
non limitata al momento della visione del
dormiente; sono reclusi in un sito, il “luogo
dei sogni”, che è uno spazio lontano e
inaccessibile all’esperienza umana:
l’oltretomba per Omero e Virgilio, il paese
dei Cimmeri per Ovidio, un’isola nel cuore
dell’Oceano per Luciano. Così come altre
forze della sfera psicologica - la Paura, la
Vergogna, le Maledizioni - i sogni sono
attivati da impulsi esterni alla mente degli
uomini: per questo motivo i Greci, in ogni
epoca, quando descrivono esperienze
oniriche, non dicono di “avere” o “fare”, ma
solo di “vedere” un sogno: questo “visita” il
sognatore, e gli “sta sopra”, come attesta
anche il termine italiano “incubo” (da
incubare, giacere sopra). Lungo questa
linea, i Romani dicevano che il sonno
“abbraccia” i dormienti e il risveglio
“scioglie” dal sonno: mentre noi moderni
parliamo di un sonno “profondo”, con
un’espressione che rimanda ai diversi livelli
di veglia o di sospensione dell’attività
cosciente, gli antichi fanno riferimento a un
diverso sistema di rappresentazione, ancora
intriso di motivi mitologici.
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Un altro elemento di forte contrasto
tra l’idea moderna del sogno e quella
elaborata dalla cultura classica sta nella
prospettiva in cui si colloca l’attività onirica:
per noi, oggi, il sogno è sempre un evento
individuale, sia che lo si consideri sul piano
neurofisiologico, sia che lo si analizzi nella
storia psicologica della persona. Per gli
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antichi, invece, il sogno aveva una
dimensione collettiva, ed era considerato un
tramite tra il piano ultraterreno e la vita
sociale, un messaggio la cui decifrazione
riguardava tutti i membri della comunità: in
seguito a un sogno, venivano istituiti culti,
costruiti templi, fondate città.
Eufonio, cratere (510 a. C.), New York – Metropolitan Museum Il cratere raffigura Sonno e Morte, alati, che trasportano il corpo di Sarpedonte, mentre al centro è
rappresentato Hermes, che ha l’incarico di condurre le anime dei morti all’Ade.
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I SOGNI DEGLI ANTICHI: RELIGIONE, SCIENZA, MAGIA E ... POLITICA
Valeria Viparelli
Professoressa di Letteratura Latina Università degli Studi di Napoli Federico II
“La credenza degli antichi che il
sogno sia inviato dagli dei per dirigere le
azioni degli uomini era una teoria completa
del sogno e spiegava tutto ciò che è
necessario sapere dal sogno” (S. Freud): il
somnium, che gli antichi distinguevano
dall’immagine ipnica, riflesso e
manifestazione di uno stato psichico, ha
un’origine soprannaturale e, quando
riguarda il futuro, ha un significato e un
valore premonitore per il dormiente. Due
sono le misteriose porte dei sogni: “una ha
battenti di corno, l’altra d’avorio... quelli
che vengono fuori dal lucido corno, li
incorona la verità” (cosi parla la sapiente
Penelope nel diciannovesimo libro
dell’Odissea, 562 ss.). I sogni ‘veritieri’
nella maggior parte dei casi sono comunque
sogni simbolici, caratterizzati da un
linguaggio enigmatico. La loro
interpretazione, affidata a un indovino, si
poneva come una delle tante tecniche
divinatorie allora in uso. Artemidoro, nel II
sec. d.C., scrive un’opera
sull’interpretazione dei sogni basata
sull’osservazione e sull’esperienza:
l’oniromanzia si situava così al punto di
confluenza tra esperienza del sacro e
scienza naturale e risultava molto vicina a
quelle discipline empiriche che sono in
grado di prevedere che, dato un certo
segno o sintomo, accadrà il tale evento.
Accanto al somnium si pone, nelle
classificazioni degli antichi, anche il sogno
che chiamavano oraculum: in questo caso
l’intervento della divinità è diretto. E’ dal
campo della scienza medica, sviluppatasi in
parallelo alla laicizzazione di pratiche
divinatorie (quanto alla sintomatologia e
alla prognosi) e magiche (quanto alla cura),
che ci provengono attestazioni
sull’atteggiamento con cui si accedeva
all’esperienza di questo tipo di sogno; tale
atteggiamento poteva assumere aspetti
che lo avvicinavano più al mondo della
magia che a quello della religione. Comune
tra i Greci e nota anche ai Romani (Plaut.,
Curc. 266; Verg., Aen. VII 81-106) era una
pratica divinatoria che consisteva nel
recarsi a dormire in un tempio dedicato a
un dio che si rivelava nei sogni in seguito a
opportune sollecitazioni e richieste. Il sonno
doveva essere preceduto dall’osservazione
dei riti prescritti per purificarsi e assicurarsi
della buona disposizione del dio; la sua
volontà si poteva così conoscere attraverso
un sogno ‘provocato’. L’incubazione
(incubare = mettersi a giacere) era
praticata soprattutto a Epidauro nel tempio
del dio della medicina, Asclepio: gli ex voto
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attestano guarigioni prodotte da rivelazioni
in sogno e lunghe iscrizioni descrivono
guarigioni miracolose operate dal dio.
Oniromanzia e magia si incontrano dunque
nel punto in cui prevale, sulla capacità di
farsi interpreti della voce degli dei, la
volontà di costringerli a rivelarsi per
ottenere qualcosa e/o per ricevere buoni
consigli, a beneficio di se stessi o del
proprio gruppo: ed è qui che il discorso
sull’oniromanzia e sui sogni ‘provocati’ si
intreccia persino con la politica. Racconta
Cicerone nel de divinatione (I 96): “I capi
degli Spartani, non contenti delle cure che
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di giorno, da svegli, davano al governo, per
procurarsi dei sogni andavano a dormire
fuori dalla città nel tempio di Pasifae:
consideravano infatti veritiere le profezie
avute nel sonno”. Addormentarsi in un
tempio per provocare l’apparizione degli dei
in sogno poteva dunque far parte
dell’attività politica degli uomini al potere,
che in questo modo anche nel sonno
riuscivano a compiere il loro dovere di
servitori della patria! Notizia interessante,
ma forse da non divulgare visto l’uso che
oggi si fa dei sogni in politica.
Rilievo votivo attico di marmo della prima metà del sec. IV a.C. Atene. Museo Archeologico Nazionale 3369 Un malato è guarito nel tempio mediante la incubatio
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IL FUOCO DEL SOGNO
Francesco Napolitano
Ricercatore di Neuroscienze Università degli Studi di Napoli Federico II
Nel De anima Aristotele afferma che
la psiche umana è presa tra due fuochi
complementari, sogno e percezione, e che
sogniamo sempre, anche di giorno, solo che
non possiamo accorgercene perché il fuoco
onirico è prevaricato dall’accecante bagliore
dell’incendio percettivo. L’affermazione
potrebbe essere sottoscritta senza
emendamenti da Freud, che convoca
proprio il vecchio Aristotele per fargli dire
che il sogno è l’attività psichica del
dormiente. E che si sogni sempre, anche di
giorno, è corollario di quella teoria
freudiana secondo cui esistono due regimi
integrati di funzionamento psichico,
processo primario e processo secondario, a
governo rispettivamente di inconscio e
preconscio/coscienza. Le dinamiche attive
nel processo primario sono condensazione e
spostamento (di affetti e rappresentazioni),
e sono appunto esse a caratterizzare il
lavoro onirico, prestazione psichica devoluta
a condurre dal sogno latente, depositario
del significato onirico, al sogno manifesto,
che quel significato distorce offrendolo a
rievocazione come filmato alieno,
incomprensibile e assurdo. La distorsione
persegue la salvaguardia dello stato di
sonno, vulnerabile all’irruzione di desideri,
mediante allucinazione di un loro
appagamento sostitutivo, sulla falsariga del
seguente sketch. L’ingresso nel sonno fa
implodere il fuoco percettivo a vantaggio di
quello onirico, che trova ora a valle campo
libero a causa dell’avvenuto mutamento
egoico, e a monte combustibile fornito dalla
persistenza di residui mnestici recalcitranti
al sonno. Questi ultimi, con classica
metafora freudiana, sono buoni imprenditori
del sogno, ma non posseggono il capitale
necessario per sollecitare la coscienza
onirica, capitale che può essere fornito solo
dal link con intensi desideri interdetti e che
resterebbe perciò sequestrato, se
l’interdizione non fosse revocabile
truccando le carte in tavola (mediante
condensazione/spostamento di rappre-
sentazioni). Il risultato del trucco è quasi
sempre vincente, riesce a forzare la dogana
censoria e a sollecitare la coscienza onirica
fornendole però un prodotto ultimo
all’apparenza bizzarro, non più tale se con
buon lavoro interpretativo si riesce a
percorrere a ritroso, dal sogno manifesto a
quello latente, il cammino del lavoro
onirico.
Per chiudere, poche parole di
filosofia della scienza. Uno dei fantasmi che
abitano il pensiero umano prende il nome di
riduzionismo eliminativo e si incarna nella
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tesi della cosiddetta mind-brain type
identity, secondo cui la psiche è il cervello
(equazione discutibile quanto quella
cartesiana, secondo cui la psiche è la
coscienza), e perciò gli eventi psichici sono
eventi cerebrali. Contro questa tesi militano
solidi argomenti, ma ciò che più conta è
sottolineare che essa appartenne anche a
Freud (un vigoroso materialista, a dispetto
di una vulgata che lo disconosce come
tale), ma solo fino alla definitiva messa a
punto di un dispositivo teorico derivante
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dalla combinazione di due approcci, l’uno
downward è di competenza psicoanalitica,
dai piani alti psichici costituiti da
rappresentazione/affetto verso quelli bassi
cerebrali costituiti da neuroni/sinapsi,
viceversa l’altro, bottom-up è di
competenza neurologica. Che vi possa
essere integrazione fra i due approcci, così
come diceva Freud nel 1909, è questione
che sarà in campo un secolo dopo di noi.
Cioè adesso.
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IL SOGNO COME SCOPERTA
Stefano Pisani Allievo Master in Comunicazione e Divulgazione Scientifica Università degli Studi di Napoli Federico II
La scienza è in debito con il sogno:
non ha compreso del tutto le sue funzioni,
ma alcuni scienziati hanno sognato le loro
scoperte. Otto Loewi nel 1921 sognò per
due volte l’esperimento decisivo per
scoprire il meccanismo di trasmissione
dell’impulso nervoso che gli valse il Nobel.
Friedrich August Kekulè vide in un sogno di
una notte di mezzo ‘800 un serpente che si
mordeva la coda, da qui la struttura ad
anello degli atomi del benzene. Il geniale
matematico indiano Srinivasa Ramanujan
sognò una mano che tracciava su uno
schermo insanguinato decisivi risultati sugli
integrali ellittici, che trascrisse, stavolta
senza spargimenti di sangue, al suo
risveglio. Louis Agassiz, naturalista svizzero
emigrato nel 1846 negli USA (dove divenne
uno dei fondatori della tradizione
scientifica), mentre compilava la Poissons
Fossiles, l’elenco di tutti i pesci fossili
conosciuti, rinvenne in una lastra un
campione dai contorni incerti. Incidere in
modo avventato avrebbe potuto distruggere
il reperto. Per tre notti di fila sognò il profilo
esatto del pesce custodito dalla roccia. Le
prime due notti furono vane, ma la terza lo
trovò pronto. Si svegliò di soprassalto e
ancora al buio annotò la visione. Il giorno
dopo riuscì a estrarre senza danni il fossile.
Sogni di scienziati e sogni di artisti:
Stevenson sognò, dopo vani sforzi da
sveglio, la trama del Dottor Jekill e Mr.
Hyde; il plot di Misery venne a trovare
Stephen King mentre dormiva in aereo. Ma
anche sogni di ognuno di noi perché, come
diceva Marguerite Yourcenar, “i sogni degli
uomini nascono gli uni dagli altri”.
IL SOGNO
Stefania Santoro Allieva Master in Comunicazione e Divulgazione Scientifica Università degli Studi di Napoli Federico II
Vividi, bizzarri, emozionanti, illogici,
drammatici, i sogni hanno talvolta trame
degne dei migliori registi, talvolta prendono
forme simili a quelle della pazzia. Per la loro
natura misteriosa sono stati a lungo
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considerati manifestazione di una
dimensione misticamente preconscia.
Quello onirico, prediletto dalle
rappresentazioni artistiche dei pittori
surrealisti, è anche il linguaggio con cui il
divino si rivela all’uomo; è, insomma, il
luogo di incontro con l’aldilà.
Sigmund Freud nel 1900, ha
costruito attorno al sogno il concetto di
inconscio, nella sua teoria della mente che
vede l’allucinazione del sogno come
l’espressione della soddisfazione di un
desiderio rimosso. Da allora e per
cinquant’anni il sogno è restato dominio
esclusivo della psicoanalisi; solo nel 1953,
la scoperta della fase del sonno REM, ha
permesso l’indagine a livello neuro-
biologico.
La fase REM del sonno,
caratterizzata da rapidi movimenti oculari, è
la fase in cui si ha la massima creazione
onirica. L’intensa attività cerebrale
registrata in questa fase ha sfatato
definitivamente la visione del sogno come
sospensione delle funzioni mentali.
Il sogno consiste nell’attivazione di
strutture responsabili di emozioni e
percezioni e nell’inibizione del ragionamento
logico. Le rappresentazioni bizzarre
emotivamente intense che al risveglio
spariscono sono strategie messe in scena
dal nostro cervello.
Un regista attivo che teatralizza
sentimenti ed affetti radicati nella storia
personale di ogni sognatore, sempre al
centro di quel vortice che è il suo sogno,
che può essere psicoanaliticamente
scomposto, pittoricamente rappresentato, e
dal quale ci si può magicamente lasciare
trasportare, rapiti dalla affascinante
grandiosità della psiche umana.
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