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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Noi ci sentiamo legati a chi ci è caro e abbiamo grandi doveri nei confronti di chi ci è vicino, e ciò è importante. Ma nessuno è più vicino a noi di Dio, nessuno è più prezioso. In modo scioccante, spettacolare, Gesù ci dice che tutte le nostre relazioni, per quanto strette ed intime, devono essere purificate. Esse devono essere misurate in rapporto a Dio e ai suoi obiettivi.

È un’affermazione davvero severa. In noi tanto forte è l’attaccamento alla sicurezza data dall’amore “umano”, che possiamo facilmente rifiutare di dare tutto al Signore perché lo purifichi. Siamo davvero tentati di dire: “Signore, tu puoi prenderti tutto... tranne questo e quello”. Vi sono alcune cose, alcuni affetti che vogliamo vivere a nostro modo, non secondo il modo di Dio.

Una volta lasciato al Signore il governo delle nostre relazioni e dei nostri amori, allora riceviamo il fondamento della vera pace. La pace che dà il Signore non è quella che dà il mondo; è fatta di perdono, di giustizia, di amore e di amicizia. La pace non è soltanto assenza di conflitti, così come non è un compromesso immorale. La vera pace consiste nello stare con altri davanti a Dio, purificati e liberati dalla verità e dalla misericordia del giudizio divino.

FEDELE SEGUACE DI GESÙ

Gli evangelisti presentano la Vergine con tratti che possono ravvivare la nostra devozione a Maria, la Madre di Gesù. La loro visione ci aiuta ad amarla, meditarla, imitarla, pregarla e confidare in lei con spirito nuovo e più evangelico.

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Maria è la grande credente. La prima seguace di Gesù. La donna che sa meditare nel suo cuore i fatti e le parole del Figlio. La profetessa che canta a Dio, salvatore dei poveri, annunciato da lui. La madre fedele che rimane accanto al Figlio perseguitato, condannato e giustiziato sulla croce. La testimone di Cristo risorto, che accoglie insieme ai discepoli lo Spirito che accompagnerà sempre la Chiesa di Gesù.

Luca, da parte sua, ci invita a far nostro il canto di Maria, per lasciarci guidare dal suo spirito verso Gesù, poiché nel «Magnificat» brilla in tutto il suo splendore la fede di Maria e la sua identificazione materna con il Figlio Gesù.

Maria comincia proclamando la grandezza di Dio: «il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva». Maria è felice perché Dio ha rivolto lo sguardo sulla sua piccolezza. Così è Dio con i semplici. Maria lo canta con la stessa gioia con cui Gesù benedice il Padre, perché si nasconde ai «sapienti e intelligenti» e si rivela ai «semplici». La fede di Maria nel Dio dei piccoli ci fa sintonizzare con Gesù.

Maria proclama Dio «Potente» perché «la sua misericordia si estende di generazione in generazione». Dio pone il suo potere a servizio della compassione. La sua misericordia accompagna tutte le generazioni. Lo stesso predica Gesù: Dio è misericordioso con tutti. Per questo dice ai suoi discepoli di tutti i tempi: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso». Col suo cuore di madre, Maria capta come nessun altro la tenerezza di Dio Padre e Madre, e ci introduce nel nucleo del messaggio di Gesù: Dio è amore compassionevole.

Maria proclama il Dio dei poveri anche perché «sbalza dal trono i potenti» e li lascia senza il potere di continuare ad opprimere; al contrario «innalza gli umili» perché riacquistino la loro dignità. Dai ricchi reclama quanto hanno rubato ai poveri e «li lascia a mani vuote»; al contrario gli affamati «li colma di beni» perché godano di una vita più umana. Lo stesso gridava Gesù: «gli ultimi saranno i primi». Maria ci porta ad accogliere la Buona Notizia di Gesù: Dio è dei poveri.

Maria ci insegna come nessun altro a seguire Gesù, annunciando il Dio della compassione, lavorando per un mondo più fraterno e confidando nel Padre dei piccoli.

José Antonio Pagola

Commento su Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53

Gesù, nel vangelo di questa domenica fa un annuncio sconvolgente: "Sono venuto a portare il fuoco...ricevere un battesimo... a portare la divisione". La parola del vangelo, che di solito è sorgente di unione, questa domenica si trasforma in una katana affilatissima, come solo le katane lo sono, che porta esclusivamente separazioni profonde.

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Luca scrive questo brano evangelico quando gli angeli, che avevano annunciato la pace a tutti quelli che Dio ama, erano, ormai, da tempo, volati in cielo ed erano incominciato a sorgere i primi contrasti interni e le prime persecuzioni, generando crisi e sgomento, sia all'interno delle comunità che delle famiglie. Tutto questo avviene a causa di Colui che è venuto per fondare fraternità e pace sulla terra, anzi che per questo fine ha accettato di subire il battesimo di sangue a Gerusalemme, fuori dalla porta.

La pace che Gesù porta non è quella dominata dalla assenza di guerre, ma quelle priva di tenebre e ricca di carità e promozione umana. Questo genere di pace, di frequente, si sviluppa sotto il segno delle divisioni anche se, non sempre esclude il rispetto per le persone: "Padri contro figli... madri contro figlie...etc".

La prima lettura dell'odierna liturgia mostra come chi ha potere si comporta nei riguardi di chi dice la verità: basta accusarlo di essere un disfattista o qualche cosa di simile, per essere additato come untore o qualcosa di simile.

Geremia rifiuta di dire che "tutto va bene", come vorrebbero i consiglieri potenti del re Sedecia. Essi considerano Geremia un pericolo per la nazione solo perché non fa loro da spalla e fa traballare il loro potere di fronte al re il quale "non ha poteri contro di voi".

Bisogna impedire al profeta di parlare perché se parla disturba i cori del consenso organizzato. Se la parola profetica non assicura benessere, reca molestia ai potenti, la si considera sovversiva e per tale motivo va soffocata con ogni mezzo, con grande impegno perché non si possono dire cose che il popolo non vuol sentirsi dire.

Il martirio di Geremia non è affatto eroico, non c'è versamento di sangue come in tante altre circostanza, per esempio come in Giovanni Battista, giacché è calato con corde nella cisterna fangosa di Malchia affinché vi muoia di fame. Ci vuole tutta l'onestà e l'intelligenza del consigliere regale Etiope, Ebed-Melech per convincere Sedecia e ordinargli " di tirar fuori il profeta dalla cisterna prima che muoia di fame".

Il Salmo 39, secondo il numero tradizionale della Volgata, o 40, secondo la numerazione ebraica, è un salmo che deriva da due Salmi, in origine indipendenti. Nella prima parte del Salmo, che è di ringraziamento, sono contenuti i vv. 2. 3. 4 che fanno parte della parte del salmo usato nell'odierna liturgia è parte costitutiva del salmo di ringraziamento individuale, la cui estensione va da v. 1 a v. 12mentre il v. 18 è parte della porzione salmica, considerata lamentazione individuale che va dal v. 13 al v. 18. Se consideriamo la porzione di Salmo della liturgia odierna possiamo dire che questo è anche un salmo Messianico. In esso il povero del Signore rende partecipe la propria comunità della sua consolazione e scioglie un canto di ringraziamento all'Altissimo ché lo ha tratto "dalla fossa della morte" e lo ha messo, in piedi sulla roccia, rendendo così sicuri i suoi passi. Questo canto nuovo ha una forza tale che suscita il timore delle folle e incita a riporre in JHWH la loro fiducia.

"Povero" e "infelice" il salmista chiede a JHWH di prendersi cura di lui perché fa parte del popolo eletto, della sua eredità.

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La seconda lettura, che la liturgia di questa ventesima Pasqua domenicale propone alla nostra riflessione, è tratta dal dodicesimo capitolo della lettera agli Ebrei (vv. 1-4).

L'autore di questa lettera, una volta attribuita a Paolo di Tarso, paragona la vita cristiana ad una gara di corsa. Partecipare ad a una gara di corsa non è una cosa priva di impegno come lo è partecipare a una passeggiata domenicale tra amici. Per prima cosa è necessario scegliersi una divisa adeguata, priva di orpelli inutili: " tutto ciò che è di peso e il peccato". l'unico peso che ci è consentito portare è quello della croce. A questo si deve aggiungere la volontà di voler vincere, ci vuole determinazione se si desidera terminare la corsa e non ritirarsi a metà gara. Infine, tenere lo sguardo fisso sul traguardo, che è Gesù "autore e perfezionassero della fede".

Dobbiamo guardare intensamente a Gesù per non perderci d'animo, resistere al peccato che ci fiacca le gambe, rende il respiro superficiale e pertanto inadeguato allo sforzo.

Il vangelo di questa domenica ci dice che anche Gesù, come Geremia è considerato un disturbatore, non solo dal Sinedrio e dai suoi contemporanei, ma anche dagli uomini di oggi si danno da fare per eliminarlo con l'accusa che minaccia la tranquillità pubblica con la sua dottrina. Per essere precisi, si deve dire, che per eliminare la sua dottrina, non potendo più eliminare lui, si devono eliminare, mettendoli alla berlina, i suoi seguaci come vuole la storia a cominciare dal primo libro della Bibbia. Che sia una persona scomoda lo dice anche lui: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione." la pace che più spesso noi cerchiamo è quella del "non mi disturbare", "tutto va bene". Non è questa la pace che Gesù ci vuol portare e dare. La pace che Lui ci vuol dare consiste nella pienezza dei doni di Dio che agli occhi del mondo appare come divisione perché discrimina il bene dal male.

Revisione di vita

- Quanto arde il fuoco delle vita di Dio in ciascuno di noi?

- Ci facciamo condizionare dai giudizi e dai criteri di scelta del mondo?

- Siamo coerenti con ciò che diciamo di essere quando trattiamo con persone ostili?

Commento su Luca 12,49-53

Collocazione del brano

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Il capitolo 12 di Luca, continua con una serie di affermazioni di diverso contenuto. Il tono è apocalittico: l'idea del giudizio, della divisione interna. Nei primi versetti l'attenzione è posta sulla persona di Gesù. Si sottolinea l'importanza escatologica della sua missione: il fuoco (=giudizio) destinato alla terra; il battesimo che deve ricevere (=la morte). C'è un legame tra la morte di Gesù e il giudizio del mondo.

La decisione di fronte alla persona di Cristo porta fin d'ora divisione nelle famiglie, segno apocalittico (Mic 7,6) dell'importanza del tempo presente, ma anche coscienza che la scelta del vangelo porta con sé la persecuzione.

Lectio

49 Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!

Da una parte Gesù ha davanti a sé la sua missione: gettare fuoco sulla terra; dall'altra, egli stesso - in una forte tensione escatologica - è nell'attesa che Dio lo accenda. Che senso dare a questo «fuoco»?

- Il fuoco è il simbolo della parola di Dio pronunciata dal profeta (Ger 5,14; 23,29; Sir 48,1). Potrebbe riferirsi allora alla predicazione di Gesù destinata a portare grande frutto. Oppure il fuoco potrebbe essere visto in relazione ai versetti seguenti, come fattore di divisione all'interno della famiglia. Però questo non è possibile, poiché il v. 49 è stato aggiunto ai seguenti solo in un secondo momento. Il fuoco potrebbe essere anche inteso come realizzazione della profezia di Simeone: Gesù sarà segno di contraddizione.

- Il fuoco è anche simbolo del giudizio divino purificatore (Is 66,15s; Ez 38,22; 39,1; Sal 66,12 ecc.). In questo caso Gesù concepirebbe il suo invio in relazione all'imminente giudizio di Dio e si porrebbe egli stesso nell'attesa di questo evento.

50 Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

In questo versetto Gesù parla di un battesimo che deve ricevere. A cosa si riferisce? L'affermazione si illumina a partire da Mc 10,38, che utilizza la figura etimologica «essere battezzato con un battesimo», come allusione alla morte di Gesù. L'impiego del senso figurato del verbo baptizein (forma intensiva di baptein), «immergere», «sommergere», si incontra nella letteratura greca profana in modo vario: essere sommerso dal sonno, dalla sfortuna... ma una sola volta nella Bibbia: Is 21,4 (versione dei Settanta): «l'iniquità mi sommerge». L'immagine dell'essere travolto dalla sofferenza come dai flutti è più frequente nell'AT, ma senza il verbo baptizein. Gesù guarda con angoscia alla sua passione, come a un essere sommerso dalle onde della sofferenza.

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L'accostamento tra il v. 49 e il 50 è inatteso. Da una parte il senso è totalmente diverso e quindi il legame non può essere originale; dall'altra, il v. 50 è formalmente costruito - con meno semitismi - sul modello del v. 49. E' dunque probabile che l'evangelista abbia riformulato e inserito in questo contesto la parola di Gesù letta in Mc 10,38. La parola «fuoco» ha orientato l'attenzione dell'evangelista sull'affermazione di Lc 3,16 (Giovanni che dice: "Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me... costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco") e a sua volta ha suggerito l'accostamento tra il v. 40 e il 50.

In questo modo Luca

- ha occasione di ricordare ai lettori che Gesù si sta dirigendo a Gerusalemme, verso la morte

- pone il battesimo, cioè la morte di Gesù, come condizione preliminare al fuoco che Gesù porterà sulla terra.

Questo fuoco per Luca, non è più il giudizio divino, ma lo Spirito Santo che Gesù risorto comunicherà.

L'evangelista legge questi versetti nella prospettiva della salvezza portata da Gesù. Ma come Gesù, anche i discepoli dovranno passare attraverso la sofferenza: è quanto Luca ricorda nei versetti seguenti.

51 Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.

Questa affermazione di Gesù è sconcertante: non era forse venuto a inaugurare la pace tra gli uomini?Certamente, Gesù ha aperto alle persone che accoglievano il suo messaggio un rapporto nuovo con Dio e con loro stesse; il Regno di Dio futuro sarà pienamente compiuto in un'umanità di pace.

Nello stesso tempo però l'annuncio di Gesù avviene in un mondo dove esiste il male, il rifiuto, l'odio. E proprio l'accoglienza o meno della sua parola provocherà inevitabili separazioni fra gli uomini. L'utopia di una pace senza previ dolori non è per questo mondo. La missione del Messia non è di trasformare con un colpo di bacchetta magica il cuore degli uomini.

Gesù si aggancia a un filone biblico e giudaico di tipo apocalittico: le tribolazioni e i dissensi attesi per gli ultimi tempi, segno della fine prossima. Adesso, con la sua

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predicazione, inizia questo tempo finale annunciato dai profeti.

52 D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera".

La divisione tra gli uomini che caratterizza gli ultimi tempi è stata ripresa da Mic 7,6. Luca aggiunge quel «d'ora in poi»: è un'espressione che dà il punto di vista dell'evangelista: la divisione non è più da riferire al tempo escatologico che precede di poco la fine, ma al tempo della Chiesa iniziato con la morte di Gesù. Vi si riflette l'esperienza di Luca che ha visto la rottura instaurarsi tra giovani e vecchi nelle famiglie, a causa del Vangelo.

Dunque, egli caratterizza il suo tempo come tempo di conflitto, nella scia di Gesù, e questo fino alla Parusia.

Meditatio

- So vivere quella sofferenza che aiuta a costruire la pace?- Mi sono mai trovato in contrasto con qualcuno a causa delle esigenze del Vangelo?

Preghiamo (Colletta della Ventesima Domenica del Tempo Ordinario - anno C)

O Dio, che nella croce del tuo Figlio, segno di contraddizione, riveli i segreti dei cuori, fa' che l'umanità non ripeta il tragico rifiuto della verità e della grazia, ma sappia discernere i segni dei tempi per essere salva nel tuo nome. Per il nostro Signore...

Cristo brucia

Con la festa dell'Assunzione inizia il lento declino dell'estate e già vediamo all'orizzonte la ripresa della scuola e l'inizio delle attività autunnali. La Parola che ci ha accompagnato in questi mesi ancora getta una luce possente sulla nostra vita, una chiave di lettura, uno stimolo alla conversione.Il tesoro del Vangelo presso cui abita il nostro cuore ci divora di passione e di gioia e ci spinge a vegliare nella ricerca della presenza di Dio.Come Abramo siamo spinti ad uscire dalla banalità, a liberare l'anima che ci abita per guardare oltre la quotidianità.Credere è affidarsi, fidarsi, accogliere la parola su Dio che Gesù è venuto a pronunciare, superare le mille contraddizioni presenti nei nostri cuori, affrontare le difficoltà della vita

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tenendo la luce della speranza accesa nei cuori, leggere alla luce del Vangelo le incoerenze che troviamo nella nostra vita e nella vita della comunità cristiana.Credere è una lotta, un combattimento spirituale.Molti pensano alla fede come ad una certezza acquisita, un'assicurazione sulla vita, una semplificazione delle questioni.Credere, invece, è per sempre imparare, per sempre divenire cercatori, per sempre orientati e inquieti, rivolti alla totalità che ci sfugge, pur possedendola.Credere è una lotta.

ScontriLa Parola di oggi, tanto per darci una scrollata, approfondisce questo tema: l'annuncio del Vangelo è segno di contraddizione, il mondo, così amato dal Padre da dare il Figlio, vive con fastidio l'ingerenza divina e preferisce le tenebre alla luce.Stento a scrivere queste parole, memore come sono dell'incontro con troppi sé-dicenti credenti, all'apparenza fieri propugnatori di valori cristiani, in realtà persone irrigidite nei propri schemi. Non voglio né posso, se fedele al Vangelo, immaginare la realtà divisa in due parti: i buoni, noi, il grano, il piccolo resto, e i cattivi, gli altri, laicisti, anticlericali, ostinati nell'errore.Noi discepoli siamo impastati di mondo, fatti con la stessa terra. Portiamo nel cuore le stesse contraddizioni e le stesse paure di tutti ma siamo stati incontrati dalla luce.Questa scoperta ci allarga il cuore, ci mette in una condizione nuova, diventiamo capaci di amare. E nell'amore si gioca il confronto col mondo, non nella sfida.Se annunciamo il Vangelo e siamo derisi soffriamo per l'altro, non per il nostro amor proprio ferito!Geremia, profeta inquieto e sfortunato, ci è presentato come modello, come uno di quegli uomini da imitare, come ci suggerisce la lettera agli Ebrei.

Me infelice!Nato vicino a Gerusalemme, appassionato di Dio e del suo popolo, Geremia passerà la sua vita a convincere il re di Giuda e la popolazione di Gerusalemme a non opporsi alla nascente potenza di Babilonia.Certi della propria diplomazia e dell'appoggio dell'Assiria e dell'Egitto, i giudei considerano le profezie di Geremia come iattura e lo perseguitano. Il brano di oggi ci racconta di come Geremia sia gettato nella cisterna a morire nel fango e poi salvato in extremis.Soffre duramente di questa situazione, l'inquieto profeta, che vorrebbe annunciare pace e deve redarguire, che vorrebbe profetare il bene e vede la tragedia avvicinarsi. Purtroppo le previsioni di Geremia di avvereranno; Gerusalemme cadrà sotto il re Nabucodonosor e oltre ottomila capifamiglia verranno deportati in Babilonia.Essere discepoli porta ad amare teneramente le persone destinatarie dell'annuncio, essere discepoli significa cercare in sé la verità per poi offrirla agli altri, essere discepoli significa non essere capiti proprio dalle persone che ami.

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Padre contro figlioGesù lo dice, parlando di sé, immaginando l'evoluzione che avrà il suo messaggio.Dopo la caduta di Gerusalemme ad opera dei romani e la rovinosa distruzione del Tempio, i seguaci del Nazareno saranno scomunicati dai rabbini e questo provocherà una frattura dolorosissima ed insanabile all'interno della neonata comunità cristiana.Ancora oggi molti sperimentano la contraddizione di scoprire in Cristo una nuova famiglia, nuove e durature relazioni con fratelli credenti e, nel contempo, un impoverimento di relazione e una crescente incomprensione con i famigliari di sangue.Ho visto genitori scagliarsi con ferocia contro le scelte radicali dei propri figli che decidevano di consacrare la propria vita al Regno.Ma, senza arrivare a questi eccessi, credo che anche a te, amico lettore, sia successo di vedere cambiare atteggiamento nei tuoi confronti in ufficio o a scuola proprio a causa della tua scelta evangelica.Se davvero siamo discepoli mettiamo in conto qualche contrasto, qualche fatica di troppo: nessuno di noi è più grande del Maestro: se hanno perseguitato lui perseguiteranno anche noi.

FuocoCristo è fuoco.Fuoco che brucia, che divampa, che illumina, che riscalda, che consuma.Cristo è fuoco e traspare dalla nostra vita.Se è dal fuoco che si misura il discepolato, i pompieri della fede possono stare tranquilli.Vi brucia dentro Cristo? Vi brucia da non poter fare a meno di pensare a lui? Vi è successo di desiderare profondamente di raccontarlo (senza fanatismi o semplificazioni) a chi vi sta accanto? Vi è successo di difenderlo in una discussione? E di essere presi in giro per le vostre convinzioni? No? Brutto segno: o vivete in un monastero o proprio non si vede che siete cristiani...Quando sant'Ignazio, fondatore dei Gesuiti, uomo di Dio, innamorato di Dio inviò i suoi dodici compagni ad annunciare il Vangelo fino agli estremi confini dei mondo allora conosciuti, disse, il giorno della loro partenza: "Andate, e incendiate il mondo".Incendiari sì, ma d'amore.

Gesù Cristo: prendere o lasciare

Che Gesù Cristo per la storia non fosse stato un personaggio comodo e pacifico, l'avevamo già compreso; che il suo Vangelo fosse un messaggio difficile non solo da comprendere ma soprattutto da vivere, credo che sia ben chiaro a tutti, credenti e no. Ma ascoltare le sue

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parole che nella Liturgia di oggi ci dicono: "Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione"... beh, qualche difficoltà ce la creano...Gesù è l'uomo della pace, e la pace è il primo dono del Risorto; la pace è il primo annuncio degli angeli in cielo ai pastori di Betlemme, ed è l'esortazione finale alle donne che trovano il sepolcro vuoto il mattino di Pasqua. Se dunque la vicenda di Gesù Cristo è racchiusa tra due parentesi di pace, come possiamo pensare che il suo messaggio, la sua persona, la sua storia siano avvenuti per portare "divisione sulla terra"? E le nostre vicende familiari, già così problematiche per se stesse, perché devono sopportare ulteriori divisioni create dalla sua Parola? In definitiva, cosa ci vuole insegnare il Signore con questo brano di Vangelo?Facciamo un passo indietro: due domeniche fa', il brano di Vangelo iniziava con la richiesta di due fratelli in lite tra di loro per motivi di eredità, affinché Gesù facesse da giudice di pace nel contenzioso. Il rifiuto - scontato - di Gesù è motivato dal fatto che lui non è venuto su questa terra per fare da giudice tra gli uomini; non è venuto affatto a giudicare, ancor meno a condannare o a emettere sentenze. Egli, in questo tribunale della vita e della storia, si è limitato a enunciare il fatto, a dire l'accaduto, a narrare la cronaca di ciò su cui dovrà avvenire il processo, e di fronte al quale gli uomini saranno chiamati a prendere posizione. In buona sostanza, è venuto a proclamare e annunciare la Verità di fronte alla quale occorre scegliere: prendere o lasciare. E questa Verità, questo fuoco che è venuto ad appiccare, questo Battesimo che è venuto a ricevere, coincide con la sua vicenda terrena, è Lui stesso, la sua persona.Se le cose stanno così, non è difficile comprendere come, di fronte a lui, non ci si possa sentire in pace, ma profondamente divisi. Di fronte alla "vicenda Gesù" da ormai oltre duemila anni non c'è condivisione, ma - appunto - divisione. Non tutti, infatti, lo accettano, soprattutto per la scomodità del messaggio: perché il suo messaggio non lascia affatto comodi coloro che lo accolgono. E così, capita - e capita spesso, magari e fortunatamente senza grandi drammi - che in una medesima famiglia ci sia chi crede in lui e chi proprio non ne vuole sapere; chi prega in continuazione e chi si arrabbia perché lo vede pregare; chi si affida a Dio, a Maria e ai Santi per ogni necessità e chi li bestemmia perché invece di risolvere i problemi dell'umanità lasciano che se ne vada a rotoli; chi corre in Chiesa ad ogni piè sospinto, e chi è allergico al fumo delle candele. Per cui, pur essendoci totale unità, armonia, amore in molte delle vicende della vita, diverse famiglie vivono dissensi e incomprensioni - si spera sempre non gravi - intorno alla persona di Gesù.E se questo avviene in un piccolo nucleo sociale come la famiglia, quanto più si manifesta su ampia scala tra coloro che credono in lui e coloro che non lo professano o vi sono indifferenti; dalle fabbriche in cui si prende in giro il collega bigotto, alle scuole in cui l'adolescente che va in chiesa è un frustrato; dalle aule della politica in cui i cattolici sono oggetto di attenzioni particolari in base alla convenienza del governante di turno, ai dibattiti televisivi in cui essere credenti significa esclusivamente non provare i piaceri della vita. Per non parlare delle vicende della storia in base alle quali troppo spesso ci dimentichiamo che se oggi l'Occidente Cristiano è continuamente sottoposto ad attacchi ideologici travestiti di religione, è perché in passato è stato lui a sottoporre in maniera ben poco camuffata ogni situazione sociale, culturale e religiosa, al giudizio del Cristo e - ahimè - neppure sempre in forma pacifica...In parole povere: essere credenti in Cristo o non esserlo, non è per nulla la stessa cosa, perché il suo messaggio, il suo Vangelo, la sua stessa persona, sono motivo di contraddizione, di confronto di divisione. Questo non vuol dire affatto che il cristiano sia migliore degli altri o che chi non crede in Cristo (o gli è ostile) abbia dei difetti o sia meno

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uomo o meno donna di un cristiano. Gesù ci vuole solamente dire che di fronte a lui bisogna prendere posizione, e quando si prende posizione inevitabilmente ci si confronta, e magari pure ci si scontra, con chi ha preso una posizione totalmente diversa dalla nostra. Questa è la dialettica della fede cristiana, che accompagna il messaggio di Cristo da oltre duemila anni, e che continuerà a farlo finché questo mondo durerà. Forse, pure questa dialettica, questo "incontro - scontro" col Cristo, questo chiaroscuro dipinto sulla tela della storia, rappresenta la forza di un messaggio che non lascia indifferenti.Il giorno in cui il cristianesimo non fosse più un messaggio di contraddizione, di scomoda profezia, di denuncia, di accusa, di stimolo, di presa di coscienza, di domande, di tutto ciò che è in divenire, e si accomodasse ad una pacifica situazione di staticità, potremmo tranquillamente proclamarne la sconfitta.E ciò che più preoccupa, è che il grande male che rischierà di schiacciare e sconfiggere il cristianesimo, non sarà una forza a esso esterna, e nemmeno una fede a esso alternativa, ma l'atteggiamento che lo stesso Cristo teme come una gettata d'acqua sul fuoco: l'indifferenza di noi cristiani.

I "saldi" del Vangelo. Non è stagione

Mica se l'era scelta quell'infausta avventura: fosse stato per lui, forse il suo destino si sarebbe spostato di poco dai confini di Anatot, piccola cittadina che gli diede i natali e che come credito strappò fama e gloria tra le pagine della Scrittura.Geremia - è di lui che si parla - mica l'aveva scelto il mestiere di profeta: l'unica professione - a differenza del saltimbanco, del funambolo o dell'elettricista - che non è dato scegliere ma esclusivamente ricevere, al netto di tante storie e altrettante scusanti. Portasse almeno alla gloria, quell'ingrato mestiere varrebbe la fatica di viverlo: stavolta, al contrario, porta in una cisterna appena all'infuori di un carcere. Poca gloria per chi dall'Alto è chiamato ad essere voce di una Parola fastidiosa e imbarazzante, astrusa e scomoda, spinosa e mal accomodante: se non è una cisterna sarà lo stomaco di un cetaceo come per Giona, o poco di meglio. Eppure era mite Geremia: la differenza la fece quella Parola che venne chiamato a divulgare, che fece di lui un reietto, un uomo da tenere a giusta distanza. Un uomo da far annegare nel fango. L'aveva giurato, forse nel pieno dello sconforto: "non mi ricorderò più di lui, non parlerò più in suo nome" (20,9). Ma poi dovette cedere all'attrazione di una Presenza che gli divorava l'anima: "ma nel mio cuore c'era un fuoco ardente. Mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo" (20,9b). E riprende di nuovo la strada. Non si esce mai indenni da un'autentica esperienza con Dio: c'è gioia suprema, ma anche sofferenza disumana. Geremia non è un disfattista, è semplicemente un uomo lucido. Egli vede che il peccato ha minato ogni cosa, stravolto tutte le istituzioni. Israele ha saputo persino rovinare il perdono di Dio, la sua pazienza e fedeltà. Tant'è vero che malgrado le ripetute minacce del Signore, il popolo ha smesso di avere paura. Basta un po' di pentimento - dice la gente - e Dio è sempre pronto a perdonare: non è forse il Dio fedele? Così la fede nella bontà di Dio è rovinata. E la cisterna si apre: "allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell'atrio della prigione. Calarono Geremìa

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con corde. Nella cisterna non c'era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango". Il banco di prova di un leader è sempre la comunità.

Non ho avuto una folgorazione, una rivelazione improvvisa, un momento della verità: è stato il lento accumularsi di una miriade di offese, di una miriade di indegnità, di una miriade di momenti dimenticati a far scaturire in me la rabbia, la ribellione, il desiderio di combattere il sistema che imprigionava il mio popolo. Non c'è stato un momento particolare in cui abbia detto: da qui in avanti mi consacrerò alla liberazione del mio popolo; invece, mi sono semplicemente ritrovato a farlo, e non potevo fare altrimenti.(Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà, Feltrinelli, Milano 1995)

E' la malinconia del Vangelo che trasuda dalle parole di Cristo: il fuoco l'ha portato ma "quanto vorrei che fosse già acceso!". Che l'abbia portato non basta, occorre qualcuno che l'accenda, come capita per il sole: non basta che il sole splenda, è necessario che qualcuno alzi la tapparella. C'è anche gente che scambia la luce della abat-jour con la luce del sole, che arreda la sua cella come fosse la sua casa, che s'arresta alla promessa senza sporcarsi le mani per renderla una storia. E Dio soffre, non illude, quasi spaventa: tutti contro tutti, nel suo nome. Dio non arretra, sembra non conoscere la logica dei "saldi", illustra il suo messaggio prima che l'uomo l'accolga: "padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera". Un pandemonio familiare - potrebbe insinuare qualcuno. In realtà è la logica stessa di una Parola che non scende al compromesso, che chiede lealtà promettendo persecuzione, che assicura fedeltà assoluta in cambio della follia d'accoglierla. Rimane quell'esortazione: "perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?". Che è come dire: "perché non ragioni con la tua testa?". C'è gente - non solo in tempi di crisi - che accetta di dare la sua testa in comodato d'uso, che mette in affitto il cuore, che lascia scoperte le serrature della sua anima: per costoro quella Parola è dura, brucia, s'arrovella bruciando. Sono sillabe che sono le fondamenta dell'uomo: è quello che facciamo di ciò che abbiamo ricevuto, non ciò che ci viene scontato, che distingue una persona da un'altra. C'è forse oggi un anticipo di spiegazione del perché di quella Croce che stanno innalzando all'orizzonte: d'altronde quando un uomo si assume gravi rischi, spesso sopporta gravi conseguenze. E questo Cristo lo mise in capite del suo annuncio. Per non ingannare l'uomo.

Vite infuocate

Il vangelo di oggi ci presenta un Gesù deciso, che vuole che prendiamo una posizione chiara. In un'altra parte del vangelo Gesù dirà: "Chi non è con me è contro di me" (Mt 12,30). Bisogna schierarsi: pro o contro Gesù. Molte persone vorrebbero nella vita salvare

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sempre "capra e cavolo": ma non si può!La vita ti chiama a scegliere e scegliere è prendere questo per lasciare quello. Uno dei nostri sogni, invece, è quello di poter prendere tutto e tutti: non è possibile. Bisogna schierarsi nella vita, bisogna prendere le parti e una direzione ben chiara: o di qua o di là. E' l'uomo inconsistente, senza struttura, senza midollo, che cerca di salvare tutto. E non schierarsi è già uno schieramento e una posizione.

La prima immagine è il fuoco: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra".Il fuoco ha un significato molto ampio: luce, calore, trasformazione, purificazione. Il fuoco è calore (l'amore è calore; fraternità, focolare; "essere al caldo" è essere protetti). Il fuoco è la candela: è il segno della luce dello spirito (il candeliere è la luce divina); l'uomo è la candela e Dio il candelabro dove le candele ardono. La fiaccola che arde è il mistero (pensate la fiaccola, il cero del tabernacolo che sta ad indicare: "Qui c'è il Mistero"). Il fumo del fuoco è l'elemento etereo, evanescente, sottile: è l'incenso, segno di qualcosa di imprendibile. Il fuoco è fulmine che distrugge, spacca, spezza, colpisce, disintegra. Il fuoco è cenere: il fuoco brucia, trasforma, fa passare, purifica; "essere passati per il fuoco" vuol dire aver superato una prova, un momento difficile, pericoloso; la cenere indica il lutto, la rinuncia, la spogliazione, il perdere qualcosa, il lasciare andare, il bruciarsi, il perdere.Il fuoco è fiamma, energia di vita, desiderio di vita, voglia di vivere: quanto è meraviglioso stare di fronte ad un fuoco acceso di notte! E' il fuoco che ciascuno sente dentro. Il fuoco fuori innesca il fuoco che hai dentro; la sua luce è la luce che devi portare dentro di te; il suo calore è l'amore che vive dentro di te; il suo bruciare è la forza per bruciare i tuoi mostri e i tuoi fantasmi.Qui non c'è dubbio su ciò che Gesù vuol dire: il fuoco è passione. C'era stato già un altro che aveva portato il fuoco sulla terra: Prometeo. Aveva rubato a Zeus una scintilla di fuoco per donarla agli uomini che aveva preso in simpatia. Per quell'atto sacrilego fu severamente punito: Zeus lo incatenò sul monte Caucaso e mandò una sua aquila a divorarne ogni giorno il fegato. Poi un giorno l'eroe Eracle, osando sfidare il potente Zeus, lo liberò.Il mito di Prometeo ha vari significati ma fa capire quanto costa vivere con il fuoco e cosa si rischia. "Se giochi con il fuoco, rischi di bruciarti", dice un proverbio. E' così: è pericoloso.Gesù riporta il fuoco sulla terra. Gesù fu così: un uomo di fuoco! Non si poteva passargli vicino e rimanergli indifferente: o lo si amava o lo si odiava. O lo si accoglieva o lo si rifiutava. O si era con lui o si era contro di lui. O diveniva l'amore della tua vita o il tuo peggior nemico. O ti cambiava la vita e te la rovesciava come "un calzino" o ti infastidiva e ti irritava da ucciderlo.Gesù è così: o bruci o lo bruci. Se bruci, ti infiammi per lui, ti infervori per la sua causa, ti appassioni per il suo messaggio, ti si innesca dentro un fuoco, un desiderio, un ardore che più nulla potrà spegnere.Altrimenti lo bruci, lo fai fuori. Spesso si sente dire: "Lo brusarìa!", cioè "lo eliminerei, lo brucerei". Perché uno così è troppo intenso, troppo pericoloso, troppo "caldo", troppo forte.

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Gesù era "troppo" e gli uomini da "poco" non potranno mai accettarlo.

Passione viene dal greco pathos, "sentire". Passione vuol dire sentire le cose, sentire le persone, sentire la vita, entrare in ogni cosa e lasciarsi toccare e farsi toccare. Passione è fuoco. Passione è sentire.Il contrario è superficialità, anestesia, sonno, insensibilità. L'Apocalisse dice: "Non sei né caldo né freddo per questo ti vomito" (Ap 3,16). Mia madre diceva: "Non te sé da gnente" ("Non sai da niente"): vite insipide, senza sapore, senza sussulti, senza passione.Dov'è la passione di un uomo che viene in chiesa tutte le domeniche, che torna a casa tranquillo, non scomodato da quello che sente e che dice alla propria moglie: "Anche questa è fatta!"? No, amico, tu non conosci Gesù. Tu non hai neppure idea di chi sia. Ti sei fatto il tuo Gesù, te lo sei addomesticato perché non ti dia troppo fastidio, perché non ti "rompa" troppo, ma Lui non è così.Dov'è la passione di un padre che parla ai suoi figli sempre e solo di quanto sia importante trovarsi un lavoro... e un buon lavoro... e una buona posizione... perché con i soldi puoi fare poi tutto...? Che figlio verrà su? Cosa dovremo aspettarci? Un lavoratore, un imprenditore, un ragioniere, un uomo di successo, ma basta, nient'altro. Che ne sarà del fuoco che gli bruciava dentro?Dobbiamo chiedere perdono ai nostri figli se noi adulti spegniamo il fuoco che hanno dentro. Perché gli insegniamo ad essere accomodanti piuttosto che a prendere una posizione magari controcorrente; che è meglio stare nel gruppo che da soli; che è meglio andare piano e sano piuttosto che osare; che è meglio non "avere troppi grilli" per la testa per il futuro; che a sognare non ne vale la pena e che è meglio accontentarsi per non essere delusi poi; che il mondo va così e che non ci si può fare niente; che non è il caso di fidarsi e di lasciarsi andare perché si rischia di prendere una "sventola" tremenda, ecc.Così i nostri figli arrivano a vent'anni e noi (non loro) abbiamo già spento il loro fuoco. Li abbiamo addomesticati, li abbiamo conformati, li abbiamo resi innocui, li abbiamo adattati al sistema; saranno dei bravi "operai", eseguiranno, crederanno di guidare l'auto della loro vita e invece saranno su di un treno che altri dirigono. Li avremo allevati, li avremo educati: li avremo uccisi!Dove sono gli uomini che si indignano per ciò che la globalizzazione produce? Dove sono gli uomini che si mettono in gioco, che lottano per cambiare il sistema politico? Dove sono gli uomini in prima linea? Dov'è l'uomo che lotta per la giustizia? Dov'è finito l'ardore di un uomo, il suo coraggio, la sua energia interna? Dov'è il fuoco che arde della coerenza ai valori, della solidarietà, del bene comune, della giustizia per tutti?"Tutti i sabati pomeriggi accompagno mia moglie al centro commerciale", ha detto fiero un uomo. "Beo!!!".E la madre che insegna alla figlia il bricolage e il fai date, il decoupage e le 100 ricette di Suor Paola, il trucco e l'abbigliamento giusto, che le è sempre vicina e che le raccomanda di comportarsi bene quando è fuori e di trovarsi un buon partito, cosa "passerà" alla figlia? Le passerà tante regole, tante buone maniere, ma non la passione di essere donna, creatrice di

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vita, fuoco d'amore per il mondo e casa, utero d'accoglienza, per ogni creatura esistente. Crederà di averla educata bene perché sua figlia, come tutte, si è sposata, ha trovato un bravo marito, è stimata e guardata da tutti visto che è proprio bella. Ma invece l'avrà spenta; l'avrà addomesticata; non avrà alimentato il sacro fuoco della vita che viveva dentro di lei.Com'è possibile che la femminilità sia così svenduta e degradata in tv? Com'è possibile che le donne non dicano niente, che lascino passare tutto, che lo scandaloso sia diventato normalità?Il prete che "passa" cosa bisogna fare e cosa non bisogna, cosa è buono e giusto e cosa invece no; che insegna la giusta misura e l'importanza di "non scaldarsi mai", di essere sempre controllati; che preme sempre sulle virtù dell'obbedienza e dell'umiltà; che ricorda che bisogna sempre darsi agli altri ed essere buoni; che non tira troppo lunghe le prediche perché potrebbero stancare; che certe cose è meglio non dirle perché potrebbero indignare e che per non urtare l'animo sensibile di certa gente è meglio astenersi da certe prese di posizione, forse crede di essere discepolo del Cristo... ma lo crede solo lui!Perché se il prete non passa "il fuoco di Dio" non passa Dio. Se non fa innamorare... se non fa venire voglia di liberarsi da maschere e teatrini imposti... se non produce un terremoto nella vita delle persone così come Gesù faceva con chi lo voleva seguire... se non fa vibrare dentro emozioni forti d'amore, di passione, di coraggio, di lasciare tutto e seguirlo... se non fa venire voglia di rischiare per Lui... se non fa sentire quanta bellezza c'è nel seguire un messaggio del genere che è più forte di ogni resistenza e paura... se non si sente dalle sue parole la sua passione e il suo desiderio di Vita Vera..., avrà passato regole religiose, criteri per essere accolti dalla "brava gente", galateo di buona educazione e di maniere composte, ma non il sacro fuoco della vita, non Dio.Passione vuol dire che vivo dentro. Quando ti guardo, ti guardo, ti entro dentro, giungo fino alla tua anima e lascio che tu giunga fino alla mia. Quando ti accarezzo non ti spolvero ma ti tocco, ti percepisco, le mie mani ti passano l'amore che provo per te. Quando amo, amo, e lo faccio con tutta la passione, l'eccitazione e la vibrazione che posso. Quando c'è da intervenire, lo faccio e non mi tiro indietro per vedere intanto cosa fanno gli altri. Quando sto con te, sto con te e quando sto con me, sto con me, senza voler essere da solo quando sto con te e con te quando sono da solo. Quando sto male, lo sento e me lo permetto; e quando sono felice non mi sento in colpa d'esserlo. E soprattutto cerco di vibrare, di essere come le corde di un'arpa, che vibrano qualunque cosa le tocchino.Etty Hillesum scriveva: "Vorrei che il mondo s'incendiasse..."; lo voleva anche Gesù: "Come vorrei che questo fuoco fosse già acceso nella tua anima. Allora sì che saprai Chi sono!".

Poi Gesù dice: "C'è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto". Gesù era già stato battezzato nell'acqua del Giordano (Lc 3,21-22) ma non è quello il vero battesimo. Il vero battesimo per lui e per tutti noi è il quello di fuoco.Le persone dicono: "Sono un cristiano battezzato". "E allora?". Non vuol dire assolutamente niente questa frase. E' come dire: "So fare una casa perché mi sono iscritto

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ad ingegneria".Gesù riceverà il battesimo di fronte ai suoi avversari, ai suoi nemici, quando dovrà esporsi, schierarsi; quando si troverà da solo e quando dovrà andare fino in fondo, anche se questo gli costerà caro, molto caro.Il battesimo di fuoco è l'attimo in cui tu vivi, traduci in vita, in scelte, in voce, in atteggiamenti ciò che dici con le parole e ciò che vorresti o ti piacerebbe fare. Il battesimo di fuoco è quando la tua energia interna e interiore, la tua passione, va per la causa di Gesù. Solo allora saprai veramente chi è Lui.

Poi Gesù continua: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, la divisione!".Nell'antichità era molto conosciuta la "pax romana". Ma che pace era? Chi contestava, chi alzava la voce, chi si ribellava, veniva eliminato. Era pace?Uno dei grandi desideri delle persone è: "Stare in pace". Ma cosa vuol dire? "Stare in pace" vorrebbe dire non alzare la voce, tacere se si è in disaccordo, non tirare fuori problemi e questioni, avere sempre un tono tranquillo, dimesso, composto. "Sta' in pace!" viene detto a volte ai giovani. Cioè: "Fa' tacere le idee nuove; quello che senti tu non ci interessa; lascia perdere questi sogni, questi ideali; non lasciarti andare all'entusiasmo". Ma è pace questa? Questo è "piattume", fine di ogni slancio, guerra alla vita, morte di Dio, massificazione.

Padre e figlio contro; madre e figlia contro; suocera e nuora contro.Gesù, essendo un fuoco, non è indifferente. Non è come l'acqua che passa via liscia e che prende la forma del contenitore. Dove Gesù si ferma non possono che nascere scontri e divisioni perché lui costringe ad ottiche diverse e a scelte chiare e radicali.Il figlio che vede i suoi genitori andare alla messa ogni tanto (ma sempre a Natale e Pasqua!), che si trascinano stancamente nelle giornate, sempre "dietro a brontolare", che non credono altro che nel valore della tv, del conto bancario, del "chi si può permettere di più", del "guarda quello cos'ha!", se si ribellerà gli verrà rinfacciato che è un ingrato. "Con tutto quello che facciamo per te? E' questa la tua riconoscenza? Ti abbiamo dato tutto!". Ma deve ribellarsi, per amore di Gesù; deve staccarsi da quell'ambiente morto e senza vita per non finire lui stesso nel cimitero dei vivi. Ma quando lo farà sarà accusato di pazzia e sarà rinnegato con la frase: "Non ti ho mica insegnato così, io!; ma ti ho generato io? Non sei mica mio figlio tu?". E siccome quel gesto di quel loro figlio è un'accusa alla loro vita e al loro modo di vivere, o cambieranno e si renderanno conto di quanta morte, vuoto, c'è nella loro vita o lo rinnegheranno.La donna che si è appassionata di Gesù e che esce una volta la settimana per andare all'incontro sul vangelo o al sabato per andare a catechismo e il marito non vuole? Il marito le dice: "Che vai a fare? Sta' a casa con i tuoi figli e con me, che il Signore è più contento". Non crea divisione? Non crea problema? E che si fa? Si segue la passione interiore o ci si accontenta?L'animatrice che va a fare una settimana al camposcuola, "mangiandosi" così una delle due

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settimane di ferie con il proprio fidanzato, attirandosi le ire di lui, che deve fare? Si segue il proprio cuore o ci si adegua?La donna che sente che il proprio cuore è imprigionato in un rapporto monotono, apatico, dove il sentimento d'amore non fluisce, dove tutto è scontato, banale, solito e lui dice: "A me va bene così, sei tu che hai un problema!", che deve fare? Se segue il proprio cuore crea divisione. Meglio questa pace?Il figlio che vuole fare fisioterapia dopo la maturità ma il padre non vuole perché ha un ristorante che funziona bene e si guadagna un sacco, vorrebbe lavorare un po' meno e lasciare che il figlio prendesse il suo posto, che fa? Si accontenta il padre che gli sarà riconoscente tutta la vita o si segue il proprio desiderio? E se si segue il proprio desiderio non ci sarà guerra? Il padre non sentirà tutto questo come un affronto? E anche se non glielo dirà mai non ne sarà deluso? Un padre quando il figlio ha fatto proprio questa scelta, un mese dopo ha fatto un piccolo infarto, e gli ha detto: "E' tutta colpa tua!".La donna che comprende di essersi sposata con un uomo non per amore ma solo per scappare da casa per cui non ne è innamorata, non lo è mai stata, gli è andata bene così (se l'è fatta andare bene così), hanno anche due figli, ma adesso lei sente che non può lasciar languire il proprio cuore e imprigionarlo solo per dovere, che fa? Tutti, tra l'altro, li ritengono una bella coppia e li ammirano. Si segue il proprio cuore, la Vita che pulsa dentro o ci si adegua? E se si tira fuori il problema, non è una bomba per tutti? Meglio la pace, questo genere di pace?La ragazza che chiede ai suoi genitori di fare counseling perché vorrebbe tanto poter essere d'aiuto alle persone (lo sente come una sua chiamata) ma vive da sola, ha già il mutuo e non ce la fa con i soldi, che fa?Se chiede aiuto ai suoi genitori (magari glieli daranno i soldi, visto che ne hanno la possibilità) le diranno: "Ma che fantasie hai per la testa? Hai già il tuo lavoro, cosa cerchi? Pensa a sposarti!". Non ne nascerà un conflitto? E' meglio reprimere il proprio slancio e far finta di niente e "tenerseli belli buoni"?

Dentro di noi si è cristallizzata l'idea che seguire il Signore voglia dire essere buoni, mansueti, dolci e sorridenti. Nel passato si è santificato l'uomo che sopportava tutto, che si annullava per gli altri, l'uomo che neppure diceva una parola ma in silenzio sopportava tutte le angherie con ubbidienza e umiltà.Ma basta guardare il vangelo. La vita di Gesù non fu così. Non fu una vita di pace, come la intendiamo noi. La sua vita fu segnata dall'inizio alla fine dal conflitto, dalla lotta, dal contrasto e dalla divisione.Giuseppe era già in conflitto con sé e con Maria prima ancora che Gesù nascesse: "Ma vuoi dirmi che tu sei incinta per opera dello Spirito Santo? Ma non scherziamo!" (Lc 1-2).La Santa Famiglia dovette scappare in Egitto perché non era voluta a Nazareth: furono rigettati dai loro paesani.Gesù fu in conflitto con la sua famiglia fin dall'inizio. Un giorno, a dodici anni, a Gerusalemme, disse chiaramente ai suoi genitori: "Non impicciatevi, non intromettetevi

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con la mia vita perché io devo fare le cose del Padre mio" (Lc 2,41-50). Con i suoi parenti andò addirittura peggio perché un giorno tentarono di prenderlo poiché dicevano: "E' pazzo da legare, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo intervenire e prenderlo. Questo ci scredita tutti" (Mc 3,21).Dovunque andava e dovunque passava qualcuno tentava di ucciderlo, di calunniarlo o di metterlo alla prova per ciò che diceva e per ciò che faceva. Sacerdoti e politici non lo potevano sopportare, lo odiavano a sangue.Sfidò i potenti del tempo andando a Gerusalemme. E' una cosa che gli esegeti ancora non riescono a comprendere: perché mai si sarebbe recato lì a Gerusalemme, città nella quale rarissimamente aveva messo piede, nell'esatto momento in cui maggiormente era preso di mira dalla repressione?Morì di morte violenta, assassinato sulla croce e fu grande liberazione per molti. Più che una vita di pace (come la intendiamo noi: assenza di conflitti e contrasti) fu una vita di guerra.In Gv 9 c'è l'episodio significativo del cieco nato. Per tutto il giorno quest'uomo deve lottare e rompere con chi gli è attorno. E' in conflitto con tutti. Deve rompere con la sua famiglia che lo abbandona e lo "scarica": "Risposero i suoi genitori... domandatelo a lui; ha l'età, chiedetelo a lui" 9,20-23; deve rompere con l'ideologia e con ciò che tutti credevano e consideravano vero e giusto, quindi con un mondo: "Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?... Una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo" (9,34.25); deve rompere con l'autorità protettrice che lo rinnega perché non è conforme alla sua linea: "E lo cacciarono fuori" (9,34). L'unica cosa che gli rimane è Dio: "Io credo Signore" (9,38).Il vangelo non è un rifugio per chi ha paura di lottare, di mettersi in gioco, di scontrarsi. Diventare discepoli del Maestro vuol dire seguire il suo richiamo nel nostro cuore: vuol dire diventare se stessi, realizzare ciò che Lui ha messo come germe, seme, nel nostro profondo. Lo sappiamo già: ci sarà da lottare, ci saranno conflitti, non sarà né semplice né facile.Questo perché diventare se stessi vuol dire deludere le aspettative di chi c'è vicino; e ce lo diranno! Diventare se stessi vuol dire rispondere no a certe richieste e pressioni per conformarci all'esistente e a ciò che sempre si è vissuto; e ce la faranno pagare! Diventare se stessi vuol dire affermarsi e qualcuno lo prenderà come un entrare in competizione, come un sottrargli visibilità e spazio pubblico; e ti darà addosso! Diventare se stessi vuol dire farsi sentire, e troverai sempre chi tenterà di tacitarti e di annullarti. Diventare se stessi vuol dire prendere posizione e schierarsi, dicendo: "Io non ci sto", "pesterai i piedi" a qualcuno e si rivolterà contro di te. Diventare se stessi vuol dire denunciare l'ingiustizia e combattere l'ipocrisia, e cosi facendo ti farai una moltitudine di nemici e ti circonderai di odio. Diventare se stessi vuol dire che metti prima Lui a quelli di casa tua, ai familiari, a quelli che dicono di amarti, e così sarai tacciato come un ingrato, un pazzo, un irriconoscente, e come ti faranno sentire in colpa!Diventare se stessi vuol dire lottare per sé. Ma quanto ti ami se neppure lotti per te? Dici di amare Dio e non sei in grado neppure di amarti? Riflettici...!

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Pensiero della SettimanaQuando la vita ti da mille motivi per cadere, tu rialzati,quando i giorni sembrano bui e senza via d'uscita, tu spera,quando le delusioni urlano più forte dei sogni, tu costruisci,quando le rughe solcano il tuo viso, tu sorridi,quando ti senti solo, vieni a cercarmi,ti parlerò di come fare a rialzarti, ma tu fa lo stesso con me.Ne ho bisogno...: miglioriamo insieme!