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GRANDE ORIENTE ITALIANO Obbedienza di Piazza del Gesù Rivista di studi massonici e di scienze umanistiche Anno I° 1

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GRANDE ORIENTE ITALIANOObbedienza di Piazza del Gesù

Rivista di studi massonici e di scienze umanistiche

Anno I°

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SommarioNicola TucciPrefazione pag. 3

Amedeo MercurioIntroduzione pag. 4

Pietro Maria Muscolo Lettera aperta a Papa Wojtyla pag. 7

Arturo NapoletanoLe origini del pensiero esoterico pag. 19

Arturo NapoletanoFede massonica pag. 39

Antonio MucciardiLa Libertà pag. 46

Salvatore CapassoJerocrates pag. 60

AntonioMucciardiMassoneria cultura e diritto nel Regnodi Napoli nella seconda metà del XVIII Secolo pag. 78

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Prefazione

Tutto ciò che ci circonda è oggetto di attenzione edinteresse per il Massone che in un momento storicodifficile ed emblematico, deve essere vogile solerterealizzatore di una società più giusta e più equa,apostolo di una pace tanto auspicata e soprattuttocostruttore di se stesso per poter cogliere sempre di piùil senso della sua “missione” e della via. Difficile in questo senso il compito dell’Istituzione cheancora oggi si trova a combattere contro i fantasmi ed ilpregiudizio.e dell’ignoranza; che si trova a sgrossarepietre non sempre adattabili alla “costruzione”.. Più arduo ancora però il compito d’inquadrare iFratelli nell’ottica di una Massoneria Universale giustofondamento e coronamento di un processo dicomprensione della fratellanza universale. Questa rivista che il GRANDE ORINETE ITALIANOPIAZZA DEL GESU’ ha voluto, dovrà, con il suocontributo, cercare di testimoniare la tradizioneaiutando a ricercare “la verità” offrendo spunti per laformazione individuale e culturale di quei Fratelli sagi evolenterosi che attraverso la lettura mettono indiscussione ogni giorno il proprio libero pensiero.

Il Gran MaestroFr... Nicola TUCCI 3...

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IntroduzioneChi ha paura della verità?

Essa chiede una sola cosa:non essere condannata

senza essere conosciutaAnonimo

Un trentennio dalla uscita del primo numero della VoceMassonica, divenuta poi La Voce Massonica Europea,quindici anni dal primo numero di Politeia; oggi la primapubblicazione di Doxa, più che nuova, rinnovata rivistaufficiale del Grande Oriente Italiano – Obbedienza Piazzadel Gesù. Perchè, ci si potrebbe chiedere, non continuare nellatradizione delle vecchie Testate? La nostra scelta non è certamente dettata dalla volontàdi chiudere con il passato, un passato che non vogliamoné potremmo certamente dimenticare poiché il passatosignifica TRADIZIONE. Nessuna Istituzione potrebbe esistere senza laTRADIZIONE, è infatti tanto bello e rassicuranteconoscere i nomi dei propri antenati, la storia dellapropria famiglia. Allorché nel gennaio del 2005 Era Volgare, comediciamo Noi Massoni, si operò un rinnovo totale dellaGran Maestranza di questa Obbedienza, era in Noi salda

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la decisione di cominciare ad operare in mododiametralmente opposto a quello usato nel più recentepassato e ciò si volle attuare, anche a costo diemorragie più quantitative che qualitative, nella certezzadi fare Massoneria vera in modo nuovo e confacente aitempi attuali. Il tutto, ovviamente, nel pieno rispetto della Tradizionema ancor più della Regolarità massonica , così comeavvenuto nel passato e senza lasciarsi tentare daassurde quanto inaccettabili e pericolose “manifestazioni o rivelazioni ai profani “ attuati in nome diun falso e, senza alcun dubbio, errato concetto ditrasparenza.Allorché comunemente si sente il termine “ doxa “ , ilpensiero comune va naturalmente a quell’Istitutoitaliano, costituito nel 1946, che compie ricerchestatistiche e studi sull’opinione pubblica, ma non ècertamente ed ovviamente questa la nostra intenzione.Innanzitutto il nostro vuol essere un omaggio alla Terra diCalabria attraverso la figura di Giuseppe Gangale,calabrese nato in Cirò Marina ( Kr ) che fondò appunto lacasa editrice Doxa, quella casa che fino al 1934 curòprincipalmente la pubblicazione di e su classici delprotestantesimo.Lo stesso titolo di questa Rivista DOXA ( dal greco dòxa= opinione ) può essere tradotta come “ Verità opinabile,discutibile “ e pertanto, trattandosi di una opinione che

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viene liberamente espressa, è necessario che si crei undialogo fra Noi ed il lettore.Noi appunto ed il Nostro Lettore che, addetto o meno ailavori, potrà apprendere dalla lettura di queste paginetante verità o brandelli di verità fino ad oggi ignote omeglio, tenute nascoste e , forse proprio per questosicuramente verità. Molti al giorno d’oggi sembrano temere la Verità , maperché poi? Noi che perseguiamo sempre la Verita, non possiamoche auspicarci di riuscire a creare un incontro di opinioniil cui confronto stimolerà quella epistemé, quellaconoscenza superiore, che svestendosi di ogniindividualità, assumerà caratteri di assolutezza e diuniversalità.

Il Gran Maestro AggiuntoFr... Amedeo Mercurio 3...

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Lettera aperta del Gran Maestro Pietro MariaMuscolo a Papa Wojtyla (1975)1

«A Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II. Città delVaticano - Roma ».

Il Concilio Vaticano si può considerare per la Chiesadi Roma come l’evento più significativo del secolo XX perle implicanze ideologiche che ha ribadito, ma anche esoprattutto per le prospettive che ha aperto alla cristianitàe a quegli uomini sinceri ricercatori della verità in attesadi una risposta al travaglio delle loro menti. Il Concilio ha impresso alla Chiesa una nuovadinamica e tempestività che le condizioni della vitamoderna richiedono, ma soprattutto ha segnato un’eranuova circa i rapporti con la non-cristianità, desiderosa diconoscere la verità e i valori universali cui l’uomo hal’obbligo di rivolgersi per la sua condotta. Le indicazioni conciliari si sono dirette verso unaecumenicità, che vorrebbe essere totale, almeno neldesiderio e nella invocazione, in quanto il Concilio apre leporte, alza la voce ed attende ansioso.

1 La Redazione ha inteso, con la pubblicazione della lettera dell’ex GranMaestro Pietro Maria Muscolo a Papa Wojtyla, aprire il primo numero dellaRivista con la testimonianza di una pagina di storia recente del GrandeOriente Italiano – Obbedienza di Piazza del Gesù – che, peraltro, apparequantomeno attuale nel dibattito sempre aperto nel rapporto tra massoneria ecattolicesimo

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La Chiesa non ha tradito il messaggio sancito in sedeconciliare nella persona dei Pontefici che si sonosusseguiti e ciascuno ha ribadito, secondo le esigenzedelle svolte storiche, i contenuti ideologici più eminenti. Paolo VI, per esempio, ha messo in opera il disegnodi realizzare il dialogo, che era stato scelto dal Conciliocome metodologia pastorale, con l'enciclica Ecclesiansuam, nella quale delinea un panorama ordinato secondotre grandi categorie che simbolizzano gli uomini ai qualiportare il messaggio di salvezza. I famosi « cerchi concentrici » disposti attorno almistero centrale della Chiesa. I più vicini sono i fratelli separati, i meno vicini i noncristiani, i più lontani, « i molti, moltissimi purtroppo, chenon professano alcuna religione ». Già intrapreso da Papa Giovanni, il dialogo con i noncristiani venne da Paolo VI continuato ed intensificato edun segno della continuità dell'interesse della Chiesa peresso per dare all'uomo la sua autenticità è dimostratodalla recente enciclica Redemptor Hominis di PapaGiovanni Paolo Il, che nella sua visuale cristologica eredentiva non chiude le porte alle concezioni laicheallorché scrive: « E' nobile essere predisposti a com-prendere ciascun uomo, ad analizzare ogni sistema, adare ragione a ciò che ègiusto [...] ». Il filo conduttore del dialogo con le grandi religioni noncristiane è costituito dai valori fondamentali dell'uomo nelsuo cammino terreno.

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Un dialogo pieno di rispetto per un mondonumericamente più grande di quello cristiano, improntatoalle esigenze della lealtà e dell'onestà; condotto nellospirito non soltanto di dare, ma di ricevere. Questa predisposizione, questi stati d'animo nonlasciano insensibili i destinatari. Fra questi ci sentiamo annoverati noi, Fratelli LiberiMuratori, che concordiamo sulla piattaforma del dialogoche la Chiesa vuole aprire con tutti coloro che con spiritodi abnegazione, con sincerità ricercano la verità permigliorarsi. come uomini e per migliorare il mondo che licirconda. La circostanza della pubblicazione dell'enciclicaRedemptor Hominis ci sprona a iniziare un discorso su unrapporto che pubblicistica in malafede, denigratoridisinformati apologeti di parte, animati da un falsotrionfalismo, hanno reso sempre più difficile. Nel voler riprendere l'argomento, tenendo conto delledifficoltà, non c'è la pretesa di chiudere la questionedibattuta, ma la volontà di aprire con maggiore umiltà edavvedutezza un dialogo che certamente se condotto conobiettività e senza note pregiudiziali, approderà a risultatipositivi, servirà se non altro a chiarire punti finora maievidenziati nei dibattiti. A questo punto è giusto chiedersi quali siano stati nelpassato i motivi che hanno determinato le scomuniche,che tuttora costituiscono l'unico elemento di frattura. Occorre precisare che dalla In eminenti di Clemente

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XII (28 aprile 1738) alla Humanum genus di Leone XII (20aprile 1884) l'esegesi storico-giuridica e teologica è stataassolutamente monotona ed univoca, nel senso che nonsi è andati al di là del documento di Clemente XII, senzadare un avviamento a qualsiasi revisione, anche soloipotetica. Ciò ci sembra quanto mai importante se pensiamoche nella sopracitata enciclica come motivazione è detto:« [...] anche in base ad altri motivi a noi noti, giusti elegittimi ». In essa invero non si fa esplicita menzione di varimotivi dottrinari che possano giustificare, almeno oggi,una così gravosa condanna, se non che la Massoneria,nelle proprie Costituzioni ammetteva «la tolleranzareligiosa e il segreto». Per motivi di correttezza non possiamo nonsottolineare il fatto che per la prima volta veri motividottrinari sono stati esposti nella enciclica leonina e pre-cisamente nella II parte. Ma oggi ci sia lecito asserire che essi appaionosuperati, tenuto conto che il documento pontificio è statosollecitato dalle componenti storiche del momento equindi dall'ambiente ottocentesco in cui confluivanocampagne anticlericali per la caduta degli Stati Pontifici edi Roma, e per l'abolizione dei privilegi ecclesiastici. Dopo questa necessaria pregiudiziale storica ci siaconcesso esaminare alcuni punti fondamentali, che,secondo il nostro punto di vista, possono considerarsi

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quella base comune su cui poter fondare un possibilediscorso ideologico ed un dialogo con la Chiesa.

A) La Libera Massoneria non è atea e per esservi accoltiè necessario possedere la sincera fede in Dio enell'immortalità dell'anima (Landmarks)

Nelle Costituzioni il problema viene posto comefondamento e quindi come requisito indispensabile perl'accettazione. «Un Massone - è scritto - è obbligato dallapropria qualità ad obbedire alla Legge morale e se egli haben compreso PArte, non sarà mai uno stupido ateo, néun irreligioso libertino. Egli, tra tutti gli uomini, dovrebbecomprendere meglio che Dio non vede come vede l'uo-mo, perché l'uomo guarda alle apparenzeesterne, mentreDio guarda il cuore». Questo obbligo scaturisce dalla natura stessa dellaLibera Muratoria, in quanto essa è una Istituzioneeminentemente spirituale ed il Massone non può essereun ateo, in quanto tale mancanza di fede diverrebbe fontedi sofferenze e di amare delusioni. La Libera Muratorìa ricorda che fra tutti gli esseriviventi, l'uomo è l'unico che ottenne il privilegio diconcepire la esistenza del Creatore; l'unico al qualevenne concesso il dono della fede.

B) La concezione dell'uomo

L'uomo viene concepito come «il figlio del cielo edella terra» (Ermete Trismegisto), in quanto partecipe

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delle influenze celesti e terrestri, riacquistando quelleposizioni «centrali» al di fuori delle sollecitazioni dellaruota cosmica, in cui si rivela nella sua umanità integraleed originaria. La Muratoria vuole dare all'uomo la sua primordialeintegralità disancorandolo, quindi, da tutto ciò che èterreno, particolare, per elevarlo verso il cielo, verso tuttociò che è stabile, eterno, immutabile, unico. La trasformazione dell’uomo avviene mediante unprocesso dinamico che si svolge nella profondità dell'ioper riportare alla soglia della coscienza la veritàche giaceassopita nel fondo di ogni uomo. Il processo si risolve nell'agostiniano invito: «Noliforas ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitatveritas: et si naturam mutabilen inveneris, trascende ad teipsum. Sed memento cum te trascendis, rationabilemanimam te transcendere. IIluc ergo tende, unde ipsumlumen rationis accenditur » (De Vera Religione). La Muratorìa cerca, quindi, la trasformazionedell’uomo in senso strettamente spirituale, in quantol'obiettivo principale è la rigenerazione morale e larinascita interiore. La realizzazione dell'homo novus è simboleggiatadallo smussamento della pietra grezza per renderlalevigata. Durante questo processo, le dimensioni si dilatano econ esso il significato e la portata dei rapporti sociali einterpersonali, in quanto l'uomo perde ogni limitazione

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egocentrica per guardare all'umanità come parte di sestesso. Sollecitato da questo sentimento il buon Massonecerca di abolire ogni discriminazione di razza, di religione,di casta, di ricchezza in modo da stabilire un comunedenominatore come punto di partenza della propriarealizzazione.

C) Il processo iniziatico

Con l'iniziazione si avvia il processo di trasformazioneinteriore dell'uomo che da profano viene trasformato inMassone, un uomo qualificato per rinnovare a propriaimmagine e somiglianza l'umanità. L'iniziazione non deve essere considerata come fattomagico per cui, realizzata la cerimonia, che ha un suosignificato liturgico, il neofita acquisisce un nuovo statoda renderlo automaticamente un puro, un uomo che haraggiunto meccanicisticamente la perfezione. L'iniziazione deve essere vista non come momentoconclusivo ma «inizio» di una vita spirituale, che deveessere alimentata dallo sforzo continuo per potersopravvivere e per accrescersi. Per il Massone l'iniziazione si tinge di una religiositàlaica e suppone una netta distinzione fra il mondoprofano e quello iniziatico e in qualche modo consacrato,che agisce nel riserbo del Tempio e che intenderealizzare il miglioramento della stessa società dallaquale ci si apparta, per tempi estremamente brevi, tesi

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come si è all'animazione ed alla trasformazione di essa. Questa vita, temporaneamente lontana dal mondointero, è il pugno di lievito nella massa di farina che neattende la crescita (P. Esposito). L'attività che si svolge nel chiuso del Tempio altroscopo non ha che migliorare il fratello singolarmentepreso, attraverso la formazione e i relativi esercizidemandati dalla gradualità dell’iniziazione. Il neofita che si avvia a far parte della FamigliaMassonica è come la pietra grezza; egli ha il dovere dimigliorarsi, sfaccettarsi, fino a trasformarsi in pietracubica. Un brano tratto dalla I lettera di Pietro Apostolo puòservire da programma all'iniziato: «Anche voi, comepietre vive, costruitevi in maniera da formare una casaspirituale, un santo sacerdozio, per offrire sacrifici graditia Dio». A cui fa riscontro un testo di Ermete Trismegisto:«Converti e cambia le nature e troverai ciò che cerchi»(Corpus Hermeticum). La vita del Massone dunque deve essere intesa comeascesa continua e faticosa verso le vette della perfezionee la promozione ai vari gradi con una conquista spirituale. Da questa istanza scaturisce l'esigenza di unaascetica che la Massoneria offre a coloro che liberamentedesiderano far parte della Famiglia.

D) Ascetica massonica

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I contenuti dell'ascetica massonica scaturiscono dalconcetto di iniziazione e dalla necessità, da partedell'uomo, di migliorarsi per essere strumento valido dipromozione delle virtù umane nel mondo profano.Ciò posto come fondamento della istanza ascetica, laMassoneria non induce ad escludere apertamente leistanze sopramondane, né lo potrebbe, dal momento chel'immortalità dell'anima fa parte dei suoi Landmarks, mapropende a tenerle in secondo piano per lasciare ilfratello libero di fare le sue scelte, non escluse quelle chela sua fede religiosa gli impone. L'ascetica massonica evidenzia energicamente leragioni dell'aldiquà sempre riportabile a quella che èindicata come sacralità delle realtà terrestri. Quindi da qualsiasi punto le considerazioni massoniche, riferentesi all’ascetica, possano partire, esseconvergono verso il grande asse equilibratore di tutta lavita iniziatica e sociale (Padre Esposito). Il primo momento dell'ascetica massonica è costituitodal lavoro di riflessione per la conoscenza di sé per avereuna vera dimensione dell'essere umano. Questo lavoro di introspezione continua non è unfatto puramente razionale, ma consiste in un impegno ditutte le potenze a scoprire ciò che di passionale, diistintivo e di limitativo c'è nel fondo del cuore umano performare quelle virtù richieste dalle istanze spirituali chel'uomo avverte, ma che spesso sono soffocate dallescorie terrene e dalla materialità del suo essere

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corporeità. La prima tappa della ascesi consiste, dunque,nell'affinamento graduale dell'io, attraverso un laboriosotravaglio interiore, che porta all'attuazione di tutte le po-tenze più vere e più profonde dell'uomo. La virtù principe che deve scaturire dal lavoro diintrospezione personale è l'umiltà, intesa come veradimensione di sè. Il Massone che ha una smodata stima di sé non potràcostruire nel chiuso del tempio la sua e l'altrui spiritualità;il superbo, chiuso nella sua grettezza, impedisce ogniforma di dialogo e sarebbe dannoso a sé ed agli altri.Sorella dell'umiltà è la tolleranza: chi è tollerante noninasprirà mai nessun dissidio; non sarà spinto a nessunaforma di aggressione, a nessuna offesa polemica. Il buon Massone con la propria riflessione e la propriapacatezza saprà riportare sempre, laddove si profila ilcontrasto, l'armonia. A queste virtù sono intimamente legate la costanza,come perseveranza nei buoni propositi e la discrezioneintesa come riservatezza. Nella Massoneria esiste anche una ascetica sociale. Ilbuon massone deve sentire di portare una ondatapurificatrice nella controversa vita politica, al di sopra deipartiti; deve portare un messaggio di onestà e di umanitàper il trionfo della giustizia, della fratellanza, del-l’uguaglianza e della libertà senza licenza. Accanto a queste grandiose direzioni non mancano

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quelle più umili, spicciole e quotidiane. Di fronte al povero la Massoneria s'impegna in tutte leforme, ivi compresa l'offerta liberatrice dall'immediato bi-sogno e dalla sofferenza. L'aspetto caritativo della realtàmassonica è costante e sentito. Quanto è stato fin qui detto ci sembra ben poca cosaper esprimere il profondo significato spirituale che laMassoneria assume nel formare i fratelli che desideranoaderirvi, perché estremamente grande e ponderoso è ilbagaglio dei contenuti etici che oggi può mostrare ad unmondo in cui trionfano l'odio, la violenza, il desideriosmodato del denaro e la corruzione dei costumi. Responsabili e consapevoli delle condizioni in cui ilmondo versa, «ci congreghiamo - scrisse un fratello - perannunciare agli oppressi la lieta novella e cioè la luce intutti gli ordini dell’attività umana. Pace fra i pensieri, nellacomunione della dottrina infallibile. Pace fra i sentimenti,nella contemplazione dello stesso ideale. Pace fra gliindividui, fra le classi, fra i popoli, in nome della giustizia edella fratellanza» (Pandolfi). A questo punto non ci resta che sottoporre questinostri pensieri animatori della nostra opera a chi, spintoda spirito evangelico, vuole raggiungere questi medesimiscopi. Chi potrà negare la validità e l'ortodossia di questoprogramma? Semplicemente la malafede e il preconcetto possonochiudere le porte ad un dialogo che certamente gioverà

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tanto all'umanità desiderosa di una parola che allievi ilcumulo di sofferenze e di mali che l'affliggono. Il fine di queste brevi note non è inficiato daprospettive materiali, ma piuttosto è sollecitato daldesiderio di aprire un dialogo per chiarire tanti puntituttora oscuri che non hanno consentito alla Chiesa e allaMassoneria di guardarsi con occhio sereno. Infine tra le colonne dei nostri templi siedono tantifratelli cattolici, orgogliosi della loro fede, che danno il lorovalido contributo alla realizzazione del messaggiocomune e che sono desidero" si di una ulteriorechiarificazione circa i rapporti tra Massoneria e Chiesa. Tutto ciò si realizzi a gloria del Grande Architettodell'Universo.

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Alle origini dell’Esoterismo: il concettogreco-arcaico di Physis

Arturo Napoletano

-I- Aristotele, come è noto, distinse nel suoinsegnamento un corpus dottrinario essoterico ed unoesoterico o acroamatico. Il primo era divulgato nelle piùpopolari lezioni che il Maestro teneva nel pomeriggio eper mezzo di testi letterariamente accattivanti; ilsecondo, invece, era riservato alle lezioni mattutine,aperte ad una più ristretta comunità di selezionatidiscepoli.

A noi Moderni, convinti come siamo dell’unità delsapere, questa distinzione può apparire bizzarra,quando non la giudichiamo stravagante; siamo orientatia ritenere questa scelta aristotelica come il frutto di unaconcezione elitaria della cultura.

L’equivoco nasce facilmente e serpeggiò anchenell’antichità, come si può documentare con una letterache Alessandro, secondo Plutarco, avrebbe indirizzatoal suo maestro Aristotele:

Alessandro ad Aristotele salute. Non hai fatto benea pubblicare le tue dottrine acroamatiche. In cosa cidistingueremo dagli altri, se le dottrine in cui fummoeducati saranno comunicate a tutti?

Io preferirei distinguermi per la conoscenza dellecose più che per la potenza delle armi e di un impero.

Sta sano (Plutarco, Vita di Alessandro, 7).

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Nella sua risposta all’indispettito sovrano, Aristotelesi difendeva dal rimprovero di aver diffuso le dottrineacroamatiche o esoteriche sostenendo che quelledottrine restavano appannaggio di pochi anche dopo laloro pubblicazione, poichè - come si esprime Plutarco -quelle dottrine erano state e non erano state rese dipubblica ragione. Nessuno, infatti, avrebbe potutoservirsi del testo pubblicato per apprenderle oinsegnarle. Esse, in realtà, erano state da lui fissatenella forme scritta per servire come traccia a chi è statoeducato fin da principio secondo le teorie ivi esposte(Plutarco, Op. cit., 7).

Uno studioso contemporaneo, Werner Iaegersottolinea con chiarezza questo punto cruciale:

(Staccati dalla parola di Aristotele) i trattati nonpotevano esercitare indipendentemente un’ulterioreefficacia...la stessa scuola peripatetica è stata capacedi leggervi solo finché c’erano ancora, a commentarli,quelli che erano stati personalmente discepoli diAristotele (Aristotele, pp. 430-431).

Per Aristotele, dunque, il sapere esoterico non èquel sapere che è sottratto ai molti per creare unaartificiosa barriera culturale, bensì è quel livello di veritàche richiede, per essere compreso adeguatamente,una disposizione naturale ed una iniziazione. Ilpassaggio dall’essoterico all’esoterico è, in altri termini,un trascorrere dalla superfice al profondo, per unsentiero impervio; un sapere arduo che il maestro non

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può comunicare con i metodi didattici tradizionali o adallievi distratti e poco dotati intellettualmente.

Si potrebbe, è vero, avanzare qualche riservafilologica sull’autenticità dei documenti prodotti daPlutarco, ma non certo una riserva filosofica. In questacruciale distinzione, Aristotele, del resto, non facevache seguire il suo maestro Platone, che così avevascritto:

Questo solo posso dire sul conto di coloro chehanno scritto o scriveranno affermando di conoscereciò che è l’oggetto del mio studio...questa disciplinanon è assolutamente, come le altre, comunicabile; ma,dopo molte discussioni...e dopo una lunga convivenza,improvvisamente, come luce che si accende da unascintilla, essa nasce nell’anima e nutre sé stessa(Lettere, VII.341 c-d).

Platone, a sua volta, veniva a collocarsi dopo unalunga ed illustre schiera di pensatori più antichi nei qualiè facile rinvenire questo doppio livello di ricerca.

Pur se polverizzato in pochi mutili frammenti, talecarattere è chiaramente distinguibile nel pensiero diEraclito, un pensatore che per il carattere esotericodella sua dottrina venne designato con l’epiteto diOscuro. Eraclito era ben consapevole dellainaccessibilità del suo pensiero e non tentò in alcunmodo di sanarla. Era persuaso, al contrario, che solouna disciplina ascetica potesse introdurre allacomprensione delle verità più profonde. Perciò, come

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narra il suo biografo Diogene Laerzio (Vite dei Filosofi,IX.3), si ritirò a meditare in solitudine sui monti,cibandosi di sole erbe.

Il pensiero di Eraclito, germinato su dirupi montani,nel silenzio di chi si è lasciato alle spalle il mondo degliuomini, venne dal Filosofo fissato in uno scritto nondestinato alla pubblicazione. Egli si limitò a depositarlonei penetrali del tempio di Artemide in Efeso, affinché,come si esprime il Laerzio (Op. cit., IX.6), siaccostassero ad esso solo quelli che ne avessero lacapacità.

La vicenda intellettuale di Eraclito è illuminante sulcarattere di questo esoterismo filosofico. Esso, infatti,può essere stato forse ispirato da coeve esperienzereligiose, ma si propone con nettezza comeun’esperienza laica, come uno sforzo di cui èprotagonista il filosofo stesso. E tale sobriaconsapevolezza dell’autonomia del pensiero e della suacapacità di scendere nel profondo informa di sè anchela più celebre scuola esoterica, la scuola pitagorica, laquale non faceva derivare il suo difficile sapere da undio o da un eroe, bensì da un uomo, anche se sommo,che aveva saputo, col suo ingegno, avanzare persentieri impervi e solitarî.

Ugualmente si viene a collocare nell’orizzontedell’esoterismo il pensiero di Parmenide. Nella suadottrina è esoterico non solo il modo in cui si esprime,ma sopra tutto il suo pensiero. Egli scrisse un poema in

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cui le sue dottrine vengono comunicate al giovanefilosofo al compimento di un viaggio che lo conduce alcospetto di una dea, la quale gli rivela l’esistenza di duesentieri: uno di arduo percorrimento, cui si giunge solocon il Logos, e l’altro alla portata di tutti, il sentierovasto e superficiale delle comuni esperienze deimortali, l’orizzonte della Doxa.

Non può esservi, quindi, dubbio sull’esistenza diquesta duplice tradizione nel pensiero greco e ciò ciincoraggia a gettare uno sguardo alle sue sorgenti, allaricerca della fonte stessa di questa tradizionealternativa del pensiero esoterico, disegnandone meglioi contorni e disincastrandolo dalle fumisterie mistericheche tuttora lo screditano.

Questa ricerca non è meramente erudita. Non ciinteressa la questione storiografica delle origini di untale pensiero (anche se tale questione dovremonecessariamente affrontare), ma riteniamo sia di vitaleinteresse cercare un saldo fondamento teoretico persalvare il pensiero esoterico. Questo, infatti, privo diuna consapevolezza dei suoi reali presupposti storici,basato su dubbi fondamenti, appesantito da ogni sortadi zavorra magico-simbolistica, naviga nei bassifondidella cultura e lo spirito della modernità ha facilmenteragione di questo simulacro di pensiero, fumoso emisticheggiante, che si pavoneggia dell’etichetta diesoterico.

Finché si contrabbanderà per esoterismo tale

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zibaldone, improponibile ad ogni mente equilibrata erazionale, nulla potrà distogliere l’uomo moderno dallapersuasione di avere inglobato nel suo sapere l’antico edi averlo definitivamente superato.

Se non si dissipa questo equivoco non ha alcunsenso continuare a parlare e scrivere di esoterismo: lanostra cultura è anti-esoterica per caratteri, programmie finalità. Ospitata in testi logicamente rigorosi,insegnata da professori universitarî, arricchitacontinuamente da miriadi di ricercatori, il sapere dellamodernità ha relegato nell’angolo delle superstizioni edelle nebbie misteriche ogni tentativo di pensiero checerca di scavare sotto l’edificio superbo di quel sapereche ci consente di dominare la natura.

Il gran regno dell’essere è per noi ridotto al soloorizzonte della natura, una natura concepita come unimmane serbatoio di energie, campi di forze eparticelle, dentro le cui viscere fruga instancabilel’uomo per istaurare in essa il dominio della tecnica:finché il nostro pensare si volge entro questo ristrettoorizzonte non c’è spazio per un pensiero dellaprofondità e, dunque, per un pensiero esoterico. Da ciòla necessità di scavare sotto l’edificio della culturamoderna, tornando alle sue origini, per ridiscuterne lescelte cruciali.

Cosa c’era nella cultura dell’Occidente prima che sivenisse a determinare questo rapporto sostanzialmenteevasivo e riduttivo con l’essere? Esiste la possibilità di

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un pensiero che vada più a fondo nell’essere di quantonon faccia la scienza? Tenteremo di delinearel’orizzonte teoretico entro il quale sia possibilerispondere a tali questioni e per far ciò occorrerà risalireassai indietro nella corrente del tempo: alle originistesse del pensiero occidentale.

-II- Quando l’uomo dell’Occidente diede inizioall’avventura della conoscenza, nella Grecia arcaica,egli mosse il primo passo ponendosi una domandafondamentale: Che cos’è la Physis?

Una improvvida traduzione modernizzante intendela domanda originaria in questi termini: Che cos’è lanatura? Una volta perpetrata tale peccaminosatrasgressione filologica ci viene a sfuggire la domandaoriginaria ed i filosofi di Mileto, Talete, Anassimandro edAnassiméne, ovvero i primi a porsi la questione,vengono ridotti a filosofi naturalisti ed assimilati ai nostrimoderni uomini di scienza.

Tale errore travisa tutta la prospettiva interpretativadella filosofia arcaica e ciò sarebbe poco male, se contale errore ci sfuggisse solo un capitolo della storiadella cultura; la questione, invece, non si esaurisce neisuoi termini storici e filologici. Tali pensatori nonpossono essere considerati come i precursori deimoderni scienziati per il semplice fatto che loro nonavevano ancora elaborato il concetto di natura che èalla base della scienza. Questo concetto, infatti, nasce

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ben dopo la felice stagione della filosofia arcaica e conla sua nascita segna la fine di quella esperienza. Essopresuppone il pensiero astratto e l’atteggiamentoscientifico: modalità e pratiche le quali non possonoessere fatte risalire ad un’epoca anteriore a Leucippo eDemocrito. E’ a questi filosofi, infatti, che si deve farrisalire il moderno concetto di natura, intesa comeun’entità imbrigliabile concettualmente in un fittoreticolo di relazioni logiche.

Il Medio Evo, pur senza tornare al concetto diPhysis, ha dimenticato questo concetto di natura, ma loha resuscitato la cultura moderna che nasce, anzi,proprio su questo presupposto: mentre per i filosofiarcaici la totalità dell’essere era la Physis, per noi taletotalità si esprime nel concetto di natura, intesa comeun puro serbatoio di energie, privo di intima vitalità. Daquesta scelta sono, poi, derivate le contrapposteposizioni dell’ateismo (che si contenta di questosimulacro di mondo e non chiede altro per spiegaretutta la complessità del reale) e del teismo (che puntellaquesta natura zoppicante ed incapace di camminare dasola, servendosi di un Dio-ingegnere che fabbrica unmondo incapace di starsene da sé nell’esistenza).

Anche se al momento non ci è ancora chiaro cosasi potesse intendere nel pensiero arcaico per Physis,tuttavia, tale concetto, anteriore alla determinazione delnostro concetto di natura, doveva essere alla base delpensiero di un Eraclito o di un Parmenide, un pensiero,

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come si è veduto, essenzialmente esoterico: evadendodalle ristrettezze del nostro concetto di natura,risalendo a quelle antiche concezioni possiamo speraredi attingere a quella dimensione del profondo senza laquale non ha spazio alcuno l’esoterismo. La ricerca checi proponiamo, pertanto, è un compito prioritario per ilpensiero critico. Se la nostra visione dell’essere èmisera ed angusta e, dunque, sostanzialmente falsa,allora non è un’impresa meramente erudita cercare dipensare quello che i pionieri del pensiero hannopensato con questa arcaica e veneranda parola.

In questa nostra navigazione alla volta dellariscoperta della Physis ci orienteremo seguendo alcunepreziose indicazioni di Werner Jaeger:

Tradurre Physis col nostro concetto di natura...è unerrore che non tiene conto del significato greco...Ilvocabolo indica ancora con evidenza l’atto del phynai,cioè il crescere e nascere in quanto processo...maabbraccia anche l’origine dalla quale sono sorte econtinuano a sorgere (le cose), vale a dire la realtà chesta alla base della nostra esperienza. Anche il sinonimodi Physis, che è altrettanto antico o più ancora, cioèghénesis, ha lo stesso doppio significato (La teologiadei primi pensatori greci, pg.32).

In questi stessi termini si esprime Aristotele, ilquale, fra i varî significati che può assumere la parolaPhysis, annovera anche questo:

Si dice Physis...l’elemento primario immanente da

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cui procede la cosa che nasce (Metafisica,V.1014b).La parola, tuttavia, rinchiude ancora altri significati

che possono essere dissepolti dall’analisi linguistica:essa è costruita su una radice indo-europea -Phy,formata da una consonante labiale aspirata sorda,suonante come la nostra F e trasformazione di una piùantica consonante labiale sonora, Bh. La vocale Y, asua volta, è una vocale assai vicina nel suono allanostra u. Vi è, dunque, una vicinanza linguistica tra laradice Phy ed un’altra radice indo-europea: la radice-Bhu. Ciò è di rilevante significato perché la radice -Bhuè anche una delle radici del verbo Essere, eprecisamente quella dalla quale derivano il perfettolatino (fui, fuisti, ecc.) ed il nostro passato remoto (fui,fosti, ecc.).

Vi è, dunque, una vicinanza linguistica (chesottintende, come è ovvio, una affinità concettuale) fraPhysis ed essere. Tuttavia ciò non è tutto, perchè laradice -Bhu è vicina alla radice -Bha, che subendo lostesso spostamento da consonante sonora a sorda,divenne Fa, dando origine alla parola Fos, che significaluce.

Vi è, pertanto, un’antichissima parentela fra leparole significanti essere e luce, una parentela cheveniva pensata nell’arcaica parola Physis: unaluminescenza che avvolgeva ogni cosa si dispiegavaall’occhio sereno del Greco arcaico; una unitàfondamentale legava ogni cosa in una radicale

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fratellanza ontologica. Il gran mare dell’essere su cuinavigava il Greco arcaico, prima che i filosofi ponesserola Physis sul tavolo dell’anatomista, era una vastadistesa marina che non conosceva scogli o promontorî.

Intesa nel senso di ciò che conduce ogni cosanell’esistenza, la Physis è l’essere, ossia è il concettopiù ampio che si possa concepire, quello oltre il qualenon è dato procedere al pensiero indagante. Rispettoalla Physis ogni altra realtà è una realtà derivata ecompresa in essa o, come si dice altrimenti con illinguaggio dell’ontologia, un e(sse)nte. Questadifferenza fra l’essere e l’ente (che in filosofia viene, ingenere, chiamata differenza ontologica) è la differenzafra ciò che genera in profondità e la superfice che sisorregge su tale profondità.

Ecco perché Talete, e con lui tutti i filosofi arcaici,che ancora pensavano la vastità di questo concetto,furono indagatori della Physis. A questi pensatori laPhysis non appariva come la nostra natura; cercare dicomprendere il loro pensiero comporta l’onere dipensare anche noi in termini di Physis e non di natura.Ciò non è affatto facile, poiché pensare movendo daquesto concetto implica radicali aggiustamenti nelpensiero, che per noi Moderni sono ardui erivoluzionarî. In quanto sorgente di tutto ciò che è, laPhysis viene ben prima concettualmente di tutte lesuccessive distinzioni operate dal pensiero e che ciappaiono familiari e naturali, come quella fra Dio e

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mondo, o come quella di materia inanimata eorganismo, oppure di natura e spirito: una distinzione,quest’ultima, che è fondamentale per il pensierooccidentale ma che, come si esprime Heidegger, èsemplicemente ripugnante allo spirito greco(Dell’essere e del concetto di Physis...,pg.63).

Il pensiero filosofico nacque proprio perché decisedi porre a suo oggetto di riflessione la Physis. Ai filosofiionici non sfuggì che se si afferra tale concetto in unatto intuitivo, esso si presenta come saldamenteunitario; ma, sottoponendolo all’analisi del pensieroriflesso, la Physis si rivela ambivalente: essendoghénesis, essa è l’atto germinante di tutto ciò che è inessa; ma, essendo anche la totalità di ciò che è, essa èanche ciò che ha prodotto. Una tale riflessione spinse ilprimo filosofo, Talete, a determinare un concetto piùcomplesso di Physis. Essa è, nel contempo, il mondoentro il quale siamo ed è anche l’atto generativo diesso. La Physis ha una superfice ed una profondità e laparte più profonda di essa è in questa radicale eoriginaria apertura che determina l’orizzonte in cui siviene a collocare tutto ciò che è.

Da questa intuizione epocale scaturisce il concetto-chiave della filosofia arcaica, il concetto di Arché: unaveneranda parola di cui si fa scempio, noncomprendendola, nei manuali scolastici di storia dellafilosofia. Una valida indicazione per intenderla ci vieneancora da Aristotele, il quale, fra i varî significati che

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accumula per definire questo termine nella suaMetafisica include anche questo:

Arché...è il punto di partenza del movimento di unacosa...ciò che è immanente ad un oggetto e da cuil’oggetto stesso inizia la propria esistenza (Metafisica,V.1013a).

Dalla definizione aristotelica muove anche ladefinizione più vasta e comprensiva che propone MartinHeidegger:

Arché significa dapprima ciò da cui qualcosaprende le mosse (per uscirne), è il principio; poi, però,è ciò che quale uscita e principio si protende al disopra...e così lo ritiene e domina (Op. cit., pg.67).

Un orizzonte insospettato, una scaturigineprofonda s’apre alla considerazione del pensiero. Conla filosofia si opera una svolta nella concezione delmondo. L’operazione intellettuale di Talete e dei filosofidi Mileto che ne seguirono l’ispirazione, scegliendo adoggetto tematico la Physis e determinandone lacomplessa stratificazione di significati, fu un’impresarivoluzionaria per la cultura e ce lo dice chiaramenteTeofrasto:

Talete...è stato il primo a rivelare ai Greci l’indagineintorno alla Physis (De Physicorum opinionibus libri,Fr.1).

La filosofia dei pensatori di Mileto, facendoscaturire dal concetto di Physis, in partenza unitario, ilconcetto di Arché, veniva a determinare una

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caratteristica dualità: origine e creatura originata, Archée Cosmo, oppure essere ed ente. Da una parte Physissta a designare il tutto organico che è stato immessonell’esistenza e dall’altro ciò che, immettendo l’entenell’esistenza, si rivela non per sé, ma attraverso questienti che promanano da essa. La Physis, dunque, sicaratterizza per una radicale distinzione che nellafilosofia teoretica viene designata con l’espressionedifferenza ontologica. Questa scoperta, tuttavia, ponevaun enigma fondamentale: la Physis, nel suo aprirsi nellaluce, infatti, rivela l’ente, non l’essere. L’esperienza, peresprimerci con Spinoza, ci mostra in piena luce lanatura naturata, non la natura naturans. La Physis,cioè, appare al filosofo arcaico come ciò che,rivelandosi solo nella sua superfice, si sottrae allosguardo nella sua enigmatica profondità. Da ciò lasuggestiva sentenza di Eraclito: La Physis amanascondersi (22B123 D.-K.).

-III- Quando un Greco arcaico, vissuto prima diTalete, volgeva il proprio pensiero a quella che èdiventa per noi la natura, sentiva in essa un’intimafamiliarità e vitalità, ben sintetizzata in una celebresentenza attribuita proprio a Talete: Tutto è pieno di déi.

Noi, rimontando la corrente del tempo, superando losteccato dei nostri schemi di pensiero, incontriamoquesta parola-chiave con la quale i Greci pensavano

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una vasta apertura luminescente dalla quale sgorgano imondi e gli esseri tutti. Ogni luce sprizza dalla suaprofondità feconda. Si tratta, come si vede, di unaparola cruciale. A seconda di come si intende ilsignificato della Physis muta l’atteggiamento rispettoall’essere e si modifica la destinazione possibiledell’esistenza. Come afferma giustamente Heidegger,questa parola-base della metafisica occidentalenasconde in sé decisioni sulla verità dell’ente (Op. cit.,pg.63).

La spiritualità dei Greci arcaici si moveva entro unaPhysis immersa in una perpetua aurora, che sostenevaogni ente nell’esistenza e perciò lo riteneva edominava. La filosofia, però, nel prendere ad oggettodella sua riflessione proprio la Physis, non tardò adissolverne la complessa e potente unitarietà. Questasvolta radicale e rivoluzionaria iniziò proprio colfondatore della cosiddetta scuola di Mileto, Talete, ilquale ne pose la premessa con la sua teoria dell’Arché.

La grandezza di Talete consiste proprio nell’averdistinto nella luminosa visione che il Greco arcaicoaveva della Physis la enigmatica presenza di unproblema; in una struttura concettuale complessa, maunitaria, egli ha cominciato ad operare delle distinzioni.Impresa ben degna della nostra ammirazione perché,come osserva Ortega y Gasset, la libertà di spirito,ossia la potenza dell’intelletto, si misura per la suacapacità di dissociare idee tradizionalmente

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inseparabili. Dissociare idee è più difficile cheassociarle (La ribellione delle masse, pg. 76, nota 5).

Alla fine dell’esperienza teoretica dei filosofi diMileto, la Physis, chiara e senza domande, serenadimensione in cui tutto è pieno di dèi, si scinde in dueorizzonti e s’apre in essa la ferita di una differenzaprofonda, che attiene alla sostanza d’essere, ladifferenza ontologica: da una parte la radice nascosta,l’essere, e dall’altra ciò che si mostra nella luminosità,l’ente.

Con lo stabilirsi della differenza ontologica, la civiltàdell’Occidente, rinuncia all’edenico stato di indistinta enon problematica unità dell’essere e prende unadecisione cruciale dalla quale sarebbero scaturitedecisioni altrettanto cruciali. Sempre più difficilmente unsolo pensiero sarebbe riuscito ad afferrare ancoral’unità della Physis.

Esprimendoci ancora con le parole di Heidegger,possiamo dire che, alla fine del suo corso, il pensieroarcaico ha ormai deciso sul destino dell’ente: la Physis,è stata mutilata della sua profondità ed il modernoconcetto di natura è l’esito di questa riduzione. Questaoperazione intellettuale, avvenuta dopo Parmenide, adopera degli Atomisti Leucippo e Democrito, ha lasciatoindelebilmente il segno nella civiltà dell’Occidente.Quando noi pensiamo la natura non pensiamo allaPhysis di Eraclito ma al cosmo democriteo.

La filosofia arcaica, invece, distinguendo il mondo

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della superfice da quello della profondità, cercava diporsi, con i suoi più grandi pensatori, come pensieroche pensa ciò che si sottrae al disvelamento. Questanon è la modalità consueta del nostro pensare. In noi,uomini della Modernità, eredi di Leucippo e Democritoed incapaci, ormai, di pensare l’essere in termini diPhysis, essa ha lasciato il campo all’esperienza ed allalogica, i due bisturi con i quali la scienza seziona, dopoaverla posta sul tavolo anatomico, la vitalità dellaPhysis. La nostra natura, esito di questa decisionecruciale, non ha più luce: la vita le è sfuggita. E’ unreticolo di particelle e campi di forza. Nulla di piùlontano dalla maniera arcaica di concepire la Physis.

Non c’è più la radura luminosa nella quale sirivelava, nascondendovisi, la Physis. La potentedensità ontologica di questo venerabile concetto è, pernoi, al di là della concepibilità. Il pensiero della filosofia,e quello da esso derivato della scienza, hanno perdutoin profondità per quanto hanno guadagnato inestensione e, con la perdita della profondità, abbiamoperduto in umanità. Il pensiero logico-matematico hainvaso anche ambiti che esulano dal suo ristrettoambito di anatomista, domina le nostre menti e ciallontana da una sperimentazione della profonditàdell’essere. La Physis che ama nascondersi, e pur sirivela, si è del tutto sottratta al nostro sguardo diindagatori. Diminuiti nello spirito, non scorgiamo intornoa noi che una piatta superfice che si stende sul vuoto.

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La scienza non ci mostra più luminose radure popolatedi déi, ma orridi e bui paesaggi. Quella lontanadecisione sul destino dell’ente, decisione che i Grecihanno preso per noi, ci ha rinchiuso nella prigione degliartifici logici e di una prassi sperimentale, in cui glistessi occhi dell’indagatore sono sostituiti da strumentiche vedono per lui ciò che non sarebbe altrimentivisibile.

Oggi il bagliore della luna o i profumi di una brezzamarina ci sono ignoti e lontani più ancora di un satellitedi Saturno: per avere una approssimativa idea dellapotenza di quel lontano modo di sentire l’essere, forse,possiamo solo aiutarci col ricordo della gioia estaticacon la quale ci sentivamo di essere nel mondo inqualche felice momento della nostra infanzia. Ogni altraesperienza del profondo ci è vietata. Ciò che eraspontaneo per la sensibilità di un Greco arcaico è pernoi una difficile esperienza cui si può attingere alcompimento di un viaggio di allontanamentodall’angusta ed arida aiuola nella quale siamo confinati.

La decisione sul destino dell’ente, decisione che hasegnato la nascita della nostra civiltà, hacontemporaneamente posto la necessità di un pensieroalternativo o parallelo, un pensiero in movimento, cheabbandoni la soffocante angustia del nostro starelontani dall’essere e ci ponga in cammino verso laprospettiva incerta e problematica di una fuoriuscita dalbuio.

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Questo pensiero delle profondità non segue glistessi itinerarî del pensiero strumentale della logica edè un pensiero non comunicabile nei termini consuetidell’insegnamento e della usuale diffusione del sapere.Per cui, se è vero, come ha scritto Fr. W.J. Schelling,che è un delitto verso l’umanità nascondere i principîche sono universalmente partecipabili...la stessa naturaha posto dei limiti a questa partecipabilità: essa haconservato per coloro che ne sono degni una filosofiache diventa esoterica da sé stessa, poiché non puòessere imparata né macchinalmenteriprodotta...legame di spiriti liberi nel quale essi siriconoscono e che essi non hanno bisogno dinascondere e che pure, a essi soltanto intelligibile, saràper gli altri un enigma (Lettere filosofiche, X,pp.99-100).

Da quella lontana decisione, che ha spintoirresistibilmente il pensiero dell’Occidente verso lasuperfice delle cose, prende anche le mosse il pensieroesoterico, espressione della esigenza sentita daglispiriti profondi di non restare chiusi nella prigione da noistessi creata. Solo disserrando i cancelli dietro i quali cisiamo confinati, riaprendo i sentieri interrotti e non piùbattuti, è ancora possibile tornare alla Physis eperfezionare, nella circolarità del ritorno appagante allaoriginaria dimora, quel percorso del pensiero umanoche oggi pare, invece, correre lungo una linea retta,ostinatamente e disperatamente protesa verso l’infinito.

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Fonti delle citazioni :DIOGENE LAERZIO, Vite dei Filosofi, traduzione diMarcello Gigante, Bari, 1962.HEIDEGGER, Martin, Dell’Essere e del concetto diPhysis in Aristotele Physica B 1, traduzione di G.Guzzoni, Milano,1960JAEGER, Werner, Aristotele, versione di GuidoCalogero, Firenze, 1968 JAEGER, Werner, La teologia dei primi pensatori greci,traduzione di Ervino Pocar, Firenze,1967ORTEGA Y GASSET, José, La ribellione delle masse, ,traduzioni di Salvatore Battaglia e Cesare Greppi,Milano, 2001 PLATONE, Lettere, traduzione di Antonio Carlini,Torino,1968PLUTARCO, Vita di Alessandro, in PLUTARCO, Viteparallele, traduzione di Carlo Carena, Milano, 1965SCHELLING, Friedrich W.J., Lettere filosofiche sudommatismo e criticismo. traduzione di GiuseppeSemerari, Firenze,1958TEOFRASTO, Physicorum opinionibus libri primifragmenta, in Sapienza greca (La), a cura di GiorgioColli, Milano,

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La fede massonica

Arturo Napoletano

Nel nostro tempo, un tempo che rapidamenteavanza e rapidamente metabolizza anche la storia,sono in crisi le più grandi istituzioni.

In tempo di crisi si tende spesso a rinchiudersi nelfortilizio della tradizione e del legalismo persopravvivere. Si reagisce, cioè, col fondamentalismo ecol formalismo, con l’unico risultato di prolungareancora di qualche anno la resistenza della strutturarigida dell’istituzione, soffocandone, però, la residuavitalità. In questo modo non si fa che favorire il crollo diciò che si vorrebbe preservare.

E’ saggio, invece, muoversi proprio nella direzioneopposta, scavare sino alle fondamenta delle istituzioni,riportarne in luce la vita profonda, far riaffiorare la linfadel pensiero vivo, giacente sotto simbolismi e ritualitàche, sfuggiti ai loro autentici significati, come fogliemorte, non fanno che ricordare malinconicamente unalontana stagione feconda.

Nel tempo della crisi i simboli ed i riti non sono piùuna concrezione cristallina in cui traspaiono,luminescenti, i principî ed i pensieri fondamentali, madivengono pareti appannate che allontanano parimenteil profano e l’iniziato dalla comprensione delle più

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profonde verità.Occorre operare in modo che la luce affievolita ed

opaca possa nuovamente irraggiare tutto il suomessaggio. Per riprendere vitalità, i simboli ed i ritidevono tornare ad essere l’espressione sintetica eplastica di una verità che attraverso essi traspare.Senza questa intima simbiosi con la verità, essidivengono forme vuote e nute.

Ugualmente occorrerebbe sforzarsi di noninterpretare alla lettera, nel loro significato formale,immediato e più ovvio, i principî sui quali si sorreggel’istituzione massonica.

Abbiamo in proposito letto, in uno scritto di unFratello, queste frasi: La storia della Massoneria èquella di un continuo impegno e stimolo verso la ricercadi Dio e della verità...il credo nel Grande Architettodell’Universo resta un prerequisito indispensabile inogni Massoneria regolare.

Queste affermazioni suscitano questioni cruciali chenon possono essere trascurate nel mondo massonico.La Massoneria, in quanto sforzo costante di aprirsisentieri verso la luce, non può connotarsi che come unimpegno radicale e, per essere tale, deve porsiquestioni radicali. Nessun muro viene alzato da unaccorto mastro muratore se non su fondamenta chenon possano crollare e l’unico fondamento sul qualenon possono crollare le fedi e le istituzioni è la verità.

Come intendere, allora, al vaglio di un interrogarsi

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radicale, l’endiadi Dio e la verità? E’ forse concepibileun Dio fuori della verità? Non sarebbe Egli un idolo,come in proposito ci insegnano i discendenti di Hiram?Dovrebbe Egli porsi, forse, come una frontiera delpensiero oltre la quale non sarebbe dato procedere?Non deve, forse, il libero muratore perseguire la veritàsempre e comunque, anche quando essa è difficile dascorgere e da sopportare? Non ha forse ragioneFriedrich Nietzsche quando proclama che la grandezzadi un uomo si misura dal peso di verità che egli riesce asostenere?

Sotto questo concetto di Dio occorre, dunque,scavare per ritrovare le intime e profonde sorgenti dellafede massonica, ossia di quella fede che è fiducia dipervenire alla luce e di costruire le ragioni dellafratellanza fra gli uomini.

Il principio massonico di un Dio trascendente,Grande Architetto, sorto dopo sanguinose guerre direligione, è un grande e venerabile principio al qualeguardiamo con rispetto: esso si pone come un grandeelemento unificatore per ogni corrente delCristianesimo e come un ponte lanciato versol’Ebraismo e l’Islamismo. In quanto tale esso ha ilgrande potere di superare secoli di lotte sterili elaceranti, che hanno dissanguato l’Europa.

Ora, tuttavia, l’orizzonte culturale è profondamentemutato, rispetto a quello che si prospettava agli inizî delSettecento. Questo principio non è più un principio

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unificatore per l’uomo delle società globalizzate,dominato dallo spirito della tecnica e che vive nellavertigione delle sue produzioni, come si esprime MartinHeidegger. Inoltre l’apertura dell’Occidente alle grandiculture dell’Oriente ci pone a confronto con esperienzereligiose autentiche eppure difformi da quella chehanno caratterizzato la nostra tradizione culturale.

Una Massoneria che intende davvero essereuniversale non può non interrogarsi sulla sua fede enon può arretrare dinanzi al compito di fondarla su unprincipio radicalmente universale, tale da essereaccessibile a tutte le esperienze dell’uomocontemporaneo.

A noi sembra che questa strada sia percorribile solose si supera questa endiadi Dio-verità, ponendo laverità stessa come l’unico obiettivo dotato di senso cheun libero muratore debba proporsi: solo la enunciazionedi questo traguardo, spoglio di ogni attributo, nella suasevera nudità ed indeterminatezza, lasciando libero ilMassone di procedere verso la luce, può far coinciderelibertà e verità.

Non proponiamo di spostare alcuna pietra diconfine, bensì di prendere coscienza del fatto che unmalinteso ossequio alla sola forma della tradizione puòintralciare il passo ai Fratelli che si muovono verso laluce della verità.

In questo orizzonte, crediamo, sia da ritrovare lafede massonica e solo in questo orizzonte ci risulta

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comprensibile e vera la pregnante definizione cheleggiamo in cima alla nostra Costituzione:

Un Massone...non sarà mai uno stupido ateo, né unirreligioso libertino.

Come, infatti, si potrebbe considerare uno stupidoateo colui che cerca intrepidamente la verità e nonaccetta, perciò, compromessi con la propria coscienza?

Il carattere primario di una tale fede, ossia l’onestàintellettuale, non è un pervicace desiderio di soddisfareun’oziosa curiosità, ma è, invece, il più elevato cimentomorale.

L’uomo moderno, gettato in un orizzonteesistenziale di cui è ben arduo afferrare il significato,estraneo sostanzialmente ad ogni autentica esperienzadel sacro, tende sempre più a disperdersi nel ristrettointeresse del suo particulare. Può uscire da questeangustie di prospettiva solo sforzandosi di scendere aldi sotto del casuale disordine anomico in cui vive perattingere ad un’unità fondante, ad una radicale verità incui ogni particolare perde il suo essere limitato.

Questa unità fondante era espressa esotericamentedai Pitagorici nel concetto di Armonia e la stessaintuizione vive nel principio massonico del GrandeArchitetto, se noi non gli sottraiamo l’intima vitalità,trasformandolo in rigido concetto dogmatico, ossia in unlimite precostituito per il pensiero.

Se non ci inganniamo, solo ispirandosi a questiprincipî, l’istituzione massonica può aprirsi veramente a

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tutti i Fratelli che cercano autenticamente la luce e puòaccogliere e superare, nella istituzione, i contrasti ed ipunti di vista divergenti.

Come in un cerchio tutti i raggi convergono versol’unico centro, così, in una Massoneria che si propongal’obiettivo di marciare senza compromessi e dogmiprecostituiti verso la verità, tutti i Fratelli potrannosuperare progressivamente la molteplicità disperdentedegli individualismi e dei punti di vista, per fondersi inun crescente senso di fratellanza. Se non si vuoleintendere la fratellanza come una comune geniturabiologica o come una comunità di interessi, èconcepibile solo una fratellanza nella verità.

Gli uomini veramente religiosi sono quelli cherespingono la tentazione di adorare gli idoli, involucriappariscenti, ma vuoti di verità, e si ritrovano fratellinella ricerca della verità: ogni altro obiettivotrasformerebbe la Massoneria Universale in una setta oin una consorteria.

Un grande passato è alle nostre spalle.Contemplarlo ci dona un’intima soddisfazione e fiducia;eppure l’istituzione massonica, per continuare adessere vitale, deve poter erigere i suoi monumenti sulfertile suolo del presente. Solo ricercando, battendonuovi sentieri, senza aver timore del nuovo edell’inatteso, si potrà foggiare un nuono lingaggiounificante le diverse culture.

Questo è un lavoro comune ed inesauribile cui sono

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chiamati tutti gli iniziati, ed in cui possono davverosentirsi fratelli: in esso si esprime, nella maniera piùradicale, la comune fede massonica.

Una tale impresa non è agevole e non è priva dirischi. Noi Massoni marciamo verso l’ignoto. Non lotemiamo ed intendiamo affrontarlo, qualunque esso sia.La verità ha un volto che si nasconde ancora nelletenebre. Potrebbe, se riuscissimo a scorgerlo, esserearduo da contempolare. Eppure ciò non vanificherebbegli sforzi dei liberi muratori; ne sarebbe, anzi, solol’inizio. Un universo che ci si dovesse mostrare unacaotica congerie insensata, sarebbe il miglior terrenoove far sorgere i nostri cantieri.

Come, altrimenti, potremmo ancora sentirci uomini,se non ci proponessimo di essere i liberatori del mondodalla brutalità del caos?

Ex tenebris Lux.

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La libertàAntonio Mucciardi

Un profano per accedere alla Massoneriauniversale, oltre che essere motivato da una profondavolontà di ricercare e ricevere la luce della verità e farpartecipi i propri simili a questa acquisizione, deveessere “uomo libero e di buoni costumi” e come talericonosciuto ed accettato.

Con questo lavoro intendo condividere con i fratellialcune riflessioni inerenti il primo indispensabile aspettodel patrimonio morale di un massone, ovvero essere unuomo libero, poiché solo un uomo libero da ogni equalsiasi condizionamento fisico, morale e culturale, èpadrone delle proprie scelte e del proprio destino.

Il massone infatti è definito anche “libero muratore”.La domanda fondamentale è quindi: Cos’è la

libertà?Ma come richiede la corretta impostazione di ogni

ricerca atta ad analizzare, comprendere e definirel’oggetto di una indagine, ho cercato preliminarmente ditentare di individuare gli elementi basilari della storiadell’elaborazione del concetto di libertà, per poiipotizzare una risposta.

Mi è parso quindi metodologicamente correttoripercorrere le varie ideologie che la civiltà occidentaledi tradizione greca – ebraica – cristiana ha elaborato

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nel corso della sua complessa storia, formulando estratificando posizioni estremamente diversificate.

Ne è scaturita una panoramica che sia pursommaria, sintetica e quindi imperfetta, evidenziapalesemente i molteplici aspetti che la libertà haassunto e assume in sfere di pensiero diverse e che,attraverso un’ elaborazione complessa e travagliata, hain ogni caso condizionato l’essenza della vita, dellamorte, della guerra e della pace, della ricchezza e dellamiseria, del potere e della schiavitù, della felicità e dellasofferenza, del progresso e dell’oscurantismodell’umanità.

Il travaglio del cammino della libertà, sin dagli alboridello sviluppo della società rappresenta una costantefondamentale della vita dell’uomo.

Un percorso lungo, tormentato, costellato didifficoltà, di sconfitte, di vittorie che si sono alternate inmaniera a volte palese, a volte occulte a seconda dellepeculiarità che i sistemi di vita organizzata hannoassunto nel tempo sotto l’aspetto politico, culturale,sociale, economico e religioso.

Un procedere che ha scritto pagine esaltanti dellavita dell’uomo, vere pietre miliari della storia, ma anchepagine di tragedie, guerre, condanne e il dramma dimilioni di martiri che hanno dato la vita, per la difesa diquesto supremo principio dell’esistenza dell’uomo..

Ma come definire e che cos’è questa costantedirompente della vita dell’uomo, questa forza che

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condiziona e travalica la storia, questa componenteintima dell’individuo che ne condizione vita e morte,felicità e dolore ?

Ovunque si cerca si individuano varie tipologie,diverse definizioni della libertà.

Complesse elaborazioni dell’idea della libertà sitrovano nell’ambito politico, giuridico, filosofico,scientifico, quasi sempre intese come un processo, unaprassi di pensiero ed azione in uno specifico ambito, ocome criterio di allontanamento dal singolo e dallacomunità di componenti che si oppongono alla libertàstessa o, di contro, di definizione di specifici ambiti neiquali esistono garanzie di libertà.

Ma è specificatamente nell’ ambito filosofico che sisviluppa e rielabora la più alta elaborazione ediversificazione del concetto di libertà, da cui scaturiscenel corso della storia la quasi totalità delleinterpretazioni e definizioni nei differenti ambiti dellasocietà e della cultura.

In questa sfera del pensiero, le forme che la libertàassume nei campi della metafisica, della morale, dellapolitica, dell’economia ecc, si sviluppano secondoalcuni concetti fondamentali che sinteticamentepossono essere suddivisi in tre lineeconcettuali che sisono elaborate nel tempo, il più delle volteincontrandosi, scontrandosi e condizionandosi tra diloro.

Brevemente esse possono così essere delineate:

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La prima linea concepisce la libertà comeautodeterminazione o autocausalità, secondo la qualela libertà è assenza di condizioni e di limiti.

Questa formulazione trova la sua genesi nelpensiero di Aristotele, che nel tentativo di definire lavolontarietà delle azioni umane afferma che L’uomo è ilprincipio e il Padre dei suoi atti, come dei suoi figliovvero, Principio di sé stesso e Causa di sé stesso.

Questo principio è presente nell’elaborazioneepicurea e stoica fino a Tommaso d’ Aquino secondo ilquale L’uomo è libero perché è causa di se stesso,sebbene non sia la prima causa di sé stesso.

Un concetto che nella scolastica con GuglielmoOckham, ed in età moderna Leibniz, porta allaconclusione che Libero è ciò che determina se stesso(che si determina da sé), fino ad arrivareall’elaborazione di Kant dove la libertà è La facoltà diiniziare da se la serie dei propri effetti.

Kant coniuga lo stesso principio aristotelico e lesuccessive elaborazioni di pensiero, ma entra inconflitto con la scienza. Le leggi della fisica, in modoparticolare quelle di Newton, esaltano un ordinecausale della natura alla quale non si sottraggono gliesseri umani.

Un dibattito protratto fino ai nostri giorni che hasviluppato antitetiche soluzioni, come il determinismo el’indeterminismo.

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L’equivalente politico di tali interpretazioni èl’assoluta mancanza di norme, ovvero la libertàconsiste per ciascuno nel fare ciò che gli pare, nelvivere come gli piace, senza essere vincolato adalcuna legge; o ancora libero è l’individuo che non haalcuna causa fuori di sé, che è la causa di se stesso ela causa del tutto.

La seconda componente concettuale identifica lalibertà come necessità che si fonda nello stessoconcetto precedente, cioè sull’ autodeterminazione, maattribuisce l’ autodeterminazione stessa soltanto allatotalità, ovvero al mondo, allo stato, al partito e cos’ via,a cui l’uomo appartiene.

E’ un concetto che trova la sua origine nell’ambitodello stoicismo che stabilisce che solo il sapiente èlibero perché egli solo dipende interamente da sestesso; e dipende da se stesso perché si conformaall’ordine del mondo, al destino.

La libertà quindi coincide con la necessitàdell’ordine cosmico.

Concetto ripreso da Spinoza per affermare che sidice libera la cosa che esiste solo per necessità dellasua natura e che da sola è determinata ad agire.

In questo senso Dio solo è libero e necessità eliberta coincidono con Lui.

Il romanticismo con Hegel sostituisce lo Stato allasostanza divina di Spinoza, e pertanto all’individuo non

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appartiene la libertà, all’ individuo appartiene solol’arbitrio.

La libertà appartiene allo Stato in quanto è larealizzazione del Diritto, dell’arte, dei costumi e cosìvia.

Ne consegue che sul piano metafisico vengonoposti essere, sostanza e mondo, e su quello politicostato, classe, chiesa, partito al posto dell’individuocome soggetto della libertà, attribuendo alla totalità ilpotere di autodeterminazione necessaria, e perciò unpotere di coercizione senza limiti sui singoli individui.

Una terza concezione definisce la libertà comepossibilità o scelta, secondo la quale la libertà è limitatae condizionata.

La sua formulazione iniziale la ritroviamo nel mito diEr di Platone. Qui “per la virtù non ci sono padroni;ciascuno avrà più o meno secondo che la onorerà o latrascurerà . Ciascuno è autore della sua scelta, ladivinità è fuori causa.”

Secondo questa interpretazione l’importanza dellascelta è limitata dalle possibilità oggettive, ovvero daimodelli di vita a disposizione.

Più esattamente ci troviamo in presenza di ” unalibertà finita, cioè di scelta tra possibilità limitate, edessa stessa condizionata da motivi determinati”

Una tale libertà è condizionata:• dal rango delle possibilità obiettive che sono

sempre più o meno ristrette di numero

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• Oppure dal rango dei motivi della scelta, chepossono ancora restringere, fino all’unità, ilrango delle possibilità obiettive.

Un concetto di libertà smarrito nel medio evo e cheriappare in epoca moderna in polemica con la nozionedi libero arbitrio ed assume la forma della negazionedella libertà di volere e dell’affermazione della libertà difare, concetto già espresso da Hobbes.

Hobbes infatti identifica la libertà con l’appetito,afferma che non si può non volere ciò che si vuole (nonsi può non volere fame quando si ha fame); ma si puòfare o non fare ciò che si vuole (mangiare o nonmangiare quando si ha fame).

In sintesi esiste quindi una libertà di fare e non unalibertà di volere.

Sul piano politico tale principio assume nel pensieroin Locke, l’ idea che la libertà dell’individuo nella societàconsiste, nel non sottostare al altro potere legislativoche a quello stabilito per consenso dello Stato, ne aldominio di altra volontà e alla limitazione di altra leggeche quella che questo potere legislativo stabiliràconformemente alla fiducia in esso riposta .

Una definizione della libertà che vienesuccessivamente ripresa da Montesquieu ed in tempivicini a noi, in chiave pragmatica, dal Dewey.

Questa dottrina si è rafforzata nel secolo scorso perla prevalenza del concetto di condizione su quello dellacausa, in relazione alla spiegazione probabilistica

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necessaristica che si è delineata per effetto delprincipio di indeterminazione introdotto da Heisenberg.

Ciò fa cadere definitivamente in oblio nella societàattuale che:

• la libertà è il potere assoluto di fare ciò che piaceo ancora l’idea della

• libertà come potere assoluto della totalità cuil’uomo appartiene

La libertà oggi è una questione di misura, dicondizioni, di limiti in tutti i campi, da quello metafisico aquello psicologico, da quello economico a quellopolitico. (Abbagnano)

Oggi la libertà non è una scelta, ma una possibilitàdi scelta.

Questo breve, limitato, e conseguentementeimperfetto excursus, evidenzia che non esiste unadefinizione di libertà in valore assoluto, ma sempre inrelazione ad un ambito ben preciso o, come ci insegnaGalileo, rispetto ad un determinato sistema diriferimento.

Ma allora cos’è la libertà in valore assoluto, insenso cosmico, globale, totale?

Come definire un’idea della libertà che va la di là diogni condizionamento o parametro di riferimento disorta ?

La libertà che cerco di definire per sua stessanatura non può essere riferita o parametrata a nulla,nemmeno a se stessa.

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Certamente la frammentazione elaborata nellastoria del pensiero dell’umanità individua l’ estremadifficoltà di definizione in valore assoluto ed universaledell’oggetto in trattazione.

Forse ci troviamo in presenza di un principio di taleincommensurabile portata e profondità di significato darendere quasi impossibile definire, almeno allo statoattuale del progresso culturale e di coscientizzazionedell’uomo.

Ma, credo, che l’assenza di una precisa, completa eperfetta definizione della Libertà stia a significare cheessa non è un valore assoluto, bensì la prassi, ilbeneficio dell’acquisizione sul piano esistenziale,politico, sociale, economico, civile, culturale ovvero sulpiano globale dell’umanità, in tutta la sua interezza, diun altro valore supremo. Questo valore supremo è laVerità.

Io credo che la libertà sia la conseguenza dellaVerità. o meglio libero è l’individuo che conosce laVerità

Questa considerazione prende spunto da una fraseneotestamentaria, attribuita ad un rabbi d’Israele, chenell’ area cristiana è stato accolto come il Messia, ed inquella islamica come uno dei tanti profeti, o quantomeno messo sulle sue labbra di uno dei suoi discepoli,ma che identifica in pieno il pensiero del proprioMaestro.

E’ scritto infatti in Giovanni 8:32“La verità vi farà

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liberi”Ma anche ora ci troviamo al cospetto di un’altra

domanda: cos’ è verità ?Lo stesso Giovanni nell’affermare che la Verità

rende libero l’uomo, premette che essa trova rispostaattraverso una lunga e faticosa ricerca, non può esseredata, scritta, formulata o definita.

Essa è un’acquisizione, una conquista dell’uomofrutto di una ricerca che avvicina alla verità, e quindi aiconsequenziali benefici della libertà.

Rispondere all’istanza sulla verità significaavvicinarsi ad essa, significa essere individui liberi, oquanto meno avviati verso la conquista della libertà.

Ma la verità non è definibile, non ammette alcunarisposta sulla sua intima essenza, la verità è un’utopia,la verità è il limite della perfezione.

Dove trovarla se non nel cammino che l’iniziatopercorre nelle officine massoniche e fuori di esse dasolo o con i propri fratelli operai ?

E’ la ricerca della luce, ovvero della verità che ilprofano chiede di ricevere bussando alla porta deltempio. Quella luce di cui si parla nel I° Capitolodell’Evangelo di Giovanni che è aperto durante i lavoridi Loggia, che peraltro è l’unico elemento testuale, nonsimbolico, presente nelle Logge, ed é proprio Giovanni,come prima ricordato che qualche pagina dopo scriveche “La verità ci farà liberi”.

Guai a togliere all’uomo il sogno, l’utopia, la ricerca

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della luce, dell’infinito, della verità, dell’assoluto,significa renderlo schiavo ed è schiavo chi è privatodella libertà di cercare la verità nel senso più ampio eprofondo.

Il progressivo cammino verso la luce, verso l’acquisizione della verità, che il libero muratore compienel suo cammino iniziatico, da solo od in uno aicompagni di officina, sorretto in una ricerca che èindividuale e collettiva al tempo stesso, che loaccompagnerà per tutto il tempo della sua permanenzaterrena è un progressivo avvicinamento alla verità ed ilconseguente, naturale, quasi ovvio processo diavvicinamento, di presa di possesso della libertàassoluta, totale, perfetta.

La ricerca della verità che libera, rende l’individuodegno di essere parte integrante e sostanzialedell’incommensurabile progetto del Grande Architettodell’Universo.

Si, il Grande Architetto dell’Universo, il progettistache dirige l’operaio che trova avvicinamento al Maestroper acquisizione del sapere, dove l’obbedienza èrispetto di livello di conoscenza, dove Architetto edoperai di ogni ordine e grado sono biunivocamentelegati all’esecuzione del Progetto Universale, e non inun rapporto di dispotica sudditanza religiosa cheriproduce nel profondo dell’individuo un modellogiustificativo di assenza di libertà, all’interno del quale sioperano tentativi di costruire modelli ideologici che tutto

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sono meno che quella Libertà che solo la Verità puòdare.

Un sogno? Un’ utopia? Sì, sogno ed utopia, masono proprio il sogno, l’utopia e il tentativo dicomprendere l’infinito, che trovano soluzione nell’incommensurabile progetto del Grande Architetto.

L’uomo che diventa libero muratore ne è partecipe,attivo realizzatore e fautore, è parte integrante delprogressivo avvicinarsi alla verità che rende liberi.

Il sogno, l’utopia, l’infinito sono elementifondamentali di quella componente dell’umanità chededica la sua vita ai lavori nelle innumerevoli officine intutto il mondo, ora come allora, e come in futuro.

Ma la volontà di ricerca della perfezione della veritàche rende liberi, la fiducia, o meglio la certezza delprogressivo avvicinamento all’infinito, al tutto, alla veritànon sono parte del futuro, sono già nel presente.

Un concetto difficile se non impossibile esprimerenel nostro idioma; in questo la lingua Italiana è carente.

Ci viene in aiuto nella comprensione di questopensiero il tempo presente della lingua inglese che ciconsente di esprimere nella forma progressiva unpresente che è in corso di svolgimento e incompiuto,iniziato ma non ancora terminato, il qui ed ora e nonancora.

Se cerco la verità e la libertà, se inizio il camminoverso la loro conquista, esse sono già in me in tutta laloro pienezza ed interezza.

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Come la pietra grezza che è posta nelle officine chedal momento in cui viene iniziata a lavorare si conosce,si è consapevoli del cubo che è già in essa, si deveeliminare il superfluo, far venire alla luce la forma checontiene di cui si conosce già l’aspetto, che già ciappartiene, anche se non ancora liberata dall’ involucroche la nasconde.

La libertà, come conseguenza della verità èracchiusa nei simboli del tempio massonico, nelle pietredel tempio, che sono pietre mute per il profano, ma peril libero muratore sono pietre viventi, parlanti, checomunicano il cammino verso la verità, e la veritàstessa ci chiama alla libertà. A noi basta ascoltarle,nulla di difficile, nulla di impossibile, nulla diincomprensibile, basta porsi nella giusta posizione epercorrere il giusto cammino. La verità e la libertà sonoalla portata di tutti, basta cercarle e cercarle con tuttose stesso, con umiltà, con semplicità, con il cuore e lamente aperti all’ascolto.

Il libero muratore cerca la luce, la vive, trasforma lasua vita, lo illumina e illumina il suo sapere e lacomprensione del tutto.

Egli non chiede cosa sia la luce, la cerca perviverla.

Questa luce è luce di verità e di libertà.Essa non è definibile in alcun modo, forse si può

solo affermare, parafrasando una locuzione diLemonide : La verità, come la libertà, non è né

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semplice né complessa, è semplicemente.

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Un Massone del settecento: Antonio Jerocades

Salvatore Capasso

Vorei dedicare questo lavoro ai F: dell’antica terra diCalabria, sentendomi ad essa legato da vari motivi. Vorreisolo ricordare che nel cosentino ho intrapreso un nuovocammino - spero di percorrerlo serenamente edegnamente - e che proprio di quella terra era originarioun mio avo materno. Questi i principali motivi che milegano a quella civilissima terra ed ai FFr... calabresi.

Ecco la ragione di questa ricerca su un calabrese delsettecento che è vissuto tra la sua terra e la dominante -come all’epoca veniva individuata la città di Napoli -.

La vita, le opere e la strada tracciata da coloro che cihanno preceduti ci devono servire di insegnamento perpoter guardare avanti con la massima serenità. L’Uomosenza passato non ha futuro. Come gli alberi che pervivere hanno bisogno delle radici apportatici di linfa vitale,così l’Uomo ha bisogno delle sue radici: il suo passato.Quando per propri fini lo rinnega, lo disconosce o lostravolge è destinato a finire, come l’albero a cui si sonorinsecchite le radici e non potendo più trarre linfa da esseè destinato a non reggersi più in piedi: è destinato acadere.

Però l’Uomo ricco del suo passato deve guardareanche avanti: al futuro. Deve cercare la Luce, propriocome gli alberi che con le foglie, rivolte verso la luce,

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trasformano quell’energia vitale in sostanza di vita.Pertanto il passato ed il presente-futuro sono inscindibilil’uno dall’altro, proprio come per l’albero le radici e lefoglie, e solo da un giusto equilibrio tra il passato (leradici) ed il futuro (le foglie) l’Uomo ha la probabilità di unsereno avvenire.

Dopo questa non breve premessa propongo questatavola che vuole essere semplicemente un ricordo di unUomo del secolo XVIII, della fiera e civilissima terra diCalabria: l’abate Antonio Jerocades.

Premetto che non ho assolutamente la pretesa diaccennare al pensiero dell’abate, mi limiteròsemplicemente a riportare bevemente la strada da luipercorsa, che potrebbe illuminarci ed invitarci a profonderiflessioni.

Per meglio comprendere il personaggio è opportuno,innanzi tutto, focalizzare il periodo in cui visse: nacque aPargalia (oggi forse Parghelia in provincia di ViboValentia) il 1° settembre 1738 e morì a Tropea il 18novembre 1805; quindi la sua esistenza si svolse tral’ascesa al trono di Carlo di Borbone (1734) e la secondapartenza di Ferdinando per la Sicilia (1806).

Jerocades già da ragazzo aveva mostrato un talentonon comune, divenuto prete per volere dei genitori(Andrea e Antonia Paraliensis), ben presto fece sperareche “riuscirebbe uno dei più illustri ed utili operai dellavigna del Signore”. La fama del suo ingegno giunse finoal Genovesi le cui opere gli erano servite di sprone “ai

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buoni studi, ed alla coltura della vera pietà, e virtù,all’amor del bene pubblico, ed all’umanità”.

Giovanissimo era già erudito in molti campi, cose checertamente non aveva appreso in seminario. Egli si eragiovato del nuovo indirizzo preso dagli studi,specialmente per le idee provenienti dalla Francia. Eral’epoca in cui l’illuminato Ministro borbonico (Tanucci)lavorava al rinnovamento dello Stato e del popolonapoletano (alias della popolazione del Regno) e siimpegnava a semplificare l’amministrazione, ad abbatterelo strapotere del clero e dei feudatari, a sottrarsi alladipendenza di Roma, e non per ultimo ad infondere unospirito laico agli studi.Questo era il clima di grande fervoree lo spirito riformista che pervase tutto il settecentonapoletano. Però, per amore di verità, dobbiamoricordare che questo rinnovamento pur non arrestandosisi affievolì a causa della rivoluzione francese, saràrispreso - poi - proprio dai Francesi arrivati a Napoli etutta l’opera, ribadiamolo con forza, verrà proseguita daFerdinando al suo rientro nella Dominante (questo faparte della storia negata).

Nel 1759, a soli 21 anni, l’abate aprì unafrequentatissima scuola dove elaborò il Saggiodell’umano sapere in cui con spirito biasimò l’ignoranza,la superstizione e l’abbrutimento dei suoi concittadini. Illibro non contiene alcuna allusione alle dottrinemassoniche, da lui divulgate più tardi con i versi; sisuppone che a l’epoca le ignorasse. Peraltro pur

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ignorandole in lui erano già insite quelle qualità che loresero poi il più famoso rappresentante della poesiamassonica.

Spesso l’Uomo è depositario di qualità che scopre nelcorso degli anni ma che, senza saperlo, ha giàmanifestato correntemente nei comportamenti quotidiani.Una volta scopertele e riconosciutele possono essereraffinate ed elevate ai massimi vertici. Però talvolta, puòaccadere che l’Uomo consapevole di essere in possessodi tali qualità, e ritenendole superiori a quelle degli altri siinsuperbisce della propria superiorità e si esprima nellacapacità di abbassare le qualità altrui, di umiliarlecredendo che la sua vittoria consista nella totale sconfittadei suoi simili: in questo credo trova fondamento il maleradicale che , in ultma analisi, conduce anche alla suafine.

Ritorniamo all’abate. Il mettere in evidenza certesituazioni scomode o ragionare in modo diverso da quellodella massa producono solo guai, infatti nel 1769 il rettoredel seminario, dove l’abate insegnava, lo accusò d’avercorrotto parecchi seminaristi “insegnando loro ad usar lasodomia, come cosa comune anche tra i prelati”.Jerocades fu processato per ordine del Vescovo, e forseper evitare il peggio fuggì a Napoli. Comunque l’accusagli procurò, anche in seguito, molte noie, rendendolofortemente contrario a tutto ciò che sapesse diecclesiastico. Forse l’accusa era scaturita proprio dallanatura aggressiva e fustigatrice del suo Saggio. Come

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normalmente avviene quando si vuole attaccareun’opera, si attacca da principio la persona, poi la sidemonizza, ed infine per concludere la denigrazione gli siattribuisce ogni bassezza ed ogni cosa contraria alsentire comune, in modo da suscitare nella massa unacrescente ostilità.

A Napoli l’abate fu ospite del Genovesi, divenuto suoprotettore, che gli procurò l’incarico di maestro diIdeologia presso il Collegio Tuziano di Sora. Al Genovesinon erano sfuggiti alcuni aspetti del prismatico calabrese,soprattutto quelli che potevano procurargli guai: la grandefantasia, la poca prudenza, il facile entusiasmo e la ciecafiducia nelle parole altrui. E proprio queste gliprocurarono altri guai. Alla morte del Genovesi, avvenutanel 1769, Jerocades si trova di nuovo in un pasticcio,questa volta molto più serio. Infatti nel carnevale del1770, l’abate fece rappresentare, negli intermezzi di undramma presentato dagli alunni del collegio, una speciedi farsa “Pulcinella fatto principe” e poi “Pulcinella fattoQuakero” scritte con l’intento di ferire coloro che, perpropri interessi, restavano nei pregiudizi.

Al Vescovo ed a molti altri i lavori non piacqueroperchè sembrarono pieni di “sentimenti, che dallefondamenta distruggono le più sacrosante massime dellareligione”. La recita fu proibita, e furono sospesi sial’autore che il rettore che aveva permessa larappresentazione. Poi il pettegolezzo si trasformò inpubblico scandalo in quanto sia l’abate che il rettore non

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vollero sottomettersi alle autorità affermando di dipenderesolo dal Re (riconoscendo così una supremazia regia,cioè civile). Il Vescovo informò il Cardinale segretario diStato e questi ed il Governatore locale si rivolsero peraiuto al Tanucci.

In Europa già si addensavano nuvole minacciose sulcomune desiderio di miglioramenti, e di libertà; la Franciaper abbreviare il cammino, accantonate le riformepacifiche e graduali, era alla ricerca di una repentinasvolta per demolire dalle fondamenta il passato.

Per l’abate e per il rettore fu deciso, in base ad unanorma del dicembre 1746, che fossero giudicati dalVescovo, ma non puniti prima della presentazione delprocesso informativo al Re. Il processo fu contrario aJerocades e per ordine del Governo fu espulso dalcollegio e condotto a Napoli - dovette trattarsi di unsemplice provvedimento amministrativo-. Da Napolipassò in Calabria, e poi Messina da dove, via mare,raggiunse Marsiglia, sempre con il tormento di averdovuto lasciare Sora. Nel 1773 fece ritorno a Napoliiniziato, senza dubbio, a quei misteri massonici appresi inFrancia che diffonderà nella capitale.

A Napoli era noto il suo ingegno, nota la vitaavventurosa e la facilità nel comporre poesie adattandovila musica, coltivò la poesia popolare e melodicaprendendo a modello il Metastasio. Tutti se locontendevono.

Nel 1775 rientrò in Calabria dando, certamente, inizio

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alla fondazione di logge massoniche in quanto in alcunisuoi scritti dell’epoca si manifesta il disegno dirappresentare simbolicamente, come nelle pratiche diculto, così nelle composizioni poetiche, la massoneria.Tra il 1776, epoca in cui aprì una scuola di Filosofia edArcheologia a Napoli, ed il 1783, epoca del secondoviaggio in Calabria, ideava e preparava alcuni scritticonfortato dall’amicizia dei latomisti Pagano, Cirillo,Filangieri ed altri.

Parafrasando le favole di Fedro o le parabole delvangelo studiava di predisporre gli animi a quella formaallegorica con la quale pensava di rivestire le dottrinemassoniche, le sue canzonette che - già comincivano adaccennarvi - erano nelle mani di tutti e gli davano unagrande fama. Ora l’abate poteva dire ai suoi avversari “ilmondo legge e, applaudisce i miei libri; il mondo ascoltae applaudisce i miei detti, e io sono obbligato agliapplausi del mondo”.

La Calabria mi accoglie, anzi mi ammira,Applaudisce l’Italia al canto mio,All’Europa gentil noto son io,L’America per me vanta la Lira,

Era noto anche nel nuovo mondo (America), comerecitava nei versi del sonetto innanzi proposto. Era notonel Regno, in Europa e persino in America ma oggi pochilo ricordano, tranne la natia Calabria o particolari studiosilegati al suo pensiero.

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Con tale notorietà l’abate era obbligato ad esprimereil suo pensiero su ogni fatto di qualche rilevanza, adesempio per l’abolizione dell’omaggio della Chinea per laquale compose una epistola in versi del re al papa.

Nel 1783 ebbe molta risonanza la pubblicazione delsuo poema “Paolo o della umanità liberata” che - come sidisse- fu letto anche da Pio VI. Il Paolo potrebbechiamarsi l’epopea della massoneria, i cui principi esponeleggermente velati dalla veste poetica. Paolo non èl’apostolo convertito di Damasco, ma lo stesso poetamessaggero della luce massonica che sola può liberarel’umanità. Ed il poeta è sempre indicato come fondatoredi nuove chiese (logge). Nel poema sono ricordati tutte lepratiche ed i simboli della setta: descritte le logge; Pietrovede in cielo il modello del tempio; non manca il segno diconvenzione, per cui si riconoscono Pietro e Paolo equesti è riconosciuto dai fedeli

.... o dì beato e caro !Quando l’amico, al segno a lui sol noto, Riconosce l’amico, al volto ignoto.Rotto il ghiaccio, Jerocades lasciò le vie discrete e si

diede alla diffusione della massoneria, specialmente inCalabria, dove ritornò nel 1783 a causa del terremoto. Eper prendere accordi più precisi si recò nuovamente aMarsiglia come accenna nella prefazione della “LiraFocense”

Un terzo viaggi in Calabria fu segnalato dastraordinaria accoglienza e dalla fondazione di una loggia

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massonica a Catanzaro. L’abate era più noto per le suestranezze che per il suo ingegno. Infatti, benchèclaudicante, aveva intrapreso a piedi il viaggio da Napoli:300 miglia di cammino, per luoghi spesso privi di strade. Isuoi più che austeri costumi destavano la meraviglia ditutti. Ecco una descrizione del personaggio “Di mezzanastatura: macilento della persona: nell’età che piega allavecchiezza, era di placidissima fisionomia: e, con unatale dolcezza negli occhi e nelle parole, che ne ispiravaindicibile affetto. Vestiva a nero, aveva laceri e polverosigli abiti ed il cappello; e sotto al braccio teneva sdrucitoombrello di tela incerata, fatto a ripararlo dalla pioggia,con che invece doveva schermirsi dal sole”. Spesso sottomiseri (oggi modeste) vesti si nasconde un grande uomo,mentre sotto quelle eleganti - molto spesso solo vacuità-.Il mondo non cambia!!!.

Dall’ottobre 1782 al gennaio 1783 una piaggiacontinua e dirotta aveva investito la Calabria. Le fiumareingrossate devastarono le valli, le parti basse del paesefurono sommerse. A fine gennaio il tempo tornò al bello.Ma il 5 febbario 1783 un violento terremoto con epicentroOppido deformò il suolo ed abbassò conseguentementegli alberi. Vi furono crepacci e crolli. Si svegliò l’Etna.

La gente abbandonò le case per rifugiarsi nellecampagne e nelle baracche. Il 28 marzo vi fu una nuovascossa con epicentro l’istmo di Squillace.

I terremoti avevano costretto i Catanzaresi adabbandonato la città per la campagna dove passavano il

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tempo oppressi dalla noia, ma Jerocades, che non avevapari a tener allegra una brigata di amici, era nel suoambiente, compose senza respiro poesie, cercandosempre di farvi entrare un poco di massoneria.

Una piccola digressione. Il 2 marzo 13 i superstiti dialcuni paesi terremotati si rifugiarono sul Piano dellaGorna ponendovi le basi di un nuovo insediamento su unterreno, poi ceduto loro, del feudatario e della Corona. IlRe per reperire i fondi per la ricostruzione costituiva -previo accordo con la Chiesa - la Cassa Sacra perl’amministrazione e le vendita dei beni ecclesiastici.Ferdinando e Carolina - come ricorda in un suo libro unfamoso geologo ed illuminista francese in viaggio per laCalabria - furono completamente all’altezza dellasituazione sia con opere filantropiche che conprovvedimenti statuali.

Dopo la visita dei tecnici reali per il nuovoinsediamento di Gallina e Castel Mainardi sul Piano dellaGorna fu decisa una pianificazione in senso illuministatenendo presente sistemi antisismici - sistemi già adottatiin tempi precedenti per Cerreto Sannita -.

Un famoso Castelmonardese - Giovanni AndreaSerrao - aderente alla società illuministica napoletana dei“Filadelfos” propose al Sovrano che il nuovo paesemutasse il nome in Filadelfia - amore fraterno -.

Ed ecco la ragione delle digressione: al battesimo diFiladelfia fu presente il nostro abate, fratello di fede e dibattaglie del giansenista Vescovo di Potenza Giovanni

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Andrea Serrao. Certamente il nostro Jerocades non eraun semplice invitato ma molto, molto di più.

Nel 1785, al sommo della gloria, fece ritorno a Napolie forse in quell’anno pubblicò la raccolta di poesie “ Gliamori di Fileno e Nice”

Diede alla luce la “Lira Focense”, raccolta dellemigliori sue poesie di sensi massonici la quale divennecome il codice per gli iniziati ai misteri. Egli finge di avervisto, nei suoi due viaggi a Marsiglia 1771 e 1784, uncodice di leggi degli antichi focesi da cui trasse l’idea diquelle liriche. E’ chiaro che la finzione simboleggia iltempo, il luogo e le occasioni che lo istruirono nei misterimassonici e lo indussero a propagarli. La Lira ha strettolegame con il “Paolo”, nell’una le cerimonie e le pratichesi descrivono mediante canzonette, nell’altro sotto formadi profezie

Ma come spiegare che la sospettosa poliziaborbonica lasciasse libero l’abate di diffondere lamassoneria e cantarne le pratiche in versi, letti sino negliistituti di istruzione ?

La setta che nel 1717 aveva già una gran Loggia aLondra, passò in Francia(1725), poi in Olanda e Prussia(1731), in Portogallo(1735), in Grermania (1737), in Italiaera già dal 1733. Nonostante le bolle di Clemente XII(1737) e Benedetto XIV (1751) essa si diffuserapidamente. Anche Francesco Stefano, marito di MariaTeresa, fondò delle logge massoniche sull’esempio deiprincipi stranieri Ed i principi, non esclusa Maria Teresa o

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le tolleravano o le favorivano lusingandosi di poterleguidare sino a che non si avvidero, o parve loro, dicamminare sul fuoco latente sotto la cenere. Nel Regnodi Napoli non mancarono proibizioni e l’ultima fu quelladel 1775, ma dopo, come avvenne più tardi con laCarboneria, la Regina e la Corte cominciarono a farl’occhio dolce ai massoni sperando di poterli muovere aloro favore. Sicchè mentre pubblicamente erano biasimatie si impedivano le riunioni, si accordavano favori ai suoimembri E si capisce perchè, ora Jerocades osassededicare il Paolo al Re e parlare di lui nella Lira:

Di quel Tempio, un dì spezzato,E’ protegge il Mastro ed il Duce:Questa fiamma e questa lucePiù nascosta a lui non è.....

Già raccolse i prieghi e i votiDell’augusta Carolina,E salvò dalla ruinaChi infedele a lui non è;

ed alla Regina:

Venne al tempio l’augusta ReginaE ci disse: Miei figli, cantate:Ma la legge, ma il rito serbate,Ma si accresca del soglio l’onor,

Io vi salvo dall’alta ruina, Io distruggo la frode, l’inganno;Io vi tolgo dal petto l’affanno

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Io vi rendo la pace del corPerò ancora noie per l’abate, questa volta per la

pubblicazione della “Lira” non dal Governo, ma dagliamici. Fiorirono altre pubblicazioni contrastanti percombattere la propaganda massonica dell’autore dellaLira. L’abate lasciò decantare il tutto un poco per iconsigli ed un po' per motivi di salute; ma saputo dellapubblicazione dell’Antilira la pazienza gli scappò.

Nell’Antilira un massone aiuta un teologo a scoprire isegreti della massoneria, simboleggiata nella Lira,dichiarandosi in ultimo convinto della falsità di quellemassime, imprecando all’autore della Lira e fondatore diLogge massoniche. L’abate ingaggiò una vera battagia discritture nella quale non pochi presero parte a favoredell’uno o dell’altro. Nel 1791 diede alle stampe il“Gigantomachia”. Nell’opera un misto di prosa e poesiarappresenta Giove che stermina i giganti Spadea (autoredell’Antilira) e compagni, che vogliono di nuovo“accatastar le montagne delle calunniose bestemmie, ecacciar dal mondo il gran Giove, cioè il senso, la ragionee la fede”.

A causa del suo impeto e della mancanza di attitudinealla polemica non riuscì a difendersi dall’accusa diirreligiosità e di massoneria ma , anzi, non contentòneanche gli amici che gli consigliavano di rispondere piùadeguatamente oppure di tacere.

Il periodo tra il 1785/90 fu il più fecondo, nonostantequanto innanzi accennato, pubblicò l’Esopo (1777), le

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Parabole dell’Evangelo (1782), gli Inni d’Orfeo (1785), leOdi di Orazio e gli Inni della Chiesa (1787). Nel 1790pubblicò le Odi di Pindaro, già pronto dal 1787 dando allestampe questa traduzione di Pindaro manifesta poco lietesperanze e dice “ Io ho fatto quanto ho potuto, e forsesono il maggior vincitore e della sorte e del secolo ... e hoseguito la coscienza più tosto che la fama, e ne sonocontento. Ho corso il mio spazio, dirò con S. Paolo, hofatto la mia giostra, ho serbato la mia fede; or non miresta che il serto della giustizia, che io spero dal giustogiudice. E dirò con Virgilio: Vixi, et, quem dederat cursumfortuna, peregi”

Nello stesso tempo compie altri lavori per lo piùdurante il suo soggiorno a Lacco di Ischia, dove ognianno faceva la cura dei bagni e delle stufe. A Laccoscrisse il Quaresimale, il Cantico dei Cantici, molte poesiee lettere, nonchè dovette comporre molte delle liricheinserite negli Amori di Fileno e Nice e la canzonetta:Spine, voi, che circondate ecc..

Una buona occasione per dissipare i gli ultimipettegolezzi riguardo alla sua fedeltà al trono gli fu offertadal rientro di Ferdinando IV da Vienna. L’abate composeper la coppia reale una cantata a più voci che dovevaessere messa in musica da Merola. Sembrava che lasorte gli arridesse, fu spinto a chiedere al re una scuolareale “affinchè con la sua privata si unisse la pubblicaautorità”. Fu nominato professore onorario alla cattedra di

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Filologia nella Regia Università. Propose ai discenti unoschema di studi i cui principi che univano alle singolecategorie della Filologia rispondevano quelle dellaFilosofia. Nel 1783 fu nominato sostituto di Troiano Oduziche insegnava Economia e Commercio.

Però l’attendeva l’ultima e più grave sventura.Allo scoppio della rivoluzione francese lo stato del

Regno era, in apparenza, floridissimo: scosso il giogo diRoma e della Spagna; acquistata, per matrimoni edalleanze, l’amicizia dell’Austria; restaurata la marina;ordinata in qualche modo la finanza; introdotte nonpoche riforme in ogni ramo della pubblicaamministrazione si credeva di poter aspettare a piè fermoil turbine della rivoluzione.

Il generale Latouche spinto - come è noto - il governonapoletano alla neutralità, ed ottenuta la libera pratica nelGolfo, iniziò ad insinuare nell’animo dei giovani l’amore enegli spiriti non soddisfatti delle riforme regie l’amore perle nuove idee. Consigliò loro di riunirsi in adunanzesegrete, riuscì poi a far mutare le logge massoniche inclubs nei quali furono ammessi, senza distinzione, affiliatie profani. Però a causa della poca omogeneità di essidettero il posto ad un Club centrale dove non si tardò aparlare di repubblica.

La corte se ne impensierì, e crescendo il pericolo, enon potendo dirigere la setta massonica si diede vita aduna prima Giunta di Stato.

Dei frequentatori ed iscritti al Club dovette essere

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anche Jerocades che all’arrivo del Latouche cantò cosepoco lusinghiere per il governo. Accusato di corromperela gioventù fu arrestato e relagato a S. Pietro aCesarano, ritiro di preti regolari, sulle alture di Cardinaletra Nola e Monteforte. Dal ritiro passò poi al Carcere doverimase circa tre anni (sembra che li abbia trascorsi nelCastel dell’Ovo).

L’abate era un pensatore, un uomo libero e non unpolitico; certamente non sapeva destreggiarsi in certesituazione. Probabilmente questa la ragione dei nuoviproblemi; le cause erano sempre gli aspetti negativi delsuo carattere, individuati a suo tempo dal Genovesi -grande fantasia, poca prudenza, facile entusiasmo ecieca fiducia nelle parole altrui -.

Tra la fine del 1797 o il principio del 1798, gemendoin duro carcere, vecchio, infermo, oppresso da fame edisagi gli fu estorta una confessione che risultò fatale adalcuni. Non è credibile che abbia parlato consciodell’importanza delle conseguenze, forse la confessionegli sarà stata estorta con mezzi fraudolenti ed in unmomento di debolezza come raccontava al Pepe, suocompagno di prigione, deplorando aspramente il fatto erimproverandoselo.

Negli ultimi giorni della Repubblica lo troviamonuovamente a Cardinale da dove fu liberato dal generaleMatera, che contrastava l’avanzata del Ruffo, che lo invitòad arringare le schiere. Nel vecchio massone sembròrinascere l’antica scintilla e da Cardinale a Monteforte fu

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un continuo inneggiare alla patria. Dopo la battaglia del13 giugno 1799 fu rinchiuso ai Granili e poi esiliato aMarsiglia (che rivide per la terza volta). Solo dopo la pacedi Firenze, amnistiato, e nell’agosto 1801 intraprese ilviaggio di ritorno in patria. A Roma a causa di un morborischiò di morire. Una volta guarito si recò a Napoli perriprendere la via della Calabria. In fine il 4 novembrerivide la patria, i parenti e gli amici tra i quali sperava diconcludere l’esistenza.

I guai non erano ancora finiti. Negli elogi che scrisseper il padre e per il fratello si videro o vollero vedere deipensieri sovversivi e per tenerlo tranquillo fu rinchiuso nelritiro dei padri del SS. Redentore di Tropea.

L’esilio, pur raddolcito dalle cure di chi lo assisteva,diede l’ultimo crollo al suo cervello già abbastanzaindebolito dall’età, dalla salute malferma, dalla lungaserie di sofferenze e forse più dalle stranezze del suoumore che lo rendevano pesante a sè ed agli altri. Alcunieccessi verso i frati spinsero il Vescovo di Tropea achiedere l’allontanamento dell’abate, ma questi nelfrattempo fuggì dal ritiro, inseguito dalla forza pubblicaviene preso e rinchiuso nella sua cella. Il rettore del ritirolasciava intendere che Jerocades potesse provocare motio fatti sgradevoli propagando - mediante i versi - chedistribuiva ai suoi visitatori, sentimenti ostili alle idee delGoverno. I monaci tentarono nuovamente di liberarsidello scomodo abate, ma il Re con dispaccio del 18novembre 1802 confermava quanto in essere. Il 18

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novembre 1805 moriva in quel ritiro, il cadavere vennepoi trasportato a Pargalia. Per Jerocades inizia finalmentela quiete invano sospirata per tanti anni.

Voglio chiudere questo sciritto non con un pensierodell’abate settecentesco, ma con quello di un fratellomuratore del secolo scorso - Oswald Wirth - che nel 13 sipose questo interrogativo: «Si diventa cristiani per virtùd’un sacramento senza sapere che cosa sia ilcristianesimo. Il procedimento per “fare” i Massoni èanalogo. Essi ricevono simbolicamente la luce; ma inrealtà su di che essi sono istruiti? Certuni lavorano da sestessi, è vero dirozzano effettivamente la loro pietragrezza e cessano di essere dei profani. Ma quantisono?»

Forse siamo qui a lavorare proprio per dargli unarisposta.

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MASSONERIA, CULTURA E DIRITTO NELREGNO DI NAPOLI NELLA SECONDA META’DEL XVIII SECOLO (La costituzione di San Leucio di Caserta)

Antonio Mucciardi

Premessa

Non son chi fui, perì di noi gran parte, questo che avvanza è sol languore e pianto

(Ugo Foscolo - Sonetti)

La crisi della società meridionale, o meglio la crisidella sua civiltà, così come manifestatasi in tutta la suadrammaticità nell’ultimo secolo e mezzo circa, è stata edè a tutt’oggi oggetto di studio, analisi e proposterisolutive, sviluppatesi in massima parte nell’ambito dellacosì detta “questione meridionale”. Storici, economisti, intellettuali, accademici e politicisi sono cimentati, a volte singolarmente, a volte inequipe, nel proporre soluzioni attraverso irreprensibiliprocedimenti d’analisi scientifica, che non hanno quasimai prodotto i risultati sperati, lasciando il più delle volteaperta l’intera problematica, con l’aggravante che gliinterventi e le strategie proposte e messe in atto spessevolte non solo non hanno prodotto risultati positivi, ma di

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contro hanno rappresentato un contributo all’incrementodel divario socio economico tra il Nord ed il Sud delPaese. Un filone di ricerca che ha assunto nel tempo lecaratteristiche di una branca ben definita di scienza, tantoda far comparire nella lingua italiana il termine di“meridionalista”, per indicate uno studioso specializzatonell’ambito della “questione meridionale”. In quest’area di ricerca si sono cimentati intellettualicome Gaetano Salvemini, Ernesto De Martino, AntonioGramsci, Sidney Sonnino, Pasquale Villari, GiustinoFortunato, per citarne solo alcuni tra i più universalmenteconosciuti e che hanno dedicato buona parte dellapropria attività allo studio della questione in esame,anche attraverso complesse inchieste, che hannoprodotto quasi sempre interventi e sollecitazioni di tipoeconomico non sempre, o quasi mai, rispondenti alleaspettative ed all’entità dell’impegno politico e finanziariodello Stato. Non è questa la sede deputata ad una puntualecritica, in valore assoluto, delle cause del generalizzatoesito negativo dei singoli piani di intervento, di cui siriconosce l’estrema difficoltà di elaborazione, anche perl’evoluzione continua e costante all’interno del fenomenomeridionale e di concomitanti eventi epocali comel’emigrazione, la Prima e Seconda Guerra Mondiale, lanascita e l’evoluzione delle organizzazioni delinquenziali,l’immigrazione dai paesi del Terzo mondo, la

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globalizzazione dell’economia, l’unificazione economica epolitica dell’Europa, e per ultimo i complessi fenomeni delterrorismo internazionale. Non entro, non voglio e non posso entrare in questasede nel merito delle singole analisi, indagini e proposte.Obbietto però, con convinzione, che nel rispetto deipresupposti scientifici dell’indagine storica, non possonoe non devono essere tenuti in oblio alcuni elementi che,nel bene e nel male, sono stati e sono indispensabiliall’identificazione della storia della civiltà meridionale, chequasi mai si ritrovano nelle analisi in argomento. Fermo restando l’indiscutibile, e mai posta indiscussione, necessità politica dell’unificazione nazionale,che rappresenta nel percorso della storia d’Italia un veroe proprio imperativo categorico ed un bene prezioso daconservare e proteggere nella sua interezza conl’impegno globale e costante di ogni singolo italiano,credo sia necessario ed indispensabile primadell’impostazione di ulteriori studi e proposte sulla“questione meridionale” prendere atto che la politica dipiemontesizzazione attuata dal Cavour prima, e dei suoisuccessori dopo, nell’imporre (e non potevano farediversamente!!!) un modello politico, economico,amministrativo e culturale di stampo piemontese, ha difatto obliterato dalla memoria collettiva intere pagine distoria e di civiltà meridionale, a volte di altissimo valore,finendo per bollare in maniera negativa tutto ciò che hapreceduto il processo di unificazione nazionale.

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Una prassi comprensibile per “ragion di politica” nellafase iniziale nell’Unità d’Italia, in seguito inaccettabile peril suo sistematico mantenimento e sviluppo riscontabilenell’ambito della produzione intellettuale italiana ed inparticolare in quella meridionale, che con il tempo invecedi iniziare un sano e doveroso processo di revisionestorica, si sono vincolati al silenzio su intere pagine distoria della civiltà meridionale, quasi fosse un dogmafinalizzato a stendere un pietoso velo su episodi di cuivergognarsi. La realtà è che l’unificazione nazionale è statapagata da un lato con il sangue dei nostri fratelli a cuidobbiamo rendere perenne onore e riconoscimento,dall’altro dalla criminalizzazione e della censuraintellettuale delle accademie, dei circoli culturali, dellapolitica, dell’economia e dell’intera organizzazione statalea tutti i livelli. Una forma mentis nell’approccio di ricerca e nella prassiquotidiana che ha investito in toto anche e soprattutto laborghesia illuminata e la classe accademica meridionale.Fatto salvo alcune, e purtroppo rare Istituzioni comel’Istituto Italiano di Studi Filosofici, od opere di studiosi dialtissimo valore come Romeo De Maio, Carlo Francovich,Giorgio Spini, Franco Venturi ed pochi altri, le cui operesono ormai quasi sempre assenti nei testi indicati dallaclasse accademica universitaria agli studenti, lapubblicistica storica adottata nelle scuole secondarie enelle università italiane colpevolmente ignora e censura

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pagine di storia dell’Italia meridionale di elevatissimovalore morale e civile, che dovrebbero essere riprese eproposte ai nostri giovani come identità e patrimonioculturale nazionale, e non più bollate per ragion politica oper colpevole servaggio clericale. Credo ed affermo con la convinzione di chi laquestione meridionale, nelle connotazioni attuali, l’havissuta prima concretamente come emigrante nelle areeindustriali del nord d’Italia poi, come operaio nelleindustrie napoletane, ed oggi come operatore sociale,studioso e ricercatore, che la questione meridionale nonavrà mai una positiva risoluzione se non si affiancaall’analisi socio-economica e politica, un recuperodell’identità culturale delle popolazioni interessate. Qualunque sia la storia della nostra terra essa deveessere conosciuta, studiata, posta criticamente sul pianodialettico e su di essa progettare e costruire il futuro chele appartiene. La nostra civiltà, frutto della fusione della culturagreco-romana con quella ebraico-cristiana, fonda tutto ilsuo essere sulla prioritaria necessità di conoscenza delleproprie origini. Nel mondo greco-romano la memoria dei propri padriera insegnata, presa ad esempio, inculcata nelle giovanigenerazioni, come la cultura ebraico-cristiana pone laconoscenza delle proprie origini alla base dello slancioper l’edificazione della propria vita e del progresso civile,culturale, economico e sociale.

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Questa operazione nell’Italia post unitaria è statafatta, ma inculcando nel sud modelli decontestualizzatidalla propria cultura e criminalizzando tout court onascondendo interi secoli di storia. La società e l’individuo senza la propria memoriastorica cadono in un irreversibile processo d’alienazione.……Ed è grave, molto grave, che proprio quel settorepolitico e culturale italiano che giustamente e con onoresi sta battendo per la conservazione della cultura delleetnie di appartenenza degli immigrati nella nostra Italia,poco o nulla fa per la conservazione ed il recupero dellastoria meridionale che peraltro è, e deve essere, culturae patrimonio nazionale. Assistiamo ad interventi legislativi dello Stato per latutela e conservazione del patrimonio linguistico eculturale presente in aree geografiche dell’Italiasettentrionale; di contro vige l’assenza più assoluta versoanaloghi, se non di gran lunga superiori valori dasalvaguardare a sud del Tevere. Credo sia ora di porre termine alla banalizzazione edalla lettura sostanzialmente negativa della storiamillenaria dell’Italia meridionale, e di smetterla conl’identificazione che tutto al sud è mafia e camorra, pizza,cuore, canzoni, mare e sole. Questo è il Meridione d’Italiaprodotto nell’immaginario collettivo di una classed’intellettuali che prima l’hanno creata, poi la usano ed altempo stesso la criticano con un processo finalizzato almantenimento del loro status quo.

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Si abbia il coraggio di attaccare mafia e camorra,questo doloroso tragico cancro della nostra società,anche con modelli culturali che siano una seria,intellettualmente onesta confessione di peccato, secondouna laica impostazione riformata, evidenziando che essaè figlia anche della politica della centralizzazione dellostato, così come messa in atto dal 1860 in poi, e si ridia aigiovani, al futuro della nostra società la verità, l’identitàdelle proprie origini, l’orgoglio di essere italiani e chequesta sia attuata sul tutto il territorio nazionale, poiché èpatrimonio non solo meridionale ma di tutta la culturanazionale. Bisogna edificare a lungo termine, plasmare unaintera nuova generazione al valore della verità, o megliodella ricerca della verità, ed insegnare ai nostri giovaniitaliani che devono al sud molto, ma proprio molto, delloro progresso civile, ed a quelli del Sud in particolare diandare orgogliosi della propria storia. Si costruisce sulleproprie radici di cui si è orgogliosi, e non sulle favole e suimiti preconfezionati o su innesti avulsi dalla propriacultura e quindi destinati ad abortire già dall’inizio, cheproducono solo ed esclusivamente i deleteri fenomeni dicui siamo spettatori. Incominciamo ad insegnare loro che la culturafilosofica della Magna Grecia è cultura inserita nelcontesto meridionale e che suo seno crebbero pensatoricome Pitagora, Parmenide, Empedocle, Leucippo,Zenone, Archimede tanto per citarne solo alcuni tra i più

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conosciuti; che la liberazione dalla staticità temporalemedievale e la nascita dell’umanesimo la si deveall’abate calabrese Gioacchino da Fiore, che il modello diconvivenza civile e culturale tra ebrei, cristiani e islamici,verso cui siamo debitori ancora nel terzo millennio, lo sitrova in Sicilia alla corte di Federico II, che seppe perl’attuazione di tale progetto prioritariamente staccarsidalla politica della Chiesa Romana ed attuarlo nelprofondo Sud e non nella sua terra di origine. Si insegni a guardare la presenza normanna nel sudanche come il momento della nascita dell’organizzazionedello stato moderno, si diano ai nostri giovani gli elementiper comprendere il contributo del clero meridionale allaRiforma protestante ed al Concilio di Trento, cheandrebbe salvaguardata come patrimonio dell’umanità ecome pagina di tragica intolleranza il martirio dei valdesidi Calabria del 1561, e che tale genocidio fu attuato da uncardinale che poi divenne papa e santo. Si eviti di nascondere che la lingua italiana trovaorigine più in Sicilia che a Firenze. Che la tragedia dell’Italia meridionale inizia dalla battaglia di Benevento del1266 con la definitiva ingerenza dello Stato Pontificionella politica meridionale e che ciò malgrado vi sia statotanto spirito di alta civiltà e tali elevati valori morali da nonconsentire mai l’ingresso dell’Inquisizione spagnola aNapoli, prerogativa pagata con il contributo di sangue diduemila martiri che con le armi in pugno difesero unvalore di libertà di cui l’Europa della Controriforma potrà

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beneficiare solo dopo alcuni secoli. Si insegni ai nostri giovani che l’istituto del divorziotanto laicamente e civilmente conquistato in Italia nel1970 era operante a Napoli nella seconda metà del XVIIIsecolo, preparato, attuato e mantenuto dai Borbone,anche da quel Ferdinando IV fatto passare per uncialtrone, e che come “cialtrone” ha tra l’altro realizzato,come dimostrerò nelle pagine che seguono, un esempioilluminante ed anticipatorio di valori libertari che l’Europae l’Italia solo in seguito sapranno comprendere edattuare. Perché non dire che la prima banca mediterranea,impostata secondo i presupposti ideologici della Riformaprotestante nasce a Napoli nel XVI secolo in ambientelegato a gruppi che si rifacevano al movimento deiTemplari, che la liberazione sessuale a livello di profondaspiritualità teologica, fisica e spirituale si ebbe a Napolinei primi anni del XVII secolo ad opera di Giulia DeMarco, che Michelangelo proprio a Napoli plasmò lapropria formazione culturale che ritroviamo puntualmentenell’analisi iconologia ed iconografica delle sue opere. E poi basta con accennare solamente, se non a voltecompletamente ignorare, nei manuali di storia all’opera diuomini come Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri oAntonio Genovesi, intellettuali che godevano di altissimoprestigio nei circoli illuministici internazionali. Devoringraziare il prof. Franco Venturi di Torino che nella suaprofonda onestà intellettuale ha evidenziato nella sua

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opera, il contributo che Gaetano Filangieri da allaformazione alla scienza penale statunitense e della stimache godeva da parte di Benjamin Franklin e di ThomasJefferson. Ma bisogna avere anche il coraggio morale edintellettuale, in ossequio alla imprescindibile necessitàdella ricerca storica, di tendere sempre ad avvicinarsi allaverità, di porre un attento esame critico alla dilapidazionedelle industrie meridionali, dell’apparato scientifico, dellacultura e dell’economia messo in atto dopo l’unificazionenazionale, Analogamente non possono più essere tenutiin oblio le tecniche di pentitismo, di rastrellamento, diesecuzioni sommarie e di deportazione attuate dalgenerale Cialdini nella lotta al così detto “brigantaggio”. Credo sia un obbligo morale verso la veritàevidenziare ed insegnare ai nostri giovani cha la CroceRossa Internazionale è stata fondata nei Cantoni elvetici,ma che il codice etico ed i principi che lacontraddistinguono ancora oggi sono, stati formulati daFerdinando Palasciano, medico militare al serviziodell’esercito borbonico. La Croce Rossa, vanto indiscussodella nostra società è nata a Napoli e l’Italia intera deveessere orgogliosa di aver plasmato nel suo seno queisuperiori valori laici che pongono la vita, la dignità ed ilsoccorso verso il proprio simile al di sopra della differenzadi ideologie, razza e religione, in tempo di pace come intempo di guerra. Ma è anche necessaria una seria riflessione sui

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guasti operati dal concetto di delega e di responsabilitàpersonale nei confronti della cosa pubblica, così comepresenti nella società meridionale, prodotta dalla culturacattolica e da quella gesuitica in particolare. Ma vi è di più, molto di più nel colpevole silenzio dellamaggior parte degli storici Italiani. Essi hanno quasivolutamente ignorato che la storia civile italiana e diquella meridionale in modo particolare, dal XVIII secolo inpoi è stata incardinata in maniera sostanziale sugli idealimassonici. Perché non far conoscere, in nome dellaverità, il contributo che la Massoneria ha dato alla nostrastoria ed alla nostra cultura fino ad oggi? A titolo di esempio perché nascondere che il GeneraleGiuseppe Garibaldi è stato il primo Gran Maestro dellaMassoneria Italiana e che massoni erano GiosuèCarducci, Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo, Vincenzo Monti,Francesco De Santis e Salvatore Quasimodo, come loerano Costantino Nigra, Camillo Cavour, MassimoD’Azeglio, Cerare Battisti ed Enrico Fermi, ed ancoraMaria Carolina d’Asburgo – Lorena moglie di FernandoIV, ed anche Trilussa ed il Principe Antonio de Curtiis?… Sono solo nomi presi a caso poiché un elenco, anchelimitatamente esaustivo, riempirebbe decine di pagine. Ci troviamo al cospetto di una perversa lettura dellastoria che da troppo tempo è egemonica nel nostroPaese, fondata su una cecità critica incapace dianalizzare documenti, testimonianze e fatti in pienaautonomia di pensiero.

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La crisi che investe i valori del nostro tempo è inbuona parte causata dalla incapacità di leggere la storiaperché abbiamo un vuoto di memoria collettiva, riempitodi favole e di racconti popolari, di date e di avvenimenti.In altri termini un’erudizione di basso profilo che vieneelevata a scienza. Nella maggior parte dei casi ci troviamo al cospetto dispiriti superficiali che non vedono nella storia chepersonaggi, imperi, atti di valore, delitti, formulegiuridiche, e come giustamente afferma lo storico ErnestoBuonaiuti, “ è un andazzo delle nostre consuetudiniscolastiche e del nostro bisogno istintivo di catalogazionischematiche e ripartizioni cronologiche”. In buonasostanza domina l’incapacità di analisi e confrontodialettico con esperienze culturali diverse che devonoessere poste ante re sul piano del reciproco rispetto ericonoscimento delle diversità per poi dare inizio ad unconfronto dialettico. La vera ricerca è riservata a circoli chiusi e raramentetrova un mercato editoriale, ancor meno negli interessiculturali collettivi e nei mass-media. Questa prassi investe in modo ancor più grave lalettura delle opere d’arte e dei monumenti in quantosistematicamente si assiste quasi esclusivamente allaloro classificazione e datazione, limitandosi allo studio delloro stile architettonico, della loro descrizione formale.…...Nulla viene detto sulla loro anima, su ciò che hannorappresentato nella civiltà, sulla loro interpretazione

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iconologia, iconografica e simbolica. Ma le opere d’arte,le pietre dei manufatti devono essere viventi e parlantipoiché l’assenza di tale approccio produce un processodi decadenza e distruzione ben più grave di quellocausato dal tempo. La Massoneria ha avversato l’oscurantismo, a difesadel diritto di ogni uomo alla ricerca del vero, del bello edel bene. Un fine che ha sempre contraddistinto laMassoneria Italiana, e queste pagine vogliono essere uncontributo in sintonia con questa significativaimpostazione ideologica. Un obbligo che si proietta al di fuori delle singoleLogge per chiamare, o meglio per suscitare negli uominie donne la responsabilità morale che li porta in pienacoscienza ed in assoluta consapevolezza ad assumersil’onore di essere costruttori e protagonisti del propriodestino, ponendo a fondamento dell’edificio della vita,unitamente ai propri ideali di fede, la riscoperta dellapropria identità storica, libera da vetusti gravamiideologici e culturali. Un contributo, una pietra singola nella costruzionedell’incommensurabile tempio universale; un atto dovuto,una sollecitazione per la ricerca della verità che portal’uomo ad essere giusto e perfetto secondo quantoprogettato dal Grande Architetto dell’Universo agli alboridella storia dell’umanità.

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San Leucio di Caserta nel XVIII sec. – Premessestoriche ed ideologiche della sua formazione

Considerate la roccia da cui foste tagliati,la buca della cava da cui foste cavati.

(Isaia 51:1)Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir virtute e conoscenza

(Dante Inf. XXVI 119-121)

La Reale Colonia dl San Leucio, vide la sua originenel 1752 quando Carlo VII di Borbone Re, di Napoli e diSicilia acquistò alcuni terreni nelle vicinanze della reggiadi Caserta, posti ai piedi della collina dove sorgeva ilvecchio insediamento urbanistico della Città, per larealizzazione di un sito reale di caccia la cuiprogettazione venne affidata all’architetto Luigi Vanvitelli.(Patturelli) Chiamato nel 1759 a reggere il trono di Spagnaassumendo il nome di Carlo III, l’opera venne continuatadal figlio Ferdinando IV che, tra il 1773 ed il 1787,acquistò nuove terre ed edificò un casino di caccia che difatto divenne la sua residenza in alternativa alla Reggia diCaserta; successivamente vi impiantò un allevamento dibovini, noto come Vaccheria. La seconda fase delprogetto urbanistico ed architettonico fu opera

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dell’architetto Francesco Collecini. (Tescione) San Leucio divenne la vera residenza reale, poichéFerdinando IV non amò mai il lusso e la corte, preferendola pace ed il contatto diretto con il popolo più che ilformalismo cortigiano. A tal proposito lo storico napoletano Pietro Collettatestimonia che il Re con proprio editto del 1789 affermavache:

«Nella magnifica abitazione di Caserta, cominciata dalmio augusto padre, proseguita da me, io non trovava ilsilenzio e la solitudine atta alla meditazione ed al riposodello spirito; ma un'altra città in mezzo alle campagne,con le stesse idee di lusso e di magnificenza dellacapitale; cosi che, cercando luogo più appartato chefosse quasi un romitorio, trovai adatto il colle di sanLeucio. Di qua le origini della colonia».

Per volere reale quindi Il Collecini, nel suo progetto diampliamento, trasformò San Leucio da luogo per il tempolibero del Re a campo di sperimentazione tecnologica,urbanistica, sociale. La struttura urbanistica si sviluppa con percorsiortogonali intorno alla dimora del Re che ne occupa ilcentro, a simboleggiare la centralità dello Stato e dellesue leggi. A monte le fabbriche che sfruttano l’energiaidrica del retrostante acquedotto borbonico ed a valledella dimora reale le case degli artigiani. Queste furonoconcepite come singole abitazioni a più piani collegate aschiera e sul retro di ogni singola abitazione venne

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ricavato un orto, mentre all’interno era predisposto unospazio per il telaio. Un’intera area della Colonia,denominata “Trattoria” venne adibita a mercato.(Patturelli) Un impianto urbanistico quindi estremamentemoderno, funzionale e modellato in relazione dellaproduzione industriale e del benessere dei suoi abitanti. Il Sito ebbe un proprio codice emanato il 20 novembre1789 che lo rendeva autonomo dalle leggi del Regno.Vale la pena di ricordare che in Francia tra il 14 luglio1789 e la data di promulgazione del Codice di San Leuciosi sono verificarono eventi epocali per la storia della civiltàoccidentale e certamente furono presi in considerazionenella stesura del codice. Infatti una rapida lettura ci portaad evidenziate che in tale anno in Francia si ebbe la presadella Bastiglia (14 luglio), l’abolizione dei diritti feudali (4agosto), la dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e delCittadino (26 agosto), incameramento dei beniecclesiastici nel Demanio dello Stato (2 novembre).Questa ultima disposizione era già stata attuata a Napoliuna applicazione con la soppressione dei beniecclesiastici operata da Carlo di Borbone, nota come“prima soppressione dei beni ecclesiastici”, esuccessivamente con la soppressione della Compagnia diGesù, attuata con Regio Decreto del 3 novembre 1767, ela demanializzazione dei suoi beni messa in atto daFerdinando IV, sostanzialmente finalizzata all’istruzioneed alle attività culturali dei propri sudditi, eseguita con

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Editto del 22 luglio 1769. Il principio fondamentale su cui si fonda l’impiantolegislativo è quello secondo il quale non vi è regno,famiglia o individuo che possa sussistere senza “Amar Diosopra ogni cosa e Amar il Prossimo suo, come se stesso”.Queste asserzioni, scaturite dalla “Divina Sapienza”,comportano il divieto di offese verso la persona, la suaproprietà e la sua reputazione; di contro si mette in risaltoil dovere in generale di fare del bene verso i propri similied in particolare verso il Sovrano, i suoi Ministri, iSuperiori, gli Ecclesiastici, gli Sposi, i Genitori, i Figli, iFratelli, i benefattori, i Maggiori di età, i Giovani e la Patriatutti posti paritariamente sullo stesso piano. L’obbligo difare del bene è esteso anche verso il proprio nemico. Soloil merito forma distinzione tra gli individui di San Leucio,pertanto contro ogni forma di lusso si fa obbligo di vestiretutti alla stessa maniera, uomini e donne, poiché solo lavirtù e l’eccellenza nell’arte che si esercita, devono esserela caratteristica dell’onore e della dignità del singolocittadino. Per il matrimonio viene stabilità l’età minima perl’uomo di venti anni e per la donna di sedici, previaattestazione per entrambi rilasciata dai maestri dell’artecomprovante la loro maestria professionale che saràpremiata con l’assegnazione di un alloggio statale. Neimatrimoni si fa espresso divieto ai genitori di condizionarele scelte dei giovani la cui dichiarazione è fattapreventivamente e pubblicamente nel giorno di

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Pentecoste con un rituale ben prestabilito. La dote èabolita, poiché la donna in San Leucio e cittadina paritariacon l’uomo e trova la sua collocazione nella strutturasociale e la sua fonte di diritto nell’essere una lavoratricecome per l’uomo. Infine l’educazione dei figli è posta sottola responsabilità di entrambi i genitori. Sul piano ereditario, oltre a norme a salvaguardiadella vedova in caso di assenza di eredi, il patrimonioverrà versato alla Cassa degli Orfani per il sostegno deiragazzi privi dei genitori e, laddove necessario, con ildiretto sovvenzionamento dello Stato. L’elezione dei seniori del Popolo, a cui è affidata laformazione professionale, il controllo della pulizia dellaColonia e della prevenzione sanitaria è fattapubblicamente, con scrutinio segreto, a cui partecipanotutti i cittadini, uomini e donne. Per gli anziani, ormai inabili al lavoro é istituita laCassa di Carità ed i fondi necessari sono costituiti daversamenti mensili fatti dai singoli artigiani con quoteproporzionali al fatturato effettuato. Le onoranze funebri sono uguali per tutti, ed eseguitein maniera sobria, senza esborso di alcuna somma ancheper l’ufficio del sacerdote. Analogamente è vietato il lutto,salvo per moglie, marito o figli, ma limitato a due mesi,con il solo segno di un velo al braccio per l’uomo ed unfazzoletto nero al collo per le donne. L’educazione scolastica è obbligatoria secondol’impostazione pedagogica della “scuola normale” ed è

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inoltre obbligatoria la vaccinazione contro il vaiolo. Questa la brevissima sintesi di quanto posto a basedella colonia di San Leucio sul piano giuridico evidenzia,senza ombra di dubbio, che fu un esperimento di altissimovalore politico, civile, economico ed ideologico su cui lastoriografia si è soffermata poco. Certo che San Leucio è ancora oggi, agli inizi del terzomillennio, un centro di manifatture seriche di acclaratovalore artistico a livello mondiale. Sull’efficacia delle leggi, scrive Pietro Colletta :

“la colonia si arricchì. Nata di 214 coloni, è oggi, dopoquarant’anni, di 823. Le opere d’arte sono eccellenti; glioperai furono felici sino a che le pesti delle opinionipolitiche e de’ sospetti non penetrarono in quel recintod’industria e di pace. Ma quando il codice apparve, generòmaraviglia nel mondo, contentezza ne’ Napoletani, i quali,benché sapessero non essere del re que’ concetti, nedesumevano speranza di vedere allargati nel regno iprincipii governativi della colonia”

L’ affermazione del Colletta, peraltro coeva ai fatti inargomento, pone dubbi sull’attendibilitàdell’interpretazione postuma di Benedetto Croce il qualeafferma che si trattò del capriccio di un Sovranoassolutista alla cui ombra era permesso di svolgerequalsiasi forma di attività e alla cui grazia si dovevanocasa, mezzi di produzione, sussistenza, ordinamento divita e costumi, non lasciando alcuna possibilità di liberosviluppo della vita sociale, morale e religiosa.

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Non è la sola affermazione lapidaria che il filosofonapoletano dà ai fatti della storia del Sud, peraltroraramente smentita per quel principio dell’ipse dixitpresente negli intellettuali italiani nei confronti dei proprimaestri e Croce fu maestro d’indiscusso valore dellacultura umanistica italiana. Ma la critica è un dovereprioritario verso la storia a prescindere dai maestri.Dimostrerò su base documentaria che Croce sbagliò,come ebbi modo nel 1988 di dimostrare che sbagliò nelgiudizio storico, civile e morale sui moti napoletani del1547 contro l’ Inquisizione spagnola. (Mucciardi) La così detta utopia di San Leucio non fu un gioco delSovrano, ma un esperimento impostato su regolescientificamente ineccepibili relativamente al loro contestostorico, che aveva il coinvolgimento totale del popolo eche si proponeva lo sviluppo sociale, morale, civilereligioso dei propri sudditi. Ad essa diedero il contributo lemigliori menti meridionali ed europee, in massima parteplasmate in ambito massonico. Il popolo avevaconsapevole conoscenza del valore dell’esperimento,come sapeva che il progetto non era stato elaborato daFerdinando IV, come ricordato da Pietro Colletta. La gestione di un Regno, anche se assolutista, è fruttonon solo della volontà del sovrano, ma anche dei suoiconsiglieri e della classe di intellettuali che lo circonda.Spetta al Re condividere le proposte ed in ultima analisiassumerne la paternità e la responsabilità della lorodivulgazione. Non è da escludere che Ferdinando IV

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fosse in qualche modo condizionato dalla pressione dellacorte e della Regina, certo non è accettabile ladescrizione di cialtrone e burlone che ne fanno alcunistorici, non fosse altro per la sua scelta di essere schivo allusso per dedicarsi alla meditazione, caratteristiche che loportarono a diretto contatto con i propri sudditi proprio inSan Leucio, in un contesto socio giuridico fondato suldiritto al lavoro e sulla totale parità tra uomo e donna. Il coinvolgimento e l’accettazione popolare fu di taleentità che dopo l’unità d’Italia, nel 1866, i cittadini di SanLeucio chiesero, senza esito favorevole, al Parlamentonazionale di ripristinare l’autonomia della comunità e delsuo sistema sociale. (Kruft) La classe politica ed intellettuale italiana ed europeaaccolse l’esperimento di San Leucio in manieralusinghiera, tanto che la pubblicazione del Codice, affidataalla Stamperia Reale ebbe una prima edizione nel 1789,una seconda ed una terza ristampa nel maggio e nelgiugno dello stesso anno, ed ancora una quarta di 3000esemplari. Successivamente vennero pubblicatetraduzioni in latino, tedesco e francese. Fu un talesuccesso che in occasione della visita a Francoforte delRe per l’incoronazione ad imperatore del cognatoLeopoldo II si effettuò una spedizione straordinaria dellapubblicazione per gli invitati alla cerimonia. (Tescione) Ai giudizi favorevoli di P. Colletta si affiancano quelli diA. Dumas che evidenzia come la promulgazione di uncodice socialista in pieno XVIII secolo, meraviglio il mondo

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intero e generò nei napoletani la speranza di vedereallargati nel loro regno i principi governativi della colonia.(Dumas) Intorno a San Leucio vi fu un coinvolgimentoescatologico poiché, come testimonia il Celano, sipensava che con tali principi “si sarebbe veduto il mondocangiar faccia”.In questa sintetica panoramica critica vanno inseriti anchele valutazioni positive di un economista come GiuseppeMaria Galante che affermava, come riportato da H. Acton,che la Colonia “ha raggiunto un livello così alto che puòvenir essere paragonata a ciò che vi è di meglio in altripaesi stranieri”, ed ancora l’elogio in versi di EleonoraFonseca Pimentel, che nel comporre un sonetto dedicatoa Ferdinando IV ed alla sua opera in San Leucio, con laseconda terzina conclude la sua composizione scrivendodel suo Sovrano:

E d’innocenza, e virtù perfetta,Mentre Egeria più saggia a se congiunge

Novello Nume, nuove leggi ci detta.

Ferdinando IV e la sua corte seppero coagulare ilmeglio di tutta la cultura illuministica meridionale edeuropea, e certo non fu, e non poteva essere, operazioneavulsa dalla volontà del Sovrano. Sicuramente le matrici teoriche e politiche delle quali sialimenta il codice sono da rintracciare in quel movimentointellettuale diffusosi in Francia e che nel XVIII secolo

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trovò piena espressione nel campo religioso in Voltaire, edin quello politico in Montesquieu, che contribuiscono nonpoco a plasmare una indiscussa ideologia che pone comefondamento della democrazia l’idea di uguaglianzaaccompagnata dall’onnipotenza dello stato, identificatacon la persona del re. Com’è noto questi concetti trovarono terreno fertilenegli intellettuali del Regno di Napoli; si pensi agli scritti diMario Pagano e Vincenzo Russo che presentanoindiscusse analogie con le idee poste a base delle leggileuciane. Da non sottovalutare è anche l’influsso di MariaCarolina, a cui era noto il comunismo agrario ed iprovvedimenti sociali di Giuseppe II, come sono da tenerein considerazione gli esperimenti condotti dal padre diFerdinando IV, Carlo III, nel 1767 in Spagna, nella SierraMorena, dove erano state fondate alcune città dotate diprecisi ordinamenti e programmi educativi. (Tescione) Ma l’opera che ebbe maggiore importanza per laformazione del codice di San Leucio fu la Scienza dellalegislazione di Gaetano Filangieri, le cui considerazionipolitiche ed economiche, fondate sull’idea della “felicitàdei popoli” auspicavano una produzione industriale tesa arealizzare il benessere dell’uomo attraverso un connubiotra etica e religione. Per il Filangieri, per la felicitànazionale occorrevano non solo buone leggi, ma ancheristabilire i legami fra gli uomini eliminando la schiavitù,poiché essa impediva all’uomo di pensare. (Tescione)

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Questo principio viene assicurato ai coloni di SanLeucio non attraverso la garanzia di un salario minimo,bensì con l’agiatezza. Si legge infatti nella costituzioneche:

“Ogni uomo in tutti gli stati può far del bene al suo simile. Ilsavio, il ricco, l’agricoltore, l’artista, quando impegnano iloro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche a pro de’cittadini, possono ben vantarsi di essere i benefattoridell’umanità (…) questo sovrano precetto di Dio è fondatosopra quella perfetta uguaglianza, che gli piacque stabilirefra gli uomini (…). Sin da prima, che io concepissi il beldisegno di unirvi in Società in questo luogo, pensai ancoradi crearvi tutti Artieri, e darvi la maniera di divenire famosi”

Quindi l’economia e l’attività produttiva di tipomanifatturiero in San Leucio presenta anche uno scoposociale, in quanto tendente ad annullare alle radici lamiseria attraverso il lavoro e la piena occupazione di tuttigli abitanti. (Battistini) La felicità pubblica, scopo a cui tende Ferdinando IV,come aveva già sostenuto Petro Verri nel Discorso sullaFelicità nel 1781, è identificata con la maggiore felicitàpossibile ripartita con la maggiore uguaglianza possibile. Nella costituzione leuciana più volte si insiste sul concettodi uguaglianza. La parole di Ferdinando IV sono chiare intal senso:

“Vana e dannevole è quella distinzione, che procede dallusso, e dal fasto: e che la vera distinzione sia quella, che

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deriva dal merito. La virtù, e l’eccellenza nell’arte, che siesercita, debbon essere la caratteristica dell’onore e dellasingolarità. (…) il fine di queste mie sovrane Ordinazioni èche dalla fabbrica escan generi perfetti; che la medesimafaccia rapidi progressi, che gli individui della Coloniaabbiano comodo mantenimento” (Codice del 20 novembre1789)

Ed ancora afferma il Sovrano:

Dovere indispensabile per l’uomo è il lavoro, perché eglinasce solo per la fatica (…). Chi non lavora, e non fatica,non solo commette peccato per la mancanza del suodovere, ma dappiù si rende inutile e gravoso allo Stato. Echi non si occupa di esercizi onesti, si applicherà a vani edisonesti, perché l’ozio è il padre dei vizi” (ASNa CasaReale, Conti e cautele)

Sulla socialità delle attività produttive si era giàespresso A. Genovesi nelle sue Lezioni di commercio edeconomia proponendo l’introduzione di riformeeconomiche e sociali nel mezzogiorno, opinione peraltrocondivisa anche dal giurista Giovan Battista MariaJannucci. A queste sollecitazioni si affiancava l’abateFerdinando Galiani che elaborava l’ipotesi di unarepubblica ideale, fondata sul valore reale di scambio dimerci ed ancora Gaetano Filangieri affermava lanecessità di una buona legislazione per garantire lafelicità ed il benessere del popolo. Secondo l’analisi del Kruft, San Leucio harappresentato il tentativo di armonizzare la nascente età

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industriale con le concezioni economiche e teoriche-istituzionali, dando vita al modello di una comuneindustriale. Ben diversa e molto più vicina alla realtà èquella corrente storiografica che individua in San Leuciola prima esperienza dei grandi progetti di socialismoutopistico realizzati solo nel successivo XIX secolo. Questa corrente di pensiero distingue le utopie inquelle di “evasione”, che aspirano ad un’immediataliberazione delle problematiche del presente, senza tenerconto delle reali condizioni restrittive, e quelle di“ricostruzione” che tentato di provvedere alle condizioniper una liberazione nel futuro e che, pur con i pericoli e lelimitazioni della staticità presupposta, offrono elementistimolanti di sollecitazione ideale e d’indirizzo di azione.Ebbene San Leucio appartiene a quelle utopie cheprevedono la ricostruzione dello stato mediante il contrattosociale. Alessandro Dumas paragona l’esperimento diSan Leucio a quelli successivi di Charles Fourier e diRobert Owen. Il primo contrappone ad una società basatasulla competizione immorale degli interessi individuali, ilprincipio dell’unione degli sforzi per raggiungere uno statodi armonia universale: il secondo invece, dopo averintrodotto nel 1816 una delle prime istituzioni dieducazione dell’infanzia, teorizza e propaganda lacreazione di piccole comunità di 1200 persone, daimpiantare in un ambiente rurale, come soluzione aiproblemi della città industriale. San Leucio quindi non è frutto di un’improvvisata

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realizzazione, bensì è la risultante di una complessaelaborazione di pensiero di altissimo livello che venne aformatasi a Napoli nel XVIII secolo anche attraversoun’osmosi culturale con il pensiero illuminato europeo,ambito nel quale gli intellettuali meridionali furonoprotagonisti di primo livello.

La componente massonica

La Massoneria è il centro di unione tra uomini buoni e sinceried è un mezzo felice per conciliare l’amicizia tra coloro che,

altrimenti rimarrebbero perpetuamente distanti(GOI Obb.piazza del Gesù – Costituzione)

Ma questo non basta per comprendere la portata delprogetto. E’ un’analisi estremamente riduttiva. Altrecomponenti ebbero la funzione di mattoni e di calce nellacostruzione di tale apparato ideologico. Come escluderela componente giansenista, quella riformata ed ancora l’anticurialismo, il giurisdizionalismo e la Massoneria. Non vi è in tutto il Settecento napoletano ambitoculturale in cui il pensiero massonico non sia statopresente e ne abbia influenzato le scelte ideologiche perpoi entrare prepotentemente nella sperimentazionepolitica e nella impostazione scolastica in manierasostanziale ed evidente. La costituzione di San Leuciovenne in realtà scritta dal Cavalier Antonio Pianelli,cavaliere di Malta, nato a Bitondo nel 1737, autore, tral’altro, di uno studio critico del dramma musicale di un

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trattato sull’educazione del principe. (Nardi) Il Pianelli inoltre era membro della Loggia Massonica“La Vittoria” di Napoli che costituiva il nucleo piùmassiccio ed aristocratico della Massoneria napoletana. Aquesta Loggia apparteneva un notevole numero di nobili,ufficiali e sacerdoti tra cui ritroviamo il conte Vittorio Alfieri,il conte russo Lanskoj, fratello di Caterina II e il pedagogosvizzero Frederic Cesar Harpe. Nella Massonerianapoletana militavano anche studiosi e scienziati comeDomenico Cirillo e Mario Pagano e Gaetano Filangieri, edancora Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV, iscritta inuna Loggia femminile di cui era Gran Maestra laPrincipessa di Ottaviano. (Francovich). Ma la cultura, la politica e la vita civile fu influenzatanon poco dal clero anche per la funzione che i vescoviavevano nell’organizzazione della società del tempo, eper la loro attivo coinvolgimento con la Massoneria. Basti ricordare che massoni erano l’ ArcivescovoBenedetto Latilla Sovrintendente agli Studi del Regno,l’abate di Monteoliveto Chiliano Caracciolo, i vescoviDomenico Forges Davanzanti e Giovanni Andrea Serrao(Francovich) e che questo nucleo di alti prelati massonicicontribuì non poco all’introduzione a Napoli della scuolanormale ed all’attuazione del divorzio, normativa giuridicache difesero anche con l’aperta ribellione al Papaallorquando questi scomunicò mons. Ortis vescovo diMottola per aver ratificato la sentenza di divorzio nellaqualità di giudice di appellazione. Alla morte di mons.

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Mottola, contro una disposizione pontificia che vietata lacelebrazione liturgica dei funerali, questi furono invececelebrati in maniera solenne nel Monastero di SanSeverino e Sossio con la partecipazione dell’arcivescovodi Chieti, e dei vescovi di Potenza, Monopoli, Teramo,Carpi, Canosa, Altamura, Salerno e del CappellanoMaggiore dei Regno. (Davanzanti) Questo clero che si era schierato a favore dellasoppressione della Compagnia di Gesù nel 1767, aveva difatto anticipato in alcune diocesi del Regno la riformagiansenista, in particolare a Salerno un quarto di secoloprima del Sinodo di Pistoia del 1786 voluto da Scipionede’ Ricci, come ho avuto modo di dimostrare in un miolavoro sull’arcivescovo di Salerno e Cappellano MaggioreIsidoro Sanchez de Luna. (Mucciardi). Sotto questa luce San Leucio è la realizzazione diquel principio universale che impegna ogni massone adelevare nel mondo profano templi alla virtù e profondeprigioni al vizio attraverso il continuo e costante lavoro. Ilmassone di definisce libero muratore, ovvero operaio,lavoratore impegnato in ogni istante della propriaesistenza alla costruzione di una società giusta e perfettafondata sul rispetto delle leggi, sulla accettazionedell’esistenza di un Ente Supremo e sul lavoro e sulleopere di assistenza e soccorso ai bisognosi. Ebbene come non leggere, nella costituzione di SanLeucio la centralità di Dio, e del re come rappresentantedello Stato e garante degli ordinamenti giuridici. Come

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non assimilare al concetto di mutua assistenzamassonica l’organizzazione della strutture previdenzialiper anziani ed orfani, ed ancora l’accentuazionedell’onorabilità dei membri della comunità e la loro libertàa quel principio fondamentale che consentel’appartenenza alla Massoneria solo agli uomini liberi e dibuoni costumi. E’ innegabile che le procedure diespulsione dalla Colonia per indegnità sianoestremamente simili a quelle di radiazione da una Loggiaper membri colpevoli di attività moralmente nonrispondente ai principi dell’Istituzione. Analogamente a quanto professato ed attuato dallaMassoneria il vestire in San Leucio doveva essere sobrioed unificato in maniera da non palesare differenza basatesulle apparenze. La differenziazione sociale è inesistente,salvo per la competenza nel lavoro, peraltro non perautoaffermazione o acquisita automaticamente perchématurata nel tempo ma, come in Massoneria, per il palesericonoscimento dei compagni di lavoro di grado superiore,in una società che ricalca i gradi massonici di apprendista,compagno e maestro rispondenti nella Colonia leuciana aquelli di “apprendista dell’arte della seta”, di “artigiano” edi “senjori” del popolo”. In questa struttura gerarchica lafigura del re può essere assimilata a quella che oggi sipuò riscontrare in quella di un Gran Maestro diun’Obbedienza. E come la Massoneria, pur rispettando ogni forma direligione e di credo, è completamente avulsa da ogni

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ingerenza clericale nella sua formazione e conduzione, laColonia di San Leucio è stutturata sul piano giuridico,morale, religioso, culturale e dell’educazione scolastica,nel pieno rispetto delle differenti confessioni religiose,senza alcun intromissione del Cappellano Maggiore a cui,è bene ricordare, spettavano l’exequatur o placet, lasopraintendenza sull’Università e la giurisdizione dellaclasse docente, la nomina dei docenti, la concessione allescuole private, la revisione dei libri di testo, la nomina deiRettori delle chiese,le cause civili e criminali degli addettialla regie Cappelle e Chiese ed infine la revisione di tutti idecreti, rescritti e bolle per la concessione del placetregio. Queste considerazioni ci portano ad evidenziare unapalese devianza che la storiografia ha ormai cementatonell’analisi del fenomeno definendo San Leucio un’utopiao un esperimento o il capriccio di un Sovrano. A SanLeucio, a Caserta, all’Italia meridionale spetta la paternitàdi aver realizzato un modello di società fondata su basisocialiste, egualitarie, senza distinzioni tra uomo e donnae basata sul lavoro in concomitanza degli eventi dellaRivoluzione Francese. Fu un esperimento nel senso piùalto del termine, pienamente rispondente alla concezionedella prassi scientifica del tempo. Non bisognadimenticare che a Napoli visse e operò Raimondo deSangro, Principe di San Severo, massone, alchimista escienziato nel senso più alto del termine. (Miccinelli) Credo che nessun può porre in dubbio che il de

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Sangro ebbe importanza primaria nella vita massonicanapoletana, che ne influenzò il pensiero, la politica e necondizionò il futuro. Orbene la scienza alchemica el’impianto epistemologico ormai accettato universalmentenell’ambiente scientifico del tempo, impongono che ogniteoria venga prima provata sperimentalmente prima didiventare una legge scientifica. E san Leucio era unesperimento di un impianto teorico che se riuscito dovevadiventare legge dello stato, e di tanto, come primaevidenziato e documentato era in attesa l’interapopolazione del regno ben consapevole di quantoavveniva a San Leucio anche sul piano sperimentale. Non quindi sogni utopistici, ma una seria e rigorosasperimentazione frutto di una ricerca scientifica di altovalore, certamente anticipatrice di una società libera edemocratica che sotto alcuni aspetti, la nostra Italiaformulerà solo con la costituzione repubblicana e di fattoattuerà, in alcuni punti, con grande sforzo solo negli ultimidecenni del XX secolo. L’esperimento di San Leucio crollònon per difetti nella sua formulazione, ma per avvenimentisuccessivi della storia che investirono l’intero regno e nebloccarono la sua totale prevista attuazione su tutto ilterritorio.

Tolleranza e laicità del sistema educativo scolastico

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Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero;

non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù..

(Paolo di Tarso - Galati 3:28)

Nello stesso lasso di tempo in cui veniva formulata edemanata la costituzione di San Leucio, nel Regno diNapoli era in corso una complessa operazione inerente lariforma scolastica che una volta definita trova nellacolonia di San Leucio uno dei primi centri disperimentazione. E’ stato messo in evidenza come la necessità di unamodificazione della educazione scolastica era stataformulata e teorizzata nell’ambito politico e culturalenapoletano. L’espulsione del Gesuiti nel 1767 e latrasformazione del loro patrimonio finalizzato ad unanuova impostazione con il contributo di consistenticomponenti laicali era già in corso, ma verso la fine delSettecento si assiste ad una complessa operazionepolitica con l’inserimento del metodo normale, già attuatoil Germania, operazione fortemente voluta in ambitomassonico e modellata sul piano della formazione moralee civile degli allievi sugli ideali laici e liberali propri dellaMassoneria. La spinta a tale operazione si era rivelata necessariaed indispensabile per l’attivazione di un processo politicoinnovatore che promuovesse non solo la preparazione

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professionale ma soprattutto un rinnovamento dellescuole sulla base di insegnamenti avulsi dallequintessenze teologiche (Rao) La spinta e l’impostazione ideologica delrinnovamento scolastico a Napoli fu soprattutto impostatasugli ideali ed in ambito massonico. Si è già evidenziato come l’elaborazione teorica dellanuova impostazione scolastica era stata formulata edelaborata tra pensatori meridionali aderenti alla liberamuratoria e con l’appoggio anche del clero massonicoche ne condivideva ideali ed impostazione, ma sul pianoattuativo l’inserimento del “metodo normale” nelle scuoledel Regno trovò nella Massoneria non solo l’appoggio sulpiano organizzativo ma anche e soprattutto sul pianoideologico. Sul piano organizzativo il primo contatto venneveicolato nel Regno delle terre di provenienza dellamoglie di Ferdinando IV, anch’essa aderente allaMassoneria, tramite militari sotto il comando del massoneAmmiraglio Acton. L’adeguamento del “metodo” affidato ai padri celestiniVirgilio e Vuoli venne di fatto guidato dallo stesso Acton etra i luoghi di sperimentazione, oltre San Leucio,ritroviamo la scuola nautica, organizzazione scolasticaparticolarmente cara e protetta dall’Ammiraglio inquestione. La lettura sistematica nel metodo normale, introdottonel Regno di Napoli nel 1784, su proposta del Ministro

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della Guerra, della marina e Segretario di Stato D.Giovanni Acton, stampato e non pubblicato in edizioneridotta con il titolo Metodo d’insegnare a leggere ad usodelle scuole normali ne’ domini del Regno di Sua maestàSiciliana - Napoli 1787 -, a cura dei Padri CelestiniAlessandro Gentile e Ludovico Vuoli, e successivamentein edizione integrale, commenta da Padre Virgilio Vuoli,intitolata “Il Sistema Normale ad uso delle scuole de’domini di Sua maestà Siciliana spiegato in tutta la suaestensione – Rapporto alla pubblica educazione” Napoli1789, palesa chiaramente che l’obbligo scolastico,paritario per uomini e donne, di qualsiasi classe econdizione è finalizzata sia alla formazione propedeuticaprofessionale ed artigianale, sia a plasmare il cittadino suvalori morali assoluti, quali il rispetto della legge e deipropri simili. Ma al tempo stesso è tesa a liberareintellettualmente il cittadino da miti e vincoli culturaliincardinati nella tradizione popolare, inculcati in essadall’ignoranza e da una tradizione religiosa che perautolegittimarsi aveva necessità di imprimere nel popolopaure e sensi di colpa su peccati costruiti ad arte edalimentati dall’ignoranza e dalla sottomissione. Il programma scolastico approvato da Ferdinando IVè fondato sull’elevazione ed emancipazione dell’uomo edella donna sul piano letterario, scientifico e morale, inlinea, come afferma Padre Virgilio Vuoli nell’ Introduzioneal Metodo, cui farò espresso riferimento in seguito, con l’interpretazione formativa scolastica in auge nei paesi del

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nord d’Europa. In questa sede non entro nella complessaproblematica della struttura didattica, mi soffermeròsolamente a stigmatizzare solo, e brevemente, alcuni tra ipiù significativi aspetti pedagogici tesi alla solaformazione civile e morale degli alunni. Prioritariamente va evidenziato che l’interoprogramma della pubblica educazione, come di tuttol’apparato scolastico, è finalizzato alla formazionedell’uomo prima, del cittadino dopo ed infine del cristiano.Tale programma si svolge secondo due precise direttrici,ovvero la lettura e lo studio di novelle, racconti e paginedi storia la cui testimonianza tende ad inculcare eplasmare la formazione dell’uomo e del cittadino ideale. Orbene dalla lettura dei testi di narrativa selezionatied inseriti nel Sistema Normale ad uso delle scuole de’domini di Sua maestà Siciliana, non vi è un soloriferimento a qualsivoglia religione, né a santi, raramenteviene citato Dio in senso lato. Si esalta il valore civile, ilsenso laico della vita, l’assoluta osservanza delle leggi,l’altruismo ed il senso morale del dovere verso il propriosimile, la lotta contro le credenze popolari e l’ignoranza.In un solo caso si fa riferimento all’Ente Supremoappellandolo come “Saggia Provvidenza” o come nelcaso di una novella liberamente adattata da un lavoro diAlbergati Capacelli in cui il protagonista, in un momentodi disperazione, “alza al Sommo dator di ogni bene leabbattute luci”. Nella stessa novella il ricco e colto

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protagonista trova la luce della verità nella prassi altruistadel proprio cocchiere ed imitandolo raggiunge quellafelicità da tempo invano ricercata e che si verrà aconcretizzare in un rapporto di uguaglianza e dicondivisione dei beni che si protrarrà nel tempo, inun’attività di soccorso verso i meno abbienti e nella lottaall’ingiustizia sociale e giuridica. Un percorso che si identifica in pieno con i principi econ la prassi massonica di cui è permeato l’interoprogramma educativo, che risente fortementedell’ideologia latomistica dei Paesi del nord d’Europa incui è stato progettato e realizzato, ma anche ed inmaniera sostanziale dell’apporto culturale proprio dellacultura meridionale e di quegli uomini che nell’introdurre ilmetodo nel Regno di Napoli diedero un valido contributonell’adattarlo ad una diversa realtà socio-culturale, conmodifiche ed integrazioni ben evidenziate da padreVirgilio Vuoli nell’Introduzione al programma educativo. Ma è in ambito della formazione morale che emergein toto la concezione della cultura massonica e sottol’aspetto religioso quella giansenista. Nel programmal’approccio alla religione non è attuato sul painoconfessionale, bensì come elemento di elevazionemorale. Si osserva l’assenza totale di contenuti mariologici edi culto dei santi, stigmatizzando peraltro in tal senso ladifferenza tra culto, latria e iperdulia. Sul piano dellaconoscenza e rispetto delle differenti confessioni si

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insegna agli alunni, già dalle prime classi, che gli ereticisono cristiani perchè anch’essi battezzati come i cattolici. Le lezioni iniziano con la preghiera dominicale,ovvero il padre Nostro, secondo come riportato in Matteo6:9-13 ma si precisa che solo i cristiani cattoliciaggiungono la preghiera Angelica. Tanto lascia supporre,a ragion veduta, la presenza nelle scuole di alunniappartenenti a confessioni religiose diverse da quellacattolica e che pertanto non sono obbligati a recitare taleorazione. Un principio di reciproco riconoscimento erispetto delle diversità solo parzialmente edimperfettamente raggiunto nelle scuole oggi. Una particolare attenzione deve essere posta sullaformulazione della preghiera Angelica, ovvero l’attuale“Ave Maria” che pur essendo analoga a quella tutt’oggirecitata in ambiente cattolico, sostituisce il saluto “AveMaria” con “Dio ti salvi o Maria”. Ci troviamo fur di ogni dubbio in presenza di unaimpostazione della preghiera di stampo molto antico,ancora oggi recitata in alcuni ambienti, ma certo diversada quella definita da Papa Pio V nel XVI secolo ovel’allocuzione “Dio ti salvi o Maria” è abolita, proprio infunzione di un culto mariologico ormai acclarato edaccettato nel cattolicesimo, anche se la formulazionedogmatica verrà definita a più riprese alcuni secoli dopo. In questo contesto formativo ed educativo la letturadella Bibbia ed in particolare del Nuovo Testamentoassume un posto di estrema rilevanza. I testi scelti, quasi

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sempre selezionati secondo la liturgia della messadomenicale, vengono letti e commentati da insegnantilaici la domenica a scuola su un testo tradotto in linguacorrente. Una procedura che si pone in duro contrastocon la indicazioni ufficiali della Chiesa cattolica del tempo,in ordine alla lettura della Bibbia ai laici ed alle traduzioniin lingua corrente. Infatti il divieto della lettura del testo biblico era statosancito dal canone XIV del Concilio di Tolosa nell’anno1229, divieto mitigato con l’Enciclica ProvidentissimusDeus del 1893 e successivamente con la CostituzioneApostolica Officiorun 1897. Analogo divieto fu definito dalConcilio di Terragona del 1234 nei riguardi delladivulgazione di traduzioni del Testo biblico in linguacorrente. Orbene il Metodo Normale pone la letturaneotestamentaria non sul piano religioso, ma su quellomorale ed educativo, come testo di etica laica, che vieneletto in lingua corrente, studiato all’interno delle aulescolastiche e commentato da insegnanti laici. Non si può non vedere in tutto ciò l’apporto dellacultura giansenista presente non solo nell’ambitoecclesiastico nel Regno di Napoli, come non si puònegare la presenza di una cultura, anche religiosa distampo riformato, certamente mediato e favorito dallacomponente massonica tramite i suoi ormai radicaticollegamenti con il nord d’Europa. Ferdinando IV e la sua corte di nobili, militari,intellettuali, borghesi militari, nella quasi totalità massoni

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o simpatizzanti della Massoneria misero in atto unprogramma di sperimentazione per la nuova generazionea livello popolare nell’intento di estenderlo a tutto ilRegno. Una peculiarità che risponde in pieno agli idealiultimi della Massoneria nei confronti della societàprofana, ovvero “scavare profonde prigioni al vizio edelevare templi alla virtù”, il tutto nel rispetto ed al di sopradelle convinzioni religiose di ogni singolo individuo. San Leucio fu e resta un monumento alla libertà dipensiero, alla dignità, all’uguaglianza tra uomo e donna,all’etica laica, alla libertà di coscienza e di religione,all’assistenza degli inabili ed anziani, al diritto al lavoro edalla casa, alla responsabilità personale, al rispetto delleleggi, all’intervento diretto dello stato in materia diassistenza e prevenzione, tutti tesi alla trasformazionepacifica della società per l’elevazione completa e perfettadell’uomo nella sua interezza materiale, morale, civile espirituale. Un programma che si concretizzò pacificamente inconcomitanza del bagno di sangue della RivoluzioneFrancese ed anticipatorio nella prassi e nella sostanzadella società socialista. Fu anticipazione, non fallimento, poiché le ideesuperiori una volta esplicate possono anche essererepresse dall’egoismo, dalla violenza, dalla ragion politicae dal fondamentalismo religioso, ma non muoiono, nonpossono morire. Esse riemergono in tutta la loro portatanella coscienza della società civile e le ritroviamo, in

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maniera più fortemente radicata a volte lontana nel tempoe nello spazio. A noi, agli storici, agli uomini liberi riconoscere questivalori per ridare orgoglio e dignità a quelle culture a cui èstata criminalmente negata l’identità della propria storia. Questo lavoro vuole essere, sia pur nella sualimitatezza, un tassello per contribuire alla ricostruzione diun patrimonio negato, adulterato e privato alla civiltàmeridionale per ritrovare le proprie radici vere, autentichee su di queste costruire un futuro degno della storia. Ma vuole essere anche un riconoscimento palese alinee di pensiero ed a uomini ignorate nella lorograndezza che in buona parte si riconobbero negliimmortali ed insuperati ideali massonici.

Fonti bibliografiche

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